Solchi

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SOLCHI da un’IDEA di TELEFONO ROSA PIEMONTE e BOTTEGA INDACO Testi del Telefono Rosa Piemonte e per Bottega Indaco, Chiara Manganelli Marzo 2010 DE-FINIRE! LA VIOLENZA CON UN EVENTO MULTIARTE

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Bottega Indaco per Telefono Rosa, Teatro Vittoria di Torino, 12 Marzo 2010

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SOLCHIda un’IDEA di TELEFONO ROSA PIEMONTE e BOTTEGA INDACO

Testi del Telefono Rosa Piemonte e per Bottega Indaco, Chiara Manganelli Marzo 2010

DE-FINIRE! LA VIOLENZA

CON UNEVENTO

MULTIARTE

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a data dell’8 marzo venne proposta come giornata di lotta internazionale a favore delle donne da Rosa Luxemburg,

assumendo il valore simbolico di celebrazio-ne a sostegno delle rivendicazioni femminili in merito al lavoro e alla condizione sociale: protesta contro le vessazioni che la donna ha dovuto subire nel corso dei secoli, ma anche punto di partenza per il riscatto del genere.Il Telefono Rosa di Torino (Rosa, proprio come la Luxemburg), non ha mai celebrato l’8 marzo come giornata di festa. Né avrebbe potuto far-lo: perchè non c’è giorno che non si senta che una donna venga violentata o maltrattata.La celebrazione dell’8 marzo è quindi innan-zitutto momento di ricordo e di vicinanza alle vittime: insieme con la più profonda depre-cazione e condanna di ognuno degli atti che abitualmente, in Italia e nel mondo, vengono perpetrati contro le donne.Da due anni il Telefono Rosa del Piemonte utilizza una metodologia peculiare della ricor-renza. Prima, dà voce alle opinioni delle don-ne e degli uomini che partecipano ai forum divulgati sul sito www.telefonorosatorino.it. Poi ne analizza i risultati: evidenziando voci anche dissonanti: la vera essenza della vio-lenza! La convinzione che la violenza nasca da ragioni storiche e culturali, ma anche dalle idee e dalle convinzioni prodotte dalla mente umana, ci porta a considerare l’8 marzo come momento di comunicazioni pluriattive. Esat-tamente quello che si realizza poi negli spazi multiartistici.Non solo parole e slogan: ma recitazioni, mu-siche, rappresentazioni grafiche. Tutto ciò che serve a comunicare non su spazi multi-mediali, ma su spazi multisensoriali: la vista, l’udito, ma anche il gusto, l’olfatto o il tatto.Comunicazioni diverse: tutte finalizzate a cre-are spazi di riflessione e di contrasto. Perchè la violenza si avvale di spazi nulli, senza sen-so, senza alcuna voce!

Telefono Rosa - Piemonte

L

Pubblicato in occasione dell’evento multiarte:

SOLCHITracce di Sofferenza . Origine di Speranza12 marzo 2010Teatro Vittoria - Torino

Da un’idea di Telefono Rosa Piemontein collaborazione con Bottega Indaco

Testi a cura di:Telefono Rosa PiemontePer Bottega Indaco: Chiara Manganelli

Progetto grafico:Makab Inside

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Immagine in copertina:Riccardo Di Gianni

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VOCI AL

Violenza sessuale, maltrattamenti fisici e/o psicologici, ricatti, minacce, molestie ses-suali o atti di stalking, sono comportamenti particolarmente odiosi perché colpiscono la donna nella sua identità, oltre che nella sua integrità fisica e psicologica.La sopraffazione, la mancanza di rispetto, la violazione spesso sistematica dei propri diritti sono eventi devastanti: tanto che molte don-ne sono in difficoltà anche solo a riconoscere la violenza.Tutto questo avviene sovente proprio là dove la donna dovrebbe sentirsi più sicura: la pro-pria casa, la famiglia, il luogo di lavoro. Oppu-re nel contesto dei legami affettivi.Per questo è nato a Torino il Telefono Rosa: un centro antiviolenza che si è costituito nel 1993 dopo approfondita riflessione ed elabo-razione di progetti riguardanti le varie attività da svolgere per prevenire e contrastare la violenza di genere ed offrire aiuto e risposte concrete ai bisogni delle donne vittime di una

violenza che non è mai questione privata, ma emergenza sociale sempre più problematica.Dalle case alle strade ai luoghi di lavoro, non ci sono ambienti sicuri, per le donne.E’ questa la riflessione che ha accompagna-to e accompagna l’azione del Telefono Rosa. Il tema di fondo è che ogni donna abbia in sé la forza e le risorse per uscire dalla violenza. Di conseguenza, il Telefono Rosa del Piemon-te opera con il consenso della donna e ga-rantisce riservatezza, anonimato e assoluta assenza di giudizi (o peggio, di pregiudizi).Formata da circa 40 volontarie, coordinate da un consiglio direttivo, ha la sua sede in Via Assietta 13/a Torino: gli orari di servizio con-sentono un ascolto telefonico, un’accoglien-za in sede e il ricorso a consulenze legali o psicologiche, oppure uno sportello sociale e di orientamento al lavoro.L’équipe di lavoro è composta da consulenti d’accoglienza, psicologhe, avvocate, orien-tatrici e formatrici. ACCOGLIENZA, ASCOL-TO E ACCOMPAGNAMENTO: questi sono, in definitiva, i quadri operativi all’interno dei quali ogni attività del Telefono Rosa di Torino si è finora inserita. Da circa due anni è an-che attivo un centro di ospitalità residenziale che permette alle donne che afferiscono ai Pronto Soccorso dell’Ospedale Molinette e S.Anna di avere, dopo l’emergenza sanitaria, un luogo sicuro nel quale attivare il proprio progetto di affrancamento.

Telefono RosaPiemonteIl centro antiviolenza

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TELEFONO

Telefono Rosa Piemonte - OnlusVia Assietta 13/a Torinotel. 011.530666 - 011.5628314Fax 011.549184email: [email protected]://www.telefonorosatorino.itCome contattarci:Lunedi dalle 09.30 alle 16.00Martedì dalle 15.00 alle 17.30Mercoledì dalle 09.30 alle 12.30Giovedì dalle 15.00 alle 18.30Venerdì dalle 09.30 alle 18.30

In orario serale dal lunedì al venerdìPresso Presenza AmicaStazione di Torino Porta Nuovadalle 20.00 alle 24.00Tel. 327.3275692

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.Non basta salvare le vit-time: anche gli aguzzini hanno bisogno di aiuto. Perché davvero la guerra finisca..La Vittimologia (orrenda parola) cerca di traccia-re il ritratto psicologico delle persone oggetto di un evento crimi-nale. Noi Donne d o b b i a m o chiederci le ragioni per cui ciò capita.E s i s t e u n ’ i d e n t i t à culturale che ci educa a viverci in un determinato modo, perce-pirci in una determinata ottica. Siamo noi Donne le prime a doverci libera-re da determinati schemi culturali e sociali. Non

paga addossare solo le “colpe” agli uomini vio-lenti, alle leggi latitanti. Dobbiamo crescere den-tro ognuna di noi senza distinzione di cultura e provenienza sociale.

.Omiciattolo, smettila una buona volta di farci cre-dere che sei schiavo dei tuoi ormoni per giustifi-care le tue or-ribili azioni..Ok, noi ma-schi siamo maschilisti, ma il vero pro-

blema è che molte donne sono a loro volta maschili-ste. Le donne maschiliste hanno la “sindrome del colonizzato e dello schia-vo”, che consiste nel fatto di condividere la mentali

DE-FINIRE!LA VIOLENZATestimonianze dal Forum online:www.telefonorosatorino.it

Si propongono di seguito alcune considera-zioni sommarie che emergono dai mille con-tributi analizzati, molti (41,30%) appartengo-no a uomini: a dimostrazione di come il tema della violenza coaguli e coinvolga entrambi i generi. Esattamente come è accaduto lo scorso anno con il forum Meno... male! An-cora più interessante verificare che poco meno del 20% degli uomini che hanno por-tato il loro parere siano stati di età inferiore ai 18 anni.

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tà del suo colonizzatore, anziché ribellarsi..Oltre alle donne, il dram-ma si completa se penso a tutti quei bambini inno-centi spettatori di questa quotidiana violenza che si svolge sotto i loro occhi..Le persone si stupiscono di come abbia fatto a resiste-re per tanto tempo in quel-la situazione: mi dicono:”Ma perchénon lo hai la-sciato subito? Perché ti sei fatta fare tutto questo? Perché glielo hai permes-so?”.Solo chi c’è passato può dare una risposta a que-ste domande, solo chi l’ha provato sulla sua pelle

può capire quale mecca-nismo arcano scatta nel-la tua mente e ti fa sentire prigioniera della paura, senza alcuna via di scam-po. In quei momenti ti la-sci convincere che quella

sarà l’ultima volta che su-bisci le sue violenze, che lui con il tuo amore po-trà cambia-re, che non ti farà mai più del male per-ché ti ama e tu ami lui.Ma non è così: questi uomini

non cambiano, semmai col tempo peggiorano. E tu arrivi a ridurti allo stato di larva umana: tocchi il fondo e solo le donne dei Centri antiviolenza sanno quanto sia difficile ritirar

Notiamo vecchie divergenze e nuove con-vinzioni, evidentemente, comunque, radica-te in modo profondo.Se per quasi il 36% delle donne la violen-za è un retaggio culturale, solo per il 16% degli uomini è così. Così come il sesso è la motivazione espressa dal 42% degli uomini, e solo dal 21% delle donne. Non stupisce, purtroppo, il 28,57% di uomini che ritengo-no che la violenza si manifesti per la troppa libertà femminile; piuttosto, è strano che questo appartenga ancora al 13,12% delle donne.Se poi andiamo a verificare le risposte che analizzano i termini che meglio descrivono la violenza contro le donne, se l’11,62% de-gli uomini la considera inevitabile, sono il 21,64% delle donne che la pensano così!Sulla scia dei più ancestrali stereotipi, la violenza è “provocata” secondo il 7,67% delle utenti, ma ben dal 38,01% degli uomini. Imprevedibile, poi, che la violenza di genere sia considerata shoccante solo per il 6,30%

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si su. E, proprio con il loro aiuto, sono riuscita a fer-mare quell’orrore e rico-minciare a vivere avendo allontanato il MALE..Nella mia scuola c’è un compagno che ha assisti-to ad una lite tra i genitori che ha por-tato la morte alla madre e il carcere al padre.Pallottole nel muro, stanza imbrattata di sangue. Grida e rantoli che r imarranno sempre nelle sue orecchie. Mi chiedo come farà, una volta cre-sciuto, ad amare una don-na, a credere nella bellez-za della vita..Conosco il DRAMMA da vicino, mi brucia dentro

ma non riesco a tirarlo fuori e chiedere aiuto.E’dentro, come il mio sen-so di nullità..Sono arciconvinta che il mio predatore si sia eccitato nel pedinarmi,

inseguirmi, u m i l i a r m i , spaventarmi, terrorizzarmi e poi stuprar-mi. Chissà che senso di pote-re ha provato nell’organiz-zare quell’as-salto per il definitivo an-nientamento di quel corpo

paralizzato che da allora non ho più sentito MIO.Il mio corpo imprigionato per sempre e il mio aguz-zino libero per indulto dopo dieci mesi.Riesci ad immaginare la

degli uomini, contro il 27,60% delle donne: evidentemente, sono pochi gli utenti che comprendono e si sanno sintonizzare sul dolore, sull’angoscia e sull’incredulità delle vittime. Prova ne sia che solo l’8,96% degli uomini prova vergogna all’idea che una donna sia vittima di violenza; dato che sale al 23,51% delle donne.Dati ancora più significativi nelle motiva-zioni alla violenza: ancora oggi, il 54% degli uomini pensa che la spinta sia il sesso e il 37,05% ritiene sia causa di un raptus; per le donne sono invece il dominio (52,64%) e l’odio (per il 41,91%).Secondo gli uomini il maltrattatore o il violentatore sono soli (37,77%), stranieri (37,05%), malati (34,62%) e sadici (30,99%): appare ipotizzabile un ancestrale contesto di marginalizzazione e di rimozione della violenza, che appartiene, evidentemente, ad individui soli, stranieri o malati. Ma le donne non hanno convinzioni più articolate: secondo loro, sono individui sadici (48,89%),

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mia rabbia, il mio dolore, la mia collera e la mia im-potenza?.Anche io ho subito violen-za dalla persona che amo e mi faccio schifo solo per il fatto di dirlo, per il fatto di dire che lo amo.Penserete che sia masochi-sta, che sono pazza ecc. Beh non è così: io amo la parte buona di que-sta persona, la parte cattiva la odio, la vor-rei cancella-re, vorrei tanto che guarisse per lui stesso e per il nostro futuro.. Per lungo tempo ho vissu-to lo strazio della violenza in solitudine. Vergogna, disperazione, silenzi, bu-gie e poi la voglia di non

vivere più perché la sof-ferenza era troppo grande e non riuscivo più a ge-stirla. Andava di là dalle mie ca-pacità. E’ lì che ho deciso di chiedere aiuto, inizian-

do a frequen-tare il Telefo-no Rosa.All’inizio non è stato facile perché insie-me con loro ho dovuto ri-vivere quei momenti tre-mendi delle violenze che subivo. Ma poi, una vol-

ta che ho riconosciuto il valore della solidarietà di mente, di cuore e di for-ze, ho provato un enorme senso di liberazione. Oggi mi restano le cicatrici emotive, quelle sì!

rabbiosi (36,63%) ma anche malati (27,60%).Come repressione stupro, su tanti questio-nari risulta la circostanza che vi sono uo-mini (20,58%) e donne (17,38%) che si sen-tirebbero più tranquilli con uno stupratore a piede libero purché castrato chimicamente.Lo stigma sociale sarebbe utile per il 39,52% delle donne, e per il 23,73% degli uomini. Azioni terapeutiche psicologiche avrebbe-ro invece senso per il 31,01% delle donne e solo per l’11,14% degli uomini.Eppure, le indagini statistiche e l’esperien-za dei centri antiviolenza mostrano che aggrediscono e stuprano i ricchi, i poveri, gli ignoranti e gli intellettuali di ogni etnia e latitudine. Dimenticando che in fondo la violenza si confonde con gli affetti e si annida in casa, nella coppia, nella famiglia, tra i banchi di scuola o sul posto di lavoro.A quanto pare, invece, il potere maschile è ancora considerato del tutto naturale: con tutto quello che ne consegue..........................

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ARTISTI

“Tu e io non siamo che una cosa sola.Non posso farti del male senza ferirmi.”

M. Gandhi

Venerdì 12 marzo 2010, presso il teatro Vit-toria di Torino, l’atelier “Bottega Indaco”, in collaborazione con il Telefono Rosa di Torino, presenterà anche quest’anno un evento “mul-tiartistico” dedicato ai diritti delle donne.La serata prevede: una mostra di fotografie e dipinti realizzati dagli artisti di “Bottega In-daco” (Ciro Palumbo, Akira Zakamoto, Clau-dia Giraudo, Laura Giai Baudissard, Luisella Bardella, Valter Fiorio, Simona Vanetti); uno spettacolo teatrale ideato e diretto da Mar-zia Scarteddu e interpretato da Katia Capato, PinoBlu, Luisa Dante, Cristina Salà, Valeria Troccoli e Pablo Cappellato; una performance musicale ideata e scritta da Antonello Aloise e Diego Manca Mura, con la partecipazione di Linda Murgia al violoncello.Scopo della serata è sensibilizzare il pubblico sul tema della violenza sulle donne, esploran-do, attraverso vari linguaggi artistici, sia gli aspetti crudi e amari legati alla sofferenza,

Quando l’arte si fa portavoce di istanze sociali:Bottega Indaco a fianco del Telefono Rosa per la lotta alla violenza sulle donne

di Chiara Manganelli

allo stigma sociale, alla degradazione e alla solitudine, sia mettendo in luce le risorse che le donne possiedono: la forza, l’energia e l’istinto vitale che permettono loro di reagire, di spezzare la coltre del silenzio e della ver-gogna, per trovare una via d’uscita dai labi-rinti bui e impervi della violenza psicologica, morale, emotiva e fisica di cui sono vittime.Un connubio controverso e singolare, dunque, quello tra arte e impegno sociale, che rischia di non essere compreso a fondo, perché, nel nostro immaginario culturale odierno, l’arte è spesso relegata a passatempo per gente capricciosa e indolente, e ci siamo purtroppo abituati a concepirla come elogio del bello in quanto effimero, come intermezzo piacevo-le, giocoso, stravagante e disimpegnato alle turbolenti peripezie della vita quotidiana. Ma questa concezione distorta e fallace dell’ar-te è frutto di una società che poco o nulla ha imparato dal passato, che ha perduto il sen-so della memoria, avvezza a indugiare solo sull’apparenza delle cose.Se ci voltiamo indietro, scopriamo in realtà che la storia dell’arte è ricchissima di esempi in cui l’espressione artistica si fa portavoce di

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CA-MENTE

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annose questioni sociali e politiche della pro-pria epoca, diventando spesso un mezzo per denunciare ingiustizie sociali e per propugna-re istanze culturali innovative e rivoluzionarie. Uno fra i più celebri esempi di come l’arte si sia fatta foriera di importanti tematiche so-ciali, preconizzando, in taluni casi, la portata macroscopica dei cambiamenti radicali che ne sarebbero sortiti, è “Il quarto stato” del divisionista Pellizza da Volpedo.Altri esempi celeberrimi di questo connubio sono “Il 3 maggio 1808, le fucilazioni alla mon-tagna del principe Pio”, di Francisco Goya, e “Guernica”, di Pablo Picasso, dipinti realiz-zati con l’intenzione di deplorare l’insensata efferatezza della guerra.Qui gli artisti di Bottega Indaco si misurano con una tematica parimenti importante, di fondamentale rilevanza sociale ed estrema-mente delicata, scabrosa e ostica: la violenza sulle donne, tanto aberrante e odiosa, quan-to, purtroppo, terribilmente diffusa e attuale.Ma i canali attraverso cui gli artisti di “Botte-ga Indaco” si esprimono, anche in un siffatto caso, dove si intende “denunciare” ingiu-stizie e soprusi, sono prettamente simbolici,

perché questi artisti si muovono in un terri-torio a metà tra la realtà e l’irrealtà, in cui si parla per metafore, per segni da decifrare, per sensazioni che oltrepassano il linguaggio comune e direttamente intelligibile.La loro arte è catarsi e sublimazione, ed è attraverso questo processo catartico che diventa comunicazione contenente “in nuce” un enorme potere euristico ed esegetico, perché reinterpreta la realtà fornendo chia-vi di lettura intuitive ed evocative per la sua comprensione più profonda.L’artista, come affermò A. Rimbaud, deve farsi “veggente”: è necessario, dunque, superare la realtà fenomenica, ammutinarsi, abiurare, andare oltre, altrove, per carpire l’ineffabile, ciò che si può percepire ma non si può spie-gare.Le opere degli artisti di “Bottega Indaco” su-scitano e trasmettono emozioni forti e potenti, ma senza “aggredire” lo spettatore. Tra l’ar-tista e lo spettatore si crea così una sorta di empatia sottile e magica, quasi un’identifica-zione reciproca e ambivalente, dove il limite di demarcazione tra chi crea e chi “fruisce” del risultato tangibile di questa creazione

SOLCHITracce di sofferenza, origine di speranza12 marzo 2010Teatro Vittoria . Torino

In scena:Katia CapatoPinoBluLuisa DanteCristina SalàValeria TroccoliPablo Cappellato

Costumi:Atelier Ombra di foglia

MusicheAntonello Aloise e Diego Manca Mura

Regia:Marzia Scarteddu

Un evento multiarte

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contro la violenza!

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diviene labile e illusorio, e i messaggi vengo-no manifestati per mezzo di processi analogi-ci e non dialogici. Inoltre, anche quando l’arte diviene baluardo di fondamentali istanze sociali, non si può mai prescindere dalla sua caratteristica saliente: la creazione della Bellezza. E creare Bellez-za significa trovare l’impulso vitale anche laddove esso appaia remoto e improbabile. Dunque questi artisti non solo raccontano per immagini la tragedia della violenza, ma ricercano quel “quid” che permetta di supe-rarla, di sconfiggerla e annientarla, per poter finalmente costruire una realtà altra, vitale e autentica, celebrando così la forza interiore e primordiale che ogni donna, nel proprio inti-

mo, possiede, e che le consente di risorgere dalle ceneri, come l’araba fenice.

“Nel fondo della sua anima, Emma aspettava che qualcosa accadesse. Come i marinai in pericolo, volgeva gli occhi, disperata, sulla solitudine della sua vita, e cercava, lontano, una vela bianca tra le brume dell’orizzonte. Non sapeva che cosa l’aspettasse, quale vento avrebbe spinto quelle vele fino a lei, su quale riva l’avrebbe portata, né sapeva se sarebbe stata una scialuppa o un vascello a tre ponti carico di angosce o pieno di felicità fino ai bordi.”

Madame Bovary, G. Flaubert

DONNE: sostantivo, plurale GENE

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RE: femminile DIGNITA’: SEMPRECiro Palumbo nasce a Zurigo nel 1965, e in Italia, la sua terra, si innamora del mare.Egli cresce e impara a creare immagini, a costruirle e dirigerle, ma comincia a sentire, profondo, un altro richiamo, canto di sirene, che lentamente lo riconduce a quell’immen-sa distesa d’acqua. Così lo dipinge, il mare, e diviene il pittore delle isole. La sua pittura conduce per mano lo spettatore in un mondo coerente con la tradizione metafisica di cui si nutre, popolato di oggetti simbolici, spazi de-sertici, scenografie enigmatiche, suggestioni che comunicano un senso di inquietudine. Pure, non è l’evidenza iconografica a comuni-care ad occhi desiderosi di significato, bensì l’atmosfera percepita da chi osserva, che è insieme tensione ed attesa. Non si tratta di una sosta statica, immobile in un tempo so-speso: per Ciro Palumbo l’attesa è ricerca, e ricerca è un viaggio per cui si parte sapendo che la meta altro non è se non il viaggio stesso. E sebbene ancora non sia chiaro verso qua-

le scoglio lo guidi il suo vento, le sue isole respirano sulle tele e le sue navi partono alla ricerca di nuove sfumature, indagando tra forma e colore, e trasportano l’immagine di un uomo, coraggioso, che vive sognando, anche per gli altri.Dal 1984 i viaggi rappresentati sulle sue tele sono protagonisti di numerose mostre e col-lezioni, sia in Italia che all’estero.

CIROPALUMBO

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Ogni uomo può essere una risorsa pe

Fissare sulla tela l’istante in cui il Sogno e la Realtà si compenetrano altalenandosi, sembra essere la priorità attuale per Claudia Giraudo, artista nata nel 1974 a Torino, luogo in cui tuttora risiede e collabora attivamente con l’atelier Bottega Indaco.Il diploma ottenuto nel 2001 presso l’Accade-mia Albertina di Belle Arti di Torino, avvia una ricerca intimista che si concentra sul volto come tramite di un messaggio.Coinvolgendo in parte il vissuto personale, ma caricandolo di un messaggio da decrip-

tare, è come se l’artista parlasse una lingua sconosciuta che lo spettatore deve tradurre alla luce delle proprie personali esperien-ze e conoscenze. Attraverso i suoi simboli, la Giraudo poggia delicatamente sulla tela soggetti che, resi messaggeri, ci appaiono eterei, evanescenti, attori, spiriti dell’aria, ed in aria si son tutti dissolti, in un’aria sottile ed impalpabile. E come attori inconsapevoli del ruolo che assumono, i soggetti di Claudia Giraudo si muovono su fondali movimentati da un sostrato materico che è anche oniri-co, quasi a ricordarci che siamo fatti anche noi della stoffa di cui son fatti i sogni; e nello spazio e nel tempo d’un sogno è racchiusa la nostra breve vita.Srotolando e dipanando la linea tempora-le delle altrui esistenze, possiamo trovare il bandolo della nostra, sciogliere i nodi interiori che ci intralciano, comprendere chi siamo e da dove veniamo, e sentire l’appartenenza atavica e profonda a un unico percorso uni-versale, che è quello dell’Uomo.

CLAUDIAGIRAUDO

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r contrastare la violenza alle donne

Francis Bacon sosteneva, indagando le ra-dici dell’animo umano: “La natura è spesso nascosta, qualche volta sopraffatta, molto raramente estinta.” Nella ricerca di Laura Giai Baudissard l’incontro con la natura re-ale dell’uomo appare come una necessità, un’incessante ricerca da svolgersi tramite un percorso spirituale che coinvolge lo spettato-re così come l’artista, messi in relazione tra loro dal mescolarsi e sovrapporsi delle tecni-che, dall’intersecarsi artistico di sogno e re-altà. Un sottile intrico vegetale vela la nostra natura ma la svela nel contempo lasciando intravedere la parete sottostante, il muro che l’edera copre e mantiene saldo.Il sentimento che si prova ad osservare le opere della Giai Baudissard è lo smarrimento che si prova davanti all’inaspettato apparire del mistero celato dietro l’apparenza delle cose.Nata a Giaveno (To) nel 1978, l’artista, dopo l’esperienza del liceo scientifico, si riavvicina alla sua passione per le arti visive, diploman-

dosi in Illustrazione presso l’Istituto Europeo di Design di Torino, e continuando a coltivare la passione per la grafica e la pittura, che la conducono, quattro anni dopo, all’incontro con lo Studio d’Arte Palumbo, con il quale collabora tuttora in veste di grafica ed assi-stente alla pittura.

LAURAGIAIBAUDISSARD

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Anche oggi, cielo scuro p

Nasce ad Arona nell’ottobre del 1978.Da piccola disegnava riccioli e spirali sui libri di psicologia di papà e sulle poltrone in pelle.I libri sono stati fatali: da “grande” è divenuta psicologa, laureandosi a pieni voti a Torino e intraprendendo poi la specializzazione come psicoterapeuta clinica, Dà frutto agli insegna-menti magistrali lavorando come formatrice.Scarabocchia ancora i mobili e le poltrone

però, per serietà, ha lasciato intatto il lettino del suo studio.Da piccola tagliava e personalizzava pigiami e magliette con le forbici appena regalate; da grande gioca con i tessuti, crea e personaliz-za abiti, certa che il sapersi mettere nei panni propri e degli altri è importante nella vita. Da piccola amava ascoltare le fiabe e sfogliare i libri con le figure per ore ed ore, da grande scrive storie, per grandi e piccini, illustrando-le con fantasia. Scoprendo che quando gioca con la rima, le parole scorron prima.Da sempre fotografata, da grande ama foto-grafare e giocare con le immagini per creare piccole e grandi opere d’arte. E poi danza e recita, un po’ con i movimenti appresi nei tanti anni di studio, un po’ e sempre più con i propri movimenti, sempre diversi e in evoluzione.Ama scrivere, dipingere, costruire, giocare, disegnare, su qualunque superficie gli capiti sotto mano. Anche una tela.

SIMONAVANETTI

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er la violenza sulle donne

Akira Zakamoto vede la luce a Tokyo il 6 Giu-gno 2001. Luca Motolese lo vede nascere in sogno, lo stesso giorno a Torino.Dall’istante della nascita del piccolo Akira, Luca Motolese lascia lavoro di Art Director e Regista, e vaga per il mondo alla ricerca dell’essere profetico visto in sogno. Akira Zakamoto e Luca Motolese scom-paiono contemporaneamente il 10 Agosto 2003 e vengono ritrovati a Torino solo due anni più tardi.

In questo lasso di tempo i due mettono insie-me i loro talenti e iniziano a dipingere i sog-getti profetici caratteristici della loro poetica.

Dal 2006 con una serie di progetti ed espo-sizioni i due portano nel mondo il messaggio

profetico affidato al piccolo Zakamoto e tra-dotto in immagini da Motolese.

Assieme a Ciro Palumbo fondano “Bottega Indaco” atelier di pittura e spazio di incontro e contaminazione tra pittura, teatro, poesia, cinema e comunicazione a Torino.

AKIRAZAKAMOTO

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Non esiste chi p

Impulso creativo, necessità, sperimentazione: l’arte di Luisella Bardella, nata a Rivoli (To) nel 1971, mostra queste componenti distintive, che caratterizzano una poetica introspettiva espressa tramite linguaggi non convenzionali.La forza creativa conduce l’artista a dipinge-re, scolpire, decorare, insegnare, sperimen-tando e cimentandosi in diverse tecniche edespressioni artistiche.

L’attività di Luisella Bardella, rivolta su più fronti, tocca negli anni gli ambiti della sceno-grafia, del restauro, del trompe l’oeil e della decorazione di interni, fino ad approdare alla collaborazione come pittrice e scultrice con l’atelier “Bottega Indaco”.Nelle sue opere la pittura incontra il tema oni-rico come se si trattasse di una sceneggiatura teatrale tutta da scrivere e recitare: tratta da una quotidianità da cui l’artista estrae la vo-lontà di perseguire i propri sogni, essa narra la possibilità di scegliere e rivendicare con forza le proprie aspirazioni, attraverso la conoscenza di se stessi e dei propri desideri.Al di là del reale l’artista offre allo spettatore la possibilità di intravedere, dietro il sipario delle convenzioni e delle vicende ordinarie, uno spazio alternativo, orizzonte a cui tendere in un anelito costante, che ci ricorda che esi-ste altro oltre la realtà in cui siamo immersi.

LUISELLABARDELLA

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icchia per amore

Nel 1982, grazie all’agenzia fotografica e di casting “Chiarenza” di Torino, mi si presentò l’opportunità di diventare un reporter di agen-zia. Mi affascinò l’idea di poter vivere la fo-tografia in modo dinamico, come un bandolo che si snoda e si dipana nel tempo e nello spa-zio; poiché al reporter viene chiesto proprio questo: andare nei luoghi, addentrarsi nelle situazioni, e raccontare - attraverso le infinite sfaccettature della luce, che si traducono in mosaici di immagini - ciò che si incontra, ciò che incuriosisce, stupisce ed emoziona.L’aspetto del racconto per immagini ha in-fluenzato sotto molti aspetti la mia fotografia professionale. Conseguentemente si è svi-luppato il desiderio di “inserire il movimento” nell’immagine, e, quindi, di rompere la statici-tà, di scoprire che cosa c’è oltre la nitidezza e le sfocature “calcolate” dei piani, per giun-gere a possedere un linguaggio perfetto ed

esteticamente piacevole, che rispondesse alle esigenze dell’immaginario collettivo.Cerco di creare immagini dove si manifesti una realtà diversa da quella che solitamente vediamo. Nelle mie opere i volti sfumano, plasmandone altri simili, ma caratterizzati da differenti stati d’animo. “I volti dell’Anima” è il titolo della mia ricerca, perseguita, appunto, disegnando la luce (dal greco: photo-grafia = disegno della luce).

VALTERFIORIO

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Col silenzio e l’indifferenParticelle in movimento in uno spazio infini-tamente piccolo e inesauribilmente espanso vagano per luoghi sconosciuti, dove l’impulso a dare origine è totale.Le creazioni-visioni sono i sigilli dello spi-rito, i punti terminali, o, più esattamente, le tappe di un’infinita serie di esperienze giunte al presente da un passato inimmagi-nabilmente lontano, e volte ad un futuro al-trettanto inimmaginabilmente lontano. Sono l’udibile che aderisce all’inudibile. L’essenza della creazione non si esaurisce in un signi-ficato contingente, né è limitata all’utilità di trasmettere pensieri e idee. Il teatro esprime anche qualità non traducibili in concetti, pro-prio come una melodia, che, sebbene possa essere legata ad un significato concettua-le, non può essere descritta con parole né

con qualsiasi altro mezzo d’espress ione. Marzia Scarteddu nasce come attrice nel 1993 nella compagnia teatrale Marcido Mar-cidorjs. In seguito fonda la “Bottega dell’at-tore in viola” e intraprende collaborazioni registiche con vari artisti torinesi. Da dieci anni contribuisce allo sviluppo di progetti sul recupero delle abilità e della comunicazione, insieme ad altri esperti del settore. E’ l’ideatrice e la regista dello spettacolo te-atrale che verrà presentato il 12 marzo 2010 in occasione dell’evento “De-finire! la violen-za”, realizzato con il Telefono Rosa di Torino e l’atelier d’arte Bottega Indaco.In questo spettacolo le azioni sceniche ruo-tano intorno al concetto di violenza intesa non come un’entità astratta e rarefatta, rele-gata dentro clichè stereotipati e consueti; la

MARZIASCARTEDDU

violenza, qui, diviene incarnazione tangibile, impetuosa e tumultuosa, che prende forma quasi per “motu proprio” dalle viscere degli attori, vibrando ed espandendosi attraverso il corpo per scaturire in atti che trascendono il controllo razionale. L’emozione viene innanzi-tutto sentita a livello epidermico, e poi agita, spesso in netta antitesi con altri tipi di canali comunicativi, lasciando lo spettatore spaesa-to e attonito. L’azione attorale, dunque, plasma uno stridore, una spaccatura, una dissonanza visiva, percettiva e uditiva, scompagina la col-tre dell’apparenza per far emergere ciò che ri-bolle, come magma incandescente, nei nostri recessi più nascosti, e restituisce alla violenza il suo senso accorato, intenso e spaventoso, sepolto nella memoria ancestrale delle nostre cellule, della nostra carne, del nostro corpo, e che spesso si vuole placare, stemperare, ammansire o soffocare, per vergogna e per paura, nel tentativo di rendere la violenza “so-cialmente accettabile ed esprimibile”.Qui no: qui la violenza è rappresentata per ciò che è davvero, nella sua cruda, terribile e sconvolgente nudità, al fine di denunciare la sua drammatica atrocità, che logora ed este-nua sia la vittima, sia il suo carnefice, sia chi vi assiste incredulo e impotente.

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za si nasconde la violenza

ANTONELLO ALOISEDIEGO MANCA MURA LINDA MURGIA

Lo spettacolo “Solchi. Tracce di sofferenza, origine di speranza” è stato ideato, scritto e curato musicalmente da Antonello Aloise, compositore e pianista, e Diego Manca Mura, anch’egli compositore alla costante ricerca dei possibili punti di incontro tra sonorità acustiche ed elettroniche.Insieme i due artisti hanno dato vita a quel-la che loro stessi definiscono “musica per immagini”: paesaggi sonori evocati, creati e sviluppati attraverso sampling e sound design.Vantano collaborazioni in ambito multimediale e discografico (Infinito Records-Italia, Gamda Media-Francia, Red Igloo Music-Sud Africa, Raven Woods Music-UK, Somatone-Canada), e spesso si avvalgono della collaborazione di altri artisti e musicisti, come nel caso dello spettacolo “Solchi”, al quale parteciperà a che la violoncellista Linda Murgia.I tre artisti, in occasione della serata del 12 marzo 2010 “De-finire! la violenza”, realizzata in collaborazione con il Telefono Rosa di Torino e l’atelier d’arte Bottega Indaco, si esibiranno in una suggestiva performance musicale per pianoforte, violoncello e live electronics.Aloise e Manca Mura hanno realizzato inoltre la colonna sonora dello spettacolo

teatrale che verrà presentato durante la se-rata, tessendo insieme frammenti musicali appositamente ricercati, studiati e composti per l’evento, ispirati allo scabroso e delicato tema della violenza sulle donne.Antonello Aloise e Linda Murgia hanno suonato anche per la precedente edizione dell’evento, nello spettacolo “Meno-Male”, nel marzo 2009 al Teatro Vittoria di Torino, sempre in collaborazione con l’atelier Bot-tega Indaco e Il Telefono Rosa di Torino, esi-bendosi in un breve ma intenso concerto per pianoforte e violoncello.

Linda Murgia Antonello Aloise Diego Manca Mura

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