Sofà #12

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Sofà 12 Sofà TRIMESTRALE DEI SENSI NELL’ARTE Anno IV Numero 12 2010 1 5 0 LIBRI D’ARTE, MONETE E MEDAGLIE per raccontare la nostra storia di unità anni Eventi/1 Sisi e Amato: 1861, i pittori del Risorgimento Le interviste possibili Garibaldi un eroe inutile? Un caffè con Bonito Oliva: un’enciclopedia per il contemporaneo Eventi/2 Vittorini racconta Guttuso nel centenario della nascita

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Il trimestrale dei sensi dell'arte

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Cellariusatlas coelestis

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RD 167 - Biblioteca Nazionale CentraleVittorio Emanuele II, Roma

Dodici, sontuose tavole che illustrano le costellazioni e i sistemi planetari:un viaggio fantastico attraverso i cieli, fra gli astri, i pianeti, le costellazioni e le figure mitologiche che le identificano. Immagini di grande interesse storico e scientifico, capaci di affascinare con la potenza della loro suggestione.

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Tre Cartelle, ciascuna delle quali contiene quattro tavole montate su tela (formato 133x111 cm).Le tavole (ciascuna del formato di ca. 59x48 cm), sono riprodotte in facsimile su carta speciale per stampe d’arte con nove colori e ritocchi di oro a caldo. Sono realizzate dall’Officina Carte Valori dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato.

Tiratura limitata a 999 esemplari numerati e certificati dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato

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Sofà

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SofàTRIMESTRALE DEI SENSI NELL’ARTE

Anno IVNumero 12

2010

150LIBRI D’ARTE, MONETE E MEDAGLIEper raccontare la nostra storia

di unitàanni

Eventi/1Sisi e Amato:1861, i pittori

del Risorgimento

Le intervistepossibiliGaribaldi

un eroe inutile?

Un caffè conBonito Oliva:

un’enciclopediaper il contemporaneo

Eventi/2Vittorini racconta

Guttuso nel centenariodella nascita

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SCULTURE IN MOVIMENTO: ENZO FERRARIIl tributo al fondatore del Cavallino Rampante

FERRARI ARTISTIC LIMITED EDITIONS L’ARTE SI ACCENDE DI ROSSO

Sintesi di arte e tecnologia, questo è sinonimo di Ferrari. Ma anche passione, amore per la sfida, impegno per raggiungereil risultato e superare ogni traguardo, capacità di guardare sempre avanti. E di questo si parla quando il protagonista èl’uomo che ha creato una leggenda: Enzo Ferrari. Solo un’auto estrema come questa poteva portarne degnamente ilnome. E solo con un’opera d’arte come questa potevamo farne risplendere ogni dettaglio, nella sua aggressiva perfezione.

La scultura è realizzata con la tecnica della microfusione a cera persa, in bronzo laminato in palladio. I cristalli sono realizzati con la tecnica dello smalto a caldo.Un prezioso smalto “cattedrale” trasparente permette la visione dei particolari del motore.

Scala: 1/18 Dimensioni: 10,5 x 25 x 5,4 cm ca.

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Il fascino assoluto del mito

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Andreas Cellarius. Atlas Coelestis seu Harmonia MacrocosmicaRD 167 - Biblioteca Nazionale Centrale Vittorio Emanuele II, Roma NOVITÀ

Giacomo Maggiolo. Carta nautica del bacino del Mediterraneo Cart. naut. 2. Bibl. Nazionale Centrale Vittorio Emanuele II, Roma

La Bibbia di San PaoloBiblia Sacra. Codex membranaceus saeculi IXAbbazia di San Paolo fuori le Mura, Roma

Exultet di Salerno Museo Diocesano, Salerno

De balneis Puteolanis Ms.1474 - Biblioteca Angelica, Roma

Codice Oliveriano I Ms. I - Biblioteca Oliveriana, Pesaro

Marco Polo. Le Livre des MerveillesMs. fr. 2810 - Bibliothèque nationale de France, Paris

L’AcerbaMs Pluteo 40.52 - Biblioteca Mediceo Laurenziana, Firenze

Trattato di Aritmetica di Lorenzo il MagnificoMs. Ricc. 2669 - Biblioteca Riccardiana, Firenze

De Re Rustica Codice E 39 - Biblioteca Vallicelliana, Roma

Le miniature della Bibbia di OxfordMs W. 106 - The Walters Art Museum, Baltimora / Musée Marmottan, Paris

Codice di Medicina e Farmacia di Federico IIMs Pluteo 73.16 - Biblioteca Mediceo Laurenziana, Firenze

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Il bello della cultura.

Tesori inestimabili, oggi accessibili a tutti.Una collezione di codici miniati e documenti cartografici antichi splendidamente restituiti in facsimile, nella magia dei colori, delle doraturee delle legature realizzate a mano,in tiratura limitata e numerata.

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Nuovi splendori dal passato.

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SIAMO

NOILIRA

UN’OPERA D’ARTEIN FORMA DI LIBRO

Viale Gottardo 14600141 Roma

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Un prezioso album dei ricordi con una coper-tina scultorea interamente realizzata a mano:un bassorilievo in argento che raffigura il dioVulcano al lavoro sul verso delle 50 lire del 1954.All’interno, fotografie che raccontano la grandestoria e le storie di tutti i giorni. E insiemeimmagini insolitamente ravvicinate di monetee banconote della Lira, per una spettacolare einconsueta galleria d’arte.

Il bassorilievo è realizzato in argento patinato a mano.Il volume di grande formato (29 x 39 cm)è composto da 324 pagine stampate su carta pregiata, con oltre 400 fotografie in bianco e nero e a colori.Rilegatura in pelle serigrafata,con impressioni in argento sul dorso.Un cofanetto in plexiglass permette di custodire ed esporre,come su un moderno leggio,il prezioso volume.

Tiratura limitata: 4999 esemplari

Con il patrocinio di:Presidenzadel Consiglio dei Ministri

Comitato per le Celebrazionidel 150° Anniversariodell’Unità d’Italia

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editoriale

VALORIZZARE

EEditalia è da quasi sessant’anni testimone e protagonista delle vicende culturali e artistichedel nostro Paese. La storia delle nostre produzioni si intreccia naturalmente con la storia delPaese, dando vita a un catalogo dove trovano posto collane di volumi di pregio, graficad’arte, multipli di sculture, arazzi e coniazioni di monete e medaglie. Opere tutte ricondu-cibili al tema dell’italianità, tanto nei contenuti che per la sensibilità che rivelano verso lacultura del territorio, la valorizzazione del genio di alcuni fra gli artisti più rappresentativi delnostro tempo e delle capacità artigianali, tecniche e artistiche di piccole realtà locali e gran-di istituzioni quali la scuola dell’Arte della medaglia e la Zecca dello Stato.

È quindi naturale che le celebrazioni del 150esimo anniversario dell’unità d’Italia sianoper Editalia e il Gruppo poligrafico un’occasione di rilettura delle proprie produzionicome testimonianza della storia d’Italia e dei suoi tesori artistici e culturali. E dunque, conquesto numero, inauguriamo una serie di edizioni speciali che attraverseranno tutto il2011 proponendo un percorso storico lungo i centocinquanta anni con articoli di appro-fondimento, mostre, interviste e una nuova rubrica, Speciale 150, che completa questoracconto conducendoci fra le opere del nostro catalogo dedicate alla cultura unitaria. Inquesto primo numero presentiamo, anticipando le celebrazioni, Le lire dell’unità d’Italia,che nella riconiazione di tre monete storiche riassume il valore ideale, culturale ed eco-nomico che l’unificazione monetaria nel segno della lira ha avuto per l’Italia.

Celebrare la nostra storia, valorizzare la tradizione e la memoria. Ma anche proiettarsi nelpresente e nel futuro. Ed ecco allora Editalia e il gruppo Ipzs coinvolti nel dibattito sul con-tributo che l’arte può dare alle organizzazioni aziendali e allo sviluppo economico soste-nibile, partecipando da protagonisti alla terza edizione di Art for business. Nella stessalogica, pensiamo al sostegno del Gruppo poligrafico al Festival del cinema di Roma e alruolo di Editalia nell’ambizioso progetto dei libri d’artista Campari realizzato da giovaniartisti mediterranei, che sarà presentato a ottobre all’ambasciata italiana a Beirut.

Eccellenza del made in Italy, innovazione e tradizione possono dunque non essere unoslogan, ma la reale cifra culturale di un importante gruppo industriale.

Marco De GuzzisAmministratore delegato Editalia

la nostra storia

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NOTIZIE

PRIMO PIANO

Cronache d’arte 8Lo strano caso dell’Expo meneghino

Fotografia 10Gianni Giansanti, osservatorio sul mondo

Esposizioni in Italia e all’estero 12Rauschenberg a Varese, Monet a Parigi

Eventi/1 16Unità d’Italia, la dipintura dell’indipendenzaIl prologo della solidarietà nazionaleLe interviste possibili: Garibaldi, un eroe inutile?

Eventi/2 25Mika Ninagawa, tsunami cromaticoFestival del film di Roma, risate dall’Aldilà

Eventi/3 30Biennale architettura, schizzi dal domani

Grandi mostre/1 34Renato Guttuso, il pittore che rinnovò l’arte moderna

Grandi mostre/2 38Roberto Stelluti, grafica esistenzialista

Conversando sul sofà 42Michela Murgia, amore e dolce morte

Un caffè con 48Achille Bonito Oliva, il comico contemporaneo

Il corpo dell’arte 52Meloniski da Villacidro, dalla pietra alla fiaba

L’arte prende corpo 58Octavia Monaco, disegnare è l’unica certezza34

sommario

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PERSONAGGI

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BELPAESE

EDITORIA & ARTE

ARTE & IMPRESA

IN CHIUSA

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I luoghi del bello 61Castello di Ama, incontri nel Chianti

L’arte del libro/3 66Flaminio Gualdoni: la carta in Europa

Speciale 150 68Un omaggio alla nostra storia, viaggio nel catalogo Editalia

Freschi di conio 72Tre monete per l’unità, i valori della nazione

Comunicare ad arte/1 76Istituto nazionale tributaristi, la cultura dei conti

Comunicare ad arte/2 78Art for businness forum, se i manager scoprono le arti

A regola d’arte 81Art passion, un Mediterraneo di fermenti

I mestieri dell’arte 84Laboratorio Lignarius, i segreti delle mani

Il motore dell’arte 87Eni, energie per il futuro

In cassaforte 90L’angolo del collezionista: giuste rarità

Cose dell’altro mondo 92Jovana Stokic, suggestioni dalla ex Jugoslavia

Il cammeo di Adiem 96Emilio Greco, immagini d’amore

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cronache d’arte

uanta fatica. L’Expo mila-nese del 2015 sta seria-

mente rischiando, proprio inquesti giorni autunnali, di salta-re. Il nodo da sciogliere, lo stes-so da mesi, è quello dei terreni alconfine fra Rho e Milano di pro-prietà della fondazione Fiera edel gruppo Cabassi. È lì chedevono partire i cantieri, già inforte ritardo. Alla fine, probabil-mente, gli amministratori localise la caveranno con un espro-prio, visto che le trattative perl’acquisto o l’intesa con i pro-prietari delle aree in questionesembrano ogni volta sfociare in

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Martedì in arte

Si chiama Martedì inarte ed è una delleultime iniziative delMibac. Riguarda tutti imusei statali italiani con più di 50mila visitatori l’anno,che ogni ultimo martedì del mese fino a dicembreaprono gratuitamente le porte al pubblico dalle 19 alle23. Col preciso scopo di avvicinare un’utenza piùampia alla fruizione dei beni artistici del paese, il mini-stero dichiara inoltre di aver pensato ai giovani e ainuclei famigliari in difficoltà economiche. (S. C.)

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British museum, donazioni miracolose

Negli ultimi decenni (quasi) nessun privato aveva sborsato tanto.E senza chiedere nulla in cambio. In tempi di magra, poi, è unavera e inaspettata benedizione. John Sainsbury, ex presidentedella nota catena inglese di supermercati, ha infatti versato nellecasse del British museum qualcosa come 25 milioni di sterline.Una bomba. La donazione finanzierà i nuovi spazi del museoprogettati da sir Richard Rogers e dedicati alle esposizioni tem-poranee oltre a diverse campagne di restauro. La famigliaSainsbury non è nuova a queste succose elargizioni artistiche:l’anno scorso a Londra è spuntato, nel quartiere vittoriano diSpitalfields, Raven row, un centro per l’arte contemporanea fon-dato e diretto dal collezionista Alex Sainsbury.

un nulla di fatto. Nel frattempo,l’architetto Stefano Boeri – can-didato alle primare del Pd per ilcomune – ha estratto il suo coni-glio dal cilindro: spostare l’Exponell’area pubblica dell’ortomer-cato, periferia sud est del capo-luogo lombardo. «Non se neparla», hanno risposto all’uniso-no il sindaco Letizia Moratti, ilpresidente della regioneRoberto Formigoni (nella fotoLapresse mentre festeggiano lanomina) e quello della provin-cia Guido Podestà. Smirne, lacandidata sconfitta, se la ridesotto i baffi. (Simone Cosimi)

Fai, una chiacchierata con l’opera

Un ciclo di incontri nati con l’obiettivo di focalizzare l’attenzione su un’opera d’arte spe-cifica; un nuovo modo, dialogico e reciproco, per fruire della bellezza di dieci capolavo-ri. Partire dal dettaglio per arrivare al contesto generale. L’iniziativa Visti da vicino, con-versazioni con le opere d’arte, promossa dal Fai (il benemerito Fondo ambiente italiano)propone al pubblico un nuovo tipo di esperienza museale: non più una visita frettolosa dinumerose opere, dunque, ma la possibilità di entrare in stretto contatto con un singololavoro, innescando una fruttuosa conversazione con l’opera che a sua volta potrà ricam-biare lo sguardo dei visitatori. Sono stati individuati dieci capolavori della collezione deimusei Capitolini, sede degli incontri. Si parte con il cavallo di bronzo di Trastevere el’ingresso è gratuito. Fino al 30 novembre. Musei Capitolini, piazza del Campidoglio,Roma. Info: 066879376; www.museicapitolini.org. (G. B.)

Lo strano casodell’Expomeneghino

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Osservatoriosul MONDO

colpo d’occhioGIANNI GIANSANTI

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orno a inquadrare Moro. Riavvolgo il rullo. Quindi inb/n riprendo l’arrivo dell’ambulanza e il corpo cheviene portato via. Ultime immagini e corsa folle allaboratorio. Non perdo di vista un solo attimo le pel-

licole. Adesso le ho in mano, le immagini. Sono già all’Associated pressper il bianco e nero. Poi vado a Time con le foto a colori e ho la coperti-na. Alla sera tardi, a casa, mi chiama Gamma, allora l’agenzia dei mieisogni. Mi propongono un contratto. In piena notte arriva un aereo priva-to e la mattina alle sette i negativi sono a Parigi. E in quel volo inizia la miaseconda vita». È raccolto in questa appassionata testimonianza l’amore diGianni Giansanti per la sua professione e per la capacità intrinseca di sapercogliere l’atmosfera e la peculiarità di unmomento. Divenuto celebre pocopiù che ventenne per lo scatto al cadavere di Aldo Moro nel ’78, Giansantiha collezionato nella sua lunga carriera una serie di istantanee eterogeneee differenti che, messe insieme come in un collage ideale, ritraggono lemolteplici facce dell’umanità. E Umanità è proprio il titolo della mostra edel primo catalogo interamente a lui dedicati, una raccolta di novanta scat-ti del fotografo romano, venuto a mancare prematuramente nel 2009 a soli52 anni, che condensano trent’anni di storia. La sua grande capacità, al con-tempo la sua firma stilistica: ibridare fotografia di reportage a cronaca socia-le, senzamai tralasciare l’uomo comeoggetto della ricerca. Esemplare il suolavoro su papa Giovanni Paolo II che gli fece vincere il primo premio alWorld press photo nel 1988. Un uomo, un fotografo, un giornalista spintodall’indomita esigenza di raccontare e dall’abilità di carpire i momenti epi-fanici delle esistenze. �

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Nella prima monografica a Milanogli scatti del fotografo romano

documentano trent’anni di storiadi Giorgia Bernoni

La mostraUmanità

Umanità è la primamostra dedicata aGianni Giansanti, cura-ta da Chiara Mariani eAda Masella. Il volume,edito da Contrasto, è laprima opera completasul lavoro del fotogior-nalista e contiene testidi Carlo Verdelli, ChiaraMariani, AntonioD’Orrico, Jeff Israely,Toni Capuozzo. Fino al14 novembre. Museonazionale della Scienzae della tecnologia, viaSan Vittore 21, Milano.Info: 02485551; www.museoscienza.org.

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Gianni Giansantipapa Giovanni Paolo II, 1986

A sinistra: il ritrovamentodi Aldo Moro, 9 maggio 1978

Sotto: villaggio KombaEtiopia, 2004

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MILANOLE VISIONI DI DALÌIl genio di Salvador Dalì è prota-gonista della stagione espositivadi palazzo Reale. La mostra Ilsogno si avvicina, fino al 30 gen-naio, indaga il rapporto dell’arti-sta spagnolo con il paesaggio, ilsogno e il desiderio. La mostra,curata da Vincenzo Trione, pro-pone il cortometraggio Destinodi Dalì e Walt Disney, maiproiettato in Italia; esposti anchealcuni dei disegni originali creatiper il corto. Info: www.comu-ne.milano.it/palazzoreale.

VENEZIATONY CRAGGUn progetto concepito per gli spazi diCa’ Pesaro da uno dei protagonistidella scultura britannica (e non solo)dei nostri anni, Tony Cragg (Liverpool,1949). In un percorso che si snodalungo i tre piani della sede la mostrapresenta una quarantina di opere invetro, bronzo, acciaio, plastica, legno,pietra, ma anche venti tra disegni, boz-zetti preparatori e acquerelli. Fino al 9gennaio 2011, Ca’ Pesaro, Santa Croce2076, Venezia. Info: 848082000;www.museiciviciveneziani.it.

expo in Italia

ROMAVINCENT VAN GOGHAL VITTORIANOLa mostra Vincent van Gogh,campagna senza tempo ecittà moderna, curata daCornelia Homburg, riporta aRoma dopo ventidue anni ilgenio del pittore olandese. Ilpercorso analizza le due inclinazioni contraddittorie chespesso guidarono l’artista nella scelta dei soggetti: l’amoreper la campagna e il legame con la città. Fino al 6 febbraio2011, complesso del Vittoriano, via di San Pietro inCarcere, Roma. Info: 066780363.

PISAI MITI DI MIRÓJoan Miró, i miti delMediterraneo pre-senta 110 opere, tradipinti, sculture,litografie, disegni eillustrazioni, nellequali, attraverso ilpotere trasformatoredella poesia e delmito, l’artista cata-lano esprime lacomplessità delreale. Per Miró ilmito è una forma diracconto che aiutala comprensionedella realtà. Dal 9ottobre al 23 gen-naio 2011, palazzoBlu, via PietroToselli 29, Pisa.Info: 050500197.

TORINOLICINI, ROSLER,AVONDO E RIELLOAntologica di Osvaldo Licini,maestro del Novecento, maanche la prima mostra in unmuseo italiano dedicata aMartha Rosler, i disegni diVittorio Avondo e il progettodi Antonio Riello. Dal 24ottobre al 31 gennaio 2011,Gam, via Magenta 31,Torino. Info: 0114429523;www.gamtorino.it.

pagine a cura di Camilla Mozzetti

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FIRENZEI RITRATTI DEL POTEREI ritratti del potere, volti e meccanismi dell’autori-tà sviluppa un’analisi sulla rappresentazionemediatica della leadership contemporanea, attra-verso le opere di artisti quali Francesco Jodice,Annie Leibovitz, Helmut Newton, Martin Parr.Fino al 23 gennaio 2011, Centro di cultura con-temporanea Strozzina, piazza Strozzi 1, Firenze.Info: 0552645155; www.strozzina.org.

VARESEROBERT RAUSCHENBERGRobert Rauschenberg è sempre riuscito ascoprire nuovi modi di impiegare gli scartidonando loro una seconda vita. I “Gluts”sono assemblaggi di oggetti di recupero, lamaggior parte in metallo, che rappresenta-no la sua ultima serie di sculture. Dal 14ottobre al 27 febbraio 2011, Fai, villa ecollezione Panza, piazza Litta 1, Varese.Info: 0332283960;www.fondoambiente.it.

UDINEA VILLA MANIN MUNCH E PAPETTIVilla Manin, fino al 6 marzo 2011, celebra lapittura scandinava con la mostra Munch e lospirito del Nord. L’esposizione è dedicata alpaesaggio, ma si compone anche attorno altema del ritratto, attraverso i principali rappre-sentanti della pittura scandinava. Di EdvardMunch sono esposte 35 opere. Lo spazio friula-no inaugura anche la mostra di AlessandroPapetti, Occhi e lune, fino al primo novembre.Info: 0432821211; www.villamanin-eventi.it.

MILANOLA SCULTURA ITALIANA ALLA POMODOROCurata da Marco Meneguzzo, La scultura italiana del XXI secolo presenta leopere di 80 artisti, nati nella seconda metà del secolo scorso, dagli storiciz-zati Nunzio e Dessì, agli esponenti delle generazioni più recenti qualiCattelan, Bartolini, Dynys, Arienti, Beecroft, a quelle ancora più giovani conCecchini, Sissi, Demetz, Cuoghi, Simeti, Bertozzi & Casoni. Dal 19 ottobreal 20 febbraio 2011, fondazione Arnaldo Pomodoro, via Solari 35, Milano.Info: 0289075394.

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expo nel mondo

VIENNAIL GIRO DEL MONDO DI RENÉ BURRIPittura, cinema. E poi fotografia. René Burri, oltreche monumento del reportage, è un artista cheha trovato nella macchina fotografica il suomezzo più felice. Una retrospettiva di livello.Fino al 20 febbraio 2011. Vienna, Kunsthaus. Info:www.kunsthauswien.com.

pagine a cura di Simone Cosimi

BERNAPECCATI CAPITALIIl concetto di pec-cato capitaleanima una prurigi-nosa collettivasvizzera, stavoltanella capitale dellaconfederazione. Sitratta di sette atti-tudini dell’animointorno alle qualil’arte s’interroga dasecoli. Da Dürer aNauman un vizio-so viaggio alla sco-perta dell’accidia,della superbia edelle loro arcignesorelle. Fino al 20febbraio 2011.Berna,Kunstmuseum.Info: www.kunst-museumbern.ch.

LUGANOLE VITE DI ARAKIUna delle poche retro-spettive complete edesaustive su NobuyoshiAraki organizzate da unmuseo europeo. Lamostra svizzera ne riper-corre l’intera carrieradocumentando i temiricorrenti del suo reper-torio: oltre alle serieautobiografiche sonoesposte le foto di pae-saggi, i cieli, le immaginifloreali, quelle relative alcibo e naturalmente icelebri nudi femminili,alcuni dei quali sul bon-dage estremo. Fino al 20febbraio 2011. Lugano,Museo d’arte villaMalpensata. Info:www.mdam.ch.

BRUXELLESFUMETTI D’EUROPAUna selezione fra i migliori illustratori d’Europa celebra ilsemestre di presidenza belga dell’Unione europea. Il museodel fumetto di Bruxelles, luogo magico per gli appassionatidelle tavole illustrate, raccoglie nomicome Vittorio Giardino, Hans Kresse,Uderzo e molti altri. Fino al 27 febbraio2011. Bruxelles, Belgian comic stripcenter. Info: www.comicscenter.net.

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PARIGIUNA STAGIONE PER MONETIl Grand palais si dedica alle opere più puredell’impressionismo e ai capolavori diClaude Monet, cui la capitale francese tribu-ta una stagione d’eventi. Si tratta dell’esposi-zione più importante consacrata al genioparigino: oltre 200 opere, dagli esordi allamorte. Fino al 24 gennaio 2011. Parigi, Grandpalais. Info: www.grandpalais.fr.

OTTAWALA POTENZA DI BEAMCarl Beam (scomparso nel2005) è conosciuto per le suepotenti combinazioni iconicheattinte dalla sua esteticaAnishinaabe, tipica delle popo-lazioni dell’America del nord.Cinquanta pezzi ripercorronooltre trent’anni di lavoro. Finoal 16 gennaio 2011. Ottawa,National gallery of Canada.Info: www.gallery.ca.

NEW YORKSCATTI DA RIPENSAREDal cinema alla pubblicità.Nulla è vero, però, nel sensoche gli scatti sono frutto diun processo creativo. Gliartisti di New photographysono infatti uniti dall’appro-priazione di fotografie scat-tate da altri. Stavolta, però,Roe Ethridge, Elad Lassry,Alex Prager e Amanda Ross-Ho lavorano su loro immagi-ni passate, tutte da ripensa-re. Fino al 10 gennaio 2011.New York, Moma. Info:www.moma.org.

LONDRALE FINALI DEL TURNERDue pittori, una “sound artist” e ungruppo multidisciplinare. Queste lequattro aree creative che animano lamostra legata al prestigioso Turnerprize, il riconoscimento britannicoper l’arte contemporanea. DexterDalwood, Angela De La Cruz, SusanPhilipsz e The Otolith group sono alround finale. Nel pieno dell’esposizio-ne, il 6 dicembre, sarà decretato il vin-citore. Fino al 3 gennaio 2011. Londra,Tate Britain. Info: www.tate.org.uk.

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ll’Esposizione nazionaleItaliana inaugurata a Firenzenel 1861, il pubblico chenumeroso si aggirava neglispazi della stazione Leopoldaebbe modo di constatare i pro-gressi fatti dall’industria, dall’a-gricoltura, dalla scienzanell’Italia da poco unificata,

anche se il poco tempo a disposizione per organizzarel’evento e l’esiguità dei fondi stanziati non favorironocerto la buona riuscita della mostra, determinando quel-le anomalie più volte riscontrate dai recensori dell’even-to già all’indomani della sua inaugurazione. Al momen-

Ato della distribuzione dei premi lo stesso Cosimo Ridolfi,presidente dell’Esposizione, ammise con qualche imba-razzo i limiti di un’impresa che tuttavia si era assunta ilcompito di rivelare l’Italia a se stessa mostrandola nellagamma delle sue originarie forze creative, in seno allequali era stata decretata la presenza anche delle bellearti che, negli anni risorgimentali, si erano dimostrategaranti di una mai spenta dignità nazionale e anzis’erano vivacemente proposte quale suggestivo veicoloper gli ideali di riscatto patriottico. In una delle circolariinviate ai governatori locali si avanzava infatti l’auspicioche l’occasione espositiva potesse favorire la promozio-ne pubblica degli artisti, “ai quali ogni bene procuratoloro è debole riconoscenza nazionale, ove si rifletta che

di Carlo Sisi*

L’epopea risorgimentalevista dai maestri del pennello:dall’epica al verismo socialeRoma apre le celebrazionialle Scuderie del Quirinale

LA DIPINTURA DELL’

eventi1861-2011, 150 ANNI DI UNITÀ

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’ INDIPENDENZA

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nei giorni del dolore seppero con le tele e gli scalpellimantenere vivo e ammirato il nome italiano e che imonumenti e le opere delle quali hanno arricchito lecittà sono valse, quasi storia parlante della grandezzanostra passata, a tener vivo in noi quel sacro affetto dipatria che ci ha condotti ad operare per la redenzioned’Italia”. I quadri e le sculture esposti parlavano infattiagli spiriti più generosi manifestando le peculiarità stili-stiche e poetiche maturate in seno alle “cento città”d’Italia, e ciascuno dei visitatori vi poté leggere nomicelebrati e ammirare nelle sale le opere di concittadini ed’amici che illustravano, a detta di Tullio Dandolo, “lesembianze de’ nostri grandi uomini, le gesta de’ nostrieroi, le allegrezze, i dolori del nostro paese” equamen-

te divisi fra immagini di belliche imprese e gli episodiintimi che, della storia ufficiale, avevano costituito ilsommesso, affettuoso tessuto connettivo. Scorrendo ilcatalogo dell’Esposizione si riesce d’altra parte a deli-neare il panorama dell’arte contemporanea in Italia sullosfondo degli eventi che stavano determinando un cam-biamento radicale negli assetti politico-culturali dellaistituenda nazione la quale, a fronte della crisi dell’ideo-logismo profetico di Giuseppe Mazzini e del programmaneoguelfo di Vincenzo Gioberti, assisteva proprio alloraal consolidarsi di un nuovo quadro delle tendenze intel-lettuali dal quale non si può prescindere per valutare apieno i diversi aspetti del dibattito artistico contempora-neo e la diversa maniera adottata dagli artisti nel trattare

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i fatti del loro tempo. I fermenti che accompagnaronoquesti anni di mutazione politica e culturale dettero forterisalto al “fatto” e al “vero”, al “popolo”, alla filosofiadella storia, vale a dire a quelle componenti che conver-geranno nello storicismo come impostazione di pensie-ro e nel realismo come metodo politico e, di riflesso,come filtro interpretativo dell’umana esperienza; mentrele correnti afferenti al partito moderato si sarebberomeglio riconosciute nel crogiuolo ancora vitale delRomanticismo, da cui avrebbero tratto alimento sial’indirizzo patetico e sentimentale della poesia diGiovanni Prati e di Aleardo Aleardi; sia quello sociale,più direttamente connesso con le condizioni reali dellavita italiana di quegli anni, e riconoscibile nelle opere diFrancesco Dall’Ongaro, Caterina Percoto, IppolitoNievo. In questi ultimi, l’affettuosa attenzione rivolta allecondizioni di vita delle plebi contadine, rappresentatespesso nella loro miseria e abbandono, rivelava la diffu-sa coscienza d’un problema che il processo di unitànazionale non era riuscito ancora a risolvere, e che spe-cialmente Ippolito Nievo porterà alla ribalta affermandoche la rivoluzione italiana non si sarebbe potuta definirenazionale se le classi dirigenti non fossero riuscite adagganciare al loro programma il consenso e la parteci-pazione attiva dei ceti subalterni, in particolare dellemasse contadine. Si intende che tali prese di posizione –riscontrabili anche nel procedere delle arti figurativedalle poetiche del romanticismo storico a quelle del rea-lismo – dipendevano ancora dalle istanze umanitarie efilantropiche coltivate dalla società della Restaurazione,quando la politica dei moderati era riuscita a integrareanche le più forti spinte di rivalsa sociale entro un “pre-scritto circolo” di soccorsi ideologici e assistenziali cheattenuarono scontri e contraccolpi, rivalutando comun-que il dato, le manifestazioni del reale, le componentimolteplici della vita quotidiana, che gli autori appenaricordati avrebbero travasato nella verità ben temperatadel racconto rusticale. “Abbiamo a dipingere gli affettiumani, per quelli che gli vanno dimenticando – scrivevaa proposito Francesco Dall’Ongaro – abbiamo a dipin-gere la vita intima, la vita domestica perché questa sola

non cesse a quelle maniere convenzionali che hanno giàtolto ogni fisionomia all’uomo dinanzi agli altri uomini.Le arti devono una volta intendere la loro missione,devono ammaestrare, non essere paghe del solo diletto”.(...) Da questi stessi presupposti e con una decisa pro-pensione verso gli ideali patriottici e l’educazione delpopolo operarono gli artisti, chiamati a testimoniare icaratteri dell’identità italiana in occasioni, come quellafiorentina del 1861, dove le “arti sorelle” furono convo-cate a svolgere all’unisono la funzione emancipatriceche veniva da più parti auspicata: “Questo tempo felicedi libertà e di vita – scriveva un recensore sul Giornaledell’esposizione – non è più tempo sia per le arti che perle lettere da freddi affetti di convenienze, e da sonnac-chiosi piaceri da eruditi, e la letteratura e l’arte debbonoparlare al popolo ed educarlo muovendone la immagi-nazione ed il cuore”. Mai del resto, come negli anni cheprecedettero l’unità, arti figurative e letteratura, per nondire la musica, si alimentarono d’una stessa linfa poeticapalpitando a stretto contatto di fronte ai trionfi e allesventure, agli eroi e ai martiri, agli intimi affetti e alle pas-sioni di popolo, con esiti di grande coinvolgimento ali-mentati proprio dalla coralità del risultato, dall’evidenteconvergenza di ambiti poetici diversi ma concordi nelportare alla ribalta i temi del riscatto nazionale, comeavveniva nelle opere di Francesco Hayez e di GiuseppeVerdi, spesso frutto di nobili prelievi letterari; o nellaconsuetudine di attribuire a novelle e romanzi la qualifi-ca di “quadro” o di “scena popolare” per rimarcarnel’appartenenza a quella letteratura di popolo o “rustica-le” di recente riabilitata in vista della corale partecipa-zione al progetto risorgimentale. (...) Chi visitòl’esposizione del 1861, fornito ovviamente di un aggior-nato bagaglio critico, non poté non accorgersi che all’o-rigine di quel progetto celebrativo agivano più o menocoscientemente queste convergenze di pensieri e di que-stioni metodologiche; e inoltre poté valutare con agio laconsistente presenza del genere nei ranghi delle scuoleregionali – si pensi alla fortuna del paesaggio presso pie-montesi e genovesi, al vedutismo dei lombardi, ai natu-

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La mostra/1Volturno 1860 alla Reggia di Caserta

Fino al 15 novembre alla Reggia di Caserta è possibile visitare lamostra Volturno 1860, l’ultima battaglia dei Mille. Il percorsoespositivo ripercorre la battaglia del Volturno tra i garibaldiniguidati da Giuseppe Garibaldi e i borbonici di Francesco II.Reggia di Caserta, via Douhet 22, tel. 0823448084/277380.

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Francesco HayezLa Meditazione

(L’Italia nel 1848), 1850

A sinistra:Gerolamo Induno

La partenza dei coscrittinel 1866, 1878

Nelle pagine precedenti:Gerolamo IndunoL’imbarco a Quarto

del Generale GiuseppeGaribaldi, 1860

La mostra/2Il Risorgimentodei romani

Non solo i pittori del-l’unità: fino al 9 gen-naio 2011 è espostonella capitale IlRisorgimento deiromani, fotografie dal1848 al 1870.Attraverso un centinaiodi immagini, in granparte fotografie origi-nali, la mostra ripercor-re il periodo risorgi-mentale e in particola-re gli anni compresi frala Repubblica romanadel 1849 e la presa diporta Pia del 1870, unarco di tempo checoincise con l’affer-mazione della nuovatecnica fotografica.Immagini dei luoghisimbolo della città edel potere temporaledel papa rievocanocosì l’atmosfera in cuiRoma e i romani si tro-varono a vivere queltempo sospeso, comein un limbo, tra lanascita del regno italia-no e l’ingresso dei ber-saglieri di Lamarmoranella città eterna.L’esposizione, curatada Maria Elisa Tittoni,Anita Margiotta e FabioBetti, rientra nelle ini-ziative per Roma capi-tale d’Italia da 140anni. Museo di Romain Trastevere, PiazzaSant’Egidio 1/b.Info: 065816563;www.museodiromaintrastevere.it.

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Michele CammaranoLa carica dei bersaglieri a Porta Pia, 1871

ralismi accostanti delle altre scuole settentrionali, allasvolta realistica dei napoletani – mentre avrà avutomodo di considerare come la moderna pittura di sto-ria, rivolta a illustrare i fatti dell’età contemporanea,perseverasse nel travestimento storico di matriceromantica oltre che di accertata presa popolare, oppu-re desse spazio agli episodi delle guerre risorgimentaliora con l’enfasi necessaria a evocare l’epopea, ora conbrani toccanti di paesaggio e di vita quotidiana, spes-so studiati sul vero. (...) L’attenzione rivolta all’immagi-ne del popolo e, di conseguenza, ai temi umanitariche la cultura del Risorgimento aveva definitivamenteportato alla ribalta, si manifesterà dunque nella descri-zione poetica e figurativa di luoghi ove le idee e gliaffetti erano condivisi da uomini e donne cresciuti nelsentimento di pietà, nel fraterno e partecipe dolore,nella fiducia provvidenziale, nello slancio ideale chegli statuti della nuova borghesia avevano coltivato apresidio d’una civiltà che si voleva progressista ma pursempre ideologicamente moderata e paternalista,estranea quindi alle crude analisi che saranno propriedel verismo sociale. (...) Malinconia, disinganno, sen-timenti turbati non potevano non affiorare a seguitodelle alterne vicende politiche che ispireranno aDomenico Induno una spettacolare “dipintura” delpopolo, Il bullettino del giorno 14 luglio 1859 cheannunziava la pace di Villafranca, presentato a Breranel 1862 e la cui carica innovatrice fu subito indivi-duata da Rovani che scrisse a proposito: “Un tal lavo-ro è nell’arte figurativa quello che in letteratura è la

satira popolare e il romanzo contemporaneo”;un’affermazione che mirava a sottolineare la svolta“manzoniana” che, in area settentrionale e proprio tra-mite gli Induno, aveva compiuto la pittura di storiarivolta a celebrare gli importanti fatti dell’età contem-poranea, ma destinata soprattutto a rimarcare il suc-cesso indiscusso della pittura di genere implicata nellarappresentazione degli umili, con esiti di maggioreverità rispetto al reale ben temperato prevalente inve-ce in ambienti, come quello toscano, non ancora deltutto affrancati dalla cultura biedermeier. (...) Come èstato notato, l’idea di comunità nazionale viene affida-ta, soprattutto nei testi letterari, a traslati simbolici chemirano a presentarla “nelle vesti di una comunitàparentale allargata, insediata in un luogo fisico-geo-grafico che le appartiene”: la patria è, del resto, imma-ginata come una donna e una madre ora affranta e incatene, ora a seno scoperto per indicarla nutrice dellenuove generazioni e quindi origine di una ramificatarete parentale. (...) Alle allegorie ufficiali destinate allesedi del governo democratico, fanno così da intimocontraltare le numerose raffigurazioni di giovanidonne ritratte in atto pensoso o melanconico – primefra tutte, quelle avvenenti e misteriose di FrancescoHayez – però fiere di stringere al petto i simboli delmartirio e della riscossa con i quali additano alle gio-vani generazioni, figlie tutte “d’un solo riscatto”, idoveri e i sacrifici richiesti dall’amor di patria.

*Ottocentista, direttore della Galleria d’arte moderna di palazzo Pittie curatore dell’esposizione. Estratto dal catalogo, cortesia Skira

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C’è unamotivatasintonia frai sentimentinazionalidegli italianie questamostra

di Giuliano Amato*SSono grato alle Scuderie del Quirinale per questa mostra sui pittori del Risorgimento. Lamostra si apre mentre prendono avvio le celebrazioni del centocinquantesimo anniversa-rio dell’unità d’Italia e per molti dei suoi visitatori essa sarà il prologo di tali celebrazioni,quell’apertura di proscenio che predispone gli animi a quanto poi seguirà. Non potrebbeesserci un’apertura migliore a giudizio di chi, come me, si adopra affinché gli italiani pos-sano riconoscersi nell’Italia nascente e in coloro che la fecero nascere. Assai difficilmenteciò accadrebbe se li si attorniasse di monumenti, di scene celebrative di guerra, di richia-mi retorici a miti nazionalisti prima ancora che nazionali. C’è invece – e non può non esser-ci – una motivata sintonia fra i sentimenti nazionali degli italiani e il Risorgimento raffigu-rato in questa mostra. Essa parte da Gli abitanti di Parga che abbandonano la loro patria,quei greci di ogni ceto costretti ad abbandonare le loro case e la loro patria durante la lottadi liberazione dalla dominazione ottomana. Prosegue con Spartaco e Masaniello, due eroipopolari, eroi degli esclusi di secoli anteriori, non casualmente ripresi in opere di metàOttocento. Si sofferma poi su alcune delle tappe fondamentali dell’epopea militare delRisorgimento, ma sempre con dipinti in cui i feriti e i caduti, a volte sia dell’una che del-l’altra parte, sono al centro dell’attenzione. E accompagna i grandi quadri che raffiguranola guerra con opere più piccole, che raffigurano la vita trepida e dimessa di chi era a casa,ascoltando la notizia del giorno, leggendo la lettera dal campo, sentendo il racconto delferito. Ci sono i nostri pittori soldati, a partire da Gerolamo Induno e Michele Cammarano,c’è naturalmente Francesco Hayez, c’è Giovanni Fattori e tutti dipanano il filo rosso di unRisorgimento che fu certo dei grandi, ma fu anche dei tanti che non salirono mai alla ribal-ta della storia e furono tuttavia partecipi delle azioni, dei sacrifici e spesso degli eroismi chealla storia permisero di compiersi. Senza tracotanza, anzi con una muta sofferenza, che quiè stupendamente rappresentata dallo Staffato di Fattori e da quella Trasteverina uccisa dauna bomba di Gerolamo Induno, che non può non richiamare alla mente la fine di Romacittà aperta di Roberto Rossellini. Dolorosa ma fortissima testimonianza, questa affinità,della nostra continuità italiana e quindi dei sentimenti di solidarietà di cui è intrisa la nazio-ne che si è formata fra noi.

*Presidente del comitato nazionale dei garanti per le celebrazionidel 150° anniversario dell’unità d’Italia. Estratto dal catalogo, cortesia Skira

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La mostra/3I pittori del Risorgimento

È la prima delle mostre celebrative del centocinquantesimo dell’unità nazionale: 1861, I pittori delRisorgimento. A cura di Fernando Mazzocca, Carlo Sisi e Lucio Villari, l’esposizione aperta il 6 ottobre aRoma, alle Scuderie del Quirinale, chiuderà ai primi dell’anno che celebra l’unità d’Italia. L’evento ha cometema il confronto tra la pittura delle “cento città” e i fatti che in capo a pochi mesi, tra il 1859 e il 1861 (cioètra la Seconda guerra d’ indipendenza, la spedizione dei Mille e la proclamazione del regno d’Italia), porta-rono all’Italia unita. Accanto ai dipinti dei protagonisti del Risorgimento, da Gerolamo Induno a FrancescoHayez, da Michele Cammarano a Giovanni Fattori, tele monumentali che rappresentano l’epopea bellica,opere di dimensioni più contenute mostrano la partecipazione collettiva all’ ideale risorgimentale. Scuderiedel Quirinale, via XXIV Maggio, fino al 16 gennaio 2011. Info: 0639967500; www.scuderiequirinale.it.

IL PROLOGOdella solidarietà nazionale

AavvI pittoridel RisorgimentoSkira192 pagine, 39 euro

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UN EROE INUTILE?

le interviste possibiliGIUSEPPE GARIBALDI

Vita e pensieri del padre della patria, nell’anniversario dell’unità

l generale sfumacchia pallido e tranquillo,di spalle. Mantellina e papalina coloratespiccano sul granito della tomba. Un’unicascritta, sopra l’anello ferroso: Garibaldi.Mira la Maddalena innanzi, il profilo dellaCorsica a filo d’orizzonte. Ogni poco uncolpo di tosse stizzosa pare stoglierlo daipensieri. Scatarra, rimette in bocca il mez-zotoscano e continua a fissare il mare, pen-

soso. Generale, permette, quell’intervista… Neanche sivolta, cenna al viadotto della Moneta dabbasso, diserta-to dagli ultimi turisti. «Vedete? Fin qui son giunti i cemen-tificatori del bello, gli aguzzini del sacro suolo. El’autocarrozze, come le chiamate, a scarrettare tormed’umani su questo scoglio a me caro, oramai zeppo digenti da doversi stringere al passo…» Beh, generale, ven-gono a trovarla, eppoi sono appena centocinquanta gliabitanti di Caprera. «Troppi! Se ripenso a quando venniquassù la prima volta, nel ’56, con mio figlio Menottiappena sedicenne. Erimo noi due soli, ai primi tempi riat-tammo un capanno di caprai per passarvi le notti, men-tre lavoravamo alla nostra bella casetta. E ora guardate là,che imbalsamazione di vita, che viavai d’imbrancati.Passano e non vedono, sentono e non odono… Malasciam stare, di che volevate parlarmi?».Il centocinquantesimo dell’unità, poche domande…Garibaldi tossisce rochito dal catarro bronchiale, lo stes-so degli ultimi giorni del giugno 1882. Un colpo di ventoleva un lembo della mantella, smuove la zazzera bianca,la mano diafana arregge la berretta prima che s’involi.Però qua, con la sua tosse, se preferisce ci spostiamodentro. «Mannò, qui va benissimo. Almeno rimiro unpoco di quest’azzurro, sempre al chiuso, imbalsamatoqua sotto, neanche ai miei bronchi giova questo granbujo. E io che scongiurai nel mio testamento di cremar-mi e interrare le ceneri sotto quest’albera, piantata per lamia cara Clelia». Certo, non è stato bello non rispettareneanche le sue ultime volontà. «Se ripenso alle paterna-li fatte a Cecchina. Anche il Crispi, e gli altri, non si sonperitati d’interferire colle mie parole. E fortuna che non

mi si portò a Roma, a farmi seppellire nella peste pretina.Comunque, oramai, che più farci? Ma di cosa si dicea?».Dell’Italia, centocinquant’anni d’unità nazionale. Unbel traguardo, nonostante tutto. E in gran parte meritosuo. «Tutt’altra Italia io sognavo nella mia vita, non que-sta, miserabile all’interno e umiliata all’estero. Chi potrànegare essere questa Italia un pandemonio? Eppure! Ovesi trova un paese più favorito dalla natura, con un cielounico, un clima stupendo, produzioni variatissime edeccellenti, popolazioni vivaci e d’intelligenza non supe-rata da altri popoli, soldati che sarebbero senza dubbio iprimi del mondo… E tutti questi vantaggi, tutti questifavori della natura, sono annientati dalla connivenza, dalmutuo accordo de’ preti con un pessimo governo». Ecco,parliamone. «Acciocché? Pensavo d’aver veduto toccareil fondo d’ogni gesuitismo governativo col ministeriod’un vendipatria che non voglio neppur nominare, einvece! Da un lato congiurano i fautori della sciagura, isostenitori dell’ingiustizia, della menzogna e della corru-zione, mentre gli altri, più codardi e forse più perversi,gettano tra il popolo tradito paura, diffidenza e sconforto.È sempre la storia di Socrate, di Cristo e di Colombo! Ilmondo rimane preda delle miserabili nullità che lo sannoingannare. Ma libertà non fallisce ai volenti». Alla suamorte, un giornale clericale francese titolò: “Il celebrebandito ha finalmente reso l’anima al diavolo”. «Un bri-gante onesto è un mio ideale. Se sorgesse una società deldemonio, che combattesse despoti e preti, mi arruolereinelle sue file. I clericali sono sudditi e militi di una poten-za straniera che comanda e non si lascia discutere, semi-na discordie e corrompe. Proprio per questo non volliaccettare in nessun tempo il ministero odioso, disprezze-vole e scellerato d’un prete, che considero atroce nemi-co del genere umano e dell’Italia in particolare. I pretivanno messi alla vanga, come ho sempre detto». Sempremangiapreti arrabbiato, eh? Neanche dell’inferno haavuto paura. «Ma che inferno e inferno! Qua è l’infernodei vivi. E col papato, quel cancro del corpo italiano, nonc’è vita, non prosperità possibile. Ma è all’agonia». Giàin vita è giunto al mito senza passare per la memoria.

di Maurizio Zuccari

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Ma restano di lei giudizi severi, non manca chi la reputauno tutta azione e niente cervello: per Gramsci era untipo folclorico, Del Boca l’ha definita un onesto babbeo,Bossi, più semplicemente, un cretino. Un colpo di tosse,più acceso, infiamma le gote diafane, lo scatarro sfiora ipiedi del cronista. «Non credo debbasi provare alcunchéai boriosi nostri detrattori. Peraltro, alcuni da voi nomatison stati rudemente colpiti dalla vita, più che dalla storia.Meglio tacere…». Parliamo delle sue tante imprese, allo-ra. Quale resta la pagina più bella? «I Mille! Certo nonprovò tanta soddisfazione Colombo nella scopertadell’America, come ne provai io al trovare chis’occupasse della redenzione patria. In questi tempi divergognose miserie l’anima, stanca di contemplar ladri eputridume, si sente sollevata pensando alla gloriosaschiera, pensando che non tutti son traditori e codardi,non tutti spudorati sacerdoti del ventre in questa terradominatrice e serva!». Al Sud, però, il popolo s’aspettavaaltro da voi. «Gli oltraggi subiti dalle popolazioni meri-dionali sono incommensurabili. Sono convinto di nonaver fatto male, nonostante ciò non rifarei oggi la viadell’Italia meridionale, temendo di essere preso a sassate,essendosi colà cagionato solo squallore e suscitato soloodio». Forse si potrebbe ritentare dal Nord, oggi.«Pèrdas, adès l’è impusìbil. Scusate, m’è scappata in lin-gua. È che non ho mai avuta molta dimestichezza conl’italiano». Lasci stare. Quaranta battaglie, rare sconfitte,Mentana la più pesante. Bruciano ancora gli Chassepots?«Mentana fu il risultato di tante mene scellerate! Dopoavere gettato lo sconforto nelle schiere dei volontari,impedito che soccorsi loro giungessero, eccitato alla dis-erzione molte migliaia di loro, dopo tutto ciò, si prepara-va Mentana. Ho veduto i mercenari fuggire colle baio-nette dei nostri catenacci alle reni, davanti ai nostri gio-vani militi. A Mentana, per un’ora, i volontarihanno potuto passeggiare padroni del campodi battaglia sopra mucchi di cadaveri nemi-ci. Ma a Mentana, dopo l’eroismo di tantiprodi si udì risuonare in mezzo ad unafolla di traditori codardi la voce“duemila francesi hannoattaccato al retroguar-dia”, e quella vocedivenne persistente,ebbe colore di unfatto positivo, tal-ché a me stessofu assicurato dagente che veri-tiera mi sem-brava, col-l’aggiungervi:“Gli ho veduti!”

Maledizione! Fino a che punto può giungere la perversi-tà umana!». Una bella mora s’appressa al viottolo chemena alla pineta, l’occhio del generale seguel’ancheggiare languido, pare perdersi dietro chissà qualiricordi d’una vita da rubacuori. «Eppoi non fu quello ildolore più grande…». No? «No. Se proprio volete saper-lo, fu l’aver gettato ai piedi d’una creatura dal voltod’angelo, ma capricciosa e volubile, la mia esistenza disoldato». Parlate della marchesina Raimondi? Ma avevasedici anni, voi avevate superato i cinquanta… «Ohimé,la bella Giuseppina calpestò il mio cuore più d’ogni altra.Più d’Anita che pure amai, e con cui errai, grandemen-te...». Tira fuori un fazzolettone tutto toppe, si soffia rumo-rosamente il naso, lo ripone nel pantalone sdrucito.Generale, pure nell’Aldilà non se la passa troppo bene…«Non devo darvi alcuna spiegazione, eppoi giammai fuipovero, perché seppi sempre conformarmi alla mia con-dizione, dal tempo quando, servendo le repubblicheamericane, io possedevo una sola camicia di ricambiosotto la sella del mio cavallo, a quello in cui fui dittatoredelle Due Sicilie. Se alcuni membri della mia famiglianon avessero dimenticato tale massima, ed alcuni sedi-centi amici non avessero abusato della mia buona fede,la mia povertà non sarebbe decantata oggi ed io avrei vis-suto, come sempre, una vita mediocre e non povera».Eh, il tradimento degli amici… «Non esistono amici sin-ceri. Di sinceri ci sono solo i nemici, credete a me».A questo punto mi permetta: si sente ancora l’eroe deidue mondi o un eroe inutile? «Io feci sempre quanto miparve opportuno, e giusto, senz’altro tornaconto se nonl’amor di patria e dell’umanità. Ora, sarò accusato di pes-simismo, ma avendo creduto per la maggior parte dellamia vita ad un miglioramento umano, sono amareggiatonel veder tanti malanni e tanta corruzione in questo sedi-cente secolo civile. Che la società umana sia in uno statonormale, lo lascio giudicare agli uomini di senno. E nellostato attuale, lascio giudicare a voi se vi sia ancora biso-gno d’eroi. Me a parte, s’intenda». Generale,un’ultima cosa. «Dite». Farebbe una foto con me?«Sempre uguali, voi gazzettieri. Ma, d’altra parte, senon fosse stato per la fotografia e certa stampa, io

avrei menata vita forse mengrama ma certo stanziaria eordinaria. E questo proprio nonsarei stato capace di soppor-tarlo. Quindi, orsù, dovedebbo guardare?». �

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Giuseppe Garibaldicon l’autore

foto Manuela Giustoelaborazione grafica

Gaia Toscano

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eventiMIKA NINAGAWA

Il colore è protagonista nelle fotografie della giapponesein mostra a Roma in occasione del Festival del film

di Camilla Mozzetti

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l suo è un cromatismo esasperato.L’occhio dello spettatore viene invasodal colore a tal punto da non riuscire afissare e a mettere a fuoco il soggettodell’opera. La prima idea che balza allamente, nel vedere le fotografie di MikaNinagawa, è quella per la quale i suoilavori non possono non avere alle spal-le uno studio ben articolato. Sono opere

che suggeriscono l’uso delle più comuni tecnichecomputerizzate, come Photoshop, o le più modernemacchine digitali. Ma non è così, e in barba a unatecnica fotografica contemporanea che permette atutti di sentirsi un po’ dei piccoli geni dell’arte, ilavori di Mika Ninagawa sono il frutto di pochi scat-ti in analogico e di nessun intervento tecnico sulcolore. Il cavallo di battaglia di una donna che spa-zia dalla moda alla fotografia, al cinema con unanaturalezza disarmante.«Non costruisco le fotografie apposta per ottenere

un risultato specifico, dietro all’utilizzo dei colorinon c’è un concetto, è una cosa naturale», dicel’artista che insieme ad altri due colossi dell’artecontemporanea giapponese, Takashi Murakami eYoshitomo Nara, è promossa dalla Tomio Koyamagallery, una delle più prestigiose gallerie d’arte diTokyo. Le sue sono fotografie che giocano su dueaspetti principali ed esclusivi: la varietà cromatica ela banalità dei soggetti raffigurati. Quei colori sfavil-lanti, eccessivi, che sembrano rubati alle stoffe deimigliori kimono giapponesi e quei soggetti per natu-ra infinitesimali, piccoli e quotidianamente disponi-bili a tal punto da non rappresentare neanche unafonte d’ispirazione, esplodono in tutta la loro nor-malità, diventando delle piccole opere d’arte. Sonofiori, pesci, segni distintivi dell’arte nipponica, e trat-ti umani, ritratti di donne, particolari corredati da untripudio di colori che sembra strabordare da ognilavoro, come se la pellicola non fosse capace di con-tenere il tutto.

TSUNAMI CROMATICO

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Ogni scatto diventa la realizzazione di un universoaltro dove i pesci rossi sembrano assumere le sem-bianze delle creature umane e i fiori, seppur foto-grafati seguendo la tecnica dei migliori fotoreporterdel National Geographic, paiono aprire le porte aun mondo parallelo, dove il confine tra realtà esogno diventa quasi impercettibile. Basta scorgerequalche particolare della casa di Ninagawa percapire come questa simbiosi tra sogno e realtà siauna costante anche nella sua vita privata. La suacasa-studio vicino a Shinjuku, uno dei quartieri piùvivaci della capitale, sembra il paese dei balocchi,dove al posto dei giochi, irrompono le gigantografiedei suoi lavori a ricoprire ogni centimetro dellepareti.Non c’è finzione né manipolazione dietro le suefotografie, solo l’occhio umano di una donna cheviviseziona ogni particolare in uno studio maniaca-le del dettaglio. Ninagawa non cerca inquadratureuniche, non immortala aspetti sconosciuti. Il suoobiettivo è puntato sulla banalità del quotidiano. Ilrisultato è solo uno: quella normalità, che passadinnanzi ai nostri occhi con assoluto silenzio,diventa un contenitore assordante di suggestioni.Oggi le sue fotografie arrivano in Italia e vengonoospitate nella sezione Occhio sul mondo Focusdella quinta edizione del Festival internazionale delfilm di Roma. Per tutta la durata della kermessecinematografica, infatti, dal 27 ottobre al 5 novem-bre l’Auditorium parco della musica apre le sueporte a quella che molti ritengono l’artista contem-poranea più promettente del Giappone. Collocatanegli spazi dell’Auditorium Arte, l’esposizione rea-lizzata grazie alla collaborazione della Koyama gal-lery consta di 51 opere fotografiche, di varie dimen-sioni, disposte sulle pareti delle due sale secondoun preciso ordine tematico. Ma non c’è solo la foto-grafia nell’arte della Ninagawa, c’è molto altroancora.Nel 2007 ha presentato al 57esimo festival diBerlino il suo primo lavoro da regista, “Sakuran”tratto dall’omonimo manga di Moyoko Anno. Il filmracconta la storia di una giovane geisha, interpreta-ta da Tsuchiya Anna, nota attrice, modella e can-tante giapponese, che si ribella alle regole del quar-tiere dei piaceri di Yoshiwara. Niente di trascenden-tale in fatto di scelta tematica, eppure anche lì, neipanni di regista, la Ninagawa è riuscita a trasmette-re emozioni a suon di tonalità cromatiche. La criti-ca ha apprezzato del film l’attenzione scrupolosadella neo regista, non solo nel cercare di rendereinteressante una storia dalle tematiche comuni, ma

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anche nei particolari studiati con cura doviziosa. Ilfilm viene proposto al Festival internazionale delfilm di Roma in concomitanza con la mostra. «LaNinagawa è un’artista disarmante – dichiara GaiaMorrione curatrice della mostra – per la sua capacitàdi rendere unici tratti e soggetti che invadono il nostrovivere anche con discreta noia, e la scelta di ospitarlanella sezione Focus del festival di Roma deriva da duefattori. Il primo è ovviamente il cinema, il “fil rouge” di

ogni nostra iniziativa, e Ninagawa ha dimostrato diessere abile anche in questo. Il secondo è invecelegato al suo stile e alla sua arte che si sposa degna-mente con l’anima del festival: sofisticato e al con-tempo popolare». Il catalogo della mostra MikaNinagawa per il festival internazionale del film èedito da Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato ed èin vendita alla libreria dell’Auditorium, sede dellakermesse cinematografica. �

Anne, s. d.cortesia dell’artista

A pag. 26, dall’alto:“Liquid dreams”, 2003“Everlasting flowers”, 2005“Acid bloom”, 2003cortesia Tomio Koyamagallery

L’artistaDall’Orienteal festival di Roma

Mika Ninagawa nasce aTokyo il 18 ottobre 1972.Figlia d’arte, il padre è unregista di teatro e la madreè un’attrice, Mika si appas-siona di fotografia neglianni del liceo e inizia astudiarla come autodidat-ta. Nel 2001 si aggiudica ilprestigioso “Kimura iheiaward” insieme a HiromixeYurie Nagasaki. Da allorarealizza numerose perso-nali in Giappone arrivandoa Londra nel 2005, aBerlino e Parigi nel 2007.A Roma viene ospitata inoccasione della quintaedizione del Festival inter-nazionale del film di Romanella sezione Occhio sulmondo Focus. Info:www.ninamika.com.

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eventiFESTIVAL DEL CINEMA DI ROMA

na risata ci seppellirà? Èquesta la domanda con cuii cinefili dovrebbero fare iconti in attesa della nuovaedizione del festival inter-nazionale del film diRoma. La congiuntura diquesto 2010 sembra, infat-ti, curiosamente sbilancia-

ta tra due opposti apparentemente inconciliabili: lamorte e la risata. Ma andiamo con ordine: la manife-stazione promette la consueta parata glamour, que-st’anno affidata ad artiste come Keira Knightley(risposta romana alla Natalie Portman a Venezia con“Black swan”?) e Nicole Kidman. La prima interpreta

il film di apertura, “Last night”, esordio della registairaniana Massy Tadjedin incentrato sulla coppia e lafedeltà. La Kidman compare nell’inedita veste di pro-duttrice per “Rabbit hole” di John Cameron Mitchell,di cui è anche interprete insieme ad Aaron Eckhart.Anche qui, una coppia alla prova: non si tratta di tra-dimenti, ma della morte di un figlio. Già, la morte.Sembra aleggiare come una presenza sulle architettu-re di Renzo Piano, pronte ad ospitare la folla festiva-liera. Questa edizione raccoglie infatti un sinistronumero di omaggi funebri: a Suso Cecchi d’Amico vail Marc’Aurelio d’oro alla carriera, che sarà conse-gnato da Mario Monicelli ai figli della sceneggiatriceche ha firmato capolavori come Ladri di biciclette.Competizione e delitto sono al centro di “Crime

Tra fantasmi e ironia al via l’atteso festivalinternazionale del film di Roma

di Annarita Guidi

Risate dall’Aldilà

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U

Alcune locandine delle pellicolepresentate al festival

In alto: Keira KnightleyA destra: Alain Corneau

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d’amour”, l'ultimo film di Alain Corneau (Le deuxiè-me souffle), di cui il festival ha comunicatol’inserimento in selezione ufficiale subito dopo lascomparsa del regista. E ancora, la sezione Occhiosul mondo, Focus è dedicata all’estremo Oriente.Con un certo eloquente ritardo rispetto alle tendenzedella cinematografia mondiale (già riorientata a Sud,al mondo latino e latinoamericano, come emergeanche dall’ultimo festival di Venezia), spazio alloraall’immenso Akira Kurosawa e alla versione restaura-ta di “Rashomon”, proiettata per il centenario dellasua nascita. E un ulteriore omaggio: a Satoshi Kon,maestro dell’animazione giapponese, anche luirecentemente scomparso. Poi c’è Ugo Tognazzi. Un(altro) fantasma. La sua indimenticabile, contorta

comicità. L’artista sarà ricordato con il documentarioRitratto di mio padre (realizzato dalla figlia MariaSole), cui si affiancano delle pillole (sic) delle sueinterpretazioni, proiettate prima di ogni film. Morte erisata. Intanto, Venezia si è chiusa con le dichiarazio-ni di Marco Müller, che ha denunciato come e per-ché critici, media, produttori e distributori “di regi-me” cerchino di mantenere le loro posizioni control’onda anomala del web, dalle riviste alla condivisio-ne di contenuti. Che, secondo altra critica e altropubblico (forse non gli stessi del festival) e secondo lostesso Müller, sta per spazzare via, leggi censura per-mettendo e senza bisogno di battaglie, ogni traccia diAncien regime. Magari con una grassa risata, propriocome in un film di Tognazzi.

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La manifestazioneSergio Castellitto presidente della giuria nella quinta edizione

A presiedere la giuria del festival, dopo il no di Tornatore, è stato chiamato Sergio Castellitto, mentre gli altri giurati sono la giornalistaNatalia Aspesi, il regista Ulu Grosbard, lo scrittore Patrick Mc Grath, il regista Edgar Reitz e Olga Sviblova, direttrice del museo delle Artimultimediali di Mosca. Nella selezione ufficiale competono per il Marc’Aurelio d’oro (attribuito al miglior film e ai migliori interpretimaschile e femminile) 16 pellicole. Nessuna novità sostanziale nelle sezioni collaterali: L’altro cinema-extra raccoglie film indipendentie documentari, mentre Alice nelle città presenta 14 pellicole giudicate da una giuria di giovani. Occhio sul mondo Focus si concentra sulcinema e la cultura giapponese. Dal 28 ottobre al 5 novembre, Auditorium parco della musica, viale Pietro de Coubertin 30, Roma. Info:0640401900; www.romacinemafest.it.

Da sinistra: la sceneggiatriceSuso Cecchi d’Amico

gli attori Marcello Mastroiannie Nicole Kidman

il regista Akura Kurosawa

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Neventi

BIENNALE ARCHITETTURA

Negli ultimi anni l’Italia sta vivendo un’irritante paura difuturo che vede riflessi significativi nell’architettura,schizofrenicamente dibattuta tra la gestione ordinariadella realtà corrente e forme di neofuturismo estetizzan-te che non sanno interpretare i cambiamenti che stiamovivendo. La sezione Italia 2050 del padiglione Italia allaprossima Biennale è stata immaginata per interrogarsi sucosa voglia dire essere sperimentali oggi e che tipo difenomeni l’architettura dovrà affrontare nei prossimitempi. Per questo ho deciso di coinvolgere la rivistaWired per aiutarci a individuare i temi urgenti e i prota-gonisti dal mondo delle scienze sperimentali, dei “newmedia” e dell’arte che li potessero formulare. Intorno aquesti temi abbiamo invitato 14 progettisti italiani, daAtelier Forte a Ian+ passando per Metrogramma, ItaloRota, Alessandro Scandurra, Beniamino Servino e AttilioStocchi e molti altri, per produrre altrettante installazio-ni che coinvolgano il visitatore in una giornata tipo ita-liana nel 2050. L’obiettivo è quello di liberare energieinedite, trasversali e laiche intorno alle domande che iprossimi decenni ci porranno con sempre maggioreurgenza. Paradossalmente non è il risultato finale quel-lo che m’interessa, ma il processo che ogni autore saràin grado di sviluppare e, insieme, di condividere inmaniera inedita con i colleghi. E questa credo sia unadimensione della sperimentazione contemporanea che

da troppo tempo sfugge alla nostra architettura: non miriferisco solo alla capacità di lavorare in “team” che sista lentamente acquisendo anche in Italia, ma all’idea dicondividere contenuti, obiettivi culturali e politici chediventino innanzitutto un progetto più aperto, visiona-rio, generoso da lanciare al paese. Essere sperimentalioggi non credo significhi essere più tecnologici,sognare che l’uomo voli con la sua macchina nelcielo o disegnare architetture “belle e impossibili”.Non vuole neanche dire essere malinconicamentelegati alle utopie sfilacciate del Novecento brandendoancora la memoria illustre dei tanti Bucky Fuller,Radical Group, Tatlin e Soleri. Forse essere sperimen-tali oggi vuol dire tornare a guardare al progetto comeuna forma unitaria, inedita, “open source” in cui laproduzione di una visione diventi insieme produzio-ne di nuovi contenuti politici e sociali consapevoli einsieme che sia una forma problematica e imperfettadi dialogo con il mondo che sta radicalmente cam-biando. Se alcune di queste sperimentazioni saprannodiventare racconti esplosivi e propositivi per unmondo che chiama visioni generose, allora vorrà direche l’architettura è riuscita a tornare a parlare allagente e sopravviverà al rischio di una lenta estinzione.

*curatore Padiglione Italia

Il curatore del padiglione nazionale: «Immaginiamo l’Italia del 2050»di Luca Molinari*

Schizzi dal domani

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Fiona Tan, “Cloud island I (preview for Venice)”, 2010, cortesia dell’artista, Wako works of art, Tokyo and Frith Street gallery, London

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La neopresidente e la mostraQuando la gente incontra l’architettura. Sejima: «Siamo parte della rete»

Lei, il Leone d’oro a Venezia l’ha vinto nel 2004 per il suo “21st centurymuseum of contemporary art” a Kanazawa, Giappone. Chissà se avrebbe maipensato – soprattutto in una Biennale di architettura che esce dal predomi-nio maschile col terzetto Forster, Burdett, Betsky – di finire a dirigere la ras-segna internazionale che fa il punto sulla progettazione contemporanea mache, soprattutto, si lancia verso gli scenari del futuro: «La sensazione diffusaè quella di vivere in una società postideologica – dice Kazuyo Sejima (nellafoto), archistar giapponese classe ‘56, spiegando il senso delle sue scelte –siamo più che mai parte della rete. La comunicazione mediata condiziona lerelazioni interpersonali. La nostra cultura, così come la nostra economia, datempo sono diventate globali. Tutto ciò ha cambiato non solo le condizioni materiali del nostro presente, ma anche il modo in cuilo concepiamo. In questo contesto, siamo convinti che l’architettura abbia un ruolo importante: ha il potere di aprire nuovi oriz-zonti». Non è dunque un caso che il tema formulato per la dodicesima edizione, in questo crogiolo di legami reciproci, sia un emble-matico (e salvifico) “People meet in architecture”. L’obiettivo è infatti riscoprire il senso di un’architettura al servizio della socialità:meno mausolei, più comunicazione. Albania, Bahrain, Iran, Malesia, Marocco, Ruanda e Thailandia le nazioni che mettono per laprima volta il naso a Venezia, in un unico percorso espositivo che raccoglie quarantatré partecipanti tra studi, architetti, ingegneri eartisti da tutto il pianeta. La mostra principale negli storici padiglioni ai Giardini, all’Arsenale e nel centro storico della città laguna-re è affiancata da cinquantasei partecipazioni nazionali. “Ailati, riflessi dal futuro” è il tema del padiglione Italia curato da LucaMolinari. Tantissimi i nomi di spicco: da Olafur Eliasson allo studio Herzog & De Meuron passando per l’Oma di Rem Koolhaas,Tom Sachs e Jan De Vylder. ll Leone d'oro per la migliore partecipazione nazionale è andato al Bahrain, quello per il miglior pro-getto della mostra "People meet in architecture" a Junya Ishigami and associates (Giappone) e il Leone d’argento a Office KerstenGeers David Van Severen and Bas Princen (Belgio e Olanda). Fino al 21 novembre. Info: www.labiennale.org. (S. C.)

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SOSTE D’AUTOREOUDOLF, MENZIONE D’ONORESi chiama Giardino delle vergini, riallacciandosi a un libro di JeffreyEugenides. Collocato in fondo agli spazi dell’Arsenale, il lavoro di Piet Oudolfoffre uno scorcio sugli edifici dei cantieri navali e dei magazzini che fannocapolino dalla folta vegetazione. «Delicato e impressionistico nella sua accu-rata orchestrazione», secondo la giuria che gli ha conferito una menzioned’onore, il paesaggista olandese, fondatore del movimento “new perennial”,ha creato al centro della vegetazione un nuovo giardino, scegliendo piantedalla fioritura tarda. Un invito a riflettere. Info: www.oudolf.com.

TEATRI DI STRADACINEMA IN TENDAHa il provocatorio titolo di “Ça va (a prefa-bricated movie theatre)” il progetto delduo francese Berger & Berger.L’installazione gioca con gli effetti del dis-solvimento degli oggetti architettonici chepossa esplorare al tempo stesso i sistemi dirappresentazione tipici del cinema, del tea-tro auditorium e del museo galleria.Insomma: l’edificio si fa esso stesso fluiditàcinematografica. Pensato nel 2006, il pre-fabbricato (foto Guillaume Ziccarelli) di-sporrebbe in teoria di una serie di utilizzipiuttosto interessanti, dalle rassegne per-manenti all’uso nel corso del festival. Iltutto a basso impatto ambientale.Info: http://berger-berger.com.

di Simone Cosimi

LUSSI MONGOLIJAN DE VYLDERL’architetto belga JanDeVylder partecipaalla Biennale diVenezia con unadelle cento lussuoseville commissionateper la città di Ordos,in Mongolia, attraver-so l’ambizioso pro-getto Ordos 100.Altrettanti architettiemergenti chiamati adisegnare la loro resi-denza per mettere inpiedi un quartierenuovo di zecca nellaregione cinese. DeVylder ha partecipatoalla prima fase, con-clusa nel 2008, conuna proposta piutto-sto differente dallealtre.Info:www.jandevylder-architecten.com.

LA NATURA DEI LAVORIL’UFFICIO DI SELGASCANOChi non sognerebbe di lavorareletteralmente in mezzo alla natu-ra? L’ufficio fra gli alberi pensatodallo studio Selgascano – auto-nomo sotto ogni punto di vista –pare riproporre nelle sue realiz-zazioni la dimensione della pro-pria impresa: una piccola inizia-tiva messa in piedi a Madrid daLucía Cano e José Selgas,entrambi classe 1965. L’unicadomanda è: i mezzi pubblici ser-viranno l’ufficio? Info:www.selgascano.com.

SCATTI DALLA BIENNALEAlcuni progetti esposti dai vari padiglioni a Venezia:dall’ufficio madrileno fra gli alberi ai villini belgi in Mongolia

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LE FORME DI PIANOLE FOTO DEL CENTRO PAUL KLEEA Venezia spazio anche a una documentazione fotografica dei lavori effet-tuati per il centro Paul Klee di Berna, in Svizzera, inaugurato nel 2005. Lefoto di Michel Denancé raccontano le forme sinuose della struttura e la rea-lizzazione del progetto, che ricorda un’onda che emerge dalla vegetazione,scrigno di oltre 4.000 opere firmate dal pittore svizzero. Non un tradizionalemuseo sin dall’ideazione, ma un centro multimediale di riflessione sull’operadell’artista. Nel bene o nel male l’edificio è divenuto negli ultimi anni unastruttura di riferimento del settore. Info: http://rpbw.r.ui-pro.com.

DIALOGHI SPAZIALIL’ESSENZA DI KEREZL’architettura di Christian Kerez, vene-zuelano classe 1962, nonostante la suatendenza al ritorno all’essenziale, ècaratterizzata da una serie di complesserealizzazioni. Quella in mostra a Veneziariguarda la sede della Holcim foundationfor sustainable construction (foto WalterMair), con base in Svizzera. Forse pro-prio per questo suo approccio quasi filo-sofico l’architetto residente a Zurigo èstato scelto dalla curatrice Sejima perprogettare una serie di strutture aperteche dialogano con lo spazio circostantee invitano il pubblico alla scoperta. Info:www.kerez.ch.

RIFUGI SCOLPITIRADIC E CORREA PER IL CILELa Biennale di quest’anno s’è aperta a forme più legate all’arte contempora-nea che all’architettura, per quanto le due discipline tendano in molti casi asfiorarsi. È il caso di Smiljan Radic e Marcela Correa con la loro sculturaminimale. Un’ispirazione poetica che accoglie i visitatori all’ingressodell’Arsenale. Si tratta di un rifugio protetto fatto di un masso di granito sca-vato e ricoperto di legno di cedro che si lega al racconto dei fratelli GrimmLa lepre di mare. L’intento dei progettisti cileni è quello di regalare una spe-ranza ai tanti che l’hanno persa dopo il terremoto dello scorso febbraio.

FOTO D’INTERNIL’EQUILIBRIO DELLA LAMBRILuisa Lambri, classe 1969, espone rego-larmente dal 1995 nelle galleried’Europa, indagando i rapporti traarchitettura, fotografia ed emozioni. AVenezia porta la sua “Untitled (Menilhouse, #10)” realizzata nel 2002.Documentare gli spazi in bilico fra sog-gettività e oggettività. Questol’obiettivo dei suoi lavori. Schivandol’anonimato. Difficile ma affascinante.

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grandi mostreRREENNAATTOO GGUUTTTTUUSSOO

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a novità che si manifesta nel-l’opera di Guttuso tra il ’55 eoggi non è costante di tuttoquello ch’egli, dal ’55, ha pro-dotto e continua a produrre(...). A parte comunque taliindugi (...) il nuovo periodo haogni anno opere variamenteintense che presentano a un

tempo (quelle del ’56 non meno di quelle del ’60) lastessa pienezza di maturazione e la stessa, identica,possibilità di sviluppi ulteriori. La qualità nuova ècompleta, voglio dire, tanto nelle sue prime manife-stazioni che nelle più recenti, e tanto dov’è solo (peres. nella Spiaggia) di una parte di un quadro chedov’è di tutto il quadro (...). Gli elementi del quadro(o della parte di quadro interessata) sono tutti anco-ra d’ispirazione naturalistica, e compongono formeche risultano, ciascuna di per sé, tradizionali: foglie,frutti, tegole, tazze di pali del telegrafo, mani, orec-chie, nasi, piedi, pieghe di panneggiamento, volute difumo, barattoli, bottiglie ecc. ecc. tutti riconoscibilicome tali (per chiunque veda le cose con l’occhiodella tradizione) ben di più degli oggetti raffiguratinelle opere di prima del ’49 e non meno di quelli raf-figurati nelle opere del momento di Scilla o di Capri.Una foglia qui è naturalisticamente più foglia, mal-grado la forte astrazione del colore, che in qualun-que opera dei periodi precedenti (...). La liberazionedel complesso di colpa che Guttuso covava neiriguardi delle proprie doti tradizionali, liberazioneottenuta attraverso una piena adesione a tali doti, èstata così feconda da riaccendere in sede di sostan-

di Elio Vittorini*

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IL PITTORE CHE

RINNOVÒL’ARTE MODERNALa fondazione Magnani Roccaapre le mostre del centenarioUna rievocazione di Vittorinisulle storiche edizioni del Milione

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Sopra:Renato Guttuso,Fosse Ardeatine, 1950

A sinistra:Ritratto di signora con rose1945Autoritratto con maglione1960

A destra:La spiaggia, 1955-1956

La mostraGuttuso, passione e realtà

A pochi mesi dal centenario della nascita di Renato Guttuso(1911-1987) la fondazione Magnani Rocca apre il ciclo espositi-vo con una mostra che ripercorre i tratti salienti del suo percor-so artistico attraverso una sessantina di opere, tra cui celebriicone quali la monumentale Spiaggia e grandi tele come Il comi-zio, Fosse Ardeatine, Caffè Greco (prestato per l’occasione dalmuseo Thyssen-Bornemisza di Madrid). Esposto, per la primavolta, anche l’inedito Ritratto di signora con rose, di proprietàdella collezione Barilla, attribuito al pittore di Bagherìa.Guttuso, passione e realtà, fino all’8 dicembre, fondazioneMagnani Rocca, via Fondazione Magnani Rocca 4, Mamiano diTraversetolo, Parma. Mostra e catalogo (Edizioni GabrieleMazzotta) a cura di Stefano Roffi, con interventi dello stessoRoffi, di Enrico Crispolti e Alberto Mattia Martini. Info:0521848327/148; www.magnanirocca.it.

zialità globale le grandi possibilità di pittore modernoche Guttuso aveva sempre impegnato entro i limitidelle sostanzialità particolari. Egli ora può raccoglieredegli elementi tutti naturalistici, le foglie e le arance diun aranceto, o le gambe, lemani, gli occhi, i capelli, glisguardi e i gesti di una folla, per formare un insiemeche non è la descrizione di un aranceto, o d’una folla(...), ma una nuova prova di avvicinamento a quella raf-figurazione spaziale che l’arte contemporanea vacostruendo da parecchi decenni, in corrispondenzadei nuovi concetti e giudizi (si capisce anche psichici)sull’universo di cui la civiltà moderna ha avviato e nonancora concluso (perché continua a mutare di livellotecnico e sociale) l’elaborazione: una nuova provaindividuale, dico, di raffigurare plasticamente unmodo “comune” di sviluppo d’un pensiero, unanuova e felice prova fatta in un particolare dell’uni-verso stesso quale un aranceto o un movimento difolla che perciò non si fissa sul quadro come un luogoaneddotico o sentimentale e vi assume piuttosto la

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funzione di “luogo d’emergenza”, di luogo di trasfor-mazione, di luogo che basta ancora poco e acquista laprecisione e la forza significante di una “metafora”(...). Così Guttuso è rientrato, volendolo o no, e conun ruolo molto più vasto e positivo di quello coralech’ebbe fino al ’48, nel grande moto distruttore-edifi-catore, o insomma rinnovatore, dell’arte modernache magari non corrisponde a quanto i contrappostiuomini politici, con le loro ideologie ancora medieva-li o rinascimentali o romantiche, pensano che sia laciviltà moderna, ma che corrisponde a quanto di tec-nico, di intellettuale e di sociale continua ad essereelaborato nel seno della civiltà moderna stessa. Egli sene tirò fuori, nel ’48, per un cumulo di motivi tra cuinon fu forse il minore quello di accorgersi che rischia-va di restare per sempre (...) nelle zone ambivalentidella sua periferia; e lavorò, il ’49, il ‘50, il ‘51, il ’52, il’53, il ’54, in una direzione di controcorrente che i suoicritici ritenevano dovesse portarlo, e portare le arti ingenere, a far rifiorire i giardini della figuratività rina-

scimentale che tanto aveva fruttato ai pittori, gli scul-tori e gli architetti di cinque secoli, romantici eCourbet compresi. E la direzione presa era in effetti lagiusta per portarvelo. Era proprio la vecchia “India”della felicità pittorica tradizionale ch’egli raggiungeva:la pensata eterna, ed eternamente feconda, come senon fossero stati gli uomini mortali a crearla in undato momento di sviluppo della loro storia… E vis’inoltrava, vi s’inoltrava. Ma finiva per sbucare, attra-versatala tutta, sugli stessi spazi nuovi che ormai quasitutti cercano dalla parte opposta: tutti cercandoli, opresumendo di cercarli; ma ben pochi, una volta piùin là del picassismo, toccandoli, un De Staël megliod’un Pollock o d’unWols, e unDubuffet o unMorlottimeglio d’un Tobey, e gli altri, acquistandosi meriti diperseveranza, o addirittura perdendosi, per furorenon solo ideologico, in processi di esterificazionevani e sterili pur se decorativamente suggestivi (...).

*Estratto da Storia di RenatoGuttuso, Edizioni delMilione,Milano, 1960cortesia galleria Il milione

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grandi mostreROBERTO STELLUTI

on v’è dubbio che in Italia,in particolare nella secondametà del XX secolo, sia invario modo affiorata e si siapiuttosto capillarmente diffu-sa una vera e propria condi-zione di incultura rispettoall’ambito della grafica, inte-sa questa quale sfera espres-

sivo-immaginativa-comunicativa, fondata peraltro su unasua prestigiosa specifica tradizione moderna (di primaaffermazione rinascimentale). Malgrado infattiMantegna, Parmigianino, Grechetto, Tiepolo, Piranesi, sevolete Fattori, fino, nel nostro tempo, a Morandi,Bartolini, Guerreschi, De Vita, Strazza. Generalmenteestranea agli interessi di storici dell’arte, quasi sempre

incompresa nella specificità evolutiva dei propri mezzinell’esercizio di critici d’arte, infatti una cultura della gra-fica sopravvive ormai in Italia soltanto in eccellenze mar-ginali, in oasi di felice creatività. Che tuttavia, nella loroaurea clandestinità (quasi), non sembra riescano a farecontesto, riescano insomma a restituire – finora almeno –una da decenni dissolta consistenza di tessuto culturaledeterminato. Ignorata peraltro da tempo, la grafica, nelsuo specifico, nella progettualità stessa di grandi istitu-zioni, dalla Biennale veneziana alla Quadriennale roma-na. Eppure altrove non è tuttora così, anzi! Ricordol’impressione fortissima avuta, rispetto alla situazionenostrana, qualche decennio fa a Lubiana (cioè poco lon-tano da Trieste), quando mi capitò di essere, forse un paiodi volte (assieme fra l’altro all’amico, rimpianto, PierreRestany), nella giuria di quella Biennale internazionale

Nelle incisioni dell’artista marchigiano la natura si fa spazio interioredi Enrico Crispolti*

Grafica esistenzialista

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specificamente appunto della grafica. Ed eral’impressione veramente di essere come in un altromondo, che dunque si scopriva esistere ancora, un po’ovunque considerate le affluenze appunto internazionali,e proprio nei suoi specifici parametri di qualità mediale,di inventività, di sperimentazione (dove, fra l’altro, lalezione hayteriana era ormai da tempo innovativamentemetabolizzata).Che cosa intendere per quella che chiamo “cultura dellagrafica”? Esattamente la pratica creativa e il relativoapprezzamento critico, storico, formativo, collezionisti-co, museale, di un linguaggio specifico, che in quantotale non ha a che fare con il disegno, né ha a che farenaturalmente con la pittura, come neppure, potreiaggiungere, con la fotografia e soprattutto con la fotoinci-sione. Un “mezzo” figurale che, se lo si pratichi corretta-mente (vale a dire dunque nella sua specificità mediale),tuttavia chiede sia una motivazione specifica, espressivo-comunicativa, del ricorrervi, sia una cultura operativadelle possibilità insurrogabili del mezzo medesimo. Equindi sollecita, in chi lo pratichi, la libertà di reinventar-ne la consistenza linguistica secondo una declinazionepersonale irriducibile a qualsiasi deduzione disegnativa,pittorica o fotografica; pena altrimenti una tarpantesostanziale inconsistenza e dipendenza mediale espressi-vo-comunicativa del proprio operare. Ora non v’è dubbioche l’operare di Roberto Stelluti, che ammiro e seguo daalcuni anni, rientri totalmente e al maggior livello in que-sti parametri di eccellenza di specificità culturale espres-siva. E vi rientri anzi sviluppando nella sua silenziosatenacia più d’una sfida segreta, direi proprio attraverso imezzi e nei modi del proprio operare. Volendone subito,intanto, situare l’orientamento operativo, e dato che ècomunque un riferimento quasi patentemente all’originedel suo fare incisorio (penso al trattamento di certi suoiisolati soggetti di“nature morte”, difamiliarità di climaaffettivo, dell’iniziodegli anni Settanta),risulta evidente cheStelluti rovescia evo-cativamente e rapso-dicamente il rappor-to di scarto innovati-vo rispetto a unatradizione di rappre-sentatività narrativacome l’aveva bal-danzosamente ope-rato il suo conterra-neo Bartolini giova-

ne. Mentre a una certa aulicità – quantomeno appuntorappresentativa – della tradizione incisoria, Bartolini asuo tempo è infatti venuto contrapponendo una persona-lissima corsività affettivamente quotidiana, avventurando-si in una dimensione temporale di sotteso riscontro esi-stenziale, Stelluti invece recupera una propria possibilitàdi dialogo con la tradizione (e naturalmente la sua, diincisore) al di là del tempo. Esattamente infatti sottraen-dosi al divenire di questo, arrestandolo in una immobili-tà quasi magica, che è oltre una dimensione trascorrente.Che ne vanifica l’irreversibilità, al traguardo estremod’una inversione cristallizzante del fluire discorsivo deltempo vitale, instaurando dunque come iconicamenteassoluto, invece, il limite d’una intravista incipiente fati-scenza del tutto. Scartando dunque da ogni possibiledivenire evolutivo, cristallizza il tempo come in un suoultimo traguardo. Ne ammortizza infatti le ulteriori possi-bilità in una fissità atemporale, in certa misura emblema-ticamente eterna, che assume il senso di ultima catastro-fe, anziché di memoria di storia e dunque di vissuto pos-sibilisticamente reiterabile. Quasi insomma in una ripro-posizione iconicamente imprevista di “Vanitas”, inun’avvertenza d’un ritorno catastrofico e putrescente inuna natura terminalmente cristallizzata, fissamente finale.Il suo orizzonte appare come ormai fuori del commercioquotidiano mondano di uomini e di cose, lontano infattidagli uomini, immerso interamente, com’è, in un rappor-to tra sé e l’infinito della natura. Un rapporto a scala pani-ca, che si potrebbe quasi dire friedrichiana, non fosse tut-tavia che per il fatto che Stelluti non si perde in un infini-to cosmico, ma proprio al contrario nell’infinitezza pani-ca del finito più particolare di assemblati elementi e branidi natura e di cose, di un accumularsi prossimo di com-ponenti di natura vegetale o petrosa, o appunto di ogget-ti obsoleti. Le immagini che ci propone inducono infatti

come in unaimmersione dismemoramento, inuna situazione dicontatto ravvicina-to naturale totaliz-zante, evocato eindagato in unaperseverante cap-ziosità analitica,non tanto per resti-tuire l’oggetto cheattrae quanto latrama segnica chelo configura.Interessa infattiStelluti il segno

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capzioso, forte, figurante, e non la campitura. E il suosegno incisorio si fa così portante d’una intensità meta-morfica della natura invasivamente totatilizzante, chenon a caso sovrasta e ingloba svariate rovine e relittuali-tà. Un po’ come quella carcassa d’automobile, di cui laforesta equatoriale s’era rigogliosamente reimpossessata,che – nei secondi anni Quaranta – sorprendeva e affasci-nava l’immaginazione di André Breton.“Incontri ravvicinati”, in particolare in occasioni di natu-ra vegetale, sono quelli che Stelluti propone nelle sueincisioni strepitosamente avvincenti. È del resto quello iltitolo di una sua lastra a “maniera molle” e acquaforte,del 1986. E immaginativamente e otticamente (inducen-do il riguardante in una sorta di trappola visiva, sfidan-done la perspicuità ottico-immaginativa) si confronta conun microcosmo lenticolarmente evocato e patentificato,promuovendo una sorta di provocazione conoscitivaattraverso il fascino del vicino, di una full immersion, ico-nico-segnica, e insieme del caduco al suo estremo. Midice: “come se tutto stesse finendo”, e soprattutto ciòrisulta evidente nelle sue “nature morte”, vegetali essic-cate. A volte reitera i suoi “soggetti” preferiti, tuttavia allo-ra mutando le modulazioni chiaroscurali dell’insieme, edunque rinnovando le condizioni di quell’indotto corpoa corpo visivo. Anche se ha inciso alcuni paesaggi mar-chigiani, Stelluti preferisce una dimensione di spazialitàinterna, appunto estremamente “ravvicinata”. Riducequasi la stessa natura a una prossimità come da spaziointerno, da immediatezza di confronto oggettuale. Lavoralentamente, impiegando circa tre mesi su una lastra (ecomunque uno su un singolo disegno). E sul propriolavoro ha un controllo personale totale, giacché stampada sé, nel suo grande e misterioso studio di Fabriano,circa il 90% delle proprie incisioni, in tirature oscillantifra 70 e 120 esemplari. Ma naturalmente, in un procede-re così analitico e capzioso, e dilatato nel tempo, fre-quenti sono sia le presenze di “stati” diversi d’una mede-sima incisione, che processualmente portano all’immagi-ne finale di questa, altrettanto che frequenti sono le pos-sibili varianti sia di carta, sia di inchiostro, stampate suBibbia Oxford. E per Stelluti, prestigioso maestro in par-ticolare d’essenzialità segnica possibile e perentorietàprobabile proprie dell’acquaforte (prevalente nettamentenelle sue circa 160 lastre, alcune di grandi dimensioni,realizzate in una quarantina d’anni di lavoro), la tradizio-ne non è generica ma anzitutto specifica a questa praticaartistica: Altdorfer, Rembrandt, Seghers, Piranesi… Halavorato e lavora soprattutto appunto all’acquaforte, uti-lizzando marginalmente l’acquatinta, per fondi e campi-ture, fra anni Settanta e Ottanta, in particolare, ma anchela “maniera molle”. Il suo impegno da incisore è iniziatoalla fine degli anni Sessanta, quando a Roma guardava

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Roberto StellutiGirasole riflesso, 2009

in alto:Studio per autoritratto2006

a pagina 38:Italiani brava gente (b)1979

a pagina 39:La cometa, 1997

L’artistae la mostraNato per incidere:natura e industriaa Monforte d’Alba

Roberto Stelluti è nato il 13settembre 1951 a Fabriano,dove vive e lavora. Si è dedica-to all’incisione fin da ragazzo.Ha frequentato i corsi interna-zionali di tecniche dell’incisio-ne all’istituto di Belle arti diUrbino. Dal 1970 ha parteci-pato alle più importanti rasse-gne nazionali della grafica, tracui il Premio internazionaleBiella per l’incisione e laBiennale di Acqui Terme. Dal1978 numerose sono state lepersonali organizzate in ambi-to nazionale. Attualmente èprotagonista della mostraRoberto Stelluti, visioni dinatura e di città. PerL’occasione, l’artista ha sceltodi privilegiare uno dei filoniprincipi della sua produzionegrafica, quello della natura,mettendola vis a vis con imma-gini apparentemente contrap-poste di paesaggi urbani eambienti industriali. Ne risultauna straordinaria poesia unitaa una impeccabile capacitàtecnica. Catalogo Arti graficheGentile di Fabriano. Fino al 14novembre, fondazione BottariLattes, via Marconi 16,Monforte d’Alba (Cuneo).Info: 0173789282;www.fondazionebottarilattes.it.

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alla pittura e al disegno di Guttuso (ma anche alle sueprime forti incisioni, piuttosto sporadiche e che non sonoentrate poi nel suo destino espressivo, mentre avrebberopotuto gagliardamente certo avervi adeguato spazio,solo che Renato avesse avuto caratterialmente la pazien-za operativa che una medialità sostanzialmente indirettacome quella incisoria certamente richiede). E quando vifrequentava la Don Chisciotte di Giuliano de Marsanichcon le opere di J. P. Velly, La nuova pesa con Calabria eGuttuso, Il Gabbiano, dove convergevano Attardi,Guccione, ma anche Vespignani (più memorabile forse,alla distanza, come incisore che come pittore). E la suascelta per l’incisione, allora, non fu occasionale maassunta come destino. Ma Stelluti tuttavia ha praticato epratica anche il disegno e in un suo specifico medialecomunicativo. Disegni realizzati in punta d’argento, o amatita, molto dura. Disegni dal “vero”, ma anche da suevecchie incisioni, come a ribadire l’emblematicità priva-ta, atemporale, di un’immagine. Estremamente fragili,quasi evanescenti nei modi e le quantità della loro pro-posizione, risultano tematicamente, e proprio iconica-mente, molto spesso del tutto affini alle sue incisioni. Ilcui repertorio appare comunque miratamente piuttostocircoscritto: fiori, secchi, dunque già estremizzati, ravvi-cinati, racchiusi in spazi interni, oggetti pure ravvicinati,sistemati in armadi o affastellati su tavoli, oppureammucchiate relittuali da sfasciacarrozze, ma anchepaesaggi, più raramente d’ampio sguardo, e il più dellevolte appunto molto ravvicinati, in una sorta di prensilee aggressivo quasi parossistico “horror vacui” del sotto-bosco. E tuttavia anche, in qualche caso (come nel1980), invece paesaggi antropizzati, seppure ormaidesueti, relittuali, di architetture industriali come anti-chizzate, ruinanti, che Stelluti (muovendo da fotografi-che apprensioni d’immagine) meticolosamente rilegge, eimmobilizza fuori del tempo, nel loro scheletro struttu-rale definendoli comunque ambientalmente in omaggioa Piranesi. Ancora, questo, un suo modo di divergere daltempo in quanto misura di un proprio vissuto, verso unultratempo di tradizione di sublimità quasimetafisica.Sono le sue “rovine” contemporanee: non estraneo infat-ti a riconoscervi emblematicamente quel livello ultima-tivo di fatiscenza del tutto, oltre la dimensione della con-tingenza temporale, oltre la storia, oltre una quotidianitàdi sguardo e di vissuto, verso forse una visionarietà ana-litica, stupefacente, rivelatoriamente anagogica, nel pre-stigio della spettacolarità di trame di puro segno espres-sivo in quanto autenticamente incisorio ma capacid’assolutizzare visivamente evocative private presenzeiconiche.

*Curatore della mostra, testo in catalogocortesia Arti grafiche Gentile di Fabriano

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Hconversando sul sofà

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La scrittrice sarda trionfa all’ultima edizione del Campiello con Accabadora, un romanzo sulla maternità e l’eutanasia

di Maria Luisa Prete

MICHELA MURGIA

Amore e dolce morte

Ha trionfato all’ultima edizione del Campiello conAccabadora, avendo la meglio sul già titolatoAntonio Pennacchi e aggiudicandosi 119 voti dallagiuria dei lettori. Michela Murgia, scrittrice sarda,classe 1972, era raggiante alla Fenice di Veneziadurante la serata di premiazione organizzata dallaConfindustria del Veneto. Gioia scalfita, ma solo leg-germente, dalla gaffe del presentatore Bruno Vespasulla scollatura di Silvia Avallone, vincitrice dellasezione opera prima. La caduta di stile, o semplice-mente il tentativo di voler adeguare la seriosità del-l’evento ai canoni televisivi del nazional popolarepiù spicciolo, ha provocato malumori e polemiche,trascinate per settimane. Ma di quella serata del 4settembre 2010, il dato più rilevante resta la vittoriadella Murgia che, affermando le sue le priorità cul-

turali, ha dedicato la vittoria a Sakineh, la donna ira-niana accusata di omicidio e condannata a morte.Ancora una figura femminile e capace di lottare,come le protagoniste del romanzo. Il titolo del libro,Accabadora, significa “colei che finisce”.Ambientato nella Sardegna anni ‘50, nel paese diSoreni, racconta la storia di Maria, quarta figlia diuna madre vedova, adottata della vecchia sartaBonaria Urrai. Tra le due si instaura un legame fon-dato su un amore puro: madre e figlia a tutti gli effet-ti. Ma Maria fatica a comprendere alcuni comporta-menti della sarta. In realtà, Bonaria entra nelle caseper portar fine alle sofferenze con una morte dolce.Maternità elettiva e eutanasia: sono questi i temi dellibro, resi senza note retoriche, con autenticità ecoraggio. Il romanzo sarà presto un film, diretto dalla

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Immagine in copertinadell’edizione tedescadi AccabadoraIn alto a sinistra:Michela Murgia

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regista Emanuela Rizzotto. Per la Murgia non è laprima volta. Un altro suo lavoro, Il mondo devesapere (pubblicato da Isbn nel 2006) è stato portatoal cinema con il titolo Tutta la vita davanti da PaoloVirzì nel 2008. L’autrice adesso è concentrata sugliimpegni futuri e su Accabadora, primo nelle classi-fiche di vendita da settimane. Ne spiega lo spirito esi racconta.Di Accabadora, con cui si è aggiudicata l’ultimaedizione del Campiello, ha detto: «Esprime il miosguardo precario sul mondo, è un doppio sguardo,sulle cose serie e su quelle divertenti. Forse è segnodi schizofrenia o di eclettismo». Tra il serio e ilfaceto racconta la vita e la morte. Come riesce adosare i due punti di vista nell’affrontare argomen-ti tanto spinosi?«Non credo che la vita e la morte siano argomentispinosi, sono le trame più appassionanti che esista-no per un romanzo. La misura nel trattarli viene dal-l’autenticità con cui ti ci confronti. Il lettore non èsciocco, sa bene che senza l’autenticità la vita in unracconto diventa superficiale e la morte grottesca».I temi del libro sono essenzialmente due: la mater-nità elettiva e l’eutanasia. Il suo personaggio segue

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A sinistra:Michela Murgiada destraun momentodella seratadi premiazionealla Fenice di Venezia

Giuseppe TornatoreMichela MurgiaEmma Mercegagliae il presidentedi ConfindustriaVenetoAndrea Tomat

La scrittriceDall’Azione cattolica al Campiello

Michela Murgia è nata a Cabras (Oristano) il 3 giugno 1972. Nelsuo primo libro (Il mondo deve sapere), originariamente concepi-to come un blog, ha descritto ironicamente la realtà degli operato-ri di “call center” di una multinazionale, denunciando le condi-zioni di sfruttamento e manipolazione psicologica a cui sono sot-toposti i lavoratori precari in questo settore. Il libro, nato da unapersonale esperienza all’interno del telemarketing della Kirby, haispirato la sceneggiatura del filmTutta la vita davanti di PaoloVirzì.Di formazione cattolica, la Murgia ha seguito studi teologici ed èstata per anni insegnante di religione, educatrice e animatricenell’Azione cattolica. Fra le varie esperienze lavorative precedentil’attività di scrittrice, ha lavorato come venditrice di multiproprietà,operatore fiscale, dirigente amministrativo in una centrale termoe-lettrica e portiere di notte. Nel maggio 2008 ha pubblicato, per laEinaudi, Viaggio in Sardegna. Nel maggio 2009 il romanzoAccabadora, uscito in traduzione tedesca nel 2010 dalle edizioniWagenbach di Berlino. Nel settembre 2010, sempre conAccabadora, ha vinto il premio Campiello.Info: www.michelamurgia.com.

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un percorso senza sbavature. Tutto sembra accade-re con naturalezza e serenità. Ma fuori dal roman-zo, nella vita reale, la vita accompagnata alla morteappare aberrante, contro natura. Quanto è stato dif-ficile non cadere nella trappola della retorica?«Il romanzo è stato scritto mentre si svolgevano insequenza le vicende Welby ed Englaro. Ero talmentecircondata di retorica “fuori” che il terrore di trasfe-rirne anche solo una parte “dentro” mi ha tenuto lamano in ogni riga. Sull’aberrazione dell’accompa-gnare la vita alla morte discuterei. Non è il gesto insé che è aberrante, molto più spesso è il contesto arenderlo tale».La maternità elettiva rimane il tema centrale delromanzo. In un mondo circondato da donne chelottano e investono risorse e tempo per avere unfiglio a tutti i costi, cosa prova per un legame cheprescinde dal sangue e risulta comunque forte,saldo e naturale?«Per un legame simile, a cui peraltro corrispondel’unico spunto autobiografico di tutto il romanzo,provo orgoglio e stupore. L’affermazione della supre-mazia dell’amore e della volontà sul mero dato bio-logico è una delle cose più altamente umane che

possiamo vantarci di poter fare. Abbiamo dato persecoli un’importanza sproporzionata al potere fisicodi generare; sarei felice se venisse il tempo di ridi-mensionare questo aspetto e riscoprire che la gene-razione è prima di tutto un moto del cuore, non delventre».Da donna e scrittrice ha polemizzato per gliapprezzamenti fuori luogo di Vespa e dedicato lavittoria del Campiello a Sakineh. Facili le accuse difemminismo “politicamente corretto”, che argo-mentazioni mettere in campo per evitarle?«Non esiste un femminismo politicamente corretto,e lo dimostra il fatto che le reazioni scomposte deicommentatori di ogni altezza intellettuale sonodurate per settimane. Nell’Iran del 2010 il fatto diSakineh fa orrore, ma non stupisce. Stupisce inveceche nell’Italia del 2010 faccia ancora scandalo chi sipermette di ricordare l’elementare principio che ledonne sono persone e non strumenti funzionali».La storia è ambientata in Sardegna, un’isola dallaforte identità. Guarda al resto del paese, al continen-te in maniera distaccata e più obiettiva, spesso ironi-ca. Forse per questo, da scrittrice, riesce a cogliernevisioni inedite attraverso la parola e la storia?

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«La condizione di essere scrittrice e sarda è un datooggettivamente influente sulla mia prospettiva delmondo».Con il libro Viaggio in Sardegna, undici percorsi nel-l’isola che non si vede, ha reso omaggio alla suaregione. Che rapporti ha con la Sardegna?«Viscerali, con tutte le luci e le ombre che comportalo stare dentro le viscere di qualcosa. Me ne nutro, masento fortissimo anche il bisogno di restituire. Trovarela misura tra queste due tensioni è il principalemestiere della mia vita, e ci passa dentro anche lascrittura».Dal suo osservatorio privilegiato, qual è lo stato cul-turale in cui versa l’Italia? E se pessimo, esistonorimedi a breve e lungo termine? Quali sono i sugge-rimenti di una scrittrice?

«Siamo abituati a pensare che l’Italia sia un paese cul-turalmente allo sbando. Per certi versi è vero: c’èun’ampia fascia sociale televisivamente educata cheha con la cultura un rapporto che negli anni è passa-to gradualmente dalla reverenza all’indifferenza,quando non alla diffidenza. D’altro canto esiste unafascia meno numerosa ma comunque forte di personeche invece hanno con la cultura, con i libri, con lenotizie, con le arti e la storia un confronto critico quo-tidiano e profondo. La sfida culturale che sento viva inItalia per me non è far diventare la maggioranza incol-ta come la minoranza colta, ma trovare linguaggi tra-sversali che permettano di parlare a entrambe e difarle dialogare tra loro. Non esisterà mai un’Italia inte-ramente educata al senso di sé; ma è importante cheesistano voci in grado di trasportare senso in ogni

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direzione, anche se per farlo devono servirsi deimezzi che hanno dimostrato ampiamente la loro fun-zione omologante».Ne Il mondo deve sapere ha raccontato la tragicomi-ca esperienza, purtroppo nota a molti, del “call cen-ter”. Storia che ha ispirato Tutta la vita davanti diVirzì. Usciti da quel particolare mondo, è più facileparlarne con ironia. Oggi, alla giusta distanza, cosarimane di quell’esperienza?«In realtà io quel mondo l’ho raccontato con ironiagià mentre c’ero dentro, scegliendolo come unicoregistro critico possibile. L’ironia è un superpoteremistico, riporta le cose alla loro dimensione reale esoprattutto afferma la superiorità dell’uomo suglieventi che sembrano volerselo mangiare. Di quellaesperienza oggi resta l’amarezza di aver denunciato i

prodromi di quello che stava accadendo e non averli vistiprendere sul serio da chi doveva fare le scelte politicheper impedire che arrivassero alle loro conseguenze».Quali i progetti in cantiere? E tra questi, l’idea cheAccababora diventi un film la attrae?«Un saggio socio-teologico che analizza quanto contiancora l’immaginario culturale cattolico nel modo in cuile donne si percepiscono e vengono percepite. Un pani-no imbottito di pietre per chi pensa che mi occupi difemminismo perché sono politicamente corretta. Quantoalla traduzione cinematografica di Accabadora, il cine-ma che prende le mosse dalla letteratura mi ha semprespaventato, ma mi consola che i diritti di questo librosiano stati acquistati da una persona onesta e messi inmano a una regista intelligente e sensibile. Non può chevenire bene». �

L’immaginein copertinadi AccabadoraA sinistra:il momentodel taglio della tortadopo la premiazioneal Campielloda sinistraAndrea OsvartAlessandra PivatoAndrea TomatMichela MurgiaGiuseppe TornatoreBrunoVespaFelice Tonone Simone Cristicchi

IL VOLUME

AccabadoraEinaudi166 pagine18 euro

Maria e Bonaria, la figlia dell’anima e sua madre

Maria e Tzia Bonaria vivono come madre e figlia, ma la loro intesa ha il valore speciale delle cose chesi sono scelte. La vecchia sarta ha visto Maria rubare in un negozio, e siccome nessuno la guardava hapensato di prenderla con sé. E adesso avrà molto da insegnare a quella bambina cocciuta e sola: comecucire le asole, come armarsi per le guerre che l’aspettano, come imparare l’umiltà di accogliere la vitae la morte. La vecchia sarta del paese ha offerto a Maria una casa e un futuro. Eppure c’è qualcosa inquesta donna vestita di nero e nei suoi silenzi lunghi. Ci sono uscite notturne che Maria intercetta manon capisce. Quello che tutti sanno e che lei non immagina, è che Tzia Bonaria Urrai cuce gli abiti econforta gli animi, conosce i sortilegi e le fatture, ma quando è necessario è pronta a entrare nelle caseper portare una morte pietosa. Il suo è il gesto amorevole e finale dell’accabadora, l’ultima madre.

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Nasce la nuova enciclopedia delle artiideata dal critico e presentata da Electadi Achille Bonito Oliva*

IL COMICOcontemporaneo

un caffè conACHILLE BONITO OLIVA

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L’L’artista ha una mano sola, concentrata e fissata nella perizia, nell’uso folgorante e not-turno della mano mancina. È proverbialmente sinistra la mano d’artista, rafforzata dauna risata che isola e amplifica il gesto. Appagato dalla propria incompletezza, l’artistaperfeziona la propria mutilazione, tagliandosi, ove mai fosse cresciuta, la mano destradentro i battenti della porta. Insomma l’artista mette la mano destra dentro la porta,che poi significa fuori dal quadro. Disarmatosi da solo, egli impedisce che la manodestra sappia quello che fa la sinistra, perdendo così ogni riserbo e lasciando impudi-camente bene in vista opere fatte ad arte. La scena si ripete per tutti gli artisti del XXsecolo che operano con linguaggi diversi tra loro, tutti comunque segnati dall’irruzio-ne del Tempo nel processo creativo e nella fruizione dell’opera. Nelle diverse articola-zioni (inclinato, pieno, aperto, interiore) qui il tempo si fa comico e trova la sua veri-tà filosofica nell’opera di Nietzsche. Egli contrappone alla nostalgia impossibile del-l’assoluto la forza stoica del frammento, la necessità per l’uomo di procedere attraver-so illuminazioni ed epifanie, la creazione di uno spazio simbolico capace di conden-sare dentro di sé il conflitto tra espansione e contrazione, nostalgia della totalità e rico-noscimento di una ineluttabile frammentazione dell’immagine. Premonitrice è la lette-ratura con le sue teorie romantiche sull’ironia, quella bergsoniana sul riso fino al mottodi spirito di Freud e ai Giorni felici di Beckett, passando per Kafka e naturalmenteindietreggiando ai saggi sulla caricatura di Baudelaire. Il tempo comico è il tempo del-l’irrilevanza, della fine del valore e della cosa in sé, è il tempo della vita immediatainvece del tempo dello spirito assoluto (sulla linea di Nietzsche e della sua critica delvalore, della cosa in sé e della verità). Il tempo del comico è il rifiuto di prendere sulserio il mondo, la relativizzazione dell’essente. Il tempo del comico è perdita dell’as-solutezza e avvento del relativo, come distruzione della serietà e del tragico e affer-mazione dell’effimero, dell’illusorio, del divertente (de-verto). Le figure del tempocomico sono apparenze transeunti, vane apparenze, simulacri risibili e spesso impro-babili che si sostituiscono all’umano. È vero che a volte il comico è anche umano, mala sua condizione di oggettivazione è un meccanismo di apparenze e di illusioni cheva oltre l’umano, è una copia differenziale, è un simulacro.Per quanto riguarda l’arte, individuare l’azione del tempo comico nella vicenda dellearti visive del Novecento vuol dire ripercorrere le trasformazioni, i cambi di paradig-ma, i movimenti tellurici che hanno scosso l’intero campo dell’esperienza artistica nelcorso della modernità. La relazione con altri ambiti espressivi (fotografia, cinema, tea-tro, musica ecc.), la moltiplicazione e diversificazione del medium oltre i confini delletecniche artistiche tradizionali, l’investimento del corpo e del linguaggio verbale, lostraniamento, il riso folle, il grottesco, l’assurdo, sono tutti momenti di un percorso cheparte dalle prime decisive esperienze del dada zurighese, in cui appare per la prima

A sinistra:Salvador Dalí“Lobster telephone”1936cortesia Siae 2010

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“L’azione del tempo comico nella vicenda delle artivisive del Novecento vuol dire ripercorrere le trasformazioni

i cambi di paradigma, i movimenti tellurici che hannoscosso l’intero campo dell’esperienzaartistica nel corso della modernità”

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volta quella spinta a dissolvere i confini tra “alto” e “basso”, tra lecito e proibito, traverbale, corporeo e visivo, tra simbolico e letterale, e finalmente tra arte e vita, cheresta lungo tutto l’arco del secolo e fino ai nostri giorni l’elemento chiave dell’azionesovversiva, perturbante o liberatoria del comico.Per quanto riguarda l’architettura, nonostante la sua apparente luminosità, ilRazionalismo non riesce a sfuggire all’ansia di definizione e, proponendol’adeguamento al Tempo normato dell’Industria, apre il varco all’inevitabile e comple-mentare flusso dell’onirico e del surreale. Ma soprattutto è la drammatica contrappo-sizione dei Tempi a incerare la diagnosi nietzscheana del mondo ridotto a frammenti:fuori della maschera dell’imperturbabile neutralità, il razionalismo fu in realtà terrenodi scontro tra diverse interpretazioni del ruolo dell’arte e del peso dell’etica nei turba-menti dell’estetica. Il comico attraversa il teatro del Novecento come un vento dissa-cratore, un’onda che spazza via le certezze e i luoghi comuni di un’arte che si voleva“borghese” per eccellenza. A partire dalla provocazione e dallo sberleffo dell’Ubu roidi Jarry, giungendo al sarcasmo di Carmelo Bene, gli strumenti dell’irrisione e del ribal-tamento, tipici del comico, incontrano l’avanguardia. È possibile, così, ipotizzare unpercorso di lettura del Novecento teatrale seguendo i modi in cui il comico (e non ilteatro comico come genere minore rassicurante) entra nelle pratiche di decostruzionedel linguaggio. È un percorso che tocca le avanguardie storiche, il teatro dell’assurdo,Dario Fo e Tadeusz Kantor, oltre ai già citati Jarry e Bene, ma deve fare i conti anchecon chi, Petrolini, Totò, Valentin, ha praticato la strategia irridente del comico senzamai tradurla in pratiche “alte”, tenendola volutamente e ostentatamente ancorata alcontesto “basso” di origine.

*Estratto dalla postfazione, cortesia Electa

A sinistra:Thomas Adès“Powder her face”1995, foto di scenadell’allestimentodi David Schweizer2001cortesia Long BeachOpera/PhotographerKeith Ian Polakoff

IL VOLUME

AchilleBonito OlivaEnciclopediadelle articontemporaneeElecta520 pagine75 euro

Dalla concezione del tempo nelle sue diverse sfaccettature fino alle varieforme di rappresentazione attraversate nel XX secolo dai linguaggi artistici:questo lungo filo conduttore lega le tappe percorse dalla nuova Enciclopediapresentata da Electa e ideata da Achille Bonito Oliva. La temporalità infatticondiziona intimamente le avanguardie storiche. Si tratta di un tempo interio-re, inclinato, comico, ma anche pieno e aperto. Uno scandire costante e irre-golare allo stesso tempo di musica, teatro, cinema, arti visive, new media, foto-grafia e letteratura. «Il tempo – afferma Bonito Oliva – diventa il “frullatoreossessivo” di ogni specificità linguistica, della separazione dei linguaggi, delledifferenze tra cultura umanistica e scientifica, della distanza culturale traOriente e Occidente». Link permanente del volume è il tempo comico diNietzsche, il tempo dell’irrilevanza, della fine del valore della cosa in sé, iltempo della vita immediata invece che dello spirito assoluto, quel tempo checonduce verso una ineluttabile frammentazione dell’immagine. Si parte con unsaggio di Massimo Cacciari e si prosegue con sezioni tematiche affidate a notiintellettuali. Le immagini risultano rilevanti alla pari delle parole di Freud,Nietzsche, Einstein, Marx, Proust e analizzano le rappresentazioni di musicisti,poeti, letterati, architetti, fotografi, come Giorgio de Chirico, Andy Warhol,Allan Mc Collum, Duglas Gordon, Pedro Almodovar, Julian Schnabel, MikeKelly & Paul Mc Carthy, Signmar Polke, Loris Cecchin. (Giulia Cavallaro)

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mmaginate un ragazzo del Campidano,figlio di contadini, nato a pochi giornidi distanza da quello celebrato daLucio Dalla in una celebre canzone,nel marzo ‘43. Sono anni di pane esale, terra dura da masticare, sogni die-tro cui perdersi. Tra questi c’è la vogliadi fare il medico, ma i soldi per studia-re non ci sono. Tra questi, anche, ci

sono mani che sfiorano le rocce di una terra antica,occhi che vedono come da queste pietre, catastateper farne confini, si possa ricavare altro. È guardan-do, sfiorando, colorando questi massi messi a marca-re uno spazio vitale che Giovanni Meloni ha un altrosogno, quello che lo porta a essere ciò che è:

Idi Maurizio Zuccari

Storia di un artista che dallanatìa Sardegna attraversaun tempo contadino e approdain Lombardia, passandoper l’utopia del ‘68. Sculturee pitture, le sue, permeatedi magico surrealismo masoprattutto di poesia e umanità

DALLA PIETRAil corpo dell’arte

MELONISKI DA VILLACIDRO

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Meloniski da Villacidro. Uno scultore, un artista faida sé capace di trasformare la durezza della pietra insoave materia espressiva, le sue tele in affreschi delcuore. Fiabe surreali che affondano le loro radici inun tempo antico per parlare al presente.«Avvicinarmi all’arte è stata una cosa spontanea,come respirare – rievoca Meloniski – da figlio di con-tadini sono stato mandato in campagna a lavorare,finite le elementari. C’erano grandi blocchi di grani-to sezionati dagli scalpellini con un lavoro da scul-tore, venivano rimossi per farne muri a secco. Lì hocominciato a capire la magia della scultura, a desi-derare di lavorare la pietra. Questa e la terra mihanno chiamato a sé. Alla ceramica e alla pitturasono arrivato dopo, per la mia curiosità innata. Dalla

pietra passare all’argilla è stato anche più divertente,grazie ai commercianti di brocche che venivano adapprovvigionare le famiglie nei campi. Parliamodella Sardegna di mezzo secolo fa, quando i conta-dini avevano la riserva d’acqua e d’olio dentro gran-di contenitori di terracotta. Così ho cominciato amaneggiare la ceramica, mi sono avvicinato alladecorazione. Andando per tentativi, facendo unamarea di cocci, perché l’argilla è difficilissima, quan-do apri il forno non sai cosa trovi, basta una stupi-daggine e rovini tutto. La ceramica è un laboratoriodi ricerca, un’alchimia». Pittura, scultura, ceramica,grafica, tutto all’insegna di quello che è stato defini-to una sorta di surrealismo fiabesco. Una definizioneche Meloniski accoglie appieno. «Sì, le mie opere

alla fiaba

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sono una specie di fiaba, ma una favola con unprofondo contenuto filosofico. Ho frequentatouna scuola di pensiero Sufi per 15 anni, que-sta formazione filosofica ermetica si tra-smette nel mio lavoro attraverso il surrea-lismo. Sono quindi un surrealista fiabe-sco. Per un periodo ho usato moltisimboli, nella pittura questi sono piùpercepibili anche perché la miascultura inizialmente è statacondizionata dal desiderio didare forma a tutti i costi allamateria, mentre nel dipin-gere sono slegato dal doverricostruire figure anatomi-camente riconoscibili».Sono aedi filiformi che can-tano alla notte, i suoi, violini-sti che suonano alla luna appe-sa a un filo, veneri e metamorfo-si, città notturne e pesci volanti cherievocano un mondo apparentementefelice, ma non privo di un’aura misterica.«Avendo seguito per anni una scuola di

pensiero che affronta il mondo del mistero, que-sto trapela dalle mie cose, ma non va spiegato,

altrimenti che mistero sarebbe? Dico soloche noi registriamo tutto nelle nostre espe-

rienze quotidiane e tutto, al momentoopportuno, viene fuori. Soprattutto nel

caso dell’artista che lo manifestaattraverso l’arte, questo mezzo

straordinario. Se uno ha imma-gazzinato belle cose, colori,

emozioni, non fa altro chetirarle fuori e fissarle nelsuo lavoro, nella tela onelle forme. Ma l’artistaobbedisce anche a unaspinta interiore, spessoneanche lui riesce a deco-

dificare quello che ha fatto,lo ammetto candidamente. E

poi non è necessario razionaliz-zare a ogni costo, anzi è pericolo-

sissimo, significa perdere il fascinodel lavoro artistico. Cosa vuoi razionaliz-zare nell’arte? Dal momento in cui

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L’artistaGaleotta fu Parigi

«A 11 anni lavoravo nei campi, a 17 in una struttura ospe-daliera e sognavo di fare il medico, a 26 ero direttore dellacasa di cura in cui ero impiegato, ma non ho mai smesso didipingere né di scolpire. Poi, a 27 anni, ho abbandonatotutto per dedicarmi all’arte». Così Giuseppe Meloni, aliasMeloniski da Villacidro, racconta l’ingresso nel mondo del-l’arte “tout court”, complice un viaggio nella Parigi del ‘68che gli ha fatto perdere la testa. O meglio gliel’ha fatta tro-vare, assicura lui. Nato a Villacidro (Cagliari) il 18 marzo1943, dal 1974 Meloniski ha tenuto oltre cento personali inItalia e all’estero – tra le più recenti la partecipazioneall’Expo arte di New York (2008) e alle Murasse di Aosta(2009) – conseguendo numerosi premi. Dopo gli anni nella“ville lumière” e a Milano, si divide fra la casa studio diSanto Stefano Lodigiano e quella in collina in Val Trebbia,nel piacentino. Tra le sue passioni annovera la fuga in cam-pagna e la guida di un aereo da diporto; tra i suoi maestriMichelangelo, Giotto e Caravaggio, nell’arte. Nella vita,Cristo e Gandhi. Sacro e profano, uniti nel nome dell’uomo.

Picasso ha squarciato il velo, ha aperto le possibili-tà espressive a 360 gradi, l’artista non deve più spie-gare il proprio lavoro». Anche perché è nel solcodel surrealismo il diritto all’incongruenza. «Ma pen-siamo davvero che un artista voglia sempre direqualcosa, a tutti i costi?» Anche no. «Ma no. Sevogliamo raffreddare, smontare il fascino diun’opera d’arte non dobbiamo far altro che spiegar-la razionalmente». Di razionale, invece, c’è la scel-ta del nome d’arte. «Quando sono arrivato a Milanoho scoperto che esisteva Gino Meloni, allora famo-so, mentre io non ero nessuno ma mi firmavo G.Meloni, come lui, e il mercante utilizzava questaomonimìa per vendere le mie cose. Questo mi hainfastidito molto, ho cambiato subito nome. Nelloscegliere Meloniski non c’è stato nessun richiamoesotico ma un gesto di grande onestà, direi. Hoaggiunto da Villacidro per non essere confuso conuno che viene dall’Est. Non che abbia qualcosacontro chi è di là, sia chiaro, serviva solo a precisa-re che sono sardo, italiano e non slavo, ecco».Come Melo – così lo chiamano gli amici – sia giun-to dalla natìa Villacidro a Milano, passando per la“ville lumière”, è un’altra storia tutta da raccontare.

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Meloniski da VillacidroLa città del cuore, 2009

A sinistra, dall’alto:un ritratto dell’artistafoto Manuela Giusto

Sapienza, 1986

Nelle pagine precedenti:Metropoli, 2003

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«Intorno ai 15 anni è successo una specie di miraco-lo. Allora i primi soldi me li guadagnavo la domeni-ca, facendo il “cane da riporto“ per dei signori chevenivano a caccia dal capoluogo. Ho spiegato i mieiproblemi a uno di questi e lui è diventato il miomecenate, Dio lo benedica per sempre, mi ha aiuta-to in tutti i modi a continuare gli studi ed è stato pro-prio questo che mi ha permesso di andare a lavorarein città, dove ho potuto continuare a studiare e farearte, ma dovevo fare i conti col tempo che non avevo.A 17 anni ho cominciato a lavorare in una casa dicura di cui, nel tempo, sono diventato direttore. Ottoanni dopo, nel 1968, ho spiccato il volo per il primoviaggio nella magica Parigi: tutti i giorni, dalla matti-na alla sera, chiuso nei musei a studiare e disegnare.L’impatto di un ragazzo di provincia con una cittàcosì aperta, col movimento del ‘68, è stato tale dafarmi perdere la testa, cioè da farmela trovare. Il rien-tro è stato doloroso, ero afflitto da quella che chiamola “sindrome dell’elastico”, tirato da una parte dallavoro e dall’altra dall’arte. Nel ‘70 ho raccolto tuttoil mio coraggio, misto a una buona dose di inco-scienza, e ho fatto il salto definitivo. Abbandonato illavoro sono tornato a Parigi, poi mi sono trasferito aMilano. Il noviziato, si sa, non è facile per nessunoma il mio angelo custode che ha la consuetudine distare sempre alle mie spalle non mi ha mai mollato.A Milano ho incontrato Filippo Schettini, buon galle-rista dalla vista lunga, che ha acquistato le prime

opere e mi ha fatto da tramite per una mostra aGenova, alla galleria Arte Verso. Conoscendo i geno-vesi pensavo che non avrei venduto neancheun’opera, al contrario ho venduto tutto». Ma ancheMilano sta stretta a Meloniski, anzi sta troppo larga.Così approda a Santo Stefano Lodigiano, poche casee un casale del Settecento trasformato in studio. «Lacittà è insopportabile per un artista, per uno scultorepoi è impensabile, solo per il rumore che fa dà fasti-dio ai vicini. Così mi sono trasferito a Cernusco sulNaviglio, ma la situazione non era ancora soddisfa-cente, poi ho scelto questa soluzione di casa-studiodel ‘700, dove ho piantato le radici. Ho anche unacasa in collina in Val Trebbia, nel piacentino, di là dalPo. Doppia casa, doppio studio. Questa è la miadimensione: per me la realtà urbana è penalizzante,anche se vivo la città professionalmente, utilizzando-la per i rapporti di lavoro».Così, in questo borgo lombardo così diverso dallaterra d’origine, l’artista per passione, autodidatta pernecessità, ha trovato il suo nuovo mondo, con lamoglie Luisa. E qui, tra tele e crete, vasetti di colore,pietre e bozzetti, accoglie il visitatore con calore eschiettezza, accompagnandolo in un percorso segna-to da una sottile linea magica. Opere che del tempodell’innocenza vissuta e mai persa conservano queltanto che basta al bambino che è stato di continuarea galleggiare sull’oggi, come i suoi personaggi, perparlare al bambino che è in noi. �

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“Ma davvero pensiamoche un artista voglia sempre dire

qualcosa, a tutti i costi?Ma no, se vuoi smontare

il fascino di un’operad’arte devi spiegarlarazionalmente”

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Le mostreDoppia personale a Magentae Alcamo

Doppia personale per Meloniski daVillacidro, da un capo all’altro dellapenisola, nei prossimi mesi: adAlcamo, in provincia di Trapani, allagalleria Europea, viale Europa 32 – info0924505750; www.galleriamicati.it –l’artista sardo espone dal 19 novembreal 5 dicembre; a Magenta, nel milanese,dal 27 novembre al 31 dicembre inmostra sculture e tele alla galleria Magenta,via Roma 45, tel. 029791451;www.galleriamagenta.it.

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A destra: Piatto, s. d.

Sopra:Albero dei due villaggi2010

A sinistra:Arpa, 1983

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ctavia Monaco è una raffina-ta artista e illustratrice di libriper bambini che vive letteral-mente d’arte. Dipingere edisegnare è lo scopo dellasua vita, non esita a dire che«è una necessità, comerespirare, una scelta chediventa una condanna, una

forma di devozione, è un pescare da dentro, è una famecontinua». Nata a Thionville, in Francia, nel 1963, damadre galiziana e padre italiano, a sei anni si trasferiscea Bologna. Non sente propria nessuna patria, ha un fortesenso di sradicamento nella vita in generale che la rendericercatrice. Solo il disegno ha da sempre rappresentatouna certezza, come mostra un episodio in particolare:«Da piccola ero di una timidezza spaventosa, attraversoil disegno ho trovato il senso di me stessa. Avevo presoda copiare l’immagine pubblicitaria di un profumo, unadonna con un cappello di paglia, vestito a fiori e cavallobianco. Quando l’ho realizzato il cavallo era nero, lachioma stellata, lei aveva una testa oblunga, ho pensatoche a imporsi era stato qualcos’altro che parlava assolu-tamente di me: io mi sono conosciuta, riconosciuta attra-verso il disegno». Ascoltare la Monaco parlare della suaarte è una vera e propria esperienza, si viene invitati apasso lento nel suo universo fantastico e parallelo chenon si fatica a credere l’unico veritiero, abitato da figurefiabesche e misteriose, arcaiche, androgine nel loro esse-re più feminine che femminili e soprattutto troppo realiper essere il frutto della sua fantasia, sembrano più iconedi un passato realmente vissuto in una terra antica. «Lamia propensione al fiabesco è stata alimentata dai luoghiin cui io e la mia famiglia ritornavamo periodicamente:in Spagna, ai piedi dei monti della Galizia, una realtàmolto rurale ben diversa da Bologna. Avevo una nonnache adesso potrebbe essere definita “la strega”, una gua-ritrice, bugiarda, dispettosa, vendicativa, solitaria. Avevadelle mani che sembravano delle radici, conosceva tuttele erbe, senza saperlo facevo già esperienza di quei per-sonaggi che hanno poi caratterizzato tutto il mio imma-ginario». La sua arte è un lungo libro autobiografico,un’illustrazione appunto, di una bambina diventatadonna che approccia la vita con incanto e pensa che ilmistero più grande sia l’essere umano. Ha sviluppatouno stile inconfondibile caratterizzato da una gammacromatica ristretta, quella degli ossidi – residui di unaprima formazione orafa – e ha indagato le tematiche

Ol’arte prende corpo

OCTAVIA MONACO

di Monia Marchionni

DISEGNAREÈ L’UNICA CERTEZZA«Dipingere è come pescareda dentro, una fame continua»

L’artistaInsegna illustrazione a Bologna

Octavia Monaco è nata a Thionville, Francia, il 18 novembre1963. Nel 1991 si iscrive all’accademia di Belle arti diBologna ma continua il proprio percorso da autodidatta. I suoilibri illustrati sono conosciuti dai bambini in tutto il mondo,nel 2004 espone alla libreria del Louvre le tavole originali delvolume “Vi presento Klimt” e riceve il premio Andersen comemigliore illustratore. Nel 2005 viene selezionata per il catalo-go “200 Best illustrators worldwide”. Dal 2005 insegna illu-strazione e fumetto all’accademia di Belle arti di Bologna.Mostre future: dal 20 novembre al 12 dicembre al Museo casaFrabboni, via Matteotti 137, San Pietro in Casale (Bo), tel.0516669525, e a gennaio 2011, in contemporanea adArte fiera, negli spazi dell’Ina assicurazioni. Info:www.octaviamonaco.it.

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Octavia Monaco“Bastet”, 2005

In basso a sinistra:un’immagine dell’artista

Nella pagina seguente:“Neckbeth”, 2005

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della Grande madre confrontandole con le teoriedella mitoarcheologa Marija Gimbutas. I suoi sog-getti sono un insieme di corpi floridi alternati dalinee dritte e angoli spigolosi che omaggiano lacreazione. «Ho semplicemente preso consapevo-lezza che queste tematiche mi appartenevano già,credo che quando hai esperienza della potenzadella natura arrivi a un certo tipo di configurazio-ne perché non potresti mai rappresentare la forzacreatrice come un uomo». L’artista vede«l’illustrazione come possibilità pittorica», nellapittura è giunta a un colore più assoluto, tinte piat-te, un linguaggio puro, più simbolico e menodescrittivo. Usa l’acrilico per «soddisfare l’urgenzadel fare», ma predilige l’olio «per la luce internaineguagliabile» e nell’illustrazione ha lavorato adue libri in particolare che trattano il tema delfeminino: «Ho sentito come importante lavorareper la realizzazione di due libri scritti da BeatriceMasini: Signore e signorine, corale greca e Laspada e il cuore, donne della Bibbia. Ho potutousare in questi libri un linguaggio che forse èquello a cui aspiro, sono più icone che immagininarrative e forse corrispondono veramente al miomodo di intendere l’illustrazione». Continua poicon una riflessione: «Sono considerataun’illustratrice ai limiti, nella pittura ho una libertàmolto maggiore, mi interessa un’altra genesi del

lavoro nel senso che quando comincio a dipinge-re non so dove vado a finire, non è un addomesti-camento, non devo seguire uno “story bord” pre-definito ma osservo e di conseguenza agisco, defi-nisco, delineo». Ed è proprio con la pittura cheOctavia Monaco una volta entrata nella fase crea-tiva non ha limiti, dipinge finché ha energia nellatranquillità della sua casa-studio lontana dallacittà, un luogo “off limits”, una tana dove rifugiar-si, una vera e propria estensione dell’artista, da leidefinita una soglia, stimolante ma anche pericolo-sa, che sente di dover tradire per non escludersicompletamente dal mondo. «Sempre più mi trovovicina e associata ad Alice che attraversa la soglia,nel senso che la mia casa è stata proprio concepi-ta come una tana che assume le suggestioni di unmio piccolo tempio, ha una sua sacralità e facil-mente posso sentirlo violato da chi non sa starci.Ho una mia ritualità prima di cominciare a lavora-re, ad esempio il cambio della veste, indosso sem-pre un camicione da uomo. C’è un cambio didimensione che va formalizzato attraverso deigesti, poi bevo caffè e fumo la pipa, mi permetto-no uno stacco dal reale e a quel punto posso lavo-rare a oltranza». Oggi, come allora, la Monacoviene sorpresa dal suo talento stesso, quotidiana-mente nutrito e parzialmente svelato, perché èinutile cercare, bisogna essere visitati. �

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i luoghi del belloCASTELLO DI AMA

Grandi nomi dell’arte affiancano il lavoro di una prestigiosa cantina

di Claudia Quintieri

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astello di Ama per l’arte con-temporanea è la collezionepermanente di opere costitui-ta all’interno dell’aziendavinicola Castello di Ama nelChianti grazie alla volontà diLorenza Sebasti e suo maritoMarco Pallanti, rispettivamen-te amministratore delegato ed

enologo dell’azienda. La sede si articola in due edi-fici settecenteschi, tanti ettari per un’area considere-vole, oltre a due grandi cantine. «L’azienda nascenel 1972 – racconta Lorenza Sebasti – dall’innamo-

ramento per questo posto della Toscana daparte di quattro famiglie: Carini,

Sebasti, Cavalla e Tradico.Abbiamo trovato

il luogo

in stato di abbandono dopo che negli anni ‘50 e ‘60erano andate via dalla campagna molte persone acausa dei raccolti scarsi. L’epoca d’oro per questelocalità è durata fino agli anni ‘30 e ‘40 poi, dopo laguerra, tutto è stato abbandonato. Ci siamo innamo-rati di un posto che aveva una storia preziosa, per-ché qui il vino si faceva dal 1700». Un incantevoleborgo ormai di culto non solo per gli amanti delbuon vino, ma anche per gli appassionati d’arte. «Ivini di Ama e di Broglio erano già famosi – prosegueSebasti – ad esempio, nei mercati inglesi e questo faonore alla zona e fa capire come sia stata altamentevotata a questa produzione. Noi abbiamo ripresol’attività e abbiamo costruito una cantina avveniristi-ca unica nel Chianti, con vasche in acciaio.Abbiamo anche introdotto le “barrique” per la vini-ficazione e Marco Pallanti, mio marito, è andato inFrancia a specializzarsi». La Sebasti traccia il filorosso che porta ai propri obiettivi, spiegando la

nascita della virtuosa relazione fra creatività evigneti: «Sono due le parole chiave per

noi: eccellenza e autenticità,nel vino come nel-

l ’arte con-

INCONTRI NEL CHIANTI

C

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temporanea, due attività che si alleano in un sodali-zio dal nostro punto di vista naturale. Una bottigliadi vino inizia a vivere quando è stappata e cosìun’opera d’arte viene apprezzata quando riesci acondividerla in un contesto, in un paesaggio». Conquesti presupposti è nata la collezione permanented’arte contemporanea che vede il primo interventonel 2000 da parte di Michelangelo Pistoletto, percontinuare ogni anno con la realizzazione diun’opera d’arte di un grande artista. «L’idea è passa-ta attraverso altri tentativi – continua nel suo raccon-to Sebasti – dal ‘94 abbiamo iniziato ad aprire leporte a mostre temporanee, avevamo chiamato que-sta iniziativa Ama l’arte, giocando con il nostronome. Ci siamo affidati ai consigli di un giovanecuratore come Gian Domenico Semeraro. È stato unsuccesso ma non eravamo pienamente soddisfatti. Leopere esposte ci piacevano, ma le sentivamo estra-nee al luogo. Dopo un po’ di tempo abbiamo pensa-to a un progetto nuovo anche grazie all’incontro conLorenzo Fiaschi della galleria Continua, che si occu-pa d’arte contemporanea a alto livello. I soci dellaContinua avevano iniziato già da qualche anno arealizzare Arte all’arte, un evento in cui invitavanogli artisti a fare dei lavori per la Toscana. Abbiamoavuto l’ardire di chiedere di conoscere Michelangelo

Pistoletto e invitarlo ad Ama. Lui ha accettato congrande generosità e sensibilità ed è venuto a visita-re la nostra azienda. Ha capito che volevamo agirenel rispetto dell’arte, così è nato il nostro primolavoro Divisione e moltiplicazione dello specchio,straordinaria scultura in legno che si trova all’entra-ta della nostra cantina».Dal 2000 si sono quindi succeduti interventi di arti-sti di livello internazionale. Dopo Pistoletto, DanielBuren ha costruito Sulle vigne: punti di vista, unmuro lungo 25 metri e alto due metri, specchiato,che incornicia la campagna come una finestra sullavallata. Giulio Paolini ha invece realizzatoParadigma: un parallelepipedo di pietra che ha dueparti in contrapposizione fra loro, l’una chiusa el’altra aperta in un’esplosione di elementi. KendellGeers ha inserito in una delle due cantine“Revolution/Love”, una scritta in cui “Love” si col-loca al centro di “Revolution” costruendo un lega-me fra i significati delle due parole. Anish Kapoor hainvece fatto una delle sue solite aperture sul mondonella piccola cappella del Castello di Ama. ChenZhen ha realizzato “La lumière intérieure du corpshumain”. Carlos Garaicoa ha proposto un muro, inricordo dei muri che hanno fatto la storia, opera dalnome “Yo no quiero ver más a mis vecinos”. Nedko

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Marco Pallanti e Lorenza Sebastifoto Lucie Leca

Sotto, da sinistra:il salotto di villa RicucciMichelangelo Pistoletto

Albero di Ama, divisionee moltiplicazione dello specchio

2000, foto Attilio Maranzano

Nelle pagine precedenti:la facciata di villa Ricucci

Daniel BurenSulle vigne: punti di vista, 2001

foto Carlo Borlenghi

La coppiaSebasti & Pallanti

La collezione permanente d’arte Castello di Ama per l’arte contemporanea è stata voluta da Lorenza Sebasti e Marco Pallanti,rispettivamente amministratore delegato dal 1993 e enologo dal 1982 dell’azienda vinicola Castello di Ama. Sebasti nasce aRoma il 9 luglio 1965, si laurea in Gestione aziendale e frequenta vari corsi di valutazione e degustazione di vini. Pallanti nascea Firenze il 9 gennaio 1955, si laurea in Scienze agrarie, frequenta numerosi stage di perfezionamento di Enologia alle univer-sità di Bordeaux-Nantes e Suze la Rousse, ed è presidente del consorzio del Chianti Classico dal 2006. Sono sposati dal 1996e rappresentano la famiglia Sebasti, una delle tre proprietarie dell’azienda insieme alle famiglie Tradico e Carini.

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Solakov con “Amadoodles” ha utilizzato la parola eil disegno per lasciare una traccia dell’esistenza.Cristina Iglesias ha costruito una scultura che èanche una fontana: “ “Towards the ground”. InfineLouise Bourgeois, recentemente scomparsa, halasciato la sua traccia con “Topiary”, una scultura frafigura femminile ed elemento fallico. In più, dueanni fa, il giovanissimo Giovanni Ozzola ha realiz-zato, per l’anniversario della venticinquesima ven-demmia di Marco Pallanti, un trittico di fotografieche riprendono di notte un centenario leccio in fioredel castello.La realizzazione di un’opera scaturisce ogni annodall’idea di legare la creazione artistica alla ven-demmia, che avviene una volta all’anno. Si restitui-sce così l’importanza che ha la fascinazione delluogo negli interventi degli artisti: «Noi mettiamo a

La tenutaOltre 250 ettari per il Chianti

Castello di Ama, azienda che produce Chianti e altri vini come ilMerlot, possiede due edifici settecenteschi per un totale di 600 mq,250 ettari di terreno di cui 90 a vigneto specializzato, 60 a ulivetoe 100 a bosco e due cantine di 2.000 mq complessivi. All’internoè stata realizzata una collezione d’arte permanente dal nome“Castello di Ama per l’arte contemporanea”. I due edifici sono adi-biti a residenza privata e possiedono affreschi d’epoca. Il restauroprincipale è avvenuto nell’80. Il mercoledì e venerdì sono orga-nizzate visite alle cantine e alla collezione. Località Ama, Gaiolein Chianti, Siena. Info: 0577746031; www.castellodiama.com.

Kendell Geers“Revolution/Love”2003foto Carlo Borlenghi

A sinistra:Louise Bourgeois“Topiary”, 2009

In basso:Anish Kapoor“Aima”, 2004foto Ela Bialkowska

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disposizione le emozioni che la nostra località susci-ta, la passione e un grande rispetto per l’arte – pun-tualizza Sebasti – la storia del posto suggerisce tantispunti perché ha tracce sedimentate nei secoli: c’èun’origine etrusca, una costruzione romanica del1100 poi distrutta e infine gli ultimi edifici del ‘700.Rimane sempre la volontà di rispettare il lavoro del-l’artista ma pretendiamo una concentrazione sulcontesto del Castello di Ama».Il prossimo intervento coinvolge il russo IlyaKabakov, che presenterà uno dei suoi progetti realiz-zati nel tempo: «Un’installazione – racconta lapadrona di casa – che unisce la cultura della cam-pagna e quella del contadino con la poesia, con unosguardo all’infinito. Da quando abbiamo conosciutoKabakov attraverso i suoi lavori e poi di personaabbiamo capito che è un grandissimo poeta. Porta

avanti questa sua caratteristica con leggerezza maallo stesso tempo con una profondità straordinaria».Essenziale per Lorenza Sebasti e suo marito MarcoPallanti è la possibilità di lasciare una traccia delnostro tempo per le generazioni future.Questo l’obiettivo dell’operazione, secondo LorenzaSebasti. Dare contemporaneità al territorio:«Cerchiamo di contribuire alla realizzazione di unatestimonianza nel campo dell’arte di oggi. Il Chiantinon deve rimanere solamente un posto da cartolina,non deve dare l’immagine di un luogo che non abbiavissuto questo secolo. Vorremmo che i lavori che stia-mo facendo portassero a guardare al futuro con la sot-tolineatura del passaggio di questi anni e di questigrandi artisti». E conclude: «Si tratta di un coscienteprivilegio poter lavorare accanto a delle opere d’artecosì belle». .�

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l’arte del libro

IL SEME3. LA CARTA IN EUROPA

di Flaminio Gualdoni

della democrazia

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Heinrich von Meißen (Frauenlob), “Minnesanger“, 1300

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“Giunta insieme agli Arabi in Spagna e in Italia la cartasi diffonde nel mondo europeo

Nel ‘300 vengono fondate le prime copisterie e librerieche realizzano libri su committenza:

il seme della futura editoria è ormai ben piantato

iunta insieme agli Arabi inSpagna e in Italia, tra l’XI e ilXII secolo la carta si diffondenel mondo europeo e vi attuauna rivoluzione silenziosa,incruenta ma dalla portataincalcolabile. La sua storia èantica. Gli studi ne fissanol’invenzione nella Cina del II

secolo a. C. Il libro, ovvero la parte interna della cor-teccia del gelso, viene macerato e battuto sino a farneuna polpa pastosa di fibre che viene diluita in acqua,distesa su un setaccio e fatta essiccare; velata di una pel-licola di amido di riso che la impermeabilizza parzial-mente, la carta è così pronta all’uso. Nel 751 il segretodella fabbricazione della carta trapela dalla Cina aSamarcanda, dove si evolve all’impiego di lino, canapae altre fibre vegetali. Da Samarcanda la produziones’inoltra nel 793 a Baghdad, e da qui gli Arabi la porta-no attraverso l’Africa del Nord in Spagna, ove nel 1100è documentata la produzione delle cartiere di Jativa, ein Italia per la via della Sicilia: ad Amalfi si producecarta sin dal 1220, a Fabriano dal 1268, subito dopo intutti i luoghi dove ci sia acqua abbondante, fondamen-tale per la produzione. I cartai italiani, diffusi traBologna e Padova, la Toscana e il Piemonte, raggiungo-no presto l’eccellenza: già nel 1300 quelli milanesi par-tecipano alla fiera di Ginevra con i loro prodotti, diffusiin tutta Europa. Rispetto alla pergamena la carta è“democratica”, consente la moltiplicazione dei librirendendoli più economici, leggeri e di un formato chene consente il trasporto e la circolazione. Non è un casoche la nascita dei nuovi libri si incroci con il dilagaredel fenomeno delle università, gli studia che, sull’esem-pio della pioniera Alma Mater bolognese nata nel 1088,vengono fondate ovunque: Napoli, Parigi, Montpellier,Oxford, Padova, Salamanca, Cambridge, Salerno, Paviaindicano che anche il sapere, ora, non è più inaccessi-

bile a chi non sia un religioso o un nobile. I libri servo-no per lo studio della teologia, della filosofia, della reto-rica, delle prime scienze, ma è in questo momento checominciano a essere consumati anche individualmente,e a occuparsi di argomenti non necessariamente serio-si. Ora si scrive poesia religiosa ma anche laica, pas-sando da Iacopone da Todi e Hadewijch a Rutebeuf. Siconcepisce la forma nuova della poesia d’amore, cui i“minnesänger“ tedeschi, letteralmente “canti d’amore”,forniscono il modello. Si trasformano le storie sacre e levite dei santi in narrazioni avvincenti, in cui all’insegna-mento si affianca una delle maggiori conquiste dellaciviltà, il piacere della lettura individuale, fatta per pas-sione, divertimento, evasione.Agli inizi del ‘200 la Chanson de Roland fissa l’arte oraledei cantastorie in un appassionante racconto organizza-to; la trilogia “Lancelot“, “Queste du Graal“ e “MortArtu“ rende immortali Lancillotto, re Artù e i Cavalieridella tavola rotonda, tra avventure e quell’amore canta-to anche dall’allegorico Roman de la rose. Romanzo è iltermine che inizia a indicare tutti i racconti basati su unastoria. Lo stesso termine “avventura” nasce in questoclima: “â ventiuren“ sono le imprese degli eroi cantatedalle saghe nordiche simili al ciclo di re Artù, come ilCanto dei Nibelunghi e il Kudrun. La poesia non religio-sa, la novellistica, il romanzo d’avventure, l’epica sop-piantano l’idea di libro come testo di studio, diventandouna moda che si diffonde a macchia d’olio, ben oltre iconfini privilegiati delle corti. Le università iniziano eprodurre anche volumi destinati non allo studio ma alcommercio esterno, per i borghesi cittadini i quali a lorovolta cominciano a consumare voracemente la letteratu-ra, a fare della lettura un’abitudine continuativa, libera,un piacere e non un dovere. Nel ‘300 vengono fondatele prime imprese completamente private, copisterie elibrerie che realizzano libri su committenza oppure dipropria iniziativa, certe di trovare acquirenti golosi: ilseme della futura editoria è, ormai, ben piantato. �

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L’Italianell’Ottocento

1848

Giuseppe Garibaldi1807-2007

1860

Il Conte di Cavour1810-1861

1861

Roma Capitale

Unità d’Italiadel cinquantenario

1911

La Costituzionedella Repubblica Italiana

1948

Il coniodella prima Lira

1946

La Liradella Repubblica

1951

La Liradell’Unità d’Itali1861-2011

2011

1870-71

Centenariodell’Istituzionedell’Arma dei Carabinieri

1914

editoria & arteSPECIALE 150

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ditalia, casa editrice nata nel1952 e dal 1991 parte delGruppo poligrafico e Zeccadello Stato, ha un profiloconsolidato nell’ambito del-l’editoria di pregio e delleproduzioni artistiche. Neisessant’anni della sua attivitàha dedicato molte delle pro-

prie energie alla promozione della cultura italiana,dal territorio agli artisti, alla storia e alle tradizioniartigianali, dando vita a un catalogo che parla di ita-lianità. In queste pagine vogliamo raccontare letappe di un viaggio attraverso le nostre opere chedescrivono un paese nato nel 1861 e del quale, nel2011, ricorrono i 150 anni di unità. Opere differentitra loro: la storia delle regioni e delle città racconta-ta nei raffinati volumi delle collane per bibliofilidove le testimonianze dirette di viaggiatori curiosi,storici e narratori illustrano le bellezze di un territo-rio antico caratterizzato dalla grande varietà e ric-chezza; raccolte monografiche che celebrano per-sonaggi che l’Italia hanno contribuito a“farla”con laloro passione eroica o strategia politica. Opere cheripropongono la lettura della storia attraverso il rico-nio della lira, la moneta che ha fortemente contri-buito a unificare il territorio della penisola;medagliericche di simboli territoriali e nazionali. Tutte questeopere raccontano, oltre ai propri contenuti specifici,l’arte del saper fare bene“italiano”, quella particola-re capacità tutta peninsulare che affonda le sue radi-ci nella tradizione delle botteghe rinascimentali eche senza interruzione ha continuato a fiorire nellavoro di grande qualità di chi ha trovato l’equilibriotra arte e artigianalità, creatività e tradizione, storia eterritorio, ricerca di materie prime innovative e tec-niche di lavorazione tradizionali. �

di

Storia della Liranel Regnodi Vittorio Emanuele III

1900

Scritti e discorsidi Benito Mussolini

1922

La Lira siamo Noi

2002

Le 500 lire Caravelle

1957

ca

’Italia

Cento libriper Mille anni

2000

Viaggio nel catalogoEditalia per raccontareil paese nato nel 1861

Un omaggioalla nostra storia

E

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L’Italia nell’Ottocento e Città nell’Ottocento

Collana di volumi di pregio dedicata alle vicende del paese e dellecittà italiane nel secolo dell’unificazione nazionale. L’Ottocento èstato il teatro delle aspirazioni nazionali e le città ne sono state pro-tagoniste, rivendicando la loro italianità. Le vicende storiche, leespressioni artistiche, i grandi testi letterari che hanno contribuitoalla creazione di una raffinata civiltà negli scritti e nelle incisioni diquanti vissero o semplicemente visitarono le varie terre d’Italia. Ivolumi raccolgono testimonianze di autori italiani e stranieri cherestituiscono il vivace clima culturale dell’epoca e ne rievocano,anche nella veste editoriale di grande formato e con rilegature inpelle, la raffinatezza e l’artigianalità.

Giuseppe Garibaldi, cofanetto celebrativo 1807-2007

Cavour disse: «Garibaldi ha reso all’Italia il più grande dei servigi che un uomopotesse renderle: ha dato agli italiani la fiducia in se stessi». Nella ristampaanastatica delle Memorie autobiografiche del 1887 i ricordi personali, gliscritti di carattere militare, le considerazioni sulla politica e sulla società,rispecchiano la forza delle sue convinzioni. La straordinaria vicenda è inol-tre ripercorsa attraverso dodici documenti storici provenienti da bibliotechee archivi italiani e stranieri, fra cui l’atto di nascita di Garibaldi conserva-to a Nizza nella chiesa di San Martino, il telegramma del 1866 con ilcelebre “obbedisco” e il regio decreto del 1875 col quale re VittorioEmanuele II concesse a Garibaldi una rendita vitalizia in riconoscimentodella sua opera per l’unità d’Italia, conservati all’Archivio di stato di Roma.Per celebrare il bicentenario, inoltre la Zecca dello Stato ha coniato una meda-glia commemorativa, in oro e in argento.

Il conte di Cavour

Il 17 marzo 1861 a palazzo Carignano, a Torino, viene pro-clamato il Regno d’Italia e Vittorio Emanuele II suo re. Il 6 giu-gno a Torino muore Camillo Benso conte di Cavour, uno deiprincipali artefici dell’unità. Il volume ricostruisce, attraversosaggi storici e documenti pubblici e privati, lo scenario in cuiebbe a muoversi con straordinaria abilità il conte di Cavournel periodo, cruciale per la storia d’Italia, che va dai moti del‘48 alla morte prematura dello statista nel giugno del 1861.

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Roma capitale

Roma capitale prende l’avvio dalla storica breccia di Porta Pia del 20 set-tembre 1870 e si ripromette di documentare le vicende di Roma comecapitale sia del regno sia della repubblica. L’opera si articola in otto diver-si passaggi che conducono il lettore dalle problematiche della “Questioneromana”, discusse dai deputati del nascente Regno d’Italia, alla presa mili-tare della nuova capitale. Dai giorni fatali dell’alluvione del Tevere del1870 si passa agli aspetti della vita romana, ai fasti dannunziani dell’epo-ca umbertina, agli umori politici, passionali ed esasperati del tempo. Dallecelebrazioni del primo cinquantenario del Regno si giunge alla Romadella vittoria e dei pruriginosi nuovi sogni imperiali; dalla tragedia finaledell’8 settembre 1943, si arriva alla fastosa celebrazione, nel 1970, delprimo centenario di Roma capitale. Si tratta dunque un’operafondamentale per la comprensione di passaggi storici, pulsio-ni emotive, valori ideali che fecero di Roma il centro dell’at-tenzione degli Italiani, il riferimento di un’intera nazione,l’elemento aggregante di culture a volte molto diverse cheritrovarono nella capitale una ragione di coesistenza esolidarietà. Nell’occasione delle celebrazioni del 140°anniversario di Roma capitale, il racconto si fa nuo-vamente attuale, in una veste editoriale splendidadi pelle con sbalzo colorato a mano.

Unità d’Italia

La storia dell’unità scritta da tutte le genti d’Italia e consegnata alla memoria in venti meda-glie in argento, una per ogni regione. Le medaglie sono piccole opere di scultura che conun linguaggio simbolico esprimono i significati civili e morali della nazione. Gli artisti dellascuola dell’Arte della medaglia e gli incisori della Zecca le hanno realizzate ispirandosi aifregi e alle decorazioni del complesso del Vittoriano, monumento inaugurato nel 1911 perconsacrare l’unità della nazione.

“Tutte queste opere raccontano, oltre ai propri contenutispecifici, l’arte del saper fare bene “italiano”, quella particolare

capacità tutta peninsulare che affonda le sue radici nella tradizionedelle botteghe rinascimentali”

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freschi di conioTRE MONETE PER L’UNITÀ

a moneta mentrecorre nelle mani ditutti come segnoed equivalente diogni valore, è pureil monumento piùpopolare, piùcostante e più uni-versale che rap-

presenta l’unità di una nazione”. Così il ministroGioacchino Pepoli, all’indomani della proclamataunità d’Italia nel 1861, sottolinea la necessità per ilnuovo Regno di procedere con urgenza all’unificazio-ne monetaria. In Italia circolava un’enorme quantità

di monete diverse: baiocchi, fiorini, paoli, quattrini ealtro ancora; monete battute dagli stati preunitari cherichiamavano alla mente, con la loro iconografia econ il loro valore, le autorità che le avevano emesse.Il valore simbolico che il denaro assume, circolandodi mano in mano e veicolando la rappresentazionedello stato, dell’economia, della religione, in unaparola l’identità di un popolo e la storia di una nazio-ne, non sfugge al ministro del neonato regno d’Italia,né alle autorità governative che si succederanno nei140 anni di vita della lira. Tenendo quindi semprepresente il significato trasversale delle rappresentazio-ni incise sulle facce delle monete, durante gli anni delregno e poi in quelli della repubblica, gli appunta-

Tre monete legate ai momenti più significativi del processo unitarioattraverso le quali rileggere per simboli il passato e il presente

di Cecilia Sica

I valori della nazione

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menti più importanti che celebrano l’unità nazionalelasciano tracce sulle monete grazie ad emissioni spe-ciali a essi dedicate. Facendo propria questa chiave dilettura simbolica Editalia dedica la nuova opera“Unità d’Italia” alla rilettura della storia unitaria attra-verso i simboli del mondo numismatico. Tre moneterappresentano il percorso storico unitario dall’epopearisorgimentale alla Repubblica e nella loro diversitàsegnano momenti storici assai differenti.Lo scudo dell’unità, del valore di 5 lire italiane, è statobattuto dalla Zecca di Firenze subito dopo la procla-mazione del Regno d’Italia il 17 marzo 1861, e sulrovescio sotto lo scudo sabaudo si legge la data marzo1861, a commemorare in modo esplicito e diretto

l’avvenimento che rievoca. All’indomani della pro-clamazione i problemi con i quali il neonato gover-no dovette misurarsi per rendere fatto reale l’unitàfurono enormi e assorbirono le energie del governo.Nel campo della monetazione quindi si scelse unprofilo tradizionale, fortemente istituzionale, piutto-sto noioso nella sua fissità, tipologia che durò oltrequarant’anni. Sul diritto campeggiava il ritratto del reregnante, ora il sanguigno Vittorio Emanuele II, il reunificatore, ora il burbero Umberto I; sul rovescio lostemma sabaudo incorniciato dal collare della san-tissima Annunziata, massima onorificenza di casaSavoia, e da una doppia corona di alloro. Solo conVittorio Emanuele III, salito al trono nel 1900 dopo

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L’operaUn volume di pregio completa il cofanetto

Le 5 lire 1861 in argento, le 50 lire 1911 in oro e le 500 lire 1961 in argento sono letre monete riconiate dalla Zecca nei metalli originali della prima coniazione espostein uno scrigno in legno di frassino intagliato e impreziosito dal bassorilievo lamina-to in oro con l’allegoria dell’Italia realizzato dalla Scuola dell’arte della medaglia.L’opera è accompagnata dal volume di pregio Le lire dell’unità d’Italia, a cura diSilvana Balbi de Caro. Il Comitato ufficiale per le celebrazioni del 150° anniversario

dell’unità d’Italia ha concesso a quest’opera, per il suo alto valore simbolico, il patrocinio, rap-presentato dal logo ufficiale con i tre tricolori realizzato in smalto. Info: www.editalia.it.

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l’assassinio del padre, si mette mano al rinnovamentodella produzione numismatica del regno. Il giovanere, appassionato collezionista e studioso di moneteantiche e moderne, coinvolge per la prima volta gliartisti contemporanei nella definizione di nuovimodelli per la monetazione che, per gli aspetti artisti-ci e per i contenuti, possono ritenersi tra i più signifi-cativi della prima metà del ‘900. Sul diritto si susse-guono morbide modellazioni del busto del sovrano,che con il passare del tempo indossa la divisa e invec-chia, mentre sul rovescio si sviluppa la grande novitàdell’epoca: composizioni complesse dallo stilemoderno rappresentano lo strumento capillare dellapolitica del governo trasmettendo i valori di un regnosempre più saldo e con mire espansionistiche. Di que-

sto sistema di rappresentazione la serie del cinquante-nario, emissione celebrativa del 1911 realizzata perfesteggiare il primo giubileo dell’unità, è un validoesempio. Sul rovescio progettato dallo scultoreDomenico Trentecoste, Roma e l’Italia, finalmenteunite in un’unica nazione, costituiscono il centromonumentale della figurazione mentre i simboli delbuongoverno si distribuiscono in piani successivi:l’aratro inghirlandato che ricorda la vocazione agri-cola del paese, la nave da guerra ornata di festoniche rievoca la potenza militare di uno stato che pro-prio in quell’anno salpava verso le coste libiche. Lastraordinaria armonia compositiva dell’insieme, ladelicatezza del modellato ispirato alle forme fluidedel gusto liberty, rendono le 50 lire del cinquantena-

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La figuraIl bassorilievo

La figura allegoricadell’Italia modellata inbassorilievo dagli artistidella scuola dell’Artedella Medaglia è ispira-ta all’affresco cheGiulio Aristide Sartoriorealizzò tra il 1908 e il1912 per l’emiciclodell’aula della Camaradei deputati a palazzoMontecitorio. Il fregiosi snoda per 105 metrie con circa 300 figureche rappresentano ifatti della storia d’Italiadall’età dei comuni alRisorgimento, cele-brando l’Italia unita e ivalori della nazione.

A sinistra: particolaredel bassorilievo laminatoin oro dello scrigno Editalia

A destra: l’affrescodi Giulio Aristide Sartorio

Nelle pagine precedenti:le tre monete riconiatedalla Zecca, le 5, le 50e le 500 lire

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rio una fra le più belle monete del regno. Passanocinquant’anni, cambia la forma di governo, cambia-no le rappresentazioni, lo stile, i metalli, ma nonl’utilizzo della moneta come veicolo di valori sim-bolici accessibili a tutti. Il governo repubblicano sce-glie dapprima i temi del lavoro e della pace per tra-smettere agli italiani nuova fiducia nella ricostruzio-ne del paese, mentre l’immagine della repubblicacon il volto e le vesti di una giovane donna prende ilposto di quella del re nei diritti delle monete.Finalmente sul finire degli anni Cinquanta, con ilpaese lanciato in una crescita vertiginosa, per sotto-lineare la riconquistata prosperità economica è auto-rizzata l’emissione di monete d’argento da 500 lire.Nel 1961, per i cento anni dell’unità d’Italia Guido

Veroi è incaricato di progettare una monetad’argento moderna che rappresenti appieno i valoridel giovane stato. Con uno stile essenziale dallelinee pulite e nervose, la giovane repubblica èmodellata seduta su un capitello ionico, la stratifica-zione della sua storia, mentre con la mano destraporge un ramoscello di ulivo, simbolo di pacecostantemente presente, e con la sinistra sostienel’elmo, non più indossato a significare che in unpaese pacificato si può guardare al futuro con mag-gior slancio, e infatti sul rovescio un auriga filiformesprona quattro cavalli a spiccare un balzo tra le date1861 e 1961. Tre monete legate ai momenti piùsignificativi del processo unitario, attraverso le qualirileggere per simboli il passato e il presente. �

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Ucomunicare ad arteISTITUTO NAZIONALE TRIBUTARISTI

Un’occasione per omaggiare il tricolore e rappresentarel’unità del nostro paese. Il presidente dell’Int, Istitutonazionale tributaristi, Riccardo Alemanno, desideravache i membri del terzo congresso internazionale di set-tore, tenuto ai primi di ottobre, avessero non solo unricordo ma un simbolo dell’Italia. «Dare un segnaledella nostra volontà, del nostro paese inteso comenazione solidale – afferma Alemanno – ci sembravadoveroso, all’indomani dell’anniversario dell’unità. Lanostra fortuna è stata incrociare Editalia, che ha ben resoil nostro desiderio». Nello specifico, il gruppo editorialeha realizzato un calendario e un elegante cofanetto incui conservare la costituzione. «Abbiamo limitato almassimo l’ingerenza dei nostri simboli – prosegue il pre-sidente – il segnale non doveva essere quello del nazio-nalismo esasperato ma la volontà di costruire una nazio-ne unita. Dalla prima volta che ho incontrato i responsa-bili del marketing di Editalia mi sono sentito attorniato daaltissima professionalità. Per cui ci siamo affidati a loroper la scelta dei quadri da inserire nel calendario. Ballae De Chirico sono i miei artisti preferiti, li avrei inseriti iostesso. Come se mi avessero letto nel pensiero». Diversoil metodo di lavoro scelto per il cofanetto: «La costitu-zione è un segnale – dice il presidente – ritengo cheunità e costituzione siano inscindibili per un paese chevoglia dirsi moderno e democratico. La modernità dellacostituzione è nei suoi principi ed essi sono validi in

qualsiasi momento storico. Si possono modernizzarealcune parti ma restano immutati nella loro anima. Noitributaristi rispettiamo la costituzione come cittadini erappresentanti di una categoria professionale». Un buonsodalizio, quindi, fra Editalia e l’Int, di cui il presidenteparla con toni entusiastici: «Grande professionalità.Grandi capacità tecniche che hanno reso a pieno i nostridesideri. La collaborazione non terminerà con questocongresso. Quando si riscontrano qualità e professiona-lità così alte, non si può scindere una collaborazionetanto proficua». Non è il primo incontro, questo, fra l’Inte l’arte. Esiste infatti l’Int per la cultura, la musica e losport: «Già da molto tempo abbiamo un progetto cheviene rinnovato annualmente. Ad esempio abbiamofinanziato un’iniziativa per Genova e Savona, con opered’arte di giovani artisti, oppure la Biennale internazio-nale d’incisione di cui siamo sponsor. Abbiamo ancheistituito un premio nazionale di poesia per i giovani –precisa Alemanno – lo scorso anno sono arrivati circaottantamila euro per queste iniziative. Siamo addiritturasponsor di piccoli gruppi rock, squadre sportive dilet-tantistiche e giovani fotografi». Chiara la conclusione:«Siamo professionisti e cittadini, fruitori di tutto questo.Non è detto che un tributarista debba vivere solo di que-sto ruolo. Ci piace essere un po’ fuori dagli schemi nonsolo per scelte professionali ma anche nelle modalità difruizione dell’arte». �

Il presidente Alemanno: «Da anni a confronto con la creatività»di Elena Mandolini

La cultura dei conti

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Odoardo BorraniIl 26 aprile 1859 in Firenze, 1861

In alto, a sinistra:il presidente dell’Istituto

nazionale tributaristiRiccardo Alemanno

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Il calendario EditaliaAnche la Costituzione nel cofanetto

Editalia ha prodotto per il congresso internazionaledei tributaristi un cofanetto che contiene una pregia-ta edizione, in piccolo formato, della Costituzioneitaliana e un “presse papier” con il logo ufficiale del-l’istituto lavorato con la tecnica dello smalto. Oltreal cofanetto, anche un calendario che ha come temala storia del tricolore. Diversi gli artisti selezionatiper illustrarne i mesi, da De Chirico a Stragliati.Nell’ultima pagina, una massima di GiovanniFalcone. Info: www.editalia.it.

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Milano, tornal’appuntamentoche fa incontrarecreatività e impresa

di Valeria Cantoni*

ART FOR BUSINESS FORUMcomunicare ad arte

egli ultimi cento anni siamostati educati alla scuola delpensiero lineare, del punto divista oggettivo, delle scienzeesatte, dell’illusione scientificadell’economia e dell’approc-cio quantitativo, dell’esteticadelle tabelle di Excel, dell’e-quazione benessere eguale

consumo. Tutte queste certezze iniziano a vacillare difronte agli imprevisti e ai terremoti che stanno affliggen-do l’economia globale. Le organizzazioni cercano stradeper stringere i costi, mantenendo spesso invariatol’approccio ai problemi. C’è bisogno di una conversionedi pensiero che ci porti a comprendere quale valore risie-de sotto i nostri occhi e che ci porti a riscoprire il sensodella cultura come radice vitale della società, del territo-rio, dell’economia e delle regole di governo del business,per aiutarci a orientarci un po’ meglio. La scommessalanciata dall’associazione Art for business è che le arti

possano essere lo strumento per aiutare le persone adotarsi di quelle nuove capacità che consentiranno lorodi affrontare meglio la complessità e i continui muta-menti in atto: nuovi approcci che porteranno a generarenuove risposte a vecchie domande, favorendo cosìl’innescarsi del processo di innovazione. Per approfondi-re questi temi e aprire tavoli di confronto Art for businessorganizza per il terzo anno Art for business forum, dal 22al 24 ottobre alla Triennale di Milano, un appuntamentorinnovato e arricchito che si propone come un impor-tante momento di riflessione e di confronto sul contribu-to che le arti possono offrire alle organizzazioni e alleloro persone in termini di conoscenze, competenze ecapacità manageriali che creano innovazione e vantag-gio competitivo.Ospite d’onore del forum è il professor Howard Gardner,studioso di psicologia e direttore di Harvard projectZero, noto al grande pubblico per la sua teoria sulleintelligenze multiple e ritenuto uno dei cento intellettua-li più influenti al mondo. Gardner terrà una “lectio magi-

N

scopronole arti

Se i MANAGER

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stralis” sui suoi temi di ricerca che danno anche il titoloal forum: Bello, giusto, efficace, come le arti possono svi-luppare nuove qualità nella leadership.Nel corso della kermesse ci sono poi momenti di con-fronto e presentazioni di casi e personalità del manage-ment, per mostrare che la fertilizzazione delle intelligen-ze, sensibilità ed emozioni è una buona strada perrispondere alla crisi che, prim’ancora che crisi finanzia-ria, è crisi culturale. Le intelligenze multiple sono al cen-tro dei momenti di apprendimento del primo giorno dilavoro dove importanti manager e imprenditori portanola propria esperienza e dove vengono presentati i risulta-ti della ricerca sul rapporto tra arte e quotidianità. I lin-

guaggi degli artisti verranno poi introdotti nel lessicoorganizzativo per aprire nuove strade alla risoluzione diproblemi e alla costruzione di nuovi modelli di “leaders-hip” meno standardizzati. In 6x6 nonstop: le parole dellearti per il management, i temi dell’ascolto, del progetto,del metodo, del racconto, del prodotto e dell’improvvi-sazione sono affrontati per manager, professionisti eimprenditori da un compositore, un architetto, un artistavisivo, uno scrittore, un designer e un attore. Le istituzio-ni culturali e la pubblica amministrazione sono al centrodi incontri in cui si profilano nuove strade per la valoriz-zazione dei Beni culturali: la rinnovata collaborazionecon Editalia e il Gruppo poligrafico e Zecca dello Stato

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apre a momenti di discussione importanti come quellodel sabato mattina su Arte e industria e il seminario sul-l’attrattività della conoscenza: cosa significa valorizzarei luoghi di cultura, che chiama a raccolta soprintenden-ti ai beni culturali e archeologici, direttori di musei edirigenti del Mibac per confrontarsi con Mario Resca,Simonetta Bonomi, soprintendente dei Beni archeologi-ci della Calabria, il critico Germano Celant e RobertoMazzei, presidente del Poligrafico, sul valore dei beniculturali. Al termine dell’incontro il filosofo Carlo Sinitiene una lettura sul valore della memoria e sul signifi-cato dell’antico per il tempo che viviamo. Il forum vedeanche la collaborazione del compositore Fabio Vacchi,la cui musica viene suonata dal vivo prima di ogniincontro in una sorta di accordatura del pensiero, perpredisporre le persone alla partecipazione ai contenutidei vari incontri. Nuove visioni offrirà sei percorsi disenso all’ora di pranzo e nuove letture della realtà intro-dotti dalla presenza di accompagnatori d’eccezione alTriennale design museum. L’ultima giornata vede la visi-ta ad alcune gallerie milanesi del circuito Start con unanuova inedita metodologia che si basa sul presuppostoche l’esperienza della fruizione artistica può essere unprocesso di co-creazione che vede coinvolto il visitato-re in prima persona. Art for business forum è dunquel’occasione per lavorare con economisti, manager, arti-sti, soprintendenti, filosofi, per colmare quella distanzatra cultura ed economia, tra beni culturali e affari quoti-diani, tra pensiero dell’arte e approccio del mercato chesi è creata negli ultimi decenni, riportando le arti a esse-re il principale fertilizzante delle nostre capacità.

*presidente Art for business

L’eventoTre giorni di confronto alla Triennale

Bello, giusto, efficace. Trasformare le organizzazioni attraversole arti. Questo il titolo della terza edizione di Art for businessforum, l’appuntamento in cui arti, cultura e mondo delleimprese entrano in comunicazione. Organizzato dall’omoni-ma associazione non profit, l’evento si presenta arricchito gra-zie a un network sempre più ampio e all’importante partners-hip con la fondazione Triennale di Milano. Manager, uominid’affari, direttori e personale di musei e istituzioni culturali eterritoriali, amministratori, artisti, collezionisti e studenti sonoinvitati a intervenire a questa tre giorni di confronto partecipa-to. Tanti gli invitati, da Germano Celant a Mario Resca passan-do per l’ospite d’onore, lo scienziato Howard Gardner. Dal 22al 24 ottobre, Milano, Triennale. Info: www.artforbusiness.it.

“Il forumè l’occasioneper colmare ladistanza fra culturaed economiariportando le artia essere il principalefertilizzante dellenostre capacità

In alto, Valeria Cantoni

Nella pagina precedenteun disegno da un workshopIn basso, da sinistra:Alessandro Mendini,Davide Rampello, MarcoDe Guzzis, FerdinandoFaraò Gabriella Belli,Howard Gardner, LuigiRovati ”

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a regola d’arte

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LLa geopolitica e la storia contemporanea vorrebbero queste tre città come pedine fondamen-tali di un mondo ormai in perenne contrapposizione. Come se, al di là della violenza, dellaguerra e del fondamentalismo in ogni sua declinazione religiosa, non ci fosse nient’altro daraccontare, osservare e vivere. Eppure Beirut, Istanbul e Tel Aviv hanno almeno un elementoin comune in grado di trascendere le reciproche diffidenze: la bellezza dei nuovi fermenti arti-stici. Questo è ciò che viene raccontato in Art passion, tre volumi (uno per città), distribuiti intutta Italia e in alcune capitali europee da Editalia, che celebrano i 150 anni di Campari.«L'obiettivo che mi sono posto – racconta il curatore dell’iniziativa, il trentottenne fotografoveneziano Marco Milan – è di indagare la relazione tra l’artista, in qualità di individuo, e illuogo dove vive. Mi sono concentrato su questa duplice influenza, che permette di trovarediverse possibilità e livelli di scrittura. Abbiamo, per esempio, chi predilige il luogo pubblicoesteso e chi invece si rifugia nell’intimità, con uno spazio vitale ridotto, come l’abitazione olo studio. Diverse corde, dunque, vengono toccate». Nello specifico, ogni artista «è stato da me ritratto in un luogo per lui significativo – spiegaMilan – tutti sono stati fotografati attraverso l’utilizzo di uno specchio che rappresenta il lega-me tra ciò che è fisico e ciò che è metafisico. Nelle inquadrature abbiamo evitato ogni tipodi luce artificiale, per fare in modo che emergesse solo la luce di quel posto e di quell’istan-te. Più che fare uno scatto, dunque, abbiamo voluto creare un intervento reale nella paginastampata». La scelta di esplorare tre città mediorientali come Beirut, Istanbul e Tel Aviv ha per-messo a Milan di mostrare tre realtà artistiche vive e affascinanti. «Ho vissuto in MedioOriente praticamente per due anni – precisa Milan – perché non volevo creare un progetto

Campari promuove il contemporaneocon un trittico editoriale e una mostraIl curatore Milan: «Indagine reale su una scena importante ed emergente»di Manfredi Lamartina

Un Mediterraneodi fermenti

ART PASSION

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Dall’alto, in senso orario:Marco Milanritratto di Zena El Khllile i contributiper il volume Beirutrealizzati daNadim AsfarCharbel Habere Cinthya Zaven

Nella pagina precedente:Marco Milane il contributodi Akram Zaatari

orientalista, ovvero di un occidentale che arriva, sceglie e se ne va. Non mi interessava nean-che fare una sorta di cartolina. Piuttosto, volevo indagare realmente una scena importante edemergente. Ecco perché ho scelto di vivere in prima persona in questi luoghi». Il primo volu-me a essere distribuito sarà quello su Beirut. «Tra gli artisti presenti nel libro – dice Milan –abbiamo Arkam Zaatari, un fotografo che rilegge le vicissitudini della guerra civile. Forniscedei percorsi e dei legami che parlano di memoria e contemporaneità in questa società che dauna parte sta vivendo una fase di grandissimo recupero e crescita, dall’altra conserva cicatri-ci che, seppure nascoste, bruciano ancora. Joana Hadjithomas e Khalil Joreige, invece, sonodue artisti conosciuti per il film documentario “Je veux voir” con Catherine Deneuve, cheesplorava i luoghi della memoria in Libano. Poi c’è una generazione decisamente più giova-ne nella quale l’elemento della contemporaneità pura e l’aspetto edonistico emergono inmaniera importante. È il caso di Johanne Issa, che ritrae una Beirut intrigante e in continuomovimento». Milan, che ha lavorato come fotografo e designer per diversi marchi di livellointernazionale, è particolarmente attento alla creazione come atto sociale e, per certi versi,geopolitico. Non a caso il suo prossimo lavoro continuerà a battere in queste zone. «Unanuova idea – racconta – figlia di Art passion e per certi versi sua evoluzione, è focalizzata comeprima tappa ancora su Beirut e parlerà del concetto di edificio come paradigma di un’interacittà. Inviterò a lavorare con me altri artisti per un’indagine antropologica sull’architettura comeelemento determinante per le relazioni interne. Durante la guerra civile, per esempio, l’edificiodiventava l’ultimo baluardo per l’affermazione del proprio diritto sulla città». �

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La mostraIl Medio Oriente alla galleria Campari

Fino al 30 ottobre nei locali della galleria Camparidi Sesto San Giovanni (Milano) è possibile visitare lamostra Art passion, dedicata alle avanguardie artisti-che di Beirut, Istanbul e Tel Aviv. Curata da MarcoMilan e Nora Zanella con la collaborazione diMarina Mojana, direttore della struttura, la mostrariprende materiali e immagini raccolte nei volumidel trittico Art passion, permettendo così al pubbli-co di vedere i 73 artisti ritratti da Milan nei luoghi dilavoro e i contributi realizzati per i libri. Nella gal-leria sono presenti diverse installazioni sospese ealcuni video attraverso i quali Milan racconta lagenesi dell’iniziativa e spiega i fermenti delle trecittà. Galleria Campari, via Sacchetti 20, Sesto SanGiovanni, Milano. Info: www.campari.com.

IL VOLUME

BeirutEditalia272 pagine980 euro

Un progettoin tre tappe

Art passion è un’inizia-tiva nata per celebrare i150 anni di Campari.Sono tre gli “art book”del progetto pubblicatoda Editalia e curato dal-l’artista venezianoMarco Milan. Il primolibro è dedicato allascena di Beirut, conuna panoramica suventicinque artisti liba-nesi ritratti da Milan neiluoghi e nei momentiper loro più significati-vi. Il libro è distribuitoda ottobre in tutta Italiae in diverse capitalieuropee. Le altre uscite,invece, riguarderannoIstanbul (disponibile danovembre) e Tel Aviv(da dicembre), per untotale di 73 artisti. Lecopertine sono stateprogettate in modo che,una volta unite, vengatratteggiato il confine diLibano, Turchia eIsraele. La prima uscitaè stata presentata uffi-cialmente il 18 ottobreall’ambasciata italianaa Beirut.

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Vi mestieri dell’arte

LABORATORIO LIGNARIUS

Volete immergervi nel mondo dei mestieri artigiani,partecipare a corsi di restauro e di antiquariato impa-rando a “leggere” gli antichi manufatti? Un centro dieccellenza dove questo è possibile è Lignarius, asso-ciazione romana che si occupa di trasmettere e diffon-dere le tecniche e i segreti degli antichi mastri artigia-ni. Nato da una passione di Paola Staccioli e StefanoNespoli per l’antiquariato, Lignarius coinvolge dal1992 molti professionisti che si dedicano all’insegna-mento delle lavorazioni artistiche di legno, vetro, cera-mica, del restauro di mobili e dipinti, libri e stampe.«Nell’86 – racconta Nespoli – con Paola avevamo unnegozio di antiquariato e i laboratori di restauro in viadel Boschetto, rione Monti, nel cuore della suburracapitolina. Eravamo attorniati da tutte le attività arti-giane che ancora in quegli anni esistevano e moltivenivano spesso da noi a chiederci di imparare questolavoro. Dal desiderio di trasmettere qualcosa checonosciamo è nata Lignarius come scuola».Nel tempo l’idea si è articolata e arricchita: ora Lignariusorganizza anche una serie di iniziative culturali legatealla storia e alle tradizioni popolari, mostre e dimostra-

zioni sulla lavorazione di materiali diversi. Ma lo spiritoiniziale non è cambiato e il punto di forza rimangono icorsi di restauro. «Restaurare un oggetto significa cer-care di farlo vivere per sempre, dargli valore, rispettar-lo perché appartiene al passato ed è portatore di cultu-re e tradizioni che non abbiamo vissuto – spiegaNespoli – è essenziale capire che ogni cosa nasce perun contesto diverso: il restauro non è un’operazionesquisitamente tecnica, è anche qualcos’altro. Primadi iniziare un intervento instauriamo un rapporto,cerchiamo di entrare in contatto con l’oggetto, cer-chiamo di immaginare attraverso quante mani equanti luoghi è passato. Per questo facciamo inmodo di ricostruirne la storia». Sorridendo, il presi-dente di Lignarius continua: «La bravura dell’arti-giano, del restauratore, è saper essere un po’ canta-storie. Ovviamente con questo non intendo offende-re nessuno. Non che raccontiamo balle, ma piuttostole storie degli oggetti, in modo da farli apprezzare dipiù. Storie che non necessariamente sono reali. Nonbasta avere buona manualità ed essere bravi tecnica-mente, bisogna possedere una sensibilità particolare».

Il presidente Nespoli: «Restaurare è dare la vita eterna a un oggetto»

di Marilisa Rizzitelli

I segreti delle mani

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Il laboratoriodi lavorazionedel legnodell’associazioneLignarius a Roma

In alto, a sinistra:Macina, 2006il tavolino-mosaicorealizzatoda Francoise Darydall’operadi Pablo Echaurren

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Una squadra di 15 persone coinvolta oltre che nell’in-segnamento anche nel lavoro di restauro di opered’arte commissionato da privati e istituzioni. Agli inter-venti dei docenti si abbinano sempre corsi di forma-zione per gli allievi dei corsi, come è accaduto nel casodel cantiere organizzato nell’oratorio dei Filippini allachiesa romana della Vallicella o per le vetrate dellachiesa irlandese di via Boncompagni.«Non lavoriamo solo per restaurare il mobile dellanonna – prosegue Nespoli – quando arrivano fondipubblici tocchiamo con mano opere di un certo pregio.Non c’interessa il business e la visibilità. Preferiamoandare a scovare beni del nostro patrimonio artistico eoffrire il nostro lavoro di restauratori per recuperarli epreservarli dal tempo». Lignarius ha infatti all’attivomanutenzioni di pregio: la biblioteca del Senato, adesempio, o la fondazione Giorgio e Isa De Chirico.«Spaziamo a 360 gradi. Ci occupiamo anche di artemoderna e contemporanea, quando capita. Lavoriamospesso con la Cgil che possiede una pinacoteca di con-temporanei ricchissima. Nel corso degli anni una dellenostre iniziative di punta è stata Cantieri d’arte, grazieal contributo della regione Lazio. Un progetto mirato a

coniugare la fase creativa dell’artista a quella concretadella realizzazione di un’opera. A volte gli artisti lavo-rano con materiali che non sono propri e si avvalgonodi artigiani per concretizzare le loro idee. Noi li abbia-mo messi vicini. Abbiamo contattato Nanni Balestrini,Francesco Bracaglia, Tommaso Cascella, Vito Cipolla,Pablo Echaurren e li abbiamo fatti lavorare con i giova-ni allievi dei corsi di arti decorative, guidati dai loroinsegnanti. Sono stati prodotti dei lavori unici e profes-sionalità diverse hanno avuto l’opportunità di cono-scersi: una bella esperienza, durata a lungo, con buonirisultati», conclude il direttore. Ogni anno Lignariusorganizza corsi professionali e amatoriali che coinvol-gono in media 150 persone di ogni età e di diversa pro-venienza. Nel 2010, per mancanza di finanziamenti,non sono stati programmati corsi pubblici. All’attivitàistruttiva poi, si accosta quella manuale, con lavoricommissionati da esterni e svolti dagli artigiani docen-ti. Prossimo obiettivo è la creazione a Roma, nel quar-tiere Esquilino, di una Casa internazionale delle arti edei mestieri all’interno della quale artigiani immigratipossano svolgere le attività dei paesi d’origine, creandooccasioni di comunicazione e scambio culturale. �

Il centroTra arte e manualità

Nato nel 1992, Lignarius è uncentro d’arte, artigianato e restauro.Nella sede romana di via Mecenate 35si svolgono diverse attività gestite da un’associazione culturale e dauna società. Fondatori e responsabili di Lignarius sono StefanoNespoli, consulente in antichità e Belle arti per la camera di com-mercio e il tribunale civile di Roma, e Paola Staccioli, giornalistaautrice di libri sulla storia di Roma nonché membro della commis-sione comunale per l’artigianato artistico e di qualità. La strutturapropone un’ampia gamma di corsi di formazione professionale ecorsi amatoriali di restauro, antiquariato, arti decorative.Cinquecento metri quadrati occupati in gran parte dalle sei aule-laboratorio utilizzate per la didattica: decorazione pittorica; restau-ro materiale cartaceo; doratura vetrate artistiche, disegno e pitturae altre. Info: 064885079; www.lignarius.net.

A sinistra:il presidente di LignariusStefano Nespoli

A destra:La vecchia Europascultura di cartapestarealizzata da Lignariussu bozzettodi Nanni Balestrini

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e è passato di tempo daquando Enrico Mattei, colle-zionista attento e raffinato,metteva da parte i giovani epromettenti pittori dell’epo-ca. Gente come Carrà,Sironi, Tosi, Casorati, Moran-di e compagnia che avreb-bero in seguito puntellato

buona parte della storia del Novecento. Il lungimirantefondatore dell’Eni coltivava infatti una profonda passioneper l’arte contemporanea, che ha trasmesso negli anniall’intera struttura messa in piedi pezzo dopo pezzo apartire dal 1953. Una sensibilità particolare, definitamolto bene da Luisella Severo sul Giorno: «Matteiapparteneva a quella rara categoria di imprenditori coltiche acquistavano opere d’arte non per investire denaro,ma per amore». Mecenatismo puro, d’altri tempi. A queipionieristici acquisti – fra i quali è impossibile nonsegnalare l’Omaggio a Fattori di Filippo De Pisis, il pre-diletto dall’imprenditore marchigiano – se ne sono

aggiunti nel corso dei decenni molti altri, fino a costitui-re una collezione di circa 500 opere, conservate nellediverse sedi dell’Eni. Un inventario lascerebbe di stuccogli studiosi dai palati più difficili: dalla rivoluzione divi-sionista dei primi anni del secolo, nelle vibranti opere diPennasilico e Cominetti, a un trittico di nature mortedegli anni Venti di Morandi, De Pisis e Mafai, che tran-sita dalla solidità dei valori plastici alla malinconia dellaScuola Romana. E ancora: dalla raffinatezza ritrattisticadi Casorati al solfeggio formale di Morandi, passando perla luminosità dell’epopea naturalistica di Tosi e la pesan-te trabeazione chiaroscurale dello spazio di Sironi. Dallescomposizioni di Birolli e Cassinari al solido realismo diGuttuso e Sassu fino alle suggestioni informali diChighine, alla semantica inventata di Capogrossi,Castellani, Boetti, Dorazio, alle nuove favole di Salvo eOntani e alla reinterpretazione della natura di Gilardi eArienti. Radici solide e profonde che dicono come lapromozione e la diffusione della cultura, nelle sue diver-se articolazioni, sia da sempre fra i principali obiettivi delcolosso energetico nazionale. Da qualche mese Eni ha

di Simone Cosimi

N

Da Enrico Mattei alle scelteper la nuova comunicazionefra “scouting” e internet

ENERGIEPER ILFUTURO

il motore dell’arteENI

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deciso di tornare a mettere in cir-colo questo suo dna con le pro-prie scelte di comunicazione. Allasensibilità tipica del gruppo s’èaggiunta una forte strategia a tuttotondo. Un salto di qualità, insomma.L’obiettivo – in parte già raggiunto ecomunque in continuo “work in pro-gress” – è infatti la creazione di una fuci-na creativa. L’idea è quella di scovare,in tutti i settantasette paesi in cui Eniè presente, un gruppo di giovani talenti che interpretinoin maniera unica ogni momento della comunicazione.L’arte, la scienza e la tecnologia si fondono dunque neilavori appositamente realizzati dagli artisti selezionati,attraverso i linguaggi più diversi, dalla videoarte alla pit-tura fino alla fotografia. Una scelta coraggiosa, soprattut-to in tempi in cui gli autentici talenti faticano a trovareconcrete possibilità di lavoro. Apertura, sperimentazio-ne, innovazione, internazionalità, ricerca e rispetto sonole nuove “keyword” targate Eni. A partire dagli scenarionirici modellati dell’israeliana Ilana Yahav, specializza-ta nella “sand art” scelta per battezzare le nuove campa-gne tv e stampa. I passi successivi, invece, hanno coin-volto il mondo degli illustratori, per esempio col talen-tuoso Alessandro Gottardo mentre il “graphic designer”belga Koen Ivens ha immortalato la nuova campagna perEni Award. Il risultato vive d’illustrazioni in cui l’energia,in tutte le sue forme, si fonde con elementi caratteriz-zanti dei singoli territori coinvolti. Ultima nata, la cam-pagnaYou & Eni firmata dai “The flying herrings”, le arin-ghe volanti, artisti italiani che spaziano tra le tecniche tra-dizionali e quelle digitali. Un filo che si riallaccia alle ori-

gini e che si apre alle nuove realtàdella rete: il sito Enizyme.com è infat-ti la nuova agorà virtuale, una piatta-forma di scambio fra artisti, esperti,

curiosi e clienti dove tutti icontenuti sfornati dai 35 artistigià al lavoro sono raccolti econdivisi in un’interfacciaminimalista e accattivante chericorda la struttura di un man-

dala. Le immagini, una volta sfiorate con il mouse, apro-no i mondi di chi le ha realizzate: le loro storie e cultu-re, il portfolio dei precedenti lavori e l’opera partorita perEni. Minimo comun denominatore dell’impegno dei gio-vani artisti è l’ormai mitico cane a sei zampe, logo stori-co del gruppo tornato prepotentemente alla ribalta dopola decisione di riunire sotto un unico simbolo, il cane asei zampe, e un nome, Eni, le diverse società del gruppo.«Così il cane nero, proprio come la lupa degli antichiromani – ha scritto Geminello Alvi in occasione dellamostra al Vittoriano dedicata all’archetipico animale –provvederà a nutrire l’economia di una benzina, indi-spensabile all’economia come il latte per i neonati. Eperò l’animale si mantiene selvaggio nel suo vitalismo,del tutto imprevedibile, che è poi anche il caso dell’agi-re appunto di Mattei». Europa, Asia, Africa e America: leinedite energie dello scalpitante cane nero vengono oraattinte da ogni angolo del mondo. E ripartono, nell’otti-ca pervasiva della ragnatela internet, verso mezzo piane-ta attraverso il web, la tv, le radio e la vecchia carta stam-pata. Un caleidoscopio artistico che non è solo una col-lezione né una semplice strategia. Assomiglia, piuttosto,a una mappa per il futuro. �

Nella paginaprecedente:Koen Ivens per eni2010

In alto:Luca Barcellonaper eni, 2010

A destra:il trofeorealizzato daAntonio Pio Saracino

Eduardo Recifeper eni, 2010

Trofei d’autoreIl cane di Saracino per Alonso e Webber

Un piccolo grande capolavoro di design ipertecnologico d’autore.Questo si sono portati a casa gli spagnoli Dani Pedrosa e FernandoAlonso, rispettivamente vincitori dei gran premi di Moto Gp eFormula 1 disputati lo scorso luglio in Germania. Il trofeo è statocommissionato da Eni al giovane designer-architetto italianoAntonio Pio Saracino. Si tratta di un’affascinante rielaborazioneconcettuale del mitico cane a sei zampe ideato nel 1953 da Luigi Broggini. Dalla “cover” di Saracino sboc-cia un sofisticato gioco di linee energetiche che, come ha dichiarato l’artista, «traduce perfettamente il file vir-tuale in oggetto fisico tridimensionale». Lo stesso premio è stato assegnato anche all’australiano MarkWebber, vincitore del gran premio di Formula 1 ungherese. Info: www.antoniopiosaracino.com.

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in cassaforte

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L’ANGOLO DEL COLLEZIONISTA

n mercato attento allararità e alla qualitàpremia non solo leopere importanti cheappaiono sulla scenainternazionale delleaste proposte con lagiusta stima, maanche collezioni diarredi, dipinti e artedecorative di dimore

patrizie con autorevole pedigree.Antichità I prestigiosi reperti archeologici dell’anticaciviltà romana sono battuti a cifre milionarie sullepiazze americane e inglesi. A New York l’11 giugnoSotheby’s batte per 3.442.500 dollari, contro unastima di 300-500mila, una scultura in marmo di etàclassica, Tre satiri in lotta con il serpente, che feceparte della collezione di Lorenzo il Magnifico. Si trat-ta di un gruppo scultoreo di età romana imperiale (Isecolo a. C.) recentemente riscoperto in Austria.Documenti scritti rivelano che il gruppo scolpito furitrovato a Roma nel 1489 scavando nei giardini delconvento di San Lorenzo in Panisperna presso ilViminale e subito fu acquistato dal principe ilMagnifico. La scultura ispirò poi la celebre Battagliadei Centauri di Michelangelo. Alla morte del principela scultura sparì per 350 anni per riapparire nel 1857in una collezione privata in Dalmazia.Dipinti antichi e del XIX secolo Nuovi record mon-diali per gli antichi maestri italiani a Londra. Il 6 luglioda Christie’s un monumentale Re David del Guercinospunta 5.641.250 sterline, un raro dipinto del piùcelebrato artista rinascimentale, Giovanni Bellini, LaMadonna e il Bambino in un paesaggio, è venduto per3.513.250 sterline, quattro vedute di Londra delSettecento di Antonio Joli volano a 1.441.250 sterline,superando la stima massima, cifre tutte impensabilisul mercato nazionale. Da Sotheby’s il 7 un paesaggioitaliano di William Turner, Modern Rome – CampoVaccino è stato acquistato dal Paul Getty Museum diLos Angeles per 29.721.250 sterline, contro una stimadi 12-18 milioni. Altro risultato ragguardevole, 5,9milioni di euro, è stato ottenuto a Londra da Christie’sil 6 luglio con la vendita della raccolta d’arte, dimobili e oggetti provenienti dalla famosa residenzaromana di Maria Angiolillo, oggetti contesi da com-pratori di cinque continenti: una coppia di vedute

UGIUSTERARITÀNelle aste premiate opere importantima anche raccolte e arte decorativa

AmedeoModigliani

Tête1910-12

di Stefano Cosenz

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romane del Settecento dipinte da Antonio Joli per la“French room” del palazzo londinese del duca diChesterfield è stato battuto per oltre 550mila euro,mentre una scultura Senza titolo dell’artista polaccoIgor Mitoraj è stata aggiudicata per oltre 193milaeuro, record mondiale dell’artista all’asta. Ottimirisultati anche a Milano da Sotheby’s l’8 giugno conun fatturato di 2,7 milioni di euro: per 900.700 euroè stato aggiudicato un capolavoro assoluto diGiacomo Ceruti, detto Il Pitocchetto, Portarolo colcane, considerata la più importante opera dell’artistadel Settecento mai apparsa all’asta in Italia. Il dipin-to proveniva dal ciclo di Padernello (dal nome delcastello al quale era originariamente destinato), unaserie di dipinti in cui l’artista rappresenta scene divita quotidiana. Dal Los Angeles County Museumproveniva il top lot della vendita milanese diChristie’s del 27 maggio, l’olio su tavola delCinquecento San Giacomo Maggiore di BenvenutoTisi, detto Il Garofalo, venduto a un collezionista diMilano per oltre 101mila euro contro una stima di50-70mila. Si conferma il trend delle affascinanti edesotiche opere “orientaliste” dell’Ottocento e iniziNovecento ambite dai collezionisti europei, ameri-cani, nordafricani e del Medio Oriente: due nuovirecord mondiali nell’asta parigina di Artcurial dell’8giugno per José Crux Herrera (Les fiancés, stimato60-80mila euro schizza a oltre 471mila) e perAlexandre Roubtzoff (Bédouine de Tunis del 1935,stimato 80-100mila euro, vola a oltre 434mila).Arte moderna e contemporanea Le aste londinesi diChristie’s e Sotheby’s del 22 e 23 giugno scorso diimpressionisti e di arte moderna confermano la tenu-ta di mercato senza comunque quella spasmodicaricerca di record che aveva caratterizzato le venditedi febbraio e con particolare attenzione alla stimadel lotto. Nella vendita serale del 22 di Sotheby’s toplot è l’autoritratto di Edouard Manet del 1878-79 conun realizzo di 22.441.250 sterline (stima 20-30milioni), doppio rispetto a quello ottenuto dalla stes-sa opera nel 1997 (18,7 milioni di dollari); impor-tante il risultato di Arbres à Collioure di AndréDerain del 1905, riscoperto in una banca francesenel 1970 e appartenuto al celebre mercanteAmbroise Vollard: 16.281.250 sterline, oltre la stimamassima di 14 milioni, record mondiale per l’artistafauvista. Nella vendita Christie’s del 23 giugno, ilPortrait d’Angel Fernàndez de Soto del 1903 del

periodo blu di Pablo Picasso, stimato 30-40 milionidi sterline, si ferma a 34.761.250 sterline (nel 1995era stata acquistata dalla fondazione Andrew LloydWebber per 29,1 milioni di dollari). Maggior fortunaha goduto Le baiser, realizzato dall’artista nel 1969,che acquistato nel 2003 per 2.861.600 sterline, nerealizza ora 12.137.250. Da Parigi il 14 giugno unodei più significativi risultati dell’anno: Christie’svende una rarissima scultura d’ispirazione africanadi Amedeo Modigliani, Tête, datata 1910-12, per43.185.000 euro, contro una stima di soli 4-6 milio-ni. Ma l’opera rivela il contatto di Modigliani con unaltro grandissimo scultore, Constantin Brancusi.Anche il mercato delle fotografie d’autore alza latesta. Sotheby’s a New York il 21 e 22 giugno, per lacollezione Polaroid di opere dei migliori maestriscattate con la celebre macchina, realizza un totaledi 12.467.638 dollari: le prime sei posizioni sonooccupate da scatti di Ansel Adams (il suo monumen-tale Clearing Winter Storm, Yosemite National Parkdel 1938, probabilmente stampato negli anni ’50-’60, raggiunge 722.500 dollari contro una stima di300-500mila). Dall’Italia due importanti risultati. Lealte aggiudicazioni delle rare e più belle opere futu-riste di Giacomo Balla: da Farsetti a Prato, top lotdell’asta di arte moderna del 28 e 29 maggio è il suoolio su carta del 1914, Vortice, aggiudicato per744.850 euro. Accanto a Fontana, Burri e Boetti,un’altra firma del post war italiano si conferma tra imaestri del XX secolo acclamati dal collezionismointernazionale, Enrico Castellani: nell’asta milanesedi Sotheby’s del 26-27 maggio la sua Superficie bian-ca n.32 del 1966 ha realizzato 960.750 euro, controuna stima di 400-500mila, nuovo record mondialedell’artista.Arti decorative L’asta di Londra di Sotheby’s del 6luglio premia i tesori con una storia antichissima,come ha dichiarato Mario Tavella, Vice Presidente diSotheby’s Europe: un tavolo commissionato dall’ulti-mo Duca di Urbino in avorio e argento, del 1596-97circa, ha realizzato oltre 937 mila sterline (lo stessoesemplare nel 1989 era stato venduto all’asta per 6mila sterline), mentre un monumentale rinfrescatoioper vino in argento, con un diametro di oltre 1metro, senz’altro uno degli argenti più importantiapparsi nell’ultimo mezzo secolo, è stato compratoda un collezionista privato asiatico per oltre 2,5milioni di sterline. �

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n qualità di curatrice nata nella ex-Jugoslavia e approdata negli Stati Uniti,sono stata invitata a curare la biennale diarte contemporanea che si terrà a Rijeka(Fiume), in Croazia, nel 2011. Essendoemigrata da questa terra, ho cercato unmodo di concettualizzare la mia condi-zione e di offrire una visione d’insiemedelle pratiche moderne che reputo più

interessanti. Ho ripreso il titolo “Out of the left field” (let-teralmente: fuori la sinistra del campo) da una metaforadel baseball che significa all’improvviso, da una parte odirezione inaspettata. Il concetto curatoriale della bien-nale vuole evocare questo elemento di sorpresa, maanche alludere alle sfere politiche e ideologiche. Gli arti-sti rappresentati sono incoraggiati a imitare la strategia

del non allineamento dove, a partire dall’individualitàpiù forte, si stabilisce la possibilità di coesistenza. Gliartisti potranno utilizzare qualsiasi media nell’esecuzio-ne del proprio lavoro, dialogando strettamente con la“performance art” che in questi ultimi anni ha visto unnotevole aumento d’interesse. Durante la biennale sonoprogrammati eventi dal vivo che proveranno la capacitàdella “performance art” di coinvolgere direttamente lospettatore, inducendolo ad analizzare i propri pensieri esentimenti e completando così il lavoro iniziato dall’arti-sta. Interpreto questa visione d’insieme attraverso unosguardo, prettamente personale, sugli esempi individua-li. Questo non è da intendersi come esauriente, ma piut-tosto come una visione frammentata delle grandi opered’arte. I seguenti artisti, anche se provenienti da questaregione, non si inseriscono facilmente nelle coordinate

ISUGGESTIONI DALLA

cose dell’altro mondoARTE DEI BALCANI

Alla biennale di Fiume la nuova generazionedi talenti performativi eredi della Abramovićdi Jovana Stokić

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Jelena Tomasevic“Apparent servitude”, 2010

EX JUGOSLAVIA

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geopolitiche e li ho collocati in modo volontariamentenon definito. È struggentemente chiaro che questi artistinon vivono nei loro paesi nativi. Branko Miliskovic, gio-vane artista serbo, ha proseguito l’eredità dei “performer“di affermata qualità come Marina Abramović. L’ho inclu-so in una recente mostra collettiva che orbitava intornoall’idea di coesistenza reciproca. Non allineato non deveessere interpretato qui nel senso geopolitico, ma a unlivello più astratto: non appartenente allo stesso allinea-mento. Branko è sempre stato interessato a un contattomolto diretto con il pubblico, cercando di stabilire unlivello altro di comunicazione con elementi minimali:dare e ricevere energia dal pubblico, procedere con que-sta e ritrasmetterla ancora, e ancora. «Credo che il corpo– afferma Miliskovic – possa generare una tensione par-ticolare e stimolare una carica elettrica naturale o una

forma di campo magnetico intorno all’artista dopoun’azione di lunga durata, sia statica sia attiva. Lavorointensamente nei campi dello spettacolo dal vivo, videoe film. La tematica più importante su cui vorrei concen-trarmi è certamente “il territorio”. Nei miei lavori recen-ti sono stato molto preso dalla mia individualità, sposta-ta da un contesto balcanico, rude, violento, nazionalisti-co, xenofobico, a un contesto di esperienze europee emondiali, dopo essere stato per vent’anni un “detenuto“politico nel mio paese d’origine. La premessa principaleè di giustificare la mia posizione su un certo territo-rio, passando attraverso determinati paesi e i loroabitanti. La mia arte è sempre stata spinta daun’interna ed estrema necessità di raggiungere eoltrepassare scopi estremi, un’esigenza di trasforma-zione costante e di ricostruzione radicale per lavorare

La mostraJelena Tomasevic

Nove lavori di JelenaTomasevic formano la serie“Apparent servitude”, da cuiil titolo della mostra. La fragi-lità degli oggetti è protagoni-sta assoluta di una desolanterappresentazione postuma-na. Gli stessi semplici ele-menti della vita quotidianaritornano protagonisti nelvideo “Just kidding”: unbreve racconto fatto diimmagini surreali ed enig-matiche. Fino al 20 novem-bre. Artopia, via LazzaroPapi 2, Milano. Info:www.artopiagallery.it.

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finalmente su ciò in cui credo personalmente».Attraverso i suoi video, la fotografia e le performan-ce, i lavori su carta, l’artista croata Vlatka Horvat haesplorato l’assenza, la memoria e l’occultamentoattraverso la giusta opposizione dei componenti di undato sistema, come il corpo umano, sullo sfondo delmondo intero. L’artista crea un ambiente inquietantedi proiezioni di immagini, oggetti trovati modificati, eproposte architettoniche in cui il corpo e lo spazioche occupa sono presentati come luoghi di delusione,collasso e frammentazione offrendo al contempo unmodello alternativo per reinventare, resistere e gioca-re. I lavori di Ana Prvacki prendono la forma di pro-getti e iniziative che attingono su performance, esteti-ca del consumatore e lo stile popolare e investiganol’economia sempre più dematerializzata di servizi eidee. Nel 2003, Prvacki ha fondato la “Ananaturalproduction“, una società di consulenza di innovazio-ne e stile di vita che abbina preoccupazioni concet-tuali, problemi contemporanei e vari modi di comu-nicazione per distribuire idee, ricette e istruzioni per ivari generi di esperienza. Le installazioni di Prvackisono spesso partecipative, promuovono e fornisconoprodotti e servizi agli spettatori, come il lavaggio deisoldi nel “The money mountain” (2008), dove lava lebanconote della gente. Per la biennale di Sidney,Prvacki ha esplorato la fornitura di un servizio di eli-minazione del dolore. Lei suona e si esercita con ilflauto per stimolare la salivazione. Attraverso un sem-plice procedimento alchemico, la saliva viene raccol-ta e trasmutata in uno speciale antidolorifico, deriva-to dalla musica. Coscritto durante la guerra civilebosniaca (1992-1995) per combattere in difesa diSarajevo, sua città natale, Nebojša Šerić-Shoba ha tra-scorso la maggior parte della sua ferma militare a sca-

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La biennale di KonjicLa sede è nell’ex bunker antiatomico di Tito

Oltre alla biennale di Rijeka curata da Jovana Stokic, nella primavera del 2011 una seconda biennale dalla sede insolita si svolgerà vici-no a Sarajevo. L’ex bunker antiatomico di Josip Broz, detto Tito, a Konjic, in Bosnia Erzegovina, apre le sue porte e verrà usato per la primavolta per un progetto artistico: la biennale di arte contemporanea intitolata “D-o ark underground”. La manifestazione rinasce su proget-to di un gruppo di intellettuali e su un’idea dell’artista bosniaco Jusuf Hadzifejzovic che ha ottenuto l’apertura e la destinazione del bun-ker, fatto costruire da Tito tra il 1953 e 1979. ll primo artista a essere invitato è Jannis Kounellis, mentre il primo partner europeo è Il cen-tro di ricerca dell’università di Roma La Sapienza, il Museo laboratorio di arte contemporanea (Mlac) già diretto da Simonetta Lux.

vare trincee tra i corpi sparsi sul campo di battaglia.È da queste esperienze che l’artista ha sviluppato unprofondo senso di sfiducia per la macchina politicache ha visto i vicini prendere di mira altri vicini, spa-rando attraverso linee arbitrarie di demarcazione. Alungo andare questa esperienza lo ha portato allasobria costatazione che la “storia della razza umanapuò essere vista come una storia di conflitti”, la mag-gior parte dei quali sono “destinati ad essere dimen-ticati, sepolti sotto la superficie della storia”. I viaggisuccessivi dell’artista lo portano a fotografare varicampi di battaglia, inclusi quelli di Waterloo,Gallipoli, Troia, Verdun, Normandia, Istanbul,Gettysburg e Kursk. Poiché le competitive incarna-zioni sociali, culturali e linguistiche, rendono quasiimpossibile reclamare un’idea fissa di storia o iden-tità nazionale, il rapporto tra storia e luogo è diven-tato una lotta per il possesso del passato. JelenaTomasevic, nata a Podgorica, Montenegro, è profon-damente legata all’istituzione del dipingere. Nei suoidipinti, video e installazioni esplora l’identità al di làdella palese identità sessuale o categorie nazionali.La serie di dipinti “Joy of life” rappresentano figuremaschili e femminili che indugiano in un universodisgiunto e postutopico. Le figure non sono coinvol-te in alcuna attività, stanno semplicemente posandocome nelle riviste di moda. Figure femminili con tac-chi alti, vestite in completi urbani alla moda sugge-riscono azioni sinistre dove la violenza è solamentepercepita. Segnalano l’avvento della tarda culturacapitalista dello spettacolo, come un ritratto delmondo che si è spinto da solo verso una strada senzavia d’uscita. Questi sono alcuni degli esempi diincredibilmente determinate visualizzazioni nonconvenzionali in cui credo. �

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Branko Miliskovicdalla performance “Enlightening”, 2010

foto Nemanja Ladjic

A pag. 94, dall’alto:Vlatka Horvat

“Arrangements (ll)”, 2008Ana Prvacki

“The wild goose step (and then she said)”still da video, 2007

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UUomo e donna in dialettica d’amore. Unioni che preludono ad addii. Canti a due vocie per voce sola. Sono le tonalità prevalenti in gran parte delle opere di Emilio Grecoraccolte nell’omonimo museo di Sabaudia, in provincia di Latina. Incisioni, sculture,medaglie e rilievi che si propongono anche come alter ego visivo delle poesie chel’artista ha dedicato al più dibattuto e insondabile dei sentimenti. Con il privilegio, neldestino della coppia, accordato al distacco, come emerge dai suoi versi: “Non ha piùsperanza del ritorno questo mio lungo commiato d’amore”. Nato a Catania nel 1913 emorto a Roma nel 1995, Emilio Greco ha soggiornato a lungo a Sabaudia, dove è sep-pellito. Il Museo ha inaugurato nel 1985. Anima della vita culturale cittadina, dotatodi ambienti per esposizioni temporanee ed attrezzature multimediali, è un degno pen-dant degli altri tre musei intitolati a Greco: Tokio, Orvieto e Catania. A concludere ilciclo di eventi programmati in occasione del venticinquennale è stata la personaleEmilio Greco, la dimensione psicologica e spirituale. L’accorto allestimento portava lafirma di Giorgio Agnisola che ha offerto una delle letture più convincenti della perso-nalità dell’artista, fondandola sull’intenso legame, a tratti biunivoco, fra interiorità el’aspetto tangibile della stessa. Un legame che si alimenta di un robusto allenamentoall’indagine introspettiva: i volti, le figure, le posture scelte da Greco vogliono davve-ro essere lo specchio dell’anima, il mettersi in vista dei (terre)moti emozionali, dellepulsioni affettive, delle ambizioni ascetiche. Il tutto, tecnicamente parlando, ottenutocon un dosaggio rivoluzionario del segno e della lumeggiatura che obbliga lo sguardoa fissarsi sugli scuri, a rarefarsi e quindi a riposarsi, dopo tanta densità, anche metafo-ricamente intesa, sulle ampie e decise zone di chiaro. Nei prossimi mesi il museo orga-nizzerà un ciclo di incontri con l’obiettivo di far conoscere le opere del maestro dedi-cate al disegno a china, a matita e le tecniche dell’incisione. Museo Emilio Greco,palazzo Comunale, Sabaudia (Latina). Info: 0773515791. �

il cammeo

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Sabaudia dedica un museo a Emilio Greco: incisioni, sculture e rilievi sul rapporto di coppia di Adiem

Immaginid’amore

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Emilio GrecoImmagine d’amore1972

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Caporedattore Maurizio [email protected]

Redazione Giorgia Bernoni, Simone CosimiMaria Luisa Prete, Camilla [email protected]

Grafica Gaia [email protected]

Foto Manuela Giusto, Ap/Lapresse

Hanno collaboratoValeria Cantoni, Stefano CosenzAnna Dalla Mura, Flaminio Gualdoni, ManfrediLamartina, Elena Mandolini, Claudia QuintieriMarilisa Rizzitelli, Cecilia Sica, Jovana Stokic

Coordinamento editoriale EditaliaCecilia Sica, Daniela Tiburtini

SofàTRIMESTRALE ANNO 4 NUMERO 12

Sofàè una pubblicazione trimestrale di EditaliaGruppo Istituto Poligrafico e Zecca dello Statoviale Gottardo 142, 00141 RomaNumero verde 800014858 - fax 0685085165www.editalia.it

Progetto editoriale e realizzazioneGuido Talarico Editore spawww.guidotalaricoeditore.it

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Responsabile trattamento datiGuido Talarico. Le notizie pubblicateimpegnano esclusivamente i rispettiviautori. I materiali inviati non verrannorestituiti. Tutti i diritti sono riservati

Autorizzazione del Tribunaleordinario di Roman. 313 del 3.8.2006

In copertina

Lire 50 del cinquantenariodell’unità d’Italia, 1911

numero chiuso in redazione il 06.10.10

Sofà è visibile online sul sitowww.insideart.eu

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SCULTURE IN MOVIMENTO: ENZO FERRARIIl tributo al fondatore del Cavallino Rampante

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Anno IVNumero 12

2010

150LIBRI D’ARTE, MONETE E MEDAGLIEper raccontare la nostra storia

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Eventi/1Sisi e Amato:1861, i pittori

del Risorgimento

Le intervistepossibiliGaribaldi

un eroe inutile?

Un caffè conBonito Oliva:

un’enciclopediaper il contemporaneo

Eventi/2Vittorini racconta

Guttuso nel centenariodella nascita

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