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MATERIALE DIDATTICO IDONEITA’ ALLA CLASSE 5. SOCIOLOGIA Indice STATUS MOBILITA’ LA SOCIALIZZAZIONE LA LIBERTA INDIVIDUALE ECHELON PRIVACY E GIORNALISMO LA PRIGIONE MIGRAZIONE LE ISTITUZIONI LA POLITICA LO STATO IL WELFARE STATE

Transcript of SOCIOLOGIA - diploma online e recupero anni scolastici · che assicura il primo obbiettivo; e una...

MATERIALE DIDATTICO IDONEITA’ ALLA CLASSE 5.

SOCIOLOGIA

Indice

STATUS

MOBILITA’

LA SOCIALIZZAZIONE

LA LIBERTA INDIVIDUALE

ECHELON

PRIVACY E GIORNALISMO

LA PRIGIONE

MIGRAZIONE

LE ISTITUZIONI

LA POLITICA

LO STATO

IL WELFARE STATE

STATUS

In diritto ed in sociologia si definisce status (o stato giuridico) la

posizione di un soggetto rispetto ad un determinato gruppo sociale, che

può essere l'intera collettività o un gruppo minore, dalla quale derivano

determinate situazioni giuridiche soggettive. Ne segue che lo status non è

di per sè una situazione giuridica soggettiva ma una qualità giuridica da

cui può derivare l'attribuzione di situazioni giuridiche soggettive (ad

esempio, dallo status di cittadino derivano il diritto di voto e l'obbligo di

prestare servizio militare). Lo status può essere di diritto pubblico (ad

esempio, quello di cittadino) o di diritto privato (ad esempio, quello di

figlio o di coniuge).[1]

Il termine deriva dal diritto romano, dove condizione necessaria per

disporre della capacità giuridica era il possesso di tre status:

• lo status libertatis, che distingueva l'uomo libero dallo schiavo;

• lo status civitatis, che distingueva il cittadino romano (civis

romanus) dai non cittadini;

• lo status familiae, che distingueva il pater familias dagli altri

membri della famiglia.

Secondo la teoria di Henry Summer Maine il diritto delle società

tradizionali sarebbe fondato sullo status, laddove il diritto delle società

moderne sarebbe invece essenzialmente fondato sul contratto (o, più in

generale, sugli atti di autonomia privata). Nelle società tradizionali,

infatti, le persone sono considerate non come individui ma come membri

di un particolare gruppo, quale un ceto, una casta, un clan o una famiglia;

è l’appartenenza al gruppo a determinare i loro diritti e doveri, che sono,

quindi, tendenzialmente statici. Nelle società moderne, invece, le persone

sono prese in considerazione come individui e i contratti, da esse

liberamente conclusi, hanno gradualmente sostituito lo status quale fonte

di diritti e doveri.

In realtà lo status non è mai scomparso nel corso dell'evoluzione dei

sistemi giuridici; anche nel diritto privato, terreno di elezione del

contratto e dell'autonomia privata, il concetto di status gioca tuttora un

ruolo non trascurabile e viene associato ai rapporti familiari (si pensi allo

status di figlio, di genitore o di coniuge) o all'attività economica esercitata

(si pensi, con riferimento all’ordinamento italiano, allo status di

imprenditore o di libero professionista). Non solo: secondo molti autori a

partire dal XX secolo si è registrata una tendenza inversa, di ritorno allo

status, in conseguenza delle crescenti limitazioni della libertà

contrattuale, di diritto (si pensi alle norme a tutela delle "parti deboli",

quali i consumatori) o di fatto (si pensi al diffondersi della contrattazione

collettiva che vincola i contratti individuali tra datori di lavoro e

lavoratori). Lo status ha poi, da sempre, un ruolo molto importante nel

diritto pubblico: si pensi alle conseguenze che derivano dallo status di

cittadino, membro del parlamento, militare, detenuto e così via.

MOBILITA’

Per mobilità sociale si intende il passaggio di un individuo o di un

gruppo da uno status sociale ad un altro, e il livello di flessibilità nella

stratificazione di una società, il grado di difficoltà (o di facilità) con cui è

possibile passare da uno strato ad un altro all'interno della stratificazione

sociale ossia la pluralità dei gruppi sociali presenti all'interno della

società con ruoli diversi e diverso accesso alle risorse.

La mobilità sociale ha avuto inizio dalla rivoluzione industriale con lo

spostamento di grandi masse di persone dalle campagne verso i centri

urbani (urbanizzazione), quindi con la nascita dell'industrializzazione. È

comunque solo con la più recente comparsa della classe media

impiegatizia che la mobilità sociale è diventata un fenomeno forte, per

cui molti figli di operai e contadini sono entrati a far parte della classe

media, anche se le classi superiori, come l'alta borghesia, sono rimaste

perlopiù composte da figli di borghesi. La mobilità sociale, quindi, tende

a presentarsi tra le classi basse e medio-alte, e ad essere molto limitata

per quello che riguarda le classi più elevate.

Esistono vari idealtipi utili a classificare la mobilità:

• Intergenerazionale (misurata confrontando lo status sociale

dell'individuo con quello dei suoi genitori) / intragenerazionale

(distanza coperta da un individuo nella propria vita).

• Assoluta (grado di mobilità sociale in una società stratificata nel

suo complesso) / relativa (grado di mobilità sociale nelle diverse

classi di una società stratificata).

• Occupazionale (riferita solamente al lavoro) / sociale (riferita sia al

lavoro che ad altre componenti).

• Individuale / di classe.

Le società a mobilità sociale più elevata (sia intra che inter generazionale)

sono perlopiù quelle industrializzate, grazie alla presenza della classe

lavorativa medio-alta, all'importanza dell'istruzione come strumento di

elevazione sociale del soggetto, alla maggior specializzazione che nel

lavoro è richiesta e che proprio con l'istruzione può essere raggiunta, e

alla diffusione delle idee e dei valori di uguaglianza e pari opportunità. Le

società a mobilità sociale più bassa sono nella maggior parte dei casi

quelle a economia agricola, dove non è necessaria una specializzazione e

quindi l'istruzione non ha un ruolo fondamentale, e non è presente la

classe media. In queste società è più forte il ruolo attribuito dalla nascita e

lo status "ereditato" dalla famiglia d'origine.

Il concetto di mobilità in 3 sociologi classici

Secondo Karl Marx l’unica mobilità possibile è quella consistente nel

passaggio da un modo di produzione al successivo: un enorme

cambiamento macrosociale (es: il passaggio dal sistema feudale al

sistema industriale); è questa una lettura legata alla dicotomia

struttura/sovrastruttura.

Secondo Max Weber la mobilità è l’interagire di classi, ceti e partiti, in

un ambito multidimensionale.

Secondo Vilfredo Pareto la mobilità consiste nell’avvicendamento delle

elite dirigenti (politiche e non politiche) perché la società necessita di una

elite adatta a governare bene; ne deriva il problema dell’adeguatezza

della elite.

Classificazione delle società

È possibile classificare le società in base al grado di mobilità che esse

permettono. Troviamo in questa classificazione alcuni "tipi puri estremi"

intesi come estremi di un continuum; se da un lato troviamo la società

USA (che ha fatto della mobilità sociale un imperativo sociale), all'altro

capo troviamo la società indiana (che vive nella divisione in caste

un'artificiosa immobilità dovuta alla chiusura sociale). Si potrebbe

collocare l'Italia nel mezzo di questo continuum, semmai spostata

leggermente verso il punto di massima mobilità sociale. Da notare che si

tratta di una categorizzazione puramente convenzionale: sia la società

USA che la società indiana presentano rispettivamente vincoli alla

mobilità e canali di mobilità.

Nelle società totalmente immobili troviamo degli individui "infiltrati"

sugli scalini alti della gerarchia e questo è dovuto principalmente ad

eventi eccezionali (es: in Iraq la Seconda Guerra del Golfo ha deposto il

regime preesistente e ne ha instaurato un altro prima escluso dal potere).

Altro motivo di mobilità sono generalmente grandi doti individuali (es:

invenzione geniale sfruttata a fini di arricchimento) oppure unioni

matrimoniali particolarmente convenienti (es: sposare il principe

d’Inghilterra fa compiere un notevole passo in avanti nella scala sociale).

Alla stessa maniera, società totalmente mobili presentano un minimo di

cristallizzazione o chiusura sociale, che consiste in confini che

impediscono ad alcuni di accedere ad alcune posizioni.

Canali di mobilità sociale

Esistono vari modi di salire o scendere nella gerarchia. I canali di

mobilità variano da società a società e da epoca a epoca.

Alcuni esempi: nelle società militari e nei regimi dittatoriali abbiamo

l’esercito (es: fondamentale canale di mobilità nell'URSS). Nelle società

industriali i canali possono essere l'inserimento nel sistema produttivo, il

titolo di studio, l'appartenenza a determinate istituzioni (es: Ministero

dell'Interno), il possesso di organizzazioni economiche (es: Bill Gates)

e/o legami con istituzioni religiose.

LA SOCIALIZZAZIONE

La socializzazione è quel processo di trasmissione di informazioni

attraverso pratiche e istituzioni capaci di trasmettere alle nuove

generazioni il patrimonio culturale accumulato fino a quel momento

grazie a due particolarità:

• Ogni società ha una vita più lunga rispetto agli individui che la

compongono

• Il patrimonio culturale comprende l’insieme di competenze sociali

di base e competenze specialistiche che diversificheranno la

società. Si ha per questo motivo una “socializzazione primaria”

che assicura il primo obbiettivo; e una “socializzazione

secondaria” che si occupa del secondo.

Il primo stadio riguarda i primi anni di vita di un bambino, fino circa

l’inizio delle scuole primarie. Segue poi la fase successiva che dall’inizio

della scuola si protrae per tutto l’arco della vita. Il patrimonio culturale di

generazione in generazione viene modificato, in quanto la società

continua a modificarsi di fronte a nuovi fattori. Per questo una parte del

patrimonio (la parte obsoleta) viene di volta in volta accantonata e lascia

spazio all’innovazione.

In altre parole, la socializzazione è un processo di apprendimento che

porta i minori, inseriti in un determinato contesto sociale e culturale del

quale assimilano le norme e condividono il linguaggio e il riferimento ai

valori, a preferire specifici codici di comportamento, modalità alimentari,

interpretazioni della realtà sociale.

Il processo di socializzazione

Nel processo di socializzazione di una nuova generazione, è difficile

stabilire il grado per cui il patrimonio umano è intrinseco nelle

informazioni genetiche e il grado di informazioni trasmesse attraverso la

conoscenza . Sono entrambi fattori esistenti, ma pare che le informazioni

genetiche siano soprattutto delle potenzialità che si possono sviluppare,

non delle informazioni precise e restrittive. Questo è anche ciò che ci

differenzia di più dal resto della specie animale, che invece presenta un

alto grado (rispetto all’uomo) di informazioni genetiche precise e un

minore grado di facoltà di apprendimento.

Le fasi della socializzazione primaria

Alla nascita, un bambino, è un essere dotato di grande plasticità entro i

limiti posti dalle caratteristiche biologiche della specie. Le modalità e gli

esiti della prima fase di socializzazione condizionano, ma non

determinano le modalità e gli esiti delle fasi successive. L’esperienza

della prima socializzazione, determinerà il rapporto che il bambino

crescendo poi manifesterà nei confronti del mondo. Se la prima

socializzazione risulta appagante, se l’attaccamento alla madre viene

ripagato con una buona interpretazione dei bisogni del bambino, egli

svilupperà un atteggiamento positivo nei confronti della vita. La stabilità

affettiva, il frequente contatto fisico, sono tutti fattori che creano nel

bambino sicurezza e fiducia in se stesso e nel mondo che lo circonda.

Tuttavia, il bambino non è solamente un essere che reagisce ai fattori

esterni, ma è anche lui il protagonista insieme ai genitori del rapporto che

va formandosi. I genitori nell’educare il bambino dispongono di una

molteplicità di metodi di punizione/premio, la loro efficacia e la loro

attuazione determinerà una buona o una cattiva interiorizzazione delle

regole da parte del neonato. Man mano che l’individuo cresce, i suoi

rapporti sociali si estendono dalla madre, alla famiglia, a gradi sempre più

elevati e diversificati. Allo stesso modo l’individuo dovrà cambiare pur

mantenendo stabile la propria identità. In questo processo si possono

distinguere due componenti che corrono parallelamente:

• Identificazione: il riconoscersi simili ad un determinato gruppo.

• Individuazione: scoprire la propria specificità personale.

Socializzazione nelle classi sociali

Il processo di socializzazione assume caratteri diversi anche in base alle

classi sociali. Per esempio, la classe media ha una tendenza a

incoraggiare le nuove generazioni all’autonomia, all’autocontrollo, alla

fiducia in se stessi; al contrario la classe operaia (storicamente)

incoraggia tendenzialmente più alla conformità, all’obbedienza,

all’ordine. Oggi però, questi fattori risultano meno incisivi in una società

moderna.

• Frank Riessman ha individuato il prevalere della personalità

eterodiretta (dipendente dal giudizio e dai messaggi dei media)

nella società moderna rispetto a una personalità autodiretta

(dipendente da criteri e valori interiorizzati) della società pre-

moderna.

• Christian Schonwetter spiegò come i genitori siano dotati di una

razionalità inconsapevole nei confronti del rapporto con i propri

figli per cui più ci si trova in una classe sociale bassa, tanto più il

genitore tenderà a impostare in maniera totalitarista il rapporto con

i figli, quasi preparandoli alle difficoltà sociali che quella classe

comporta.

La socializzazione secondaria

La socializzazione secondaria, è quell'insieme di pratiche messe in atto

dalla società che consentono agli individui di assumere ed esercitare ruoli

adulti. Ogni individuo ricopre una pluralità di ruoli che si collocano in

sfere separate tra loro. Dalla sfera dei ruoli familiari a quelli professionali

ecc... Il termine che individua l’insieme dei ruoli di un individuo, si

chiama role set. I ruoli cambiano e/o si evolvono nel tempo, inoltre sono

tra loro interdipendenti per cui una svolta nell’ambito di un ruolo può

comportare cambiamenti e/o assestamenti negli altri ruoli che il soggetto

ha. La socializzazione secondaria è dunque un processo continuo, che

dura tutto l’arco della vita e di cui si possono sottolineare due aspetti:

• L’aspetto cumulativo di tutti in processi di apprendimento che

accompagnano la socializzazione.

• L’aspetto della continuità del processo di socializzazione

secondaria, per cui l’individuo diventa consapevole (al contrario

della socializzazione primaria) della propria posizione all’interno

di un processo duraturo dentro il quale lui è l’agente primario del

processo stesso.

Gli agenti della socializzazione secondaria

La scuola, è la prima istituzione sociale extradomestica con il quale

l’individuo inizia il proprio processo di socializzazione secondaria. Al di

là dei contenuti dell’insegnamento, il soggetto, è innanzitutto indotto a

socializzarsi con gli altri attraverso una molteplicità di ruoli che si trova a

interpretare di fronte all’autorità dell’insegnante, la tendenza alla

prestazione premiata, la competizione con i compagni ma anche la

cooperazione con i compagni stessi.

Il gruppo dei pari, cioè tra individui che sono formalmente sullo stesso

piano e tra i quali non esiste un rapporto sanzionato di autorità o di

subordinazione (fratelli, compagni di scuola, di lavoro ecc..) svolgono un

importante ruolo lungo il processo di socializzazione secondaria. Tra i

vari tipi di gruppo a cui un soggetto può appartenere, un'importanza

particolare spetta ai gruppi politici che determinano la socializzazione

politica dell’individuo. Ogni gruppo politico infatti dispone di strumenti

di indottrinamento e di controllo per incanalare i propri membri nella

direzione delle proprie linee d’azione.

Tra i mezzi di socializzazione secondaria, ormai sono di primo piano

anche i mezzi di comunicazione di massa in quanto la loro influenza si

sovrappone a quella degli altri agenti di socializzazione. È noto infatti

come i mass media, possono svolgere un'attiva concorrenza agli altri

agenti di socializzazione, talvolta producendo anche dei conflitti di

socializzazione.

I conflitti di socializzazione

Gli agenti di socializzazione agiscono indipendentemente l’uno dall’altro

per cui un individuo nel corso della vita accumula delle esperienze di

socializzazione tutt’altro che armoniche e lineari. L’istituzione della

scuola, ad esempio può produrre in un individuo degli effetti incoerenti

quando un insegnante sfiducia e un altro incoraggia uno stesso ragazzo. I

mezzi di comunicazione di massa sono altrettanto incoerenti e producono

effetti di dispersione e eterogeneità piuttosto che di omologazione. Nel

processo di socializzazione secondario, l’individuo può portare coerenza

nei processi di socializzazione conflittuali e contrastanti, dato che egli

stesso è l’agente primario a differenza della socializzazione primaria dove

il soggetto è ancora inerme. È quindi proprio l’individuo che compiendo

le sue scelte nell’arco della sua vita, costruirà una coerente identità

propria.

LA LIBERTA INDIVIDUALE

La libertà individuale è il diritto al riconoscimento delle capacità di

realizzare e sviluppare le proprie aspirazioni liberamente scelte da ogni

persona.

Il pieno rispetto della libera scelta delle aspirazioni di ogni individuo è il

diritto di ogni persona ad esprimere la propria privacy, a sottrarsi

all’obbligo di assumere identità coatte, a differenziarsi, a concretizzare le

proprie aspirazioni, rifiutando ogni standardizzazione.

L’art. 154 comma 1 lett. h del Codice della privacy (Codice per la

protezione dei dati personali) stabilisce espressamente che tra i compiti

del Garante per la protezione dei dati personali vi è anche quello di

«curare la conoscenza tra il pubblico della disciplina». Conoscenza non

solo giuridica ma fattuale, secondo un’interpretazione anche dottrinale

che esclude una visione distorta del Garante quale soggetto limitante

dell’intraprendenza e della libertà attraverso prescrizioni burocratiche. In

tale senso garantire la privacy non significa soltanto perseguire le sue

violazioni ma favorire lo sviluppo della persona e della propria identità.

La privacy è pertanto intesa come massima espressione del principio di

sussidiarietà (cercare e trovare nel punto più vicino alla persona – la

privacy – la propria soddisfazione). La libera espressione di se stessi

risulta quindi il momento necessario per lo sviluppo pieno e libero della

propria libertà individuale.

ECHELON

ECHELON (in italiano si tradurrebbe con scaglione) è il nome di un

sistema di sorveglianza globale attuata da parte di alcuni stati, creato

durante la guerra fredda. È gestito da Stati Uniti, Regno Unito, Australia,

Canada e Nuova Zelanda.

L'infrastruttura spaziale è stata insediata ad inizio negli anni sessanta con

la messa in orbita di un gran numero di satelliti spia ognuno dei quali ha

il nome di una differente generazione tecnologica corrispondente ad una

cosiddetta costellazione: ne sono alcuni esempi Ferret, Canyon, Rhyolite

e Aquacade Ocelot.

Responsabile di questi progetti era la National Security Agency (NSA), la

maggiore agenzia di intelligence americana che agiva in collaborazione

con la CIA e la supersegreta National Reconnaissance Office (NRO).

Negli anni novanta sono stati approntati dei sistemi tecnologicamente più

evoluti, ovvero i satelliti spia di classe Trumpet, Lacrosse, KH11,

Mercury e Mentor.

I centri elaborazione dati terrestri si trovano a Menwith Hill (Gran

Bretagna), a Pine Gap (Australia) e a Misawa Air Base (Honshū,

Giappone). Il controllo esecutivo degli insediamenti è gestito dagli Stati

Uniti. A questi siti va aggiunta l'Isola di Ascensione (in inglese:

Ascension Island; isola situata nell'Oceano Atlantico), che rappresenta (o

rappresentava) una base strategica non citata tra i siti ufficiali del progetto

Echelon.

ECHELON utilizza le intercettazioni dei cavi sottomarini del genere

Aquacade e Magnum per controllare tramite i suoi più importanti centri

di invio le trasmissioni di Internet, in particolare lo smistamento di

messaggi e-mail.

Data l'enorme mole di dati sorvegliata, impossibile da analizzare a mano,

viene utilizzato un sistema di intercettazione dei messaggi sospetti

(inviati via e-mail, telefono, fax ecc.) basato sull'identificazione di parole

chiave e loro varianti, in grado anche di rintracciare l'impronta vocale di

un individuo.

Non si sa molto su come funzioni il meccanismo e di quali coperture

goda: quello che è certo è che nel 1997, in seguito al processo di due

ragazze pacifiste, in alcuni documenti e testimonianze la British Telecom

ha fatto sapere che tre linee a fibre ottiche (con la capacità di centomila

chiamate simultanee ciascuna), passavano per il nodo di Menwith Hill.

Su ECHELON sono state sollevate, negli anni, numerose interpellanze al

Parlamento Europeo, il quale ha aperto una commissione temporanea sul

caso.

In passato si è sospettato che il sistema possa essere stato sfruttato anche

per scopi illeciti, quali spionaggio industriale a favore delle Nazioni che

lo controllano, a discapito delle aziende di altri Paesi anche se a loro volta

aderenti alla NATO.

Non è stato mai confermato un coinvolgimento in ECHELON della base

USA di Gioia del Colle, nota per le vicende legate alla cosiddetta strage

di Ustica.

Praticamente certo è invece il coinvolgimento della base USAF, in realtà

controllata dalla CIA, a San Vito dei Normanni presso Brindisi, non più

operativa dal 1994 (guarda in GoogleMaps). Nella zona era visibile fino a

fine anni novanta la struttura dell'antenna Wullenweber installata, molto

simile a quella presente presso la base navale di Rota, in Spagna.

La base di San Vito Air Station era diventata operativa durante la prima

metà degli anni sessanta con un raggio utile di intercettazione delle

comunicazioni radio di circa 1500 miglia.

PRIVACY E GIORNALISMO

Il rapporto fra diritto di cronaca e privacy è molto complesso ed è

regolato da una serie di norme che, con il passare degli anni, stanno

tentando di stabilire un corretto compromesso fra i diversi interessi messi

in campo.

Ci sono norme, volte a proteggere la privacy dei cittadini, alle quali i

giornalisti devono attenersi durante l'adempimento del proprio lavoro:

• L'8 luglio del 1993 è stata approvata, da parte del Consiglio

nazionale dell'Ordine dei giornalisti e dalla Federazione nazionale

della Stampa, la Carta dei doveri dei giornalisti italiani. Il

documento è significativo in quanto si propone di tutelare la libertà

di informazione intesa anche come diritto passivo della collettività.

La carta è suddivisa in quattro punti fondamentali: i diritti della

persona, il dovere di rettifica, la presunzione di innocenza e le

incompatibilità professionali. La parte concernente i diritti della

persona, oltre a vietare qualsiasi tipo di discriminazione per razza,

religione, sesso ecc., afferma che non si possono pubblicare notizie

sulla vita privata delle persone. In questa sezione vengono poi

ripresi i contenuti della Carta di Treviso per quanto riguarda la

tutela dei minori e dei soggetti deboli. In particolare si sottolinea

l'obbligo di tutelare l'anonimato del minore e l'impegno ad evitare

la presenza di minori in trasmissioni televisive che possano ledere

la sua personalità. Viene poi stabilito il divieto di rendere

identificabili tre tipologie di soggetti:

1. le vittime di violenze sessuali,

2. i membri delle forze di pubblica sicurezza e dell'autorità

giudiziaria,

3. i congiunti di persone coinvolte in fatti di cronaca.

La Carta introduce inoltre un Comitato nazionale per la correttezza e la

lealtà dell'informazione, organismo che ha la funzione di raccogliere e

valutare le segnalazioni dei cittadini che ritengono di essere stati offesi da

un articolo di giornale.

• La legge del 31 dicembre 1996, n. 675 garantisce che il

trattamento dei dati personali si svolga nel rispetto dei diritti, delle

libertà fondamentali e della dignità delle persone fisiche. L'articolo

25 si intitola Trattamento di dati particolari nell'esercizio della

professione giornalistica, e vieta di trattare senza consenso dati

idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale dei cittadini, e

affida al Garante il compito di promuovere l'adozione, da parte del

Consiglio nazionale dell'Ordine, di un codice deontologico relativo

al trattamento dei dati personali.

• Il Codice di deontologia relativo al trattamento dei dati

personali nell’esercizio dell’attività giornalistica è stato

consegnato al Garante nella sua versione definitiva il 29 luglio

1998, ai sensi dell'art. 25 della l. 675/96. Il punto chiave del codice

è la distinzione fra la sfera privata e interesse pubblico. È

composto da 13 articoli, nei quali si inserisce la tutela di alcuni

diritti personali come il diritto alla riservatezza sulle origini

etniche, il pensiero politico, le abitudini sessuali, le convinzioni

religiose, le condizioni di salute delle persone, il diritto alla

dignità degli imputati nei processi e dei malati.

Molto importante è l'art. 6 del Codice, che parla di essenzialità

dell'informazione e chiarisce che una notizia può essere divulgata, anche

in maniera dettagliata, se è indispensabile in ragione dell'originalità del

fatto, della relativa descrizione dei modi particolari in cui è avvenuto,

nonché della qualificazione dei protagonisti.

Anche nel codice, all'art. 7, viene ripresa la necessità, espressa nella Carta

di Treviso, di una tutela rafforzata dei minori. Nel caso di minori

scomparsi o rapiti, in particolare, è necessario il consenso dei genitori.

L'art. 8 stabilisce invece, sempre nella sfera del rispetto per la dignità

delle persone, il divieto di pubblicazione di immagini impressionanti.

• Il Codice di protezione dei dati personali, in vigore dal 1º

gennaio 2004, dedica il titolo XII, Giornalismo ed espressione

letteraria ed artistica alla disciplina del rapporto fra diritto di

cronaca e diritto alla privacy.

Il Codice suddivide i dati personali in quattro categorie:

1. dati sensibili: quelli idonei a rivelare "l'origine razziale o

etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere,

le opinioni politiche, l'adesione a partiti, sindacati,

associazioni od organizzazioni a carattere religioso,

filosofico, politico o sindacale, nonché i dati personali idonei

a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale" di una persona.

2. dati semisensibili: sono informazioni i cui trattamenti

possono causare danni all'interessato, sono dati di sospettati

di frode o dati relativi a situazioni finanziarie

3. dati comuni: sono tutte quelle informazioni, come nome,

cognome, partita I.V.A., codice fiscale, indirizzo, numeri di

telefono, numero patente, che consentono di individuare una

persona fisica o giuridica, sia essa anche un ente od

associazione.

4. dati giudiziari: sono quelle informazioni idonee a rivelare

provvedimenti in materia di casellario giudiziale, anagrafe

delle sanzioni amministrative dipendenti da reati o carichi

pendenti.

Nel caso dei dati sensibili, si prescinde dal consenso dell'interessato,

tuttavia il giornalista deve rispettare il già citato limite dell'essenzialità

dell'informazione, oltre a quello della rilevanza del dato per il caso

trattatonell'articolo

PRIGIONE

La prigione, o carcere, o penitenziario, è il luogo dove vengono

trattenuti individui privati della libertà personale in quanto riconosciuti

colpevoli (o anche solo accusati - si parla in questo caso di "carcerazione

preventiva") di reati per i quali è prevista la pena della detenzione. Per

estensione indica anche la pena inflitta ai prigionieri.

Le prigioni nacquero, verosimilmente, col sorgere della civile convivenza

umana e svolsero, inizialmente, la funzione di allontanare dalla vita attiva

e separare dalla comunità quei soggetti che il potere dominante

considerava minacciosi per sé e/o nocivi alla comunità stessa.[ Le

esigenze di costrizione finirono con l’imporre, immediatamente, sistemi

durissimi, peraltro inaspriti nei luoghi ove l’esercizio del potere divino

era affidato ai responsabili della cosa pubblica, poiché si riteneva che

l’offesa arrecata dal reo si estendesse alla divinità. Le testimonianze più

lontane che ci sono pervenute ci descrivono prigioni orrende, cieche,

ricavate nelle profondità della terra.

Le prigioni vere e proprie, quali strutture apposite per la custodia di

persone indesiderabili, entrarono, però, in uso probabilmente dopo

l’origine della “città”. Per quanto delle prigioni si trovi già menzione

nella Bibbia, le prime notizie abbastanza precise, relative ad esse,

risalgono alla Grecia ed a Roma antiche.

Presso quei due popoli le prigioni erano composte da ambienti in cui i

prigionieri erano protetti da un semplice vestibolo, nel quale, in taluni

casi, avevano la libertà di incontrare parenti ed amici. Il carcere,

comunque, non veniva mai preso in considerazione come misura

punitiva, in quanto esso serviva in linea di principio “ad continendos

homines, non ad puniendos”.

Alcuni studiosi ritengono che il principio finalistico del carcere, quale

istituto di espiazione di pena, risalga alla Chiesa dei primi tempi della

religione,cristiana.

Il principio secondo il quale la pena deve essere espiata nelle carceri

andrebbe fatto risalire, inoltre, all’ordinamento di diritto canonico, che

prevedeva il ricorso all’afflizione del corpo per i chierici e per i laici che

avessero peccato e commesso reati sulla base del principio che la Chiesa

non ammetteva le cosiddette pene di sangue.

MIGRAZIONE

Per l'essere umano, a differenza degli animali e dei fenomani naturali, si

parla di soggetto di migrazione, in quanto appunto soggetto di un

personale e più o meno consapevole progetto migratorio, anche qualora

tale progetto sia inserito in un movimento collettivo e magari provocato

da cause esterne (pestilenze, guerre, carestie, disoccupazione). Le cause

(fatte salve quelle più basicamente biologiche come le carestie) sono

sostanzialmente differenti da quelle animali, implicando in molti casi una

ricerca di ordine più esistenziale e culturale più che semplicemente

materiale. Anche nei casi che la sociologia suole spiegare in termini di

fattori push, come può essere nel caso della ricerca di lavoro, le ricerche

attente ai racconti di vita tendono a evidenziare che a spingere il singolo

migrante alla migrazione sono in realtà cause di ordine più complesso e

individuale: ricerca di una emancipazione dal contesto familiare, ricerca

di libertà di espressione, di crescita culturale, curiosità intellettuale. Va

poi evidentemente sottolineato che solo in termini molto riduttivi l'amore

quale causa della migrazione accomuna uomo e animali: non di pura

riproduzione della specie o di accoppiamento è alla ricerca il migrante

quando lascia il proprio paese.

All'interno del concetto di "migrazione" della specie umana, possiamo

individuare diverse modalità:

• il nomadismo, basato sul tipo di economia del popolo che lo

pratica: che siano cacciatori-raccoglitori, pastori-guerrieri,

agricoltori, commercianti;

• l'invasione, in armi o meno, di solito dovuta da popoli nomadi di

pastori-guerrieri, che invadono popolazioni sedentarizzate,

soggiacendole militarmente, ma nelle quali si disperdono per

inferiorità numerica e culturale;

• la diaspora, per occupazione militare del territorio di un popolo da

parte di un altro: diaspora ebraica, diaspora tibetana, diaspora

armena, diaspora africana.

• la deportazione, operata da governi militari su intere popolazioni,

come l'esilio babilonese degli ebrei;

• l'esilio, imposto da un'autorità a singoli o a piccoli gruppi:

ricordiamo l'esilio di personaggi di levatura mitologica che hanno

fondato città ed etnie (vedi i Nòstoi);

• l'emigrazione e l'immigrazione, per cercare più facilmente posti di

lavoro.

• la migrazione turistica di persone che si spostano verso luoghi

attrezzati per godere brevi o lunghi periodi di vacanza o di studio.

• la migrazione stagionale di persone che hanno un posto di lavoro in

un paese estero, ma vi si recano in relazione all'afflusso turistico.

Per diffusione dell'uomo sull'intero pianeta si vuole intendere lo studio,

su basi genetiche, linguistiche e socio-culturali, che permetta di dare uno

sguardo globale alle correnti migratorie della specie umana, dalla sua

comparsa ad oggi.

RAZZISMO

Nella sua definizione più semplice, per razzismo si intende la

convinzione che la specie umana sia suddivisa in razze biologicamente

distinte e caratterizzate da diversi tratti somatici e diverse capacità

intellettive, e la conseguente idea che sia possibile determinare una

gerarchia di valore secondo cui una particolare razza possa essere definita

"superiore" o "inferiore" a un'altra.

Più analiticamente si possono distinguere diverse accezioni del termine:

1. storicamente rappresenta un insieme di teorie con fondamenti

anche molto antichi (ma smentite dalla scienza moderna) e

manifestatesi in ogni epoca con pratiche di oppressione e

segregazione razziale, che sostengono che la specie umana sarebbe

un insieme di razze, biologicamente differenti, e gerarchicamente

ineguali. Tra gli ispiratori ideologici degli aspetti contemporanei di

questa teoria vi fu l'aristocratico francese Joseph Arthur de

Gobineau, autore di un Essai sur l'inégalité des races humaines[1]

(Saggio sulla diseguaglianza delle razze umane, 1853-1855). Nel

XIX secolo quello che sarebbe stato poi definito razzismo nel

secolo successivo ebbe rilevanza scientifica, al punto da venire

oggi chiamata dagli storici razzismo scientifico. Intorno al 1850 il

razzismo esce dall'ambito scientifico e assume una connotazione

politica, diventando l'alibi con cui si cerca di giustificare la

legittimità di prevaricazioni e violenze. Una delle massime

espressioni di questo uso è stato il nazionalsocialismo.

2. in senso colloquiale definisce ogni atteggiamento attivo di

intolleranza (che può tradursi in minacce, discriminazione,

violenza) verso gruppi di persone identificabili attraverso la loro

cultura, religione, etnia, sesso, sessualità, aspetto fisico o altre

caratteristiche. In tale senso, però, sarebbero più corretti, anche se

sono raramente usati nel linguaggio popolare corrente, termini

come xenofobia o meglio ancora etnocentrismo

3. in senso più lato, e di uso non appropriato, comprende anche ogni

atteggiamento passivo di insofferenza, pregiudizio,

discriminazione verso persone che si identificano attraverso la loro

regione di provenienza, cultura, religione, etnia, sesso, sessualità,

aspetto fisico, accento dialettale o pronuncia difettosa,

abbigliamento, modo di socializzarsi o altre caratteristiche.

LE ISTITUZIONI

L'istituzione è una forma di aggregazione sociale, organizzazione,

meccanismo, struttura sociale, che governa il comportamento di due o più

individui, ed è caratterizzata da modelli di comportamento che, grazie al

processo di ripetizione, tipizzazione ed oggettivazione, si sono

cristallizzati in ruoli all'interno della società.

L'istituzione è qualcosa di più generale di un ente, è un comportamento

oggettivato.

L'oggettivazione può avvenire tramite due tipologie di strutture:

• le strutture visibili (organizzazioni pubbliche e private oppure

gruppi primari come la famiglia)

• le strutture simboliche (i contenuti culturali condivisi come l'inno

nazionale, i rituali come i riti religiosi ed il linguaggio come la

lingua italiana).

L'istituzione è quindi una regola di comportamento oggettivata in

strutture diverse. Se un comportamento istituzionalizzato è "una cosa da

fare" esso rappresenta una regola vincolante, una norma sociale a cui

adeguarsi.

Ciascuna istituzione sociale implica un insieme di norme a cui gli

individui ritengono di doversi attenere. Tali norme possono essere di

carattere morale, abitudini, consuetudini e buona educazione oppure per

concludere, norme dello stato. Sono, inoltre, principi giuridici

fondamentali dello stato e sono gli organismi politico costituzionali che

ne sono l'espressione.

Le istituzioni si identificano con uno scopo e una durata che trascendono

la vita e le intenzioni umane, e con la creazione e l'applicazione di regole

che governano il comportamento umano. In quanto strutture e

meccanismi di ordine sociale, le istituzioni sono uno dei principali oggetti

di studio delle scienze sociali, tra cui sociologia, scienze politiche ed

economia.

Storicamente, una distinzione tra ere o periodi, implica un grande e

fondamentale cambiamento nel sistema di istituzioni governanti una

società. Eventi politici e militari vengono giudicati di importanza storica

se sono associati a cambiamenti nelle istituzioni. Nella storia europea,

particolare importanza è associata alla lunga transizione dalle istituzioni

feudali del Medioevo alle istituzioni moderne, che governano la vita

contemporanea.

Anche se le singole organizzazioni formali comunemente identificate

come "istituzioni", possono essere deliberatamente e intenzionalmente

create dalle persone, lo sviluppo e il funzionamento delle istituzioni nella

società in generale, può essere visto come un'istanza dell'emergenza;

ovvero, l'istituzione nasce, si sviluppa e funziona secondo un tracciato di

auto-organizzazione, che va oltre le intenzioni consce dei singoli

individui coinvolti. Come meccanismo di cooperazione sociale, le

istituzioni si manifestano sia come organizzazioni formali, e reali, come il

Parlamento, la Chiesa Cattolica Romana o la Banca d'Italia, che come

organizzazioni e ordini sociali informali, che riflettono la psicologia,

cultura, usi e costumi degli esseri umani. Secondo Cooley (1902) e

successivamente anche per F. Stuart Chapin (Contemporary American

Istitutions, 1935), viene vista come sistema di simboli diffusi, significati

condivisi dalla generalità dei membri di una società, valori e norme di

condotta universalmente riconosciuti e praticati, insieme di discorsi che

formulano una base per i processi di comunicazione. Sono istituzioni,

quindi, l'etica, il diritto e l'arte.

Molte istituzioni importanti, considerate in astratto, possiedono sia aspetti

oggettivi che soggettivi: esempi comprendono il denaro e il matrimonio.

L'istituzione del denaro abbraccia molte organizzazioni formali,

comprese le banche, i dipartimenti governativi del tesoro e le borse, che

possono essere denominate "istituzioni", così come esperienze soggettive,

che guidano la gente nella propria ricerca del benessere economico

personale. Istituzioni potenti sono in grado di attribuire un certo valore ad

una valuta cartacea, e ad indurre milioni di individui alla produzione

cooperativa e al commercio, per perseguire i fini economici che tale

valuta rappresenta. L'esperienza soggettiva del denaro è così penetrante e

persuasiva, che gli economisti parlano di "illusione del denaro" e cercano

di liberare da esso i loro studenti, in preparazione all'apprendimento

dell'analisi economica.

Matrimonio e famiglia, come insieme di istituzioni, coprono aspetti sia

formali che informali, sia oggettivi che soggettivi. Sia le istituzioni

governative che quelle religiose creano e attuano regole riguardanti il

matrimonio e la famiglia, creano e regolano vari concetti su come le

persone si relazionano l'un l'altra, e su quali possano essere di

conseguenza i loro diritti, obblighi e doveri. Cultura e tradizioni

permeano il matrimonio e la famiglia.

L'analisi economica identifica comunemente le istituzioni con i "padroni

del gioco". Secondo questa visione comune, le istituzioni possono essere

considerate come le creatrici ed attuatrici di norme, leggi e regolamenti, e

le creatrici, in effetti, di un gioco in cui gli individui agiscono in modo

strategico, ma prevedibile. le istituzioni ben funzionanti dirigono e

contengono questo comportamento auto-interessato, in modi che

producono risultati positivi che scaturiscono dalla cooperazione sociale.

Altre istituzioni, come i feudi, possono essere considerate come risultati

negativi di un fallimento nello sviluppare forti istituti di cooperazione

sociale. La teoria della scelta pubblica, una branca dell'economia

strettamente legato alla scienza politica, analizza il comportamento delle

istituzioni politiche nel compiere le proprie scelte, applicando concetti

della teoria dei giochi per identificare le fonti di difetti sistematici.

La sociologia ha tradizionalmente analizzato le istituzioni sociali in

termini di ruoli e aspettative sociali interconnesse. Le istituzioni sociali

vengono create e composte da gruppi di ruoli o comportamenti attesi. La

funzione sociale delle istituzioni viene servita dal soddisfacimento dei

ruoli. Le richieste biologiche basilari per la riproduzione e la cura dei

giovani, vengono servite dall'istituto del matrimonio e della famiglia,

creando, elaborando e prescrivendo i comportamenti attesi da

marito/padre, moglie/madre, figli, ecc..

Una delle principali divisioni nelle scienze sociali riguarda quali

organizzazioni umane siano interpretate come artificiali, e quindi limitate

nella loro longevità, e quali sono viste come naturali (compresa la natura

umana) e quindi eterne. Ad esempio, in quello che viene genericamente

definito come campo liberale, sia il mercato che il capitalismo sono visti

come "naturali", mentre il marxismo li vede come creazioni umane. In

maniera simile, il femminismo vede l'istituto della patriarchia come

artificiale e quindi non permanente. I difensori del patriarcato si

appellano invece alla "natura umana" e a concetti similari.

LA POLITICA

Secondo un'antica definizione scolastica, la politica è l'Arte di governare

le società. Il termine, di derivazione greca (da polis "πόλις", città), si

applica tanto alla attività di coloro che si trovano a governare quanto al

confronto ideale finalizzato all'accesso all'attività di governo o di

opposizione.

La prima definizione di "politica" (dal greco πολιτικος, politikós) risale

ad Aristotele ed è legata al termine "polis", che in greco significa la città,

la comunità dei cittadini; politica, secondo il filosofo ateniese, significava

l'amministrazione della "polis" per il bene di tutti, la determinazione di

uno spazio pubblico al quale tutti i cittadini partecipano. Altre

definizioni, che si basano su aspetti peculiari della politica, sono state

date da numerosi teorici: per Max Weber la politica non è che aspirazione

al potere e monopolio legittimo dell'uso della forza; per David Easton

essa è la allocazione di valori imperativi (cioè di decisioni) nell'ambito di

una comunità; per Giovanni Sartori la politica è la sfera delle decisioni

collettive sovrane.

Al di là delle definizioni, la politica in senso generale, riguardante "tutti" i

soggetti facenti parte di una società, e non esclusivamente che fa politica

attiva, ovvero opera nelle strutture deputate a determinarla, la politica è

l'occuparsi in qualche modo di come viene gestito lo stato o sue

substrutture territoriali. In tal senso "fa politica" anche chi, subendone

effetti negativi ad opera di coloro che ne sono istituzionalmente investiti,

scende in piazza per protestare.

LO STATO

o Stato è un ordinamento giuridico politico, ovvero a fini generali,

esercitante il potere sovrano su un determinato territorio e sui soggetti a

esso appartenenti. Esso comanda anche mediante l'uso della forza armata,

della quale detiene il monopolio legale.

Alla parola Stato afferiscono due concetti distinti:

• Stato-comunità: popolo, stanziato su un territorio definito, che è

organizzato attorno ad un potere centrale (comunemente chiamato

"Stato-nazione").

• Stato-apparato (o Stato-organizzazione): quel potere centrale

sovrano, organizzato in possibili differenti modi, che detiene il

monopolio della forza, e impone il rispetto di determinate norme

nell'ambito di un territorio ben definito.

Da quest'ultima definizione emerge che lo Stato è anche un ente

territoriale, in quanto individuato da una porzione di territorio che è

soggetta alla sua sovranità.

Stato sovrano: dal latino superanus, colui che sta al di sopra; lo Stato è

superiore ad ogni altro soggetto entro i suoi confini. Per essere tale, la

sovranità deve manifestarsi come "indipendenza" nei rapporti reciproci;

per tale ragione, allora, lo Stato è indipendente e sovrano; sovrano al suo

interno, indipendente nei confronti degli altri stati.

Lo Stato è originario poiché i suoi poteri derivano solo da sé stesso e da

nessun altro. Con ciò si sostiene che esso non è subordinato ad altri

soggetti e quindi è indipendente e sovrano. L'organo Stato è forse

rappresentabile come il pozzo di tutti quei beni e poteri tanto importanti o

tanto potenti da non poter essere di nessun altro che di un soggetto che

agisca nell'interesse collettivo; questi poteri sono sostanzialmente la

sovranità (esercitata attraverso i tre poteri pubblici legislativo, esecutivo e

giudiziario) e il monopolio della forza affinché vi sia un fondamento

obbligatorio.

WELFARE STATE

Lo Stato sociale o Stato assistenziale, conosciuto anche come welfare

state (stato di benessere tradotto letteralmente dall'inglese), è un sistema

di norme con il quale lo Stato cerca di eliminare le diseguaglianze sociali

ed economiche fra i cittadini, aiutando in particolar modo i ceti meno

benestanti.

Lo Stato sociale è un sistema che si propone di fornire servizi e garantire

diritti considerati essenziali per un tenore di vita accettabile:

• Assistenza sanitaria.

• Pubblica istruzione.

• Indennità di disoccupazione, sussidi familiari, in caso di accertato

stato di povertà o bisogno.

• Accesso alle risorse culturali (biblioteche, musei, tempo libero).

• Assistenza d'invalidità e di vecchiaia.

• Difesa dell'ambiente naturale.

Questi servizi gravano sui conti pubblici in quanto richiedono ingenti

risorse finanziarie, le quali provengono in buona parte dal prelievo fiscale

che ha, nei Paesi democratici, un sistema di tassazione progressivo in cui

l'imposta cresce al crescere del reddito.

Lo Stato sociale nacque e si consolidò in Occidente durante il XIX ed il

XX secolo, di pari passo con la storia della civiltà industriale. La sua

evoluzione può essere suddivisa in tre fasi successive.

Una prima, elementare, forma di Stato sociale venne introdotta nel 1601

in Inghilterra con la promulgazione delle leggi sui poveri (Poor Law).

Queste leggi prevedevano assistenza per i poveri nel caso in cui le

famiglie non fossero in grado di provvedervi e,oltre ad avere in sé un

palese contenuto filantropico, prendevano le mosse da considerazioni

secondo cui riducendo il tasso di povertà, si riducevano i fenomeni

negativi connessi come la criminalità.

La seconda fase, opera di monarchie costituzionali conservatrici o di

pensatori liberali, si riconduce alla prima rivoluzione industriale ed alla

legislazione inglese del 1834 (l’estensione al continente europeo avvenne

solo nel periodo tra il 1885 ed il 1915) . Anche in questo caso le forme

assistenziali sono da ritenersi individuali e da intendersi rivolte

unicamente agli appartenenti ad una classe sociale svantaggiata (minori,

orfani, poveri ecc.) ed in questo contesto nacquero le prime assicurazioni

sociali che garantivano i lavoratori nei confronti di incidenti sul lavoro,

malattie e vecchiaia; in un primo momento queste erano su base

volontaria, in seguito però divennero obbligatorie per tutti i lavoratori. Le

motivazioni della svolta in questa fase furono la ricerca della pace sociale

conciliando le rivendicazioni di maggior protezione da parte dei

lavoratori proletari (di ceti medi possiamo parlare solo a partire dalla

seconda rivoluzione industriale) e dalla richiesta di una manodopera a

minor costo possibile da parte degli industriali. Sempre in Inghilterra, fu

compiuto un ulteriore passo avanti con l'istituzione delle workhouse, case

di lavoro e accoglienza che si proponevano di combattere la

disoccupazione e di tenere, così, basso il costo della manodopera.

Tuttavia queste si trasformarono di fatto in luoghi di detenzione forzata;

la permanenza in questi centri pubblici equivaleva alla perdita dei diritti

civili e politici in cambio del ricevimento dell'assistenza governativa. Nel

1883 nacque, questa volta in Germania, l'assicurazione sociale, introdotta

dal cancelliere Otto von Bismarck per favorire la riduzione della

mortalità e degli infortuni nei luoghi di lavoro e per istituire una prima

forma di previdenza sociale. Secondo alcuni studiosi fu proprio il

"capitale" a spingere per i versamenti obbligatori dei propri operai, al fine

di non doversi più accollare per intero il costo della sicurezza sociale dei

lavoratori.

La terza fase ha inizio nel dopoguerra. Il 1942 fu l'anno in cui, sempre nel

Regno Unito, la sicurezza sociale compì un decisivo passo avanti grazie

al cosiddetto Rapporto Beveridge, stilato dall'economista William

Beveridge, che introdusse e definì i concetti di sanità pubblica e pensione

sociale per i cittadini. Tali proposte vennero attuate dal laburista Clement

Attlee, divenuto Primo Ministro nel 1945. Fu la Svezia nel 1948 il primo

paese ad introdurre la pensione popolare fondata sul diritto di nascita. Il

welfare divenne così universale ed eguagliò i diritti civili e politici

acquisiti, appunto, alla nascita. Nello stesso periodo l'economia conobbe

una crescita esponenziale del PIL mentre il neonato Stato sociale era alla

base dell'incremento della spesa pubblica.

La situazione, a grandi linee, riuscì a mantenersi in sostanziale equilibrio

per qualche decennio. Infatti nel periodo che va dagli anni cinquanta fino

agli anni anni ottanta e anni novanta la spesa pubblica crebbe

notevolmente, specialmente nei Paesi che adottarono una forma di

welfare universale, ma la situazione rimase tutto sommato sotto controllo

grazie alla contemporanea sostenuta crescita del Prodotto interno lordo

generalmente diffusa. Tuttavia negli anni ottanta e novanta i sistemi di

welfare entrarono in crisi per ragioni economiche, politiche, sociali e

culturali al punto che oggi si parla di una vera e propria crisi del Welfare

State.