Società Geografica Italiana - Notiziario...

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STORIA DEL PENSIERO GEOGRAFICO Geografie che hanno fatto Storia: i lunghi anni 1980 Il 3 novembre 2016, presso il Diparti- mento di Studi Umanistici dell’Università «Roma Tre», si è svolto il terzo incontro di riflessione sulle opere geografiche che han- no segnato una stagione particolare nel di- battitto italiano, promosso e animato da Claudio Cerreti e Claudio Minca. Secondo una formula già rodata, per ogni libro sono stati invitati due geografi, di generazioni di- verse, per discutere della ricezione delle o- pere e dei meccanismi di riproduzione scientifica generati dalle pubblicazioni, ri- flettendo sul se e sul come sia cambiato il modo di pensare la Geografia in Italia an- che in seguito a esse. Il periodo culturale oggetto dell’incontro sono stati i «lunghi» anni Ottanta e la loro «eredità ingombran- te», con riferimento soprattutto all’esperien- za di Geografia democratica. La necessità di fare i conti con essa ha prodotto, secon- do Francesca Governa che ha coordinato la sessione, delle strategie di riproduzione a- critica o di indirizzamento verso percorsi completamente diversi. Il primo testo ana- lizzato, non a caso, è stato il volumetto del 1978 Dopo la Geografia di Massimo Quaini, peraltro presente all’incontro, affidato alla disamina di Claudio Cerreti e Filippo Cela- ta. Un testo esplicitamente strutturato sul- l’impalcatura del pensiero marxista, che propone l’idea che la geografia abbia una natura potentemente politica e strategica, un lavoro decisamente critico verso l’esta- blishment del tempo e, in generale, verso il protocollo formativo che caratterizzava la geografia italiana. Le complesse vicende accademiche personali, dell’autore come di altri, innervano le riflessioni del testo e so- no inevitabilmente ritornate nel corso della giornata anche in occasione della presenta- zione di altri libri, a dimostrazione di una stagione che, benché superata dal tempo – la distanza dalle preoccupazioni di perma- nente precarietà delle più giovani genera- zioni rispetto a questi episodi è per esem- pio abissale – continua a rappresentare un momento ricco di contraddizioni irrisolte e un po’ autoreferenziale. In questo senso, lo sguardo critico di Celata sull’impostazione marxista dell’opera, in una prospettiva fou- caultiana e di cultura anglosassone, misura il distacco da quella stagione in maniera abbastanza esplicita. Fabio Lando e Marcel- lo Tanca hanno invece dialogato sul testo Les langages des représentations géographi- ques (1987), curato da Gabriele Zanetto. Se Lando ha ricostruito il clima culturale che ha dato vita al convegno di cui il libro rac- coglie gli atti, Tanca si è soffermato su una disamina accurata dei contributi dei 31 au- tori che compongono i due volumi. Con storie e approcci abbastanza eterogenei: dalle pratiche alla percezione dello spazio, ai linguaggi delle rappresentazioni geogra- fiche attraverso, in sintesi, la riscoperta del- la soggettività che crea una discontinuità con il passato. Il terzo testo discusso è stato I segni del mondo di Franco Farinelli (1992), un testo complesso, poco dibattuto e forse mal recepito nel consesso geografi- co italiano, che in dodici saggi pone la geo- grafia nel discorso della crisi del sapere oc- cidentale. Su questo saggio si sono cimen- tanti prima Silvia Siniscalchi e poi Piergior- gio Landini, anch’egli disponibile a fornire alla platea elementi di riflessione personale sul dialogo avuto con il prestigioso collega. La seconda sessione, coordinata da Ma- ria Tinacci, si è aperta con Claudio Minca e Marcella Schmidt di Friedberg che hanno ri- flettuto su The Condition of Postmodernity, di David Harvey (1989), un testo di impo- stazione neomarxista che pur essendo scrit- N O T I Z I A R I O

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STORIA DEL PENSIERO GEOGRAFICO

Geografie che hanno fatto Storia: ilunghi anni 1980

Il 3 novembre 2016, presso il Diparti-mento di Studi Umanistici dell’Università«Roma Tre», si è svolto il terzo incontro diriflessione sulle opere geografiche che han-no segnato una stagione particolare nel di-battitto italiano, promosso e animato daClaudio Cerreti e Claudio Minca. Secondouna formula già rodata, per ogni libro sonostati invitati due geografi, di generazioni di-verse, per discutere della ricezione delle o-pere e dei meccanismi di riproduzionescientifica generati dalle pubblicazioni, ri-flettendo sul se e sul come sia cambiato ilmodo di pensare la Geografia in Italia an-che in seguito a esse. Il periodo culturaleoggetto dell’incontro sono stati i «lunghi»anni Ottanta e la loro «eredità ingombran-te», con riferimento soprattutto all’esperien-za di Geografia democratica. La necessitàdi fare i conti con essa ha prodotto, secon-do Francesca Governa che ha coordinato lasessione, delle strategie di riproduzione a-critica o di indirizzamento verso percorsicompletamente diversi. Il primo testo ana-lizzato, non a caso, è stato il volumetto del1978 Dopo la Geografia di Massimo Quaini,peraltro presente all’incontro, affidato alladisamina di Claudio Cerreti e Filippo Cela-ta. Un testo esplicitamente strutturato sul-l’impalcatura del pensiero marxista, chepropone l’idea che la geografia abbia unanatura potentemente politica e strategica,un lavoro decisamente critico verso l’esta-blishment del tempo e, in generale, verso ilprotocollo formativo che caratterizzava lageografia italiana. Le complesse vicendeaccademiche personali, dell’autore come dialtri, innervano le riflessioni del testo e so-no inevitabilmente ritornate nel corso della

giornata anche in occasione della presenta-zione di altri libri, a dimostrazione di unastagione che, benché superata dal tempo –la distanza dalle preoccupazioni di perma-nente precarietà delle più giovani genera-zioni rispetto a questi episodi è per esem-pio abissale – continua a rappresentare unmomento ricco di contraddizioni irrisolte eun po’ autoreferenziale. In questo senso, losguardo critico di Celata sull’impostazionemarxista dell’opera, in una prospettiva fou-caultiana e di cultura anglosassone, misurail distacco da quella stagione in manieraabbastanza esplicita. Fabio Lando e Marcel-lo Tanca hanno invece dialogato sul testoLes langages des représentations géographi-ques (1987), curato da Gabriele Zanetto. SeLando ha ricostruito il clima culturale cheha dato vita al convegno di cui il libro rac-coglie gli atti, Tanca si è soffermato su unadisamina accurata dei contributi dei 31 au-tori che compongono i due volumi. Constorie e approcci abbastanza eterogenei:dalle pratiche alla percezione dello spazio,ai linguaggi delle rappresentazioni geogra-fiche attraverso, in sintesi, la riscoperta del-la soggettività che crea una discontinuitàcon il passato. Il terzo testo discusso è statoI segni del mondo di Franco Farinelli(1992), un testo complesso, poco dibattutoe forse mal recepito nel consesso geografi-co italiano, che in dodici saggi pone la geo-grafia nel discorso della crisi del sapere oc-cidentale. Su questo saggio si sono cimen-tanti prima Silvia Siniscalchi e poi Piergior-gio Landini, anch’egli disponibile a fornirealla platea elementi di riflessione personalesul dialogo avuto con il prestigioso collega.

La seconda sessione, coordinata da Ma-ria Tinacci, si è aperta con Claudio Minca eMarcella Schmidt di Friedberg che hanno ri-flettuto su The Condition of Postmodernity,di David Harvey (1989), un testo di impo-stazione neomarxista che pur essendo scrit-

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to da un geografo britannico ha avuto unagrande diffusione nell’accademia italiana.L’ultimo libro preso in esame è stato Versouna teoria geografica della complessità, diAngelo Turco (1988), di cui si sono presicura Raffaele Cattedra e Matteo Marconi. Illavoro di accurata ricostruzione storica del-l’opera, svolto da Cattedra in particolare, hadimostrato come, pur in presenza di un’a-pertura verso un’epistemologia innovativa,non si sia assistito a una riproduzione scien-tifica del filone della complessità, a comin-ciare dalla debole ricezione nelle bibliogra-fie nazionali dell’opera.

In una condizione di permanente affan-no in cui agiscono i geografi italiani, all’inse-guimento dell’ultima parola d’ordine da rac-cogliere nel mondo anglosassone e da pro-pagare spesso in maniera acritica, alla di-sperata ricerca degli indici delle riviste me-glio indicizzate e delle ultime opere prove-nienti dall’estero, la logica di questo «gioco»di rilettura e critica dei classici – come vez-zosamente lo ha definito Cerreti – sfida op-portunamente le frenesie del nostro quoti-diano tentando di comprendere l’attualità,ma anche l’inattualità, di opere fondativedel sapere geografico con cui è sempre be-ne fare i conti. Forse gli anni Novanta sonotroppo vicini e probabilmente, salvo pocheeccezioni, è difficile immaginare opere ita-liane che negli ultimi venti anni abbiano a-vuto lo stesso ruolo di quelle presentate nel-le tre sessioni finora svolte. Una sfida per ri-lanciare questi appuntamenti potrebbe es-sere quella di riflettere sulle opere geografi-che non tradotte in italiano: da Topophiliadi Yi-Fu Tuan a Explanation in Geographydi un Harvey ancora funzionalista, dai lavoridi Doreen Massey e Derek Gregory a quellidi Neil Brenner e del suo gruppo, per farealcuni esempi nel solo ambiente anglofono.Anche in questa circostanza, l’incontro èstato diffuso in live streaming a cura delCentro Italiano per gli Studi Storico-Geogra-fici ed è ancora disponibile alla visione e al-l’ascolto presso il sito http://www.cisge.it/.

Fabio Amato

GEOGRAFIA ECONOMICA

La geografia e il lavoro: un percorso dariscoprire

La geografia del lavoro non ha avutomolto spazio nel dibattito scientifico degliultimi anni nella sua dimensione concettua-le propria, ma neppure come aspetto rifles-so di ragionamenti condotti su altre temati-che. Inoltre, proprio con riguardo alla tema-tica del lavoro, si riscontra sempre più la ne-cessità di aprire confronti interdisciplinarimaturi da parte della geografia economico-politica, innanzitutto allo scopo di poter me-glio indagare fenomeni sottoposti a rapidimutamenti per eventi congiunturali e strut-turali ma anche, in una seconda fase, perpoter essere di supporto ai policy makers.

In tal senso, un’occasione importantedi confronto è stata quella offerta dal Con-vegno internazionale organizzato dall’Uni-versità degli Studi di Bergamo e dall’Asso-ciazione per gli studi internazionali e com-parati sul diritto del lavoro e le relazioni in-dustriali (ADAPT), nei giorni 11 e 12 no-vembre 2016. L’Associazione ADAPT, fon-data da Marco Biagi, nell’ambito del suo ri-levante impegno nell’alta formazione e ri-cerca, dal 2010 organizza preziosi incontriannuali riguardanti questioni di attualitànel campo del diritto e dell’economia dellavoro, pensati come momenti di confron-to tra i diversi contesti internazionali e distimolo alla ricerca fra gli studiosi.

Il titolo scelto per il 2016 è stato Il futu-ro del lavoro: una questione di sostenibi-lità. Una delle tematiche più interessanti, af-frontata ampiamente nel Convegno, ha ri-guardato il progresso tecnologico e la digita-lizzazione del lavoro; come sottolineato daJon C. Messenger dell’Organizzazione Inter-nazionale del Lavoro (ILO) nella relazioneintroduttiva, le nuove tecnologie spingonoinfatti alcune occupazioni, specialmentequelle dei servizi non banali sempre piùpreponderanti nel quadro economico mon-diale post-industriale, a costituire «uffici vir-tuali». In tale ottica, queste occupazioni pos-

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sono essere svolte dappertutto e in qualsiasimomento. Da un punto di vista geografico,si pongono interessanti questioni: eventualepolverizzazione dei luoghi di lavoro (in spe-cie degli uffici) in tanti micro-luoghi di pro-duzione di servizi; drastico ridimensiona-mento del fenomeno del pendolarismo; mu-tamento dell’assetto territoriale dei trasportie delle città. In definitiva, appare indubbio ilruolo dell’analisi geografica e in tal senso cisi dovrà interrogare sul futuro ruolo dellageografia del lavoro, definendo in qualemodo essa possa essere utile alle nuove i-stanze provenienti dall’applicazione delletecnologie ai modi produttivi (smart work,lavoro agile, quarta rivoluzione industriale).

Il Convegno internazionale, nella con-sapevolezza della necessaria quanto fertileutilità dell’apertura interdisciplinare (conun’attenzione rivolta alla stessa dimensioneterritoriale), ha ospitato per la prima voltaun’autonoma sessione di geografia intitola-ta Geografia e lavoro in un mondo checambia, incardinata su due tematiche prin-cipali: la questione del riordino amministra-tivo, diventata esigenza imprescindibile inItalia, analizzata utilizzando i Sistemi Localidel Lavoro (SLL) come chiave di lettura delterritorio; e il ridisegno degli spazi urbaninel quadro dei processi di innovazione de-terminati dalla mondializzazione, allo sco-po di indagare la «cospazialità» sociale deglistessi, in termini di opportunità/conflittua-lità. Tale sessione, moderata da FedericaBurini, ha ospitato i contributi di FrancescoDini e Sergio Zilli (Città metropolitane, areevaste e mercato del lavoro alla luce dellalegge n. 56/2014 sul riordino amministrati-vo), di Marina Fuschi e Fabrizio Ferrari (Lageografia del lavoro in Abruzzo alla lucedelle più recenti ipotesi di regionalizzazio-ne funzionale e amministrativa) e di Ales-sandra Ghisalberti (Città, lavoro e migra-zioni: spazi urbani in rete e imprenditoria-lità dei migranti).

Per quanto riguarda la questione delriordino amministrativo è emersa la neces-sità di superare le contraddizioni dell’attua-le normativa, pianificando nuovi ritagli am-

ministrativi coerenti anche con le polariz-zazioni espresse dal mercato del lavoro,tradotto nella maglia degli SLL costruiti at-torno al pendolarismo.

Il contributo relativo al ridisegno deglispazi urbani ha presentato un’interessantericerca su un particolare aspetto del feno-meno migratorio: spesso si mantengononei luoghi di diaspora i simboli della pro-pria cultura ma al contempo si costruisco-no reti d’imprenditorialità straniera, chetravalicano la dimensione della città perconnettersi, su base etnica, con altre realtàlungo la filiera produttiva.

Il contributo in chiusura di Michele Tira-boschi, coordinatore scientifico di ADAPT,ha sottolineato da un lato l’importanza dellageografia nel quadro della programmazionedelle politiche per il lavoro, con precise de-limitazioni delle stesse sul territorio, e dal-l’altro la sempre più marcata immaterialitàdel fenomeno lavorativo. Una geografia dellavoro, dunque, attenta a focalizzare la pro-pria ricerca su luoghi che fungano da hub,da competence center, che coagulino le in-novazioni in territori capaci, per poi diffon-dere le stesse nelle aree circostanti.

Non meno stimolante la riflessione diEmanuela Casti che si è focalizzata sullaforma del nuovo assetto urbano policentri-co e reticolare, che supera il tradizionaleconcetto di confine, quale rappresentazio-ne efficace del fenomeno della mondializ-zazione; dimensione, questa, da indagare einterpretare per cogliere i rapidi mutamentiin corso nella geografia del lavoro.

In definitiva, si spera che il Convegno diBergamo apra una nuova stagione di studisulla geografia del lavoro. Alcune tematichemeritano sicuramente maggiori riflessioni:le problematiche locali nell’ottica delle di-namiche globali, la mobilità dei lavoratori difronte alla sempre maggiore immaterialità,l’eventuale perdurare di fenomeni di pola-rizzazione nell’ottica della formazione dinetworks che decostruiscono gli spazi tradi-zionali per creare luoghi virtuali di incontro.

Fabrizio Ferrari

Oltre la Globalizzazione…

«(S)radicamenti» è la composizione diparole che ha «guidato» la sesta Giornata diStudi in Geografia Economico-Politica Ol-tre la Globalizzazione, proposta annual-mente dalla Società di Studi Geografici.Nella sua formula itinerante, dopo esserestata ospitata a Firenze e a Roma, la confe-renza del 2016 ha avuto luogo il 16 dicem-bre a Torino ed è stata organizzata in colla-borazione con diversi dipartimenti dell’U-niversità e del Politecnico: Culture, Politicae Società (CPS), Interateneo di Scienze,Progetto e Politiche del Territorio (DIST)con il suo Dottorato in Urban and Regio-nal Development e il centro di ricerca Eu-Polis, Economia e Statistica Cognetti DeMartiis (DEST), Filosofia e Scienze dell’E-ducazione, Scienze Economico-Sociali eMatematico-Statistiche (ESOMAS).

Analogamente alle edizioni precedenti,la giornata si è sviluppata attorno a un temacui si riconnettevano le sessioni parallele(individuate attraverso una call for session) ei relativi contributi: quest’anno, dopo prossi-mità, resilienza, conflitti e commons, il Co-mitato scientifico ha proposto il concetto diradicamento e il suo opposto, lo sradica-mento, come punti di partenza per la letturae l’interpretazione di fenomeni complessiche si confrontano con la globalizzazione ecostringono ad andare oltre. Particolarmen-te care alla scuola geografica torinese (e inessa fortemente… radicate!), queste due ca-tegorie interpretative sono state capaci di at-tirare e ispirare oltre 230 studiosi che le han-no utilizzate, lavorate, applicate, ridiscusse ecriticate all’interno dei propri variegati am-biti di ricerca, restituendo alla comunitàscientifica un panorama ampio e complessodi approcci teorico-metodologici.

I lavori della conferenza sono stati aper-ti dall’importante relazione di Andrés Rodrí-guez-Pose, professore di Geografia Econo-mica alla London School of Economics epresidente della Regional Science Associa-tion International. Impegnato sui temi dellosviluppo regionale e degli squilibri territo-

riali, nella sua keynote speech Rodríguez-Pose si è concentrato sul ruolo del cambia-mento istituzionale nella crescita economi-ca. Sulla base delle analisi comparate con-dotte dal Quality Government Institute diGöteborg, Rodríguez-Pose ha mostrato co-me il fattore – largamente trascurato – dellaqualità istituzionale, intesa come proxy del-la qualità di governo, abbia una grande in-cidenza sullo sviluppo regionale rispetto a-gli interventi sulle infrastrutture (citando ri-sultati perversi di taluni investimenti in que-sto settore in diversi paesi europei), sull’in-novazione e sul capitale umano.

La giornata è proseguita seguendo latradizionale organizzazione per sessioniparallele, che hanno raccolto ben 148 con-tributi in 17 panel.

La sessione organizzata da FrancescoDini (Università di Firenze) e Sergio Zilli(Università di Trieste), dal titolo Neo-cen-tralismo e territorio fra Aree Vaste, Cittàmetropolitane e Legge 56, si è ricollegata te-maticamente ai lavori sul riordino territo-riale della Società Geografia Italiana e tro-verà continuità nel Congresso GeograficoItaliano di giugno. La sessione ha ospitatocontributi chiamati a riflettere sulle diversemodalità con cui le Regioni hanno affron-tato i temi della territorializzazione, la que-stione delle aree vaste e, più in generale, ilritaglio amministrativo come strumento perriassorbire le incongruenze storiche checaratterizzano il rapporto fra amministra-zione e territorio.

La sessione (S)radicamenti urbani:mutamento, identità e partecipazione nel-la città glocale, proposta da Alba Angeluccie Nico Bazzoli (Università di Urbino «CarloBo»), si è concentrata sulla dimensione glo-cale dell’ambivalenza radicamento/sradica-mento come fattore centrale nelle dinami-che e nei processi di trasformazione socio-spaziale degli spazi urbani contemporanei.I contributi presentati hanno affrontato trequestioni principali: i processi di trasfor-mazione della città contemporanea, il temadei migranti e l’appropriazione dello spa-zio urbano e le politiche nella città glocale.

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La sessione organizzata da RaffaellaColetti (Università di Roma «La Sapienza») eChiara Rabbiosi (Università di Bologna),intitolata Politiche per gli spazi marginalidelle città, si è articolata attorno alla dupli-ce lettura delle politiche come proposta daun lato e come risposta dall’altro. La primaaccezione ha riunito quei contributi che sisono concentrati sulle politiche avviate dal-le pubbliche amministrazioni, discutendo-ne gli esiti in termini di processi attivati. Laseconda ha invece ispirato i lavori che han-no focalizzato la propria attenzione sull’a-nalisi di politiche attivate in risposta a pra-tiche di rigenerazione urbana promossedalla cittadinanza, analizzandone gli effettima soprattutto le tensioni provocate dallaregolamentazione di tali «pratiche» da partedell’attore pubblico.

La sessione Variegated geographies oflabour and capital: economic trasforma-tion in contemporary capitalism, propostada Carlo Inverardi Ferri (Università diOxford) ha ospitato contributi che hannoesplorato le trasformazioni economichecontemporanee attraverso pratiche in con-testi molto diversi, concentrandosi sul ruo-lo del lavoro e del capitale e sulle relazionisociali sottese.

La sessione Il ruolo ambivalente dei me-ga eventi: tra ricadute turistiche ed eredità,proposta da Anna Maria Pioletti (Universitàdella Valle d’Aosta), ha invitato gli autori aindagare i significati complessi dei grandi e-venti per le comunità e per gli attori locali. Ivari contributi hanno stimolato la riflessio-ne su questioni di ordine più teorico, comel’identità, la territorialità, la diffusione dellaconoscenza, la riqualificazione territoriale,la competitività, la valutazione degli impat-ti, anche a partire da casi di studio, in termi-ni di eventi specifici e di aree urbane.

La sessione organizzata da FrancescaSilvia Rota (IRES Piemonte), intitolata Leradici del male. Quando il radicamento a-limenta la violenza, ha ospitato contributiche hanno utilizzato in chiave critica la ca-tegoria interpretativa del radicamento perindagare come i luoghi, anche virtuali, le

dinamiche spaziali e territoriali, l’apparte-nenza o meno a determinati contesti di vitao lavoro possano generare, facilitare o alcontrario ostacolare l’emersione di diverseforme di violenza.

La sessione La nuova industria della fe-licità? Promesse e contraddizioni della cittàneo-imprenditoriale, proposta da Ugo Rossi(Università di Torino), Anna Paola Quaglia(Politecnico di Torino) e Arturo Di Bella (U-niversità di Catania), ha invitato gli autori acontribuire alle riflessioni sull’«imprendito-rializzazione» delle città e della governanceurbana. I contributi presentati hanno utiliz-zato i concetti di radicamento e sradicamen-to per indagare interventi sulle città e tra-sformazioni urbane, ma anche fenomenicome la sharing economy, le pratiche eco-nomiche innovative e gli effetti della rivolu-zione digitale sui processi di governance.

I contributi presentati nella sessioneproposta da Giacomo Pettenati e AlessiaToldo (Università di Torino), dal titoloGeografie del cibo: tra sradicamenti, deter-ritorializzazione e strategie di resistenza, sisono articolati intorno a diverse declinazio-ni della dialettica sradicamento-radicamen-to all’interno dei food studies: da un lato iltema delle politiche alimentari e quellocontroverso degli alternative foodnetworks, entrambi letti come forme di ri-territorializzazione dei sistemi del cibo estrumenti per la creazione di alternativefood geographies. Dall’altro pratiche, anchemicro, di ri-radicamento delle filiere ali-mentari in contesti specifici.

I partecipati alla sessione organizzata daMaria Cristina Martinengo e Paolo Giaccaria(Università di Torino), Autenticità e radica-mento nel turismo esperienziale, sono statichiamati a riflettere su come esperienza, ra-dicamento e autenticità interagiscano neimercati turistici contemporanei. I contributipresentati hanno affrontato il tema contri-buendo al dibattito teorico a partire da casied esperienze nazionali e internazionali.

La sessione presentata da Maria Giu-seppina Lucia (Università di Torino), intito-lata Mobilità transnazionale dei flussi fi-

nanziari e territorialità: un’auspicabile si-nergia per lo sviluppo, ha affrontato il temadel radicamento in relazione alle nuovetendenze e ai nuovi attori della scena fi-nanziaria e la natura delle relazioni checon essi stabiliscono le istituzioni locali. Icontributi presentati hanno indagato da unlato i processi e i mutamenti dello scenariofinanziario, dall’altro il rapporto fra capita-le, investimenti immobiliari e sviluppo lo-cale e, infine, il tema dell’esclusione e in-clusione sociale e finanziaria.

Nella sessione Oltre lo spazio pubblico.Pratiche urbane, politiche, nuovi radica-menti Mirella Loda e Matteo Puttilli (Uni-versità di Firenze) hanno invitato i parteci-panti a studiare lo spazio pubblico e inda-garne le trasformazioni e i nuovi radica-menti nella città contemporanea, superan-do le prospettive dualistiche che contrap-pongono, per esempio, politiche neolibe-rali e rivendicazioni locali. La sessione haquindi raccolto contributi che, sulla basedei temi e dei metodi di ricerca utilizzati, sisono concentrati da un lato sulla possibilitàdi ridefinire e risignificare il concetto dispazio pubblico e dall’altro sulle sue mo-dalità di indagine e di esplorazione.

La sessione presentata da Luca SimoneRizzo (Università di Padova), intitolataNuove ruralità e assetti agricoli: modalità,percorsi e pratiche, ha affrontato le trasfor-mazioni antropologiche e strutturali dellacampagna e l’emersione di nuove forme diagricoltura ri-radicate. I contributi presen-tati hanno riflettuto su come le dinamichedi radicamento e sradicamento possanogenerare nuove forme di territorializzazio-ne degli spazi rurali.

La sessione Innovazione, localizzazio-ne e flussi migratori, organizzata da Fran-cesco Quatraro (Università di Torino), haaffiancato al tema principale – il ruolo deimigranti nella produzione di innovazione –anche la questione delle relazioni tra feno-meni migratori, cambiamento climatico esicurezza ambientale, accogliendo diversicontributi di una sessione sulla Climate-in-duced migration i cui numeri non hanno

raggiunto la soglia di attivazione. Si sonovenuti così a fondere due sguardi differentima assolutamente complementari di inda-gine e riflessione sulla complessa questio-ne migratoria.

La sessione proposta da Viviana Lan-gher (Università di Roma «La Sapienza»),intitolata Significati simbolici del territorio:implicazioni nei processi comunitari, dirigenerazione e riqualificazione, ha rap-presentato un’interessante contaminazionedisciplinare fra la geografia e la psicologianell’affrontare le tematiche della conferen-za. I partecipanti hanno infatti utilizzato lacultura locale come categoria concettualeper ripensare la dialettica fra radicamentoe sradicamento, con l’obiettivo di superarele contraddizioni insite nei processi trasfor-mativi delle comunità locali, riflettendo sulruolo delle dimensioni simboliche con cuiviene rappresentato il territorio all’internodei processi comunitari, di rigenerazioneproduttiva o sociale e riqualificazione deglispazi urbani.

Le ultime due sessioni, infine, hannoraccolto i cosiddetti contributi liberi che, inquesta edizione, sono stati poco numerosima molto diversi fra loro, rendendo nonsemplice la costruzione di un discorso coe-rente e unitario. In questa logica, una pri-ma sessione, moderata da Ugo Rossi, hariunito diversi lavori che ruotavano intornoai concetti di non-luogo e di banalizzazio-ne dello spazio, sia nella forma di una sor-ta di denuncia di alcune pratiche commer-ciali e turistiche, sia nel racconto di espe-rienze di resistenza e reazione a questi fe-nomeni. La sessione moderata da AlbertoVanolo (Università di Torino) ha visto inve-ce dialogare contributi differenti connessial tema delle aree interne e al concetto piùampio di mobilità, sia attraverso i confini,sia nella sua declinazione logistica.

La giornata si è chiusa con una formulainteressante di restituzione, da parte deicoordinatori delle diverse sessioni, deiprincipali esiti dei lavori. Considerato l’ele-vato numero di panel e la loro compressio-ne all’interno di un’unica giornata, questa

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modalità ha consentito ai presenti di avereun quadro, per quanto sintetico e abbozza-to, dei temi e dei punti salienti emersi neivari gruppi di discussione.

Una lettura più approfondita dei tanticontributi sarà possibile attraverso la loropubblicazione nelle «Memorie Geografiche»della Società di Studi Geografici che, comed’abitudine, sarà prevista a ridosso dellasettima giornata che verrà ospitata nel 2017a Pescara. Al momento il tema della prossi-ma conferenza non è ancora noto, lo atten-diamo con curiosità anche perché, citandola nota conclusiva di Francesco Dini nell’in-troduzione al volume della prima edizione,se è vero che questi eventi rifuggono l’am-bizione di creare nuovi vocabolari discipli-nari, a distanza di cinque anni è evidentecome essi contribuiscano a (ri)costruire lanarrazione di come la comunità geograficaitaliana maturi ed evolva i propri discorsi«discutendoli, o direttamente applicandoli,sui lógoi del proprio linguaggio» (a cura diC. Capineri e altri, Oltre la GlobalizzazioneProssimità/Proximity, in «Memorie Geogra-fiche», 2013, n.s., 11, p. 8).

Questi eventi, soprattutto per le unitàlocali che li ospitano, possono inoltre fun-zionare da starter per ulteriori approfondi-menti e iniziative, come il seminario sulconcetto di «radice» – organizzato da duegiovani geografe torinesi, Anna Paola Qua-glia e Samantha Cenere (Politecnico di Tori-no) – che ha completato l’offerta scientificadella giornata di studi. L’evento, pensatocome un dialogo interdisciplinare, aveval’obiettivo, poi perfettamente raggiunto, diinterrogarsi e interrogare diversi saperi (conla partecipazione di Giuseppe Dematteis ePaolo Giaccaria per la geografia, FrancescoRemotti per l’antropologia e Giovanni Le-ghissa per la filosofia) sui molteplici signifi-cati del concetto di radice, non tanto conl’ambizione di pervenire a una definizioneunivoca, quanto piuttosto per problematiz-zarne l’utilizzo da parte dei ricercatori, tan-to nei discorsi, quanto nelle pratiche.

Alessia Toldo

PROBLEMI AMBIENTALI

L’abitare sostenibile in Italia

Il 29 aprile 2016 presso l’Università «Ro-ma Tre» si è svolta la prima proiezione deldocufilm L’Abitare Sostenibile. Il caso degliecovillaggi e del cohousing in Italia. Ideatoe diretto da Isabelle Dumont, con la regiadi Amedeo de Dominicis e Roberto Failla,questo docufilm è l’esito di un progetto di-dattico che la docente ha proposto agli stu-denti del corso magistrale di Politica del-l’Ambiente. Realizzato grazie alla collabo-razione tra il Dipartimento di Studi Umani-stici di «Roma Tre» e BF360 Srls – StartupInnovativa, esso sviluppa il tema della so-stenibilità abitativa attraverso l’incontrocon gli abitanti di due ecovillaggi e duecohousing italiani: la Comune di Bagnaiadi Sovicille (Siena), il Villaggio Verde di Ca-vallirio (Novara), i cohousing Numero Zero(Torino) ed Ecosol di Fidenza (Parma).

L’evento è stato aperto da Mario DeNonno, direttore del Dipartimento di StudiUmanistici che, nel portare i saluti a tutti iconvenuti, ha sottolineato l’impegno di «Ro-ma Tre» verso una didattica innovativa, dicui il docufilm in oggetto è una concreta e-splicitazione. Claudio Cerreti, che ha coor-dinato il pomeriggio, ha evidenziato il sensogeografico dell’abitare: l’abitazione è il pas-so primordiale per entrare in relazione conil territorio, per cui scindere l’aspetto dellaresidenzialità dalle funzionalità e dai pro-cessi territoriali connessi è un errore checonduce pericolose disarmonie e disequili-bri, connotanti la società contemporanea.

La pellicola si caratterizza per un intensodinamismo visivo e musicale: in apertura sialternano immagini di repertorio (Conferen-za di Stoccolma e Summit di Rio) a contribu-ti teorici (per esempio quello di Serge La-touche) per poi convogliare l’attenzione sul-la problematica abitativa, che pone indub-bie criticità rispetto alla categoria della so-stenibilità. Ed è qui che la voce narrante ri-chiama la dimensione politica dell’abitareche «crea gli spazi e dà senso ai luoghi, dalla

casa all’agglomerazione, al territorio». I variaspetti connessi alle esperienze abitativepresentate – gli ecovillaggi in contesto rura-le e i cohousing in contesto urbano – si di-panano attraverso le testimonianze dei resi-denti interpellati, differenti per genere, età,storie di vita e motivazioni. Emergono cosìle peculiari scelte ambientali (in primis e-nergetiche), l’organizzazione di luoghi ed e-difici idonea a bilanciare esigenze collettivee libertà individuali, l’uso di spazi comuni eprivati, il significato quotidiano della condi-visione e delle relazioni di vicinato. Nonmancano i rimandi ai problemi di ordine fi-nanziario, burocratico, istituzionale (i rap-porti con gli enti pubblici sono spesso osta-colati dalla difficoltà di inquadrare giuridica-mente questi tipi di realtà) e – non ultimiovviamente – i conflitti relazionali, che tutta-via non sono molto lontani da quelli che sipossono sviluppare – come afferma un in-tervistato – «in qualunque ufficio di qualun-que quartiere e città».

Tra le tante suggestioni che la pellicolaoffre si vuole qui richiamarne una in parti-colare che attesta l’intrinseco significatogeografico di queste realtà abitative: essenon sono e non devono essere chiuse, nonhanno il fine di costituire delle gated com-munities ma al contrario sono aperte al ter-ritorio, seppure in diversi modi e forme(per esempio con la vendita di prodotticoltivati nel caso dell’ecovillaggio o con ladisponibilità di una sala del cohousing peril quartiere), sono generatrici di buone pra-tiche relazionali e, appunto, sostenibili sulpiano sociale, ambientale ed economico.Le parole utilizzate dai residenti e ancorpiù le mappe mentali da loro tracciate van-no con chiarezza in questa direzione.

La proiezione ha decisamente e piace-volmente provocato la platea, soprattuttoperché, come I. Dumont ha puntualizzato, ilfilm ha scelto di focalizzarsi su realtà funzio-nanti per dimostrare che è possibile dare vi-ta a soluzioni locali sostenibili, di diverso ti-po e con altrettanto varie sfumature, secon-do le necessità e le idee di ognuno: formeplurime che esprimono differenti ambiti e

gradi di condivisione, localizzate in spaziurbani e in spazi rurali, che possono realiz-zarsi in edifici nuovi, nei quali è probabil-mente più facile utilizzare materiali e tecni-che ecocompatibili, o in edifici in cui pro-gettare ristrutturazioni appropriate. Nel vi-vace dibattito sono emersi ulteriori aspettilegati alla sostenibilità, sia su un piano teori-co sia sul piano delle pratiche possibili. Èstata ribadita l’importanza di sensibilizzarela cittadinanza ai temi del vivere e dell’abita-re, in senso ambientale e sociale: i cittadinipossono trovare un loro sistema consapevo-le di abitare anche al di là di questi modelli,che certamente non esauriscono le formeimmaginabili e non rappresentano le unichepossibilità di porre attenzione alle relazionicon il territorio e con il vicinato.

Le valenze del prodotto filmico di Isa-belle Dumont sono quindi molteplici: sulpiano didattico gli studenti hanno potutoapprendere contenuti e produrre sapere inuna continua ricerca-azione, sperimentandouna geografia concreta, attenta a temi con-temporanei e a realtà tangibili, utile all’eser-cizio della loro cittadinanza. Per il tema trat-tato e le modalità di realizzazione, questodocufilm è una testimonianza della profon-da interrelazione tra gli attori sociali, l’orga-nizzazione degli spazi di vita e gli effetti so-cioterritoriali nel più ampio gioco tra priva-to/pubblico, individuale/collettivo, competi-zione/cooperazione. Ecovillaggi e cohou-sing ci interrogano sui nostri stili di vita, sul-la cura e sulla dignità che attribuiamo – a-gendo – alle persone e alle risorse ambien-tali. Non ultimo, questo prodotto è un esem-pio di quella terza missione degli atenei che«porta fuori» dalle aule universitarie le ricer-che e gli studi accademici: esso è parte, in-fatti, delle iniziative promosse da HumUS –Humanitas Universitas Societas/Humanitiesfrom University to Society – un gruppo distudenti, dottorandi, personale tecnico e do-centi del Dipartimento di Studi Umanistici di«Roma Tre», finalizzato a rafforzare i rapportitra università e società civile.

Emanuela Gamberoni

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Sostenibilità dei Sistemi Rurali

Il mondo rurale, vera e propria «riserva»di spazio e di risorse naturali, è sempre piùal centro di vasti interessi economici (con ri-ferimento non solo alle attività consideratetipiche, come quelle agricole a scopo ali-mentare e turistiche, ma anche al settore e-nergetico e, nel prossimo futuro, dei cosid-detti «bioprodotti») e di significativi interven-ti politici per lo «sviluppo». Inoltre, in talicontesti, emerge evidente più che altrove u-na tensione – a volte conflittuale – fra mo-delli produttivi e stili di vita differenti, visionie paradigmi opposti che spesso finisconoper cristallizzare i concetti di «tradizione» e«innovazione», attribuendo loro connotazio-ni negative o positive a seconda dei punti divista. Che i sistemi rurali abbiano subìtoprofonde modificazioni dalla Rivoluzioneindustriale è evidente, che queste si sianoaccelerate e diffuse esponenzialmente, a tut-ti i livelli della scala spaziale, dopo la secon-da guerra mondiale è innegabile, che abbia-no inciso significativamente sulle relazionicomunità-ambiente e sull’organizzazione so-cioeconomica innestando forti processi dideterritorializzazione e riterritorializzazioneè indubbio, quello che, però, oggi viene in-teso come «tradizione» e «innovazione» non èaltrettanto scontato, come non è per nullascontata la relazione fra patrimonio cultura-le/ambientale ereditato e innovazione.

Su questo ha provato a riflettere laCommissione sulla Sostenibilità dei SistemiRurali dell’International Geographical U-nion (IGU) organizzando, in collaborazio-ne con il Dipartimento di Geografia dell’U-niversità di Liegi e con il Laboratory for theAnalysis of Places, Landscapes and Euro-pean Countryside (LAPLEC), il XXIV Collo-quium sulla Sustainability of Rural Sy-stems: Balancing Heritage and Innovationche si è svolto in Belgio dal 17 al 22 luglio2016 (www.laplec.ulg.ac.be/csrs2016/).

I lavori si sono aperti con due relazioniin chiave concettuale. Marc Antrop (GhentUniversity) ha affrontato il tema del Conve-gno dalla prospettiva del paesaggio, em-

blema di eredità culturale e ambientale,mostrando come le rivoluzioni sociali e tec-nologiche abbiamo inciso a fondo su di es-so e come le forze «motrici» globali abbianotrasformato i paesaggi in urbanizzati e glo-balizzati a fronte di società locali non più ingrado di sostenere la gestione tradizionalee la conseguente «produzione» di paesaggi.Questo ha portato a una scomparsa gra-duale della diversità regionale, sia culturalesia biologica, e alla polarizzazione deglispazi. Nicolas Dendoncker (University ofNamur), invece – partendo dal presuppo-sto che il concetto di servizi ecosistemicisia passato da un mero ruolo di presa dicoscienza sulla perdita della biodiversità astrumento anche operativo per la gestionepaesaggistica sostenibile – ha proposto iservizi agroecosistemici per la transizioneverso un’agricoltura sostenibile e nuovimodelli di gestione dei territori rurali.

In particolare, e assunto che l’innova-zione non è neutra, il Convegno si è inter-rogato sulla relazione patrimonio cultura-le/naturale e innovazione e sulle possibi-lità/modalità di equilibrare tale rapportoper la sostenibilità dei sistemi rurali conspeciale riferimento alle dimensioni am-bientale e sociale, ponendo l’attenzione siasui «motori» del cambiamento (tecnologie emodalità produttive) sia sui principali am-biti di sviluppo (agricolo, forestale, turisti-co, energetico e dei cosiddetti «servizi» am-bientali). Pertanto, la riflessione – sul pianoconcettuale, teorico ed empirico (con lapresentazione di casi di studio internazio-nali) – si è svolta in sei sessioni tematiche:nuove tecnologie informatiche e della co-municazione e nuovi stili di vita rurale; in-novazioni agronomiche e impatti ambien-tali e sociali; dai servizi ecosistemici agli a-gro-servizi; le tematiche energetiche nellearee rurali; la multifunzionalità di foreste ecampagne; il turismo e lo svago.

La sessione sulle nuove tecnologie è sta-ta incentrata sugli scenari che il loro uso a-pre in termini di sviluppo di nuove attivitàeconomiche (come l’industria leggera) e didiffusione di moderni servizi al fine di fare

luce sui nuovi stili di vita rurale, nonché op-portunità, rischi e sfide connesse. La secon-da sessione è stata focalizzata sulla connes-sione delle pratiche agricole con la ricerca el’innovazione, con l’obiettivo di analizzarnegli impatti sociali, ambientali e sul paesag-gio. La terza sessione ha posto al centro del-la discussione l’importanza dell’agricolturaper le attività umane e la pertinenza delconcetto di agro-servizi. La quarta sessioneha proposto la riflessione sulle energie rin-novabili – eolica, solare e idrica – e il lorocrescente sviluppo nelle aree rurali che,comportando un diverso uso della terra,può rappresentare sia un’opportunità siaun’ingiustizia socio-spaziale. La quinta ses-sione ha richiamato studi sulla multifunzio-nalità delle foreste e delle campagne e, dun-que, sui servizi e le attività che queste pos-sono offrire, nella consapevolezza che ciòpossa mettere in discussione il valore sim-bolico del mondo rurale. Nell’ultima sessio-ne dedicata al turismo, ci si è interrogati sultipo di innovazioni (sociali, economiche etecnologiche) atte a soddisfare i visitatori e,contemporaneamente, ad assicurare ricadu-te positive per le comunità rurali.

In alcuni casi le sessioni tematiche sonostate suddivise in sottosessioni per la nume-rosità e la ricchezza dei contributi (per untotale di 11). In particolare, la sessione sullamultifunzionalità delle foreste e delle cam-pagne è stata organizzata in quattro gruppifocalizzati sugli aspetti economici, sociali, e-cosistemici e territoriali. La sessione che si èoccupata degli aspetti economici – o, me-glio, delle attività economiche non agricolesviluppate nelle aree rurali – coordinata dal-la sottoscritta, ha messo in luce come lamultifunzionalità possa essere il risultato siadi un processo endogeno e storicamente«prodotto» (come gli studi condotti in Fran-cia e Portogallo hanno dimostrato) sia di im-pulsi esogeni e politicamente determinati(come quelli promossi dall’Unione Europeaattraverso i programmi per la diversificazio-ne delle attività rurali al centro delle ricer-che in Polonia). Pertanto e complessiva-mente, è emerso che la multifunzionalità se

da un lato può produrre entrate supplemen-tari rispetto a quelle agricole e talvolta unaumento dell’occupazione, dall’altro latopuò indurre processi di deterritorializzazio-ne, ovvero una trasformazione delle pro-spettive e delle relazioni economiche e so-cio-culturali e dunque un cambiamento nel-l’organizzazione territoriale. Dagli studi è ri-sultato come tali mutamenti possano mette-re in discussione l’identità e il valore simbo-lico del rurale lì dove le attività non sonosviluppate in continuità e coerenza con letradizioni territoriali. In quest’ultimo caso, alcontrario, l’uso delle aree rurali in chiavenon agricola può costituire un elemento d’i-dentità e in alcune circostanze anche unapossibile soluzione alle crisi ambientali edeconomiche causate dalla globalizzazione.

Alla parte seminariale hanno fatto segui-to tre giorni di lavoro sul terreno. Al riguar-do, il Belgio ha rappresentato un’ottima oc-casione per riflettere sul connubio mondorurale/innovazione/sostenibilità essendo unPaese che – pur anticamente e fortementeantropizzato, urbanizzato e industrializzato,caratterizzato da una lunga storia di sfrutta-mento della terra (attività agricole, estrattive,minerarie) e da una significativo tasso di in-frastrutturazione del territorio – ha valoriz-zato molto le aree rurali con riferimento al-l’attività agricola, ai servizi ambientali, turi-stici e residenziali. Tale valorizzazione, ca-ratterizzata da un approccio tecnocentrico eda sofisticate innovazioni, ha permesso dipoter osservare direttamente alcuni effetti abeneficio di una riflessione a tutto tondo sulconcetto di sostenibilità e sulla delicatezzadella relazione fra eredità culturale/ambien-tale e innovazione.

Il confronto e la discussione sono statiarricchiti da una partecipazione vasta e geo-graficamente differenziata, con relatori pro-venienti dai cinque continenti (60), seppurcon una netta prevalenza di Europei (38) eAsiatici (12). La partecipazione più numero-sa si è registrata da Belgio (7), Francia (7),Giappone (7), Italia (6) e Polonia (6).

Margherita Ciervo

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Terremoti italiani: dalle fonti storichealla governance odierna del rischio

Il 16 dicembre 2016 presso il Laborato-rio Geocartografico «Giuseppe Caraci» del-l’Università di «Roma Tre» si è tenuto il se-minario internazionale di studi Terremoti i-taliani (1693-2016) tra memoria storica eprogettualità futura. Annalisa D’Ascenzo,coordinatrice dell’evento, ne ha rimarcato ilcarattere internazionale sottolineando lacollaborazione del Dipartimento di StudiUmanistici dell’Università degli Studi «RomaTre» – oltre che con il Centro Italiano per gliStudi Storico-Geografici – con il Laborato-rio Deep History Memory del Departamen-to de Antropología, Geografía e Historiadell’Universidad de Jaén, con il ProgramaSalvador de Madariaga 2016 e la Red Cibe-les. Tratto fondamentale del dibattito è sta-ta l’interdisciplinarità, assicurata dalla pre-senza di cinque relatori di diversa estrazio-ne scientifica (storica, geografica, geologi-ca, filosofica e giurisprudenziale) che han-no avuto un differente approccio metodo-logico agli eventi sismici e vulcanici.

D’Ascenzo ha sottolineato anche l’im-portanza della prospettiva diacronica di lun-go periodo (dal Seicento ai giorni nostri) ri-cordando come terremoti e altri effetti cala-mitosi abbiano imponenti risvolti nei proces-si di antropizzazione e come sia dunque in-dispensabile uno studio organico che possamettere in contatto più settori disciplinari.

José Miguel Delgado Barrado, professo-re di Storia Moderna presso l’Universidad deJaén, ha presentato il suo intervento dal tito-lo Val di Noto, 1693 e Messina-Reggio, 1783.Analisi comparativa delle azioni politiche esociali nella ricostruzione post sismica. Se-condo Delgado Barrado «manca una geogra-fia del disastro, in particolare manca un lin-guaggio univoco riguardante i disastri natu-rali perché, oltre alla descrizione, serve l’in-terpretazione dei fenomeni». Concentrando-si in particolar modo sul disastro che colpì ilVal di Noto alla fine del Seicento, ha consul-tato i dati storici, circa 1.650, del fondoINGV e ha ricordato come il primo dato

fuorviante riguardi la collocazione geografi-ca; si parla infatti solo di Sicilia orientalementre il sisma, del nono grado della scalaMercalli, ha interessato anche la Calabria.Gli effetti furono disastrosi e portarono gran-di trasformazioni territoriali, basti pensareche le vittime furono 54.000 e gli insedia-menti interessati 185, trenta dei quali scom-parvero o furono costretti a ricostruirsi altro-ve. Il dato più interessante emerso durantela consultazione dei documenti riguardaperò l’importanza attribuita agli aspetti eco-nomici; il 59,6% delle fonti parla infatti di o-perazioni (pagamenti e transizioni economi-che) indotte dalle trasformazioni territoriali esociali causate dal sisma. In particolare, cifurono molte compravendite di immobili, atestimonianza di quanto l’aspetto economi-co fosse già fortemente connesso ai disastrinaturali. Citando lo stesso Delgado Barrado«il disastro è un negozio». A conclusione delsuo intervento, parlando della cartografiasuccessiva al terremoto, ha evidenziato co-me essa sia povera di elementi rappresenta-tivi e di dettaglio riguardanti il sisma; le po-che tracce della tragedia sono descrizioni eraffigurazioni che fungono da corredo.

Corinna Guerra del Laboratoire d’Excel-lence HASTEC ha parlato della risposta e-motiva agli eventi vulcanici nel suo inter-vento La storia delle risposte emozionali allepassate eruzioni del Vesuvio può avere unruolo nella percezione del rischio futuro?Prendendo ad esempio Portici, situata nellazona rossa del rischio vulcanico legato alVesuvio, ha sostenuto che i suoi abitantinon si dimostrano preoccupati per una pos-sibile eruzione. Eppure le testimonianzestoriche che rammentano la pericolositàdell’area sono molteplici e sotto gli occhi ditutti. Già Nietzsche allertava la popolazionescrivendo «Vivete nel pericolo, costruite levostre case sul Vesuvio». In città, inoltre,non mancano indizi circa i precedenti epi-sodi vulcanici. Suscita particolare interesse,secondo Corinna Guerra, una lapide del1631 che rappresenta una memoria storicasia di carattere scientifico sia di carattere de-scrittivo-emozionale della tragedia vissuta.

Su quest’ultimo punto si concentra la suaconsiderazione: «le emozioni rappresentanofonti storiche, sono percezione del sottosi-stema educativo della popolazione». Le e-mozioni, e quindi la memoria storica, cheun evento calamitoso del passato ha gene-rato sulle persone che lo hanno vissuto sul-la propria pelle, forniscono importanti indi-cazioni: da una parte perché fanno emerge-re le percezioni che si avevano nel passatodurante e dopo la catastrofe, dall’altra per-ché possono avere un impatto maggioresulla popolazione locale rispetto alle pub-blicazioni di carattere scientifico che spessonon sono colte a pieno. Guerra ha conclusoche «è necessario trattare i racconti del pas-sato come veri e propri dati scientifici».

Di carattere geofisico è stato invece l’in-tervento Rischio vulcanico nell’area napo-letana di Giuseppe Mastrolorenzo dell’Isti-tuto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia.Il geologo ha ricordato il rischio estremo alquale è esposta la zona di studio circondatada un lato dal Vesuvio, dall’altro dal com-plesso vulcanico dei Campi Flegrei, poten-zialmente molto più dannoso del primo es-sendo stato catalogato come un «super vul-cano». Mastrolorenzo ha ricordato come inpassato si fosse duramente battuto, soprat-tutto con le istituzioni, per far comprendereil reale e catastrofico scenario al quale lapopolazione è soggetta. Aveva denunciato,in primo luogo, la mancata inclusione diNapoli nel piano di evacuazione del Vesu-vio e successivamente, tramite una mappadi pericolosità dei Campi Flegrei, avevamesso in luce una situazione ancora piùcritica rispetto all’area vesuviana invitandoin maniera decisa politici e amministratori asopperire al più presto alla mancata realiz-zazione di un piano di emergenza. Attual-mente Napoli è parzialmente inclusa sia neipiani di emergenza del Vesuvio, sia in quel-li dei Campi Flegrei, ma secondo Mastrolo-renzo questo non ancora basta.

La geografa Lina Calandra ha toccato iltema della partecipazione degli attori localinelle fasi del post evento sismico con la suapresentazione Governance del rischio e del

disastro: il ruolo della partecipazione per lacostruzione condivisa di quadri interpreta-tivi della realtà. Definendo la governancecome «sistema di pratiche e istituzioni chepossono garantire l’efficacia del governodel territorio», Calandra rammenta come es-sa debba avere un ruolo centrale non solonel momento del disastro ma anche nellaprevenzione. La sua ipotesi è che l’efficaciadi un buon governo del territorio non possaprescindere dal coinvolgimento delle per-sone. Avendo vissuto direttamente l’espe-rienza del terremoto dell’Aquila del 2009,ha affermato che l’inclusione della popola-zione nei processi di governo del territorionon è stata presa in considerazione da nes-suna delle governances che si sono succe-dute nel corso del tempo. Per Calandra «lepersone coinvolte nel disastro non devonoessere viste come oggetti da studiare, macome soggetti di conoscenza». È fondamen-tale raccontare il territorio da un punto divista interno, mentre è inutile una descrizio-ne, da parte di più voci, proveniente dall’e-sterno. La narrazione interna è infatti un’ar-ma potente che permette alla popolazionelocale un autoriconoscimento. Questo puòavvenire ad esempio mappando pratica perpratica le azioni degli abitanti e restituendoloro una narrazione collettiva che fa emer-gere quanto stia succedendo nel loro terri-torio. A questo scopo la tecnica del questio-nario, improntato soprattutto verso l’indagi-ne qualitativa, si è rilevata esaustiva e ido-nea alla sua ricerca, con un riscontro positi-vo nella popolazione-campione che si èsentita partecipe di un percorso condiviso.

Ha concluso il seminario l’interventodell’avvocato Gennaro Esposito con La zo-na rossa dei Campi Flegrei: le conseguenzeurbanistiche e la disciplina per garantire lasicurezza dei cittadini. Prendendo ad e-sempio la legge regionale che vieta la co-struzione residenziale nell’area vesuviana,ha effettuato una proposta di legge, rimastainascoltata, per applicare la stessa normati-va alla zona dei Campi Flegrei, soggetta aun rischio ancora maggiore. Esposito ha so-stenuto che la responsabilità di questa man-

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canza legislativa è attribuibile alle varie am-ministrazioni che attraverso le loro sceltepolitiche ricercano, in maniera spasmodica,il consenso della popolazione. Gli abitantidi queste aree non sono del tutto consci delrischio che corrono e non sono quindi fa-vorevoli a leggi che impongano dei vincoli.L’esempio più lampante sono gli enormi a-busi edilizi dell’area prossima al Vesuvio.

I casi di studio esaminati hanno per-messo di ragionare sugli aspetti legati allapericolosità delle strutture vulcano-tettoni-che e sulle loro implicazioni sociali, econo-miche e culturali a livello locale e sovralo-cale. Il seminario ha dimostrato come l’in-tegrazione di fonti variegate possa servireda supporto alla governance territorialeche dovrebbe essere in grado di preveniree mitigare gli effetti calamitosi ai quali si ècostantemente esposti. Significative sonostate le parole di Delgado Barrado: «se nonpossiamo evitare il disastro, allora faccia-mo in modo che la ricostruzione non causiun altro disastro. Dobbiamo imparare dainostri predecessori, il passato deve essereutile per il presente e il futuro». Della stessaidea Corinna Guerra che ha affermato: «nelpassato, nonostante la limitatezza delle co-noscenze scientifiche e tecnologiche, si so-no prese iniziative che possono avere unforte riscontro per affrontare, con maggiorpresa di coscienza, le stesse catastrofi allequali dobbiamo far fronte attualmente».

In merito alla pericolosità delle catastro-fi naturali, soprattutto inerenti a eventi si-smici e vulcanici, si ritiene interessante evi-denziare le attività del progetto GIS4RISKSche attraverso l’interdisciplinarità tra scienzegeografiche, ingegneristiche e geofisiche, estrumenti geotecnologici e della geomatica,sta producendo studi applicativi unendo ladimensione dell’analisi diacronica a quelladell’analisi geospaziale, con particolare rife-rimento alla provincia di L’Aquila e alle zo-ne vesuviane e flegree (cfr. i lavori di Lom-bardi e Pesaresi del 2014 e di Baiocchi e Pe-saresi del 2015 pubblicati in «J-READING»).

Diego Gallinelli

GEOGRAFIA STORICA

Cesare Battisti, geografo e cartografo difrontiera

Il Dipartimento di Lettere e di Filosofiadell’Università di Trento e il Centro Italianoper gli Studi Storico-Geografici (CISGE) han-no organizzato tra il 27 e il 29 ottobre 2016nella prestigiosa sede della Sala Grande delPalazzo del Buonconsiglio a Trento un con-vegno internazionale dedicato a un’impor-tante figura della storia del Novecento italia-no: Cesare Battisti. L’ufficiale italiano, giusti-ziato dagli austriaci a Trento nell’estate del1916 dopo essere stato catturato duranteun’incursione fallita sul Corno di Vallarsa, fuanche un valido e innovatore studioso digeografia, formatosi all’Università di Firenzecome allievo di Giovanni Marinelli, relatoredella sua tesi di laurea dedicata allo studiogeografico del Trentino. Battisti assimilò dalmaestro l’interesse per la cartografia storica,per la toponomastica e per lo studio limno-logico: molteplici infatti furono le ricerchesul campo e le pubblicazioni sulle caratteri-stiche e sugli aspetti più importanti dei laghidel Trentino. Battisti si dedicò alacremente auna intensa attività di ricercatore e di divul-gatore, strettamente connessa con il suo im-pegno sociale e politico.

Nella sessione inaugurale del conve-gno i consueti saluti di benvenuto sonostati portati da Laura dal Prà, direttrice delCastello del Buonconsiglio, e dalla coordi-natrice del comitato organizzativo, ElenaDai Prà, docente di geografia presso l’ate-neo trentino. Nutrita e interessata la pre-senza, all’apertura del convegno, dei piùalti rappresentanti delle autorità locali (fra iquali il sindaco di Trento Alessandro An-dreatta) e delle più importanti associazionigeografiche italiane (fra i quali i presidentidella Società Geografica Italiana, della So-cietà di Studi Geografici e dell’Associazio-ne Italiana di Cartografia). Il convegno, ar-ticolato su tre ricche giornate, ha visto al-ternarsi gli interventi di numerosi rappre-sentanti delle discipline geografiche (An-

drea Cantile, Massimo Quaini, Laura Cassi,Leonardo Rombai, Massimo Rossi, France-sco Micelli, Sergio Zilli, Giuseppe Rocca,Simonetta Conti, Michele Castelnovi, KurtScharr, Giuseppe Dematteis, Matteo Proto,Tommaso Mazzoli, Carla Masetti) ma an-che, in un’ottica interdisciplinare, studiosidi storia (Vincenzo Calì, Pieter Judson,Marco Bellabarba). Ciò anche in ossequioalla stessa vicenda umana e professionaledi Battisti, convinto sostenitore della neces-sità di abbattere gli steccati delle disciplineaccademiche per un maggiore dialogo trastudiosi di diverse materie.

La riflessione si è svolta attraverso unaserie di sessioni (La formazione scientificadi Cesare Battisti: gli studi a Firenze, la pro-duzione cartografica; Cesare Battisti e lageografia del Trentino. Analisi regionale,produzioni monografiche, guide, itinerari,toponomastica; La geografia di Battisti nelcontesto delle teorie geografiche europee;Temi, teorie geografiche e divulgazionescientifica al tempo di Cesare Battisti) voltead approfondire numerosi aspetti della vitae dell’opera intellettuale di Cesare Battisti.La poliedricità del Battisti studioso è statainvece evidenziata dalla tavola rotonda inti-tolata Approcci interdisciplinari alla figuradi Cesare Battisti nel contesto alpino. Pro-spettive e potenzialità della ricerca.

Battisti era un profondo conoscitore delTrentino, era un alpinista, si spostava in bi-cicletta, ma era anche un attento osservato-re della società. Attingeva sia agli strumentidelle scienze naturali che a quelli delle di-scipline umanistico-storiche e sociali. L’in-dagine sul terreno era arricchita dall’inchie-sta sociale, favorita dalla sua attività di poli-tico presente nei centri urbani e nelle cam-pagne e dalla ricerca scrupolosa svolta,non senza difficoltà, negli uffici della pub-blica amministrazione, di censimenti e datistatistici demografici, migratori, sociali edeconomici. Si spiegano così i lavori scienti-fici di mole considerevole, come le tre mo-nografie sul Trentino e i tanti altri scritti ci-vili specifici di geografia fisica, di geografiaumana e di geografia del turismo.

Cesare Battisti può considerarsi il pri-mo studioso ad avere impostato una rigo-rosa e metodologicamente aggiornata ana-lisi scientifica sulla geografia del Trentinoche contemplava i diversi aspetti della ri-cerca, fornendo una descrizione ampia edocumentata del rapporto tra popolazione,ambiente e risorse. Le opere di Battisti so-no fondamentali per comprendere le dina-miche storiche che hanno caratterizzatol’evolversi del territorio trentino e i delicatiequilibri socio-ambientali e paesaggisticiche hanno connotato la regione. Proprio inconsiderazione della riflessione applicataallo studio del rapporto fra il territorio e lapopolazione che lo abitava, la visionescientifica di Battisti può aiutare a com-prendere le dinamiche sociali e contribuireal dibattito sulla convivenza fra diverse i-dentità culturali e coscienze di luogo.

Con questo obiettivo, il convegno hacercato di far dialogare tra loro i massimistudiosi a livello nazionale e internazionale(molto proficua è stata infatti la partecipazio-ne dei colleghi austriaci e americani) che sisono occupati di Battisti per dare nuovaspinta, a un secolo dalla sua morte, al dibat-tito scientifico. La partecipazione alle sessio-ni è stata sempre elevata. Non solo membridella comunità accademica, ma anche stu-denti, insegnanti, cittadini comuni che han-no partecipato con costanza e attenzione arelazioni e dibattiti piuttosto serrati. C’è statospazio anche per un’esplorazione consape-vole del territorio in due tappe: in primis lavisita guidata alla mostra su Cesare Battistigentilmente offerta dal Castello del Buon-consiglio-Monumenti e Collezioni provincia-li; in un secondo momento, ospiti e conve-gnisti hanno potuto recarsi presso una dellefortificazioni descritte e analizzate da Battistinella sua veste di geografo, il forte Colle del-le Benne, dove le guide estremamente qua-lificate dell’associazione Chiarentana, grazieal coordinamento del professor GustavoCorni, hanno svelato ai partecipanti i segretidi queste perfette macchine da guerra.

Davide Allegri

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CARTOGRAFIA E SISTEMI INFORMA-TIVI GEOGRAFICI

Roma: una città fatta da tante città di-verse

Lo scorso 26 ottobre, presso il Diparti-mento di Economia dell’Università «RomaTre», si è svolto un seminario, dodicesimoappuntamento di #mapparoma, sul tema«Lo sviluppo umano nei municipi di Roma».Keti Lelo e Salvatore Monni dell’Università«Roma Tre» e Federico Tomassi dell’Agenziaper la Coesione Territoriale sono i promotoridel progetto #mapparoma, che nasce dall’e-sigenza di fornire agli utenti informazioni u-tili sul tema della governance di Roma, conun approccio interdisciplinare riferito allepolitiche di sviluppo locale.

Dal febbraio 2016 i ricercatori mettono adisposizione cartografie e dati di vario gene-re sulla Capitale sul sito mapparoma.blog-spot.com. La giornata di studio del 26 ottobreè stata altresì promossa in collaborazionecon il Centro di Ateneo per lo Studio di Ro-ma (CROMA). All’incontro hanno partecipa-to il direttore del Dipartimento di Economia,Silvia Terzi, e Pasquale De Muro del Diparti-mento di Economia di «Roma Tre». A coordi-nare gli interventi, il direttore del CROMACarlo Travaglini. I contributi hanno messo inluce la particolarità dello studio teso a indivi-duare il valore dell’Indice di Sviluppo Uma-no (ISU) nei territori dei municipi. I risultatihanno evidenziato una condizione differen-te da territorio a territorio. Gli indicatori uti-lizzati per definire i valori sono stati adattatitenendo conto della complessità di Roma. Siè fatto riferimento al reddito per quanto ri-guarda la dimensione dell’accessibilità allerisorse, agli anni di scolarizzazione per la di-mensione della conoscenza e ai dati sullamortalità, sui rischi connessi alla salute e allaprevenzione sanitaria per la dimensione del-la durata di vita «lunga e sana». Tutti i dati a-nalizzati sono scaricabili dal blog e proven-gono da istituti di ricerca pubblici e privati oda amministrazioni pubbliche. In questo ca-so, a differenza delle ricerche precedenti, i

dati elaborati fanno riferimento ai confini deimunicipi e non alle 155 zone urbanistiche diRoma. Questa scelta, per un verso obbligatapoiché i dati esistenti non consentivanoun’analisi di dettaglio, è stata giustificata dal-l’obiettivo di calcolare il valore dell’ISU al-l’interno dei singoli municipi. Da questopunto di vista lo studio rappresenta una no-vità rispetto alle rilevazioni dei censimentidecennali. Le rappresentazioni cartografichedimostrano le differenze di reddito presentitra municipi «agiati» (Centro e Roma nord) emunicipi più popolari, dove le problemati-che si accrescono (quadrante est, sud-ovest).La metodologia utilizzata ha peraltro eviden-ziato che le differenze tra i municipi nonconcernono solo gli aspetti economici e direddito: l’ISU subisce un calo indicativo inalcuni municipi per il basso livello di acces-so alla formazione universitaria e, ancor dipiù, al diritto alla salute. La fotografia che e-merge leggendo i valori dell’ISU è di unacittà con forti diseguaglianze in termini di ac-cesso alle risorse e di mobilità sociale. Si vada un valore molto alto (>0.8) nel II munici-pio, a un valore alto (0.7-0.8) nel I e III mu-nicipio, per poi scendere a un valore basso(0.5-0.55) per il IV e XI e molto basso (<0.5)per VI municipio (Torri). Le restanti munici-palità mantengono un indice di sviluppo u-mano medio (0.55-0.7).

L’indagine ha rilevato come la città diRoma in questi anni abbia visto nascere tanticentri e tante periferie: «all’interno delle stes-se periferie si possono trovare dei centri, oviceversa […] ci sono delle linee invisibiliche dividono i municipi, i quartieri». Il rap-porto tra centro e periferia si conferma tutta-via come un fattore dinamico che spiega almeglio lo sviluppo della città. In conclusionesi è fatto riferimento all’urgenza di investirerisorse sulla ricerca sociale, per il reperimen-to e l’elaborazione di dati utili per rappre-sentare i tanti volti di Roma. Un’iniziativa intal senso consentirebbe di fornire dati scien-tifici per orientare gli interventi di governo,tenendo conto delle diversità territoriali.

Stefano Del Medico

La ricerca geografica alle prese con lenuove tecnologie

Giovedì 1 dicembre 2016 si è tenuta aBologna (Dipartimento di Storia Culture Ci-viltà) la giornata di studi su New Technolo-gies e Ricerca Geografica, con l’obiettivo diriflettere «sulle rappresentazioni del territo-rio condizionate dalle nuove tecnologie esul ruolo che esse giocano nella narrazionee nella costruzione del discorso geografico».Nello specifico, ci si auspicava che si potes-se discutere, in un’ottica interdisciplinare, diquanto le nuove tecnologie influenzino le«ricerche più recenti che indagano i proces-si territoriali e i fenomeni spaziali».

In quattro sessioni molto dense, i diver-si interventi hanno affrontato numerosi te-mi, tra cui l’uso dei social networks per laraccolta di dati geolocalizzati o per la pro-mozione turistica di un territorio; le smartcities e più in generale gli applicativismart; i webGIS e le web map per la valo-rizzazione del patrimonio culturale e deibeni territoriali. Ogni sessione è stata se-guita da un ricco dibattito.

Mirella Loda e Mario Tartaglia hannopresentato un caso di studio fondato sull’e-motional geography e focalizzato sull’anali-si di immagini e relative didascalie pubbli-cate su social networks a predominanza fo-tografica. Si è evidenziato quanto possa in-fluire la carenza tecnica (in questo caso,l’assenza di una connessione Internet) nelprocesso di acquisizione-pubblicazionedell’immagine da parte dell’autore. La pub-blicazione differita comporta una rielabo-razione mentale da parte dello stesso auto-re che percepisce il luogo ritratto, o me-glio, l’immagine del luogo visitato, in ma-niera diversa rispetto al momento in cui èstata scattata la fotografia.

Anna Maria Pioletti e Cecilia Lazzarottohanno presentato un intervento in cui simettevano in luce alcune diverse modalitàdi rappresentare un luogo (la Valle d’Aosta)in alcune pagine Facebook. Nello specifico,hanno rilevato che la costruzione dell’im-magine del luogo e la sua comunicazione

non sia normalmente affidata a geografi,ma talvolta a esperti in media marketing e,in altre occasioni, soprattutto per quanto ri-guarda la PA, a figure che si interessano inmaniera estemporanea e non continuativaalla comunicazione istituzionale.

Sul tema della percezione del luogo (edello spazio) si è soffermato anche Marcel-lo Tanca, utilizzando le fotografie di GoogleStreet View selezionate nel progetto Isperia-das (Dario Costeri, Isperiadas. SardignaStreet View, http://isperiadas.tumblr.com),per presentare l’immagine di una Sardegnaben distante dall’immaginario collettivo. Laselezione delle fotografie, acquisite in pe-riodi dell’anno in cui non vi è una elevatapresenza turistica, mostra luoghi disabitatiche contrastano con l’idea stereotipata del-l’isola quale meta turistica estiva.

Dal punto di vista cartografico, AndreaDi Somma e Martina Giannini hanno pre-sentato due casi di studio in cui il prodottofinale è stato la realizzazione di un webGIS(rispettivamente su La Habana e sulla Ver-silia). Hanno dimostrato come la semplifi-cazione degli strumenti tecnologici per-metta con una relativa semplicità la realiz-zazione di prodotti on line multimediali einterattivi per la pubblicazione di dati geo-grafici e cartografici, smantellando – defini-tivamente? – l’idea semplicistica della car-tografia automatica. Dai loro studi emergechiaramente quanto la raccolta del dato ela finalità del tema, elaborazioni umane enon tecniche, determino la validità di unprodotto cartografico digitale.

Soprattutto in ambito urbano, gli stru-menti digitali si dimostrano efficaci per iltrattamento delle fonti geostoriche e perproporre narrazioni diacroniche. La rico-struzione dello spazio storico è stata alcentro dell’intervento di Michela Mezzanoche ha proposto la virtualizzazione 3D dialcuni progetti della città di Torino rimastisulla carta. Maria Vona, invece, ha propo-sto un’analisi storica di una porzione dellastessa città (Piazza San Carlo) usando co-me fonte principale i diversi catasti succe-dutisi dal periodo napoleonico in poi, riu-

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scendo a delineare anche un quadro del-l’assetto sociale.

Negli ultimi anni si è assistito a una im-portante semplificazione dei software digita-li per l’analisi geografica – a cominciare da-gli applicativi GIS – favorendone così un lar-go uso, non più riservato esclusivamente atecnici specialistici. Parimenti, si sta assisten-do alla produzione di numerosi applicatividi facile utilizzo specializzati in alcune fun-zioni specifiche, al contrario dei più com-plessi software GIS, CAD o BIM e, di conse-guenza, alla realizzazione di contenuti gene-rati anche dal basso – e non più solo dall’al-to – una iperproduzione di testi e immaginidove molto spesso viene messo al centro ilterritorio. Allo stesso modo, «i processi diterritorializzazione sono sempre più caratte-rizzati da forme accessibili di narrazione»,spesso però massive e non verificabili. Glistudi presentati hanno confermato questatendenza, presentando ricerche dove in ge-nere un solo strumento digitale specifico èstato utilizzato, mentre raramente vi è statal’integrazione di più strumenti, influenzandocosì l’analisi, in alcuni casi in maniera moltomarcata. Da una parte si riscontra, come an-che in passato, un’attenzione eccessiva allostrumento tecnologico a discapito del conte-nuto e delle riflessioni; dall’altra, una rapidadiffusione di applicativi diversi ha il vantag-gio di offrire una molteplicità di possibilitàpur tuttavia sfavorendo l’interoperabilità deidati elaborati e dei risultati ottenuti.

Come sottolineato anche nella discus-sione finale da Angelo Turco, infatti, sembraesserci un «anarchismo metodologico», do-vuto al fiorire costante di nuovi strumenti ealla pratica epistemologica che viene dalbasso, che è per l’appunto priva di modelliepistemici ma si basa piuttosto su «inciampie problemi da risolvere». È altresì vero che ilcontenuto tecnologico è importante e quali-ficante ma l’assenza di un impianto metodo-logico rischia di portare alla banalizzazionedella narrazione, poiché «non bastano le tec-niche, prima ci vogliono le idee e la teoria».

Arturo Gallia

VARIE

La geopolitica, una categoria per la sto-riografia contemporanea

Alla geopolitica non corrisponde unadefinizione univoca e condivisa ma su unpunto si è d’accordo: è più un ragionamen-to interdisciplinare che non una vera e pro-pria disciplina. Il 26 gennaio 2016 presso ilDipartimento di Filosofia Comunicazione eSpettacolo dell’Università «Roma Tre», la ri-vista «Il mestiere di storico» della Società I-taliana per lo Studio della Storia Contempo-ranea (SISSCo) ha organizzato un semina-rio dedicato alla riflessione sul contributoepistemologico della geopolitica alla storia.Nei loro discorsi di apertura, Alfonso Botti,vicepresidente della SISSCo, e Paolo D’An-gelo, direttore del Dipartimento in cui si ètenuta la riflessione, hanno sottolineato ilrilievo potenziale di quella giornata per u-na rielaborazione della storiografia.

Durante la prima sessione, il primo deiquattro interventi è stato quello di AdrianoRoccucci, direttore di «Il mestiere di stori-co». Nell’analisi dei rapporti tra spazio e sto-ria ha ricordato come lo spatial turn fosselegato ai nomi di Foucault, di Lefebvre e diSoja, secondo i quali dove avvengono i fattistorici è cruciale per la loro comprensione.Possiamo dunque concepire una relazionetriangolare corrispondente al legame fra tredimensioni interconnesse – temporale, so-ciale, spaziale – per spazializzare la narrati-va storica e la storia umana e studiare la so-cietà nello spazio e per mezzo dello spazio:essa ne vive, lo utilizza, lo sistema e lo con-suma, come suggerisce l’ottica braudeliana.Si è poi accennato al fatto che con l’emer-gere degli interrogativi sulla globalizzazio-ne, la ricerca storica ha adottato un neces-sario registro spaziale: dando rilievo alla di-mensione interconnessa della storia globa-le, la world history si basa sul modello deisistemi reticolari che nell’analizzare la storiarecente tende anche a ribaltare i paradigmi«atlantocentrici» come quello centro-perife-ria, proponendone uno reticolare policen-

trico e asimmetrico. La geopolitica consenteinoltre di apportare alla storia una visionepiù culturalista e di rappresentare delletemporalità multiple che implichino «vetto-rialità» plurime e spingano a confrontarsicon i tempi degli altri e la loro diversità.

Nel secondo intervento, il direttore di«Limes» Lucio Caracciolo ha spiegato cosa asuo avviso si debba intendere per geopoli-tica e anche come la storia possa essere unpretesto per asservire la geopolitica e il po-tere. Per geopolitica è da intendersi un ra-gionamento e non una scienza in quantoun geopolitico lavora basandosi su tre fat-tori: rifiuto di ogni pretesa scientifica, di-mensione politica, carattere contrastivo edinamico. Il legame tra il ragionamentogeopolitico e la scienza storica si basa suun rapporto di necessità: non esiste geopo-litica senza storia. L’uso dei diritti storici è ilfattore centrale di questo legame e consistenell’autolegittimazione che gli attori geo-politici intendono dare alle loro azioni, inun contesto in cui le ideologie sono esauri-te. La storia è manipolata per essere adatta-ta alle necessità geopolitiche attraverso la«dinamica delle permanenze», rappresenta-zioni storiche servite al grande pubblicoper spiegare progetti geopolitici: un esem-pio concreto è per esempio la capacità difascinazione che può avere un aggettivocome Grande messo davanti al nome di u-no stato per esemplificarne il progetto, co-me Grande Albania o Grande Serbia. Co-struire narrazioni storiche a fini geopoliticiconsente a un attore geopolitico di imporrepotenzialmente il proprio punto di vista.

Elena dell’Agnese dell’Università di Mi-lano-Bicocca ha posto l’accento sulla geo-grafia come strumento di potere conoscitivoe di empowerment. La geografia ha una suavalenza per la storia in quanto è necessariaper chi debba mantenere il potere così co-me per chi lo intenda rovesciare. La geogra-fia aiuta a capire le rappresentazioni del di-scorso geopolitico, le quali si basano su rap-presentazioni storiche, che incidono a lorovolta su quelle odierne. In un discorso mul-tidimensionale è stato preso in esame del

materiale cinematografico – come ironichecaricature e spezzoni di film o telefilm – perdare concretezza al discorso: Tom & Jerry,The Day after Tomorrow e Speedy Gonzales.L’obiettivo era quello di rappresentare l’ideaodierna di confine come viziata da stereoti-pi storici e sociali.

Giovanni Gozzini dell’Università di Sie-na ha analizzato in particolar modo le dina-miche temporali e il loro rapporto con lospazio. La storia ottocentesca ha conosciutola globalizzazione e un grande incrementonella velocità dei trasporti. L’Ottocento to-glie importanza vitale al controllo staticodel territorio attribuendo invece maggior ri-lievo alla capacità di muoversi: conta più iltempo che non lo spazio e, relativamenteallo spazio, conta ormai il solo controllodelle vie di comunicazione e dei mezzi ditrasporto. In quest’ottica è da interpretare ildeclino degli imperi, strutture obsolete e i-nefficienti, meno efficaci dello Stato nellanuova epoca geografica post-colombiana.

La sessione pomeridiana ha ospitato treinterventi, il primo dei quali di Maurice Ay-mard dell’EHESS, incentrato sulla costru-zione temporale degli spazi attraverso ilconcetto braudeliano di lunga durata cheha accompagnato una svolta storiograficacompiutasi nel secolo scorso. Il tempo sto-rico è il risultato della combinazione di di-versi ritmi: da quello rapido degli avveni-menti a quello lento della lunga durata.Con riferimento alla metafora marina utiliz-zata da Braudel si è fatto riferimento altempo effimero degli avvenimenti come«schiuma della storia», nella quale rientranoanche gli eventi politici e militari, e ai ciclieconomici e alla lunga durata stessa come«profondità marina», ovvero quelle struttureche mutano lentamente, come per esem-pio il capitalismo.

Marco Meriggi (Università di Napoli «Fe-derico II») ha collocato la geopolitica nel-l’ambito di una ricostruzione concettualedel mondo visto dall’Europa, come fosse u-na sorta di arte del dominio europeo. L’as-sunto principale era che si ha tendenza a ra-gionare in termini di superiorità europea e a

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pensare la dimensione mondiale come unadimensione europea allargata. Ci sarebbeinvece bisogno di una storiografia transna-zionale che, più che sbarazzarsi di concettieurocentrici come Stato e nazione che sitende a immaginare come universalmenteesportabili, intenda proporre altri punti divista per immaginare un mondo costituitoda policentrismi simultanei disposti per ne-cessità in scala gerarchica.

Concludendo la sessione, Claudio Cer-reti dell’Università «Roma Tre» ha sottolinea-to l’esistenza di visioni geopolitiche diversenel passato come nel presente e ha insistitosul fattore cronico che fa sì che queste vi-sioni siano soggette a cambiamenti. La ri-flessione è stata poi centrata sul concetto diterritorialità, senso di mutua appartenenzatra individui e spazio, e sul processo TDR(Territorializzazione, Deterritorializzazione,Reterritorializzazione), ciclo di valorizzazio-ne senza sosta dello spazio vissuto. La me-moria è da ricollocarsi nel territorio, che èsignificante e significato al tempo stesso. Lacodificazione del territorio attraverso que-sto processo rappresenta il nesso con l’a-zione politica. Il potere è in effetti esercita-to nello spazio, ma soprattutto sullo spazioal di là del dove, e spazializzare la memoriastessa significa parlare di potere.

In conclusione, questo seminario ha di-mostrato l’interesse per il legame tra la sto-riografia e il ragionamento geopolitico, lasua utilità e necessità nei confronti della ri-cerca storiografica. Questa non può più fa-re a meno dello spazio per un proprio svi-luppo scientifico, in un secolo in cui si ten-ta di superare l’eurocentrismo, in cui laglobalizzazione ha allargato gli orizzontispaziali e in cui il fattore sociale entra sem-pre più in contatto con la spazialità. Infine,il seminario ha insistito sulla necessità epi-stemologica di revisionare la disciplina sto-riografica con l’apporto dei metodi geopo-litici, per una più ampia comprensionetransnazionale della storia e per un’analisiscevra di contenuti irrazionali.

Alessandro Vitiello

L’editoria sociale: riflessioni sul Medi-terraneo oggi

L’ottava edizione del salone dell’editoriasociale, tenutasi a Roma dal 29 ottobre al 1°novembre 2016, è stata dedicata al tema«Mediterraneo oggi». L’iniziativa, promossadalle edizioni «Dell’Asino» e dalla rivista «LoStraniero», ha visto la collaborazione di nu-merose realtà sociali, case editrici e organiz-zazioni del Terzo Settore, della Comunità diCapodarco e del Redattore Sociale. Quattrogiornate durante le quali tra tavole rotonde,presentazioni di libri, video e dibattiti, si so-no svolti circa cinquanta incontri negli spazidi Porta Futuro a Testaccio, uno dei più an-tichi rioni romani. È stata un’occasione perdiscutere delle «mutazioni sociali, culturali,economiche e geopolitiche di un’area chesempre più ci interroga sulle contraddizionidel nostro tempo», ma che offre anche una«speranza di rinnovamento», come hannospiegato gli ideatori dell’evento GoffredoFofi e Giulio Marcon introducendo la nuovaedizione. Molti gli eventi legati al rapportotra arte e società, le proposte sulle politichelocali, sui fenomeni migratori, sui cambia-menti e «crisi del Mediterraneo», Mare No-strum che non offre solo tragedie ma anchesfide, opportunità e speranze.

Un programma ricco e variegato conun’introduzione di peso, la lectio magistralisdal titolo Per una mappa del Mediterraneotenuta da Franco Farinelli, con la quale si èinaugurato idealmente l’evento: costruendouna mappa del Mediterraneo, ha ripercorsola storia di quest’area nella sua complessità;inevitabile il collegamento ai numerosi lavo-ri di Farinelli sul Mediterraneo, alla «mediter-raneizzazione del mondo», alla sovrapposi-zione dello spazio economico nazionalecon quello internazionale e mondiale, ai fitticontesti di relazioni in cui si inseriscono di-namiche geopolitiche ed economiche cheanticipano le logiche della globalizzazione.Si delinea una realtà geografica in cui «[...]quasi tutti i continenti hanno il proprio Me-diterraneo, una grande ingolfatura oceanicache agisce da sinapsi tra le grandi terre e-

merse, un vero e proprio insieme di pianureliquide che comunicano per via di porte piùo meno larghe [...]» (F. Farinelli).

Dopo la lezione introduttiva, i primi in-contri hanno affrontato tematiche che spa-ziavano dalla musica alla letteratura, fino al-la fotografia con il racconto del Mediterra-neo attraverso immagini di FerdinandoScianna, autore che spesso ha raccontato leatmosfere dei territori, in una visione com-plessa che ne documenta la cultura, i valorie i riti. In seguito si sono svolti dibattiti sullasituazione in Libia e in Siria, con analisti eattivisti per i diritti umani.

Nella sezione La letteratura araba vistadal Cairo è stato affrontato il tema del rap-porto tra luoghi e scritture, attraverso la di-scussione con lo scrittore egiziano Ezzat El-Kamhawi e la professoressa Isabella Came-ra d’Afflitto sul romanzo La città del piace-re, una delle espressioni più interessantidella produzione letteraria egiziana: in essola dimensione del reale sposa la prosa fia-besca, un romanzo dietro cui si cela unavelata critica al mondo artificiale degli Emi-rati Arabi. Ambientato in una immaginariacittà, il testo è un collettore di storie, unmosaico che restituisce l’immagine compo-sita di una città in mezzo al deserto: un rac-conto dell’urbano da tanti punti di vista,storie senza luogo e senza tempo, in cui sicondensano i difetti e gli errori dell’uomomoderno, tra riferimenti mitici ed elementicontemporanei. Fra tradizione e postmo-dernità, in un mondo che sembra illusorio,si intravede la realtà odierna delle tante me-tropoli sorte nel deserto della penisola ara-bica, in cui schiavi «moderni» permettono aiprincipi di vivere nel lusso; con una origi-nale operazione di contaminatio culturale,l’autore introduce figure e archetipi quali lacittà ideale oppure il labirinto, nella suadoppia accezione di luogo di condanna erifugio. Una denuncia sociale, attuata attra-verso una fiaba moderna, dei paradisi artifi-ciali (non-luoghi) che proliferano nel mon-do contemporaneo, città frutto di tecnolo-gie e senza storia, tipiche della penisola a-rabica ma non solo.

A cavallo tra letteratura e saggistica, Gia-como Giubilini, nel suo 91° minuto. Storie,manie e nostalgie nella costruzione dell’im-maginario calcistico, propone una nuovainterpretazione che va oltre i luoghi comuni,tra la prima linea e le retrovie, del mondodentro e fuori lo stadio; un’inchiesta sulleradici, le origini e gli esiti socioculturali delgioco più famoso al mondo. Merita una par-ticolare attenzione il capitolo finale dedicatoal calcio «di strada», alle memorie più intimedell’autore, in particolare al ricordo dellepartite in una villa romana: una partita alparco, dove si incontravano le diverse classisociali, parco che diventava spazio interclas-sista e formativo, dove il gioco del calcio eralegato a una passione sincera e gratuita, do-ve ci si conosceva e ci si migliorava.

Nei vari incontri il Mediterraneo è statopresentato a più riprese come uno spazionarrativo, luogo di attraversamenti e respin-gimenti: una visione del Mediterraneo tra«mito e frontiera» in cui diversi relatori, Ales-sandro Leogrande, Alex Giuzio, MatteoNucci e Matteo Tacconi hanno discusso dicittadinanza, di asilo politico, clandestinità ediritti sociali. L’immagine della frontiera, delluogo e dei viaggi fa da controparte al pesodella Storia, che ci presenta i profughi del-l’antichità, insieme alle relative necessità de-gli uomini e delle donne di tutti i tempi discappare da guerre e da società «bloccate» (icosiddetti «migranti economici»). Nel corsodella sessione coordinata da Leogrande èstato dedicato ampio spazio al mare Adriati-co, alla sua percezione di un «mare corto»con i relativi scambi e interscambi economi-ci e culturali: bacino del Mediterraneo, ilmar Adriatico se ne presenta come un labo-ratorio che ne anticipa i processi, dalla ma-crostoria, alla geopolitica, all’economia, finoalle piccole narrazioni che aiutano nellacomprensione dei fenomeni contempora-nei. È stato delineato uno stretto rapportotra ieri e oggi, il cambiamento delle rotte mi-gratorie dalle aree balcaniche a quelle medi-terranee più attuali. Tanti sono i riferimentifatti a Fernand Braudel, al «suo» Mediterra-neo e ai processi di lunga durata, veloci nel-

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la cronaca odierna: una storia di migrazioniche si manifesta come un continuum dal-l’antica Grecia, dove per la prima volta si in-contra il concetto di xenia, l’accoglienzadello straniero, nella doppia accezione dinemico e ospite.

«Accogliere bene i diritti dei migranti» si-gnifica accogliere i diritti per eliminare losfruttamento: in Italia, il tema dell’accoglien-za è uno tra i più scottanti ed è spesso ana-lizzato in un’ottica liberal-progressista chetende a vedere nel fenomeno migratorioun’utilità strumentale dal punto di vista eco-nomico e demografico; è per questo che oc-corre ripensare il tema dell’accoglienza, i di-ritti dei minori, delle donne, dei lavoratori,ognuno con le proprie esigenze, guardandooltre ipotetici muri e recinzioni. L’accoglien-za deve fondarsi su un equilibrio tra diritti edoveri in cui la chiave di volta, il fattore cul-turalmente decisivo, sia l’incontro con la di-versità; va compreso che l’immigrazione piùche un problema deve essere considerata u-na sfida per le nostre società.

Giulio Marcon, tra gli ideatori della ma-nifestazione, è inoltre il fondatore dellacampagna Sbilanciamoci. Come cambiarele politiche locali, iniziativa che ha animatola presentazione di un dossier in cui sonostati esposti i principali temi delle politicheurbane e dell’abitare, dalla mobilità allacorruzione, dalla sostenibilità ai diritti: ilfocus era sulla pratica dell’accogliere, al fi-ne di realizzare pratiche di inclusione so-ciale dei migranti da parte della società lo-cale, che coinvolgano il mercato del lavoroinsieme ai servizi sociali. Il documento haprovato a delineare pratiche di accoglienzanel contesto urbano, come sintetizzato nel-la sezione Roma Accoglie, nella quale si fariferimento alle strutture di accoglienza ealle attività di orientamento socio-scolasti-co, formativo-professionale, attraverso cuisi possono implementare i piani locali perpromuovere inclusione, diritti di cittadi-nanza e partecipazione.

Accanto al documento sulle realtà loca-li, è stato presentato il dossier statistico sul-l’immigrazione, che delinea le attività di

sensibilizzazione e formazione promossedal centro studi e ricerche ImmigrazioneDossier Statistico (IDOS). Una realtà, in col-laborazione con enti istituzionali e il soste-gno dei fondi dell’«otto x mille» della ChiesaValdese, in cui ricercatori ed esperti coope-rano con lo scopo di proporre uno stru-mento di analisi e diffusione dei principalidati statistici sul fenomeno migratorio in I-talia ed Europa. Nel dossier emerge chiara-mente il carattere globale del fenomeno, tragli italiani all’estero e i cittadini stranieri re-sidenti in Italia, così come le dinamiche deiflussi testimoniano le difficoltà, o i benefici,che gli emigranti possono incontrare neiluoghi di arrivo. Il fenomeno migratorio èuno tra i più complessi del presente, per dipiù in stretta relazione con il mondo deimedia: proprio per tale motivo occorre ri-pensare ai limiti e alle buone pratiche del-l’informazione, evitando il rischio della suastrumentalizzazione. Nella maggior partedelle narrazioni mediatiche il termine «mi-grazione» diviene quasi sinonimo di «illega-lità» e nella cronaca la realtà sociale è trop-po spesso ridotta a una dimensione crimi-nale infarcita di stereotipi e luoghi comuni,perseguendo una difformità informativache amplifica e distorce i fatti: occorre fareattenzione alla grande responsabilità deimedia, in quanto i migranti possono facil-mente diventare bersagli simbolici.

Il salone dell’editoria sociale ha offertouno spazio di approfondimento e di con-fronto a chi si impegna e crede nell’incon-tro tra culture, religioni, società che fannogrande il territorio mediterraneo; un’ideadi Mediterraneo che si ritrova nelle parole(attuali) dello scrittore Vincenzo Consoloche, ricordando il viaggiatore e poeta ara-bo-andaluso Ibn-Jubayr, ha definito il Me-diterraneo «[…] questo nostro Mediterra-neo di conflitti, di spoliazioni territoriali, dinegazioni di identità, di migrazioni e didiaspore, di ognuno che, esule per deside-rio di conoscenza o per costrizione, ritrovala sua terra, il suo cielo, la sua casa...».

Martina Tissino Di Giulio