Social Media Manager, il dipendente anomalo della Pubblica Amministrazione

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Il FormezPA mi ha chiesto di intervenire al convegno "Comunicare bene, Comunicare web" che si e' tenuto a Cagliari il 10 dicembre 2014. Ho pensato di farlo in maniera "anomala", utilizzando esclusivamente slide fotografiche senza alcuna parola, perché i social media manager comunicano in maniera differente, su strumenti alternativi e con orari, luoghi e inquadramento particolari ;) Chi scarica le slide trova nei commenti le note del relatore per dare un senso alla componente fotografica (ecco come fare: Se hai scaricato le slide e non riesci a visualizzare il testo, ecco come fare: http://bit.ly/1wH2wOK ). A tutti gli altri invece... buona visione!

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Piero Zilio
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Di un giornalista si apprezza la capacità di esprimere il proprio pensiero, di raccontare la realtà, ma non la sua abilità nel premere i tasti di una macchina da scrivere. Lo stesso dovrebbe valere per i social media manager, anche perché saper comunicare sui nuovi media non significa avere le stesse competenze di un tecnico informatico. Purtroppo nel nostro caso le aspettative «tecnologiche» mettono in ombra altre capacità senza le quali difficilmente la gestione della comunicazione sul web e sui social risulta efficace.
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Vorrei sottolineare la grazia con cui questo atleta supera l’asticella e si sfracella al suolo. Il bello è che sta facendo tutto questo intenzionalmente: fino a qualche decennio fa questa tecnica di salto «ventrale» rappresentava infatti la norma.
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Confrontiamo la foto precedente con questa: a saltare è Dick Fosbury, un atleta fisicamente meno prestante e «anomalo»: fa le cose in modo diverso :) Il bello è che grazie a questo nuovo stile Fosbury vince le Olimpiadi di Tokyo del 1964.
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Cosa è cambiato fra una foto e l’altra? La risposta sta in parte nella «tecnologia»: invece che sfracellarsi sulla sabbia o su trucioli di legno, gli atleti hanno avuto a disposizione materassi più spessi e soffici. La maggior parte di loro però, nonostante questa innovazione tecnologica, ha continuato a fare le cose com’era abituata a fare prima. Dick Fosbury invece è stato fra i primi a capire che, grazie a queste nuove tecnologie, sarebbe stato sufficiente imparare a fare le cose diversamente per ottenere risultati migliori rispetto ad avversari ben più temibili. Ha capito che per eccellere nel nuovo mondo tecnologico sarebbe stato indispensabile studiare e adottare un nuovo approccio, in linea con le innovazioni del momento.
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I social media manager non sono ne informatici ne giornalisti «puri». Non comunicano con un approccio informatico, giornalistico o propagandistico (e meno male), ma adottano uno stile innovativo che sfrutta al meglio le tecnologie a disposizione della PA. Forzarci dentro una di queste due categorie sarebbe invece come chiedere a Fosbury di sistemare il materasso e lasciare che siano gli altri a saltarci sopra, con la tecnica del salto ventrale…
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Il contributo del social media manager, beneficiando di un diverso approccio ai nuovi media, può arricchire la comunicazione della PA. Per esempio: quando si ragiona di presenza su web e social media, si circoscrive spesso questo ambito ai media «proprietari». Il proprio sito web, la propria pagina Facebook, il proprio profilo Twitter, etc. I media proprietari sono sicuramente molto utili perché consentono di mantenere il controllo assoluto sull’informazione (sulla mia pagina Facebook pubblico quello che mi pare), ma non rappresentano l’unico canale «2.0» a disposizione della PA.
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Concentrarsi esclusivamente sui media proprietari rischia di portare la PA sul terreno dell'autoreferenzialità: «me la canto e me la suono» sul mio sito, sulla mia pagina Facebook, evitando il confronto al di fuori dei miei spazi protetti. Per quanto possa apparire rassicurante, questa soluzione esclude dalla comunicazione pubblica tutti i cittadini e le imprese che non seguono la PA sul sito, sulla pagina Facebook, etc. Il social media manager sa che per compiere il proprio dovere deve uscire da questo ambito e coinvolgere il cittadino al di fuori dei propri canali istituzionali ufficiali.
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I media a pagamento sono una seconda opzione molto comune, e rappresentano un facile terreno di conquista: basta pagare per «colonizzare» rapidamente nuovi spazi su altri siti web e altre pagine Facebook attraverso banner e inserzioni pubblicitarie. La concorrenza fra contenuti «organici» è ormai talmente elevata da rendere indispensabile l’uso strategico di media a pagamento per garantire una visibilità minima ai contenuti della PA. I media a pagamento consentono infatti di raggiungere nel breve periodo un gruppo di destinatari più ampio rispetto ai followers del proprio profilo Twitter o ai fan della pagina Facebook ufficiale.
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I contenuti sponsorizzati possono essere inseriti sui risultati di ricerca di Google e su tutte le principali piattaforme social: YouTube, Facebook, Twitter, LinkedIn, Pinterest, etc. Quale è il trucco per sfruttare al meglio i media a pagamento? Ottimizzare la spesa personalizzando i contenuti sponsorizzati sulla base dei destinatari. Per esempio: mettiamo che la mia PA abbia pubblicato su sito e pagina Facebook la notizia di un bando per l'imprenditorialità femminile, ma che a una settimana dalla scadenza dei termini di presentazione delle domande ancora nessuno abbia presentato la propria candidatura per beneficiare dei contributi. Il social media manager può fare in modo che la notizia sponsorizzata sia visualizzata su Facebook esclusivamente da donne di età compresa fra 18 e 35 anni, disoccupate e residenti nel territorio di competenza del proprio ente, che ancora non seguono la nostra pagina ufficiale.
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A meno che non sia questa la condizione dei vostri utenti, è preferibile cambiare approccio rispetto alle tradizionali forme di inserzione pubblicitaria. La PA ha generalmente 3 opzioni di pagamento sui «paid media»: 1) CPM Il Cost Per Mille deve diventare l’equivalente del salto ventrale per qualsiasi campagna sui media a pagamento: sgraziato e inefficace. Il CPM quantifica la spesa sulla base di migliaia di valutazioni, che sono difficilmente misurabili. Per esempio: l’utente potrebbe guardare nell’angolo opposto della pagina quando il sito visualizza la notizia sponsorizzata, e il costo di questa visualizzazione sarebbe ugualmente addebitato alla PA. 2) CPC Il Cost Per Click rappresenta il primo stadio di evoluzione verso una gestione efficace del budget destinato ai media a pagamento. Il CPC quantifica la spesa sulla base di ogni singolo click: se qualcuno clicca sul mio banner, sul mio link sponsorizzato, sulla mia notizia, etc., il costo di questa azione viene addebitato. Se il banner è visualizzato ma non cliccato non pago invece nulla. 3) CPL Il Cost Per Lead è l’obiettivo a cui pochi pensano ad eccezione del nostro anomalo social media manager: pagare non solo se l’utente visualizza il contenuto sponsorizzato, non solo se ci clicca sopra, ma esclusivamente se compie una determinata azione di particolare importanza per la PA. Per esempio: scaricare la modulistica, compilare il form online per registrarsi a determinati servizi, etc.
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I media a pagamento non devono rappresentare l’unica alternativa a quelli proprietari: hanno costi elevati e soprattutto effetti limitati al breve periodo.
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Esiste un terzo tipo di media a disposizione delle PA che dovrebbe essere sempre preso in considerazione: gli «earned media». I media guadagnati sono i più difficili da ottenere ma anche i più produttivi in termini di ampliamento del proprio bacino di utenza. Se il mio contenuto viene infatti ripreso su altri siti, condiviso su altre pagine Facebook o ritwittato su altri profili Twitter, esco dai media proprietari e «guadagno» nuova visibilità su altri spazi. Per farlo dovrò produrre contenuti di valore e di sicuro interesse, presentandoli in maniera semplice e accattivante. Il rovescio della medaglia è dato dalla perdita di controllo sui contenuti: se sul mio sito ho diritto di vita e di morte su ogni singola virgola, su altri media guadagnati non potrò esigere lo stesso potere, pena l’esclusione da qualsiasi forma di condivisione e passaparola.
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Il social media manager della PA sa resistere alle tentazioni e mantiene una dieta mediatica equilibrata, bilanciando media proprietari, a pagamento e guadagnati.
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Il social media manager della PA sa resistere alle tentazioni e mantiene una dieta mediatica equilibrata, bilanciando media proprietari, a pagamento e guadagnati.
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Nel marketing tradizionale si definisce «outbound marketing» la strategia che io visualizzo come il lancio del giavellotto: «scagliare» il proprio messaggio all’esterno attraverso newsletter, comunicati stampa, inserzioni pubblicitarie etc.
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Questo tipo di Comunicazione può essere ribattezzato «interruption marketing» ed è riassumibile in tre parole: Buy, Beg, BUG :) (1 Buy) Compra inserzioni pubblicitarie, (2 Beg) implora che pubblichino il tuo comunicato stampa e in ultima analisi (3 Bug) rompi le scatole un po’ a tutti nel tentativo di far passare il tuo messaggio.
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Su web e social funziona bene anche l’inbound marketing, la comunicazione che consente a cittadini e imprese realmente interessate a un particolare servizio di trovare la PA. Ottimizzare i contenuti per i motori di ricerca (es. individuare le keyword e usarle nel titolo della notizia) e per i social (es. costruire una campagna su diversi canali social utilizzando lo stesso hashtag) e sicuramente una strategia vincente per guadagnare l’interesse di nuovi fan e follower.
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Per un social media manager questa (o il motore di ricerca di Facebook) è la vera home page del vostro sito. Secondo l’analisi Censis/UCSI (Rapporto comunicazione 2013), oltre il 70% dei giovani sotto i 30 anni usa Facebook per informarsi sul web, e tutte le fasce d'età usano Google come strumento di ricerca e informazione principale.
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Per un social media manager il modello PA-centrico in cui l’ente pubblica sulla propria bacheca e il cittadino legge (subisce) passivamente questa Comunicazione è finito da un pezzo.
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Un social media manager ha abbandonato definitivamente l’approccio militaristico alla comunicazione, retaggio di tempi passati in cui il destinatario era considerate «target». Sui social media non esistono target o destinatari, ma interlocutori, cittadini senzienti che parlano fra loro e rispondono alla PA.
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Anche il concetto di campagna di comunicazione deve cambiare: a me piace intenderlo in chiave «agricola»: la PA si spacca la schiena per preparare il terreno alla partecipazione del cittadino, seminare fiducia e raccogliere nel medio-lungo periodo il frutto del suo lavoro di ascolto e condivisione.
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Deve esserci sintonia fra mezzo e messaggio. Sbandierare la partecipazione e ridurla a un mi piace sulla propria pagina Facebook è un esempio di incoerenza comunicativa.
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Sir Tim Berners-Lee, co-inventore del World Wide Web, ha affermato di aver creato il web con uno scopo sociale, come strumento di dialogo e condivisione, e non come giocattolo tecnico a disposizione di una élite di informatici. Qualsiasi altro uso si faccia del web e dei social risulta pertanto incoerente, se non schizofrenico!
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Il «web 2.0» non è fatto di messaggi automatici (es. twittare titolo e link dell’ultima notizia inserita sul sito) e robot.
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Un social media manager non improvvisa: pianifica attentamente la gestione dei propri canali e la pubblicazione dei contenuti (piano editoriale).
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Un social media manager definisce inoltre KPI (Key Performance Indicator, gli indicatori) rilevanti per la propria amministrazione, che tiene costantemente sotto controllo. L’ossessione per il numero di mi piace e di followers non deve essere assoluta, esistono altre metriche.
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Un social media manager non si preoccupa necessariamente se ha pochi followers.
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Un social media manager non raccoglie il primo social network che incontra lungo il cammino: studia con attenzione della propria amministrazione e sceglie con attenzione i compagni di viaggio che meglio si adattano alle sue esigenze: Facebook e Twitter non sono le uniche opzioni. Fare una scelta significa anche (im)porsi dei vincoli ed essere in grado di individuare vie di fuga: cosa fareste oggi se 10 anni fa aveste puntato tutto sul profilo MySpace della vostra PA?
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È molto facile aprire tanti profili social, ma è altrettanto difficile gestirli: una volta aperti devono essere alimentati e seguiti: aprire un profilo sui social non significa gestire una nuova pagina, ma gestire X utenti che da quella pagina cercheranno di mettersi in contatto con la vostra PA.
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Per questo quando si apre un profilo, è sempre opportune chiarire internamente e all’esterno quale sarà la social media policy della PA, a cominciare dalle finalità, contenuti, regole di comportamento e composizione della redazione.