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Colgo l’occasione per fare a tutti gli Auguri di un Santo Natale, che porti nelle vostre case serenità e pace, gioia e speranza.
Il parroco
Fr. Livio De Bernardo
CHE NE DICI SIGNORE?
Tu che ne dici o Signore, se in questo Natale faccio un bell'albero dentro il mio cuore e ci attacco, invece dei regali,
i nomi di tutti i miei amici? Gli amici lontani e vicini. Gli antichi e i nuovi.
Quelli che vedo tutti i giorni e quelli che vedo di rado. Quelli che ricordo sempre e quelli che, alle volte,
restano dimenticati. Quelli costanti e intermittenti. Quelli delle ore difficili e quelli delle ore allegre.
Quelli che, senza volerlo, mi hanno fatto soffrire. Quelli che conosco profondamente e quelli dei quali
conosco solo le apparenze. Quelli che mi devono poco e quelli ai quali devo molto.
I miei amici semplici ed i miei amici importanti. I nomi di tutti quelli che sono già passati nella mia vita.
Un albero con radici molto profonde perché i loro nomi non escano mai dal mio cuore.
Un albero dai rami molto grandi, perché nuovi nomi venuti da tutto il mondo si uniscano ai già esistenti.
Un albero con un'ombra molto gradevole, durante le lotte della vita.
“Caro Bambino Gesù, presto scenderai sulla terra.
Porterai gioia ai bambini. Anche a me porterai gioia.”
Incomincia così, questa lettera a Gesù bambino scritta da Joseph Ratzinger, papa Benedetto XVI, nel 1934, a solo 7 anni.
Una lettera che lascia trasparire la gioia di un incontro … l’incontro con Gesù.
Non un Gesù adulto, che è seguito dalle folle, che fa i mira-coli, che viene acclamato, ma un Gesù Bambino, che nasce nel silenzio, in una notte particolare, dove nessuno se ne accorge.
Tutti aspettano il Messia, il guerriero, l’uomo forte che sal-verà il popolo … nessuno si aspettava un Bambino, che non pretende, non invade, solo ci dice: sono qui!
Non posso non pensare a voi, miei piccoli parrocchiani: sie-te piccoli, spesso dovete tacere, spesso dovete ascoltare, molte volte subire.
Ma il mondo cambia perché ci siete voi, che ci riempite di speranza e allo stesso tempo di novità, di voglia di vivere, e ci portate a ringraziare Gesù per la vostra presenza.
Oggi è la vostra festa, è la festa di tutti i bambini del mon-do, è la festa di chi, anche se grande vuole ritornare a esse-re bambino, di chi fermandosi davanti al presepe riconosce il Bambino Gesù come suo Signore e Salvatore, proprio con l'entusiasmo di un bambino.
Mi vengono in mente le parole del Vangelo di Matte-o “Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impe-dite, perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio. In verità vi dico: Chi non accoglie il regno di Dio come un bam-bino, non entrerà in esso. E prendendoli fra le braccia e im-ponendo loro le mani li benediceva” (Mc 10, 14-16)
Gesù chiede ai suoi discepoli di diventare come bambini e di accettare il Regno come i bambini.
Senza questo non è possibile entrare nel Regno (Lc 9,46-48)
Così Gesù ci indica una nuova strada, ci indica che spesso i bambini sono professori degli adulti: impariamo da loro a vivere nella novità!
San Giuseppe Sposo
Parrocchia San Giuseppe Sposo Via Bellinzona 6 - 40135 Bologna
Tel. 051 6446414 - Cell. 338 229 58 92
numero 4
Dicembre 2013
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San Francesco e il presepe
Nella Basilica di Santo Stefano a Bologna possia-
mo andare ad ammirare il più antico presepe al
mondo con statue scolpite a tutto tondo, fatte
cioè in modo che si possano osservare da molti
punti di vista. Vi è rappresentata l'adorazione
dei Magi.
Le cinque statue sono di pregevole fattura, ope-
ra di uno scultore del XIII sec.(anni tra il 1201 ed
il 1300) rimasto anonimo, e poi riccamente co-
lorate nel 1370 da Simone dei Crocefissi.
Ma è a San Francesco che si fa risalire il primo
presepio vivente.
Francesco d'Assisi nel 1220 si era recato a visi-
tare i luoghi della vita terrena di Gesù e si era
fermato a lungo a pregare e a meditare sul luogo della Sua nascita. Egli era rimasto affascinato dal Dio che di-
venta bambino, umile, fragile, povero e nel Natale del 1223 volle “rivivere” la nascita di Gesù.
Rileggiamo quello che al riguardo ha scritto frate Tommaso da Celano: “La sua (cioè di Francesco) aspirazione
più alta, il suo desiderio dominante, la sua volontà più ferma era di osservare perfettamente e sempre il santo
Vangelo e di imitare fedelmente con tutta la vigilanza, con tutto l'impegno, con tutto lo slancio dell'anima e del
cuore la dottrina e gli esempi del Signore nostro Gesù Cristo. Meditava continuamente le parole del Signore e
non perdeva mai di vista le sue opere. Ma soprattutto l'umiltà dell'Incarnazione e la carità della Passione”.
Per “rivivere” quella nascita Francesco d'Assisi scelse di farlo a Greccio, in Umbria, un insieme di pochi casolari
di povertà assoluta , di silenzio, di sofferenza della natura, forse simile al paesaggio di Betlemme. La notizia era
stata diffusa e la gente del luogo e pellegrini da altri borghi giunsero, portando ceri e fiaccole per illuminare
quella notte.
Tutti videro una scena commovente di grande semplicità evangelica: una greppia, del fieno, un bue ed un asi-
nello. Nessuno aveva preso il posto della Madonna, di San Giuseppe e del Bambino: la Messa che si sarebbe
celebrata avrebbe richiamato la presenza di Gesù in quel luogo: presenza “vera, reale e sostanziale” di Gesù.
Francesco indossò i paramenti diaconali, cantò il santo Vangelo con voce forte e dolce ad un tempo, poi tenne
una omelia vibrante di tenerezza e di commozione. Il Celano afferma che nel corso della celebrazione eucari-
stica si manifestarono “in abbondanza i doni dell'Onnipotente” cioè avvennero fatti prodigiosi e riporta la te-
stimonianza, che viene riferita anche da San Bonaventura: “uno dei presenti, uomo virtuoso, ha una mirabile
visione. Gli sembra che il Bambinello giaccia privo di vita nella mangiatoia, e Francesco gli si avvicina e lo desta
da quella specie di sonno profondo. Né la visione prodigiosa discordava dai fatti, perché, per i meriti del Santo,
il fanciullo Gesù veniva risuscitato nei cuori di molti, che l'avevano dimenticato, e il ricordo di lui rimaneva im-
presso profondamente nella loro memoria. Terminata quella veglia solenne, ciascuno tornò a casa sua pieno di
ineffabile gioia.”
E papa Benedetto ha ricordato che “ il segreto della vera gioia non consiste nell’avere tante cose, ma nel sen-
tirsi amati dal Signore, nel farsi dono per gli altri e nel volersi bene.
Guardiamo il presepe: la Madonna e san Giuseppe non sembrano una famiglia molto fortunata; hanno avuto il
loro primo figlio in mezzo a grandi disagi; eppure sono pieni di intima gioia, perché si amano, si aiutano, e so-
prattutto sono certi che nella loro storia è all’opera Dio, il Quale si è fatto presente nel piccolo Gesù.
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E i pastori? Che motivo avrebbero di rallegrarsi? Quel Neonato non cambierà certo la loro condizione di po-
vertà e di emarginazione. Ma la fede li aiuta a riconoscere nel "bambino avvolto in fasce, adagiato in una
mangiatoia", il "segno" del compiersi delle promesse di Dio per tutti gli uomini "che egli ama" (Lc 2,12.14),
anche per loro!
Vera gioia è il sentire che la nostra esistenza personale e comunitaria viene visitata e riempita da un mistero
grande, il mistero dell’amore di Dio. Per gioire abbiamo bisogno non solo di cose, ma di amore e di verità:
abbiamo bisogno di un Dio vicino, che riscalda il nostro cuore, e risponde alle nostre attese profonde. Que-
sto Dio si è manifestato in Gesù, nato dalla Vergine Maria. Perciò quel Bambinello, che mettiamo nella ca-
panna o nella grotta, è il centro di tutto, è il cuore del mondo.”
Da allora in poi, le sacre rappresentazioni furono fatte proprie dai francescani: molto spesso una statua te-
neva il posto di Maria: figura silenziosa, che nessuno si riteneva degno di impersonare.
Col tempo altre statue si aggiunsero e nel XV sec si diffuse l'usanza di collocare nelle chiese grandi statue
permanenti.
A partire dal XVII secolo i presepi iniziarono a diffondersi, prima nelle case dei nobili come “soprammobili” o
vere e proprie cappelle in miniatura, più tardi (fine Ottocento, inizi del Novecento) anche negli appartamenti
dei borghesi e del popolo.
Il grande sviluppo dei presepi scolpiti si ebbe nel Settecento, quando si formarono le grandi tradizioni prese-
pistiche: quella del presepe napoletano, quella del presepe genovese e quella del presepe bologne-
se,ognuna delle quali presenta caratteristiche diverse nell'uso dei materiali, nelle scenografie e nelle am-
bientazioni.
Nel presepe bolognese i personaggi sono
scolpiti o modellati per intero; le figure
non sono “manichini” che poi vengono
vestiti, ma anche gli abiti vengono scolpi-
ti.
Questo al di là dei materiali impiegati.
Anche i personaggi inseriti possono esse-
re tipici di una tradizione locale, come
nel caso del presepe bolognese: le figure
della Meraviglia con le braccia alzate e la
bocca socchiusa in segno di stupore per
l'evento di cui è testimone
e che rappresenta tutti coloro che rimangono colpiti dalla nascita di Gesù, e quella del Dormiglione, spesso
collocato ai margini del presepe, addormentato, che simboleggia tutti coloro che non si accorgono di quanto
sta accadendo loro intorno. Più recente è l'inserimento di un nuovo personaggio tipico, la Curiosa, che guar-
da interessata la scena, ma non si avvicina.
Nel presepe napoletano sono inseriti molti personaggi del popolo, osti, bottegai, rappresentati nel luogo del
loro lavoro e con i loro abiti tipici.
In quello stesso secolo XVIII a Bologna venne istituita la Fiera di Santa Lucia, per la vendita delle figurine de-
stinate ai presepi domestici prodotte dalle botteghe artigiane, che si teneva nel periodo attorno al 13 dicem-
bre, giorno di Santa Lucia, davanti alla chiesa a lei intitolata in via Castiglione, attuale Aula Magna dell'Uni-
versità di Bologna. La fiera fu poi spostata, dopo l'arrivo delle truppe napoleoniche in città nel 1796, sotto il
portico della Chiesa di Santa Maria dei Servi, in strada Maggiore, dove tuttora viene organizzata ogni anno.
Giovanni G.
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I Re Magi
Il vangelo di Matteo è l'unica fonte canonica relativa ai magi (di cui Luca e Marco non parlano) e racconta in forma essenziale l'epi-sodio, senza quei dettagli che invece hanno caratterizzato la tradizione e che sono stati desunti dai vangeli apocrifi (quelli che la Chiesa non ritiene “ispirati” ) colorando e arricchendo simbolicamente la leggenda dei magi.
Lo stesso termine greco màgoi ha prodotto innumerevoli interpretazioni riguardo l'ef-fettiva identità di tali personaggi: astrologi, indovini, sacerdoti, discepoli di Zarathu-stra .Nel mondo classico i magi furono iden-tificati con i sacerdoti della religione babilo-nese (Caldei), specificamente dediti a prati-che di astrologia e di magia, e da allora il termine “mago”passò a significare, in Occi-dente, un cultore della magia, taumaturgo, fattucchiere, mentre alcune comunità di magi persiani, scrupolosi conservatori del carattere e della religione nazionale, si man-tennero nell'Asia Minore e in Egitto sino ai tempi cristiani.
Nel Medioevo poi l'adozione della versione apocrifa di testi arabi, siriaci e armeni portò alla qualificazione “regia”,da cui non solo magi, ma “Re magi”provenienti da diversi paesi dell'Oriente. All'interno della Chiesa lo sviluppo della Epifania si affermò sempre più in relazione allo sviluppo delle rappre-sentazioni liturgiche all'interno delle chiese , veri drammi teatrali che ispirandosi anche a racconti leggendari contribuirono a mitizza-re ulteriormente la figura dei magi.
Una mitizzazione che in seguito permise an-che una simbolizzazione più profonda:
a) personificazione dell'unione di più fedi in Cristo
b) le parti del mondo allora conosciute ( Europa , Asia, Africa)
c) le età dell'uomo: giovinezza, maturità e vecchiaia
d) le stagioni: primavera, estate, autunno (l'inverno è escluso)
e) le parti del giorno: aurora, meriggio, cre-puscolo ( la notte è esclusa)
e che raggiunse il suo culmine nelle rappre-sentazioni che ne fecero i pittori.
A partire da Giotto (1301) la stella della tra-dizione fu trasformata in una cometa deriva-ta dalla suggestione di una fantastica appari-zione della cometa di Halley, anche se la denominazione che si è affermata di “stella cometa” risulta assolutamente impropria in quanto si tratta di corpi differenti.
La tradizione si è preoccupata anche di attri-buire un nome ai Re magi: Gaspare è il re più giovane, Melchiorre il più anziano, Bal-dassarre quello dalla pelle scura.
I doni che portano alludono rispettivamente alla natura terrena di Gesù Cristo ( la mirra è il balsamo con cui venivano cosparsi i defun-ti ), alla divinità di Cristo (l'incenso è simbolo della preghiera e della sacralità), alla regalità di Cristo (oro per Cristo re dell'universo).