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ÆKHYAKÅRIKÅÚ CON IL COMMENTO DI GAU‡APÅDA ÙÂVARAKÍՒ÷A

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SÅÆKHYAKÅRIKÅÚ

CON IL COMMENTO

DI

GAU‡APÅDA

ÙÂVARAKÍՒ÷A

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Tra i sei dar©ana brahmanici – le dot-trine ortodosse conformi ai Veda che espongono la conoscenza della Realtà secondo diverse angolazioni – il Såµkhya è uno fra i più antichi. Si ritiene fondato dal saggio Kapila, vissuto prima del VI secolo a. C., la cui origine divina viene celebrata da nu-merose leggende

La più antica e accreditata interpre-tazione del termine såµkhya è quella di una ‘indagine conoscitiva’, una profonda ‘investigazione speculativa’ basata sulla logica inferenziale e con-dotta allo scopo di pervenire a un’ana-lisi sistematica e completa e alla con-seguente possibilità di elencazione dei princìpi costitutivi dell’essere nella sua integralità.

Nella generale visione indù l’essere, a seconda del proprio contenuto mentale, si trasferisce lungo una serie indefinita di differenti condizioni di esistenza dove svolge la rispettiva esperienza attraverso una ininterrotta concatenazione di morti e successive rinascite. Tale sequenza di esistenze-esperienze limitative induce a conce-pire la necessità di affrancarsene e l’obiettivo di tutti i dar©ana è la eman-cipazione dell’essere dall’asservimento al destino trasmigratorio attraverso la comprensione del processo universale, quindi della natura del mondo e della condizione individuale.

Il Såµkhya predica la discrimina-zione (viveka) tra lo spirito-coscienza e la sostanza-materia, tra il conoscitore e il conosciuto, tra il Puru\a e la Prak®ti, e la conoscenza che prospetta consiste nella comprensione della distinzione di natura tra il manifestato che è l’effetto visibile, il non-manifestato che ne è la causa invisibile e il loro conoscitore, distinto da entrambi; la liberazione (mok\a) consiste nel recupero della propria natura di pura consapevolezza da parte del puru\a.

La prima opera scritta sul Såµkhya è lo Sa\†itantra attribuito, non senza incertezza, a Pañca©ikha, ma la compi-lazione definita del dar©ana è costituita proprio dal testo noto come Såµ-khyakårikå¢, “Le strofe del Såµkhya” che costituisce una spiegazione dell’opera citata ed è tradizionalmente attribuito a Ù©varak®\ãa, un filosofo in-diano vissuto in epoca incerta fra il I e il V secolo d.C.

Tra i diversi commenti che il testo ha avuto nel tempo, quello attribuito a Gauƒapåda – il promulgatore della dottrina della non-generazione (ajåti-våda) – dilucida con sistematicità ogni ©loka, soffermandosi in special modo sia su questioni di carattere pretta-mente filosofico-metafisico, che sulle elencazioni di entità, proprietà, attri-buti e gradazioni che nei versi vengono solo citate.

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Såµkhyakårikå

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Testi della Conoscenza Tradizionale

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© 2016 Kevalasa√gha

Tutti i diritti riservati

Stampato a Rietida LA TIPOGRAFICA ARTIGIANAVia Poggio Mirteto, 402100 Rieti

Il presente volume è stato compostocon il carattere “Adri”

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ÙÂVARAKÍ≥÷A

SÅÆKHYAKÅRIKÅÚ

CON IL COMMENTO

DI

GAU‡APÅDA

Traduzione dal Sanscrito, presentazione e notea cura di

Kevalasa√gha

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«Superiore è [il mezzo … derivante] dalla chiaraconoscenza del manifestato, dell’Immanifesto edel [loro] conoscitore»

«Otenuta la separazione dal corpo, quando vi èla totale cessazione dell’atività da parte del Pra-dhåna, in quanto ha raggiunto lo scopo, [il Pu-ru\a] consegue l’assolutezza che è ambedue lecose: unica e definitiva»

Såµkhyakårikå: 2, 68

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INDICE

Avvertenze . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 10

Fonti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 12

Presentazione . . . . . . . . . . . . . . . . » 13

Såµkhyakårikå¢con il Commento di Gauƒapåda

Invocazione augurale di Gauƒapåda . . . . . . pag. 37

«Le strofe del Såµkhya» . . . . . . . . . . » 39

Note . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 135

Testo sanscrito . . . . . . . . . . . . . . . » 163

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AVVERTENZE

Al testo italiano

Per una migliore intelligibilità del testo sono stati posti:

– tra parentesi tonde ( ) l’originale sanscrito di parole o frasi, lefonti delle citazioni o le parti mancanti di queste, i riferimenti aiVersi, ulteriori chiarimenti al concetto espresso.

– tra parentesi quadre [ ] parole o frasi integrative o sottintese,fonti di citazioni o di passi presenti nel Commento e non menzionati.

– tra virgolete basse « » le citazioni tratte da fonti scritturalirintracciate o meno, i Versi distinti da quello in esame.

– tra virgolete alte “ ” le parti dei Versi esaminate nel Commen-to, termini di particolare rilievo.

– tra virgolete semplici ‘ ’ alcune parole o espressioni notevoli,locuzioni esemplifcative, frasi in discorso diretto e asserzioni dot-trinali di importanza rilevante.

– in corsivo i termini sanscriti traslitterati, a eccezione di nomipropri di luogo o di persona, e i termini italiani di interesse dottri-nario; sono resi con parole unite da trattino termini non perfetta-mente traducibili alla lettera con un solo vocabolo.

– nella forma tematica i termini sanscriti se sono sostantivi o inquella radicale se si tratta di verbi. Tuttavia, qualora sia preferibileai fni della comprensione, i primi possono trovarsi nella forma de-clinata, i secondi in quella coniugata.

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Inoltre:

– il Maiuscolo e il minuscolo seguono l’impiego convenzionale, mentre un medesimo termine può trovarsi maiuscolo o minuscolo se indica rispettivamente una Forma divina o un oggetto.

– l’inserimento dei termini Obiezione e Risposta, sottintesi nel Commento, è nostro ed è ridotto al minimo indispensabile per una agevole comprensione.

– si considera il genere italiano dei vari termini sanscriti impie­gati nella lingua originale, a eccezione di quelli entrati diversamen­te nell’uso corrente.

– per le parole sanscrite è stata adottata la divisione sillabica.

– eventuali diferenze tra passi e/o fonti scritturali sono impu­tabili a una disomogeneità nelle relative redazioni.

Al testo sanscrito

– Le citazioni da fonti scritturali note o meno sono state ripor­tate tra virgolete alte “ ”; la numerica multipla relativa alle succes­sive partizioni è stata separata da punti come nell’originale.

– La traslitterazione segue i criteri comunemente adottati man­tenendo l'unione delle parole come nel testo originale devanågarı e la divisione sillabica.

– Conformemente all’originale, l’anusvåra è stato traslitterato come µ e non trasformato nella corrispondente nasale pronunciata.

11Avvertenze

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FONTI

Per la traduzione delle Såµkhyakårikå¢ con il Commento diGauƒapåda e delle altre opere citate è stato consultato il testo san-scrito originale in devanågarı delle seguenti edizioni:

– Te SÅÆKHYAKÅRIKÅ with the Commentary of Gauƒapå-dåcårya, Te ORIENTAL BOOK AGENCY, Poona, 1933

– BENARES SANSKRIT SERIES, Nº 9, Te Såµkhyakårikå¢with the Commentary of Gauƒapåda, Dr. Braj B. Das & Co,BENARES PRINTING PRESS, Benares, 1883

– Complete Works of Ârı Âa√karåcårya in the original Sanskrit,SAMATA BOOKS, Madras, 1982

– Complete Works of Ârı Âa√karåcårya in the original Sanskrit,by Sri Vani Vilas Press, Srirangam, 1910

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PRESENTAZIONE

Il Såµkhya è uno dei dar©ana più antichi. I sei dar©anabrahmanici sono le dottrine ortodosse, cioè visioni flosofcheconformi ai Veda che espongono la conoscenza della Realtàsecondo diverse angolazioni. Il termine dar©ana – da d®©: ve-dere – signifca letteralmente ‘punto di vista’ o ‘prospettiva’in quanto la loro comprensione della Realtà avviene da dif-ferenti visuali; la conoscenza che prospettano si articola su di-versi livelli e l’insegnamento corrispondente va dal ritualismodella P¥rva Mımåµså alla metafsica delle Upani\ad formantil’Advaita Vedånta.

Si ritiene che il dar©ana Såµkhya sia stato fondato dalsaggio Kapila, vissuto prima del VI secolo a. C., la cui originedivina viene celebrata da numerose leggende. Tradizional-mente egli è considerato uno dei fgli di Brahmå e, secondo ilBhågavata Puråãa (3.21.25), un avatåra parziale di Vi\~u, ve-nuto all’esistenza come fglio di Kardama Prajåpati e Devahu-ti; secondo altri fu una incarnazione del deva Agni.

Per alcuni studiosi la sua fgura non è storicamente docu-mentata, mentre per altri si tratta di un personaggio real-mente esistito prima della venuta del Buddha e anche di molti®\i delle Upani\ad, il quale viene annoverato, assieme ad alcu-ni suoi discepoli, come uno degli esponenti del passato piùdegni di venerazione e addirittura meritevoli di giornalieriomaggi propiziatori, sebbene la sua visione non fosse semprein accordo con l’ortodossia vedico-brahmanica. Lo stesso Âa-√kara, il grande advaitin codifcatore del Vedånta Advaita, ri-tiene che il celebre passo della Âvetå©vatara Upani\ad (5.2) si

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riferisca al Kapila promulgatore della visione Såµkhya perquanto nel suo commento al Brahmas¥tra (2.1.1) dissenta dalsuo punto di vista.

Kapila viene citato anche in testi della Sm®ti, in particolarenella Bhagavadgıtå, dove viene elogiato come ‘perfetto tra iperfetti’ (Bha. Gı. 10.26); Vyåsa, nel suo commento allo Yoga-s¥tra di Pa†añjali (1.25), gli rende omaggio con il defnirlo‘saggio primordiale’ (ådividvan) e nella stessa Såµkhyakårikå(69) si fa menzione di Kapila come ‘sommo veggente’ (para-mar\i). La conferma della sua esistenza si ha invece da unpasso del Baudhåyanadharmas¥tra (2.11.30) in cui si dice cheun fglio di Prahlåda di nome Kapila, istituì in passato la pra-tica della completa rinuncia (saµnyåsa).

Si tramanda che Egli venne all’esistenza perfettamenteprovvisto di “virtù, conoscenza, distacco e divino potere” e,non ultima, di illimitata compassione. Si narra altresì che ilBuddha stesso, il quale fu della compassione un eccelso esem-pio, fosse stato ispirato dalla sua visione flosofca. Non ènoto, invece, se Kapila abbia impartito solo un insegnamentoverbale o anche in forma scritta.

Il nucleo della sua concezione – come per altre visioniflosofche indiane e non – sta nella constatazione di incom-piutezza della ordinaria esistenza e nella conoscenza per af-francarsi da tale condizione, conoscenza che, secondo latradizione (passo citato dello Yogas¥trabhå\ya), impartì Eglistesso ad Åsuri.

Il Såµkhya rappresenta una pietra miliare nel contesto f-losofco indiano, in quanto ha posto le basi concettuali ancheper alcune visioni successive. Il dar©ana presenta sia elementicomuni ad altre scuole sia fattori originali e ad esso si devel’introduzione di termini e di concetti – come quelli di Prak®ti,Puru\a, Pradhåna, guãa, ecc. – che verranno adottati anche daaltri dar©ana, con signifcato talvolta analogo, talaltra dife-rente.

14 Le strofe del Såµkhya con il Commento di Gauƒapåda

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Il termine såµkhya può avere diverse origini.Una ipotesiprende in esame la radice verbale khyå: ‘nominare’, ‘defnire’e, per estensione, ‘conoscere’, che, con l’aggiunta del prefssosam: ‘complessivamente’, ‘perfettamente’ – mutato, per so-stantivazione astratta, in såm – assume il signifcato di ‘cono-scenza completa’.

Secondo altri deriva dalla forma verbale composita saµ-khya: ‘enumerazione’, nel senso di una teoria che dia contodei princìpi del cosmo esponendoli nella loro formazione pro-gressiva.

La più antica e accreditata interpretazione del termine èquella di una ‘indagine conoscitiva’, una profonda ‘investiga-zione speculativa’ basata sulla logica inferenziale e condottaallo scopo di pervenire a un’analisi sistematica e completa ealla conseguente possibilità di elencazione dei princìpi costi-tutivi dell’essere nella sua integralità, in quanto spiega il per-ché e il come di qualsiasi esperienza e conoscenza, di qual-siasi fenomeno, ecc., fno alla esperienza integrale del diveni-re. In questa accezione, cioè come sinonimo di conoscenza incontrapposizione alla mera disciplina ascetica (yoga), vienepiù volte citato nella Bhagavadgıtå e ugualmente in altri testidella Sm®ti e della Âruti come metodo investigativo flosofco.

Tutte le scuole ortodosse ed eterodosse concordano nellaconstatazione della esperienza dolorosa insita nella esistenzae nella ciclicità di questa: la condizione esistenziale, il diveni-re circolare (saµsåra) che sottende la trasmigrazione (la “ruo-ta dell’esistenza”, bhåvacakra), in sostanza la stessa esistenzaformale costituisce una limitazione per l’essere, un condizio-namento destinato a ingenerare soferenza, e lo scopo dell’esi-stere sta nel trascendere tale condizione integrandola comepossibilità insita in una consapevolezza superiore. La peregri-nazione esistenziale è un efetto dell’ignoranza della proprianatura e come tale può essere arrestata solo dalla conoscenzadelle cause che la determinano.

15Presentazione

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La condizione di esistenza di ogni essere è determinata dalsuo stato di coscienza, e il reiterarsi della prima in modalitàsimilari è dovuto alla mancata soluzione dei contenuti del se-condo, che premono per concretizzare situazioni espressive.

«Qale che sia il contenuto mentale, di quello si divienesostanziati. Qesto è l’eterno mistero»

Maitrı Upani\ad: 6.34.3

L’essere, a seconda del proprio contenuto mentale – quin-di in funzione del proprio agire, sentire ed essere – contenutoproiettivo-empirico che alimenta l’energia del suo veicolosottile, si trasferisce, consciamente o meno, lungo una serieindefnita di diferenti condizioni di esistenza dove svolge larispettiva esperienza attraverso una ininterrotta concatena-zione di morti e successive rinascite.

Tale sequenza di esistenze-esperienze limitative inducel’essere intellettualmente e spiritualmente maturo a concepirela necessità di afrancarsene e l’obiettivo di tutti i dar©ana è laemancipazione dell’essere dall’asservimento al destino tra-smigratorio attraverso la comprensione del processo univer-sale, quindi della natura del mondo e della condizione indivi-duale.

«Dal tormento dovuto al triplice dolore [sorge] l’istanza diconoscenza in relazione al mezzo per rimuovere tale [sof-ferenza]»

Såµkhyakårikå: 1

Il mezzo è la conoscenza discriminante, capace di operareuna separazione, un vero e proprio distacco dalla manifesta-zione che, pertanto, è necessario comprendere nella sua strut-tura e anche nel processo causale che la genera, mantiene e

16 Le strofe del Såµkhya con il Commento di Gauƒapåda

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riassorbe. Il nocciolo della questione è appunto la compren-sione della distinzione di natura tra il manifestato, che è l’ef-fetto visibile, il non-manifestato, che ne è la causa invisibile, eil loro conoscitore, distinto da entrambi. Per il Såµkhya, comeper altri dar©ana, la cessazione della soferenza si ha perciò.

«.dalla chiara conoscenza del manifestato, dell’Immani-festo e del conoscitore»

Såµkhyakårikå: 2

Il Såµkhya predica dunque, ai fni della liberazione, la di-scriminazione (viveka) tra lo spirito-coscienza e la sostanza-materia, tra il conoscitore e il conosciuto, e si fonda su alcuniprincìpi-base, tra loro interrelati, che ne sanciscono la sostan-ziale diferenza rispetto ad altre teorie flosofche contempo-ranee o anteriori.

Fattori peculiari al Såµkhya sono: in primo luogo il supe-ramento delle riduttive categorie postulate da un lato dal rea-lismo logico del Nyåya di Gautama, il dar©ana dedicato allacomprensione del metodo cognitivo, e dall’altro dal plurali-smo atomistico del Vai©e\ika di Ka~åda, la dottrina distintivaanalitica della totalità universale; quindi la attribuzione allamente individuale della capacità di discriminare e di approda-re alla conoscenza e, attraverso questa, di pervenire alla tra-scendenza della condizione contingente costrittiva e confit-tuale; il principio evolutivo, che si sostituisce alla nozione del-la creazione universale. Il mondo non è efetto di un atto crea-tivo sul nulla, ma lo sviluppo progressivo a partire da una dia-de principiale eternamente esistente – il Puru\a e la Prak®ti,rispettivamente il soggetto e l’oggetto della esperienza, neces-sari per ogni forma di conoscenza.

La interazione tra i due princìpi, a livello universale, dàluogo alla manifestazione dell’universo e tale dualismo si pro-paga attraverso i vari piani del manifestato fno all’ente indi-

17Presentazione

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viduato, nel quale si esprime come la polarità cognitiva tra ilsoggetto e l’oggetto.

Poi, ancora, un principio di continuità nell’ambito dellamanifestazione, dal quale discendono la legge di causalità, ilprocesso della trasformazione (pari~åma) progressiva da cuisi irradia la manifestazione attraverso la produzione dei prin-cìpi costitutivi, ossia le essenze principiali, i tatva – lett.‘quiddità’ – e, viceversa, il riassorbimento, e il satkåryavåda,la “dottrina della (pre-) esistenza dell’efetto [nella causa]”.Tutto ciò implica che la produzione degli enti e il lororiassorbimento avviene in seno ad una entità unitaria che neè il sostrato causale, per cui non vi è nulla, nell’efetto, chenon sia già esistente, in altra modalità formale ma non so-stanziale, nella causa.

Confutando la comune opinione secondo cui è reale lapercezione di molteplicità degli enti e la loro natura di dife-renziazione, quindi la realtà singola di ogni ente-individuo, ilSåµkhya prospetta uno sfondo di continuità che sottende unaunità reale e trascendente, mentre la diferenziazione è soloapparente. Tale base della realtà oggettiva è costituita da unprincipio (tatva) sostanziale di carattere universale, la Pra-k®ti, che è il sostrato unitario della totalità. Dunque tutto di-scende dalla Prak®ti la quale costituisce la causa sostanzialeunica, la molteplicità essendo dovuta a una sua successivatrasformazione.

L’ente oggetto di percezione, il manifestato nella sua inte-gralità composita, non è un non-esistente, appunto in quantopercepito, ma un prodoto: la sua causa (kåraãa) non può esse-re il vuoto-nulla, ma deve essere una entità esistente nellaquale anch’esso esiste già come efetto (kårya) allo stato po-tenziale.

Nel Såµkhya l’efetto non è altro che la causa stessa tra-sformata, ovvero percepita sotto una diversa modalità deter-minata dai parametri dimensionali, per cui conserva la sua

18 Le strofe del Såµkhya con il Commento di Gauƒapåda

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natura e, laddove quello è singolarmente individuato, essa,suscettibile di produrre più efetti nella diversifcazione di-mensionale, quindi nel tempo e nello spazio, è unitaria e on-nicomprensiva. In defnitiva, se l’effetto, il manifestato, è per-cepito, esso è reale in un dato grado, e reale in grado mag-giore deve essere la sua causa: per quanto non sia percepitadirettamente, essa viene inferita dai suoi efetti. La Prak®tinon è sostanza materiale – questa si manifesta solo a livellodel piano fsico formale ultimo – né va identifcata con lanatura materiale sede di qualità e caratteristiche quantifcabiliche sono oggetto di percezione, ma è la sua dimora causale;non ha forma ma è entità implasmata, quindi informale e,pertanto, invisibile, per cui viene pensata come una entitànon-sviluppata e non-percettibile e assimilata allo stato non-manifestato per eccellenza, da cui il nome Immanifesto-avyakta.

Come causa sostanziale la Prak®ti è più della somma deisingoli possibili efetti, attuali e non, che riassume, compren-de e trascende, come l’unità è più della somma delle indefniteparti-frazioni in cui può suddividersi. Da ciò discende l’im-portante e già citato principio secondo cui l’efetto (kårya) èvirtualmente esistente (sat) nella causa; ‘nulla viene dal nullae, parimenti, nulla ritorna al nulla’, ma tutto proviene da unacausa sostanziale unica, grazie alla induzione operata da unacausa efciente, e in essa si riassorbe al cessare dello sviluppomanifestante.

L’efetto appartiene allo stato manifestato; questo è unacondizione riduttiva in quanto ogni effetto non manifesta cheuna serie di qualità, quella suscettibile di esprimersi in queldato contesto qualitativo. Invece la causa, cioè la Prak®ti, rap-presenta lo stato non-manifestato ed è perciò la condizionepreesistenziale onnicomprensiva.

Secondo il satkåryavåda l’efetto esiste allo stato poten-ziale, latente, virtuale nella causa per vari motivi: innanzitutto

19Presentazione

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ciò che prima è non-esistente non può diventare esistente; poiqualsiasi ente prodotto è non-diferente dalla sostanza-causa,per cui il prodotto, ancorché non-manifestato, preesiste allaforma come sostanza; infne vi è il fatto che la capacità diprodurre appartiene a ciò che la possiede per natura. Cosìl’efetto ha la stessa natura sostanziale della causa ma, allor-ché viene prodotto, acquista nuove e diverse proprietà, dovutealla sua determinazione come effetto, proprietà che appuntolo defniscono e individuano come tale.

«Per l’assenza di produzione del non-esistente, per la [ne-cessità di] acquisizione della sostanza, per la non-esistenzadella possibilità di originarsi di tutto, perché la produzione[di un efetto] è possibile [solo] da parte di ciò che possie-de la [relativa] capacità e per la natura [dell’efetto analo-ga a quella] della causa, [si conclude che] l’efetto è esi-stente nella causa»

Såµkhyakårikå: 9

Ciò implica la permanenza di una relazione causale nel-l’ambito di tutto il manifestato, tale che dalla constatazionedell’efetto molteplice si può inferire una causa unica, ossia ri-salire dalla molteplicità diferenziata del manifestato alla uni-tà indiferenziata dell’Immanifesto.

Il concetto di causalità secondo l’ottica tradizionale noncontempla solo il senso orizzontale, secondo una catena cau-sa-efetto ininterrotta sul medesimo piano, ma anche quelloverticale: la causa non è soltanto la provenienza, l’origine de-gli enti-efetto, ma anche, e soprattutto, la sede, la sostanza, ilsostrato logico e ontologico, il sostegno costante e la stessanatura. In tal modo permane una condizione di dipendenzadell’efetto dalla causa e, nell’ambito del processo manife-stante, il suo emergere e riassorbirsi in quella che è semprepresente.

20 Le strofe del Såµkhya con il Commento di Gauƒapåda

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La Prak®ti è sostanzialmente passiva ma non materia iner-te in quanto contiene una potenzialità; non produce attivitàda sé, ma è energia allo stato virtuale, mera e illimitata po-tenzialità, ricettacolo di indefnita possibilità.

Essa è il principio polare sostanziale, la sostanza-naturaoriginaria (m¥laprak®ti), primigenia, unica e indiferenziata equindi non-percepibile, l’Ente non-consapevole e autoesisten-te, ma anche il tatva primevo e unitario la cui presenza ènecessaria e indispensabile per la produzione dell’efetto mol-teplice che è l’universo; è quindi il Produtore universale – dacui il nome Prak®ti – ovvero: Ciò che presenta il mondo com-posito e ordinatamente organizzato, da cui la denominazionealternativa di Pradhåna.

La molteplicità oggettiva, delimitata da spazio e tempo, la-scia intuire l’unità sostanziale da cui si sviluppa l’intera ma-nifestazione e che, a manifestazione efettuata, si rivela at-traverso una relazione di continuità esistenziale, ovvero di as-senza di distinzione sostanziale, tra tutti gli enti, a qualunqueregno appartengano; e ciò non solo nel piano orizzontale delmanifestato, sede della forma, ma anche – come accennato –nel senso verticale della provenienza progressiva dal principiosostanziale prak®tico.

Qesta potenzialità insita nella Prak®ti trova attuazione invirtù di due fattori: il primo è la costituzione stessa dellaPrak®ti, il secondo è la necessaria presenza di un Principio co-sciente che, appunto, la attivi. Se, pertanto, la Prak®ti, purnon-percepibile, viene stabilita con certezza attraverso l’infe-renza (anumåna) – uno dei tre mezzi conoscitivi ammessi dalSåµkhya oltre alla percezione sensoriale (pratyak\a) e allavoce attendibile (åptavacana) – donde proviene l’impulso ini-ziale che ne porta in atto la potenzialità? In altre parole, se laPrak®ti è priva di consapevolezza e quindi di una volontà,quale principio è responsabile indiretto del processo mani-festante operato direttamente dalla Prak®ti?

21Presentazione

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Come accennato, per spiegare questo il Såµkhya contrap-pone alla Prak®ti, sostanza-causa sostanziale, il Puru\a, qualeprincipio di coscienza-causa efciente, predicando un reali-smo dualistico e stabilendo così un dualismo ontologico prin-cipiale.

Così da un lato vi è il Puru\a quale principio attivo e vivi-fcatore, dall’altro la Prak®ti quale sostanza universale passiva,plasmabile e attivabile; l’uno assimilabile simbolicamente alpolo o fattore maschile, l’altra a quello femminile; l’uno def-nibile come “spirito cosciente” – da cui il nome – l’altra come“sostanza incosciente”. È opportuno ribadire che la ‘sostanzaprak®tica’ è immateriale, in quanto la materialità come qualitàemerge solo con la produzione degli elementi grossolani.

D’altra parte, per quanto la Prak®ti, l’Immanifesto unico,venga inferita dalla struttura organizzata dell’efetto-moltepli-ce (il mondo), il Puru\a non può essere inferito sulla stessabase perché, avendo la natura del soggetto conscio ma non-agente, si cadrebbe in una regressione senza fne.

Esso viene invece intuito come l’Ente stesso, attivata dalquale e per il fne del quale, la Prak®ti pone in atto la suacapacità produttiva, cioè opera la produzione del molteplicemondo dei tatva.

Infatti si è detto che la Prak®ti è di per sé non-agente, madiviene agente – nel senso che produce la manifestazione –quando ativata dal Puru\a e, in defnitiva, a favore di questo.

«Essa. agisce senza scopo [per sé stessa], ma per il van-taggio di quello che è di per sé privo degli attributi princi-piali»

Såµkhyakårikå: 60

Si dice, infatti, che mentre la Prak®ti-Pradhåna è ‘produtto-re’ e gli enti individuali e universali sono il ‘prodotto’, ilPuru\a non è né l’uno né l’altro.

22 Le strofe del Såµkhya con il Commento di Gauƒapåda

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«La sostanza originaria è non-prodotta, i sette [tatva] so-no sia prodotti che produttori, mentre i sedici [altri tattva]costituiscono una modifcazione (prodotto); il Puru\a nonè né produttore né prodotto»

Såµkhyakårikå: 3

Inoltre la Prak®ti, essendo la causa, non può avere a suavolta una causa, quindi non ha origine, è incausata; pertantonon può nemmeno cessare ed è quindi eterna; per un princi-pio di corrispondenza polare anche il Puru\a, privo di inizio edi termine, è eterno.

«Sappi che la Prak®ti e lo stesso Puru\a sono entrambisenza inizio, e sappi che le modifcazioni e le stesse qualitàhanno origine dalla Prak®ti»

Bhagavadgıtå: 13.19

Dunque per il dar©ana Såµkhya la diade Puru\a-Prak®ti, ela dualità che rappresenta, costituisce la realtà ultima, di làdalla dimensionalità universale ma supporto di quella. Taledualità (dvaita) è in sé irriducibile e reale, e i suoi fattori pola-ri, pur reciprocamente incommensurabili in quanto di naturadiametralmente opposta, rappresentano entrambi entità inf-nite e permanenti.

Per quanto riguarda la costituzione, Kapila aferma che laPrak®ti è sostanziata dei tre guãa: essi non sono entità a sé –solo Prak®ti è sostanza – ma qualità (da cui il nome), o meglioi princìpi qualitativi, ossia gli atributi principiali quali statiallotropici della sostanza unitaria primordiale. Essi sono ilsatva, il rajas e il tamas.

«I guãa sono essenziati [rispettivamente] di piacere, dolo-re e ofuscamento e svolgono [rispettivamente] la funzio-ne di illuminare, sospingere all’attività e limitare [.] Si

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vuole che il satva sia leggero e luminoso, il rajas stimo-lante e mobile e il tamas stesso pesante e oscurante»

Såµkhyakårikå: 12-13

È grazie all’azione dei gu~a che da un iniziale omogeneoindistinto, per natura immobile e immutabile, si perviene al-l’eterogeneo diferenziato, mobile e mutevole, cioè alla totalitàcomposita, diversifcata e diveniente. Infatti i guãa riassumo-no le proprietà essenziali dell’equilibrio (satva) del dinami-smo (rajas) e della staticità (tamas).

Anche la constatazione che qualsiasi oggetto-ente può es-sere sperimentato in modo piacevole, doloroso o illusorio de-pone a favore di una comune origine a monte della diferen-ziazione qualitativa nei guãa che annetta in sé la totalitàformale manifestabile (vai©var¥pya).

Il nome satva deriva dal participio presente sat che signi-fca esistente, reale, stabile ed esprime uno stato di quiete, diluminosità, di serena stabilità; il rajas proviene dalla radicerañj che vuol dire colorare, ed esprime l’attività, il movimentoe, per conseguenza, la mancanza di stabile quiete, quindi lasoferenza; il tamas dalla radice verbale tam che signifcasvanire, perire, perdersi, per cui esprime inerzia, staticità,indiferenza, oscurità e obnubilamento mentale.

La Prak®ti è la potenzialità in cui i guãa giacciono in equi-librio, per cui è detta avere due possibili stati, quello dellaquiescenza non-esprimentesi e quello della attività espressiva,cioè rispettivamente della non-manifestazione e della manife-stazione produttiva. Finché i guãa si trovano in uno stato direciproco equilibrio proporzionato, rimangono inattivi, indi-stinti, virtualmente esistenti ma inespressi in quanto giacentiin una sorta di mutua identità (såmya): la Sostanza non si ma-nifesta, non avvia la produzione dei tatva. Fin quando essisono non-separati, sono non-agenti, mentre dalla loro separa-

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zione si ha anche la loro capacità di azione. Qando la Prak®tiviene attivata dal Puru\a con la sua sola presenza, essa dà luo-go ai diversi princìpi-tatva che formano la manifestazione.Qando, a seguito di quella che si defnisce analogamente auna “scossa” (k\obha), come nello Âivaismo, tale equilibrio-identità viene a rompersi, allora, generandosi, da tale squili-brio indotto, una instabilità, si ha una simultanea diferenzia-zione-emergenza dei guãa (vai\amya) che si attivano e, attra-verso la loro azione e interazione, portano alla manifestazioneuniversale.

Dunque i guãa esistono come tali ed agiscono e interagi-scono solo nel movimento-attività, da cui la necessaria conse-guenza della trasformazione continua (pari~åma) che è anco-ra un concetto basilare del Såµkhya.

Dunque per il Såµkhya la venuta all’essere della manife-stazione (udbhåva) rappresenta lo sviluppo interattivo dei gu-ãa in seno alla Prak®ti che resta immodifcata nella sua natu-ra, dalla attivazione iniziale indiretta ad opera del Puru\a fnoalla produzione successiva dei tatva quali fattori costitutivinei vari piani fno agli enti ultimi. La distruzione è invece ilriassorbimento (anudbhåva), il ritorno di ogni ente-efetto nel-l’ente-causa di provenienza, quindi di ogni piano di esistenzain quello superiore. Tra le due, venuta all’essere e distruzione,vi è la trasformazione (åvirbhåva) che porta ogni prodottoprak®tico a mutare passando da una forma-esistenza all’altra(tirobhåva) segnando una sorta di complessa metamorfosiinterna alla sostanza prak®tica.

Per quanto riguarda la natura dell’impulso trasformanteall’interno del processo di produzione dell’efetto, il Såµkhyacontempla una componente materiale (causa interna), legataalla natura sostanziale, ed una componente efciente (causaesterna): dalla loro combinazione (sahakåritva), cioè dalla loroazione simultanea, è determinato il cambiamento di stato, ov-vero l’assunzione di una data forma, la quale individua l’ente-

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efetto; ciò presuppone tre elementi coefcienti: la dimensio-ne spaziale (de©a), quella temporale (kåla) e la cosiddetta for-ma costituente (åkåra). In altri termini, perché l’ente venga amanifestarsi attraverso una trasformazione da uno stato pre-cedente della sostanza prak®tica, occorre la coincidenza di unfattore spazio, di un fattore tempo e di un fattore forma: illoro insieme costituisce quella possibilità che, venendo ad at-tuarsi, consente la produzione-emergenza dell’ente.

Per il citato principio di continuità la manifestazione è laespansione progressiva verso il basso sia della polarità ine-rente alla diade principiale – polarità cognitiva che, comedetto, si ritrova in ogni entità – sia dell’azione reciproca deiguãa. Ogni ente, ogni stato ed ogni atto nel cosmo è sostan-ziato dai guãa e caratterizzato, diremo individuato, propriodalla proporzione della loro mescolanza: essi non sono maiisolati, non agiscono singolarmente, ma solo combinati inproporzione variabile e tale mescolanza stabilisce non solo leproprietà esterne e percepibili dell’ente, ma anche quelle in-terne e, conseguentemente, il suo stesso corso esistenziale.

Qesto vale anche nella produzione dei tatva, le essenzeprincipiali o princìpi costitutivi che defniscono i vari pianidell’essere.

Dalla interazione tra il Puru\a e la Prak®ti emerge il primotatva che è la buddhi o mahat, ossia l’intelletto, la sfera piùvicina al centro autocosciente del puru\a. Dall’intelletto emer-ge l’ahaµkåra, il fattore egoico, il senso dell’io quale soggettodella conoscenza, dell’azione e della esperienza individualeche esso elabora attraverso l’ulteriore tatva che è il manas, lamente sensoriale-razionale, e svolge tramite i cinque jñåne-ndriya, le facoltà di conoscenza-percezione, e i cinque karme-ndriya, le funzioni relative agli organi di azione. Infne, tro-viamo i tanmåtra, corrispondenti alle essenze sottili o qualitàessenziali degli elementi sottili, e in certo grado identifcatecon loro, e i mahåbh¥ta, gli elementi grossolani.

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Dal tatva originario che è la Prak®ti o Pradhåna, grazie al-l’attività indotta dalla presenza del Puru\a, discendono altri 23tatva che, insieme alla diade principiale, assommano a 25.Nelle dottrine Âaiva analoghe categorie vengono fatte discen-dere da quelle principiali di Âiva e della Âakti.

Anche per il Såµkhya, analogamente al Vedånta Advaita,l’organo fsico corporeo è una concretizzazione, una sorta dimaterializzazione della rispettiva funzione, come questa, a suavolta, lo è del tattva inerente.

Dato il loro processo di formazione, i tatva contengono iguãa, per cui la varietà di colorazione da questi determinata siriscontra a partire dalla buddhi all’ahaµkåra fn nei restantifattori, mostrando in ognuno tre modalità secondo la loroprevalenza relativa.

Pur essendo unici sia la Prak®ti che il Puru\a, mentre quel-la mantiene la sua natura di unitarietà da cui si sviluppa pro-gressivamente l’universo composito e molteplice, l’altro pos-siede una natura unitaria solo in modo virtuale, in quanto sipresenta come la molteplicità dei puru\a individuati.

Per Kapila vi sono tanti puru\a quanti sono gli esseri vi-venti, i jıva; questo perché le esperienze dei singoli puru\asono diferenti in contenuto, spazialità e temporalità e tro-vano una loro integrazione totale, ancorché virtuale, solo inun Puru\a universale.

Così il Puru\a-principio consapevole, autoesistente, inf-nito e non-agente, pur essendo unico, si rifette nei diversipuru\a-jıva; questi, per quanto infnitesimi, mantengono lanatura di conoscitore di fronte al conosciuto, di soggetto spe-rimentatore in rapporto all’oggetto sperimentato, a qualun-que piano appartenga.

Infatti, mentre il Puru\a, con la sua sola presenza, attivaper induzione la Prak®ti ponendola in condizione di dar luogoalla progressiva manifestazione dei vari princìpi-tatva, dallabuddhi ai mahåbh¥ta, generando così tanto gli enti quanto i

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piani di esistenza che formano il mondo fenomenico, d’altra parte esso, tramite i suoi rifessi individuati, vi si identifca obliando apparentemente la propria natura indipendente di coscienza. Sono questi puru\a individuati che, identifcandosi con i prodoti prak®tici che formano i loro veicoli e con le si­tuazioni fenomeniche contingenti, vengono per così dire ad essere imprigionati nel piano della manifestazione sperimen­tando una condizione di schiavitù (bandha) atraverso la sog­gezione a un divenire trasformante senza termine. Solo cono­scendo il meccanismo con cui la Prak®ti manifesta la totalità ci si può astrarre dal suo potere imprigionante, cioè consegui­re la liberazione (mok\a).

Per questo, all’inizio del testo, si aferma che la soluzione della soferenza legata alla esistenza può avvenire solo grazie alla discriminazione del soggeto conoscitore dall’oggeto co­nosciuto.

È stato deto che, per logica, un principio cosciente deve essere ammesso perché qualsiasi entità ordinatamente strut­turata presuppone una entità conscia per lo scopo della quale esiste. Ugualmente qualsiasi esperienza riferibile ai guãa comporta l’ammissione di un soggetto sperimentatore co­sciente. Così la Prak®ti, in tuti i suoi piani e anche come Im­manifesto, viene a costituire un oggeto di fruizione in rap­porto al Puru\a che costituisce il soggeto fruitore; inoltre, la sostanza primordiale, allorché è ativata, diviene capace di mutare davanti al soggeto per cui si dice che è una entità che ‘agisce’ – cioè si trasforma attraverso l’azione reciproca dei guãa – ai fni di un altro (parårtha).

Il Såµkhya esprime dunque una concezione teleologica della potenzialità prak®tica: la stessa Prak®ti, pur priva di con­sapevolezza, produce atività ed entità oggetive al duplice scopo della esperienza del divenire da parte del soggeto e del­la emancipazione di quest’ultimo dalla relazione identifcante con l’oggeto.

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Mentre non si può stabilire un inizio temporale per l’esi­stenza del puru\a, si può invece considerare che l’esperienza samsarica individuale avviene in concomitanza con la for­mazione della buddhi e che, pertanto, l’essere cosciente accu­mula identificazioni lungo successive nascite.

Si è deto che la conoscenza prospetata dal Såµkhya con­siste nella comprensione della distinzione di natura tra il ma­nifestato che è l’efeto visibile, il non-manifestato che ne è la causa invisibile e il loro conoscitore, distinto da entrambi; la liberazione (mok\a) consiste invece nel recupero della propria natura di pura consapevolezza da parte del puru\a.

Poiché il Puru\a, pur identificandosi con la Prak®ti atra­verso i rifessi-jıva, mantiene la sua natura, la condizione di schiavitù cui sembra sotostare il puru\a individuato è appa­rente, per cui lo è anche la sua liberazione. Ora, se il conosci­tore-puru\a non è realmente asservito alla Prak®ti, chi è che trasmigra?

I veicoli, che sono prak®tici; è quindi la Prak®ti stessa che si muove, si trasforma ossia evolve internamente. Del resto tute le condizioni oggeto di conoscenza, fisiche, psichiche, ecc. appartengono come tali solo alla Prak®ti.

«Il dissolubile (il corpo sotile). [pressoché] permanen­te. trasmigra senza esperire [ma] pervaso dai modi della esistenza»

Såµkhyakårikå: 40

Come nel Vedånta Advaita, anche nel Såµkhya il corpo sotile è il veicolo del puru\a che trasmigra, in quanto riceta­colo delle tendenze latenti e quindi latore di un carico karmi­co quale seme di successivi sviluppi formali-esperienziali.

È dunque la stessa Prak®ti che, prima con il suo aspeto ta­masico e rajasico ‘imprigiona’ il puru\a, quindi con quello sat­tvico lo ‘libera’.

Presentazione 29

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Pertanto per il Såµkhya la Prak®ti, con il suo processo ditrasformazione-manifestazione, assolve lo scopo di svelarsi alpuru\a e il puru\a, grazie alla conoscenza discriminante, rag-giunge quello di isolarsi dalla Prak®ti per ristabilirsi nella pro-pria natura di coscienza.

«Non vi è nulla più sfuggente della Prak®ti che, appena av-verte: ‘sono stata vista’, non si presenta più alla visione delPuru\a»

Såµkhyakårikå: 61

Anche per il Såµkhya la Prak®ti, quale Immanifesto, costi-tuisce qualcosa di inaferrabile direttamente la cui natura ètale che, una volta compresa nella sua essenza, cessa per cosìdire di prodursi nelle proprie possibilità manifestanti.

D’altra parte, la conoscenza che discrimina il puru\a dallaPrak®ti non è qualcosa che si verifca solo dopo la morte –passaggio di stato che appartiene al piano prak®tico efettuale– ma uno stato di consapevolezza che si può attingere e ren-dere stabile anche in vita:

«Così: dall’esercizio continuo concernente i tatva. sorgela conoscenza che, essendo priva di contraddizione, è per-fettamente pura e assoluta»

Såµkhyakårikå: 64

Come una ruota di vasaio che, in forza dell’impulso im-pressole, continua a girare anche dopo svolta la sua funzione,così il corpo del puru\a liberato permane nella sua attivitàvitale fno all’esaurimento del karman; poi, alla morte fsica, icostituenti tornano alla Prak®ti che non può più determinareattività imprigionante per tale puru\a.

Qando, realizzata la conoscenza, il puru\a individuato,avente la medesima natura del Puru\a, si è distaccato dalla

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Prak®ti, questa cessa altresì di manifestare e manifestarsi e ilpuru\a stesso rientra per così dire nella propria natura: taleseparazione e stabilizzazione del puru\a in sé, ovvero il suoisolamento (kaivalya) dal manifestato e dal manifestante-Immanifesto, è lo stadio più elevato conseguibile per il Såµ-khya, oltre il quale non è possibile andare.

«Grazie a ciò, il Puru\a, come un osservatore [distaccato],afatto fermo, in sé stabilito. Uno spettatore stabile: così èl’osservatore unico. Ottenuta la separazione dal corpo,quando vi è la totale cessazione dell’attività da parte delPradhåna, in quanto ha raggiunto lo scopo, [il Puru\a]consegue l’assolutezza che è ambedue le cose: unica e de-fnitiva»

Såµkhyakårikå: 65-68

Alcune interpretazioni del Såµkhya sono state adottateanche da diverse scuole buddhiste, nonché da correnti siaVai≤ãava che Âaiva.

Come accennato all’inizio, parte della terminologia pro-pria del Såµkhya è in comune con altri dar©ana o altre cor-renti flosofche, talora mantenendo una similitudine di si-gnifcato, talaltra evolvendo verso sensi più sottili.

Ad esempio la Prak®ti, anteriormente allo k\obha iniziale,si identifca con l’Immanifesto, mentre nel Vedånta l’avyakta,in quanto unità indistinta, è l’Essere universale, dunque lastessa Unità indiferenziata ma qualifcata ed emersa in virtùdi måyå che attraverso la måyå stessa contiene e proietta insé la molteplicità universale.

Ancora la Prak®ti, da causa di natura sostanziale nel Såµ-khya, diviene nelle dottrine Âaiva la ©akti di uno ©uddhatatvamentre nel Vedånta Advaita (Âve. 4.10) viene assimilata allastessa måyå, considerata una apparenza del Brahman, perden-do così la natura di sostanza e assumendo quella di possibilità.

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Il Puru\a, da parte sua, da principio cosciente polare delSåµkhya diviene il principio unitario del dar©ana Yoga corri-spondente in certo modo all’Essere qualifcato universale (Ù-©vara, Brahman saguãa) mentre, nel Vedånta Advaita si iden-tifica con lo stesso Brahman nirguãa, il Senza-secondo.

Il Såµkhya, come accennato, fornisce alcuni concetti-baseal dar©ana Yoga ma, mentre per il Såµkhya permane unaeterna e irresolubile contrapposizione tra lo spirito-puru\a ela materia o sostanza-Prak®ti, nel dar©ana Yoga tale dualismoviene integrato e la diade principiale Puru\a-Prak®ti viene sin-tetizzata in Ù©vara, il Signore, dalla cui natura di unità qua-lifcata tutto promana.

Il dar©ana Vedånta Advaita, poi, basato sulla compilazionedelle Upani\ad e codifcato prima da parte di Gauƒapåda, conla dottrina della non-generazione, e quindi da Âa√kara, con isuoi commentari alla Triplice Scienza (prasthånatraya) com-prendente Upani\ad principali, Bhagavadgıtå e Brahmas¥tra,trascende anche tale unità qualifcata e aferma il Brahmannirguãa, nella sua natura di Non-dualità (advaita), come il So-strato metafsico ultimo e indipendente da tutto, la realtà as-soluta sullo schermo della quale le immagini non solo delladualità-molteplicità fenomenica universale ma persino dellaunità principiale non sono che semplici sovrapposizioni pro-iettate attraverso la possibilità di måyå.

Pertanto, come accade per altri dar©ana, anche il Såµkhyasi rivela inadeguato a fornire una spiegazione defnitiva ecomprensiva dell’esistente e del trascendente, in quanto limi-tato nella sua ottica a particolari aspetti del processo uni-versale, ma resta tuttavia valido come prospettiva parziale chetrova completa soluzione nella visione metafsica Advaita.

La prima opera scritta sul Såµkhya è lo ≥a≤†itantra attri-buito, non senza incertezza, a Pañca©ikha e citato nell’ultimoverso del presente testo; neanche il Såµkhyas¥tra, commen-tato, fra gli altri, da Vijñånabhik\u, può essere attribuito a

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Kapila. La compilazione defnita del dar©ana Saµkhya è co­stituita proprio dal testo noto come Såµkhyakårikå¢, “Le strofe del Såµkhya”– o, secondo altre redazioni, Såµkhyakå­rikå, “La tratazione esplicativa del Såµkhya” – che costitui­sce una spiegazione dell’opera citata ed è tradizionalmente atribuito a Ù©varak®\ãa, un flosofo indiano vissuto in epoca incerta fra il I e il V secolo d. C.; data la sua importanza, l’opera fu tradota in cinese già nel VI secolo d.C.

Tra i diversi commenti che il testo ha avuto nel tempo, viene qui presentato quello atribuito a Gauƒapåda, promul­gatore della dotrina della non-generazione (ajåtivåda) e au­tore della celebre Kårikå alla Må~ƒ¥kya Upani\ad, il quale redasse commenti anche di testi sia della Sm®ti (Uttaragıtå) sia di opere non appartenenti all’Advaita. Egli dilucida con sistematicità ogni ©loka, sofermandosi in special modo sia su questioni di caratere pretamente flosofco-metafsico, che sulle elencazioni di entità, proprietà, atributi e gradazioni che nei versi vengono solo citate. La sua è ovviamente una letura non-dualistica che in un certo senso adota la metodologia propria del Såµkhya prendendo ato della sua opera di analisi del manifestato per predisporre a quella che è la pura conce­zione Advaita, quindi per integrare la manifestazione e com­prenderla come espressione di possibilità. Ciò si può notare in particolare laddove il termine puru\a viene riferito indife­rentemente all’essere cosciente individuale o allo Spirito su­premo, l’Essere cosciente metauniversale, cioè al supremo åtman. Del resto, come nell’Advaita, anche per il Såµkhya il fne dell’essere è la liberazione dal divenire esistenziale tra­smigratorio e questa completa emancipazione, onde essere tale, deve coincidere con il raggiunto stato di assolutezza (kaivalya) da parte del puru\a, assolutezza ‘unica e defnitiva’ che, come natura propria che ogni puru\a deve svelare in sé distaccandosi dalla contingenza prak®tica, è la medesima, im­mutabile ed eterna natura del Puru\a-åtman.

Presentazione 33

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Ù©varak®≤ãa

SÅÆKHYAKÅRIKÅÚ

« Le Strofe del Såµkhya »

CON IL COMMENTO

DI

GAU‡APÅDA

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Omaggio a Ga~e©a

Sia reso omaggio a Kapila, a quegli dal quale,per compassione verso il mondo immerso nel-l’oceano della ignoranza, è stata allestita, al fnedi traversarlo, la zattera costituita dal Såµkhya.

Per il bene dei discepoli io esporrò chiaramente ein sintesi la Scritura, consistente in un breve trat-tato, unitamente alle prove di evidenza, alle con-clusioni e alle motivazioni.

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1. Dal tormento dovuto al triplice dolore [sorge] l’istanza diconoscenza in relazione al mezzo per rimuovere tale [soferen-za]. Se [si obieta che tale istanza di conoscenza] è inutile inquanto [sifato mezzo] è già conosciuto, [si risponde] no, perché[della rimozione del dolore atraverso tale mezzo già osservato]non vi è persistenza [né] in modo assoluto né in modo defnitivo.

“(Dal tormento dovuto) al triplice dolore.”: si stila [ora]una introduzione a questa strofa.

In questo contesto il venerabile di nome Kapila (il codif-catore del dar©ana Såµkhya) era fglio di Brahmå: infatti [dal-la Sm®ti si apprende]: «Sanaka, Sananda e, per terzo, Sanåta-na, [quindi] Åsuri e lo stesso Kapila e, poi, ancora Voƒhu ePañca©ikha: questi fgli di Brahmå sono celebrati come i settegrandi Saggi (mahar\i)».

A Kapila vennero unitamente la virtù (dharma), la cono-scenza (jñåna), il distacco (vairågya) e il divino potere (ai©va-rya). Così, non appena venne all’esistenza, vedendo il mondoimmerso nella cieca tenebra [dell’ignoranza], in quanto asser-vito all’ininterrotto divenire ciclico esistenziale (saµsåra),pieno di compassione espose al bråhmaãa Åsuri, che apparte-neva alla sua stessa stirpe e aveva maturato una istanza di co-noscenza, questa scienza dei venticinque tatva, grazie allaconoscenza della quale si invera la distruzione della soferen-za: «Il (devoto) conoscitore dei venticinque tatva, qualunquesia lo stadio di vita in cui si trova, che sia un discepolo dallachioma intrecciata, un asceta dalla testa rasata oppure unmendicante, viene liberato; su ciò non vi è dubbio».

Egli disse questo: “Dal tormento dovuto al triplice dolore[sorge] l’istanza di conoscenza.”. In questo contesto il tripli-

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ce dolore (du¢khatraya) comprende quello di natura indivi-duale, quello di natura elementale e quello di natura divina.

Tra loro quello di natura individuale (ådhyåtmika) è du-plice: corporeo e mentale; quello corporeo è prodotto da unosquilibrio nell’aria [racchiusa nei visceri], nella bile e nellalinfa, [e può manifestarsi] come stato febbrile, dissenteria oaltro; quello mentale deriva dalla separazione da ciò che èpiacevole e dal contatto con ciò che è spiacevole, ecc.

Qello di natura elementale (ådhibhautika) ha causa in unquadruplice insieme di esseri (bh¥ta) e si genera a contattocon esseri che nascono [rispettivamente] da un embrione, daun uovo, dalla umidità o da un germoglio, ovvero da esseriumani, animali domestici, animali selvatici, uccelli, serpenti,insetti volanti, pulci, pidocchi, predatori marini, coccodrilli edesseri immobili (piante, ecc.)1.

Qello di natura divina (ådhidaivika) si riferisce a quelloproprio [causato da parte] degli dèi o è [detto] divino inquanto proviene dal cielo; esso sorge appunto in relazione aciò ed è determinato da [esperienze sensorie dolorose, comequelle prodotte da eccessivi] caldo e freddo, [da agenti natu-rali come] vento, fulmini, ecc.2

Tale è il modo in cui “Dal tormento dovuto al triplice do-lore” è prodotta “l’istanza di conoscenza.”.

In relazione a che cosa?“.in relazione al mezzo per rimuovere tale [soferenza]”.Qi ci si riferisce a quello che è il mezzo (hetu) capace di

rimuovere tale triplice dolore.

Obiezione: “Se [si obietta che tale istanza di conoscenza] èinutile in quanto [sifatto mezzo] è già conosciuto.”. Qalorasi obiettasse che tale istanza di conoscenza in relazione almezzo in grado di rimuovere il triplice dolore è priva di utilità(apårthå), in quanto il mezzo [in questione] è già conosciuto.In merito a ciò si constata che per quello [che è il dolore] di

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natura individuale, per quanto di duplice specie, vi è [perquello corporeo] la cura dettata dalla scienza della medicina,con pozioni dal sapore acidulo, amaro o pungente, ecc., [men-tre per quello psichico] l’accostamento al piacevole e l’allon-tanamento da ciò che è spiacevole; così è [conosciuto] il mez-zo idoneo per [rimuovere] quello di natura individuale. [An-che] per quello di natura elementale [in quanto dovuto a fe-nomeni naturali, ecc.] si osserva che vi è ciò che è in grado dirimuoverlo, come il mettersi al riparo e così via.

Risposta: Se pensi questo, cioè che tale [istanza di cono-scenza] è inutile dal momento che [il mezzo per rimuovere iltriplice dolore] è già conosciuto, [la risposta è] “no, perché[della rimozione del dolore attraverso tale mezzo già osser-vato] non vi è persistenza [né] in modo assoluto né in mododefnitivo”.

Poiché attraverso il mezzo [ordinariamente] constatato larimozione [della esperienza del dolore] non avviene “[né] inmodo totale”, cioè incondizionato, “né in modo defnitivo”,cioè per sempre, perciò l’istanza di conoscenza (jijñåså), laferma volontà di conoscere relativa al mezzo in grado di ri-muovere [l’esperienza del dolore] in modo totale e defnitivo,deve essere concepita in relazione ad altro.

Obiezione: Qalora si dovesse concepire una istanza di co-noscenza in relazione ad altro ancora rispetto al [mezzo ordi-nario] già noto, anche riguardo a tale [possibilità si rispon-derà]: nient’affatto, perché il mezzo in grado di rimuovere[completamente] il triplice dolore viene appreso tramite latradizione vedica. La tradizione vedica (anu©rava) comporta ilripetuto ascolto di quanto è tramandato dalla Âruti; ciò cheappartiene ad essa è [detto] appreso tramite la tradizione ve-dica (ånu©ravika), come [si comprende] dalla Âruti: «Abbiamolibato il soma, siamo divenuti immortali, abbiamo raggiunto

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la luce e abbiamo conosciuto i deva. Ordunque, il nemico sarànei nostri confronti impotente: quale danno [potrà mai infig-gere] un mortale all’immortale?» (Íg Veda: 8.48.3, Atharva-©ira Upani≤ad: 3). Un tempo, tra i deva come Indra e gli altrisorse la questione: ‘In che modo, noi, divenimmo immortali?’.Avendo indagato [su ciò, conclusero]: ‘Poiché abbiamo libatoil soma, grazie a questo siamo divenuti immortali, ci siamo re-si liberi dalla morte’. Tale è il senso. E inoltre [sempre peraver libato il soma], ‘Abbiamo raggiunto la luce, cioè siamopervenuti alla luce, abbiamo guadagnato il cielo (svarga) e ab-biamo [anche] conosciuto i deva, cioè abbiamo acquisito laconoscenza [che è propria solo] degli esseri divini. E così,adesso, nei nostri confronti, il nemico sarà come impotente: ilnemico, l’avversario ora sarà certamente per noi del tuttoinofensivo. Qale danno [potrà mai infiggere] un mortale al-l’immortale? Cioè: quale danno, come una malattia o una of-fesa fsica, potrà mai il mortale procurare all’immortale?’.

Vi è dell’altro: nel Veda si apprende che il frutto defnitivo[lo si consegue anche] attraverso il sacrifcio animale: «Coluiche sacrifca mediante l’A©vamedha conquisterà tutti i mondi,sconfggerà la morte, si porterà al di là dell’errore e supereràpersino [il grave demerito che comporta] la uccisione di unbråhmaãa». Così, poiché il [mezzo] totale e defnitivo risultagià esposto nel Veda, [si sostiene] che la istanza di conoscenza[nei suoi riguardi] è affatto inutile.

Risposta: No, [infatti] viene detto:

2. Il [mezzo per rimuovere il triplice dolore] rivelato dallatradizione vedica è come quello [stesso già] conosciuto: infatiesso è congiunto con l’impurità, l’esauribilità e la [relativa] pre-valenza. Superiore [rispeto ad esso] è [il mezzo] opposto a ciò,[in quanto derivante] dalla chiara conoscenza del manifestato,dell’Immanifesto e del conoscitore.

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“Il [mezzo per rimuovere il triplice dolore] rivelato dallatradizione vedica è come quello [stesso già] conosciuto”: [l’e-spressione] “come quello [stesso già] conosciuto” (d®\†avat)[signifca]: è analogo a quello ordinariamente noto3.

Obiezione: Perché quello che è “il [mezzo] rivelato dallatradizione vedica” è come quello [stesso già] conosciuto?

Risposta: Perché “è congiunto con l’impurità, l’esauribilitàe la [relativa] prevalenza”. Infatti l’uccisione di animali è con-giunta con l’impurità e, in tal senso, è stato detto: «Seicentoanimali debbono essere sacrifcati al mezzodì, secondo l’asser-zione dell’A©vamedha, meno tre animali».

Ora, sebbene tale dovere religioso (dharma) venga ingiun-to sia dalla Âruti che dalla Sm®ti, tuttavia esso è congiunto conl’impurità per via della [sua] natura di combinazione [di fat-tori eterogenei].

Analogamente [è detto]: «Di era in era molte migliaia diIndra e di deva vengono soverchiate dal tempo (kåla), mentreil tempo è insuperabile», per cui, dalla distruzione cui sonosoggetti Indra e gli altri [deva, si conclude che il mezzo sud-detto] è destinato a esaurirsi4. Similmente, la prevalenza [rela-tiva] (ati©aya) è una particolarità (vi©e\a) e [il mezzo in esa-me] è congiunto con essa in quanto, dalla constatazione diuna qualità costituita da una particolarità, sorge la soferenzain rapporto a un altro [ente che non ne è dotato]. Così ancheil [mezzo] rivelato dalla tradizione vedica è [limitato] comequello [ordinariamente] osservato.

Si deve ora stabilire questo: qual è, allora, il [mezzo] ‘su-periore’ ?

“Superiore [rispetto ad esso] è [il mezzo] opposto a ciò”:superiore (©reyån), dunque maggiormente degno di essere ce-lebrato, è quello opposto ai due [mezzi anzidetti], cioè a quel-lo osservato [ordinariamente] e a quello rivelato in conformi-

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tà alla Âruti, in quanto non congiunto con l’impurità, l’esau-ribilità e la [relativa] prevalenza.

E come [viene ottenuto]?Si dice: “.dalla chiara conoscenza del manifestato, del-

l’Immanifesto e del conoscitore”. A tale riguardo il manifesta-to (vyakta) consiste nel mahat e gli altri [tatva] – cioè: l’in-telletto superiore (buddhi), il senso dell’io (ahaµkåra), i cin-que elementi sottili (tanmåtra)5 gli undici sensi (indriya)6 e icinque elementi grossolani (mahåbh¥ta) – l’Immanifesto (a-vyakta) è il Pradhåna e il conoscitore (jña) è il Puru\a7. Cosìquesti venticinque tatva vengono recitati [riassuntivamente]come: il manifestato, l’Immanifesto e il conoscitore. Dalla lorochiara conoscenza (vijñåna) [deriva] il [mezzo] superiore ed[in proposito] è stato detto: «Il (devoto) conoscitore dei venti-cinque tatva.».

Qal è, dunque, la distinzione tra il manifestato, l’Imma-nifesto e il [loro] conoscitore?

Si dice:

3. La sostanza-natura originaria è non-prodota, i sete [ta-tva] quali il mahat e gli altri sono sia prodoti che produtori,mentre gli [altri] sedici costituiscono una modifcazione (pro-doto); il Puru\a non è né produtore né prodoto.

La sostanza-natura originaria è il Pradhåna in quanto èl’origine dei sette [fattori] varianti e invarianti; e poiché essaè sia la sostanza-natura (prak®ti) che l’origine (m¥la), è [detta]sostanza-natura originaria (m¥laprak®ti). È “non-prodotta” (a-vik®ti) in quanto non sorge da [alcun] altro [ente], per cui lasostanza (prak®ti) non costituisce una modifcazione (vikåra)di qualcosa [di altro da sé].

“.i sette [tatva] quali il mahat e gli altri sono sia prodottiche produttori”. Il mahat è l’intelletto superiore (buddhi); l’in-

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telleto superiore e gli altri sono sete in quanto comprendono l’intelleto superiore, il senso dell’io e le cinque qualità sotili (tanmåtra). Qesti sete [tattva] sono sia produtori (prak®ti) che prodoti (vik®ti), vale a dire: la buddhi sorge dal Pradhåna, per cui è un prodoto in quanto modifcazione (vikåra) del Pradhåna; quella stessa [buddhi] dà origine al senso dell’io, per cui è produtore. Il senso dell’io sorge dall’intelleto, quin­di è un prodoto, mentre è produtore in quanto dà origine al­le cinque qualità sotili. La qualità sotile del suono (©abda) sorge dal senso dell’io, per cui è un prodotto, mentre da quel­la viene ad essere lo spazio (åkå©a), per cui è produtore8. Si­milmente la qualità sotile del tato (spar©a) sorge dal senso dell’io, per cui è un prodoto, ed essa dà così origine all’aria (vayu), per cui è [anche] produtore. La qualità sotile dell’ol­fato sorge dal senso dell’io, per cui è un prodotto, ed essa dà così origine alla terra (p®thivı), per cui è [anche] produtore. La qualità sotile della forma (r¥pa)9 sorge dal senso dell’io, per cui è un prodoto, ed essa dà così origine al fuoco (tejas), per cui è [anche] produtore. La qualità sotile del gusto (rasa) sorge dal senso dell’io, per cui è un prodoto, ed essa dà così origine all’acqua (åp), per cui è [anche] produtore. Così “i sete [tattva] quali il mahat e gli altri sono sia prodoti che produtori, (mentre) gli [altri] sedici costituiscono una modif­cazione” (vikåra, e quindi sono solo un prodoto). Essi sono: i cinque organi di percezione (buddhındriya), i cinque organi di azione (karmendriya), la mente (manas) come undicesimo e i cinque elementi grossolani (mahåbh¥ta). Qesta serie di sedi­ci [fatori] è anch’essa un prodoto, in quanto la modifcazio­ne (vikåra) costituisce un prodoto (vik®ti). [Invece] “il Puru\a non è né produtore né prodoto”.

Così, in relazione a queste tre categorie (padårtha) [che riassumono i venticinque tattva soto i nomi] del manifestato, dell’Immanifesto e del conoscitore, grazie a quali e a quanti mezzi di conoscenza validi (pramåãa), ovvero mediante quale

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o da quale mezzo di evidenza conoscitiva si ha la [loro] per-fetta conoscenza?

Qi, nel piano empirico, l’oggetto conoscibile viene accer-tato attraverso il mezzo di evidenza conoscitiva [appropriato],come il riso [viene valutato] mediante talune misure di capa-cità, ecc. e il sandalo con la bilancina. Pertanto [ora] si deveesporre [qual è] il mezzo di conoscenza valido.

4. La percezione, l’inferenza e la voce atendibile, poichécomprendono qualsiasi [altro] mezzo di conoscenza valido, sonoil triplice mezzo di conoscenza approvato: infati l’acquisizionedel conoscibile si ha grazie al mezzo di conoscenza [suddeto].

La percezione [viene defnita] come [la rispettiva funzionedi organi quali]: l’orecchio, la pelle, l’occhio, la lingua e il na-so, cioè i cinque organi di percezione (buddhındriya), [men-tre] il suono, il tatto, la forma, il sapore e l’odore sono rispet-tivamente [gli oggetti] di questi stessi cinque [sensi]; l’orec-chio percepisce il suono, la pelle il tatto, l’occhio la forma, lalingua il gusto e il naso l’odore. Qesto è il mezzo di cono-scenza valido (pramåãa) che viene defnito come percezione[degli oggetti, cioè la facoltà che permette di distinguerli,d®\†a: ‘il visto’, ‘il percepito’].

Ora, l’oggetto che non viene aferrato né attraverso lapercezione sensoriale diretta (pratyak\a) né attraverso l’infe-renza (anumåna), può essere còlto attraverso la voce attendi-bile (åptavacana), come Indra [viene appreso] quale sovranodei deva, o i Kuru a settentrione o, ancora, le Apsaras nel cie-lo, ecc. Qello che non può essere appreso tramite la perce-zione sensoriale diretta o l’inferenza, viene dunque appresosolo attraverso la voce attendibile, ed è stato anche detto: «Latradizione scritturale (ågama), invero, è voce attendibile, edappartiene al saggio per via della eliminazione del difetto [daparte di lui]. Colui la cui imperfezione è stata distrutta non

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pronuncerà [mai] un’asserzione fallace perché non ne ha mo-tivo. Intento alla propria [giusta] azione, quegli che è total-mente privo di attaccamento e avversione sarà sempre ono-rato da coloro a lui simili: egli deve essere conosciuto comeuno che è degno di fede». In questi [tre] mezzi di conoscenzavalidi sono compresi tutti i mezzi di conoscenza.

Jaimini10 [considera invece] sei mezzi di conoscenza validi.Qali sono tali mezzi di conoscenza?

I sei mezzi di conoscenza validi sono: ipotesi fondata, in-clusione, non-esistenza, ideazione, consuetudine e analogia11.Al riguardo, l’ipotesi fondata (arthåpati) è di due specie: [haorigine da] percezione diretta o ascolto. Per quanto concernela percezione diretta: se l’esistenza reale dell’åtman è ammes-sa secondo un punto di vista, allora deve essere ammessa an-che secondo un [qualsiasi] altro punto di vista. Per quantoriguarda l’ascolto: ‘[si è udito che] di giorno Devadatta nonmangia, eppure viene visto essere grasso: da ciò si desumeche mangia di notte’. L’inclusione (sambhava) è [defnita] co-me: in un prastha (unità di peso) sono inclusi quattro kuƒava(frazioni). La non-esistenza (abhåva) viene defnita [di quattrotipi]: antecedente (pråg), reciproca (itaretara), assoluta (atya-nta) e non-esistenza totale (sarvåbhåva). La non-esistenzaprecedente (prågabhåva) è, per esempio, [quando si consideraun tale] Devadatta [prima] nella fanciullezza, [poi] nella gio-vinezza, ecc. (ossia in tempi nei quali egli non esiste come talenel periodo precedente); la non-esistenza reciproca o relativa(itaretaråbhåva) è quando, ad esempio, in relazione a un vasovi è non-esistenza di un tessuto [e viceversa]; la non-esistenzaassoluta (atyantåbhåva) è come per le corna di un asino, ilfglio di una donna sterile o una foritura nel cielo; la non-esistenza totale (sarvåbhåva) è quella che consegue alladistruzione, come per una stofa che sia andata bruciata; an-cora [in generale], dalla constatazione del grano secco si com-prende la non-esistenza della pioggia. Così la non-esistenza è

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molteplice. L’ideazione (pratibhå, proiezione immaginativa) è [definita] come: ‘Qel territorio, sito a meridione del Vindhya e a setentrione del Sahya, che si estende dalla terra al mare, è incantevole’: quando si è asserito in tal modo [sorge l’idea che] in quel territorio vi siano [tante] piacevoli qualità. [Così si può dire che] l’ideazione consegue a [quelle che sono] e­spressioni verbali.

La consuetudine (aitihya) è [definita] come ciò che chiun­que dice solo seguendo il proprio modo abituale di esprimersi, per esempio: ‘in ogni va†a (Ficus Indica) dimora una yak\i~ı’.

L’analogia (upamåna) è [quando si aferma] per esempio: ‘un gayal (specie bovina, Bos Gavaeus) è come un bue’, oppu­re :‘uno stagno è come un oceano’.

Qesti sei mezzi validi di conoscenza sono contenuti nei tre quali la percezione e gli altri (cioè l’inferenza e la voce at­tendibile). Tra loro l’ipotesi fondata rientra nella inferenza, mentre l’inclusione, la non-esistenza, l’ideazione, la consuetu­dine e l’analogia rientrano nella voce atendibile. Pertanto [i saggi] affermano che, poiché rientrano per intero nei tre [e­lencati e questi, dunque], “poiché comprendono qualsiasi [al­tro] mezzo di conoscenza valido, sono il triplice mezzo di co­noscenza approvato”. È quindi sotinteso da parte della sen­tenza che attraverso tale triplice mezzo di conoscenza valido si ha l’acquisizione di [qualsiasi altro eventuale] mezzo di co­noscenza efficace.

“.infati l’acquisizione del conoscibile si ha grazie al mez­zo di conoscenza [suddeto]”. Il conoscibile (prameya) è rap­presentato dal Pradhåna, dall’intelleto, dal senso dell’io, dai cinque princìpi o elementi sotili, dagli undici sensi, dai cin­que elementi grossolani e dal Puru\a.

Qesti venticinque tattva costituiscono quelli che vengo­no definiti [riassuntivamente come] ‘il manifestato, l’Imma­nifesto e il [loro] conoscitore’: in relazione a ciò, una parte può essere compresa con la percezione direta, una parte con

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l’inferenza e una parte con la testimonianza autorevole se­condo la tradizione (ågama). Così è stato enunciato il triplice mezzo di conoscenza valido.

Qual è la sua caratteristica?Si afferma:

5. Il percepito consiste nell’accertamento di tuti gli oggeti; l’inferenza, defnita triplice, è preceduta dal suo segno caratte­ristico e da ciò che è caraterizzato; mentre la voce atendibile è la rivelazione udita autorevole.

“Il percepito” (d®\†a), vale a dire [l’insieme degli oggetti conosciuto attraverso] la percezione diretta (pratyak\a) “con­siste nell’accertamento” (adhyavasåya) [operato] in relazione a “tutti gli oggetti”, cioè in relazione agli oggetti [di percezio­ne], come il suono e gli altri lo sono per [facoltà sensoriali co­me] l’udito, ecc.

“L’inferenza” (anumåna) è “defnita triplice.”, in quanto può basarsi su qualcosa di precedente (p¥rva), può inerire qualcosa di restante (©e\a) o fondarsi sulla comune constata­zione (såmånyato d®\†a). Quella basata su qualcosa di prece­dente, per la quale, dunque, vi è un dato antecedente [e ac­quisito, viene descritta] come [quando si dice]: ‘all’addensarsi delle nubi segue la pioggia’. Quella inerente a qualcosa di re­stante [viene descritta] come: ‘accertato che anche una sola parte di acqua proveniente dal mare è salata, [si inferisce] la natura salata anche per la restante [parte]’. La comune con­statazione è: ‘assunta la percezione del loro spostarsi da una regione celeste a un’altra regione celeste, [si inferisce che] la luna e gli astri sono dotati di moto [proprio]’, come accade, per esempio, per [un tale di nome] Caitra; notando che un tale di nome Caitra si è spostato da un luogo a un altro luogo, diciamo: ‘questi è dotato di movimento’; tal quale è in rela­zione alla luna e agli astri.

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Similmente, dalla constatazione [in un dato luogo] di unmango forito, [inferiamo che anche] altrove le piante di man-go saranno forite: questo si acquisisce attraverso la comuneconstatazione. Qesta è, appunto, la comune constatazione.

Inoltre “è preceduta dal suo segno caratteristico e da ciòche è caratterizzato”. [In alcuni casi] l’inferenza è precedutadal suo segno caratteristico (li§ga), quando ciò che ne è ca-ratterizzato viene inferito appunto attraverso il segno caratte-ristico, come da un bastone [si inferisce che deve esserci] unasceta itinerante; mentre [in altri l’inferenza] è preceduta dal-l’oggetto caratterizzato (li§gin), quando il segno caratteristicoviene inferito attraverso l’oggetto caratterizzato, come veden-do un asceta itinerante [si inferisce]: ‘ecco il suo bastone a trepunte’12.

“.e la voce attendibile è la rivelazione udita autorevole”.Sono autorevoli (åpta) i maestri come i bråhmaãa e gli altri[simili] e la rivelazione udita (©ruti) è il Veda, mentre la rivela-zione udita è autorevole quando è sia una conoscenza acquisi-ta mediante l’ascolto che autorevole [per natura o provenien-za]. Qanto esposto rappresenta “la voce attendibile” (åptava-canam). Così è stato enunciato il triplice mezzo idoneo.

A tale riguardo, che cosa si può conseguire e con qualemezzo?

Si dice:

6. Invero, la dimostrazione [della esistenza] delle cose ultra-sensibili [si ha] dalla inferenza basata sulla comune constata-zione, mentre ciò che non è dimostrato nemmeno tramite tale[mezzo] né mediante la percezione direta viene acquisito gra-zie alla [autorevolezza della] Scritura tradizionale.

La prova [della esistenza] “delle cose ultrasensibili”, cioèdelle entità che trascendono i sensi, “[si ha] dalla inferenzabasata sulla comune constatazione”: sia il Pradhåna che il Pu-

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ru\a, ambedue al di là [della portata] dei sensi, vengono pro-vati attraverso una inferenza basata sulla comune constata-zione (såmånyato d®\†a), perché il segno caratteristico, qual èil mahat e il resto, è contraddistinto dai tre attributi princi-piali (guãa) e questo, consistente dei tre guãa, è l’efetto-prodotto di quello che è il Pradhåna. E poiché ciò che nonpossiede consapevolezza (cioè il Pradhåna) appare [come sefosse] dotato di consapevolezza, deve esserci un ente che pre-siede a ciò pur essendo altro e distinto da esso, cioè il Puru\a.

Il manifestato (vyakta) viene provato attraverso la perce-zione diretta (parok\a) “mentre ciò che non è dimostrato nem-meno tramite tale [inferenza] né mediante la percezione di-retta viene acquisito grazie alla [autorevolezza della] Scritturatradizionale” (ågama); per esempio [l’esistenza di] Indra qualesovrano dei deva, [quella concernente] i Kuru a settentrione e[quella concernente] le Apsaras in cielo: orbene ciò viene ac-quisito in quanto conosciuto indirettamente attraverso la voceattendibile [relativa alla Scrittura tradizionale].

Obiezione: A tale riguardo qualcuno dice: ‘né il Pradhånané il Puru\a viene percepito e ciò che non viene percepito nel-la ordinaria esistenza non esiste [afatto]; perciò neanche idue (il Puru\a e la Prak®ti) esistono, come [non venendo per-cepiti] non esistono né una seconda testa né un terzo braccio’.

Risposta: A ciò si replica: in otto casi non si verifca la per-cezione di entità che pure sono esistenti, vale a dire:

7. [La mancata percezione può aversi] a causa di eccessivadistanza o per la [eccessiva] vicinanza, per l’insufcienza deisensi, per la distrazione della mente, a motivo della sotigliezza,a causa di un impedimento, a causa della soppressione e per laconfusione con cose simili.

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Qi è constatata la mancanza della percezione di oggettiesistenti “a causa di eccessiva distanza” (atidura), come [sa-rebbe, ad esempio] nel caso di Caitra, Maitra e Vi≤~umitra,qualora dimorassero in un altro luogo; “per la [eccessiva] vi-cinanza” (.såmıpya), come [avviene] per la mancata perce-zione del medicamento da parte dell’occhio [sul quale vieneversato]; “per l’insufcienza dei sensi” (indriyaghåta), comeda parte di un sordo o un cieco non vi è percezione [rispetti-vamente] del suono e del colore; “per la distrazione dellamente” (mano ’vasthåna), come quegli la cui mente è agitatanon potrebbe aferrare neanche ciò che [gli] venisse dettochiaramente; “a motivo della sottigliezza” (sauk≤mya), comenon vengono percepite le particelle di fumo, del calore, del-l’acqua e della nebbia quando sono disperse in alto nel cielo;“a causa di un impedimento” (vyavadhåna), come non vienepercepito un oggetto quando è celato [alla vista per esempio]da un muro; “a causa della soppressione” (abhibhåva), comequando corpi celesti come gli astri e altri non vengono per-cepiti in quanto eclissati ovvero oscurati dallo splendore delsole; “e per la confusione con cose simili” (samånåbhihåra),come non vengono percepiti [distintamente] un fagiolo get-tato tra [altri] fagioli, un fore di loto o uno di amla gettati inmezzo ad altri fori di loto o di amla, o un piccione in unostormo di piccioni, in quanto [sono tutti oggetti] frammi-schiati con oggetti simili.

Ecco dunque ciò che si comprende: per quale motivo vi èla mancata percezione di questi due, ovvero del Pradhåna edel Puru\a? E attraverso che cosa [invece] si ha la [loro] per-cezione?

8. Per via della sotigliezza si ha la sua (della Prak®ti) non-percezione e non per la [sua] non-esistenza. La sua percezione siha atraverso l’efeto e tale efeto, a cominciare dal mahat,[può essere] sia diforme dalla Prak®ti che conforme.

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“Per via della sottigliezza si ha la sua non-percezione”, va-le a dire [la mancata percezione diretta] del Pradhåna: ilPradhåna non viene percepito a motivo della sua sottigliezza,come le particelle di fumo, calore, acqua e nebbia, pur esisten-do in alto, nello spazio, non vengono percepite [singolarmen-te a motivo della loro natura estremamente sottile].

In che modo, allora, si avrà la sua percezione?“La sua percezione si ha attraverso l’efetto”.Constatando l'efetto (kårya), si inferisce la causa (kåraãa)

[considerando]: ‘questo è l’efetto del quale il Pradhåna è lacausa’. Il suo effetto è costituito proprio dall’intelletto (mahat,buddhi), dal senso dell’io, dalle loro cinque qualità sottili (itanmåtra), dagli undici sensi (v. nota 6) e dai cinque elementigrossolani, “e tale efetto [può essere] sia diforme dalla Pra-k®ti.” – la Prak®ti è il Pradhåna e la diformità (vir¥pa) daquello è una dissimiglianza dalla Prak®ti – “.sia conforme”,laddove la conformità (sar¥pa) consiste in una natura omoge-nea. Ciò è come quando, anche nel piano empirico, [si osservache] il fglio può essere sia come il padre, cioè somigliante, sianon somigliante.

Più avanti esporremo la causa per cui possono aversi lasimiglianza e la dissimiglianza.

Ma qui vi è questo [dubbio]: l’efetto, qual è l’intelletto,ecc., è esistente [già] nella causa, o, piuttosto, è non-esistente[in essa]?

Qesto dubbio scaturisce dalle posizioni discordi dei [vari]maestri.

Poiché qui, nel dar©ana Såµkhya, l’efetto è [considerato]esistente [nella causa], mentre per i buddhisti e gli altri l’ef-fetto è non-esistente [nella causa], vi è una [evidente] con-traddittorietà: se fosse esistente (sat), non può essere non-esi-stente; se fosse non-esistente (asat), allora non può essere esi-stente13.

A tale riguardo [l’Autore] dice:

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9. Per l’assenza di produzione del non-esistente, per la [ne-cessità di] acquisizione della sostanza, per la non-esistenza del-la possibilità di originarsi di tuto, perché la produzione [di unefeto] è possibile [solo] da parte di ciò che possiede la [relati-va] capacità (cause efciente e strumentale) e per la natura[dell’efeto analoga a quella] della causa, [si conclude che]l’efeto è esistente [nella causa].

“Per l’assenza di produzione del non-esistente.” (asada-karaãåt). Il non-esistente non è reale, per cui del non-esisten-te non vi è causa: pertanto l’efetto è [necessariamente] esi-stente [nella causa e prima del suo manifestarsi come tale].Anche qui, nel piano empirico, [si constata] che non vi è pro-duzione (karaãa) del non-esistente, come, ad esempio, la ve-nuta all’essere dell’olio di sesamo da un terreno sabbioso. Per-ciò la produzione è [solo] in relazione all’esistente, per cui ilmanifestato (vyakta) è [già esistente] nel Pradhåna anterior-mente alla [sua] venuta all’esistenza [manifesta].

Ma vi è dell’altro.“.per la [necessità di] acquisizione della sostanza”. La

‘sostanza’ è la ‘causa sostanziale’ (upådåna): dunque, [l’efettoè esistente nella causa] per la [necessità di] acquisizione diquella. Anche qui, nel piano empirico, [si osserva che] quegli,che intende ottenere qualcosa, agisce per acquisire la sostanzadi tale cosa, come colui che vuole produrre la cagliata si mu-nirà di latte e non di acqua. Perciò l’efetto è esistente [nellacausa].

E inoltre “.per la non-esistenza della possibilità di origi-narsi di tutto”. Non vi è possibilità [di originarsi] di qualsiasicosa in qualunque condizione [quale sua causa], come [non viè possibilità di originarsi] dell’oro nell’argento o altro [comepropria causa] o di erba in suolo polveroso.

Perciò, per la non-esistenza della possibilità di originarsidi tutto [in qualsiasi condizione causale], l’efetto deve essere

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esistente [già nella sua causa]. E inoltre, “.perché la pro-duzione [di un efetto] è possibile [solo] da parte di un enteche possiede la [relativa] capacità” (causa strumentale edefciente): ad esempio, qui [nel piano della comune espe-rienza, si constata che] sia il vasaio, il quale è colui che pos-siede la capacità (©akta, ed è quindi la causa efciente], sia,altresì, anche gli attrezzi accessori, quali l’argilla, il bastone, laruota, i cenci, la corda, l’acqua, ecc., i quali [gli] forniscono lacapacità (©akya) stessa (e sono dunque la causa strumentale),fanno venire all’esistenza il vaso dal pezzo di argilla. Perciòl’efetto è esistente [nella causa].

E inoltre, “.per la natura [dell’efetto analoga a quella]della causa, [si conclude che] l’efetto è esistente [nella cau-sa]”. Infatti, quello, che è la caratteristica distintiva (lak≤aãa)in relazione alla causa, è la caratteristica distintiva anche inrelazione all’efetto, come [è dato constatare che] l’orzo [pro-viene] dall’orzo, e il riso dal riso.

Qalora l’efetto fosse non-esistente [nella causa], allora icereali nobili [come il riso e gli altri] potrebbero [provenire]da qualsiasi granaglia. [Poiché tali cereali] non provengono[da ciò], pertanto l’efetto deve essere esistente [già nella cau-sa]. Così, grazie a cinque argomentazioni, [è stato provatoche] ‘il dissolubile’ (li√ga), consistente nell’intelletto e nellealtre [funzioni-tatva], è [già esistente] nel Pradhåna. Perciòla [loro] venuta all’essere si ha da ciò che è un esistente e nonda un non-esistente.

È stato detto che [l’efetto] può essere sia diforme dallaPrak®ti sia conforme [ad essa]. In che modo [sia questo] vieneora enunciato.

10. Il manifestato (vyakta) è causato, non-eterno, non-per-vadente, dotato di atività, molteplice, fondato [in altro da sé],dissolubile [in quanto originato], composito, dipendente da al-tro. L’Immanifesto (avyakta) è l’opposto.

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“Il manifestato”, cioè l’efetto consistente nel mahat e neglialtri [tatva] “è causato” (hetumat). È [detto] ‘causato’ ciò peril quale vi è una causa. La causa (hetu) è la causa sostanziale(upådåna), mentre [termini come] causa generica (kåraãa) ecausa efciente (nimita) sono [in questa disamina pratica-mente] sinonimi [di causa sostanziale]14.

Il Pradhåna è la causa [sostanziale] del manifestato; dun-que l’Immanifesto è la causa [sostanziale di tutto il mani-festato] fno agli elementi [grossolani].

Il principio-tatva che è l’intelletto (mahat o buddhi) ècausato [direttamente] dal Pradhåna, il senso dell’io (ahaµ-kåra) è causato dall’intelletto, le cinque qualità (tanmåtra) egli undici organi sensoriali (cinque di percezione, cinque diazione più la mente quale organo o senso interno) sono cau-sati dal senso dell’io, lo spazio (åkå©a) è causato dalla qualitàdel suono (©abda), l’aria (våyu) è causata dalla qualità delcontatto (spar©a), il fuoco è causato dalla qualità della forma(r¥pa), l’acqua (åpas) è causata dalla qualità del sapore (rasa)e la terra (p®thivı) è causata dalla qualità dell’odore (gandha).In questo modo è causato il manifestato [dal mahat] fno aglielementi [grossolani]15.

Ma vi è dell’altro. [Il manifestato] è “non-eterno” (anitya), perchè viene ad

essere da altro, come il vaso che viene ad essere dal pugno diargilla ed è anch’esso non-eterno (quindi limitato temporal-mente). Inoltre è anche “non-pervadente” (avyåpi), cioè non èonnipresente: laddove sia il Pradhåna che il Puru\a sono onni-presenti (sarvagata), non è così il manifestato (che è quindi li-mitato anche spazialmente).

E ancora, [il manifestato] è “dotato di attività” (sakriya),infatti trasmigra lungo il divenire ciclico e trasmigra avendopreso come supporto (con l’identifcarvisi) il corpo sottile uni-tamente alle tredici facoltà (le cinque di percezione, le cinquedi azione più l’intelletto, il senso dell’io e la mente); per cui [si

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dice che] è dotato di attività16 e, inoltre, è “molteplice” (aneka)in quanto è [ciò che comprende] l’intelletto, il senso dell’io, lecinque qualità (elementi sottili), le undici facoltà sensoriali e icinque elementi grossolani.

Ancora, è “fondato [in altro da sé]” (å©rita), in quanto [o-gni successivo ente che lo costituisce] è fondato nella sua pro-pria rispettiva causa: l’intelletto è fondato [direttamente] nelPradhåna, il senso dell’io è fondato nell’intelletto, le undici fa-coltà sensoriali e le cinque qualità sottili sono fondate nelsenso dell’io e i cinque elementi grossolani sono fondati neicinque elementi sottili [attraverso la quintuplicazione].

Inoltre è “dissolubile” (li√ga) [essendo stato originato], inquanto congiunto con la dissoluzione (layayukta)17: [infatti] altempo della dissoluzione i cinque elementi grossolani si dis-solvono (riassorbono) nelle cinque qualità sottili, queste, in-sieme con gli undici sensi, [si riassorbono] nel senso dell’io,questo [si riassorbe] nell’intelletto e questo, infne, va a dis-solversi nel Pradhåna18.

Allo stesso modo è “composito” (såvayava), dove le partisono: il suono, il contatto, la forma, il sapore e l’odore; [essosussiste soltanto] unitamente a loro.

Infne, è “dipendente da altro” (paratantra), in quanto [o-gni suo successivo ente costitutivo] non sorge ad essere da séstesso: l’intelletto dipende dal Pradhåna, il senso dell’io di-pende dall’intelletto, le qualità e i sensi dipendono dal sensodell’io e i cinque elementi grossolani dipendono dagli elemen-ti sottili.

In questo modo il manifestato è stato spiegato come di-pendente da altro, cioè interamente asservito a un altro ente.

Ora spiegheremo l’Immanifesto. Esso è “l’opposto” (vipa-rıta) [del manifestato]. L’Immanifesto è del tutto opposto aquesti attributi quali sono stati enunciati.

È stato detto che il manifestato è causato: invero, non vi ènulla [analogo a una causa sostanziale] al di là del Pradhåna;

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[così], poiché non vi è una venuta all’essere per il Pradhåna,perciò l’Immanifesto è privo di una causa (ahetumat). Simil-mente, il manifestato è anche non-eterno, ma l’Immanifesto,non dovendo essere prodotto (generato) [da alcun altro ente],è eterno (nitya); infatti non viene all’esistenza da qualche al-tro ente, come [invece avviene per] gli elementi, per cui ilPradhåna è eterno. Inoltre il manifestato è non-pervadente,mentre il Pradhåna è pervadente (vyåpi) a motivo della[sua] natura di onnipresenza [nell’ambito universale]. Il ma-nifestato è dotato di attività, mentre l’Immanifesto è non-agente (akriya) proprio in virtù della [sua] natura di onni-presenza. Similmente il manifestato è molteplice, mentre ilPradhåna è unico (eka) in quanto costituisce la [sua] causa:infatti il Pradhåna è la causa unica dei tre mondi, per cui ilPradhåna [stesso] è unico. Allo stesso modo il manifestato èfondato [in altro da sé], ma l’Immanifesto non è fondato [inaltro da sé] (anå©rita) non avendo natura di efetto: infatti nonesiste alcun ente, al di là del Pradhåna, del quale il Pradhånastesso sia l’efetto. Ugualmente il manifestato è distruttibile,mentre l’Immanifesto è indistruttibile (ali√ga). [Infatti il ma-nifestato, cioè] l’intelletto con gli altri [tatva], è distruttibilein quanto al tempo della dissoluzione [questi efetti] si rias-sorbono completamente l’uno nell’altro, ma non [fa] così ilPradhåna, per cui il Pradhåna è indistruttibile.

Similmente, il manifestato è composito, mentre l’Immani-festo è non-composito (niravayava); infatti nel Pradhåna nonsussistono [entità oggettive distinte come] il suono (©abda), ilcontatto (spar©a), la forma (r¥pa), il sapore (rasa) e l’odore(gandha). Infne il manifestato è dipendente da altro, mentrel’Immanifesto è autoindipendente (svatantra), in quanto sus-siste di per sé19. In questi termini è stata esposta la diferenzasostanziale tra il manifestato e l’Immanifesto. Ora si procedead esporre la [loro] sostanziale afnità.

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La natura propria [del manifestato, dell’Immanifesto e delconoscitore] viene [così] asserita:

11. Il manifestato è essenziato dei tre princìpi qualitativi(guãa), è privo di discriminazione, oggetivo, identico per tuti,privo di consapevolezza, produtivo. Così è [anche] il Pradhåna.Il Puru\a è sia opposto ad esso, sia afne.

“Il manifestato è essenziato dei tre princìpi qualitativi”(triguãa) e i suoi tre princìpi qualitativi (guãa) sono il satva,il rajas e il tamas.

Il manifestato è “privo di discriminazione” (avivekin); alsuo riguardo non vi è discriminazione, cioè non può operarsiuna discriminazione nei termini: ‘questo è il manifestato, que-sti sono i princìpi qualitativi’, come [quando si dice]: ‘questo èun bue, questo è un cavallo’. Qelli che sono i princìpi quali-tativi sono il manifestato, e quello che è il manifestato è i prin-cìpi qualitativi20.

Similmente, il manifestato è “oggettivo” (vi\aya), vale adire che è esperibile [come oggetto], in quanto costituisce og-getto [di esperienza] per tutti i puru\a21.

Allo stesso modo, il manifestato è “identico per tutti” (så-månya), in quanto è uguale per tutti come lo è una prostituta.

Il manifestato è “privo di consapevolezza” (acetana), vale adire che non ha consapevolezza di piacere, dolore e di stati diofuscamento mentale.

Similmente, il manifestato è “produttivo” (prasavadharmi),in quanto il senso dell’io è prodotto dall’intelletto, da quellosono prodotte le cinque qualità sottili e le undici facoltà sen-soriali e dalle qualità sottili [da cui i cinque elementi sottili,provengono] i cinque elementi grossolani.

Così, fnendo con la natura produttiva, sono state espostequeste proprietà consustanziali al manifestato.

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Dunque l’Immanifesto è [da un lato anche] conforme adesse: come è il manifestato, così è il Pradhåna. Al riguardo, ilmanifestato è essenziato dei tre attributi principiali, e l’Imma-nifesto, l’efetto del quale è appunto l’intelletto, ecc., è an-ch’esso essenziato dei tre attributi principiali. Qi, ciò di cui èessenziata la causa, di quello è essenziato l’efetto, come untessuto fatto di fbre nere è anch’esso nero.

Così, [poiché] il manifestato è privo di discriminazione,anche l’Immanifesto non si distingue dai guãa. Non si puòprocedere a discriminare così: ‘altro sono i guãa e altro è ilPradhåna’, pertanto [si deve concludere che anche] il Pradhå-na è privo di discriminazione.

Ugualmente, [se] è oggettivo il manifestato, anche il Pra-dhåna è oggettivo, dato che costituisce oggetto [di esperienza,ecc.] per tutti i puru\a. Allo stesso modo, [se] il manifestato èidentico per tutti, [lo è] anche il Pradhåna, essendo uguale pertutti. Così, [se] il manifestato è privo di consapevolezza, an-che il Pradhåna non è consapevole del piacere, del dolore edegli stati di ofuscamento mentale.

In che modo si inferisce [ciò]?Invero, come da un pugno di argilla privo di consapevo-

lezza viene prodotto un vaso parimenti privo di consapevo-lezza, così è stato spiegato anche il Pradhåna (quale causaconforme al manifestato quale efetto).

Adesso si spiega questo, cioè [in che modo] “Il Puru\a èsia opposto a ciò, sia afne”.

Il Puman (puµs, cioè il puru\a) [da un certo punto di vista]è opposto (viparıta) in rapporto a entrambi, sia al manifestatoche all’Immanifesto (il Pradhåna), vale a dire: laddove sia ilmanifestato che l’Immanifesto sono essenziati dei tre guãa, ilPuru\a è privo di attributi principiali (aguãa); laddove sia ilmanifestato che l’Immanifesto sono privi di discriminazione,il Puru\a è discriminante (vivekı); similmente, laddove tanto ilmanifestato quanto l’Immanifesto hanno natura oggettiva, il

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Puru\a non ha natura oggettiva (avi\aya)22; e allo stesso mo-do, laddove sia il manifestato che l’Immanifesto sono identiciper tutti, il Puru\a non è identico per tutti (asåmånya)23; eancora, laddove sia il manifestato che l’Immanifesto sonoprivi di consapevolezza, il Puru\a è consapevole (cetana):[Esso] è consapevole del piacere, del dolore e degli stati di of-fuscamento mentale, cioè li conosce perfettamente [come og-getto], per cui il Puru\a è consapevole. Inoltre, laddove sia ilmanifestato che l’Immanifesto sono produttivi, il Puru\a è im-produttivo (aprasavadharmı): infatti dal Puru\a nulla vieneprodotto. Per questo il Puman viene detto opposto a loro (almanifestato e all’Immanifesto).

Nella precedente strofa è stato spiegato che il Pradhåna èprivo di causa, e ugualmente è il Puman; mentre il manifesta-to è causato e impermanente, ecc., l’Immanifesto gli è oppo-sto (essendo incausato e permanente). Dunque il manifestatoè causato, mentre il Pradhåna è incausato: e, allo stesso modo,il Puman è [anch’esso] incausato, non essendo originato [daalcunché di distinto].

Il manifestato è impermanente (non-eterno), mentre ilPradhåna è eterno: ugualmente, anche il Puman è eterno24.

Il manifestato è non-pervadente mentre il Pradhåna è per-vadente, ugualmente, anche il Puman è pervadente, essendoonnipresente. Il manifestato è dotato di attività mentre ilPradhåna è non-agente, ugualmente anche il Puman è non-agente, ancora in virtù della [sua] natura di onnipresenza. Ilmanifestato è molteplice mentre l’Immanifesto è unico, u-gualmente anche il Puman è unico. Il manifestato è fondato[in altro da sé] mentre l’Immanifesto non è fondato [in altroda sé], ugualmente anche il Puman non è fondato [in altro dasé]. Il manifestato è distruttibile mentre il Pradhåna è indi-struttibile, ugualmente anche il Puman è indistruttibile, dalmomento che non si riassorbe in alcunché. Il manifestato ècomposito mentre l’Immanifesto è privo di parti, ugualmente

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anche il Puman è privo di parti, infati nel Puru\a non esisto­no parti come il suono e le altre [qualità sotili, ecc.]. E inol­tre, il manifestato è dipendente da altro mentre l’Immanifesto è autoindipendente, ugualmente anche il Puman è autoindi­pendente, vale a dire che sussiste di per sé soltanto.

Così è stata spiegata la natura di sostanziale afnità del­l’Immanifesto e del Puru\a [annunciata] nella strofa prece­dente25; invece, nella strofa che comincia con: “Il manifestato è essenziato dei tre atributi principiali, è privo di discrimina­zione.”, ecc., viene spiegata sia la sostanziale afnità di natu­ra del manifestato rispeto al Pradhåna, sia la [sua] sostanzia­le difformità di natura rispeto al Puru\a.

Colà è stato deto che sia il manifestato che l’Immanifesto sono essenziati dei tre guãa. Al riguardo, quali sono tali guãa?

Onde mostrarne la natura propria, [il testo] dice questo:

12. I princìpi qualitativi (guãa) sono essenziati [rispetiva­mente] di piacere, dolore e ofuscamento e svolgono [rispetiva­mente] la funzione di illuminare, sospingere all’atività e limi­tare. [Essi si presentano come] reciprocamente soverchiantisi, fondantisi, generantisi, accoppiantisi ed agenti.

“I princìpi qualitativi”, vale a dire il [guãa] satva, il rajas e il tamas, “sono” l’uno essenziato “di piacere”, l’altro essenzia­to “di dolore” e l’altro ancora essenziato “di offuscamento”.

Tra loro il [guãa] satva è essenziato di gioia (prıti); la gioia è la serenità (sukha) e di quella è essenziato. Il [guãa] rajas è essenziato di dolore (aprıti), e il dolore è la sofferenza (du¢kha). Il [guãa] tamas è essenziato di offuscamento (vi≤å­da) e l’offuscamento consiste nella confusione mentale (mo­ha).

In maniera simile, “.svolgono [rispetivamente] la fun­zione di illuminare, sospingere all’atività e limitare”.

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Il termine, che è [reso con] ‘svolgere una funzione’ (a-rtha), è espressivo di una intrinseca capacità (såmarthya), percui [dire che] ‘il satva svolge la funzione di illuminare’ signi-fca che possiede la capacità di illuminare26; il rajas svolge lafunzione [cioè possiede la capacità] di sospingere all’attività;il tamas svolge la funzione di limitare, vale a dire che ha la ca-pacità di mantenere [qualcosa] in una condizione di stasi. Co-sì i guãa hanno [rispettivamente] le prerogative di [determi-nare] serena quiete, attività e inerzia.

Allo stesso modo, “[Essi si presentano come] reciproca-mente soverchiantisi, fondantisi, generantisi, accoppiantisi edagenti”, ossia essi sono defniti in quanto: reciprocamente sisoverchiano, reciprocamente si fondano, reciprocamente sigenerano, reciprocamente si accoppiano e reciprocamente a-giscono. [L’espressione] “reciprocamente soverchiantisi” (a-nyo ’nyabhibhavå¢) signifca che si soverchiano l’un l’altro,ossia che [nel corso del tempo, ecc.] si manifestano nelle [lororispettive] nature di gioia, dolore, ecc. [prevalendo ora l’unaora l’altra]. Così, quando risulta prevalente il satva, allora,avendo soverchiato il rajas e il tamas, esso si manifesta attra-verso le proprie qualità in quanto di per sé essenziato dellosplendore della gioia; quando [prevale] il rajas, allora [essen-do soverchiati] il satva e il tamas, [esso si manifesta] nellapropria natura di attività caratterizzata dalla soferenza-agita-zione; quando [è prevalente] il tamas, allora [essendo sover-chiati] il satva e il rajas, [quello si manifesta] attraverso lapropria natura di oscurità-apatia.

Poi i guãa si fondano l’uno sull’altro come due atomi [chesi combinino], si generano l’un l’altro come un pezzo di argil-la genera un vaso [e viceversa]27 e si accoppiano l’uno conl’altro: come un uomo e una donna si accoppiano vicendevol-mente, così [fanno] i guãa. È stato detto: «Il satva [crea] ac-coppiamento con il rajas, il rajas [crea] accoppiamento con ilsatva e il tamas viene detto accoppiarsi con entrambi, il sa-

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tva e il rajas» (Devıbhågavata: 3.8), vale a dire che [i guãa] sicombinano l’uno con l’altro, per cui sono anche “reciproca-mente agenti”, cioè agiscono l’uno sull’altro, come [si appren-de] dall’afermazione: «..sono i guãa che agiscono sui guãa»(Bha. Gı. 3.28).

Come una donna di bell’aspetto e disponibile è sia fonte dipiacere per tutti che, sempre lei, è causa di soferenza per lemogli ed è ancora lei che ingenera annebbiamento in coloroche ne sono innamorati, così il satva è causa dell’attività delrajas e del tamas. Come un re che sia costantemente impe-gnato nel salvaguardare il popolo e nel combattere i disonestifa sorgere la gratitudine nei buoni e l’inquietudine nei malva-gi, così il rajas induce l’attività sia del satva che del tamas.Come le nuvole, coprendo il cielo, arrecano ristoro al mondo,quelle [stesse], facendo piovere, sollecitano il lavoro dei con-tadini e l’angustia negli amanti separati, così i guãa svolgonoazioni reciproche [e contemporaneamente opposte].

Vi è dell’altro.

13. Si vuole che il satva sia leggero e luminoso, il rajas sti-molante e mobile e il tamas stesso pesante e oscurante; inoltrela [loro] funzione si svolge con uno scopo, al pari [di quella] diuna lampada.

“(Si vuole che) il satva sia leggero e luminoso”: quando ilsatva è prevalente, allora le membra diventano leggere, l’in-telletto diviene luminoso e si ha la chiarezza dei sensi.

“.il rajas stimolante e mobile”. È ‘stimolante’ (upa≤†a-mbhaka) in quanto stimola, incita all’agire: come un toro, allavista di un [altro] toro, diviene eccitato e stimolato ad agire,così agisce la funzione del rajas. E, similmente, il rajas è con-siderato anche mobile, per cui si diviene di animo instabile emutevole quando vi è la funzione del rajas [a prevalere].

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“.il tamas stesso pesante e oscurante”. Qando il tamasdiviene prevalente, allora le membra diventano pesanti e isensi velati e incapaci [di avere chiara percezione] degli og-getti [rispettivi].

Obiezione: A tale riguardo si chiede: se i guãa si contrad-dicono reciprocamente, allora quale fnalità potranno rag-giungere e in che modo?

Risposta: [A ciò si risponde:] “.inoltre la [loro] funzione sisvolge con uno scopo, al pari [di quella] di una lampada”.[L’espressione] ‘al pari [di quella] di una lampada’ (pradıpa-vat) signifca: in modo simile a una lampada. Si vuole, dun-que, che la [loro] funzione (v®ti) si svolga in quanto deter-minata da uno scopo (artha). Come una lampada rende visi-bili gli oggetti grazie alla combinazione di [fattori come] olio,fuoco e stoppino, che sono afatto distinti l’uno dall’altro, cosìil satva, il rajas e il tamas, che pure si contraddicono recipro-camente, assolvono uno scopo [unico].

Obiezione: Qi si presenta un’altra domanda. Il manifesta-to, e quindi anche il Pradhåna, è stato spiegato nei termini:«.essenziato dei tre attributi principiali, è privo di discrimi-nazione, oggettivo.», ecc. (Såµ. Kå. 11). A tale riguardo, inche modo si può comprendere che il Pradhåna, e dunque an-che [il manifestato, cioè] l’intelletto, ecc., è percepibile inquanto “essenziato dei tre guãa, privo di discriminazione,ecc.”?

Risposta: A ciò si replica:

14. [Il manifestato] viene realizzato in quanto privo di di-scriminazione, ecc. per la sua natura essenziata dei tre guãa.Anche l’Immanifesto (il Pradhåna) viene realizzato [così] per-

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ché l’efeto [che costituisce] è consustanziale alla causa, per viadella inesistenza del suo contrario.

Qesta natura [del manifestato], in relazione al mahat eagli altri [tatva], è [realizzata in quanto] priva di discrimi-nazione, ecc. a causa della sua natura essenziata dei tre guãa;ma questa [natura] non viene realizzata in relazione all’Im-manifesto (il Pradhåna) e, in merito a ciò, si dice: “.per viadella inesistenza del suo contrario” (tadviparyayåbhåvåt). Lainesistenza del contrario è la non-esistenza (abhåva) di ciòche è contrario (viparyaya) a quello: l’Immanifesto viene di-mostrato appunto attraverso tale [constatazione].

Ciò è proprio come il caso in cui dove vi sono fbre vi è untessuto, mentre non si ha che altro sono le fbre e altro è iltessuto.

Perché?“.per via della inesistenza del contrario”. È in questo mo-

do che l’Immanifesto diviene [per così dire] manifestato. [Co-sì, seppure] il Pradhåna è remoto e il manifestato immediata-mente presente (in quanto direttamente percepibile negli ef-fetti), quegli stesso, che vede il manifestato, vede [indiretta-mente] anche il Pradhåna “.per via della inesistenza del suocontrario”. E così viene dimostrato [anche] il Pradhåna, per-ché l’efetto è [sempre] essenziato delle qualità della causa.[Anche] nella comune esperienza si constata che, come è con-sustanziata la causa, così è consustanziato l’efetto, comequando un tessuto nero [può provenire] solo da fbre nere.

Ugualmente, il distruttibile [cioè il manifestato] è privo didiscriminazione, oggettivo, identico per tutti, privo di consa-pevolezza, produttivo e, come è consustanziato il distruttibile(il manifestato), così è dimostrato che deve essere consustan-ziato anche l’Immanifesto (il Pradhåna).

[Con ciò] è stabilito che la non-discriminazione e le altre[caratteristiche sussistono] nel manifestato a causa della [sua]

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natura essenziata dei tre guãa; ugualmente l’Immanifesto èdimostrato in virtù della inesistenza di ciò che è contrario aquello, perché l’effetto è [sempre] consustanziato delle qualitàdella causa.

Obiezione: [A ciò qualcuno replica:] Qesto è falso. Nellacomune esperienza [si aferma che] non esiste ciò che nonviene percepito [direttamente].

Risposta: [Qesto] non si dovrebbe dire, dal momento chenon si ha percezione dell’odore di una pietra sebbene questaesista. Allo stesso modo anche il Pradhåna ha esistenza perquanto non venga percepito.

15. [Si deve concludere che: il Pradhåna esiste come causa]in virtù della limitatezza delle distinzioni [degli enti], per laconcordanza [di cause ed efeti] e per la efetiva atività deter-minata dalla capacità, [poi] per la separazione dell’efeto dallacausa e per la non-separazione in rapporto alla onniformità.

[Si deve concludere che] «Il Pradhåna – questo è il sog-getto della frase che si deve connettere [dal verso seguente] –esiste come causa.» (Såµ. Kå. 16) “in virtù della limitatezzadelle distinzioni [degli enti]”. Nel piano empirico dove c’è unsoggetto agente, là è constatata la sua limitatezza (parimåãa),come un vasaio, con pezzi di argilla di piccole dimensioni,modella vasi anch’essi di piccole dimensioni. E così è anche ilmahat (l’intelletto): il mahat con gli altri [tatva], che è di-struttibile, nelle sue distinzioni [in senso dell’io, ecc.] è l’efet-to limitato del Pradhåna; l’intelletto, il senso dell’io, le cinquequalità (gli elementi sottili), gli undici sensi e i cinque ele-menti grossolani: così, in virtù della limitatezza delle distin-zioni, il Pradhåna [che è illimitato] esiste in quanto è la causache produce il manifestato, il quale è limitato. Se non vi fosse

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il Pradhåna, allora questo [mondo percepibile], che è il mani-festato, sarebbe anch’esso illimitato mentre, dalla [constata-zione della] limitatezza delle distinzioni, [si desume che] ilPradhåna, dal quale il manifestato è sorto ad essere, esiste.

Similmente [il Pradhåna viene desunto] “per la concor-danza [di cause ed efetti]” (samanvaya). Qi, nel piano empi-rico, si constata l’ordinaria esperienza secondo cui, vedendoun giovane osservare i voti, sorge subito [il pensiero]: ‘i suoigenitori sono bråhmaãa’. Così, vedendo questo distruttibile,consistente nell’intelletto e negli altri [princìpi], essenziatodei tre guãa, concepiamo che deve necessariamente esistereuna causa per ciò. Dunque, che il Pradhåna esiste, [lo si desu-me anche] per la concordanza [di cause ed efetti].

In maniera simile, [l’esistenza del Pradhåna si evince an-che] “.per la efettiva attività determinata dalla capacità” (©a-ktita¢ prav®te¢). Qi [nel piano empirico si constata che] siimpegnerà proprio in quella cosa colui che possiede capacitàin essa, come un vasaio, dotato della capacità di modellare unvaso, fa giusto un vaso e non già un tessuto o un carro.

Così il Pradhåna deve essere la causa.Perché?“.per la separazione dell’efetto dalla causa” (kåraãakå-

ryavibhågåt). La causa (kåraãa) è ciò che produce (karoti)[qualcosa], l’efetto (kårya) è ciò che viene prodotto (kriyate).Dunque vi è una separazione (vibhåga) della causa e dell’ef-fetto. Mentre il vaso [che è l’efetto] è atto a contenere liquidicome il latte, il miele, l’acqua, non è così per il pezzo di argilla[che ne è la causa materiale].

Oppure: mentre il pezzo di argilla può produrre il vaso,non è così per il vaso [che non può produrre] il pezzo diargilla. Così, osservando il distruttibile, dunque l’intellettocon gli altri [princìpi], si inferisce: ‘deve esistere, separata [daciò], la sua causa, dalla cui separazione [è venuto ad essere]questo manifestato’.

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Infne [il Pradhåna viene desunto] anche “per la non-separazione in rapporto alla onniformità”.

La totalità (vi©va) è l’universo (jagat), la sua forma (r¥pa) èla manifestazione. La natura la cui forma è la totalità è la on-niformità (vai©var¥pya). Dalla non-separazione (avibhåga) datale [natura di onniformità, si desume che] deve esistere ilPradhåna, dal quale non vi è una separazione progressiva deicinque elementi grossolani del triplice mondo quali la terra egli altri, per i cui i tre mondi sono comunque contenuti [po-tenzialmente e sostanzialmente] negli elementi grossolani.

[Infatti] al tempo della dissoluzione universale questi cin-que elementi grossolani – la terra, l’acqua, il fuoco, l’aria e lospazio – procedono, nell’ordine [inverso a quello] della mani-festazione (s®≤†i), nelle loro matrici [che sono i cinque elemen-ti sottili] trasformantisi; gli elementi sottili e gli undici sensi[si riassorbono] nel senso dell’io, il senso dell’io nell’intellettoe l’intelletto nel Pradhåna.

Allo stesso modo i tre mondi, al tempo della dissoluzioneuniversale, vanno a riassorbirsi nella Prak®ti [venendo a tro-varsi in rapporto ad essa] in assenza di separazione. Da taleassenza di separazione, come per il latte e il burro, del mani-festato e dell’Immanifesto, [si deduce] che vi è l’Immanifestocome causa [del manifestato].

E di conseguenza.

16. Il Pradhåna esiste come causa in quanto si sviluppaatraverso i tre atributi principiali nella [loro] combinazionegrazie alla trasformazione [dei guãa] in virtù della specifcaqualifcazione inerente singolarmente a ciascun atributo prin-cipiale, al pari dell’acqua.

“Il Pradhåna”, [che è appena stato] chiaramente spiegato,“esiste come causa in quanto si sviluppa” come il distruttibile,consistente nell’intelletto e negli altri [princìpi], “attraverso i

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tre attributi principiali”, cioè con l’essere essenziato dei treguãa – è ‘essenziato dei tre guãa’ (triguãa) quello nel qualeesistono i guãa satva, rajas e tamas – e, dunque, “nella [loro]combinazione” (samudaya); come i tre fussi del Gange chenascono dalla [regione chiamata] Testa di Rudra generano uncorso d’acqua unico, così l’Immanifesto-Pradhåna, [pur essen-do] essenziato dei tre guãa, genera il manifestato che è unita-rio; ovvero, come [diverse] fbre intessute insieme generanouna [unica] stofa, così l’Immanifesto, attraverso la combina-zione dei guãa, genera [il manifestato, che è in sé unitario,pur comprendendo una molteplicità composita con] l’intel-letto e gli altri [princìpi]. Così, attraverso i guãa, e nella lorocombinazione, [il Pradhåna] si sviluppa come il manifestato.

Obiezione: Poiché il manifestato [proviene] dal Pradhåna,il quale è unico, pertanto deve venire ad essere [anch’esso] inuna natura unica [e non composita, ma ciò non è osservato].

Risposta: Qesto non è un difetto, [perché il Pradhåna ori-gina il manifestato tramite i guãa] “grazie alla [loro] trasfor-mazione in virtù della specifca qualifcazione inerente singo-larmente a ciascun attributo principiale, al pari dell’acqua”.

[Per esempio] i tre mondi, sorti ad essere dal Pradhånaunico, non si presentano secondo una natura identica: i devasi identifcano con la felicità, gli esseri umani con la soferen-za e gli animali con l’ottenebrazione mentale. Il manifestato siè sviluppato dal Pradhåna unico [attraverso i guãa] “grazie al-la trasformazione [dei guãa] in virtù delle specifche qualif-cazioni inerenti singolarmente a ciascun attributo principiale,al pari dell’acqua”. [Infatti l’espressione] “.singolarmente aciascun.” (pratiprati) signifca ‘secondo le rispettive [qualitàdi ogni guãa]’; [la specifcazione] “.inerente (singolarmentea ciascun) attributo principiale” [sta a indicare] che è intrin-secamente propria di ciascun guãa, e tale è la specifca quali-

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fcazione (vi©e≤a). Dunque il manifestato si sviluppa [dal-l’Immanifesto-Pradhåna] grazie alla trasformazione [dei gu-ãa] in virtù delle specifche qualifcazioni inerenti singolar-mente a ciascun attributo principiale manifestando con ordi-ne [di volta in volta e successivamente] la specifca qualifca-zione propria di ogni guãa

28.Come l’acqua caduta dal cielo ha un unico sapore ma, a

causa del contatto con molteplici cose, si diferenzia secondo iloro propri rispettivi sapori, così i tre mondi sviluppatisi dal-l’unico Pradhåna non si presentano di una natura unica: tra ideva è prevalente il satva, mentre il rajas e il tamas sonoinattivi, per cui essi (i deva) sperimentano una beatitudine su-periore; negli esseri umani è prevalente il rajas, mentre ilsatva e il tamas sono inattivi, per cui essi sono oltremodosoggetti alla soferenza; tra gli animali è prevalente il tamas,mentre il satva e il rajas sono inattivi, per cui essi sono al-quanto ottenebrati.

Così, con questi due versi, si comprende la natura di esi-stenza del Pradhåna. Qindi [il testo], allo scopo di dimostra-re la reale esistenza del Puru\a, dice in seguito:

17. Per il motivo che un ente composito esiste in funzione diun altro [ente], per via della [necessità di una] natura oppostaai tre princìpi qualitativi, ecc., per via della [necessaria] fun-zione di un ente che presiede [alle atività dell’aggregato], perla [necessità della] funzione di fruitore e per l’atività fnaliz-zata alla [realizzazione della] assolutezza, [si conclude che] vi èil Puru\a.

È stato detto che la liberazione si consegue grazie a unaconoscenza che discrimina il manifestato, l’Immanifesto e ilconoscitore. A tale riguardo, subito dopo [la trattazione con-cernente] il manifestato, l’Immanifesto è stato compreso gra-zie a cinque ragioni. Anche il Puru\a è sottile, al pari dell’Im-

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manifesto, mentre adesso si procede a trattare la [dimostra-zione della] sua (del Puru\a) natura di esistenza reale (astitva),la quale viene [solo] inferita.

[A tal uopo si aferma:] “.vi è il Puru\a”.Perché?“Per il motivo che un ente composito esiste in funzione di

un altro [ente]”. Si inferisce questo, ossia che l’aggregato co-stituito dall’intelletto e dagli altri [tatva], è in funzione delPuru\a perché esso è privo di consapevolezza (acetana) comelo è un giaciglio. Ad esempio, un giaciglio è un ente com-posito costituito singolarmente da un tappeto foreale, unosgabello per i piedi, una coperta e un cuscino ed esiste in unfunzione di un altro [ente] e non già di per sé: infatti le partidel giaciglio non posseggono [singolarmente] alcuna fnalitàfunzionale reciproca. Qindi si desume che vi è un uomo ilquale dorme su tale giaciglio e in funzione del quale il gia-ciglio stesso [nella sua integralità composita] sussiste. Così[anche] questo corpo è un ente composto dai cinque elementigrossolani che esiste in funzione di altro.

Dunque vi è il Puru\a per il quale questo corpo, che èl’oggetto di fruizione (bhogya) la cui natura è di aggregato co-stituito da enti fruibili quali l’intelletto e gli altri [tatva], èsorto ad essere.

Inoltre l’åtman deve esistere “per via della [necessità diuna] natura opposta ai tre princìpi qualitativi, ecc.”.

In una strofa precedente è stato detto che «(Il manifestato)è essenziato dei tre princìpi qualitativi, è privo di discrimi-nazione, oggettivo.», ecc. (Såµ. Kå. 11).

[Dunque il Puru\a deve esistere] per via [della necessità]di una natura opposta a quella; per questo è stato detto [an-che]: “L’essere cosciente (il Puru\a) è sia opposto ad esso, siaafne” (ib.).

“.per via della [necessaria] funzione di un ente che pre-siede [alle attività dell’aggregato].” (adhi\†håt®).

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Come un carro trainato da cavalli in grado di saltare, ga-loppare e correre svolge la [sua] funzione [solo] quando è go-vernato da un cocchiere, così il corpo [svolge le sue funzionisolo] grazie alla funzione di un ente che presiede (adhi\†hå-na). E, in tal senso, nello ≥a≤†itantra viene detto: «Il Pradhånaè attivo in quanto il Puru\a vi sovrintende».

Ancora per un motivo l’åtman deve esistere, cioè “.per la[necessità della] funzione di fruitore” (bhokt®) [quale si dedu-ce], per esempio, per un alimento, che diviene gustoso allor-quando è insaporito con uno dei sei gusti come il dolce, l’acre,il salato, il piccante, l’amaro e l’aspro; così, poiché il distrut-tibile, consistente nell’intelletto e negli altri [tatva], non hanatura di fruitore, deve esserci [come fruitore] un åtman peril quale questo corpo rappresenta l’oggetto di fruizione.

E, quindi, “.e per l’attività fnalizzata alla [realizzazionedella] assolutezza”. L’assolutezza (kaivalya, dunque la libera-zione) è la natura dell’Assoluto (kevala) e l’attività [di ognu-no] è motivata da tale [obiettivo], per cui da tale attività, es-sendo fnalizzata alla propria liberazione, si desume immedia-tamente che deve esserci un åtman, in quanto chiunque, chesia saggio o non saggio, intende porre fne al divenire esisten-ziale trasmigratorio. Così, da [tutte] queste ragioni [si con-clude che] deve esserci un åtman afatto distinto dal corpo.

Ordunque [ci si potrebbe chiedere]: vi è un solo ente apresiedere la totalità dei corpi fungendo da åtman in guisa delflo che sostiene le perle di una collana, o, piuttosto, vi sonomolti åtman che dirigono singolarmente i rispettivi corpi?

A ciò si replica:

18. Dal fato che nascita, morte e organi sono singolarmenteregolati [per ogni individuo] e dalla [constatazione della] ativi-tà non simultanea, è stabilito che vi è una molteplicità di pu-ru\a (jıva) e [ciò si desume] anche dalla stessa diversità insitanella terna dei princìpi qualitativi.

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Sia la nascita (janma), che la morte (maraãa) e anche gliorgani (karaãa) [formano l’insieme di] “.nascita, morte e or-gani”. “Dal fatto che” essi “sono singolarmente regolati [perogni individuo]” (pratiniyama), vale a dire: poiché sono sin-golarmente regolati per ciascuno separatamente (pratyeka).

Infatti, se l’åtman [individuato, dunque il jıva-puru\a] fos-se uno soltanto, ne consegue che, alla nascita di uno, tutti do-vrebbero parimenti nascere, alla morte di uno, anche tutti [glialtri] dovrebbero morire e, quand’anche per uno [solo] vi fos-se un’afezione degli organi consistente per esempio nell’es-ser sordo, nel diventar cieco, nel perdere la parola, nel perde-re un arto o nello zoppicare, anche tutti [gli altri] dovrebberodivenire sordi, ciechi, muti, mutilati e zoppi. Ma così non av-viene, per cui, “Dal fatto che nascita, morte e organi sono sin-golarmente regolati [per ogni individuo]”, viene provata lanatura di molteplicità dei puru\a (jıva)29.

Poi [ciò viene provato] anche “dalla [constatazione della]attività non simultanea” (ayugapatprav®te¢). [Una cosa, in re-lazione alla sua percezione da parte di una molteplicità disoggetti percipienti] è simultanea quando [avviene] in un me-desimo tempo, non è simultanea quando il [suo] verifcarsinon avviene simultaneamente [per tutti]. Poiché non si con-stata l’impegno simultaneo [di tutti] per esempio negli atti diculto, ecc., ma alcuni sono impegnati negli atti di culto, altrisono intenti al vizio, altri [sono impegnati] nel distacco e altriancora nella conoscenza, perciò, anche dalla [constatazionedella loro diversifcata] attività non simultanea, è provato che[i puru\a-jıva] sono molteplici.

E inoltre [ciò viene stabilito] “anche dalla stessa diversitàinsita nella terna dei princìpi qualitativi” (traigu~yaviparya-yåccaiva). La molteplicità dei puru\a è provata anche dalladiversità di natura dei tre guãa. Per esempio, nella comuneesperienza, a seconda della nascita, quegli che ha natura sat-tvica sarà felice, un altro, di natura rajasica, sarà infelice e un

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altro ancora, di natura tamasica, sarà otenebrato. Così la molteplicità [dei puru\a-jıva] è provata [anche] dalla diversità insita nella terna dei guãa.

[Ora il testo] afferma che il Puru\a è non-agente (akart®).

19. E da tale sostanziale diferenza [dal manifestato e dal­l’Immanifesto], è stabilito che al Puru\a compete la natura di testimone, l’assolutezza, l’indiferenza, la natura di veggente e la natura non-agente.

[Affermando che] il Puru\a è privo di atributi, è discrimi­nante, è il fruitore, ecc. si è asserita la totale distinzione del Puru\a e dei guãa; pertanto del Puru\a [stesso] risulta stabilita la natura di testimone (såk\itva) nei confronti del sattva, del rajas e del tamas che costituiscono gli agenti in quanto esso è posto a capo in rapporto alla molteplicità [dei guãa, ecc.]. Sol­tanto i guãa si impegnano nell’atività come agenti, mentre il testimone né dà inizio all’azione né pone fine all’agire30.

E inoltre [solo al Puru\a compete] “l’assolutezza” (kaiva­lya), cioè la natura di un ente assoluto, vale a dire distinto (a­nya); per cui ‘assoluto’ (kevala) [significa in effeti] ‘distinto dai tre guãa’31.

La “neutralità” (mådhyasthya, let. ‘lo stare nel mezzo’) è una natura di impassibilità. Il Puru\a è impassibile al pari di un monaco itinerante (parivråjaka). Come un monaco itine­rante, per quanto si trovi tra gli abitanti di un villaggio impe­gnati per esempio nell’atività agricola, resta isolato, indiffe­rente, [così] anche il Puru\a, benché si trovi tra questi guãa allorché svolgono le loro azioni, non produce alcuna atività. Perciò [al Puru\a appartengono anche] “...la natura di veggen­te e la natura non-agente”. Poiché è indifferente, pertanto il Puru\a è il veggente (dra\†®) e, per lo stesso motivo, anche non-agente (akart®) in rapporto alle loro atività. I tre guãa, cioè il sattva, il rajas e il tamas, producono atività atraverso la loro

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natura di agenti dell’azione, ma non il Puru\a. E così è statastabilita la natura del Puru\a32.

Obiezione: Dal momento che il Puru\a è non-agente, in chemodo può pervenire a una determinazione quale: ‘compiròciò che è giusto, non compirò ciò che non è giusto’? Da ciò[ossia considerando in tal modo, ne consegue che il Puru\a]diverrebbe agente, mentre [si è detto che] il Puru\a è non-agente. Così in entrambi i casi si avrebbe un difetto.

Risposta: In merito a ciò si dice:

20. Il distrutibile, che è privo di consapevolezza, in virtù ditale contato con quello (con il Puru\a), [diviene] come se fosseconsapevole e, allo stesso modo, [il Puru\a per quanto] indife-rente, diviene come se fosse agente allorquando si ha la fun-zione agente dei guãa.

Al riguardo, il Puru\a è di per sé dotato di consapevolezza(cetanavat) e “Il distruttibile”, consistente nell’intelletto e ne-gli altri [tatva], congiunto con tale splendore di consapevo-lezza, diviene “come se fosse consapevole”. Come nel pianoempirico un vaso [diviene] freddo a contatto del freddo e cal-do a contatto del calore, così “Il distruttibile”, consistente nel-l’intelletto e negli altri [tatva], “.in virtù del contatto conquello”, cioè grazie al contatto con il Puru\a, diviene “come sefosse consapevole”. Perciò sono i guãa che pervengono alladeterminazione e non il Puru\a33.

Seppure nella comune esperienza si è soliti considerareche il Puru\a agisce, cammina, ecc., tuttavia il Puru\a stessoresta afatto non-agente.

Come mai [avviene questo]?Perché “.diviene come se fosse agente allorquando si ha

la funzione agente dei guãa”. Allorquando si verifca la fun-zione agente dei guãa, il Puru\a diviene come se fosse agente,

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e non già [realmente] agente. A tale proposito vi è un esem-pio: come si considera che quegli che, pur non essendo un la-dro, viene preso per ladro allorché va accompagnandosi condei ladri, così, mentre gli agenti sono i tre guãa, il Puru\a, seb-bene sia non-agente, quando è congiunto con loro diviene[come se fosse] agente, in virtù del contatto con ciò che èagente34.

Così è stata chiaramente spiegata la totale distinzione dimanifestato, Immanifesto e conoscitore, totale distinzionegrazie alla [comprensione della] quale si ha il conseguimentodella liberazione.

Ordunque, qual è la causa dell’associazione del Puru\a conil Pradhåna?

Si dice:

21. Il congiungimento del Puru\a [con il Pradhåna] ha perscopo la conoscenza, similmente [quello] del Pradhåna [con ilPuru\a] ha per scopo l’isolamento e per entrambi è simile a [ciòche è la unione tra] uno zoppo e un cieco. Il processo manife-stante è prodoto da ciò.

“Il congiungimento (saµyoga) del Puru\a” insieme con ilPradhåna “ha per scopo la conoscenza” (percezione, dar©ana),per cui il Puru\a [quando è unito al Pradhåna] percepisce laPrak®ti, cioè l’efetto, a cominciare dall’intelletto fno agli ele-menti grossolani, ecc. (comprendendo quindi anche gli enti-forma, gli eventi, ecc.).

A tal fne, vi è anche il congiungimento “del Pradhåna”con il Puru\a, che “ha per scopo l’isolamento” [del Puru\a]. Etale congiungimento [reciproco] “per entrambi” lo si deveconsiderare “simile a [ciò che è la unione tra] uno zoppo e uncieco”. Una volta uno zoppo e un cieco stavano entrambiviaggiando [insieme ad altri] quando, nella foresta, la caro-vana venne assalita con grande eferatezza. Per la sventura

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causata dai ladri, [lo zoppo e il cieco] abbandonati dai [ri-spettivi] compagni, presero a vagare a caso [ognuno da sé],errando qua e là. Nel loro rispettivo procedere fnirono per in-contrarsi e, in seguito, nutrendo fducia nelle reciproche as-serzioni, ebbero ad unirsi per poter camminare e vedere: lozoppo venne issato dal cieco sulle sue spalle e in tal modo ilcieco poté procedere lungo il cammino visto dallo zoppo sol-levato sul [proprio] corpo, mentre lo zoppo [poté spostarsi inquanto] montato sulle spalle del cieco.

Ugualmente nel Puru\a vi è la capacità di percezione, co-me per lo zoppo, ma non la [capacità di] azione; mentre nelPradhåna vi è la capacità di azione, come per il cieco, ma nonla capacità di percezione. E, come sarebbe avvenuta la separa-zione dei due, lo zoppo e il cieco, una volta che avessero con-seguito il proprio scopo, cioè allorquando avessero raggiuntoil luogo desiderato, così anche il Pradhåna, una volta determi-nata la liberazione del Puru\a, cessa di agire, mentre, da partesua, il Puru\a, percepito il Pradhåna, consegue l’isolamento,per cui si verifcherà la separazione dei due allorquando aves-sero raggiunto il proprio scopo35.

Vi è dell’altro: “Il processo manifestante è prodotto daciò”: il processo manifestante (sarga) è provocato da questo,ossia la manifestazione (s®\†i) è prodotta da tale congiungi-mento [del Puru\a con il Pradhåna]. Come dal congiungimen-to dell’uomo con la donna si ha la venuta all’essere del fglio,così dal congiungimento del Puru\a con il Pradhåna si ha lavenuta all’essere della manifestazione.

Adesso, allo scopo di prospettare tutte le distinzioni, [iltesto] dice:

22. Dalla Prak®ti [discende] l’intelleto, da cui il senso del-l’io, e da quello l’insieme composto da sedici [parti], ancora dacinque [parti provenienti] da tale [insieme] di sedici [parti, pro-vengono a loro volta] i cinque elementi [grossolani].

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Prak®ti, Pradhåna, Brahman (saguãa), Immanifesto (avya-kta), ‘Qello dalla natura molteplice’, måyå: sono sinonimi36.

Dalla Prak®ti priva di caratteristiche distintive (ali√ga) vie-ne ad essere direttamente l’intelletto; l’intelletto è la buddhi,la quale può [sia] essere asurica, [sia manifestarsi come] co-gnizione, percezione e conoscenza37; essa sorge da quelli chesono [più avanti (v. 23) defniti come] sinonimi della coscien-za (prajñå). E da quello, dall’intelletto, viene ad essere il sensodell’io (ahaµkåra). I sinonimi del senso dell’io sono: ‘originedegli elementi’, ‘prodotto soggetto a modifcazione’ (vaik®ta),‘il luminoso’ e ‘identifcazione’. Da lui [proviene] l’insieme disedici [parti], cioè dal senso dell’io viene ad essere l’insiemedi sedici [parti, ovvero l’ente] la cui natura propria è di sedici[costituenti], che sono: i cinque elementi sottili38 – l’elementosottile suono, l’elemento sottile contatto, l’elemento sottileforma, l’elemento sottile sapore e l’elemento sottile odore – equindi gli undici sensi – l’orecchio, la pelle, gli occhi, la lin-gua e il naso, che sono i cinque organi di percezione – e laparola, le mani, i piedi, gli organi di generazione e gli organidi escrezione, che sono i cinque organi di azione – più lamente come undicesimo, la quale sostanzia entrambi [i grup-pi].

Qesto insieme di sedici [parti] viene ad essere dal sensodell’io. E inoltre, “.da cinque [parti. provengono a loro vol-ta] i cinque elementi [grossolani]”, cioè: “da cinque [parti pro-venienti] da tale” insieme “di sedici [parti]”, cioè dagli ele-menti sottili, invero vengono ad essere direttamente “i cinqueelementi” grossolani39.

Qanto detto [signifca]: dall’elemento sottile ‘suono’ [di-scende] lo spazio [quale elemento grossolano], dall’elementosottile ‘contatto’ [discende] l’aria [.], dall’elemento sottile‘forma’ il fuoco, dall’elemento sottile ‘sapore’ l’acqua, dall’e-lemento sottile ‘odore’ la terra. È in questo modo che dai cin-que [tanmåtra], che sono di natura infnitesima (paramå~u),

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vengono ad essere i cinque elementi grossolani [oggetto deisensi].

È stato detto che la liberazione [è determinata] dalla co-noscenza discriminante del manifestato, dell’Immanifesto edel conoscitore. In relazione a ciò è stata spiegata la diferen-ziazione [del manifestato] nei ventitré [tatva] che comincia-no dall’intelletto e terminano con gli elementi [grossolani].Anche l’Immanifesto è stato spiegato [nel verso che recita]:«.in virtù della limitatezza delle distinzioni [degli enti]», ecc.(Såµ. Kå. 15) e, infne, lo stesso Puru\a è stato spiegato attra-verso le argomentazioni che iniziano da: «Per il motivo cheun ente composito esiste in funzione di un altro [ente].», ecc.(Såµ. Kå. 17).

In tal modo, questi [enti trattati] costituiscono i venticin-que tatva. Colui, il quale conosce la terna dei mondi in quan-to da loro sostanziata, per costui si ha la realizzazione della[pura] esistenza, cioè la realtà [suprema, dunque la liberazio-ne], in accordo con quanto è stato detto [in precedenza]: «Ildevoto, conoscitore dei venticinque tatva, qualunque sia lostadio di vita (in cui si trova), che sia un discepolo dalla chio-ma intrecciata, un asceta dalla testa rasata oppure un mendi-cante, viene liberato; su ciò non vi è dubbio».

Dunque questi, elencati come [segue]: la Prak®ti, il Puru\a,l’intelletto, il senso dell’io, i cinque elementi sottili, gli undiciorgani e i cinque elementi grossolani, costituiscono i venti-cinque tatva.

Al riguardo è stato detto che l’intelletto viene ad esseredalla Prak®ti; qual è la sua specifcità?

[L’Autore] dice questo:

23. L’intelleto (buddhi) è determinazione, virtù, conoscenza,distacco e potere: questa è la [sua] natura caraterizzata dalsatva; quella caraterizzata dal tamas è del tuto opposta aquesta.

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“L’intelletto è determinazione” (adhyavasåya) e la deter-minazione consiste nella risolutezza (adhyavasåna). Come [èla cognizione secondo cui] nel seme è contenuto il germoglio,che sicuramente si produrrà in futuro, tal quale è la determi-nazione. [Qando si fa un’afermazione come:] ‘questo è unvaso, questo [altro] è un tessuto’, tale essendo [la propria cer-ta cognizione], questa è ciò che si defnisce intelletto (buddhi),e tale intelletto è ottuplice [nella gradazione] in funzione del-la diferenziazione tra la [sua natura] caratterizzata dal satvae [quella] caratterizzata dal tamas. Al riguardo, la natura sat-tvica della buddhi è quadruplice e consiste in: virtù, conoscen-za, distacco e potere. In questo contesto si defnisce virtù(dharma) ciò che è la compassione, la generosità e le astinen-ze e osservanze [contemplate nel dar©ana Yoga]. A tale propo-sito, astinenze (yama) e osservanze (niyama) sono chiaramen-te indicate nell’opera di Patañjali: «Le osservanze sono: lanon-violenza, la veridicità, l’astenersi dal furto, la continenza,l’assenza di avidità» (Yo. S¥. 2.30), «Le osservanze sono: lapurezza (corporea e mentale), l’appagamento, l’austerità, lostudio di sé e la dedizione al Signore» (Yo. S¥. 2.32).

[Anche termini come:] “.conoscenza” (jñåna), illumina-zione (prakå©a), apparenza manifesta (bhåna) sono [tutti] si-nonimi e, inoltre, anch’essa è duplice: esterna e interna. Traloro quella esterna consiste nei Veda accompagnati dalle seiscienze ausiliarie (vedå√ga) quali la pronuncia, il rituale, lagrammatica, l’etimologia tradizionale, la metrica e l’astrono-mia, e [unitamente a queste cose] anche i Puråãa, [i dar©anaquali] il Nyåya e la [P¥rva-] Mımåµså e i Dharma©åstra40.Qella interna è la conoscenza della Prak®ti e del Puru\a: laPrak®ti consiste nella condizione di equilibrio (såmyåvasthå)di satva, rajas e tamas, mentre il Puru\a è [in sé] perfetto,privo di attributi, [totalmente] pervasivo e consapevole.

Ciò signifca che tramite la conoscenza esterna si hannol’ammirazione generale e l’apprezzamento da parte di tutti,

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mentre grazie alla conoscenza interiore si ha la liberazione.Tale è il senso.

Anche il non-attaccamento (vairågya) è duplice: esterioree interiore. Qello esteriore è la totale assenza di sete versogli oggetti visti, che per colui che si è distaccato completa-mente deriva dalla constatazione del difetto insito nell’acqui-sizione [dei beni], nella [fatica per la loro] salvaguardia, nella[soferenza dovuta alla loro inevitabile] distruzione, nell’at-taccamento [che condiziona] e nella violenza. Il non-attacca-mento interiore è quello che sorge per colui che, distaccatosiin quanto considera qui anche il Pradhåna [intero, cioè l’uni-verso, ecc.] simile a sogno o a un incantesimo, aspira [solo]alla liberazione.

Il “potere” (ai©varya) è la condizione propria di Ù©vara (ilSignore) e anch’esso possiede una ottuplice qualità: la [possi-bilità di assumere una] dimensione infnitesima, la [possibilitàdi assumere una] dimensione enorme, la [possibilità di assu-mere una] enorme pesantezza o [una infnita] leggerezza,l’ottenimento [di tutto ciò che si vuole], la perfetta volontà, ilpotere [su tutto], la forza di soggiogare [chiunque] e la capa-cità di trovarsi dove si desidera.

La “dimensione infnitesima” (a~imå) è la condizione diesistenza delle dimensioni dell’atomo: divenuti [così estrema-mente] piccoli, si può andare dovunque per il mondo. La “di-mensione enorme” è quando, divenuti immensi, ci si trova do-vunque [allo stesso tempo].

La “[infnita] leggerezza” (laghimå) si ha quando, attra-verso tale [infnita] leggerezza si può stare persino sulle som-mità dei fori come se si fosse parti dei flamenti delle forituredei loti.

L’ “ottenimento” (pråpti) è quando si ottiene la cosa con-cepita qualunque sia la situazione contingente in cui si trova.

La “perfetta volontà” (prakåmya): per colui che ha unaperfetta volontà, ciò che egli vuole, quello stesso porta a com-

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pimento. Avendo acquisito la natura di [colui che esercita il]potere (ı©itva), si governa persino sul triplice mondo.

La “forza di soggiogare [chiunque]” (vå©itva) [fa sì che co-lui che la possiede] diviene in grado di sottomettere [chiun-que altro]. La “capacità di trovarsi ove si vuole” (yatrakåmå-vasåyitva) è quando ci si può muovere, sedersi in un dato luo-go o vagare, secondo la propria volontà, lì stesso dove se neha desiderio, da [quella che è la condizione di] Brahmå fno auno stelo di erba. Qeste sono le quattro nature sattvichedella buddhi: quando il rajas e il tamas sono soverchiati dalsatva, allora l’essere umano ottiene quelle qualità dell’intel-letto che cominciano con il dharma, ecc.41

E inoltre, “quella caratterizzata dal tamas è del tutto oppo-sta a questa”, cioè: la condizione-natura dell’intelletto allorchéè caratterizzato dal [prevalere del] tamas è afatto opposta aquesta [caratterizzata] dal dharma e dalle altre [qualità positi-ve]. A tale riguardo, l’adharma è del tutto opposto al dharma,e ugualmente è per quanto riguarda la mancanza di cono-scenza (ajñåna), la mancanza di distacco (avairågya) e la man-canza di potere (anai©varya). Dunque l’intelletto presenta ottomodalità, derivanti dalle rispettive nature del satva e del ta-mas, e viene ad essere dall’Immanifesto che è essenziato deitre guãa.

Ora che è stata così enunciata la natura dell’intelletto, siespone la natura del senso dell’io.

24. Il senso dell’io (ahaµkåra) è la identifcazione [di sé conil veicolo psicofsico]. Da tale [identifcazione] procede una du-plice manifestazione: sia l’insieme costituito dagli undici [sensi]sia, pure, quello costituito dai cinque tanmåtra.

“.sia l’insieme costituito dagli undici.” (ekåda©aka©ca ga-ãa¢) – si tratta degli undici sensi – “.sia”, allo stesso modo,l’insieme qual è “quello costituito dai cinque tanmåtra”, cioè

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formato dai cinque [fattori percettivi sottili], ossia formatodal tanmåtra del suono, dal tanmåtra del contatto, dal tanmå-tra della forma, dal tanmåtra del sapore e dal tanmåtra dell’o-dore.

Qal è la natura della manifestazione [che procede dalsenso dell’io]?

Qesto espone [adesso l’Autore].

25. La endecade [dei sensi], che è permeata di satva, proce-de sviluppandosi dal senso dell’io totalmente modifcato. Da ta-le principio degli elementi [qual è il senso dell’io viene ad esserela pentade che formano] i tanmåtra sostanziati di tamas. [Per-tanto] ambedue [derivano] dal luminoso.

Qando il rajas e il tamas che sussistono nel senso dell’iosono soverchiati dal satva, allora il senso dell’io è [defnitocome] sostanziato dal satva, e di tale [senso dell’io] dagli an-tichi maestri è stata coniata la defnizione di ‘totalmente mo-difcato’ (vaik®ta). Da quello, cioè “.dal senso dell’io total-mente modifcato” sorge ad essere “La endecade”, cioè l’insie-me dei sensi. Pertanto i sensi sono perfettamente puri e [perloro natura] sostanziati di satva e, quindi, perfettamente ingrado [di avere la percezione] dei rispettivi oggetti. Per que-sto si aferma: “La endecade [dei sensi], che è permeata di sa-tva.”.

E inoltre, “Da tale principio degli elementi [qual è il sensodell’io viene ad essere la pentade che formano] i tanmåtra so-stanziati di tamas.”. Qando il satva e il rajas che sussistononel senso dell’io sono soverchiati dal tamas, allora si dice cheil senso dell’io è [come se fosse interamente] permeato di ta-mas. Per lui, gli antichi maestri hanno coniato la defnizionedi ‘principio degli elementi’ (bh¥tådi). Da quello, dal sensodell’io che è il principio degli elementi, sorge ad essere ilquintuplice insieme dei tanmåtra. [Poiché] lo stato di princi-

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pio degli elementi vede una prevalenza del tamas, pertantoviene detto tamasico42. Da tale principio degli elementi [vienead essere] l’insieme dei cinque tanmåtra.

E inoltre “.ambedue [derivano] dal luminoso”. Qando ilsatva e il tamas vengono entrambi soverchiati dal rajas, allo-ra, poiché quello, il senso dell’io, è [detto anche] ‘il luminoso’,ne scaturisce la defnizione [data nel verso], cioè: “[Pertanto]ambedue [derivano] dal luminoso” (il senso dell’io), dove con[il termine] ‘ambedue’ (ubhaya) [si intende] sia l’insieme de-gli undici [sensi], sia [l’insieme] dei cinque tanmåtra.

Qesto senso dell’io, quando è [prevalentemente] sattvico,è soggetto a modifcarsi e, una volta divenuto modifcato [as-sumendo la qualità dei guãa], genera gli undici sensi allorchéricorre all’associazione con il senso dell’io [quando è] lumi-noso. [Infatti] quando è sattvico non produce attività, per cuiesso diviene capace di far sorgere i sensi [solo] allorquando ècongiunto con il [suo aspetto in quanto] risplendente43.

Similmente, il senso dell’io, quando è [prevalentemente]tamasico, e quindi allorché viene defnito come il principiodegli elementi, a causa della sua condizione di inattività (pas-sività), fa venire all’essere i tanmåtra allorché diviene con-giunto con il senso dell’io quando è luminoso, in virtù dellasua natura agente. Per questo è stato detto: “.ambedue [deri-vano] dal luminoso”44.

È in questo modo che gli undici sensi e i cinque tanmåtravengono prodotti da parte dell’io luminoso45.

È stato detto che la endecade è sattvica. Qal è la defni-zione di tale [insieme di organi sensoriali e qualità sensorie-elementali] che viene ad essere dal senso dell’io permeato disatva allorché si è completamente modifcato?

[L’Autore] dice:

26. Dicono che quelli caraterizzati [esteriormente dai ri-spetivi organi fsici] come la vista, l’udito, l’olfato, il gusto e il

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tato sono gli organi di percezione, [e che] la parola, le mani, ipiedi, gli organi di generazione e gli organi di escrezione sonogli organi di azione.

Qelli che cominciano con la vista (cak\us) e terminanocon il tatto (spar©ana) vengono detti ‘organi di percezione’(buddhındriya). Ciò attraverso cui si ha la percezione tattile èil tatto, e la pelle è l’organo sensoriale [corrispondente]; ora, ènoto che ciò che esprime tale [facoltà] viene defnito con iltermine ‘tatto’ (spar©ana), per cui questo [insieme di organi dipercezione] viene recitato come “quelli caratterizzati [este-riormente dai rispettivi organi fsici] come (la vista, l’udito,l’olfatto, il gusto e) il tatto.” (.spar©akåni). I cinque organi dipercezione percepiscono, cioè aferrano i cinque [rispettivi]oggetti che sono: il suono, il contatto, la forma, il sapore e l’o-dore.

Dicono che “la parola, le mani, i piedi, gli organi di gene-razione e gli organi di escrezione sono gli organi di azione”.[Sono detti] ‘organi di azione’ (karmendriya) perché svolgonouna [determinata e propria specifca] attività. Tra loro la pa-rola pronuncia, le mani producono una molteplice varietà diatti, i piedi [permettono] l’andare e il venire, l’organo di e-screzione produce la emissione, l’organo di generazione ilpiacere e la generazione di una creatura.

Si è spiegato così che, in base alla distinzione tra gli orga-ni di percezione e gli organi di azione, gli organi assommanoa dieci. La mente è l’undicesimo. Di che cosa è sostanziata?Qal è la sua natura? Ciò viene [ora] enunciato.

27. Qi la mente ha la natura di entrambi ed è sia capace diesprimere coordinazione sia [essa stessa un] organo in virtù dellaomogeneità di natura [con gli altri organi], mentre la molte-plicità [dei sensi] e le distinzioni esteriori [oggetuali] sono do-vute a una speciale qualifcazione nella trasformazione dei guãa.

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“Qi”, nel contesto della classe dei sensi, “la mente ha lanatura di entrambi”, cioè: in relazione agli organi di percezio-ne è come un organo di percezione, in relazione agli organi diazione è come un organo di azione.

Perché?[Perché] provvede alla funzione sia degli organi di perce-

zione che degli organi di azione. Per questo [si aferma che]“la mente ha la natura di entrambi”; poiché promuove [la loroattività, si dice che] è “capace di esprimere coordinazione”(saµkalpaka) e, inoltre, è anche un organo, “in virtù della o-mogeneità di natura” (sådharmya), perché la sua natura ha lemedesime proprietà [di quella degli altri organi]. Gli organi dipercezione e gli organi di azione, sorgendo insieme con lamente dal senso dell’io allorché è sattvico, assumono la me-desima natura della mente e, proprio in virtù di tale omo-geneità di natura, [si dice che] anche la mente è un organo.Così questi undici organi vengono ad essere dal senso dell’ioquando, sostanziato dal satva, si modifca totalmente.

A tale riguardo, qual è la funzione propria della mente?La [sua] funzione è quella di coordinare (saµkalpa), men-

tre le funzioni degli organi di percezione sono [quelle di per-cepire] il suono e gli altri [oggetti] e [quelle] degli organi diazione sono [di produrre] la parola e le altre [attività corpo-ree].

Obiezione: Dunque, questi diferenti sensi capaci di perce-pire diferenti oggetti sono stati creati dal Signore o, piuttosto,[sono venuti ad essere] per loro stessa natura? [Tale domandasi presenta] sia perché tanto il Pradhåna, che l’intelletto e ilsenso dell’io sono di per sé privi di consapevolezza, sia, an-che, perché da parte sua il Puru\a è non-agente.

Risposta: Al riguardo è stato detto: per i seguaci del Såµ-khya vi è una data causa che consiste precipuamente nella

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natura propria (svabhåva) e, a tale proposito, si aferma che“la molteplicità [dei sensi] e le distinzioni esteriori [oggettua-li] sono dovute a una speciale qualifcazione nella trasforma-zione dei guãa”.

Qesti undici sensi [hanno per oggetto rispettivamente]: ilsuono, il contatto, la forma, il sapore e l’odore per i cinque[organi di percezione], la parola, la prensione, la deambula-zione, la evacuazione e il godimento sessuale per i cinque [or-gani di azione] e il pensiero coordinatore per la mente. Qestisono gli oggetti [rispettivi] dei diferenti organi, dovuti a unaspeciale trasformazione dei guãa.

La trasformazione (pari~åma) dei guãa è un dato muta-mento in relazione ai princìpi qualitativi; la molteplicità [deisensi] e le distinzioni esteriori [oggettuali] sono dovute a unaloro speciale qualifcazione.

Dunque, questa molteplicità non deriva dal Signore, né dalsenso dell’io, né dall’intelletto, né dal Pradhåna, né dal Puru\ama è prodotta dalla natura propria [di tali enti] attraverso unatrasformazione dei guãa.

Obiezione: [Essa] non proviene [dalla trasformazione deiguãa] a causa della natura priva di consapevolezza dei guãa.

Risposta: [Invece essa] proviene proprio [dai guãa trasfor-mati] come qui stesso verrà detto: «Come la funzione del lat-te, che è privo di consapevolezza, consiste nel determinare lacrescita del vitello, allo stesso modo la funzione del Pradhånaè fnalizzata alla perfetta liberazione del Puru\a» (Såµ. Kå.57). In questo modo i guãa, pur privi di consapevolezza, agi-scono mediante il diventare gli undici sensi; e sempre da loroè prodotta anche la stessa speciale qualifcazione, attraversocui, per esempio, la vista è collocata nell’appropriata sede, inalto, per poter percepire, così l’olfatto, così l’orecchio, così lalingua [sono tutti collocati] nella propria rispettiva sede al f-

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ne di cogliere il proprio oggetto. Ugualmente, anche gli orga-ni di azione, capaci di svolgere le rispettive funzioni secondola modalità [di ciascuno], sono collocati ciascuno nella pro-pria sede, in funzione della rispettiva natura, sempre dallaspeciale qualifcazione inerente alla trasformazione dei guãa;viceversa, non è così per quanto riguarda i loro oggetti, per-ché in un’altra Scrittura è stato detto: «.sono i guãa che agi-scono sui guãa» (Bha. Gı. 3.28), cioè: quella, che è la funzionedei guãa, ha per oggetto solamente i guãa stessi, e gli oggettiesterni conoscibili sono anch’essi prodotti soltanto dai guãa;tale è l’oggetto, la causa del quale è il Pradhåna46.

Ora si espone qual è la funzione di ogni singolo senso.

28. Si vuole che la funzione dei cinque [organi di percezione]nei confronti del suono e degli altri [oggeti] sia la sola per-cezione, mentre [quella] dei cinque [organi di azione] consiste[singolarmente e rispetivamente] nel parlare, nel prendere, nelcamminare, nell’evacuare e nel godere.

Il termine “sola” (måtra) sta a signifcare una specifcaqualifcazione (vi©e≤a), per cui comporta la esclusione di ciòche non qualifca specifcamente [il tale e tale organo], comela specifcazione [nella frase comune]: ‘si accetta solo l’elemo-sina, e non altro’. Così gli occhi [esplicano la loro funzione]solo nella [percezione della] forma [di un oggetto] e non, peresempio, nel [percepire il] sapore o altro. Ugualmente è ancheper i restanti sensi.

Pertanto, come è la forma per la vista, [così] è il saporeper la lingua, l’odore per il naso, il suono per l’orecchio e iltatto per la pelle. In questo modo è stata esposta la funzionedegli organi di conoscenza.

[Ora] si recita la funzione degli organi di azione.Per la voce è il parlare, per le mani è il prendere, per i pie-

di il camminare, per gli organi di escrezione l’espellere i resi-

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dui impuri del cibo ingerito, per gli organi di procreazione ilpiacere e la generazione dei fgli. [Nel verso] è sottintesa siala funzione che gli oggetti [rispettivi].

Adesso viene esposta [la funzione] dell’intelletto, del sen-so dell’io e della mente.

29. La funzione della terna corrisponde alla propria intrin-seca natura [di ognuno] e questa stessa non è comune [a tuti],mentre la funzione comune agli organi consiste nei cinque sofvitali quali il pråãa e gli altri.

Le condizioni caratteristiche di ognuno sono comprese inquella che è la ‘propria natura intrinseca’ (svålak\a~ya).

È stato detto che la caratteristica della buddhi è la determi-nazione: quella stessa è anche la funzione della buddhi.

Similmente il senso dell’io è la identifcazione, cioè la suacaratteristica è [la tendenza a] identifcarsi [con qualcosa],per cui anche la sua funzione è quella della identifcazione [disé con il veicolo individuato e la sua condizione contingente].È stata anche enunciata la caratteristica [della mente asse-rendo] che la mente esprime coordinazione, per cui la coor-dinazione stessa è la funzione della mente. “La funzione dellaterna corrisponde alla propria intrinseca natura” dell’intel-letto, del senso dell’io e della mente, “(e questa stessa) non ècomune [a tutti]” (asåmånya); neanche tale funzione degliorgani di conoscenza, quale è stata precedentemente esposta,è comune [a tutti, al pari della rispettiva natura]47.

Adesso viene [invece] enunciata quella funzione che è co-mune (såmånya). La funzione organica comune è quella fun-zione degli organi che agisce in modo comune [per tutti]. Isof vitali (våyu) sono cinque, cioè il pråãa e gli altri; ora, icinque sof vitali – cioè: il pråãa, l’apåna, il samåna, il vyånae l’udåna – costituiscono la funzione comune a tutti gli orga-ni. Infatti il sofo vitale defnito pråãa è compreso all’interno

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della regione tra il naso e la bocca e la sua attività di movi-mento oscillatorio appartiene anche ai tredici [sensi]: infatti,fn tanto che vi è il pråãa, vi è la percezione di sé [da parte deisingoli organi]. Anche il pråãa, infatti, come [fa] un uccellonella gabbia, induce movimento-attività [vitale] in tutto [l’ap-parato organico]. Così viene detto pråãa (lett. ‘colui che simuove verso l’alto’) per via del suo procedere verso l’alto(sofo ascendente). Similmente, l’apåna [è così chiamato] pervia del suo procedere verso il basso (sofo discendente).Anche quello che è il suo movimento rappresenta una fun-zione comune per l’organismo [intero]. Ugualmente il samå-na agisce nella regione mediana [del corpo] e tale sofo vitaleè detto samåna perché distribuisce equamente il cibo, ecc. [aivari distretti organici]. Al riguardo, [anche] quello che è il suoalterno muoversi rappresenta una funzione organica comune.In modo simile l’udåna [è così chiamato] per via del [suo]potere di innalzare, [per la sua capacità] di trarre fuori, dicondurre in alto, ed è compreso tra la regione dell’ombelico ela testa. Anche in relazione all’udåna, quello che è il suo mo-vimento alterno rappresenta una funzione comune a tutti gliorgani. Infne quello, dal quale viene operata la pervasionedel corpo e che si ripartisce al suo interno avendolo pervasoal pari dello spazio, è il vyåna. Al riguardo [anche] quello cheè il suo alterno muoversi costituisce una funzione comunealla intera compagine organica. Così questi cinque sof vitalisono stati spiegati come una funzione comune per tutti gliorgani, il che signifca che [essendo] una funzione comuneagli organi [lo] è anche in rapporto ai tredici sensi48.

30. Invero, in relazione al visibile, la funzione della quaternaavviene in simultaneità, mentre [la funzione] di quella vieneindicata [anche] come [svolgentesi] gradualmente. Ugualmente,anche in relazione all’invisibile la funzione della terna è prece-duta da quella.

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“(Invero, in relazione al visibile, la funzione) della quater-na avviene in simultaneità.”. Qando si verifca la congiun-zione dell’intelletto, del senso dell’io e della mente con cia-scun singolo organo si ha la ‘quaterna’ (catu\†aya). “. in rela-zione al visibile, la funzione della quaterna”, [funzione che siesplica] nell’accertamento di ogni oggetto, “avviene in simul-taneità” (yugapat), in questo modo: l’intelletto, il senso dell’ioe la mente, insieme con la [facoltà della] vista, percepisconouna data forma in un medesimo tempo per cui [si dice concertezza, per esempio] ‘questo è un palo’. [Così] intelletto,senso dell’io, mente e lingua colgono un sapore simultanea-mente; intelletto, senso dell’io, mente e olfatto colgono simul-taneamente un odore; lo stesso avviene anche per la pelle el’udito.

E inoltre: “[la funzione] di quella viene indicata [anche]come [svolgentesi] gradualmente.”, cioè: la funzione “di quel-la”, della quaterna, avviene anche ‘gradualmente’ (krama©as).Ciò è come quando qualcuno, trovandosi a camminare lungouna strada e vedendo qualcosa da lontano viene a trovarsi neldubbio: ‘quello potrebbe essere un palo oppure un uomo’; inseguito egli nota là [sull’oggetto] un particolare caratteristico,per esempio un uccello ivi posatosi, al che, sussistendo ancorail dubbio concepito da parte della sua mente, l’intelletto,operando una discriminazione, [aferma]: ‘questo è un palo’,quindi anche il senso dell’io fnisce per accertare [la naturadell’oggetto, e conferma]: ‘è certamente un palo’. Così vieneconstatata la funzione graduale di intelletto, senso dell’io,mente e vista. Come [avviene] in rapporto a una forma, cosìsi deve comprendere [che avviene] anche in relazione alsuono e agli altri [oggetti percepibili]. [La espressione] “inrelazione al visibile” (d®\†e) [signifca] ‘in relazione all’oggettovisibile’ [cioè direttamente percepibile dai sensi].

E inoltre, “Ugualmente anche in relazione all’invisibile lafunzione della terna è preceduta da quella”. “In relazione al-

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l’invisibile”, cioè in relazione a un tempo che deve ancora ve-nire o che è già trascorso, “la funzione della terna”, cioè di in-telletto, senso dell’io e mente, “è preceduta da quella” della vi-sta nei riguardi della forma, è preceduta da quella della pellenei riguardi del tatto, è preceduta da quella dell’olfatto nei ri-guardi dell’odore, è preceduta da quella del gusto nei riguardidel sapore, è preceduta da quella dell’udito nei riguardi delsuono49.

Dunque, la funzione di intelletto, senso dell’io e mente inrelazione a un tempo futuro, che sarà, e passato, avviene gra-dualmente in quanto è preceduta da quella [del singolo or-gano sensoriale], mentre in relazione al presente avviene siasimultaneamente che gradualmente.

E inoltre.

31. [L’intelleto e gli altri princìpi interiori] compiono lapropria rispetiva funzione [allorché è] causata da un impulsoreciproco. La sola causa è proprio il fne del Puru\a: [pur non es-sendo impulsato] da nessun [ente] un organo produce atività.

[L’espressione] “la propria rispettiva” (svåµ svåm) [signi-fca] ‘in ordine successivo’. L’intelletto, il senso dell’io e lamente [compiono] “la propria rispettiva funzione [allorché è]causata da un impulso reciproco”, cioè entrano in attivitàprontamente in virtù di uno stimolo. Il senso dell’io e gli altri[princìpi] derivanti dall’intelletto “compiono (la propria ri-spettiva funzione.)” per portare a compimento il fne del Pu-ru\a; l’intelletto, dopo aver percepito l’impulso del senso del-l’io, opera la propria funzione verso il proprio rispettivo og-getto. Se [si chiede]: ‘con quale fnalità [agiscono i sensi]?’ [sirisponde] “La sola causa è proprio il fne del Puru\a”. Afnchési compia il fne del Puru\a: ecco a quale scopo si ha la funzio-ne dei princìpi costitutivi. Pertanto [si dice che] questi sensirivelano il fne del Puru\a.

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Obiezione: Ma se essi sono privi di consapevolezza, in chemodo possono svolgere [ciascuno] la propria funzione?

Risposta: “.[pur non essendo impulsato] da nessun [ente]un organo produce attività”. Il senso dell’enunciato è che ‘sol-tanto il fne del Puru\a, unico, induce l’attività [di guãa, orga-ni, ecc.]’; da nessun [ente], sia esso il Signore o un [altro] es-sere cosciente, un senso può essere reso consapevole perchéagisca.

Ora si espongono quanti sono [i princìpi della individuali-tà come] l’intelletto e gli altri50.

32. La compagine organica è fata di tredici [organi senso-riali] e la sua [funzione] è caraterizzata da [ati come] afer-rare, mantenere e rivelare, mentre il suo oggeto è decuplice,consistendo in ciò che si deve prendere, ciò che si deve mante-nere e ciò che si deve rivelare.

“La compagine organica” (karaãa), consistente nell’intel-letto e negli altri [tatva], deve essere conosciuta in quanto “èfatta di tredici [organi sensoriali]”: i cinque organi di cono-scenza, come la vista e gli altri, i cinque organi di azione, co-me la parola e gli altri, e l’intelletto, il senso dell’io e la mente;così la compagine organica consta di tredici [facoltà].

Come agisce?[L’Autore] aferma questo: “la sua [funzione] è caratteriz-

zata da [atti come] aferrare, mantenere e rivelare”. Al riguar-do gli organi di azione svolgono l’aferrare e il mantenere egli organi di conoscenza il rivelare.

Di quante specie è il suo oggetto?“.e il suo oggetto è decuplice”. Il suo oggetto, ossia quan-

to deve essere operato da parte della compagine organica[inerente all’azione], è decuplice (da©adhå), ha dieci modalitàe precisamente quelle denominate: suono, contatto, forma, sa-

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pore e odore e quelle denominate: parlare, aferrare, cammi-nare, evacuare e godere; questo è il decuplice oggetto. Gli or-gani di azione prendono e mantengono quanto è rivelato da-gli organi di percezione.

E inoltre.

33. L’organo interno è triplice, l’esterno è decuplice ed è de-fnito oggeto per la terna. Nel tempo presente [svolge la suafunzione] l’esterno, [mentre] nel triplice tempo [svolge la suafunzione] l’organo interno.

“L’organo interno” (anta¢karaãa), cioè l’intelletto, il sensodell’io e la mente, “è triplice” in virtù della distinzione nelmahat e negli altri [princìpi]; “l’esterno è decuplice”: i cinqueorgani di percezione [più] i cinque organi di azione, per cuiquesto organo [che è rivolto verso il mondo] esterno è decu-plice. In relazione a ciò “.è defnito oggetto per la terna”. [In-fatti] l’udito ode soltanto il suono presente, non quello pas-sato né quello futuro; anche la vista vede [solo] la forma pre-sente, non quella passata né quella futura; la pelle [perce-pisce] il contatto [con un oggetto] presente, la lingua [.] ilsapore presente, l’olfatto [.] un odore presente e non giàpassato né futuro. Ugualmente è [anche] per gli organi diazione: la parola emette un suono presente, non futuro népassato; le mani aferrano un vaso presente, non futuro népassato; i piedi camminano lungo una strada presente, nonpassata e neppure futura; gli organi di escrezione e di gene-razione producono rispettivamente emissione e piacere alpresente e non nel passato o nel futuro. In questo senso èstato detto che “Nel tempo presente [svolge la sua funzione]l’esterno”. Viceversa “.nel triplice tempo [svolge la sua fun-zione] l’organo interno”. L’intelletto, il senso dell’io e la men-te hanno per oggetto il triplice tempo. [Infatti] l’intelletto co-nosce il vaso presente, ma anche quello passato e quello

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futuro; il senso dell’io crea identifcazione al presente, maanche nel passato e nel futuro; allo stesso modo la menteopera un coordinamento nel presente, ma anche nel passato enel futuro; in questo modo l’organo interno [svolge la suafunzione] nei tre momenti temporali51.

Adesso si enuncia questo: quanti organi colgono un og-getto specifco e quali uno non specifco.

34. Gli organi di percezione: di loro cinque sono gli oggetispecifci e non-specifci. La parola ha come oggeto il [solo] suo-no, ma i rimanenti hanno cinque oggeti.

“Gli organi di percezione.”: essi colgono [rispettivamen-te] un oggetto specifco. Gli organi di percezione degli esseriumani (månu\a) rivelano [ciascuno] un oggetto specifco, co-me il suono, il contatto, la forma, il sapore e l’odore, congiun-ti, questi, con piacere, dolore e ofuscamento mentale; quellidei deva rivelano oggetti non-specifci.

Similmente, tra gli organi di azione, “La parola ha comeoggetto il [solo] suono”: la parola, sia dei deva che degli esseriumani, pronuncia versi, ecc. Perciò, per i deva e per gli esseriumani la parola rappresenta una uguale facoltà organica.

Anche “.i rimanenti”, cioè, escludendo la parola, quellidefniti come le mani, i piedi, gli organi di escrezione e i geni-tali, “hanno cinque oggetti”. I cinque oggetti sono il suono egli altri, in rapporto ai quali essi (i restanti organi) sono dettiessere di quintuplice oggettività (pañcavi\aya). [Infatti], nellemani sussistono [contemporaneamente] il suono, il tatto, laforma, il sapore e l’odore; il piede calca il terreno che è carat-terizzato dai cinque [oggetti] quali il suono e gli altri; l’orga-no di escrezione efettua l’espulsione di quanto è formato daicinque [elementi-oggetti]; in maniera simile, l’organo di pro-creazione genera il piacere attraverso il seme che è anch’essocaratterizzato dai cinque [elementi-oggetti].

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35. Poiché l’intelleto, insieme con l’intero organo interno, siassorbe in ogni oggeto, pertanto il triplice organo [interno] è ilguardiano dell’accesso, i restanti [organi] sono gli accessi.

[L’espressione] “.l’intelletto, insieme con l’organo inter-no” signifca: ‘l’intelletto associato con il senso dell’io e con lamente’. Poiché [esso, in tale condizione] “si assorbe in ognioggetto”, ossia lo comprende, cioè può aferrare il suono e glialtri [oggetti] anche nei tre momenti temporali, “pertanto iltriplice organo interno è il guardiano dell’accesso” (dvårin),[mentre] “i restanti“ organi – [tale parola] è la [sottintesa]continuazione sentenza – “sono gli accessi” (dvåra)52.

E inoltre.

36. Qesti [organi], simili a lampade, l’uno sostanzialmentediferente dall’altro, sono qualifcazioni dei guãa; avendo rive-lato l’intero oggeto del Puru\a, [lo] ofrono all’intelleto.

“Qesti”, gli organi che sono stati enunciati, “consistentiin specifche distinzioni dei guãa.”.

Come sono qualifcati?[Sono] “.simili a lampade” (pradıpakalpa), in quanto ri-

velano gli oggetti al pari di lampade; “l’uno sostanzialmentedifferente dall’altro”, non similari [tra loro]; vale a dire chehanno oggetti distinti53, “sono qualifcazioni dei guãa”, cioèsono stati generati dai princìpi qualitativi. Dunque, gli organidi percezione, gli organi di azione, il senso dell’io e la mente,[tutti] questi “avendo rivelato” ciascuno il proprio rispettivooggetto, quindi [avendo tutti insieme rivelato l’intero ogget-to] del Puru\a, “[lo] ofrono all’intelletto”, vale a dire che o-perano la [sua] collocazione nell’intelletto: [questo] perché ilPuru\a apprende l’intera oggettività, consistente nel piacere,ecc., proprio in quanto stabilita nell’intelletto54.

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E vi è dell’altro.

37. Poichè la buddhi porta a compimento la totalità qualeoggeto di fruizione per il Puru\a, è sempre essa che, ancora, di-stingue chiaramente la sotile diferenza tra il Pradhåna e il Pu-ru\a.

La “totalità” (sarva) è quella che rientra nella sfera di tuttii sensi nei tre tempi; l’“oggetto di fruizione” (pratyupabhoga)rappresenta [tutto] ciò che singolarmente viene ad essere spe-rimentato. “Poiché la buddhi”, insieme con l’organo interno[nel modo in cui è stato detto nel verso 35], attraverso gli or-gani di percezione e gli organi di azione di deva, esseri umanie animali, “porta a compimento”, cioè porta a completamento[la totalità quale oggetto di fruizione per il Puru\a], perciò “èsempre essa stessa che (ancora) distingue chiaramente la sot-tile diferenza tra il Pradhåna e il Puru\a”, cioè opera la nettaseparazione tra l’oggetto del Pradhåna e quello del Puru\a, va-le a dire [evidenzia] la loro assoluta distinzione. [Qi con l’ag-gettivo] ‘sottile’ [si intende] ciò che non è ottenibile attra-verso discipline ascetiche per le quali non si è qualifcati.‘Qesta [quale è stata descritta] è la Prak®ti, consistente nellacondizione di equilibrio (såmyåvasthå) di satva, rajas e ta-mas; questo [.] è l’intelletto e questo il senso dell’io; questisono i cinque elementi sottili, gli undici sensi e i cinque ele-menti grossolani; quest’altro è il Puru\a, afatto distinto da[tutti] loro’: così accerta l’intelletto, dall’assenso al quale di-scende l’emancipazione55. In precedenza è stato detto che glioggetti sono sia specifci che non-specifci.

Ora [il testo] mostra quali sono tali oggetti.

38. Le essenze sotili sono non-specifche. Da quelle cinque[provengono] i cinque elementi [grossolani]: questi sono noti co-me specifci, pacifcati, molesti e oscuranti.

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Le cinque ‘essenze sottili’ (tanmåtra) che vengono all’esi-stenza – l’essenza sottile del suono, l’essenza sottile del con-tatto, l’essenza sottile della forma, l’essenza sottile del saporee l’essenza sottile dell’odore – provengono dal senso dell’io;queste vengono dette “non-specifche” (avi©e≤a). Esse appar-tengono ai deva, sono contraddistinte dal piacere e sono altre-sì esenti sia dalla soferenza che dalla obnubilazione.

“Da quelle cinque” essenze sottili [attraverso gli elementisottili] provengono “i cinque elementi” grossolani che sonoconosciuti come: la terra, l’acqua, il fuoco, l’aria e lo spazio;“questi sono noti come specifci” (vi©e≤a). Dalla essenza sottiledell’odore [viene ad essere] la terra [quale elemento grossola-no], dalla essenza sottile del sapore [viene ad essere] l’acqua,dalla essenza sottile del contatto [.] l’aria, dalla essenza sotti-le della forma il fuoco, dalla essenza sottile del suono lo spa-zio: così sono venuti ad essere questi elementi grossolani [co-me precipitazione degli elementi sottili e, questi, come con-densazione delle rispettive essenze sottili].

Qesti [elementi grossolani], [considerati] specifci, costi-tuiscono oggetto [di percezione sensoriale] per gli esseri u-mani56. Sono [detti anche] “pacifcati” (©ånta), cioè contraddi-stinti dalla piacevolezza (sulak\aãa), ma anche “molesti” (gho-ra), ossia caratterizzati dalla [capacità di arrecare] soferenza,e “oscuranti” (m¥ƒha), in quanto generatori di confusionementale.

Ad esempio lo spazio, per qualcuno che esca all’esterno diun ambiente angusto, è pacifcato in quanto apportatore dipiacere; [ma] quello stesso, per colui che, percorrendo unastrada, abbia sbagliato [direzione uscendo] dal sentiero nellaforesta, è ofuscatore in quanto ha [il potere di indurre in lui]una certa confusione circa l’orientamento; ugualmente l’aria èpacifcata [cioè piacevole] per quegli che abbia soferto l’arsu-ra per via del calore del sole, ma molesta per quegli che sia in-freddolito, ed estremamente ofuscante qualora si presenti co-

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me vento che solleva polvere e sabbia. Così si deve considera-re [anche] per il fuoco e gli altri57.

Ordunque vi sono gli altri [oggetti] specifci.

39. I sotili, generati da padre e da madre, insieme con glielementi prodoti, costituiscono i triplici [oggeti] specifci. Traloro i sotili sono stabili, quelli generati da padre e madre cessa-no di essere.

“I sottili” sono le essenze sottili (tanmåtra). I sottili sonoquelli da cui è composto il corpo sottile, caratterizzato dall’in-telletto e dagli altri [tatva], il quale esiste con continuità equindi trasmigra58. Similmente, “quelli nati da padre e madre”(måtåpit®ja) si aggregano a formare il corpo grossolano quan-do, compiendosi nel tempo opportuno l’accoppiamento delpadre con la madre, creano [dapprima] l’aggregato del corposottile dentro al grembo materno attraverso la mescolanza delsangue e del seme, poi quel corpo sottile viene alimentato at-traverso il cordone ombelicale con le varie essenze di ciò cheè stato mangiato e bevuto dalla madre. Così, il corpo che hacominciato a prendere forma attraverso i tre [costituenti] spe-cifci quali i sottili (le essenze e quindi gli elementi sottili) equelli nati da padre e madre insieme con gli elementi grosso-lani, [comincia a differenziarsi presentando] la schiena, l’ad-dome, le gambe, il posteriore, il petto, la testa e le altre [parti]analoghe, [divenendo altresì] inguainato da sei componentiderivanti dai cinque elementi [grossolani], cioè dal sangue,dalla massa muscolare, dai tendini, dal seme, dalle ossa e dalmidollo; [poi] lo spazio [è necessario] in virtù della separazio-ne delle parti estese, l’aria [è necessaria] per l’accrescimento,il fuoco per la digestione [del cibo ingerito], l’acqua per l’arti-colazione [delle membra], la terra per [formare una strutturadi] sostegno. Una volta che è dotato di tutte le parti [elen-

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cate], esce all’esterno del grembo materno. Così questi [costi-tuenti] specifci sono di tre specie.

A questo punto [l’Autore risponde alle domande]: qualisono quelli permanenti? Qali quelli impermanenti?

“Tra loro i sottili sono stabili”. Tra loro i sottili, denomina-ti essenze sottili, sono stabili, permanenti (nitya). Il corpo[sottile], che ha preso forma grazie a loro, in forza del proprioagire (karman) trasmigra in condizioni di nascita come quelledi animali domestici, animali selvatici, uccelli, rettili ed esseriprivi di movimento (i vegetali).

[Oppure], in virtù del retto comportamento (dharma), [sitroverà a fare esperienza] nei mondi di Indra e degli altri[deva]. Così questo corpo sottile [relativamente] permanentetrasmigra fn quando non sorge la conoscenza (jñåna): unavolta che è sorta la conoscenza, il saggio, abbandonato il cor-po, consegue la liberazione (mok\a). Perciò questi [costituen-ti] sottili sono permanenti59.

[Invece] “.quelli generati da padre e madre cessano di es-sere”. Qelli (i costituenti corporei) generati da padre e madrecessano di essere qui stesso al momento del distacco dalla e-nergia vitale (pråãa) quando è stato completamente abbando-nato il corpo sottile. Al tempo della morte il corpo [grossola-no] generato da padre e madre cessa di essere qui stesso e siriassorbe interamente nella terra e negli altri [elementi gros-solani] secondo l’essenza [rispettiva di ogni componente].

In che modo [il corpo sottile] trasmigra?Al riguardo [l’Autore] aferma:

40. Il dissolubile (li√ga, il corpo sotile) formatosi al princi-pio [della manifestazione], non-ataccato, [pressoché] perma-nente, costituito dall’intelleto e dagli altri [tatva] fno ai sotili(le essenze sotili), trasmigra senza esperire [ma] pervaso daimodi della esistenza.

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Qando i mondi non erano [ancora] sorti e si andava ma­nifestando il Pradhåna con gli altri [enti che ne discendono], allora veniva all’esistenza il corpo sotile. Inoltre, è “non-ataccato” (asakta), cioè non congiunto con le condizioni di nascita di animali né con le condizioni di esistenza di deva o di esseri umani. A causa della [sua] natura sotile non è ataccato ad alcunché per cui, potendosi spostare dappertuto senza essere ostacolato, trasmigra, ossia vaga per ogni dove, a cominciare dalle regioni montuose, ecc.

È “[pressoché] permanente” (niyata), ossia eterno (essen­do un rifesso, benché indireto, della Coscienza suprema). Fin quando non sorge la conoscenza, fno ad allora trasmigra (saµsarati)60. Ed esso è “costituito dall’intelleto e dagli altri [tattva] fno ai sotili (le essenze sotili, tanmåtra)”. L’intellet­to e gli altri [tattva, unendosi] formano quello (l’individuo) al quale appartengono l’intelletto, il senso dell’io e la mente, più le cinque essenze sotili; [mentre l’espressione] “fno ai sotili” (s¥k≤maparyanta) [signifca] ‘comprendendo anche le essenze sotili’61; così trasmigra persino nei tre mondi al pari di una formica imprigionata su uno stecco.

“.senza esperire” (nirupabhoga), cioè privo di [qualsiasi efetiva] fruizione in quanto tale corpo sotile diviene in gra­do di sperimentare [solo] grazie all’acquisire le proprietà di azione atraverso lo sviluppo esteriore generato dal padre e dalla madre (cioè la corporeità fsica)62. Tale è il signifcato.

“.pervaso dai modi della esistenza”: più avanti (v. 43) e­nunceremo i ‘modi della esistenza’ (bhåva), quali il [compor­tamento conforme al] dharma, ecc., per cui “pervaso.” (adhi­våsitam) [signifca] saturato da loro.

“.dissolubile” (li√ga): [il veicolo sotile è così denominato in quanto] al tempo della dissoluzione universale (pralaya), esso, composto dall’intelleto e dagli altri [tattva] fno a quelli [che sono gli elementi] sotili, accompagnato dalle facoltà sensoriali, si dissolve nel Pradhåna; non [più] costreto alla

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peregrinazione esistenziale, continua ad esistere [per così dire allo stato potenziale nella Prak®ti] fno al tempo di una [nuo­va] manifestazione universale: esso, vincolato dal legaccio dell’obnubilamento [proprio] della Prak®ti, sussiste incapace di [qualsiasi] atività come quella di trasferirsi lungo il dive­nire esistenziale e altre; poi, al tempo di una [nuova] mani­festazione universale, riprende a trasmigrare. Per questo il [corpo] sotile è [deto] ‘dissolubile’63.

Qal è lo scopo per il quale l’insieme organico costituito di tredici sensi trasmigra?

A questa domanda [l’Autore] risponde così:

41. Come una rafgurazione [non esiste] senza un sostrato, [o] un’ombra senza un palo, ecc., tal quale non esiste senza i [costituenti] non-specifici il dissolubile [se] privo di un sostrato.

“Come una rafgurazione” non esiste “senza un sostrato”, per esempio un muro, o “un’ombra” non esiste “senza un pa­lo, ecc.”, come un piolo, ecc., cioè non può aversi a prescinde­re da loro. Dicendo “ecc.” (ådi) si intende [anche un’altra tipo­logia di esempi, in cui un ente coesiste con la proprietà che lo contraddistingue e ne esprime la natura]: come non vi è ac­qua senza fresco né fresco senza acqua e, allo stesso modo, il fuoco senza calore, l’aria senza contato, lo spazio senza e­stensione o la terra senza odore. Atraverso questa esemplif­cazione [si comprende che il dissolubile] “non esiste senza i [costituenti] non-specifci”, cioè privo delle essenze sotili che sono non-specifche64. Dunque, gli elementi [grossolani] ven­gono deti essere ‘specifci’ e il corpo [grossolano o fsico-denso] è formato dai cinque elementi [grossolani].

Ora, senza il corpo [fsico] fato di [costituenti] specifci, dove potrebbe situarsi la sede del dissolubile (il corpo sotile)? Dove altro dimorerebbe quello stesso [corpo sotile] che ha abbandonato un corpo [fsico]?

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Esso è “privo di un sostrato” (nira©raya), vale a dire chel’insieme organico consistente dei tredici sensi è il dissolubileprivo di sostrato65.

Qal è il suo scopo?Si dice questo:

42. Motivato dal fne del Puru\a, questo dissolubile (il corposotile), grazie all’aderenza a causa ed efeto, in virtù dellaunione con la potenzialità della Prak®ti, sussiste manifestandosivariamente come [sul palcoscenico fa] un atore.

Il fne del Puru\a (la liberazione) è ciò che deve essere rea-lizzato: a tal fne il Pradhåna produce attività. E tale [fne delPuru\a] è di due specie: quello che consiste nella percezionedel suono e degli altri [oggetti] e quello che consiste nellapercezione della diferenza che intercorre tra il Puru\a stessoe i guãa [della Prak®ti]. La percezione del suono, ecc. è l’otte-nimento della fruizione dell’odore e degli altri [oggetti] neimondi di Brahmå e negli altri; la percezione della diferenzatra il Puru\a e i guãa è la liberazione. Per questo viene dettoche questo corpo sottile produce attività essendo motivato dal[conseguimento del] fne del Puru\a.

“.grazie all’aderenza a causa ed efetto”. La causa (nimi-ta) è per esempio il dharma, ecc., mentre l’efetto (naimittika)è per esempio il dirigersi in condizioni superiori [di esisten-za], ecc., e di ciò parleremo solo più avanti.

[L’espressione] “grazie all’aderenza” (prasa√gena) signifca‘essendo strettamente connesso’.

“.in virtù della unione con la potenzialità della Prak®ti”cioè del Pradhåna. Come un sovrano, nel suo proprio regno,qualunque cosa intenda fare, quella stessa pone in atto in vir-tù del [suo] potere, allo stesso modo “in virtù della unione(yoga) con la potenzialità” (vibhutva) della Prak®ti che è dap-pertutto, “grazie all’aderenza a causa ed efetto. sussiste ma-

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nifestandosi variamente.” (vyavati\†hate), cioè crea la condi-zione di esistenza per il dissolubile (il corpo sottile) manife-stantesi variamente nell’assumere ogni singolo corpo [grosso-lano].

Dunque, il dissolubile, cioè il corpo composto dalle essen-ze sottili, che sono [come] particelle infnitesime di naturasottile (quindi non percepibili), accompagnato dall’insiemeorganico costituito dai tredici sensi, sussiste manifestandosivariamente nelle condizioni di nascita come essere umano,deva o animale.

Come [si manifesta.]?“.come [sul palcoscenico fa] un attore”. Come un attore

(na†a) che, entrato inizialmente sul palco in date vesti, e mo-stratosi dapprima come un deva, successivamente ne esce e[con altre vesti appare] quindi un uomo, poi ancora [vi rien-tra come] un bufone, così il dissolubile, penetrando all’inter-no del ventre [materno] grazie all’aderenza a causa ed efetto,diviene [ora] un elefante, [ora] una donna, [ora] un uomo [ecosì via]66.

È stato detto che il dissolubile trasmigra in quanto perva-so (vale a dire assorbito o impregnato) dai modi della esisten-za. Qali sono tali modi della esistenza?

[L’Autore] aferma:

43. I modi della esistenza, consistenti nella virtù, ecc., sonoinnati, naturali e prodoti. Essi sono constatati in quanto dimo-ranti nel senso, mentre l’embrione e gli altri [enti sono constata-ti in quanto] dimoranti nell’efeto.

“I modi della esistenza” (bhåva) sono ritenuti essere di trespecie: “innati, naturali e prodotti”67.

Tra loro, quelli ‘innati’ (o ‘di per sé assolutamente perfet-ti’, såµsiddhika) sono come i quattro aspetti dell’essere che simanifestarono tutti insieme per Kapila allorché veniva all’esi-

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stenza al tempo della manifestazione originaria e cioè: virtù,conoscenza, distacco e potere.

Qelli ‘naturali’ (pråk®tika) vengono così enunciati: Sana-ka, Sanandana, Sanåtana e Sanatkumåra erano i quattro fglidi Brahmå; questi [succitati] aspetti dell’essere vennero a ma-nifestarsi tutti e quattro insieme per i loro corpi [perenne-mente] sedicenni formatisi in virtù [della legge] di causa edefetto, per cui questi [a loro appartenenti] sono [ritenuti es-sere] quelli naturali.

Similmente, per quanto riguarda quelli ‘prodotti’ (vaik®ti-ka), per esempio, la conoscenza, per noi e altri [esseri simili],sorge in quanto ha causa nella forma [corporea] del maestro;dalla conoscenza [discende] il distacco, dal distacco la virtù edalla virtù il potere.

Ora, anche la forma [corporea] del maestro è un prodotto[della Prak®ti], per cui questi modi della esistenza vengonodetti ‘prodotti’.

Il dissolubile [corpo sottile] trasmigra essendo da loro per-vaso68.

Qesti quattro modi della esistenza sono impregnati disatva. Qelli impregnati di tamas sono gli opposti; a tale ri-guardo è stato spiegato: «.questa è la [sua] natura caratteriz-zata dal satva; quella caratterizzata dal tamas è del tutto op-posta a questa» (Såµ. Kå. 23).

Così [in totale i modi della esistenza] sono otto: virtù, co-noscenza, distacco, potere, mancanza di virtù, ignoranza, at-taccamento e assenza di potere.

Dove si trovano gli otto modi della esistenza?“Essi sono constatati in quanto dimoranti nel senso”. Il

senso (karaãa) è l’intelletto (buddhi): in quello dimorano. [In-fatti] è stato detto: «L’intelletto è determinazione, virtù, cono-scenza.» (Såµ. Kå. 23)69.

L’efetto è il corpo fsico (deha); l’embrione e gli altri [en-ti], che sono stati defniti come ‘generati da una matrice’, di-

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morano in quello. Qando avviene l’unione del seme con ilsangue, allora l’embrione e gli altri, cioè i vari stadi da quelloembrionale iniziale fno al feto, vengono a prodursi attraversouno sviluppo successivo (viv®ddhi); quindi si susseguono lefasi dell’infanzia, della giovinezza e della vecchiaia, ecc. comeprodotti della essenza del cibo e delle bevande [ingeriti]. Perquesto sono detti ‘dimoranti nell’efetto’ (kåryå©rayin), inquanto vengono generati come prodotti della fruizione di og-getti come il cibo, ecc.

Riguardo a quanto è stato detto [prima]: «.grazie all’ade-renza a causa ed efetto» (Såµ. Kå. 42), si aferma:

44. Con il dharma [si ha] un procedere verso l’alto, un pro-cedere verso il basso si verifca [invece] con l’adharma; con laconoscenza si ha l’emancipazione, mentre dal [suo] contrario èimposto il legame.

“Con il dharma [si ha] un procedere verso l’alto”. Appli-cando lo strumento del dharma ci si porta verso l’alto. [L’e-spressione] ‘verso l’alto’ (¥rdhvam) comprende otto regioni, eprecisamente: quella di Brahmå, quella di Prajåpati, quella diSoma, quella di Indra, quella dei Gandharva, quella degli Ya-k\a, quella dei Råk\asa e quella dei Pi©åca; là va il corpo sot-tile70.

In [forme quali quelle di] animali domestici, animali sel-vatici, uccelli, rettili ed esseri immobili [si rinasce quando si èoperato] con lo strumento che è l’adharma.

Inoltre “con la conoscenza si ha l’emancipazione”, laddovela conoscenza (jñåna) signifca la conoscenza dei venticinquetatva. Con tale strumento si ha l’emancipazione, cioè la libe-razione; allora il corpo sottile cessa di esistere: [quello stato]viene detto ‘supremo åtman’.

“.dal [suo] contrario è imposto il legame”. Lo strumento èl’ignoranza (ajñåna) e quello stesso legame (bandha) è un

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prodotto (naimitika) che può essere relativo alla Prak®ti, con-cernente i suoi derivati (vaikåriko) o associato ai rituali (då-k\i~ika): ciò verrà esposto più avanti. E questo è [il senso ulti-mo di] quanto è stato afermato: «Qegli che è vincolato daltriplice legame, cioè sia da quello relativo alla Prak®ti, sia,ugualmente, da quello relativo ai suoi derivati, sia da quellorelativo ai rituali, non può essere liberato da alcun altro [stru-mento]».

Così [si comprende che] vi è qualche altro mezzo:

45. Dal non-ataccamento [si ha] il dissolvimento della Pra-k®ti, dall’ataccamento appassionato deriva la trasmigrazione;dal potere [si ha] l’assenza di impedimenti, dal contrario [si ha]l’opposto.

Per esempio, per qualcuno può esservi il non-attaccamen-to (vairågya) ma non la conoscenza dei princìpi: [proprio] daquello, “Dal non-attaccamento”, preceduto [però] dalla cono-scenza, “[si ha] il dissolvimento della Prak®ti” (prak®tilaya):una volta morto, [quegli che ha solo il non-attaccamento] sidissolve negli otto princìpi produttivi (prak®ti), cioè nel Pra-dhåna, nell’intelletto, nel senso dell’io e nei [cinque] princìpi[che sono le essenze] sottili (tanmåtra), [ma per lui] non vi èliberazione, per cui deve ancora trasmigrare71. L’attaccamentoappassionato (råjasaråga) è [quando si pensa] così: ‘io compioi [prescritti] riti sacrifcali e [durante il loro svolgimento]ofro doni rituali, per cui sia qui che nell’altro mondo godrò lafelicità, tanto umana che divina’. Da questo, cioè “dall’attac-camento appassionato deriva la trasmigrazione”.

Similmente, “dal potere [si ha] l’assenza di impedimenti”(avighåta). Si è detto [nel Commento al verso 23] che questopotere consiste di otto specifcità, come [la capacità di] assu-mere una dimensione infnitesima, ecc. Da questo strumentoche è il potere discende l’efetto consistente nell’assenza di

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impedimenti. Tale potere, dalla condizione di Brahmå in poi,non verrà ostacolato [da alcunché].

E vi è dell’altro: “.dal contrario [si ha] l’opposto”. L’op-posto dell’assenza di impedimento consiste nell’essere osta-colati: a causa della mancanza di potere, si viene ostacolati inogni circostanza. Così è stato spiegato l’efetto, consistente disedici parti, insieme con le [varie e rispettive] cause. Si espo-ne adesso qual è la sua natura.

46. Qesta è la manifestazione del contenuto conoscitivo,denominata: opposizione, incapacità, contentamento e consegui-mento. A causa del divario tra i princìpi qualitativi, dovuto alla[loro] sostanziale diferenza, in efeti le sue varietà [si presen-tano] in cinquanta modalità.

Poiché la distinzione dell’efetto e della causa come as-sommante a sedici [parti, v. 22] è già stata spiegata, [ora] sienuncia “Qesta” che “è la manifestazione del contenuto co-noscitivo” (pratyayasarga). Il ‘contenuto conoscitivo’ (pratya-ya) corrisponde all’intelletto (buddhi), [ciò] essendo stato e-nunciato [nei termini]: «L’intelletto è determinazione, virtù,conoscenza.», ecc. (Såµ. Kå. 23), e tale manifestazione delcontenuto conoscitivo si suddivide quadruplicemente per viadella distinzione in “opposizione, incapacità, contentamento econseguimento”72.

Tra questi la ‘opposizione’ (viparyaya) è rappresenta daldubbio (saµ©aya) ovvero dall’ignoranza (ajñåna), come quan-do, alla vista di una sagoma eretta, a qualcuno sorge il dubbio:‘quello potrebbe essere un tronco oppure un uomo’.

La ‘incapacità’ (a©akti), invece, è quando, per esempio, puravendo distinto chiaramente quel medesimo tronco, egli nonè capace di rimuovere il dubbio: questa è l’incapacità.

Ugualmente la terza denominazione è ‘contentamento’(tu\†i). Qando [qualcuno] non intende conoscere quello stes-

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so tronco né dubitare [al riguardo pensando]: ‘che cosa im-porta?’, questo è il contentamento.

La quarta denominazione è ‘conseguimento’ (siddhi), e siha quando colui, i cui sensi sono pacifcati, nota un rampican-te o un uccello posato sulla sagoma eretta: allora per lui si hail conseguimento [della conoscenza certa nei termini]: ‘questoè un tronco’.

Così, per via del “divario tra i princìpi qualitativi, dovutoalla [loro] sostanziale diferenza, invero le sue varietà”, [cioèle diverse forme] della manifestazione del contenuto conosci-tivo, “[si presentano] in cinquanta modalità”.

Qesto stesso divario (vimarda) consiste proprio nella to-tale diferenza di natura (vai\amya) [che sussiste] tra i guãa,cioè tra il satva, il rajas e il tamas, ed è tramite esso che levarietà della manifestazione del contenuto conoscitivo diven-tano cinquanta, in quanto talora predomina il satva, mentreil rajas e il tamas restano inerti, talora [predomina] il rajas[per cui.], talora il tamas [con le gradazioni intermedie chene discendono]73.

Vengono ora enunciate le [succitate] varietà [relative allamanifestazione del contenuto conoscitivo].

47. Le distinzioni dell’impedimento sono cinque; l’incapaci-tà, a causa della inadeguatezza dei sensi, consta di ventoto di-stinzioni; il contentamento è di nove [specie]; il conseguimento èdi oto specie

74.

“Le distinzioni dell’impedimento sono cinque”: annebbia-mento (tamas), ofuscamento mentale (moha), grande confu-sione mentale (mahåmoha), oscurità (tåmi©ra) e cieca tenebra(andhatåmi©ra). Poco più avanti sarà esposta la natura molte-plice di queste distinzioni. Invece le distinzioni della incapa-cità sono ventotto “a causa della inadeguatezza dei sensi” (ka-raãavaikalya). Esporremo [poi] anche loro.

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Similmente, “il contentamento è di nove specie”. Le cono-scenze caratterizzate dal rajas ineriscono all’¥rdhvasrotas

75.In maniera simile, “il conseguimento è di otto specie”:

[anche] in questo caso le conoscenze caratterizzate dal satvaineriscono [peculiarmente] all’¥rdhvasrotas. Ciò [l’Autore] e-sporrà afatto ordinatamente. A tale riguardo vengono [ora]enunciate le distinzioni dell’impedimento [nell’ordine elen-cato nel Commento]:

48. La distinzione dell’annebbiamento è di oto specie e an-che quella dell’ofuscamento mentale; di dieci specie è la grandeconfusione mentale. L’oscurità è di dicioto specie e così è la cie-ca tenebra.

Innanzitutto “La distinzione dell’annebbiamento è di ottospecie”. La dissoluzione totale [dell’universo, pralaya] si di-stingue totalmente [dal resto] a causa della ignoranza (ajñå-na). Colui che si riassorbe negli otto [princìpi] prak®tici, cioènel Pradhåna, nell’intelletto, nel senso dell’io e nei cinquetanmåtra, ritiene che lui stesso [come principio cosciente opuru\a] stia dissolvendosi in loro, per cui [crede]: ‘io sono li-berato’; questa è la varietà dell’annebbiamento [impregnata]di tamas.

Una [analoga] varietà si ha [anche] per l’ofuscamentomentale ottuplice, vale a dire che anch’essa è di otto specie.Laddove vi è il divino potere dalle otto qualità (v. 23 e Com-mento), a motivo dell’attaccamento ad esso, deva come Indrae gli altri non conseguirono la liberazione; poi, alla distruzio-ne di tali [poteri], essi presero di nuovo a trasmigrare. Qestoè l’ottuplice ofuscamento mentale.

“Di dieci specie è la grande confusione mentale”. Il suono,il contatto, la forma, il sapore e l’odore: questi cinque oggetticaratterizzati dal piacere appartengono ai deva; questi stessicinque oggetti, quali il suono e gli altri, appartengono anche

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agli esseri umani. Così la grande confusione mentale [dovutaalla loro percezione fuorviante] inerisce a questi dieci [og-getti].

“L’oscurità è di diciotto specie”: il divino potere, che è ot-tuplice, e i dieci oggetti visibili (percepibili dagli esseri umani)e [solo] udibili (in quanto percepibili soltanto dai deva). [Gliesseri, divini e umani] si rallegrano per la [loro] acquisizionee il [loro] possesso, mentre si rattristano per la [loro] perdita:questa alternanza relativamente a tali diciotto specie è l’oscu-rità. Come l’oscurità consiste nel divino potere, che ha ottoqualità, e nei dieci oggetti visibili e udibili (relativi alla perce-zione umana e divina rispettivamente), “così è” anche “la cie-ca tenebra” in quanto la [sua] varietà è ancora di diciotto spe-cie. Invero, quando quegli stesso muore durante il godimentoche si ha al pieno possesso degli oggetti, ovvero decade daldivino potere dalle otto qualità, allora si manifesta per lui unagrande soferenza: tale è la cieca tenebra. Così le cinque va-rietà del contenuto conoscitivo, a cominciare dall’annebbia-mento, sono state singolarmente suddivise fno ad arrivare asessantadue varietà.

Si recitano [ora] le varietà della incapacità.

49. Le carenze degli undici sensi, insieme con le carenze del-l’intelleto, sono indicate come incapacità. Le carenze dell’intel-leto sono diciassete, [e derivano] dall’impedimento del conten-tamento e del conseguimento.

Così [da quanto si legge nel verso] si è indicato che le va-rietà della incapacità, dovute alla inadeguatezza dei sensi, so-no [in tutto] ventotto. Al riguardo “Le carenze degli undicisensi.” sono: la sordità, la cecità, la paralisi delle membra,l’alterazione del gusto, la perdita dell’olfatto, la perdita dellaparola, la mutilazione degli arti, la deambulazione menomata,l’incapacità a emettere i fuidi corporei e la demenza.

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“.insieme con le carenze dell’intelletto, sono indicate co-me incapacità”, cioè [le carenze degli undici sensi che] sono[enumerate] unitamente a quelle che sono le carenze dell’in-telletto, divengono le ventotto varietà della incapacità. “Le ca-renze dell’intelletto sono diciassette.”. Qeste diciassette ca-renze [sono classifcate] secondo l’inverso delle varietà delcontentamento e delle varietà del conseguimento. Le varietàdel contentamento sono nove, le varietà del conseguimentosono otto; quelle che sono le undici carenze [dei sensi vannoconsiderate] insieme con gli opposti [di quelle anzidette], percui la incapacità ha ventotto espressioni.

“.[e derivano] dall’impedimento del contentamento e delconseguimento”: la successione [della formazione] di tali va-rietà deve essere certamente compresa. A tale riguardo si e-spone il contentamento in quanto di nove tipi.

50. Qelli interni a sé stessi sono quatro, defniti come: laPrak®ti, gli strumenti, il tempo e la sorte; quelli esterni, [deri-vanti] dal ritiro dalla oggetività, sono cinque. [Così] i contenta-menti vengono indicati come nove.

“Qelli interni a sé stessi sono quattro” [tipi di] contenta-menti – [l’aggettivo] ‘interni a sé’ (ådhyåtmika) [signifcache] la [loro] esistenza è all’interno di sé stessi – ed essi sono“defniti come: la Prak®ti, gli strumenti, il tempo e la sorte”.

Tra loro, [ecco] quelli defniti come la Prak®ti. Ad esempio,qualcuno potrebbe conoscere la Prak®ti e la sua natura, sia inquanto dotata dei princìpi qualitativi sia in quanto priva deiprincìpi qualitativi; pertanto, conoscendo chiaramente un so-lo principio (tatva) con il suo efetto, egli è appagato [di ciò]:per lui non vi è liberazione. Qesto è quello defnito come[relativo alla] Prak®ti.

[Ecco] quello denominato come ‘strumenti’ (upådåna).Qando qualcuno, non conoscendo afatto i princìpi, opera

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comunque l’acquisizione degli strumenti [pensando]: ‘la libe-razione [sarà conseguita] tramite i tre [strumenti] come il ba-stone, la ciotola e l’intensa aspirazione a conoscere’: neancheper lui può esservi liberazione. Qesto è quello [dei contenta-menti] denominato ‘gli strumenti’.

Simile è il [contentamento denominato] ‘tempo’ (kåla).[Per quegli che vi aderisce, sorge il pensiero] ‘nel tempo la li-berazione avverrà [comunque]; a che scopo la concentrazionecontinua sui [vari] princìpi? ’, per cui egli è appagato [di ciò]:neanche per lui vi è liberazione.

In modo analogo è la [forma di contentamento] denomi-nata ‘sorte’ (bhågya) [e si ha quando si pensa]: ‘solo per buo-na sorte si verifcherà la liberazione’. Qesta è la [forma]chiamata ‘sorte’. Così il contentamento è di quattro forme.

Inoltre, “quelli esterni, [derivanti] dal ritiro dalla oggetti-vità, sono cinque”, cioè: le forme di contentamento [legate afattori] esteriori sono cinque [e dipendono] dal ritiro [di séstessi] dalla oggettività perché, da parte di colui che si è riti-rato da [oggetti di percezione quali] suono, contatto, forma,sapore e odore, vi è la constatazione di [come essi cagioninodiverse forme di soferenza dovute a] guadagno, perdita, di-struzione, attaccamento e violenza. A causa [della idea] della[propria] prosperità, si devono efettuare la cura del bestiame,il commercio, l’accettazione di doni e il rendere servigi vari:questo, che è il guadagno, è [dunque fonte di] soferenza. Poivi è il dolore [che si sperimenta] alla esigenza di salvaguarda-re quanto è stato acquisito mentre, quando viene ad esaurirsiil godimento [di ciò], si ha la soferenza dovuta alla [sua] di-struzione. Similmente, una volta creatosi l’attaccamento neiconfronti del godimento degli oggetti, non può esservi pacif-cazione per i sensi: questo è il difetto dell’attaccamento. U-gualmente [si può erroneamente credere che] senza uccidereesseri viventi [in sacrifci animali] non può aversi la fruizione[delle cose desiderate]: questo è il difetto della violenza.

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Così, dalla constatazione dei difetti insiti nell’acquisizione,ecc., e quindi dal ritiro dalla quintuplice oggettività, si hannole cinque forme di contentamento. In questo modo, dalla di-stinzione tra quelle interne a sé stessi e quelle esterne, sihanno nove forme di contentamento. I loro nomi vengonocosì enunciati in un’altra Scrittura: ‘l’acqua in quanto sostan-za (ambhas), l’acqua in quanto instabile (salila), l’acqua cometorrente vorticoso (ogha), l’acqua come pioggia (v®\†i), l’acquasotterranea o scorsa via (s®tama, sutama), l’acqua in quantoestesa fno all’altra sponda (påra), l’acqua facile da governare(sunetra), l’acqua come entità sacra (nårika) e l’acqua qualeessenza liquida senza superiore (anutamamåmbhasikam)’76.

I contrari di queste forme di contentamento, in virtù delladistinzione tra le [rispettive] incapacità, costituiscono le im-perfezioni dell’intelletto, nel senso che le manchevolezze inrelazione all’intelletto sono: l’opposto dell’acqua in quantosostanza, l’opposto dell’acqua in quanto instabile, l’oppostodell’acqua in quanto torrente vorticoso, ecc. che, in ragionedella [loro] natura del tutto opposta, sono le carenze dell’in-telletto.

Si descrive ora il conseguimento [nella sua integralità].

51. La rifessione, l’istruzione orale, lo studio, la triplice eli-minazione della soferenza, l’acquisizione di amici e la genero-sità: sono gli oto conseguimenti. Il precedente [gruppo di impe-dimenti, incapacità e contentamenti] sono la triplice picca per ilconseguimento.

“La rifessione” (¥ha) è quando qualcuno di continuo ri-fette così: ‘qual è, qui (in questa esistenza terrena), la verità?che cosa c’è al di là [di tale esistenza]? qual è il sommo Bene?compiendo che cosa sarò quegli che ha raggiunto il [proprio]fne?’. Per colui che così ragiona sorge la conoscenza: ‘il Pu-ru\a è afatto distinto dal Pradhåna, distinto [dal Pradhåna] è

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l’intelletto e altro [da questo] è il senso dell’io, distinti [da lo-ro] sono i princìpi sottili, i sensi e i cinque elementi grossola-ni’. In tal modo sorge la conoscenza della Realtà grazie a cui siinvera la liberazione. Qesta [consapevolezza] è il primo con-seguimento (siddhi), quello chiamato ‘rifessione’.

Similmente, dalla conoscenza derivante dalla istruzioneorale si ha la conoscenza avente per oggetto il Pradhåna, ilPuru\a, l’intelletto, il senso dell’io, i princìpi sottili, i sensi e icinque elementi grossolani, da questa [si ha] la liberazione:questo è il conseguimento chiamato ‘istruzione orale’ (©abda).

Dallo ‘studio’ (adhyayana), cioè dallo studio di Scritturecome i Veda e altre, ottenendo [con ciò] la conoscenza deiventicinque tatva, si consegue la liberazione, e questo è ilterzo conseguimento.

Poi vi è “la triplice eliminazione della soferenza” (du¢kha-vighåtatraya). Avvicinandosi ed entrando in contatto con unistruttore spirituale (guru) al fne di eliminare il triplice doloredovuto a fattori interni, a fattori esterni naturali e a fattoridivini, da tale istruzione si consegue la liberazione. Qesto èil quarto conseguimento e, in virtù della distinzione relativaal triplice dolore, deve essere considerato esso stesso cometriplice, per cui si hanno [fn qui] sei conseguimenti.

Similmente è “l’acquisizione di amici” (suh®tpråpti). Adesempio, qualcuno consegue la liberazione ottenendo la cono-scenza da un amico: questo è il settimo conseguimento.

[Infne] vi è “la generosità” (dåna). Ad esempio, prenden-dosi cura degli asceti venerabili con il procurar loro alloggio,medicamenti, bastoni a tre punte, ciotole, ecc. e cibo, vesti,ecc., ottenuta da loro la conoscenza, si consegue la liberazio-ne. Qesto è l’ottavo conseguimento.

Di questi [stessi] otto conseguimenti, in un’altra Scritturaviene [così] espressa la loro denominazione: luminoso (tåra),brillante (sutåra), luce della luce (tåratåra), perfetta felicità oesaltazione gioiosa (pramoda), perfettamente allietato (pramu-

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dita), ciò che allieta perfettamente (pramodamåna), ciò chedispensa beatitudine (ramyaka), ciò che è in eterno perfetta-mente allietato (sadåpramudita)77.

Si deve comprendere che quelli che sono i [rispettivi] op-posti, cioè le imperfezioni dell’intelletto dovute al contrario diquesti [conseguimenti], devono includersi nella incapacità,come l’assenza di luminosità, il non brillare, il non essere lucedella luce, ecc.

Le diverse forme di incapacità sono state enunciate comeventotto: esse sono le imperfezioni degli undici sensi unita-mente alle imperfezioni dell’intelletto. Tra loro, nove sono icontrari dei contentamenti e otto i contrari dei conseguimen-ti, per cui queste imperfezioni dell’intelletto assommano a di-ciassette; le [undici] imperfezioni dei sensi [prese] insiemecon queste formano le ventotto diverse forme di incapacitàenunciate in precedenza.

In questo modo sono state giusto completate la esposi-zione e la descrizione dell’impedimento, della incapacità, delcontentamento e del conseguimento.

Ma vi è dell’altro.“Il precedente [gruppo di impedimenti, incapacità e con-

tentamenti] sono la triplice picca per il conseguimento”.Qelli che sono l’impedimento, l’incapacità e il contentamen-to, i quali precedono il conseguimento, sono [come] una piccaper il conseguimento stesso; dalla sua distinzione [si desumeche] anch’essa è triplice.

Come un elefante, controllato per mezzo della picca, vienedominato, così chiunque al mondo, venendo tenuto sottocontrollo da impedimento, incapacità e contentamento, pro-cede nell’ignoranza.

Perciò, il conseguimento deve essere onorato abbando-nando del tutto questi [ostacoli, perché] dal conseguimentoottenuto sorge la conoscenza della realtà, da questa la libe-razione.

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Dunque, è stato detto: «Il dissolubile. (trasmigra senza e-sperire [ma]) pervaso dai modi della esistenza» (Såµ. Kå. 40).Al riguardo, gli otto modi della esistenza, come la virtù e glialtri, sono stati enunciati quali trasformazioni dell’intelletto[ulteriormente] trasformate in impedimento, incapacità, con-tentamento e conseguimento: tale è la manifestazione del con-tenuto conoscitivo denominata ‘modo della esistenza’ (bhåva).È stato anche detto che il dissolubile (il corpo sottile) rappre-senta la creazione degli elementi sottili che ha termine con lequattordici specie di esseri. In proposito, stante che il conse-guimento del fne [supremo] del Puru\a [si realizza] grazie auna sola creazione, a che scopo una doppia creazione?

A ciò [l’Autore] replica:

52. Senza i modi della esistenza non c’è corpo sotile, né,senza corpo sotile, vi è origine per i modi della esistenza. Per-tanto la creazione si sviluppa in modo duplice: [quella] denomi-nata ‘corpo sotile’ e [quella] denominata ‘modi della esistenza’.

“Senza i modi della esistenza”, che sono la manifestazionedel contenuto cognitivo, “non c'è corpo sottile”, ossia [non siha] la creazione degli elementi sottili, perché l’ottenimento diogni successivo corpo è determinato dagli invisibili semi atti-vi [prodottisi] in consecutive esistenze precedenti; “né, senzacorpo sottile”, cioè [senza] la creazione degli elementi sottili,“vi è origine per i modi della esistenza”, perché la virtù e glialtri [modi della esistenza] si possono attuare [solo] per mez-zo del corpo grossolano e sottile78. Inoltre, dato che la creazio-ne è priva di inizio, la dipendenza reciproca [di corpo sottile emodi di esistenza] è come [il rapporto che vige tra] il seme eil germoglio, per cui [ammettendola] non si incorre in alcunaincongruenza; questo perché singoli enti individuati, pur es-sendo in funzione delle rispettive classi [di generazione eappartenenza], non dipendono [necessariamente] l’uno dal-

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l’altro79. “Pertanto la creazione si sviluppa in modo duplice:[quella] denominata ‘corpo sottile’ e [quella] denominata‘modo della esistenza’”.

Vi è ancora dell’altro.

53. Otuplice manifestazione è quella divina, la nascita [informa] animale si presenta quintuplice mentre quella umana èdi una sola specie. In sintesi questa è la triplice creazione.

In tale contesto, è di otto forme (prakåra) “quella divina”(daiva): [la forma] relativa a Brahmå, quella relativa a Prajå-pati, quella relativa a Soma, quella relativa a Indra, quella re-lativa ai Gandharva, quella relativa agli Yak\a, quella relativaai Råk\asa e quella relativa ai Pi©åca

80. Animali domestici, ani-mali selvatici, volatili, rettili e serpenti ed esseri immobili:così è la quintuplice [creazione] concernente gli animali. Lanascita [in forma] umana è solamente una. Così [le forme chehanno] gli esseri sono quattordici.

Anche nei tre mondi (le sfere di esistenza succitate) vi è la[pervasione da parte della] terna dei guãa.

Si espone ora qual è quello che prevale e dove.

54. In alto sovrabbonda di satva, in basso la creazione so-vrabbonda di tamas, nel mezzo sovrabbonda di rajas. [È così]da Brahmå fno agli enti inerti.

“In alto.”, nelle otto regioni dei deva, [la creazione] “so-vrabbonda di satva”, cioè vi è prevalenza del satva, predomi-nio del satva, superiorità del satva, per quanto sono presenticolà anche il rajas e il tamas; “in basso (la creazione) sovrab-bonda di tamas”: dagli animali domestici fno agli enti inertila intera creazione è pervasa dalla prevalenza del tamas, perquanto anche colà sono presenti il satva e il rajas.

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“.nel mezzo”, cioè nel mondo umano, è predominante ilrajas, ma anche lì esistono il satva e il tamas. Per questo gliesseri umani sono notevolmente soferenti.

[L’espressione] “da Brahmå fno agli enti inerti” signifca:‘da Brahmå fno agli esseri immobili’.

Così [vi sono]: la creazione indipendente dagli elementi, lacreazione del dissolubile (il corpo sottile), la creazione deimodi della esistenza, la creazione degli elementi, [creazioni]che [considerate nel loro insieme] danno origine a esseri divi-ni, esseri umani e animali; questa è la creazione prodotta dalPradhåna, che consiste di sedici diverse modalità81.

55. Colà il Puru\a, il quale è consapevole, esperisce la sofe-renza causata dalla vecchiaia e dalla morte, fno alla totale ces-sazione del corpo sotile: è da quello che [si genera] il dolore,atraverso la sua propria natura.

“Colà.”, cioè in quelle nascite in forma di deva, esseri u-mani e animali, “il Puru\a, il quale è consapevole” (cetana),cioè dotato della coscienza (caitanya), “esperisce la soferenzacausata” sia “dalla vecchiaia” che, anche, “dalla morte”, [men-tre tale soferenza non la esperiscono] né il Pradhåna, né l’in-telletto, né il senso dell’io, né gli elementi sottili o i sensi enemmeno gli elementi grossolani.

Per quanto tempo il Puru\a sperimenta la soferenza?[L’Autore così lo] spiega: “.fno alla totale cessazione del

corpo sottile”. Qello che è l’intelletto, ecc., essendo entratonel corpo sottile, lì [stesso] diviene manifesto ed esso noncessa fn quando vi è il corpo di trasmigrazione (il corpo sotti-le): fno ad allora, in breve, il Puru\a sperimenta il dolore pro-dotto dall’invecchiamento e dalla mortalità nelle tre condizio-ni di esistenza, fno alla totale cessazione del corpo sottile,cioè fnché non si ha la defnitiva soluzione del corpo sottile.Alla cessazione del corpo sottile si avrà la liberazione e, quan-

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do è conseguita la liberazione, non esiste più [alcuna formadi] soferenza; e, ancora, grazie a che cosa [il corpo sottile]cessa di esistere?

Qando vi sarà la conoscenza delle venticinque categorie,consistente nella percezione separata del Puru\a e della esi-stenza (satva), [tale che si possa riconoscere appieno]: ‘que-sto è il Pradhåna, questo è l’intelletto, questo è il senso dell’io,questi sono i cinque elementi, e il Puru\a è altro e del tutto di-stinto da loro’. Così dalla conoscenza si ha la cessazione delcorpo sottile, da questa la liberazione82.

Per la Prak®ti, qual è la causa in relazione all’impegno[manifestante]?

Si dice:

56. È così: questo impegno profuso nell’opera della Prak®ti,[che si esprime nella manifestazione della totalità] dall’intel-leto fno ai diferenti elementi, ha lo scopo della totale libera-zione di ogni singolo puru\a, per cui è [compiuto] per il fne diun altro, per quanto è [visto] come se fosse per il proprio fne.

[L’espressione] “È così: questo.” (itye\a¢) è [impiegata]sia per descrivere [riassuntivamente un argomento] sia peresprimere la [sua] completa conclusione.

“.nell’opera della Prak®ti” signifca: nell’attività [svolta daparte] della Prak®ti; dunque: “(questo) impegno” (årambha) nel-l’attività esplicata da parte della Prak®ti “[che si esprime nellamanifestazione della totalità] dall’intelletto fno ai diferentielementi.” – [come detto] l’intelletto [deriva] dalla Prak®ti, ilsenso dell’io [.] dall’intelletto, da lui gli elementi sottili e gliundici sensi e dagli elementi sottili i cinque elementi grosso-lani. Dunque, “È così: questo impegno. ha lo scopo della to-tale liberazione di ogni singolo puru\a”, cioè è fnalizzato allacompleta emancipazione e [viene svolto] nei confronti di ogni

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singolo puru\a, tra coloro che hanno assunto una condizionedi dèi, esseri umani o animali.

In che modo?“(.questo) impegno. è [compiuto] per il fne di un altro

(parårtha) per quanto è [visto] come se fosse per il proprio f-ne (svårtha iva)”. Come qualcuno, tralasciando il proprio sco-po, compie delle attività per un amico, così è il Pradhåna. Inquesto caso il Puru\a non rende nulla come controparte alPradhåna, per cui è [solo] “come se fosse per il proprio fne”[del Pradhåna], e non già [realmente] per il proprio fne, men-tre “è [compiuto]” soltanto “per il fne di un altro”. Il fne è lapercezione degli oggetti quali il suono e gli altri e la compren-sione della sostanziale distinzione tra il Puru\a e i guãa: neitre mondi, infatti, i Puru\a debbono [dapprima] volgersi versogli oggetti come il suono, ecc. [onde espletare le dovute espe-rienze] e, dopo, [votarsi solo] alla liberazione. Così è l’azionedel Pradhåna e, in tal senso, è stato detto: «Il Pradhåna è co-me un recipiente: portato a compimento lo scopo del Puru\a,cessa di esistere».

Obiezione: Al riguardo [si può obiettare che] il Pradhåna èprivo di consapevolezza, mentre il Puru\a è consapevole. Co-me potrebbe aversi [da parte del Pradhåna inconsapevole] unagire come [quello di] un ente dotato di consapevolezza [edesprimibile nei termini]: ‘io devo congiungere il Puru\a conoggetti come il suono, ecc. nei tre mondi e, dopo, devo opera-re la [sua] liberazione’?

Risposta: Vero, ma sia l’attività, che la non-attività, vieneconstatata anche per enti inconsapevoli, per cui [l’Autore] dice:

57. Come la funzione del late, che è privo di consapevolez-za, consiste nel determinare la crescita del vitello, allo stessomodo la funzione del Pradhåna è fnalizzata alla perfeta libe-razione del Puru\a.

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Come l’erba, ecc. mangiata dalla mucca e trasformatasi informa di latte determina “la crescita del vitello” e, una voltache il vitello è cresciuto, cessa di agire, così l’attività di un[ente] non-consapevole, qual è, appunto, il Pradhåna, “è fna-lizzata alla perfetta liberazione del Puru\a”.

E inoltre,

58. Come chiunque al mondo si impegna nelle atività al f-ne di estinguere il desiderio, tal quale il manifestato si impegnaallo scopo della perfeta liberazione del Puru\a.

“Come chiunque al mondo”, quando vi è il desiderio versouna cosa ambita, “si impegna nelle attività al fne di estingue-re” quello, in attività quali l’andare e il venire, mentre cessa diagire una volta compiuto ciò che era da farsi, allo stesso modoil Pradhåna, “allo scopo della perfetta liberazione del Puru\a”,cioè una volta compiuto il fne del Puru\a, anch’esso duplicein quanto consistente sia nella fruizione di oggetti quali ilsuono e gli altri sia nella comprensione della sostanziale di-stinzione del Puru\a dai guãa, cessa di agire.

E vi è dell’altro.

59. Come una danzatrice, dopo essersi esibita sul palco, ces-sa di danzare, così la Prak®ti, dopo aver rivelato sé stessa al Pu-ru\a, cessa defnitivamente di agire.

“Come una danzatrice, dopo essersi esibita sul palco” rap-presentando vicende sia dal sapore sentimentale, ecc. che dicarattere tradizionale, accompagnate da canti e musiche, as-solto il proprio compito “cessa di danzare, così” anche “laPrak®ti, dopo aver rivelato sé stessa al Puru\a” attraverso ladiferenziazione in [tatva quali] intelletto, senso dell’io, ele-menti sottili, sensi ed elementi grossolani, “cessa defnitiva-mente di agire”83.

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[L’Autore] espone ora in che modo, ovvero quale è la cau-sa che determina la cessazione di attività [da parte dellaPrak®ti].

60. Servendosi di molteplici mezzi, [la Prak®ti] è benefatricenei confronti dell’essere conscio (il Puru\a), che non [la] ri-cambia di favori; essa, dotata dei princìpi qualitativi, agiscesenza scopo [per sé stessa], ma per il vantaggio di quello che èdi per sé privo dei princìpi qualitativi.

“Servendosi di molteplici mezzi” la Prak®ti “è benefattricenei confronti dell’essere conscio”, cioè del Puru\a, “che non[la] ricambia di favori”.

In che modo?Assumendo le forme esistenziali di dèi, uomini e animali,

divenendo essenziata di piacere, dolore e illusione, per mezzodelle forme degli oggetti quali il suono e gli altri. Così, dopoaver rivelato sé stessa con molteplici mezzi [in un modo e-sprimibile, ad esempio, come]: ‘io (Prak®ti) sono distinta [date], tu (Puru\a) sei altro [da me]’, cessa di agire.

Qindi essa “.agisce”, cioè opera “senza scopo [per séstessa, apårthaka], ma per il vantaggio di quello” (il Puru\a) ilquale è eterno, come quegli che agisce per il bene di un qual-siasi altro [essere] mentre non ricerca benefcio per sé stesso.In questo senso [si dice che] la Prak®ti si attiva, si adopera peril fne del Puru\a ma senza scopo per sé stessa84.

In precedenza è stato asserito: «.dopo aver rivelato séstessa (al Puru\a), cessa defnitivamente di agire» (Såµ. Kå.59): ora, una volta che ha cessato di agire, che cosa fa [laPrak®ti]?

Così dice [l’Autore]:

61. Non vi è nulla più sfuggente della Prak®ti – questa è lamia convinzione – che, appena [avverte] ‘sono stata vista’, nonsi presenta più alla visione del puru\a.

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Al mondo “Non vi è nulla più sfuggente della Prak®ti”: così“è la mia convinzione”, attraverso cui [si comprende che essa]è [operante] in funzione dello scopo di un altro; la [mia]convinzione si è formata [proprio] così.

Perché?[Perché] “.appena [avverte]” io “sono stata vista” dal tale

puru\a, “non si presenta più alla visione” di questo essere co-sciente, vale a dire che esce dalla portata della visione [intel-lettuale] del puru\a. È a tale proposito che la si descrive come[ciò rispetto a cui non vi è nulla di] ‘più sfuggente’ (sukumå-ratara)85.

Alcuni afermano che il Signore (Ù©vara) è la causa [delcorso esistenziale degli enti]: «Qesta creatura ignorante èimpotente nei riguardi della propria gioia e soferenza: [essa]andrà al paradiso o all’inferno condottavi soltanto dal Signo-re» (Ma. Bhå. 3.30.88). Altri sostengono che [solo] la naturapropria [di ogni ente] è la causa: ‘Per quale [causa] il cigno èbianco e per quale [altra] il pavone variopinto? Solo per lapropria natura [di ciascuno di loro]’.

Al riguardo i maestri del Såµkhya si domandano: poichéÙ©vara

86 possiede una natura priva dei princìpi qualitativi (iguãa), come possono, le creature, nascere dotate dei princìpiqualitativi? Ovvero: come [possono, le creature caratterizzatedai guãa, discendere] dal Puru\a, che è afatto privo dei guãa?

Perciò [la natura dotata dei guãa] appartiene alla Prak®ti.Come da fli bianchi si ha un tessuto ancora bianco, e da [fli]neri uno anch’esso nero, così si comprende che dal Pradhånadotato dei tre guãa sono sorti all’esistenza i mondi caratte-rizzati dai tre guãa. Ora Ù©vara (Brahman) è privo dei princìpiqualitativi, per cui è illogico che la venuta all’esistenza deimondi dotati di tali princìpi qualitativi avvenga da Qello.

Con ciò è stato spiegato [anche che non è ragionevoleconcepire] il Puru\a [come causa degli enti, dei mondi, ecc. edel loro corso esistenziale].

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Similmente, per alcuni la causa è costituita dal tempo (kå-la) in quanto, appunto, è stato detto: «Il tempo matura gli es-seri, il tempo riassorbe l’universo, il tempo veglia quando [glialtri] sono addormentati: invero, il tempo è difcile da oltre-passare». In efetti, tre sono le categorie: il manifestato, l’Im-manifesto e il Puru\a; per cui il tempo è incluso in loro, inquanto esso è [una dimensione che concerne] il manifestato.Poiché è ciò che produce la totalità, lo stesso Pradhåna deveessere pure la causa del tempo, per cui anche la natura pro-pria [di ogni ente] viene riassorbita colà stesso (nel Pradhå-na). Pertanto la causa [della esistenza dei princìpi qualitativi]non può essere il tempo, e neppure la natura propria [del-l’ente], perciò soltanto la Prak®ti costituisce la causa, né vi èun’altra causa diferente dalla Prak®ti.

[Dunque la Prak®ti, non appena avverte: ‘sono stata vista’]“.non si” espone “più alla visione del puru\a”: quindi “non viè nulla”, cioè una causa come [secondo altri potrebbe essere]Ù©vara, ecc., che sia “più sfuggente”, più elusiva “della Prak®ti:questa è la mia convinzione”87.

E, ugualmente, qualora si sostenga quanto è ordinaria-mente fssato come opinione comune, secondo cui il puru\a èliberato e il puru\a trasmigra, [l’Autore] replica:

62. Per questo [motivo] non è legato, né si libera e neppuretrasmigra alcuno: [solo] la Prak®ti, con le [sue] molteplici condi-zioni, trasmigra, viene a legarsi e si libera.

“Per questo” motivo il Puru\a “non è legato, né si libera eneppure trasmigra”88, per la ragione che soltanto “la Prak®ti,con le sue molteplici condizioni”, ossia relativamente alle con-dizioni di esistenza divine, umane e animali [ecc.], e quindisotto forma propria di intelletto, senso dell’io, elementi sottili,sensi ed elementi [grossolani], “viene a legarsi, si libera e tra-smigra”89.

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Obiezione: Dunque, [essendo il Puru\a] afatto libero persua propria natura ed essendo esso onnipervadente, comepuò trasmigrare? Infatti la peregrinazione esistenziale (saµ-såra) ha lo scopo di ottenere quanto non è stato [fnora] otte-nuto.

Risposta: [In realtà] si pronunciano impropriamente afer-mazioni come: ‘il Puru\a è schiavo’, ‘il Puru\a si libera’ e ‘ilPuru\a trasmigra’, proprio perché [per il Puru\a] non si dàuna [reale] natura trasmigrante (saµsåritva). Dalla [realizza-zione della] conoscenza concernente la totale distinzione trail Puru\a e l’esistenza90, si svela pienamente la reale natura delPuru\a e, quando essa è divenuta del tutto evidente, il Puru\aè perfettamente stabilito nella propria natura, assoluto, puro elibero91.

Obiezione: A questo punto [si può osservare che], se per ilPuru\a non esiste schiavitù, di conseguenza non vi è nemme-no la liberazione.

Risposta: A ciò si replica: è soltanto la Prak®ti che lega o li-bera sé stessa. Laddove continua a esistere il corpo sottile, co-stituito dagli elementi sottili e associato con il triplice senso[interno: intelletto, senso dell’io e mente], esso si vincola at-traverso il triplice legame [già menzionato], infatti è statodetto: «Qegli che è vincolato dal triplice legame, cioè sia daquello relativo alla Prak®ti, sia, ugualmente, da quello relativoai suoi derivati, sia da quello relativo ai rituali, non può essereliberato da alcun altro [strumento]». È tale corpo sottile adessere congiunto con il dharma e l’adharma, mentre è laPrak®ti che lo lega, ed è ancora la Prak®ti [nella veste del vei-colo sottile, con il suo fardello di våsanå-saµskåra] che si li-bera o che trasmigra92.

In che modo [si ha] ciò?

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63. Invero la Prak®ti lega sé stessa atraverso sé stessa pro-prio atraverso sete forme; ed essa stessa, volgendosi al fne delPuru\a, si libera totalmente atraverso una [sola] forma.

“.attraverso sette forme”; queste sette vengono [così]enunciate: virtù, distacco, potere, assenza di virtù, ignoranza,assenza di distacco e assenza di potere. Qeste sono le setteforme della Prak®ti. Per loro mezzo “la Prak®ti lega sé stessa”,si [vincola] “attraverso sé stessa”, soltanto da sé93.

Qella medesima Prak®ti, [come pensando:] ‘lo scopo delPuru\a, il [supremo] fne del Puru\a (puru\årtha) deve esserecompiuto’, “si libera totalmente”, [cioè libera totalmente] séstessa “attraverso una [sola] forma”: la conoscenza94.

Come sorge tale conoscenza?

64. Così: dall’esercizio continuo concernente i tatva [realiz-zando la consapevolezza]: ‘[io] non esisto [come reale indivi-dualità], [questo corpo] non è mio, io non [sono questo]’, senzatralasciare alcunché, sorge la conoscenza che, essendo priva dicontraddizione, è perfetamente pura e assoluta.

“Così: dall’esercizio continuo (abhyåsa) concernente” la ri-flessione sui venticinque “tatva” nell’ordine che è stato e-spresso [per esempio nei termini]: ‘questa è la Prak®ti, questoè il Puru\a, questi sono i cinque elementi sottili, [questi sono]i sensi, [questi altri sono] gli elementi [grossolani]’, “sorge laconoscenza” del Puru\a [come consapevolezza]: “[io] non esi-sto [come reale individualità]”, ovvero ‘io non sono affatto’,“[questo corpo] non è mio”, cioè ‘il corpo non mi appartiene’,quindi ‘altro sono io, altro è il corpo’, “io non [sono questo],senza tralasciare alcunché”, [dove l’espressione] ‘senza trala-sciare alcunché’ (apari©e\am) include il rendersi privi [di qual-siasi possibilità identifcante, persino quella nei confronti] delsenso dell’io.

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[Tale conoscenza] “essendo priva di contraddizione, è per-fettamente pura”. La contraddizione (viparyaya) implica ildubbio (saµ©aya), per cui [l’espressione] ‘essendo priva dicontraddizione’ signifca: ‘essendo libera dal dubbio’. Essa èperfettamente pura, quindi “assoluta” (kevala), ed essa è ilsolo mezzo di liberazione, non ve n’è un altro. [Dunque, at-traverso tale esercizio, ecc.] “sorge la conoscenza”, cioè si ma-nifesta pienamente per il Puru\a la conoscenza dei venticin-que tatva.

Che cosa fa il Puru\a quando vi è la conoscenza?

65. Grazie a ciò, il Puru\a, come un osservatore [distaccato]afato fermo, in sé stabilito, vede la Prak®ti come colei la cuiprodutività si è estinta, come colei che, in virtù [del compimen-to] dello scopo, ha abbandonato le sete forme.

“Grazie a ciò”, mediante la conoscenza pura e assoluta, “ilPuru\a, come un osservatore” (prek\aka), cioè in maniera u-guale a uno spettatore, “afatto fermo, in sé stabilito”: [l’e-spressione ‘afatto fermo’ (avasthita) signifca] come al teatrouno spettatore guarda la danzatrice [restando] afatto fermo[al proprio posto, mentre] ‘in sé stabilito’ (svastha) [signifca]che dimora stabilmente in sé stesso (svasmiµsti\†hati), stabili-to nella propria condizione naturale (svasthånasthita).

Come [vede] costituita la Prak®ti?“.come colei la cui produttività si è estinta” (niv®tapra-

sava), in quanto ha cessato [di produrre] efetti come l’intel-letto e il senso dell’io, “come colei che, in virtù [del compi-mento] dello scopo, ha abbandonato le sette forme”, per viadell’avvenuta cessazione di entrambe le fnalità del Puru\a (laconoscenza della distinzione tra sé e la Prak®ti e la liberazio-ne). Dunque [il Puru\a] vede la Prak®ti in quanto ha abbando-nato quelle sette forme, cioè le sette forme come la virtù e lealtre, con le quali lega sé stessa.

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66. Uno spetatore stabile: così è l’osservatore unico (il Pu-ru\a). [Qando la Prak®ti avverte] ‘io sono stata vista’, si ritira[in sé, anch’essa] unica. Sebbene sussista un contato tra lorodue, non vi è fnalità [alcuna] per la creazione.

“Uno spettatore stabile: così.”: come uno spettatore sta-bile (ra√gastha), così, ugualmente “è l’osservatore unico” (u-pek\aka eka), il Puru\a, assoluto e puro. [Da parte sua, la Pra-k®ti, realizzando:] da lui “sono stata vista”, diviene ritirata [insé stessa] e priva di attività95. È “unica”, cioè una soltanto, inquanto costituisce la causa primaria persino del triplice mon-do; non vi è una seconda Prak®ti, per via della diferenza nellaforma di esistenza quando vi è diferenza nella natura96.

Così, sebbene [la Prak®ti] sia inattiva, tra il Puru\a e laPrak®ti vi è contatto a motivo della [loro] onnipervasività, mala creazione non è prodotta da tale contatto. “Sebbene sussistaun contatto tra loro due”, cioè: poiché la Prak®ti e il Puru\a so-no onnipresenti, pur essendovi un contatto [tra loro], non vi èpiù fnalità nei riguardi della creazione, perché la manifesta-zione ha raggiunto lo scopo. La fnalità della Prak®ti è duplice:la percezione di oggetti quali il suono e gli altri e la compren-sione della distinzione tra il Puru\a e i princìpi qualitativi.Poiché lo scopo è raggiunto in ambedue, per la creazione nonesiste più fnalità, come [potrebbe essere] una ulteriore crea-zione. Come, anche dopo la resa del denaro, tra creditore edebitore sussiste ancora un rapporto per quanto esente dainteresse, ma non vi è più alcuna relazione che abbia unoscopo, così anche per il Puru\a e la Prak®ti [pur sussistendo illoro rapporto] non vi è più alcuna fnalità.

Obiezione: Se al sorgere della conoscenza si ha, per il Pu-ru\a, la liberazione, perché per me non si verifca?

Risposta: A ciò [l’Autore] risponde:

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67. All’avvento dell’autentica conoscenza, quando per la vir-tù e le altre [forme] si ha l’otenimento di una [condizione di]non-causalità, [lo yogin] resta stabilmente incarnato in forzadei semi ativi come il movimento della ruota [di un vasaio per-dura anche dopo che sia cessata la spinta].

Seppur vi sia l’autentica conoscenza (samyagjñåna), cioèla conoscenza dei venticinque princìpi, tuttavia lo yogin “restastabilmente incarnato in forza dei semi attivi”97.

Come [che cosa]?“.come il movimento della ruota [di un vasaio perdura

anche dopo che sia cessata la spinta]”, cioè in modo uguale al-la rotazione di una ruota. Come un vasaio, dopo avere im-presso il movimento alla ruota, modella un vaso avendo postosulla ruota un pezzo di argilla e, dopo averlo fatto, [mette viala ruota, mentre essa] continua a girare in forza dell’impulsoattivo [impressole], così “All’avvento della conoscenza”, percolui per il quale l’autentica conoscenza è sorta, “quando perla virtù e le altre [forme] si ha l’ottenimento di una [condizio-ne di] non-causalità”, in quanto le sette forme [della creazionecitate in precedenza, v. 63 e commento], che costituiscono deilegami, vengono bruciate dall’autentica conoscenza.98

Come i semi bruciati dal fuoco non sono [più] in grado digermogliare, così queste [sette forme], quali la virtù e le altre,non sono [più] in grado di determinare un legame. Tuttavia,“quando per la virtù e le altre [forme] si ha l’ottenimento diuna [condizione di] non-causalità, [lo yogin] resta stabilmenteincarnato in forza dei semi attivi”.

Obiezione: Perché non si ha la distruzione, a opera dellaconoscenza, del dharma e dell’adharma relativi alla vita pre-sente?

Risposta: Proprio perché hanno natura di presenza in atto.Il [loro] riassorbimento avverrà in un momento successivo.

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Invero la conoscenza brucia il karman non ancora accumula-to, mentre ciò che viene compiuto con il corpo attuale, anchequello andrà a dissolversi, a condizione che [il puru\a] abbiaoperato i rituali prescritti. Al decadimento del corpo [grosso-lano e sottile], dalla distruzione dei semi attivi si avrà la libe-razione99.

Qale qualifcazione si ha in riferimento ad essa?Si dice:

68. Otenuta la separazione dal corpo, quando vi è la totalecessazione dell’atività da parte del Pradhåna, in quanto haraggiunto lo scopo, [il Puru\a] consegue l’assolutezza che è am-bedue le cose: unica e defnitiva.

Dalla distruzione dei semi attivi generati dal dharma edall’adharma, “Ottenuta la separazione dal corpo, quando vi èla (totale) cessazione dell’attività da parte del Pradhåna inquanto ha raggiunto lo scopo”, [il Puru\a consegue] “l’assolu-tezza” (kaivalya), che è “unica” (ekåntika), cioè incondizionata(ava©ya), e “defnitiva” (åtyantika), cioè non impedita da al-cunché (anantarhita).

Da questa identità con l’Assoluto (kevalabhåva) si ha laliberazione.

Dunque “è ambedue le cose: unica e defnitiva”: così èqualifcata l’assolutezza che [il Puru\a] consegue100.

69. Qesta conoscenza segreta, che è il fne [supremo] delPuru\a, nella quale vengono considerate la venuta in esistenza,la continuazione in esistenza e la dissoluzione fnale degli esse-ri, è stata [così] enunciata in maniera completa dal sommo Veg-gente [Kapila].

La liberazione è il fne [supremo] per il Puru\a: “Qesta(conoscenza) segreta”, occulta, conoscenza “nella quale ven-

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gono considerate la venuta in esistenza, la continuazione inesistenza e la dissoluzione fnale”, cioè vengono indagate lamanifestazione e la trasformazione delle condizioni “degli es-seri” quali entità soggette a modifcazione – [nel senso che]dalla investigazione nei loro riguardi deriva la perfetta cono-scenza consistente nell’autentico discernimento in relazionealle venticinque categorie – “.è stata enunciata in manieracompleta dal sommo Veggente”, è stata esaurientemente espo-sta dal venerabile saggio Kapila: «Il Såµkhya, invero, mezzoper la totale emancipazione dal divenire esistenziale trasmi-gratorio, è stato pronunciato dal saggio silenzioso Kapila; equi, in questa [sua esposizione], vi è una settantina di strofecon il commento composto da Gauƒapåda».

70. Il saggio silenzioso [Kapila] per compassione donò que-sta dotrina, eccelso mezzo di purifcazione, ad Åsuri e, a suavolta, Åsuri [la ofrì] a Pañca©ikha, dal quale fu ampiamentesviluppata.

71. E questa [stessa dotrina], pervenuta atraverso la catenaininterrota dei discepoli, è stata sintetizzata in strofe da Ù©vara-k®\ãa, dalla eccelsa mente, allo scopo di conoscerne in manierachiara e autentica l’essenza ultima.

72. Qelli che sono gli argomenti nella setantina [di strofe]sono certamente gli [stessi] argomenti dell’intero ≥a≤†itantra,escluse le narrazioni storiche e anche le dispute con diferentidotrine.

Qi si concludono queste strofe sul Såµkhyaaccompagnate dal commento di

Gauƒapåda

*

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NOTE

1 Tradizionalmente gli esseri viventi vengono raggruppati inquattro categorie a seconda della forma di nascita. Così si hannoquattro specie di esseri: quelli che nascono da un embrione (ga-rbhaja), quelli che provengono da un uovo (a~ƒaja), quelli che siformano dalla umidità (jalaja) e quelli che si sviluppano da un semevegetale (udbhijja).

2 Anche questa triplice ripartizione delle cause contingenti deldolore segue la Tradizione.

3 Il mezzo cui si riferisce l’ipotetico oppositore, per quanto ri-velato dalle Scritture, è di ordine rituale, per cui inerisce all’agire,quindi alla condizione contingente e al piano di relazione. È dun-que di natura duale, cioè della medesima natura della esperienzadel dolore, e proprio per questo non è in grado di eliminarlo in ma-niera completa e defnitiva.

4 I princìpi reggenti della manifestazione, i deva quali princìpisecondi, sono promanazioni del Principio primo, l’Essere qualifca-to, e destinati perciò, al pari di questo, a dissolversi al termine delciclo universale, quando cioè la manifestazione ha portato a com-pleto sviluppo ogni potenzialità insita nella qualifcazione iniziale.

5 La parola tanmåtra, lett. ‘misura di ciò’, designa propriamentela qualità sostanziale particolare. In questo contesto indica sia lequalità sottili generali (come il suono, ecc.) che, per estensione, glielementi sottili (s¥k\mabh¥ta, come lo spazio, ecc.) da quelle gene-rati come loro condensazione o precipitazione; pertanto non si rife-risce solo a quelle proprietà che costituiscono oggetto per i sensi(tatva) ma anche alle essenze da cui derivano.

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6 Nei sensi o organi sensoriali (indriya) sono inclusi i cinqueorgani di percezione, i cinque organi di azione e la mente che licoordina ed è detta organo interno (anta¢karaãa).

7 Gauƒapåda, promulgatore della dottrina della Non-generazio-ne (ajåtivåda), e quindi perfettamente inserito nella visione Advai-ta, interpreta la Scrittura Såµkhya alla luce della Non-dualità, percui non traccia alcuna distinzione tra il Puru\a unico – equivalente,con le dovute considerazioni, all’åtman o al Brahman non-duale – ei vari puru\a, cioè i diversi jıva, i rifessi individuati e infnitesimidell’åtman, se non in particolari contesti dove tale specifcazione sirende necessaria. Del resto, dalla prospettiva non-duale, ogni sin-golo puru\a-jıva non è che il Puru\a-åtman non-duale, dacché lanatura di Qello è unica e la distinzione, apparente, vige fn quandovi è la soggezione alla måyå e quindi a una errata conoscenza cheproietta la idea-percezione di molteplicità.

8 Nella teoria Såµkhya, come in altre scuole, l’elemento sottile,(s¥k≤mabh¥ta) dal quale proviene, per quintuplicazione il corri-spondente elemento grossolano (sth¥labh¥ta), deriva direttamentedalla qualità sotile (tanmåtra), che rappresenta il contenuto di per-cezione relativo ad esso e si genera come modifcazione del sensodell’io. Si tratta in fondo della visione generale indù, nella qualeogni piano proviene da quello superiore, più sottile, come un efettodalla causa; in altre parole, ne costituisce una sorta di ‘precipitazio-ne’ contingente e limitata quanto a possibilità espressiva, ecc. che siefettua a livello o piano inferiore.

9 Il termine r¥pa, lett. ‘natura’, in relazione alle percezioni sen-sorie designa la forma dell’oggetto, ciò grazie a cui viene percepito,individuato, distinto e compreso.

10 Jaimini è il nome del saggio celebrato come il codifcatoredella P¥rva Mımåµså, il dar©ana che tratta della conoscenza del ri-tuale quale mezzo per la liberazione dal divenire.

11 I ‘mezzi di conoscenza validi’ (pramåãa) in generale sonoquegli strumenti conoscitivi che rappresentano evidenze incontro-

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vertibili, quindi fonti di conoscenza afdabili, indiscutibili e valevo-li per tutti. Ogni prospettiva flosofca li concepisce in maniera leg-germente diversa secondo la propria visione.

12 Qesta duplice visuale sulla inferenza si basa sulla conse-guenzialità dei fattori e, quindi, sul loro rapporto. Qando un datoA caratterizza un dato B, quest’ultimo viene desunto anche dallasola presenza di A: quando c’è fumo, deve esserci il fuoco. Ma è an-che vero il contrario, cioè che il dato caratterizzante A deve essererilevato anche constatando il dato B: è vero anche che, se c’è il fuo-co, da qualche parte ci sarà del fumo. In sostanza l’inferenza creaun rapporto tra il visto e il non-visto attraverso la reciproca carat-terizzazione.

13 I Buddhisti di diverse scuole ritengono che l’efetto non abbiaesistenza nella causa per vari motivi, diferenti a seconda della vi-sione: per gli idealisti seguaci del Vijñånavåda l’oggetto corrispon-de solo alla percezione-proiezione dell’oggetto, per cui la sua esi-stenza è la stessa della sua immagine, dunque solo virtuale; i mate-rialisti fautori del Sarvåstivåda pensano che l’esistenza del dato av-venga solo nell’istante della sua percezione, non esistendo esso néprima né dopo in quanto pura proiezione immaginativa; i nichilistisostenitori del Vainå©ikavåda o Â¥nyavåda negano che anche lapercezione abbia esistenza, trattandosi solo di una proiezione irrea-le di un dato parimenti irreale, per cui non afrontano nemmeno laquestione del sostrato di tale immagine.

14 Qi Gauƒapåda intende prendere in esame il solo aspettocausato di tali enti, a prescindere dalle distinzioni in seno alla causastessa.

15 Così l’elemento grossolano ha la propria causa in quello sot-tile attraverso la quintuplicazione, mentre l’elemento sottile ha co-me causa la qualità (tanmåtra) inerente, questa è prodotta dal sensodell’io e questo, a sua volta, dall’intelletto mentre solo quest’ultimodiscende direttamente dal Pradhåna. La causalità intesa in questomodo genera una concatenazione tra i vari piani di esistenza e fa sìche in ogni prodotto sia presente la natura della causa primaprak®tica.

137Note

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16 Qi si intende che a trasmigrare, nel senso di trasferirsi suc-cessivamente in diverse condizioni di esistenza ove svolgere la ri-spettiva esperienza, è il veicolo che, come tale, appartiene allaPrak®ti.

17 Il termine li√ga signifca ‘segno caratteristico’ e, per logicaconseguenza, anche ‘ciò che è caratterizzato’, che presenta una par-ticolarità o singolarità grazie alla quale, appunto, viene defnito eindividuato. In base alle regole della ‘etimologia tradizionale’ (ni-rukti) il termine li√ga – lett. ‘ciò che va a scomparire’ – assume an-che il senso di ‘dissolubile’, distruttibile in quanto ‘congiunto con ladistruttibilità’, ovvero destinato, per natura, alla dissoluzione. Dun-que, per la nirukti, ‘ciò che è defnibile è distruttibile’; in altre paro-le: ogni qualità determina una limitazione. Gauƒapåda impiega en-trambi i sensi: come ‘dissolubile’, però, si riferisce principalmente alcorpo sottile. Del resto il veicolo sottile è un prodotto della Prak®tiper cui l’estensione del termine anche a questa non comporta in-congruità.

18 Qalsiasi dottrina indù contempla i cicli temporali cosmici(kalpa), ossia la venuta in essere della manifestazione come creazio-ne e distruzione periodiche dell’universo. In realtà si tratta di unaproiezione (vik\epa), e quindi di un’apparente ‘emissione’ (sarga), edi un altrettanto apparente ‘riassorbimento’ (laya). Ogni manifesta-zione porta in espressione i semi attivi (saµskåra) contenuti nelPrincipio, e provenienti da un ciclo precedente, fno alla loro com-pleta attuazione. Esaurita la loro espressione universale, l’interouniverso ritorna alla sostanza primordiale, in questo caso la Prak®tio il Pradhåna; tale è la visione Såµkhya. Il Vedånta Advaita aggiun-ge che anche la stessa sostanzialità del mondo è apparenza in quan-to ‘modifcazione apparente’ (vivarta) di una possibilità qualifcataapparentemente emersa, per virtù di måyå, su un Sostrato Inquali-fcato eternamente autoidentico: il Brahman.

19 Nella visione Såµkhya il Puru\a e la Prak®ti-Pradhåna costi-tuiscono due entità reali e distinte, infnite ed eternamente esistentisu piani o sfere indipendenti. Puru\a e Prak®ti-Pradhåna sono am-bedue svatantra, autoindipendenti, ma, mentre il Puru\a, come si

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vedrà, è svårtha, cioè ‘agisce’ per così dire per sé stesso, la Prak®ti-Pradhåna è parårtha, cioè svolge la propria funzione per un altro,cioè per il Puru\a. La ‘azione’ del Puru\a non-agente si riferisce inrealtà alla sua facoltà di percezione-conoscenza, mentre quella delPradhåna alla sua capacità produttiva e trasformante. In tal sensonon sono princìpi esattamente paritetici, ma sottendono una certadiferenza sostanziale, peraltro non evidenziata nel Såµkhya.

20 La manifestazione si identifca con i guãa in quanto, come sivedrà, esprime la loro azione-interazione reciproca. Inoltre ancheper il Såµkhya la manifestazione è lo sviluppo di una qualifcazio-ne principiale (vi©e\a) e rappresenta quindi una espressione deiguãa, con i quali mantiene una identità di natura. Ciò vale ancheper il Vedånta Advaita, con la diferenza che questa qualifcazioneemerge come atuazione di una mera possibilità.

21 Nel commentare questa strofa Gauƒapåda, con il termine pu-ru\a, si riferisce chiaramente ai jıva. D’altra parte il Puru\a per cosìdire fa esperienza oggettuale del Pradhåna nell’ordine universale.

22 Il Puru\a, qui nel senso equivalente all’åtman, è il Soggettoper defnizione rispetto a cui la totalità, potenziale e attuale, è og-getto, per cui esso stesso non può divenire oggetto neanche per séstesso. Qesto vale anche per i puru\a individuati.

23 Il Pradhåna è ‘identico per tutti’ (såmånya) in quanto oggettodotato di quelle qualità-attributi che rappresentano per ogni cono-scitore un analogo contenuto di conoscenza-esperienza. Viceversaper il Puru\a, essendo il Soggetto privo di qualità-attributi e unico,la questione della natura identica per tutti logicamente non si pone,dal momento che i vari puru\a non sono se non il Puru\a unico, chein essi si rifette, per cui le distinzioni riguardano gli aspetti pra-k®tici-veicolari.

24 Nel dualismo realistico del Såµkhya la natura eterna si riferi-sce al perdurare in esistenza relativamente al ciclo cosmico; è quin-di una eternità relativa. La visione Såµkhya si ferma infatti alladiade Puru\a-Prak®ti: essa è già una modifcazione della qualifca-

139Note

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zione principiale; solo oltre quest’ultima è l’Assoluto inqualifcatodel Vedånta Advaita, il Brahman nirguãa, la vera realtà eterna. Talequalifcazione principiale, corrispondente al Brahman saguãa o, inun certo qual modo, all’Ù©vara del dar©ana Yoga, è invece eterna re-lativamente alla eternità dell’Essere qualifcato il quale, appunto,comprende in sé le dimensioni tempo-spazio-causali con il loro in-defnito sviluppo che, pertanto, trascende integralmente.

25 Si riferisce allo ©loka 10 in cui il Puru\a viene detto essere dinatura opposta a quella del manifestato e quindi, implicitamente,afne al Pradhåna per quanto riguarda alcune proprietà.

26 Tale capacità (såmarthya) è indicativa di una potenzialità chepuò attuarsi o meno a seconda delle condizioni contingenti che so-no via via maggiormente determinanti quanto più si procede versoil ‘basso’ cioè verso il piano ultimo della manifestazione formaleefettuale.

27 La ‘reciproca generazione’ dei guãa va intesa nel senso chedalla loro commistione in proporzioni variabili emergono nuovecombinazioni di qualità, come, appunto, quelle che producono glielementi, prima sottili poi grossolani.

28 Si rammenta la sequenza di generazione dell’universo secon-do la dottrina tradizionale, comune a molte scuole: vi©e≤a, guãa,s¥k≤mabh¥ta, sth¥labh¥ta, jagat. A questa serie il Vedånta anteponelo ©akya, la ‘possibilità’, cioè la capacità del Brahman di apparire inmodo diforme mentre pone, come sostrato ultimo e privo di qual-siasi rapporto con checchessia, il Brahman.

29 Qi è necessaria una precisazione. Si è detto che il Såµkhyaconsidera la diade Puru\a-Prak®ti come la realtà ultima e indissolu-bile e, più avanti, che lo scopo della esistenza manifesta è prima laesperienza della Prak®ti da parte del Puru\a, poi l’isolamento delPuru\a dalla Prak®ti. È chiaro che il Puru\a in questione non si limi-ta all’aspetto individuato del puru\a-jıva, per quanto anche questodebba isolarsi dalla propria veicolarità e contingenza prak®tica, masi riferisce anche a quello unico, universale. Se si parla di diade, pe-rò, è evidente che non si è nella realtà ultima – Qello è senza-

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secondo – per cui si deve rammentare che ci si trova ancora nelpiano della determinazione e, in particolare, di una ‘seconda’determinazione a partire dall’Assoluto metafsico, l’Essere non-qualifcato o privo di attributi, laddove la ‘prima’ è quella grazie acui emerge – o sembra emergere – l’Essere qualifcato, quello conattributi, sia pur allo stato potenziale-unitario e quindi inespresso.Dunque il Puru\a del Såµkhya, fn quando è unito con la Prak®ti, èquesto Essere, ma in un piano ontologico in cui è già dualmentedeterminato, per cui non rappresenta l’Essere qualifcato uni-versale, prima determinazione dell’Assoluto metafsico, ma una suasuccessiva determinazione-delimitazione. Viceversa, quando si libe-ra dal vincolo della Prak®ti, si rivela essere Qello, per quanto nellaattestazione Såµkhya ciò rimanga inespresso esplicitamente.

Tuttavia non vi è contraddizione, perché la natura del Puru\a èsempre la medesima, ma la sua condizione apparente dipende dalgrado di consapevolezza dell’essere e, pertanto, della sua iden-tifcazione con il veicolo-mezzo espressivo delle qualità. È evidentecon ciò che, laddove vi è identifcazione profonda con l’apparatoveicolare individuato, sintesi della Prak®ti, la condizione apparentedel Puru\a è in tutto analoga a quella del jıva quale rifesso del-l’åtman e, di conseguenza, quanti sono i corpi-veicoli, tanti sono ipuru\a rifessi. Qando poi l’attività reciproca dei guãa giunge atermine, il rifesso puru\a-jıva si libera dalla identifcazione alveicolo e quindi alla Prak®ti e si ritrova ad essere il Puru\a-åtmanunico. Tale aspetto, nella formulazione canonica del dar©ana Såµ-khya, resta però inespresso e solo implicitamente inteso, in quantola liberazione viene defnita semplicemente come la separazione delPuru\a dalla Prak®ti, anche a livello individuale. In quest’ultimocaso si tratta evidentemente di una liberazione relativa, dato che ilseme stesso della condizione individuata non è ancora risolto.

30 L’impegnarsi nell’attività da parte dei guãa sta a signifcare illoro naturale processo interattivo di trasformazione e non un agireconsapevole fnalizzato, ma piuttosto un produrre causato.

31 Anche qui l’assolutezza è intesa solo come ‘isolamento’ delPuru\a – e quindi dei puru\a – dai guãa, e non in quanto assolutanon-dualità.

141Note

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32 Il processo di mutamento dei guãa (v. Yogas¥tra) esprime lo sviluppo dei semi ativi (saµskåra) e l’atuazione di date possibilità. È il moto-apparenza che si presenta di fronte al Puru\a testimone immobile. È ovvio inoltre che il puru\a infnitesimo possiede la me­desima natura del Puru\a infnito, come il jıva mantiene quella del­l’åtman: la luce, limitata, che fltra da una fnestra è la stessa, illimi­tata, che si percepisce fuori, all’aperto. L’impedimento oscurante è l’ambiente chiuso, prak®tico, che deve essere risolto o quantomeno disgiunto dal puru\a-åtman.

33 La ‘determinazione ad agire’ da parte dei guãa va ovviamente intesa in senso fgurato. I guãa sono atributi, ognuno dei quali esplica una data qualità complessa e questa può esprimersi, appun­to, solo se applicata a un veicolo che sia vitalizzato dalla coscienza del puru\a, o meglio sorreta da quello. È dunque il complesso vei­colare che, pervaso dalla consapevolezza del puru\a, può manifesta­re le qualità proprie dei guãa permetendo a questi ultimi di agire e interagire. D’altra parte è proprio il loro ‘processo di mutamento’ descrito nello Yoga che mantiene la identifcazione della coscienza allo stato veicolare.

34 La identifcazione del Puru\a al veicolo crea l’apparenza della azione da parte sua; la disidentifcazione dal veicolo e dalla sua in­tera sfera prak®tica determina l’afrancamento dai legami della loro natura.

35 La ‘percezione del Pradhåna’ da parte del Puru\a signifca la integrale comprensione del processo manifestante e imprigionante. Una volta avvenuta, il Puru\a si afranca spontaneamente dall’asso­ciazione con la Prak®ti.

36 Qesta precisazione di Gauƒapåda è importante; essa è pro­ferita dal punto di vista della Non-dualità (advaita) e, quindi, della Non-generazione (ajåti). Per il Såµkhya la Prak®ti è la sostanza pri­mordiale, concreta, sensibile, oggetiva che costituisce una unità qualifcata ma inespressa, per cui contiene in seme uno sviluppo in­defnito. È la materia plastica per eccellenza e per defnizione, da

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cui il nome. Il termine prak®ti – dalla radice k®: creare, fare, pro-durre, con l’aggiunta del sufsso pra: prima, avanti, anteriormentema anche: perfettamente, completamente – indica dunque ‘ciò cheviene plasmato’, modellato all’inizio della manifestazione; dunquela sostanza oggettiva, passiva su cui viene esercitato l’atto creativo.

Anche nella visione Advaita Vedånta si contempla un identicoprincipio unitario, ma la sua natura non è sostanziale bensì appa-rente. Al posto di una ‘sostanza’ vi è una ‘immagine’, una ‘apparen-za’, una ‘proiezione sovrapposta’, ovvero il manifestarsi di qualcosasotto altro aspetto. Per questo Gauƒapåda identifca la Prak®ti delSåµkhya con la måyå del Vedånta. Tale equivalenza è legittima, masolo in questa direzione e non è reversibile, perché non è ragione-vole considerare la måyå nella sua integralità, cioè a partire dallastessa infnita possibilità, come identica alla Prak®ti, in quanto que-sta rappresenta un aspetto ulteriore, secondario, prodotto e succes-sivo rispetto a quella; in una parola, un suo efeto. La måyå-causadetermina la Prak®ti-efetto e questa è quella quanto alla produtivi-tà, ma non in riferimento alla natura essenziale, cioè la visione alte-rata dovuta alla non-conoscenza. Del resto, nella infnita possibilitàdi måyå paiono emergere non solo il vi©e≤a, la qualifcazione princi-piale tra infnite possibili, ma anche lo stesso Brahman saguãa e, avalle di questo, sia il Puru\a che la Prak®ti.

Laddove il Såµkhya predica la ‘trasformazione’ (pari~åma) del-la causa nell’efetto, cioè del Pradhåna o Prak®ti nel mondo manife-sto (jagat), il Vedånta parla di una ‘modifcazione apparente’ (viva-rta), qual è quella dell’Essere qualifcato, il Brahman saguãa o con-attributi, che si manifesta nel dispiegamento universale ancora at-traverso quel giuoco-potere di måyå grazie a cui esso stesso è e-merso dall’Inqualifcato. Anch’esso, però, è un ente non-reale inassoluto, dato che rappresenta una prima determinazione, in senoalla infnita possibilità, del Brahman nirguãa o senza-attributi, l’Es-sere non-qualifcato, il quale è il solo Ente reale. Perciò anche laqualifcazione, in quanto attuazione di una possibilità, emerge, an-cora come apparenza, per virtù di måyå. Così, per quanto vi siaquesta distinzione, al vertice della molteplicità manifesta vi è co-munque una unità. Nel Såµkhya è una unità relativa e contrappo-sta a un’altra unità, quella, appunto, della Prak®ti contrapposta al

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Puru\a (v. nota 29); nel Vedånta è una unità primaria, correlativa, secosì si può dire, di altre infnite unità equivalenti e quindi, proprioper questo, non-reale in assoluto. Va considerato, poi, che appuntoin quanto unità, priva dunque di un rapporto conoscitivo soggetto-oggetto, non presenta caratteristiche esperibili o defnibili, per cuidal punto di vista empirico è assimilabile a un ‘vuoto’, appunto lo©¥nya di alcune correnti del Buddhismo e di altre scuole similari.

37 Qi l’aggettivo ‘asurico’ indica una condizione di oscurità e siriferisce alla mancanza della luce intellettuale e spirituale; una in-telligenza asurica propende per il negativo, l’oscuro, il letargico,quindi il passivo-inerte, in una parola: il tamasico.

38 Qi le qualità percettive, oggetto dei sensi, vengono trattatecome elementi sottili in quanto, come fatori percetivi sotili, necondividono la natura e la specie. Si è già detto che dal fattore sotti-le o tanmåtra segue la funzione e da questa l’organo fsico.

39 I cinque elementi grossolani provengono dai cinque elementisottili per ‘quintuplicazione’. Si veda, in proposito, l’opera Pañcıka-raãa di Âa√kara che tratta appunto di questo processo e della suacomprensione ai fni del distacco del jıva dai veicoli.

40 I Puråãa sono i Testi antichi per eccellenza e appartenenti,come tutti gli altri qui elencati, alla Sm®ti, la Tradizione rammenta-ta di ordine umano, e comprendenti una vasta gamma di Scritture.La P¥rva Mımåµså, codifcata da Jaimini, è la Indagine anteriore eriguarda la ritualistica vedica; i Dharma©åstra sono le Scritture ri-guardanti il dharma, il dovere inteso nella sua più ampia accezionereligiosa, etica, ecc. e consistono principalmente nel Månavadha-rma©åstra o Manusm®ti, il Codice di Manu, il primo Legislatore del-l’attuale ciclo umano, e nello Yåjñavalkyadharma©åstra. Il Nyåya èil dar©ana relativo alla Logica codifcato da Gautama.

41 Per quanto alcuni individui si dedichino allo Yoga per acqui-sire i ‘poteri’, le siddhi descritte restano tuttavia sempre precluse al-l’io proprio perché esso stesso rappresenta una condizione sovrap-posta limitante e autoriduttiva. L’acquisizione delle siddhi presup-

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pone il completo superamento dell’autoidentifcazione egoica,mentale e corporea ma esse, considerate sotto l’aspetto di possibili-tà di esperienza, sia pure superiore a quella ordinaria, costituisconoancora delle condizioni soggette alla dualità e rappresentano, per-ciò, ostacoli alla realizzazione della Coscienza puru\ica scevra daogni limitazione. D’altronde, per arrivare all’isolamento del Puru\aè necessario trascendere integralmente la terna dei guãa e non solouna loro parte allo scopo di incrementarne un’altra.

42 L’essere principio degli elementi per il senso dell’io implicache in esso, che è l’ente origine, vi sia prevalenza del guãa tamas,appunto perché tende a determinarsi ulteriormente, nell’ente origi-nato, dando luogo a qualcosa di maggiormente denso, cioè le quali-tà sottili e quindi i corrispondenti elementi. Si rammenta che nellavisione Såµkhya, come in altri dar©ana, la genesi degli enti e in ge-nerale la diferenziazione degli stati di esistenza e quindi di co-scienza, procede dal più sottile verso il più grossolano per quelloche si potrebbe defnire una sorta di progressiva condensazione,quindi una riduzione del grado di libertà quale quella implicata nelprocesso di attuazione di un efetto dalla causa, e che l’ente ori-ginato resta comunque sempre compreso nell’ente originatore nelquale si riassorbe al compimento del proprio ciclo espressivo.L’efetto, pertanto, pur essendo la causa trasformata, è meno dellacausa stessa, in quanto questa contiene potenzialmente e simulta-neamente la intera possibilità efettuale.

43 Qi Gauƒapåda si attiene al linguaggio dei s¥tra. Il satva, si èvisto, esprime quiete, stabilità, trasparenza; ciò implica che unsenso dell’io sattvico non è necessitato a determinarsi in quantoesprime uno stato coscienziale riposante in sé stesso. Viceversa, on-de dar luogo alle funzioni dei sensi, deve acquisire una certa capa-cità di irradiazione, ciò che è peculiarmente propria del rajas. Perquesto si dice che esso è in grado di produrre i sensi quando divie-ne ‘risplendente’, cioè caratterizzato dal guãa della attività radian-te-luminosa. Ogni ente, essendo sostanziato qualitativamente daitre guãa, può farne emergere l’uno o l’altro a seconda della condi-zione e con la rispettiva risultanza.

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44 I tanmåtra sono gli oggetti dei sensi, per cui come entità og-gettuali, sia pur di natura sottile, emergono attraverso la interazio-ne del senso dell’io, quando è in stato tamasico, con la condizionerajasica.

45 Lo ©loka defnisce l’io in quattro modalità: permeato dal sa-tva (såtvika), totalmente modifcato (vaik®ta), principio degli ele-menti (bh¥tådi) e luminoso (taijasa). Tali denominazioni, con lecorrispondenti azioni, sono date in relazione alla prevalenza e allamescolanza dei guãa nell’io. L’ordine seguito da Gauƒapåda nel suocommento rispecchia quello dello ©loka; per una maggiore chiarez-za, è opportuno riassumere quanto detto. Qando nell’io il rajas e iltamas sono soprafatti dal satva, l’io stesso, quasi completamentepermeato dal satva, viene detto såtvika ed è considerato come ilproduttore degli undici sensi, cioè le cinque facoltà di percezione, lecinque facoltà di azione e la mente. È a questo punto che vienedefnito vaik®ta, ‘totalmente modifcato’. Infatti da un lato la per-vasione da parte del guãa satva prelude a quella degli altri, che incerto senso porta con sé; dall’altro l’io, formandosi, emerge natu-ralmente sostanziato dal satva, cioè si presenta inizialmente conuna prevalenza di satva, in quanto proviene dalla buddhi che èsattvica. Pertanto i sensi, prodotti direttamente dall’io, sono an-ch’essi sattvici, cioè puri, e in grado per questo di esplicare cia-scuno la propria funzione specifca senza alcun impedimento. Unavolta emerso, l’io acquisisce, o mostra, anche gli altri guãa, checomunque al satva sono associati per quanto allo stato potenziale,e va a modifcarsi come spiegato. L’espressione ‘totalmente modi-fcato’ implica che l’io, modifcandosi, deve necessariamente pro-dursi in altri tatva, vale a dire che per sua stessa natura di prodottoprak®tico recante i guãa, e da loro peculiarmente caratterizzato, ètotalmente modifcabile, cioè in grado di produrre enti del tuttodistinti da lui stesso. Vaik®ta signifca perciò ‘suscettibile di tra-sformarsi e di prodursi determinando la venuta all’essere di ulte-riori tatva ben defniti’. Qando il satva e il rajas sono soprafattidal tamas, l’io divenuto tamasico dà luogo ai cinque tanmåtra oqualità sottili, per cui viene detto bh¥tådi, principio degli elementi,in quanto dai cinque tanmåtra provengono i cinque elementi sottili

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e da questi, per la citata quintuplicazione, i cinque elementi gros-solani. Tuttavia entrambe le produzioni, quindi entrambe le formequalitative dell’io, vale a dire la vaik®ta-såtvika e la vaik®ta-bh¥-tådi, derivano logicamente dalla sua forma quale vaik®ta-taijasa,cioè di luminoso, radiante. Infatti, solo quando il satva e il tamassono soprafatti dal rajas l’io, divenuto appunto luminoso, in gradodi irradiare, si determina in una azione, quella, appunto, dellaproduzione dei suddetti enti. Riassumendo: lo stato sattvico as-sociato allo stato rajasico dà luogo alle undici facoltà anzidette; lostato tamasico associato allo stato rajasico dà luogo ai cinque ta-nmåtra e ai loro derivati. Va comunque considerato che tali con-dizioni non sono isolate le une dalle altre, ma si compenetrano inquanto i guãa agiscono sempre in commistione e la prevalenzadell’uno sugli altri rappresenta una fase sostanziale non necessa-riamente temporale, per quanto, a produzione avvenuta, la con-dizione contingente dell’io nella esperienza, nell’azione, ecc., vengagovernata anche temporalmente dalle proprietà dei guãa che divolta in volta emergono.

46 La ‘speciale qualifcazione nella trasformazione dei guãa’ (gu-ãapari~åmavi©e\a) indica una data modalità in quello che è lo spon-taneo sviluppo, la naturale espressione degli attributi principiali. Siè già detto che essi provengono da una qualifcazione primordialee, come efetto che a sua volta diviene causa, contengono in nuceun successivo sviluppo. Poiché questo è complesso, nel senso chedai guãa provengono sia gli enti semplici sia, mano mano, gli enticompositi, una data loro modifcazione – quella che, appunto, dàluogo alla diferenziazione oggettuale – viene detta ‘speciale’ (vi-©e\a) in quanto si tratta dell’ultima modifcazione a livello mani-festo. Qando l’ente oggettivo esterno è formato, la sua distanzadai princìpi dai quali deriva è massima per cui si può dire che, men-tre gli attributi interagiscono creando le caratteristiche che distin-gueranno gli enti a livello appunto di qualità, con la loro giustappo-sizione nelle rispettive sfere, ecc., gli enti oggettivi rappresentanocomunque la massima cristallizzazione o fssazione dei guãa stessi;perciò la frase: “non è così per quanto riguarda i loro oggetti” signi-fca che la loro collocazione nell’ambito esistenziale risente di una

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moltitudine di fattori progressivamente modifcati fno all’aspetto‘concreto’ fnale, quello che, appunto, è oggetto dei sensi, e non di-pendono direttamente dai guãa stessi, ancorché modifcati. È benericordare che la dimensionalità è anch’essa una proiezione e chequalunque sia la ‘distanza’ esistenziale di un ente dal principio, essaviene sempre ad annullarsi al riassorbimento fnale.

47 La natura intrinseca di un ente (svålak\a~ya) è sia ciò che locaratterizza sia ciò che ne esprime la funzione. Tra enti simili puòaversi un rapporto di uguaglianza o di diferenza. Nella uguaglianzasi ha un fattore o condizione comune (såmånya), il contrario nelladiferenza e, a seconda della propria sfera di attività funzionale, gliorgani-facoltà possono esprimere sia azioni comuni a tutti che sin-golarmente diverse per ciascuno.

48 Gli undici già menzionati più l’intelletto e il senso dell’io. Sonotutti considerati ‘sensi’, ovvero facoltà in quanto, come tatva, nonsono che produzioni della Prak®ti e, quindi, semplici enti-veicoli.

49 La terna di intelletto, senso dell’io e mente entra in azionesulla base del dato mnemonico il cui contenuto empirico è statofornito in passato dal singolo senso o, in relazione al futuro, dallaproiezione immaginativa relativa al tale senso.

50 Il fne del Puru\a rappresenta la causa della trasformazionedel Pradhåna. Ora, dire che ‘la causa è il fne’ signifca che lo scopodell’azione organica non è un movente nel senso ordinario, utilita-ristico del termine, ma il motivo, l’impulso attivatore qual è la ra-gione originaria del suo stesso essere in atto. Per esempio, la incon-sapevole gravità fa muovere gli oggetti facendoli tendere verso ilbasso, che rappresenta il loro luogo di destinazione, diremo di paci-fcazione del loro moto attuale o potenziale, in quanto in esso ognimovimento cessa; dunque la gravità stessa, pur priva di consapevo-lezza, induce moto-attività in enti parimenti privi di consapevolez-za fno a far loro raggiungere lo stato di quiete: la estinzione del lo-ro moto – che è dunque il fne – si presenta così come lo scopomesso in atto dalla gravità. In sintesi, il fne (anta) di un atto

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espressivo determina il moto-attività in quanto causa all’origine(hetu), e questo anche in assenza della consapevolezza. È solo inbase all’ordinario pensare che, in analogia al comportamento del-l’individuo, anch’esso impulsato da entità prive di consapevolezza,si assegnano arbitrariamente ruoli e nature che non sussistono, lad-dove l’universale equilibrio esprime la legge causale cui nulla, nel-l’ambito della manifestazione, cioè del causato, può sottrarsi.

51 Qesto perché gli organi di percezione e di azione sono unefetto della terna di mente, intelletto e senso dell’io che, pertanto,come causa, gode di un grado di libertà maggiore a livello dimen-sionale.

52 Gli ‘accessi’ sono le porte attraverso cui i dati esteriori empi-rici, appartenenti al piano fsico-grossolano, entrano per così direnel mentale, integralmente inteso, cioè nella sfera sottile individua-le, apportando un contenuto di esperienza e conoscenza empirica.Qando il triplice mentale si richiude in sé stesso, come durante lameditazione profonda, ecc., nessun dato esterno può entrare e ilmentale rifulge di luce propria grazie ai contenuti proiettivi comenel sogno, oppure riposa in uno stato di unità indiferenziata epriva di qualsiasi proiettività come nel sonno profondo.

53 Qi è possibile anche un’altra lettura: “hanno per oggetto i[diversi] guãa” (guãavi\aya). Anche in riferimento alle qualità deglioggetti il senso ultimo non cambia.

54 La mente rappresenta il mezzo, nel più completo senso deltermine, tra la coscienza del Puru\a e il piano della manifestazioneoggettuale, cui è connessa attraverso l’insieme dei sensi.

55 L’intelletto superiore (buddhi) è il solo mezzo in grado di di-scernere e di operare fattivamente la separazione tra il Pradhåna eil Puru\a. Qesto perché, pur compreso nelle facoltà dell’individuo,ha una natura sovraindividuale e pertanto universale. La mentepercepisce e proietta forme, cioè rappresenta creando concetti, labuddhi coglie la essenza che racchiudono; l’una opera con immagi-

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ni, anche dinamiche, l’altra svela una consapevolezza. Operata la discriminazione, l’aderire consapevolmente ad essa comporta l’af­francamento dai vincoli della Prak®ti, e quindi la emancipazione del Puru\a.

56 Ogni elemento sotile è una sorta di coagulazione energetica della corrispondente essenza sotile, ed ogni elemento grossolano, atraverso il processo di quintuplicazione, è la materializzazione – con la debita atenzione da prestare a questo termine – del corri­spondente elemento sotile. Dal tanmåtra allo sth¥labh¥ta l’ente presenta una maggiore fssazione, solidifcazione, una vera e pro­pria cristallizzazione, quindi una maggiore massività con la una conseguente riduzione del grado di espressione in quanto avvici­nato a un aspeto più tamasico. Infati l’efeto rappresenta una limitazione della causa, dal momento che questa contiene poten­zialmente la indefnita quantità efetuale.

57 Qesto perché in ogni elemento sono presenti i guãa in varia mescolanza con i loro efeti combinati.

58 Si dice che il corpo sotile ‘esiste con continuità’ (ti\†hati) in quanto la sua esistenza sotostà a quella, discontinua, del corpo grossolano, del quale è causa. Così il suo perdurare si estende al di là di quello corporeo e, efetuandosi in un ulteriore veicolo grosso­lano al fne di espletare semi karmici irrisolti, si dice che ‘trasmi­gra’ (saµsarati). Il termine “trasmigrazione” – per la verità impro­prio – designa la peregrinazione esistenziale, ovvero il venire a tro­varsi, senza soluzione di continuità, da parte dell’autocoscienza (il jıva o puru\a), in successive condizioni di esistenza, causalmente concatenate, allo scopo di portare in sviluppo i semi ativi (saµskå­ra). È dunque il jıva-puru\a che viene a trovarsi in determinate con­dizioni di essere e che atira a sé, condensandolo energeticamente atorno al proprio centro di autocoscienza, il veicolo, prima sotile quindi grossolano. Dunque non si trata di un trasferimento nello spazio e nel tempo a livello solo fsico, ma del concretizzare la con­dizione di esistenza, regolata dagli opportuni parametri dimensio­nali spazio-tempo-causali e formali, idonea all’atuazione del proprio carico inerziale (karman). Esaurito, o risolto, questo, l’autocoscien­

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za puntiforme (jıva-puru\a), priva di una inerzialità veicolare e-spressione di un carico proiettivo-identifcativo, arresta il propriomoto estrovertente e, nella visione Såµkhya, si isola dalla Prak®timentre, in quella Vedånta Advaita, si risolve nella Coscienza infni-ta (Puru\a-åtman).

59 Anche qui, come in precedenza, la natura viene defnita per-manente o eterna in relazione alla individuazione e al ciclo univer-sale e non in assoluto, la sola eternità assoluta essendo quella delBrahman-Puru\a. La permanenza dell’ente sottile – dal tanmåtra alpuru\a individuato – è tale rispetto alla impermanenza dell’entegrossolano. La riduzione dimensionale concerne anche i piani diesistenza-espressione, per cui lo stesso piano sottile è non solocausa di quello grossolano ma anche la sua sede trascendente.

60 Si dice che a trasmigrare sia l’intero veicolo sottile – dunqueil puru\a accompagnato dal triplice organo interno più le essenzesottili (tanmåtra) – perché tale compagine rappresenta il contenutoenergetico condensato costituito dalla polarità dell’autocoscienza edelle impressioni latenti (våsanå) che la impregnano; sono questeche determinano la stessa inerzia, assimilabile a una sorta di ener-gia potenziale, del puru\a, il quale, per così dire, ha assunto quellaforma. In realtà è il centro di autocoscienza, il jıva-puru\a, che,mantenendo la propria identifcazione con tale veicolo, ne subisce ilmoto attuale e potenziale. Qando tale potenzialità viene ad esau-rirsi per efettuazione o soluzione coscienziale, l’intero veicolo sot-tile si risolve lasciando il puru\a libero da identifcazioni di qualsia-si sorta e in grado, quindi, di realizzarsi come Puru\a. Del resto latrasmigrazione assolve lo scopo di espletare esperienza e questapuò essere fatta solo da un centro cosciente veicolato; dato che ilcorpo sottile è solo un veicolo, è evidente che a trasmigrare – nelsenso di esperire date condizioni di esistenza – è il puru\a quale ri-fesso di coscienza, ossia il jıva. È proprio fn quando sussiste unveicolo sottile, dunque, che riassume un impulso estrovertente, cheil puru\a trasmigra sospinto, e diremo anzi trascinato, da queglistessi contenuti che lo impregnano. Ciò viene spiegato più chiara-mente nei versi seguenti.

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61 Pertanto le essenze sotili che accompagnano il puru\a, es­sendo causa degli elementi sotili e, quindi, di quelli grossolani, so­no le entità che determineranno la nuova condizione di esistenza per il puru\a stesso atraverso la efetuazione della loro potenziali­tà. Fin quando questa sussiste è parimenti ativa e determinantesi in condizioni ed entità dimensionali costituite, vale a dire in situa­zioni di esperienze identificate e, quindi, di imprigionamento.

62 L’esperienza può avvenire solo quando il veicolo è completo, dunque fino ai costituenti del corpo fisico-denso.

63 Qui Gauƒapåda sotintende il fato che, se l’identificazione del jıva-puru\a non è stata totalmente risolta, al termine del ciclo esso permane allo stato potenziale in seno a quello che, in altri dar©ana, viene definito Ù©vara stesso, il Signore dell’universo o, in termini filosofici, l’Essere qualificato universale, dal quale riemergerà per esaurire lo sviluppo dei propri guãa. Ciò vale, evidentemente, sia nel piano individuale che in quello universale; si dice infati che Prajåpati proieta una nuova manifestazione per portare ad espres­sione i contenuti irrisolti di quella precedente. Invece, attraverso la conoscenza, il jıva-puru\a, disidentificatosi da qualsiasi potenzialità, qui stesso – cioè trascendendo integralmente qualsiasi dimensio­nalità spazio-tempo-causale – si autorisolve nel Puru\a insieme a tuto lo sviluppo universale e unitamente a tute le possibilità (måyå), in quanto ha realizzato la propria identità con il supremo Puru\a.

64 Qui Gauƒapåda fa risaltare un aspeto poco evidente: non so­lo un ente esistente deve essere considerato efeto e, come ente-efeto, deve avere un ente-causa dal quale proviene, sia pur situato in una diversa dimensionalità per cui può anche risultare al di là della ordinaria percezione, ma ogni ente-efeto, che sia individuato – e definito – da certi atributi-qualità, deve coesistere unitamente a questi; vale a dire che proprietà caraterizzanti ed ente carateriz­zato sono due aspeti polari della medesima entità causata.

65 Il corpo grossolano ha il sotile come sostrato, mentre il corpo sotile, al di là dei tanmåtra che comunque appartengono anch’essi

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al piano sottile-energetico, ha il solo sostrato causale dell’auto-coscienza, quando questa è colorata dalle impressioni accumulate.Per questo è detto ‘privo di sostegno’, in quanto, risolti i nodi pro-iettivi delle våsanå, l’autocoscienza perde limitazione e conforma-zione. Si dice, infatti, che la Coscienza, di per sé infnita, assumeapparentemente una condizione fnita prendendo limitazioni fttiziee manifestandosi come mente.

66 Fin quando vi è un contenuto potenziale di impressioni la-tenti (våsanå) da portare in espressione, il centro autocosciente delpuru\a sperimenta passivamente la ‘aderenza a causa ed efetto’, os-sia è soggetto al determinismo causale in quanto come rifesso dicoscienza si trova identifcato ai veicoli ed alla loro condizione con-tingente, cosa che ne determina il peregrinare nel divenire ciclico(saµsåra) secondo le ‘traiettorie’ esistenziali stabilite o ‘tracciate’dalle energie sottili nei campi o mondi di esperienza (loka).

67 Come apparirà chiaro più avanti, i ‘modi della esistenza’(bhåva) sono le modalità in cui può esprimersi il puru\a individuatoa seconda della propria qualifcazione coscienziale. Qindi sintetiz-zano la condotta dell’essere in accordo con le qualità che manifesta.

68 Si può dire che i modi della esistenza riassumono quelle qua-lità che, come contenuti irrisolti, rappresentano impulsi per ulterio-ri identifcazioni ed esistenze. Del resto, come si vedrà, tali modi so-no anch’essi espressione dei guãa e, quindi, aspetti prak®tici.

69 Le impressioni latenti (våsanå) si determinano come semiattivi (saµskåra) di successive identifcazioni e venute in esistenzaindividuata. Esse, consustanziate dei guãa, appartengono alla Pra-k®ti e dimorano nella mente, in particolare a livello della coscienzacristallizzata (cita) quale ricettacolo di proiezioni mnemoniche.Così il successivo divenire dell’essere dipende dal grado di solu-zione del mentale.

70 Brahmå è il deva che esprime l’aspetto creatore della trim¥rti;Prajåpati è il Signore delle creature, Soma è la divinità lunare,simbolo anche dell’am®ta, il nettare d’immortalità; Indra è il sovra-

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no dei deva. I Gandharva sono una famiglia di divinità dimorantinel cielo considerate i musici celesti ma anche i custodi del divinonettare che è il soma. Gli Yak\a sono esseri semidivini di naturabenigna, Råk\asa e Pi©åca esseri semidivini di natura maligna. Ildharma, dunque la conformità al Principio esplicata con l’osservan-za religiosa, la virtù morale, la correttezza etica, ecc. apre l’accessoa tali sfere superiori.

71 Il dissolvimento della Prak®ti comporta la soluzione del le-game che essa esercita sul puru\a. Se il non-attaccamento non èpreceduto, ossia anticipato dalla conoscenza, cioè provvisto dellapiena consapevolezza della realtà delle cose, al distacco dal corpofsico si viene trascinati dalla inerzialità di quello sottile, carico dicontenuti subconsci, e si continua ad accedere a condizioni di esi-stenza manifesta per portare in atto tali potenzialità. La conoscen-za, invece, le risolve integralmente e il distacco dal corpo grossola-no coincide con la completa emancipazione del puru\a dal pianoprak®tico, per quanto a livello coscienziale tale disidentifcazioneavviene già in concomitanza con la realizzazione della Conoscenza.

72 Nella visione Såµkhya e in altre la mente, l’organo internonella sua integralità, è una modifcazione dell’autocoscienza; a suavolta, il contenuto di conoscenza (pratyaya) lo è dell’intelletto. Poi-ché una modifcazione mantiene sempre la natura della sostanza, ilcontenuto conoscitivo è l’intelletto stesso che ha assunto quella da-ta forma, il contenuto della conoscenza è la forma apparentementeassunta dalla coscienza.

73 In relazione ai guãa abbiamo quattro casi per ciascuno, e pre-cisamente: per ogni guãa prevalente, i restanti possono trovarsi indue posizioni di prevalenza relativa, una di parità e una di assenzao mera virtualità inespressa. Così abbiamo un totale di 12 stati allo-tropici combinati. Moltiplicati per i quattro ‘modi della esistenza’,ai quali possono inerire, si ha un totale di 48 possibilità. Aggiun-gendo a queste lo stato di parità di tutti i guãa e quello in cui sonotutti virtualmente inespressi o attualmente assenti o inerti, si arrivaa un totale di 50 possibilità.

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74 Ecco ora la descrizione delle 50 distinzioni del contenuto co-noscitivo analizzate sistematicamente e ordinatamente. Da qui inpoi, le Såµkhyakårikå¢ procedono a una dettagliata elencazione distati, condizioni, possibilità nelle loro forme pure e in quelle com-binate, in relazione ai guãa e alle loro mescolanze variabili, con e-same delle gradazioni e delle conseguenze. Tutte cose che Gauƒa-påda disamina e spiega metodicamente. Tale mole di aspetti nume-rici non deve sgomentare il lettore: in fondo il Såµkhya è in sé una‘enumerazione’ e la quantità analitica è la sua peculiare espressio-ne.

75 Il termine ¥rdhvasrotas designa colui che ha rivolto versol’alto (¥rdhvam) il fusso (srota) della energia vitale, in particolaredi quella parte che si esprime come vitalità sessuale; è dunque equi-valente all’¥rdhvaretas, “colui che ha rivolto in alto il seme”, e indi-ca generalmente lo yogin dedito al brahmacarya.

76 Qeste denominazioni alludono a un particolare adattamentodel testo a opera di altri commentatori; in particolare si riferisce al-la versione in cinese stilata da Paramårtha.

77 Si tratta ancora di denominazioni alternative. V. nota precedente.

78 Così si ha la sequenza: impressioni latenti (våsanå) accumu-late tramite esperienza identifcata, semi attivi (saµskåra), princìpied elementi sottili (tanmåtra e s¥k\mabh¥ta) e corpo sottile (li√ga-©arıra) quale veicolo di trasmigrazione per il rifesso puru\a il qualepuò dar luogo a ulteriori veicoli grossolani (sth¥la©arıra) ai quali siriferiscono, in relazione all’intero composto veicolare incentrato sulpuru\a, le possibilità relative ai modi della esistenza (bhåva).

79 Mentre il rapporto causa-effetto è una proiezione, un appa-rente sdoppiamento di un qualcosa che mantiene la sua natura diunità – dato che l’efetto è una modifcazione della causa che restasempre contenuta in quella – il rapporto tra diversi effetti nonsussiste nel piano efettuale, cioè tra loro, ma solo in quello causale,unico per tutti, dove la loro distinzione scompare.

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La frase: “l’ottenimento di ogni successivo corpo è determinatodagli invisibili semi attivi [prodottisi] in consecutive esistenze pre-cedenti” esprime il determinismo causale, la legge del karman. Iltermine karman designa l’azione, in particolare quella efettuatacon l’identifcazione al soggetto agente e compiuta per il frutto. Ta-le azione identifcata genera semi attivi (saµskåra) che, formandoimpressioni latenti (våsanå) a livello sottile, determinano la creazio-ne di ulteriori veicoli sottili a cui il puru\a si identifca e con i qualitrasmigra in date condizioni di esistenza per espletare le poten-zialità che essi racchiudono. Il moto trasmigratorio è l’efetto di talecausa. Eliminata la causa, cesserà anche l’efetto.

80 Per quanto riguarda tali forme divine si torni alla nota 70. Lacondizione di esistenza umana risulta così mediana tra le condizio-ni superumane o divine e quelle subumane di animali e vegetali.Solo comprendendo la distinzione tra il Puru\a e la Prak®ti è possi-bile trascendere la limitatezza di qualsiasi condizione esistenziale eaccedere alla liberazione.

81 La creazione indipendente dagli elementi (abhautikasarga) equella del dissolubile (li√gasarga) danno due modalità; quella deimodi della esistenza (bhåvasarga) ne aggiunge quattro, quella deglielementi (bh¥tasarga), considerando sia i sottili che i grossolani, neaggiunge altre dieci, per un totale di sedici.

82 Ovviamente si tratta di una conoscenza catartica, quale puòseguire solo a una efettiva presa di consapevolezza, e non soltantodi una cognizione concettuale. Occorre cioè realizzare la natura de-gli enti succitati nel proprio essere consapevole sì da operare il di-stacco dalle forme sovrapposte e svelare la identità con la loro es-senza.

83 La ‘cessazione dell’attività’ da parte della Prak®ti nei confrontidel Puru\a non indica una estinzione in quanto tale, ma il giungerea termine della sua azione identifcante nei riguardi della consa-pevolezza. In altre parole, la Prak®ti, una volta rivelatasi al Puru\a,ossia allorché questo ha conosciuto e compreso la sua natura e fun-

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zione, non può più condizionare il Puru\a stesso attraverso la iden-tifcazione con i suoi enti oggettivi.

84 La Prak®ti, dotata di attributi ma priva di consapevolezza,sembra agire per il raggiungimento dello scopo da parte del Puru\a,il quale è privo di attributi ma dotato di consapevolezza. Qestaparticolare modalità espressiva e concettuale ha la propria ragiond’essere nel simbolismo relativo alla natura del rapporto soggetto-oggetto.

85 È evidente, qui, come la Prak®ti invocata dal Såµkhya siidentifchi perfettamente con la måyå del Vedånta. Anche la måyå,infatti, non appena riconosciuta nella sua natura, si dilegua istanta-neamente al cospetto del conoscitore unitamente ai suoi efetti qua-li la diferenziazione degli enti, la imposizione del legame, ecc.

86 Qi il termine Ù©vara si riferisce evidentemente al Puru\a; inun contesto Advaita Vedånta si riferirebbe all’åtman supremo, ilBrahman privo di attributi (nirguãa).

87 L’asserzione della Prak®ti come ‘elusiva’ risponde alla impos-sibilità di defnire o descrivere quello che, come rileva Gauƒapåda,è la stessa måyå. Prak®ti e måyå si equivalgono, sono due nomi perdue aspetti diversi di una medesima cosa. Anche nel Vedånta lamåyå è detta indescrivibile, indefnibile, inindagabile, impercettibi-le: come la si osserva, scompare alla vista e, non appena la si com-prende, si rivela essere una mera possibilità, per cui essa, da unaprospettiva reale, né è né non-è. Lo stesso termine qui impiegato:subhogyatara, evidenzia quella che si potrebbe defnire da un lato la‘disponibilità’ della måyå-Prak®ti ad assumere qualsiasi conforma-zione, ad accondiscendere a qualunque identifcazione proiettandoentità e condizioni, dall’altro la ‘capacità’ di celarsi alla indagineconoscitiva e alla stessa percepibilità: sono i due poteri della måyåconsiderati nel Vedånta, il potere proiettivo (vik\epa©akti) e il poterevelante (åvaraãa©akti): velando la Realtà, si può sovrapporvi qual-siasi sorta di apparenza, e il corso esistenziale della forma con-tenuta in questa non tocca il Sostrato reale su cui si proietta.

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88 Il verso ricorda il noto ©loka di Gauƒapåda della sua kårikåalla Må~ƒ¥kya Upani\ad: «Non vi è distruzione né venuta all’esse-re, né alcuno che sia in schiavitù e nemmeno uno che segua una di-sciplina, né alcuno che aspiri alla liberazione e, invero, nemmenoun liberato: questa è la suprema verità» (Gau. Kå. 2.32). Dire che atrasmigrare è la Prak®ti signifca che solo al suo interno si ha la tra-sformazione, come normale processo di mutamento dei guãa, dellecondizioni alle quali i puru\a si identifcano e, in forza di tale iden-tifcazione, assumono via via ulteriori veicoli, prima sottili poi gros-solani, per svolgere indefnite esperienze.

89 Un ipotetico oppositore potrebbe obiettare: ‘come può, laPrak®ti priva di consapevolezza, legarsi, sperimentare e concepire lanecessità e quindi la istanza di liberarsi?’ In efetti, la suggestivaespressione del verso intende evidenziare che il Puru\a – e anchequi è evidente la sua natura identica all’åtman del Vedånta – data lasua natura non può realmente trasmigrare né essere schiavo o libe-rato. L’Autore, perciò, intende dire che quello che sembra assumerediferenti condizioni e quindi trasmigrare è ancora qualcosa che faparte della måyå, quindi della immensa possibilità di apparenza in-consistente a cui appartengono i vari veicoli individuali, gli stessimondi, gli enti ivi racchiusi con le loro indefnite condizioni di esi-stenza, esperienza, ecc.

90 Qi il termine ‘esistenza’ (satva) si riferisce alla Prak®ti nellasua integralità, comprendendo sia l’Immanifesto che il manifestato.

91 Qi Gauƒapåda sembra alludere a un s¥tra di Pa†añjali: «Al-lora per il veggente si ha la condizione di stato nella propria natu-ra» (Yogas¥tra 1.3).

92 Si è detto che il veicolo sottile rappresenta una energia che, invirtù della sua potenzialità, sospinge il puru\a-jıva ad esso iden-tifcato a migrare in diverse e successive condizioni di esistenza alfne di portare a sviluppo i semi karmici che reca. Poichè il corposottile fa parte della Prak®ti, si dice che è questa a trasmigrare, ecc.In realtà è il puru\a-jıva che, come un rifesso del sole sull’acqua,

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sembra muoversi in concomitanza con il movimento dell’acqua,dunque dei veicoli prak®tici, mentre nella sua natura di Puru\a-åtman è sempre immobile e immutabile. Risolta l’identifcazionecon il veicolo, questo non sussiste più autonomamente e il puru\a-jıva, prosciolto da tale apparente legame, si realizza come il Puru\a-åtman conseguendo la liberazione.

93 Sono i ‘modi della esistenza’ descritti nel commento ai versi 1e 43 – ossia: virtù, conoscenza, distacco e potere con i loro opposti– a eccezione della conoscenza: essa, infatti, è il solo fattore di li-berazione per il puru\a.

94 I ‘modi della esistenza’, meno la conoscenza, con i loro oppo-sti, prima fra tutti l’ignoranza, sono le forme leganti della måyå-Prak®ti. La conoscenza è la forma che libera, cioè risolve il legame orapporto Puru\a-Prak®ti. È come dire: la måyå lega la måyå attra-verso la måyå e si libera ancora attraverso la måyå. Trasmigrazio-ne, schiavitù e liberazione sono concetti e condizioni che apparten-gono alla måyå, non hanno alcuna esistenza nella realtà. Solo la co-noscenza risolve l’immagine della måyå, con le sue indefnite possi-bilità, permettendo al Puru\a di ristabilirsi nella propria reale natu-ra che non è mai perduta o alterata, ma solo apparentemente oblia-ta.

95 È chiaramente una espressione simbolica. La Prak®ti inconsa-pevole non può avvertire di essere stata vista; piuttosto è il puru\ache, operando la comprensione della Prak®ti, vede dissolversi la suaattività, per cui è come se questa, portata, per così dire, alloscoperto, rientrasse in sé stessa in una condizione di quiete, di non-proiettività.

96 Se vi fosse una diferenza nella natura, vi sarebbe diferenza[anche] nella generazione (m¥rtibhede jåtibhedåt). In sostanza, qua-lora vi fossero più Prak®ti, si avrebbero di conseguenza più manife-stazioni allo stesso tempo, con leggi proprie e, pertanto, eventual-mente diverse e, di conseguenza, condizioni anche contrastanti; ciòdeterminerebbe uno squilibrio generale con il risultato della incom-

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patibilità reciproca e della impossibilità di coesistenza e, in defniti-va, della inevitabile distruzione totale. Ma questo non è osservato.D’altra parte, mentre più efetti – ovvero un efetto che si manifestain modo dinamico e mutevole presentandosi in indefnite modalità– possono sorgere da una medesima causa, più cause non possonodare un solo efetto.

97 La corporeità grossolana è precipitazione o condensazione diquella sottile quando la sua potenzialità spinge per concretizzarsianche sul piano fsico. Stante la causa, non può non aversi l’efetto.Si è già detto che l’esistenza del veicolo sottile denuncia la presenzadi contenuti irrisolti che premono per emergere e indirizzare il pu-ru\a in date condizioni di esperienza. Qi il termine ©arıra, di nor-ma usato al neutro per ‘corpo’, ‘corporeità’, veicolo individuato so-prattutto a livello fsico-denso, è impiegato al maschile come ag-gettivo sostantivato, per cui signifca: ‘corporeo’, ‘colui che è dotatodi corpo’, ‘incarnato’.

98 La conoscenza non elimina l’efetto concretizzato o maturato– per quanto annulli la identifcazione con esso con la conseguenteautolimitazione – perché questo è una condizione già prodotta; è ingrado, invece, di risolvere la causa e quindi, in assenza di questa, diimpedire il sorgere di un qualsiasi ulteriore efetto.

99 Si allude al triplice karman. Vi è un karman accumulato inpassato (sañcita), ma non ancora maturato, che può essere risoltodalla conoscenza, per cui non darà efetto. Vi è un eventuale ka-rman che potrà accumularsi in futuro (ågamin), ma viene anch’essoeliminato dalla conoscenza insieme al suo potenziale efetto. Vi èinfne un karman maturato (prårabdha), per esempio nel corpo at-tuale e nella condizione esistenziale presente, il quale, pur avendo-ne rimossa la causa, resta fno a esaurimento della propria inerziali-tà. Qando ciò si verifca, il veicolo sottile si risolve qui stesso ecessa di costituire un legame tra l’autocoscienza e il veicolo grosso-lano, per cui l’autocoscienza stessa, priva di contenuti e libera daidentifcazioni e sovrapposizioni limitanti, attuali e potenziali, si ri-solve nella Coscienza totale puru\ica.

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100 «L’assolutezza (kaivalya) segue al riassorbimento dei guãaallorché sono divenuti privi di fnalità per il Puru\a.» (Yogas¥tra4.34). Qando la conoscenza ha risolto ed eliminato le sette forme-causa di legame, la triplice soferenza è estirpata per sempre e l’o-biettivo indicato all’inizio è fnalmente raggiunto.

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TESTO SANSCRITO

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ŸrımadıŸvarakÿ≤~apra~itå¢

såµkhyakårikå¢

gauƒapådaviracitabhå≤yasahitå¢

Ÿrıga~eŸåya nåma¢

kapilåya namastasmai yenåvidyodådhau jagati magne |kåru~yåtsåµkhyamayau nauriva vihitå pratara~åya ||alpagranthaµ spa≤†aµ pramåãasiddhåntahetubhiryuktam |Ÿåstraµ Ÿi≤yahitåya samåsato ’haµ pravak≤yåmi ||

du¢khatrayåbhighåtåjjijñåså tadbhighåtake hetau |dÿ≤†e så ’pårthå cennaikåntåtyantato ’bhåvåt || 1 ||

du¢khatrayeti | asyå åryyåyå upodghåta¢ kriyate | iha bhaga-vånbrahmasuta¢ kapilo nåma¢ | tadyathå –“sanakaŸca sanandaŸcatÿtıyaŸca sanåtana¢ | åsuri¢ kapilaiŸcaiva voƒhu¢ pañcaŸikhasta-thå | ityete brahma~a¢ putrå¢ sapta proktå mahar\aya¢” kapila-sya sahotpannåni dharmo jñånaµ vairågyamaiŸvaryaµ ceti | evaµsotpanna¢ sannandhe tamasi majjajjagadålokya saµsårapårampa-rye√a satkåru~yo jijñåsamånåyå ’’surisagotråya bråhma~åyedaµpañcaviµŸatitatvånåµ jñånamuktavån | yasya jñånåddu¢khak≤ayobhavati || “pañcaviµŸatitatvajño yatra tatråŸrame vaset | ja†ı mu-~ƒı Ÿikhı våpi mucyate nåtra saµŸaya¢” tadidamåhu¢ – du¢khatra-

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yåbhighåtåjjijñåseti | tatra du¢khatrayam – ådhyåtmikamådhibhau-tikamådhidaivikaµ ceti | tatrådhyåtmikaµ dvividham – Ÿårıraµ må-nasaµ ceti | Ÿårıraµ våtapitaŸle≤maviparyayakÿtaµ jvaråtısårådi |månasaµ priyaviyogåpriyasayogådi | ådhibhautikaµ caturvidha-bh¥tagråmanimitaµ manu≤yapaŸumÿgapak≤isarısÿpadaµŸakay¥kå-matku~amatsyamakaragråhasthåvarebhyo jaråyujå~ƒajasvedajodbhi-jjebhya¢ sakåŸådupajåyate | ådhidaivikam – devånåmidaµ daivaµdiva¢ prabhavatıti vå daivam | tadadhikÿtya yadupajåyate – Ÿıto-≤~avåtavar≤åŸanipåtådikam | evaµ yathå du¢khatrayåbhighåtåjji-jñåså kåryå | kva – tadabhighåtake hetau | tasya du¢khatrayasyå-bhighåtako yo ’sau hetustatreti | dÿ≤†e så ’pårthå cet | dÿ≤†e hetaudu¢khatrayåbhighåtake så jijñåså ’pårthå cedyadi | tatrådhyåtmi-kasya dvividhasyåpyåyurvedaŸåstrakriyayå priyasamågamåpriya-parihåraka†utiktaka≤åyådi kvåthådibhirdÿ≤†a evådhyåtmikopåya¢ |ådhibhautikasya raksådinå ’bhighåtako dÿ≤†a¢ | dÿ≤†e så ’pårthå ce-devaµ manyase – na | ekåntåtyantato ’bhåvåt | yata ekåntato ’va-Ÿyamatyantato ’nityaµ dÿ≤†ena hetunå ’bhighåto na bhavati | ta-smådanyatraikåntåtyantåbhighåtake hetau jijñåså vividi≤å kåryeti ||yadi dÿ≤†ådanyatra jijñåså kåryå tato ’pi naiva | yata ånuŸråvikoheturdu¢khatrayåbhighåtaka¢ | anuŸr¥yata ityanuŸrava¢ | tatrabhava ånuŸråvika¢ | sa cågamåtsiddha¢ | yathå – “apåma somama-mÿtå abh¥måganma jyotiravidåma devån | kinn¥namasmåntÿ~ava-daråti¢ kimu dh¥rtiramÿtamartyasya” (atharvaŸira upani\ad 3) ||kadåcidindrådınåµ devånåµ kalpa åsıt | kathaµ vayamamÿtå a-bh¥meti vicårya yasmådvayamapåma somaµ tasmådamÿtå abh¥-ma amarå bh¥tavanta ityartha¢ | kiñcåganma jyotirgatavanto la-bdhavanto jyoti¢ svargamiti | avidåma devåndivyånviditavanta¢ |evaµ ca kinn¥namasmåntÿ~avadaråti¢ | n¥naµ niŸcitaµ kimaråti¢Ÿatrurasmåntÿ~avatkarteti | kimu dh¥rtiramÿtamartyasya dh¥rtirja-rå hiµså vå kiµ kari≤yatyamÿtamartyasya | anyacca vede Ÿr¥yateåtyantikaµ phalaµ paŸuvadhena – “sarvåµllokåñjayati mÿtyuµ ta-rati påpmånaµ tarati brahmahatyåµ tarati yo so ’Ÿvamedhena ya-jate” iti | ekåntåtyantike evaµ vedokta apårtheva jijñåså – iti na |ucyate –

dÿ≤†avadånuŸravika¢ sa hyaviŸuddhik≤ayåtiŸayayukta¢ |tadviparıta¢ Ÿreyånvyaktåvyaktajñavijñånåt || 2 ||

166 såµkhyakårikå¢ 1

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dÿ≤†avadånuŸråvika iti | dÿ≤†ena tulyo dÿ≤†avat | yo ’såvånuŸrå-vika¢ kasmåtsa dÿ≤†avadyasmåt – avi©uddhik≤ayåti©ayayukta¢ • a-vi©uddhiyukta¢ pa©ughåtåt • tathå coktam – “≤a†©atåni niyujyantepa©¥nåµ madyame ’hani • a©vamedhasya vacanåd¥nåni pa©ubhi-stribhi¢” yadyapi ©rutism®tivihito dharmastathåpi mi©rıbhåvådavi-©uddhiyukta iti • yathå – “bah¥nındrasahasrå~i devånåµ ca yugeyuge • kålena samatıtåni kålo hi duratikrama¢” evamindrådina©å-tk≤ayayukta¢ • tathå ’ti©ayo vi©e≤astena yukta¢ • vi©e≤agu~adar©a-nåditarasya du¢khaµ syåditi • evamånu©raviko ’pi heturd®≤†avat •kastarhi ©reyån – iti codyate – tadviparıta¢ ©reyån • tåbhyåµ d®≤†å-nu©ravikåbhyåµ viparıta¢ ©reyånpra©asyatara iti • avi©uddhik≤ayå-ti©ayåyuktatvåt • ca kathamityåha – vyaktåvyaktajñavijñånåt • ta-tra vyaktaµ mahadådi – buddhirahaµkåra¢ pañcatanmåtrå~yekå-da©endriyå~i pañcamahåbh¥tåni • avyaktaµ pradhånam • jña¢ pu-ru≤a¢ • evametåni pañcaviµ©atistatvåni vyaktåvyaktajñå¢ kathya-nte • etadvijñånåcchreya iti • uktaµ ca – “pañcaviµ©atitatvajña” i-tyådi •• atha vyaktåvyaktajnånåµ ko vi©e≤a ityucyate –

m¥laprak®tiravik®tirmahadådyå¢ prak®tivik®taya¢ sapta •≤oƒa©akastu vikåro na prak®tirna vik®ti¢ puru≤a¢ •• 3 ••

m¥laprak®ti¢ pradhånam • prak®tivik®tisaptakasya m¥labh¥ta-tvåt • m¥laµ ca så prak®ti©ca m¥laprak®ti¢ • avik®tiranyasmånno-tpadyate tena prak®ti¢ kasyacidvikåro na bhavati •• mahadådyå¢prak®tivik®taya¢ sapta • mahånbuddhi¢ • buddhyådyå¢ sapta – bu-ddhirahaµkåra¢ pañca tanmåtrå~i • etå¢ sapta prak®tivik®taya¢ •tadyathå • pradhånådbuddhirutpadyate tena vik®ti¢ pradhånasyavikåra iti • saivåhaµkåramutpådayatyata¢ prak®ti¢ • ahaµkåro ’pibuddherutpadyata iti vik®ti¢ • sa ca pañca tanmåtrå~yutpådayatıtiprak®ti¢ • tatra ©abdatanmåtramahaµkårådutpadyata iti vik®ti¢ • ta-smådåkå©amutpadyata iti prak®ti¢ • tathå spar©atanmåtramahaµkå-rådutpadyata iti vik®ti¢ • tadevaµ våyumutpådayatıti prak®ti¢ • ga-ndhatanmåtramahaµkårådutpadyata iti vik®ti¢ • tadevaµ p®thivı-mutpådayatıti prak®ti¢ • r¥patanmåtramahaµkårådutpadyata iti vi-k®ti¢ • tadevaµ teja utpådayatıti prak®ti¢ • rasatanmåtramahaµkå-rådutpadyata iti vik®ti¢ • tadevamåpa utpådayatıti prak®ti¢ • evaµmahadådyå¢ sapta prak®tayo vik®taya©ca •• ≤oƒaka©ca vikåra¢ • pa-

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ñca buddhındriyå~i pañca karmendriyå~yekåda©aµ mana¢ pañcamahåbh¥tåni • e≤a ≤oƒa©ako gu~o vik®tireva • vikåro vik®ti¢ • naprak®tirna vik®ti¢ puru≤a¢ •• evame≤åµ vyaktåvyaktajnånåµ tra-yå~åµ padårthånåµ kai¢ kiyadbhi¢ pramå~ai¢ • kena kasya våpramå~ena siddhirbhavati • iha loke prameyavastu pramå~ena så-dhyate • yathå – prasthådibhirvrıhaya¢ tulayå candanåni • tasmå-tpramå~amabhidheyam –

d®≤†amanumånamåptavacanaµ ca sarvapramå~asiddhatvåt •trividhaµ pramå~ami≤†aµ prameyasiddhi¢ pramå~åddhi •• 4 ••

d®≤†aµ yathå – ©rotraµ tvakcak≤urjihvå ghrå~amiti pañca bu-ddhındriyå~i • ©abdaspar©ar¥parasagandhå e≤åµ pañcånåµ pañcai-va vi≤ayå yathåsaµkhyam • ©abdaµ ©rotraµ g®h~åti • tvakspar©aµcak≤¥ r¥paµ jihvå rasaµ ghrå~aµ gandhamiti • etadd®≤†amityu-cyeta pramå~am •• pratyak≤e~ånumånena vå yo ’rtho na g®hyatesa åptavacanådgråhya¢ • yathå indro devaråja¢ • utarå¢ kurava¢svarge ’psarasa ityådi • pratyak≤ånumånågråhyamathåptavacanå-dg®hyeta • api coktam – “ågamo hyåptavacanamåptaµ do≤ak≤ayå-dvidu¢ • k≤ı~ado≤o ’n®taµ våkyaµ na br¥yåddhetvasambhavåt ••svakarma~yabhiyukto ya¢ sa§gadve≤avivarjita¢ • p¥jitastadvidhai-rnityamåpto jñeya¢ sa tåd®©a¢” •• ete≤u pramå~e≤u sarvapramå~å-ni siddhåni bhavanti • ≤a†pramå~åni jaimini¢ • atha kåni tåni pra-må~åni • arthåpati¢ sambhavo ’bhåva¢ pratibhå aitihyamupamå-naµ ceti ≤a†pramå~åni • tatrårthåpattirdvividhå – d®≤†å ©rutå ca •tatra d®≤†å – ekasminpak≤e åtmabhåvo g®hıta©cedanyasminnapyå-tmabhåvo g®hyata eva • ©rutå yathå – divå devadato na bhu§kte a-tha ca pıto d®©yate ’to ’vagamyate råtrau bhu§kta iti • sambhavoyathå – prastha ityukte catvåra¢ kuƒavåh sambhåvyante • abhåvonåma prågitaretaråtyantasarvåbhåvalak≤a~a¢ • prågabhåvo yathå –devadata¢ kaumarayauvanådi≤u • itaretaråbhåva¢ – pa†e gha†å-bhåva¢ • atyantåbhåva¢ – kharavi≤å~avandhyåsutakhapu≤pavadi-ti • sarvåbhåva¢ pradhvaµsåbhåva¢ – dagdhapa†avaditi • yathå –©u≤kadhånyadar©anådv®≤†erabhåvo gamyate • evamabhåvo ’neka-dhå • pratibhå yathå – “dak≤i~ena ca vindhyasya sahyasya ca yadu-taram • p®thivyåmåsamudråyåµ sa prade©o manorama¢” evamu-kte tasminprade©e ©obhanå gu~å¢ santıti pratibhotpadyate • prati-

168 såµkhyakårikå¢ 3

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bhånvåsamjñånamiti • aitihyaµ yathå – bravıti loko yathåtra va†eyak≤i~ı pravasatıtyeva aitihyam • upamånaµ yathå – gauriva gava-ya¢ • samudra iva taƒåga¢ • etåni ≤a†pramå~åni tri≤u d®≤†ådi≤vanta-rbh¥tåni • tatrånumåne tåvadarthåpatirantarbh¥tå • sambhåvåbhå-vapratibhaitihyopamå©cåptavacane •• tasmåtri≤veva sarvapramå-~asiddhatvåtrividhaµ pramå~ami≤†aµ tadåha • tena trividhena pra-må~ena pramå~asiddhirbhavatıti våkya©e≤a¢ •• prameyasiddhi¢pramå~åddhi • prameyam – pradhånaµ buddhirhaµkår¢ pañca ta-nmåtrå~yekåda©endriyå~i pañca mahåbh¥tåni puru≤a iti • etåni pa-ñcaviµ©atistatvåni vyaktåvyaktajnå ityucyante • tatra kiñcitpra-tyak≤e~a sådhyaµ kiñcidanumånena kiñcidågameneti trividhaµpramå~amuktam •• tasya kiµ lak≤a~ametadåha –

prativi≤ayådhyavasåyo d®≤†aµ trividhamanumånamåkhyåtam •talli§gali§gip¥rvakamåpta©rutiråptavacanaµ ca •• 5 ••

prativi≤aye≤u ©rotrådınåµ ©abdådivi≤aye≤vadhyavasåyo d®≤†aµpratyak≤amityartha¢ •• trividhamanumånamåkhyåtam • p¥rvava-cche≤avatsåmånyato d®≤†aµ ceti • p¥rvamasyåstıti p¥rvavadyathå– meghonnartyå v®≤†iµ sådhayati p¥rvavadd®≤†atvåt • ©e≤avadya-thå – samudrådekaµ jalapalaµ lava~amåsådya ©e≤ayåpyasti lava-~abhåva iti • såmånyato d®≤†am – de©ådde©åntaraµ pråptaµ d®≤†aµgatimaccandratårakaµ caitravat • yathå caitranåmånaµ de©ådde©å-ntaraµ pråptamavalokya gatimånayamiti • tadvaccandratårakami-ti • tathå pu≤pitåmradar©anådanyatra pu≤pitå åmrå iti såmånyatod®≤†ena sådhayati • etatsåmånyato d®≤†am •• kiñca talli§gali§gip¥-rvikamiti • tadanumånaµ li§gap¥rvakaµ yatra li§gena li§gyanu-mıyate yathå • da~ƒena yati • li§gip¥rvakaµ ca yatra li§ginå li§ga-manumıyate • yathå – d®≤†vå yatimasyedaµ trida~ƒamiti •• åpta-©rutiråptavacanaµ ca • åptå åcåryå brahmådaya¢ • ©rutirveda¢ • å-ptå©ca ©ruti©cå ’’pta©ruti¢ • taduktamåptavacanamiti •• evaµ trivi-dhaµ pramå~amuktaµ tatra kena pramå~ena kiµ sådhyamucyate –

såmånyatastu d®≤†ådatındriyå~åµ prasiddhiranumånåt • tasmådapi cåsiddhaµ parok≤amåptågamåtsiddham •• 6 ••

såmånyatod®≤†ådanumånådatındriyå~åµ • indriyå~yatıtya va-rtamånånåµ siddhi¢ • pradhånapuru≤åvatındriyau såmånyatod®-

169gauƒapådaviracitabhå≤yasahitå¢6

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≤†ånumånena sådhyete • yasmånmahadådi li§gaµ trigu~am • ya-syedaµ trigu~aµ kåryaµ tatpradhånamiti • yata©cåcetanaµ ceta-namivåbhåti • ato ’nyo ’dhi≤†håtå puru≤a iti • vyaktaµ pratyak≤aså-dhya • tasmådapi cåsiddhaµ parok≤amåptågamåtsiddham • yathå –indro devaråja¢ • utarå¢ kurava¢ • svarge ’psarasa iti parok≤amå-ptavacanåtsiddham •• atra ka©cidåha – pradhånaµ puru≤o vå nopa-labhyate • yacca nopalabhyate loke tannåsti • tasmåtåvapi na sta¢ •yathå – dvitıyaµ ©ira¢ t®tıyo båhuriti • taducyate – atra satåmapya-rthånåma≤†adhopalabdhirna bhavati • tadyathå –

atid¥råtsåmıpyådindriyaghåtånmano ’navasthånåt • sauk≤myådvyavadhånådabhibhavåtsamånåbhihåråcca •• 7 ••

iha satåmapyarthånåmatid¥rådanupalabdhird®≤†å • yathå – de-©åntarasthånåµ caitramaitravi≤~umitrå~åm •• samıpyåt • yathå – ca-k≤u≤o ’ñjanånupalabdhi¢ •• indriyåbhighåtåt • yathå – badhiråndha-yo¢ ©abdar¥pånupalabdhi¢ •• mano ’navasthånåt • yathå – vyagraci-ta¢ samyakkathitamapi nåvadhårayati •• sauk≤myåt • yathå – dh¥-mo≤majalanıhåraparamå~avo gaganagatå nopalabhyante •• vyava-dhånåt • yathå – kuƒyena pihitaµ vastu nopalabhyate || abhibha-våt • yathå – s¥ryatejasåbhibh¥tå graha~ak≤atratårakådayo nopala-bhyante •• samånåbhihåråt • yathå – mudgarå©au mudga¢ k≤ipta¢kuvalayåmalakamadhye kuvalayåmalake k≤ipte kapotamadhye ka-poto nopalabhyante • samånadravyamadhyåh®tatvåt • evama≤†adhå’nupalabdhi¢ satåmarthånåmiha d®≤†å •• evaµ cåsti kimabhyupaga-myate pradhånapuru≤ayorapyetayorvå ’nupalabdhi¢ kena hetunåkena copalabdhistaducyate –

sauk≤myåttadanupalabdhirnåbhåvåtkåryatastadupalabdhi¢ •mahadådi tacca kåryaµ prak®tivir¥paµ sar¥paµ ca •• 8 ••

sauk≤myåtadanupalabdhi¢ • pradhånasyetyartha¢ • pradhå-naµ sauk≤myånnopalabhyate • yathå – åkå©e dh¥mo≤majalanıhå-raparamå~ava¢ santo ’pi nopalabhyante • kathaµ tarhi tadupala-bdhi¢ •• kåryatastadupalabdhi¢ • kåryaµ d®≤†vå kåra~amanumıya-te • asti pradhånaµ kåra~aµ yasyedaµ kåryam • buddhirahaµkå-rapañcatanmåtrå~yekåda©endriyå~i pañcamahåbh¥tånyeva tatkå-

170 såµkhyakårikå¢ 6

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ryam •• tacca kåryaµ prak®tivir¥pam • prak®ti¢ pradhånaµ tasyavir¥paµ prak®terasad®©am • sar¥paµ ca • samånar¥paµ ca • yathå– loke ’pi pitustulya iva putro bhavatyatulya©ca • yena hetunå tu-lyamatulyaµ tadupari≤†ådvak≤yåma¢ •• yadidaµ mahadådi kåryaµtatkiµ pradhåne sadutåhosvidasat – åcåryavipratipaterayaµ saµ-©aya¢ • yato ’tra såµkhyadar©ane satkåryaµ bauddhådınåmasatkå-ryam • yadi sat – asanna bhavati • athåsat – sanna bhavatıti viprati-≤edhastatråha –

asadakara~ådupådånagraha~åtsarvasambhavåbhåvåt •©aktasya ©akyakara~åtkåra~abhåvåcca satkåryam •• 9 ••

asadakåra~åt • na sadasat • asato ’kåra~aµ tasmåtsatkåryam • i-ha loke ’satkara~aµ nåsti • yathå – sikatåbhyastailotpati¢ • tasmå-tsata¢ kara~ådasti prågutpate¢ pradhåne vyaktam • ata¢ satkå-ryam •• kiµ cånyat • upådånagraha~åt • upådånaµ kåra~aµ tasyagraha~åt • iha loke yo yenårthı sa tadupådånagraha~aµ karoti –dadhyarthı k≤ırasya na tu jalasya • tasmåtsatkåryam •• ita©ca sarva-sambhavåbhåvåt • sarvasya sarvatra sambhavo nåsti • yathå – su-var~asya rajatådau t®~ap嵩usikatåsu • tasmåtsarvasambhavåbhå-våtsatkåryam •• ita©ca ©aktasya ©akyakara~åt • iha kulåla¢ ©aktom®dda~ƒacakracıvararajjunırådikara~opakara~aµ vå ©akyamevagha†aµ m®tpi~ƒådutpådayati • tasmåtsatkåryam • ita©ca kåra~a-bhåvåcca satkåryam • kåra~aµ yallak≤a~aµ tallak≤a~ameva kårya-mapi • yathå – yavebhyo yavå¢ • vrıhibhyo vrıhaya¢ • yadå ’satkå-ryaµ syåtata¢ kodravebhya¢ ©ålaya¢ syu¢ • na ca santıti tasmå-tsatkåryam • evaµ pañcabhirhetubhi¢ pradhåne mahadådi li§ga-masti • tasmåtsata utpatirnåsata iti •• prak®tivir¥paµ sar¥paµ cayaduktaµ tatkathamityucyate –

hetumadanityamavyapi sakriyamanekamå©ritaµ li§gam •såvayavaµ paratantraµ vyaktaµ viparıtamavyaktam •• 10 ••

vyaktaµ mahadådikåryaµ hetumaditi • heturasyåstıti hetu-mat • upådånaµ hetu¢ kåra~aµ nimitamiti paryåyå¢ • vyaktasyapradhånaµ heturasti | ato hetumavyaktaµ bh¥taparyantam • hetu-madbuddhitatvaµ pradhånena hetumånahaµkåro buddhyå pañca

171gauƒapådaviracitabhå≤yasahitå¢10

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tanmåtrå~yekåde©endriyå~i hetumantyahaµkåre~a • åkå©aµ ©a-bdatanmåtre~a hetumat • våyu¢ spar©atanmåtre~a hetumån • tejor¥patanmåtre~a hetumat • åpo rasatanmåtre~a hetumatya¢ • p®thi-vı gandhatanmåtre~a hetumatı • evaµ bh¥taparyantaµ vyaktaµhetumat •• kiµ cånyat • anityam • yasmådanyasmådutpadyate ya-thå – m®tpi~ƒådutpadyate gha†a¢ sa cånitya •• kiµ cåvyåpi • asa-rvagamityartha¢ • yathå pradhånapuru≤au sarvagatau naivaµ vya-ktam •• kiµ cånyat • sakriyam • saµsårakåle saµsarati • trayoda©a-vidhena kara~ena saµyuktaµ s¥k≤maµ ©arıramå©ritya saµsarati •tasmåtsakriyam •• kiµ cånyat • anekam • buddhirahaµkåra¢ pa-ñca tanmåtrå~yekåda©endriyå~i pañcamahåbh¥tåni ceti •• kiµ cå-nyadå©ritam • svakåraãamå©rayate • pradhanå©ritå buddhi¢ • bu-ddhimå©rito ’haµkåra¢ • ahaµkårå©ritåni ekåda©endriyå~i pañcatanmåtrå~i • pañcatanmåtrå©ritåni pañcamahåbh¥tånıti •• kiµ ca li-√gam • layayuktam • layakåle pañca mahåbh¥tåni tanmåtre\u lıya-nte • tånyekåda©endriyi¢ sahåhaµkåre sa ca buddhau så ca pradhå-ne layaµ yåtıti •• tathå såvayavam • avayavå¢ ©abdaspar©arasar¥-pagandhå¢ • tai¢ saha •• kiµ ca paratantram • nåtmana¢ prabhava-ti • yathå – pradhånatantrå buddhi¢ • buddhitantro ’haµkåra¢ • a-haµkåratantrå~i tanmåtrå~ındriyå~i ca • tanmåtratantrå~i pañca-mahåbh¥tåni ca • evaµ paratantraµ paråyataµ vyåkhyåtaµ vya-ktam •• atho ’vyakta vyåkhyåsyåma¢ • viparıtamavyaktam • etaire-va guãairyathoktairviparıtamavyaktam • hetumadvyaktamuktam •nahi pradhånåtparaµ kiµcidasti • yata¢ pradhånasyånutpati¢ • ta-smådahetumadavyaktam •• tathå cånityaµ ca vyaktaµ nityama-vyaktamanutpadyamånatvåt • na hi bh¥tånıva kuta©cidutpadyata i-ti nityaµ pradhånam •• kiµ ca • avyåpi vyaktam • vyåpi pradhå-naµ sarvagatatvåt •• sakriyaµ vyaktamakriyamavyaktaµ sarvaga-tatvådeva •• tathå ’nekaµ vyaktam ekaµ pradhånaµ kåraãatvåt •trayå~åµ lokånåµ pradhånamekaµ kåraãaµ tasmådekaµ pradhå-nam •• tathå ’’©ritaµ vyaktam • anå©ritamavyaktamakåryatvåt • nahi pradhånåsti kiµcitparaµ yasya pradhånaµ kåryaµ syåt •• tathåvyaktaµ li√gam • ali√gamavyaktam • mahadådi li√gaµ pralayakå-le parasparaµ pralıyate • naivaµ pradhånaµ tasmådali√gaµ pra-dhånam •• tathå såvayavaµ vyaktam • niravayavamavyaktam • na-hi ©abdaspar©arasar¥pagandhå¢ pradhåne santi •• tathå parata-ntraµ vyaktam • svatantramavyaktam • prabhavatyåtmana¢ •• e-

172 såµkhyakårikå¢ 10

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vaµ vyaktåvyaktayorvaidharmyamuktaµ sådharmyamucyate • ya-duktaµ svar¥paµ ca –

triguãamaviveki vi\aya¢ såmånyamacetanaµ prasavadharmi •vyaktaµ tathå pradhånaµ tadviparıtastathå ca pumån •• 11 ••

triguãaµ vyaktam • satvarajastamåµsi trayo gu~å yasyeti •• a-viveki vyaktam • na viveko ’syåstıti • idaµ vyaktamime gu~å iti navivekaµ kartuµ yåti • ayaµ gaurayama©va iti yathå • ye gu~åsta-dvyaktaµ yadvyaktaµ te ca gu~å iti •• tathå vi\ayo vyaktam • bho-jyamityartha¢ • sarvapuru\å~åµ vi\ayabh¥tatvåt •• tathå såmå-nyaµ vyaktam • m¥lyadåsıvatsarvasådhåraãatvåt •• acetanaµ vya-ktam • sukhadu¢khamohånna cetayatıtyartha¢ •• tathå prasavadha-rmi vyaktam • tadyathå – buddherahaµkåra¢ pras¥yate tasmåtpa-ñca tanmåtrå~yekåda©endriyå~i ca pras¥yante • tanmåtrebhya¢ pa-ñca mahåbh¥tåni •• evamete vyaktadharmå¢ prasavadharmåntå u-ktå¢ • evamebhiravyaktaµ sar¥paµ yathå vyaktaµ tathå pradhå-namiti • tatra triguãaµ vyaktamavyaktamapi triguãaµ yasyaita-nmahadådi kåryaµ triguãam • iha yadåtmakaµ kåraãaµ tadåtma-kaµ kåryam • yathå k®≤ãatantuk®ta¢ k®≤ãa eva pa†o bhavati •• ta-thå ’viveki vyaktaµ pradhånamapi guãairna bhidyate • anye gu~åanyatpradhånamevaµ vivektuµ na yåti tadaviveki pradhånam ••tathå vi\ayo vyaktaµ pradhånamapi sarvapuru≤avi\ayabh¥tatvå-dvi\aya iti • tathå såmånyaµ vyaktaµ pradhånamapi sarvasådhåra-ãatvåt • tathå ’cetanaµ vyaktaµ pradhånamapi sukhadu¢khamo-hånna cetayatıti kathamanumıyate – iha hyacetanånm®tpi~ƒådace-tano gha†a utpadyate •• evaµ pradhånamapi vyåkhyåtam • idånıµtadviparıtastathå ca pumånityetadvyåkhyåyate • tadviparıtastå-bhyåµ vyaktåvyaktåbhyåµ viparıta¢ pumån • tadyathå – “trigu-ãaµ vyaktamavyaktaµ ca triguãa¢ puru≤a • aviveki vyaktamavya-ktaµ ca vivekı puru\a¢ • tathå vi\ayo vyaktamavyaktaµ cåvi\ayapuru\a¢ • tathå såmånyaµ vyaktamavyaktaµ cåsåmånya¢ puru-\a¢ • acetanaµ vyaktamavyaktaµ ca cetana¢ puru\a¢ • sukhadu¢-khamohåncetayati saµjñånıte tasmåccetana¢ puru\a¢ •• sarvadha-rmi vyaktaµ pradhånaµ cåprasavadharmı puru\a • nahi puru\åtki-ñcit pras¥yate • tasmåduktaµ tadviparıta¢ pumåniti •• taduktaµ ta-thå ca pumåniti • tatp¥rvåsyåmåryåyåµ pradhånamahetumadya-

173gauƒapådaviracitabhå≤yasahitå¢11

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thå vyåkhyåtaµ tathå ca pumån • tadyathå hetumadanityamityådivyaktaµ tadviparıtamavyaktam •• tatra hetumadvyaktaµ • ahetu-matpradhånaµ tathå ca pumånahetumånanutpådyatvåt •• anityaµvyaktaµ nityaµ pradhånaµ tathå ca nitya¢ pumån •• avyåpi vya-ktaµ vyåpi pradhånaµ tathå ca vyåpi pumån • sarvagatatvåt •• sa-kriyaµ vyaktamakriyaµ pradhånaµ tathå ca pumånakriya¢ sarva-gatatvåt •• anekaµ vyaktamekamavyaktaµ tathå pumånapyeka¢ ••å©ritaµ vyaktamanå©ritamavyaktaµ tathå ca pumånanå©rita¢ •• li-√gaµ vyaktamali√gaµ pradhånaµ tathå ca pumånapyali√ga¢ • nakvacillıyata iti •• såvayavaµ vyaktaµ nirasvayavamavyaktaµ ta-thå ca pumånniravayava¢ • nahi puru\e ©abdådayo ’vayavå¢ santi ••kiµ ca paratantraµ vyaktaµ svatantramavyaktaµ tathå ca pumå-napi svatantra • åtmana¢ prabhavatıtyartha¢ •• evametadavyakta-puru\ayo¢ sådharmyaµ vyåkhyåtaµ p¥rvasyåmåryåyåm • vyakta-pradhånayo sådharmyaµ puru\asya vaidharmyaµ ca triguãamavi-vekıtyådi prak®tåryåyåµ vyåkhyåtam •• tatra yaduktaµ triguãami-ti vyaktamavyaktaµ ca tatke te gu~å iti tatsvar¥papratipådanåye-damåha –

prıtyaprıtivi\ådåtmakå¢ prakå©åprav®ttiniyamårthå¢ •anyo ’nyåbhibhavå©rayajananamithunav®ttaya©ca gu~å¢ •• 12 ••

prıtyåtmakå aprıtyåtmakå vi\ådåtmakå©ca gu~å¢ – satvaraja-stamåµsıtyartha¢ • tatra prıtyåtmakaµ satvaµ prıti¢ sukhaµ ta-dåtmakamiti • aprıtyåtmakaµ raja¢ • aprıtirdu¢kham • vi\ådåtma-kaµ tamo vi\ådo moha¢ •• tathå prakå©aprav®tiniyamårthå¢ • a-rtha©abda¢ såmarthyavåcı prakå©årthaµ satvaµ prakå©asamartha-mityartha¢ • prav®tyarthaµ raja¢ • niyamårthaµ tama¢ sthitau sa-marthamityartha¢ • prakå©akriyåsthiti©ılå gu~å iti •• tathå – anyo’nyåbhibhavå©rayajananamithunav®taya©ca • anyo ’nyåbhibhavå¢ •anyo ’nyå©rayå¢ • anyo ’nyajananå¢ • anyo ’nyamithunå¢ • anyo’nyav®taya©ca te tathoktå¢ • anyo ’nyåbhibhavå iti • anyo ’nyaµparasparamabhibhavantıti prıtyaprıtyådibhirdharmairåvirbhavanti •yathå – yadå satvamutka†aµ bhavati • tadå rajastaması abhibh¥-ya svaguãai¢ prıtiprakå©åtmanå ’vati\†hate • yadå raja¢ tadå sa-tvataması aprıtiprav®tidharmeãa • yadå tama¢ tadå satvarajasıvi\ådasthityåtmakena iti • tathå ’anyo ’nyå©rayå©ca dvya~ukava-

174 såµkhyakårikå¢ 11

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dgu~å¢ • anyo ’nyajananå¢ • yathå m®tpi~ƒo gha†aµ janayati • ta-thå ’nyo ’nyamithunå©ca • yathå strıpuµsåvanyo ’nyamithunau ta-thå gu~å¢ • uktaµ ca – “rajaso mithunaµ satvaµ satvasya mithu-naµ raja¢ • ubhayo¢ satvarajasormithunaµ tama ucyate ••” (devı-bhagavatam 3.8) •• parasparasahåyå ityartha¢ • anyo ’nyav®taya-©ca • parasparaµ vartante • “gu~å gu~e\u vartante” iti vacanåt(bha. gı. 3.28) • yathå sur¥på su©ılå strı sarvasukhahetu¢ sapatnı-nåµ saiva du¢khahetu¢ saiva rågi~åµ mohaµ janayati • evaµ sa-tvaµ rajastamasorv®tihetu¢ • yathå råjå sadodyukta¢ prajåpåla-ne du\†anigrahe ©i\†ånåµ sukhamutpådayati du\†ånåµ du¢khaµmohaµ ca • evaµ raja satvatamasorv®tiµ janayati • tathå tama¢svar¥pe~åvara~åtmakena satvarajasorv®tiµ janayati • yathå me-dhå¢ khamåv®tya jagata¢ sukhamutpådayanti • te v®≤†yå kar\akå-~åµ kar\aõdyogaµ janayanti • virahi~åµ moham • evaµ anyo’nyav®tayo gu~å¢ •• kiµ cånyat –

sattvaµ laghu praka©akami\†amupa\†ambhakaµ calaµ ca raja¢ •guru varaãakameva tama¢ pradıpavaccårthavato v®tti¢ •• 13 ••

satvaµ laghu prakå©akaµ ca • yadå satvamutka†aµ bhavatitadå lagh¥nya√gåni buddhiprakå©aka©ca prasannatendriyå~åµ bha-vati •• upa\†ambhakaµ calaµ ca raja¢ • upa\†ambhåtıtyupa\†ambha-kamudyotakam • yathå v®\o v®\adar©ana utka†amupa\†ambhaµ ka-rotyevaµ rajov®ti¢ • tathå raja©ca calaµ d®\†aµ rajov®ti©calacitobhavati •• guru varaãakameva tama¢ • yadå tama utka†aµ bhavatitadå gur¥~ya√gånyåv®tånındriyå~i bhavanti svårthåsamarthåni ••atråha – yadi gu~å¢ parasparaµ viruddhå¢ svamatenaiva kama-rthaµ ni\pådayanti tarhi katham – pradıpavaccårthato v®ti¢ • pra-dıpena tulyaµ pradıpavat • arthata¢ sådhanå v®tiri\†å • yathå pra-dıpa¢ parasparaviruddhatailågnivartisaµyogådarthapraka©åñjana-yatyevaµ satvarajastamåµsi parasparaviruddhånyarthaµ ni\på-dayanti •• antara pra©no bhavati – “triguãamaviveki vi\aya¢” ityå-di pradhånaµ vyaktaµ ca vyåkhyåtam • tatra pradhånam • upala-bhyamånaµ mahadådi ca triguãåvivekyådıti ca kathamavagamya-te • tatråha –

avivekyådi¢ siddha¢ traigu~yåttadviparyayåbhåvåt •kåraãagu~åtmakatvåtkåryasyåvyaktamapi siddham •• 14 ••

175gauƒapådaviracitabhå≤yasahitå¢14

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yo ’yamavivekyådirguãa¢ sa traigu~yånmahadådåvavyakte nå-yaµ siddhyati • atrocyate – tadviparyayåbhåvåt • tasya viparyaya¢tasyåbhåva¢ tadviparyayåbhåva¢ • tasmåtsiddhamavyaktam • ya-thå – yatraiva tantavastatraiva pa†a¢ • anye tantavo ’nya¢ pa†o na •kuta¢ – tadviparyayåbhåvåt • evaµ vyaktåvyaktasaµpanno bhava-ti • d¥raµ pradhånamåsannaµ vyaktam • yo vyaktaµ pa©yati sapradhånamapi pa©yati • tadviparyayåbhåvåt •• ita©cåvyaktaµ si-ddham – kåraãagu~åtmakatvåtkåryasya • loke yadåtmakaµ kåra-ãaµ tadåtmaka kåryamiti • tathå – k®\~ebhya¢ tantubhya¢ k®\~aeva pa†o bhavati • evaµ mahadådi li√gamaviveki • vi\aya¢ såmå-nyamacetanaµ prasavadharmi • yadåtmakaµ li√gaµ tadåtmaka-mavyaktmapi siddham •• traigu~yådavivekyådirvyakte siddha • ta-dviparyayåbhåvådevaµ kåraãagu~åtmakatvåtkåryasyåvyaktama-pi siddham – ityetanmithyå • loke yannopalabhyate tannåsti – itina våcyaµ sato ’pi på\åãagandhåderanupalambhåt • evaµ pradhå-namapyasti kiµ tu nopalabhyate ••

bhedånåµ parimå~åtsamanvayåcchaktita¢ prav®tte©ca •kåraãakåryavibhågådavibhågådvai©var¥pyasya •• 15 ••

kåraãamastyavyaktamiti kriyåkårakasambhandha • bhedånåµparimå~åt • loke yatra kartåsti tasya parimåãaµ d®\†am • yathå –kulåla¢ parimitairm®tpi~ƒai¢ parimitåneva gha†ånkaroti • evaµmahadapi • mahadådi li√gaµ parimitaµ bhedata¢ pradhånakå-ryam • ekå buddhi¢ eko ’haµkåra¢ pañca tanmåtrå~yekåda©endri-yå~i panca mahåbh¥tåni • ityevaµ bhedånåµ parimå~ådasti pra-dhånaµ kåraãaµ yadvyaktaµ parimitamutpådayati • yadi pradhå-naµ na syåtadå ni\parimåãamidaµ vyaktamapi syåt • parimå~å-cca bhedånåmasti pradhånaµ yasmådvyaktamutpannam •• tathåsamanvayåt • iha loke prasiddhird®\†å yathå – vratadhåriãaµ ba-†uµ d®\†vå samanvayati • n¥namasya pitarau bråhma~åviti • eva-midaµ triguãaµ mahadådili√gaµ d®≤†vå sådhayåmo ’sya yatkåra-ãaµ bhavi\yatıti • ata¢ samanvayådasti pradhånam •• tathå ©aktita¢prav®te©ca • iha yo yasmiñchakta¢ sa tasminnevårthe pravarteta •yathå – kulålo gha†asya kara~e samartho gha†ameva karoti na pa-†aµ rathaµ vå •• tathå ’sti pradhånaµ kåraãaµ kuta¢ • kåraãakå-ryavibhågåt • karotıti kåraãam • kriyata iti kåryam • kåraãasya kå-

176 såµkhyakårikå¢ 14

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ryasya ca vibhåga¢ • yathå gha†o dadhimadh¥dakapayasåµ dhåra-~e samartho ma tathå m®tpi~ƒa • m®tpi~ƒo vå gha†aµ ni\pådayati •na caivaµ gha†o m®tpi~ƒam • evaµ mahadådili√gaµ d®≤†vånumı-yate – asti vibhaktaµ tatkåraãaµ yasya vibhåga idaµ vyaktamiti ••ita©cåvibhågådvai©var¥pyasya • vi©vaµ jagat • tasya r¥paµ vya-kti¢ • vi©var¥pasya bhåvo vai©var¥pyam • tasyåvibhågådasti pra-dhånam • yasmåtrailokyasya pañcånåµ p®thivyådınåµ mahåbh¥-tånåµ parasparaµ vibhågo nåsti • mahåbh¥te\vantarbh¥tåstrayolokå iti • p®thivyåpastejovåyuråkå©amityetåni pañca mahåbh¥tånipralayakåle s®\†ikrame~aivåvibhågaµ yånti tanmåtre\u pari~åmi-\u • tanmåtrå~yekåda©endriyå~i cåhaµkåre ’haµkåro buddhau bu-ddhi¢ pradhåne • evaµ trayo lokå¢ pralayakåle prak®tåvavibhågaµgacchanti • tasmådavibhågåtk\ıradadhivadvyaktåvyaktayorastya-vyaktaµ kåraãam •• ata©ca –

kåraãamastyavyaktaµ pravartate triguãata¢ samudayåcca •pari~åmata¢ salilavatpratipratigu~å©rayavi©e\åt •• 16 ••

avyaktaµ prakhyåtaµ kåraãamasti yasmånmahadådi li√gaµpravartate •• triguãata¢ trigu~åt • satvarajastamogu~å¢ yasmiµsta-triguãam • tatkimukta bhavati – satvarajastamasåµ såmyåvasthåpradhånam •• tathå samudayåt • yathå ga√gåsrotasi trı~i rudram¥-rdhani patitåni ekaµ sroto janayantyevaµ triguãamavyaktamekaµvyaktaµ janayati • yathå vå tantava samuditå¢ pa†aµ janayanti • e-vamavyaktaµ guãasamudayånmahadådi janayatıti triguãata¢ sa-mudayåcca vyaktaµ jagatpravartate •• yasmådekasmåtpradhånå-dvyaktaµ tasmådekar¥peãa bhavitavyam – nai\a do\a¢ pari~åma-ta¢ salilavatpratipratigu~å©rayavi©e\åt • ekasmåtpradhånåtrayo lo-kå¢ samutpannå¢ tulyabhåvå na bhavanti • devå¢ sukhena yuktå¢ •manu\yå du¢khena tiryañco mohena • ekasmåtpradhånåtprav®taµvyaktaµ pratipratigu~å©rayavi©e\åtpari~åmata¢ salilavadbhavati •pratipratıti vıpså • gu~ånåmå©rayo gu~å©raya¢ • tadvi©e\a¢ taµ gu-~å©rayavi©e\aµ pratinidhåya pratipratigu~å©rayavi©e\aµ pari~å-måtpravartate vyaktam • yathå – åkå©ådekarasaµ salilaµ patitaµnånår¥påtsaµ©le\ådbhidyate tatadrasåntarai¢ • evamekasmåtpra-dhånåtprav®tåstrayo lokå naikasvabhåvå bhavanti • deve\u satva-mutka†aµ rajastaması udåsıne tena te ’tyantasukhina¢ • manu\ye-

177gauƒapådaviracitabhå≤yasahitå¢16

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\u raja utka†aµ bhavati • satvataması udåsıne • tena te ’tyantadu¢-khina¢ • tiryak\u tama utka†aµ bhavati • satvarajası udåsıne tenate ’tyantam¥ƒhå¢ •• evamåryådvayena pradhånasyåstitvamabhyupa-gamyate • ita©cotaraµ puru\åstitvapratipådanårthamåha –

saµghåtaparårthatvåttrigu~ådiviparyayådadhi\†hånåt •puru\o ’sti bhokt®bhåvåtkaivalyårthaµ prav®tte©ca •• 17 ••

yaduktaµ vyaktåvyaktajñavijñånånmok\a¢ pråpyata iti • tatravyaktådanantaramavyaktaµ pañcabhi¢ kåraãairadhigatam • avya-ktavatpuru\o ’pi s¥k\ma¢ • tasyådhunå ’numitåstitvaµ pratikriyate •asti puru\a • kasmåt – saµghåtaparårthatvåt • yo ’yaµ mahadådi-saµghåta¢ sa puru\årtha¢ • ityanumıyate • acetanatvåtparya√kavat •yathå parya√ka¢ pratyekaµ gatrotpalakapådapı†hat¥lıpracchåda-napa†opadhånasaµghåta¢ parårtho nahi svårtha¢ • parya√kasyanahi kiñcidapi gatrotpalådyavayavånåµ parasparaµ k®tyamasti •ato ’vagamyate • asti puru\o ya¢ parya√ke ©ete yasyårthaµ parya-√ka¢ • tatparårthamidaµ ©arıraµ pañcånåµ mahåbh¥tånåµ saµghå-to vartate • asti puru\o yasyedaµ bhogyaµ ©arıraµ bhogyamaha-dådisaµghåtar¥paµ samutpannamiti •• ita©cåtmåsti – trigu~ådivi-paryayåt • yaduktaµ p¥rvasyåmåryåyåµ “triguãamaviveki vi\aya”ityådi tasmådviparyayåt • yenoktaµ “tadviparıtastathå ca pumån” ••adhi\†hånåt • yathedaµ la√ganaplavanadhavanasamarthaira©vai-ryukto ratha¢ sårathinådhi\†hita¢ pravartate tathå ’’tmådhi\†hånå-ccharıramiti • tathå coktaµ \a\†itantre – “puru\ådhi\†hitaµ pra-dhånaµ pravartate” •• ato ’styåtmå – bhokt®tvåt • yathå madhurå-mlalavaãaka†utiktaka\åya\aƒrasopab®µhitasya saµyuktasyånna-sya sådhyate • evaµ mahadådili√gasya bhokt®tvåbhåvådasti sa å-tmå yasyedaµ bhogyaµ ©ariramiti •• ita©ca – kaivalyårthaµ prav®-te©ca • kevalasya bhåva¢ kaivalyam • tannimitaµ yå ca prav®ti-stasyå¢ svakaivalyårthaµ prav®te¢ sakå©ådanumıyate • astyåtme-ti • yata¢ sarvo vidvånavidv嵩ca saµsårak\ayamicchati • evame-bhirhetubhirastyåtmå ©arırådvyatirikta¢ •• atha sa kimeka¢ sarva-©arıre ’dhi\†håtå ma~irasanåtmakas¥travat • åhosvidbahava åtmåna¢prati©arıramadhi\†håtåra ityatrocyate –

jananamaraãakaraãånåµ pratiniyamådayugapatprav®tte©ca •puru\abahutvaµ siddhaµ traigu~yaviparyayåccaiva •• 18 ••

178 såµkhyakårikå¢ 16

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janma ca maraãaµ ca kara~åni ca janmamaraãakara~åni • te-\åµ pratiniyamåt • pratyekaniyamådityartha¢ • yadyeka evåtmåsyåtata ekasya janmani sarva eva jåyerannekasya mara~e sarve’pi mriyerannekasya karaãavaikalye bådhiryåndhatvam¥katvaku-~itvakhañjatvalak\a~e sarve ’pi badhiråndham¥kaku~ikhañjå¢syu¢ • na caivaµ bhavati tasmåjanmamaraãakara~ånåµ pratiniya-måtpuru\abahutvaµ siddham •• ita©ca – ayugapatprav®te©ca • yu-gapadekakålaµ na yugapadayugapatpravartanam • yasmådayuga-paddharmådi\u prav®tird®©yate • eke dharme prav®tå¢ • anye’dharme • vairågye ’nye jñåne ’nye prav®tå¢ • tasmådayugapatpra-v®te©ca bahava iti siddham •• kiµ cånyat – traigu~yaviparyayå-ccaiva • triguãabhåvaviparyayåcca puru\abahutvaµ siddham • ya-thå såmånye janmani eka såtvika¢ sukhı • anyo rajaso du¢khı • a-nyastamaso mohavån • evaµ traigu~yaviparyayådbahutvaµ si-ddhamiti •• akartå puru\a ityetaducyate –

tasmåcca viparyåsåtsiddhaµ såk\itvamasya puru\asya •kaivalyaµ mådhyasthyaµ dra\†®tvamakart®bhåva©ca •• 19 ••

nirguãa¢ puru\o vivekı bhoktetyådigu~ånåµ puru\asya yoviparyåsa ukta¢ tasmåt – satvarajastama¢su kart®bh¥te\u såk\i-tvaµ siddhaµ puru\asyeti • yo ’yamadhik®to bahutvaµ prati • gu-~å eva kartåra¢ pravartante såk\ı nåpi pravartate nåpi nivartata i-ti •• kiµ cånyat – kaivalyam • kevalabhåva¢ kaivalyamanyatvami-tyartha¢ • trigu~ebhya¢ kevalo ’nya¢ •• mådhyasthaµ madhya-sthabhåva¢ • parivråjakavanmadyastha¢ puru\a¢ • yathå ka©citpa-rivråjako gråmıne\u kar\a~årthe\u prav®te\u kevalo madhyastha¢puru\o ’pye\u gu~€\u vartamåne\u na pravartate •• tasmåddra\†®-tvamakart®bhåva©ca • yasmånmadhyasthastasmåddra\†å tasmåda-kartå puru\aste\åµ karmå~åm iti • satvarajastamåµsi trayo gu~å¢karmakart®bhåvena pravartante na puru\a¢ • evaµ puru\asyåsti-tvaµ ca siddham •• yasmådakartå puru\astatkathamadhyavasåyaµkaroti dharmaµ kari\yåmyadharmaµ na kari\yåmıti • ata¢ kartåbhavati – na ca kartå puru\a • evamubhayathå do\a¢ syåditi • ataucyate –

tasmåttatsaµyogådacetanaµ cetanåvadiva li√gam •guãakart®tve ca tathå karteva bhavatyudåsına¢ •• 20 ••

179gauƒapådaviracitabhå≤yasahitå¢20

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iha puru\a©cetanåvån • tena cetanåvabhåsasaµyuktaµ maha-dådi li√gaµ cetanåvadiva bhavati • yathå loke gha†a¢ ©ıtasaµyu-kta¢ ©ıta u\ãasaµyukta u\ãa evaµ mahadådi li√gaµ tasya saµyo-gåtpuru\asaµyogåccetanåvadiva bhavati • tasmådgu~å adhyavaså-yaµ kurvanti na puru\a •• yadyapi loke puru\a¢ kartå gantetyådiprayujyate tathå ’pyakartå puru\a¢ • katham – guãakart®tve ca ta-thå karteva bhavatyudåsına¢ • gu~ånåµ kart®tve satyudåsıno ’pipuru\a¢ karteva bhavati • atra d®\†ånto bhavati – yathå ’caura©cau-rai¢ saha g®hıta©caura ityavagamyate • evaµ trayo gu~å¢ kartå-stai¢ saµyukta¢ puru\o ’kartå ’pi kartå bhavati • kart®saµyogåt •evaµ vyaktåvyaktajñånåµ vibhågo vikhyåta¢ • yadvibhågånmo-k\apråptiriti •• athaitayo¢ pradhånapuru\ayo¢ kiµ hetu¢ saµghå-ta¢ • ucyate –

puru\asya dar©anårthaµ kaivalyårthaµ tathå pradhånasya •pa√gvandhavadubhayorapi saµyogastatk®ta¢ sarga¢ •• 21 ••

puru\asya pradhånena saha saµyogo dar©anårtham • prak®tiµmahadådikåryaµ bh¥tådiparyantaµ puru\a¢ pa©yati •• etadarthaµpradhånasyåpi puru\eãa saµyoga¢ kaivalyårtham •• na ca saµyoga¢pa√gvandhavadubhayorapi dra\†avya¢ • yathå – eka¢ pa√gureka-©cåndha¢ • etau dvåvapi gacchantau • mahatå såmarthyenå†avyåµsårthasya stenak®tådupaplavåt • svabandhuparityaktau daivådita©ce-ta©ca ceratu¢ • svagatyå ca tau saµyogamupayåtau • punastayo¢ sva-vacasorvi©vastatvena saµyogo gamårthaµ dar©anårthaµ ca bhava-ti • andhena pa√gu¢ svaskandhamåropita evaµ ©arırår¥ƒhapa√gu-dar©itena mårge~åndho yåti pa√gu©cåndhaskandhår¥ƒha¢ • evaµ pu-ru\e dar©ana©aktirasti pa√guvanna kriyå • pradhåne kriyå©aktira-styandhavanna dar©ana©akti¢ • yathå vå ’nayo¢ pa√gvandhayo¢ k®-tårthayorvibhågo bhavi\yatıpsitasthånapråptayo¢ • evaµ pradhå-namapi puru\asya mok\aµ k®två nivartate puru\o ’pi pradhånaµd®\†vå kaivalyaµ gacchati • tayo¢ k®tårthayorvibhågo bhavi\yati ••kiµ cånyat • tatk®ta¢ sarga¢ • tena saµyogena k®tastatk®ta¢ sarga¢s®\†i¢ • yathå strıpuru\asaµyogåtsutotpatistathå pradhånapuru\a-saµyogåtsargasyotpati¢ •• idånıµ sarvavibhågadar©anårthamåha –

prak®termahåntato ’haµkåra¢ tasmådgaãa©ca \oƒa©aka¢ •tasmådapi \oƒa©akåtpañcabhya¢ pañca bh¥tåni •• 22 ••

180 såµkhyakårikå¢ 20

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prak®ti¢ pradhånaµ brahmåvyaktaµ bahudhåtmakaµ måyetiparyåyå • ali√gasya prak®te¢ sakå©ånmahånutpadyate • mahånbu-ddhi¢ • åsurı mati¢ khyåtirjñånamiti prajñåparyåyairutpadyate ••tasmåcca mahato ’haµkåra utpadyate • ahaµkåro bh¥tådi vaik®ta¢taijaso ’bhimåna iti paryåyå¢ •• tasmådgaãa©ca ≤oƒa©aka¢ • tasmå-dahaµkåråt≤oƒa©aka¢ ≤oƒa©asvar¥po gaãa utpadyate • sa yathå –pañcatanmåtrå~i • ©abdatanmåtraµ spar©atanmåtraµ r¥patanmå-traµ rasatanmåtraµ gandhatanmåtramiti • tata ekåda©endriyå~i •©rotraµ tvakcak\u\ı jihvå ghråãamiti pañca buddhındriyå~i • vå-kpå~ipådapåy¥pasthå¢ pañca karmendriyå~i • ubhayåtmakamekå-da©am mana¢ • e\a ≤oƒa©o gaõo ’haµkårådutpadyate •• kiµ ca pa-ñcabhya¢ pañca bh¥tåni • tasmåt\oƒa©akådga~åtpañcabhyastanmå-trebhya¢ sakå©åtpañca vai mahåbh¥tånyutpadyante • yaduktam –©abdatanmåtrådåkå©aµ spar©atanmåtrådvåy¥ r¥patanmåtråteja¢rasatanmåtrådåpo gandhatanmåtråtp®thivı • evaµ pañcabhya¢ pa-ramå~ubhya¢ pañca mahåbh¥tånyutpadyante •• yaduktaµ vyaktå-vyaktajñavijñånånmok\a iti tatra mahadådibh¥tåntaµ trayoviµ©a-tibhedaµ vyåkhyåtam • avyaktamapi “bhedånåµ parimå~åt” ityå-dinå vyåkhyåtam • puru\o ’pi “saµghåtaparårthatvåt” ityådibhirhe-tubhirvyåkhyåta¢ • evametåni pañcaviµ©atitatvåni • yastaistrailo-kyaµvyåptaµ jånåti • tasya bhåvo ’stitvaµ tatvam • yathoktam –“pañcaviµ©atitatvajño yatra kutrå©rame rata¢ • ja†ı mu~ƒı ©ikhıvåpi mucyate nåtra saµ©aya¢ ••” tåni yathå – prak®ti¢ puru\o bu-ddhirahaµkåra¢ pañca tanmåtrå~yekåda©endriyå~i pañcamahåbh¥-tåni • ityetåni pancaviµ©atitatvåni • tatroktaµ prak®termahånutpa-dyate • tasya kiµ lak\aãametadåha –

adhyavasåyo buddhirdharmo jñånaµ viråga ai©varyam •såttvikametadr¥paµ tåmasamasmådviparyastam •• 23 ••

adhyavasåyo buddhilak\aãam • adhyavasånamadhyavasåya¢ •yathå bıje bhavi\yadv®tiko ’√kurastadvadadhyavasåya • ayaµ gha-†o ’yaµ pa†a ityevaµ sati yå så buddhiriti lak\yate •• så ca buddhi-ra\†å√gikå såtvikatåmasar¥pabhedåt • tatra buddhe¢ såtvikaµ r¥-paµ caturvidhaµ bhavati – dharmo jñånaµ vairågyamai©varyaµceti • atra dharmo nåma dayådånayamaniyamalak\aãa¢ • tatra ya-må niyamå©ca påtañjale ’bhihitå¢ • “ahiµsåsatyåsteyabrahmaca-

181gauƒapådaviracitabhå≤yasahitå¢23

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ryåparigrahå yam墔 (yo. s¥. 2.30) – “©aucasanto≤atapa¢svådhyå-ye©varapra~idhånåni niyam墔 (yo. s¥. 2.32) • jñånaµ prakå©o ’va-gamo bhånamiti paryåyå¢ • tacca dvividham – båhyamabhyanta-raµ ceti • tatra båhyaµ nåma vedå¢ ©ik\åkalpavyåkaraãanirukta-cchandojyoti\åkhyå\aƒa√gasahitå¢ • purå~åni nyåyamımåµsådha-rma©åstrå~i ceti • abhyantaraµ prak®tipuru\ajñånam • iyaµ prak®-ti¢ satvarajastamasåµ såmyåvasthå • ayaµ puru\a siddho nirgu-õo vyåpı cetana iti • tatra båhyajñånena lokapaktirlokånuråga itya-rtha¢ • åbhyantareãa jñånena mok\a ityartha¢ • vairågyamapi dvi-vidhaµ båhyamåbhyantaraµ ca • båhyaµ d®\†avi\ayavait®\~yaµ •arjanarak\aãak\ayasa√gahiµsådo\adar©anådviraktasya • åbhyanta-ram – pradhånamapyatra svapnendrajalasad®©amiti viraktasya mo-k\epsoryadutpadyate tadåbhyantaraµ vairågyam • ai©varyamı©va-rabhåva¢ • taccå\†aguãan – a~imå mahimå garimå laghimå pråpti¢pråkåmyamı©itvaµ va©itvaµ yatrakåmavåsayitvaµ ceti • aõorbhå-vo ’~imå s¥k\mo bh¥två jagati vicaratıti • mahimå mahånbh¥tvåvicaratıti • laghimå m®~ålıt¥låvayavådapi laghutayå pu\pakesarå-gre\vapi ti\†hati • pråptirabhimataµ vastu yatratatråvasthitaµ prå-pnoti • pråkåmyaµ prakåmato yadevecchati tadeva vidadhåti • ı©i-tvaµ prabhutayå trailokyamapı\†e • va©itvaµ sarvaµ va©ıbhavati •yatrakåmåvasåyitvaµ brahmådi\†ambhaparyantaµ yatra kåmasta-traivåsya svecchayå sthånåsanavihårånåcaratıti • catvåri etåni bu-ddhe¢ såtvikåni r¥på~i • yadå satvena rajastamasyabhibh¥te ta-då pumånbuddhigu~åndharmådınåpnoti •• kiµ cånyatåmasama-smådviparyastam • asmåddharmåderviparıtaµ tåmasaµ buddhir¥-pam • tatra dharmådviparıto ’dharma¢ • evamajñånamavairågyama-nai©varyamiti • evaµ såtvikaiståmasai¢ svar¥paira\†å√gå buddhi-strigu~ådavyaktådutpadyate •• evaµbuddhilak\aãamuktam • ahaµ-kåralak\aãamucyate –

abhimåno ’haµkårastasmåddvividha¢ pravartate sarga¢ •ekåda©aka©ca gaãastanmåtra¢ pañcaka©caiva •• 24 ••

ekåda©aka©ca gaãa¢ • ekåda©endriyå~i • tathå tanmåtro gaãa¢pañcaka¢ pañcalak\aõopeta¢ • ©abdatanmåtraspar©atanmåtrar¥pa-tanmåtrarasatanmåtragandhatanmåtralak\aõopeta¢ •• kiµ lak\a~å-tsarga ityetadåha –

182 såµkhyakårikå¢ 23

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såttvika ekåda©aka¢ pravartate vaik®tådahaµkåråt •bh¥tådestanmåtra¢ sa tåmasa¢ taijasådubhayam •• 25 ••

satvenåbhibh¥te yadå rajastamasyahaµkåre bhavatastadå so’haµkåra¢ såtvika¢ • tasya ca p¥rvåcåryai¢ saµjñå k®tå vaik®ta i-ti • tasmådvaik®tådahaµkårådekåda©aka indriyagaãa utpadyate •tasmåtsåtvikåni vi©uddhånındriyå~i svavi\ayasamarthåni • tasmå-ducyate – “såtvika ekåda©aka¢” iti • kiµ cånyat • bh¥tådestanmå-tra¢ sa tåmasa¢ • tamaså ’bhibh¥te satvarajasyahaµkåre yadå bha-vata¢ so ’haµkåratåmasa ucyate • tasya p¥rvåcåryak®tå saµjñåbh¥tådi¢ • tasmådbh¥tåderahaµkåråtanmåtra¢ pañcako gaãa u-tpadyate • bh¥tånåmådibh¥tastamobahulastenokta¢ sa tåmasa iti •tasmådbh¥tåde¢ pañcatanmåtrako gaãa •• kiµ ca taijasådubhayam •yadå rajasåbhibh¥te satvataması bhavatastadå tasmåtso ’haµkåra-staijasa iti saµjñåµ labhate • tasmåtaijasådubhayamutpadyate • u-bhayamiti ekåda©o gaãa¢ • tanmåtra¢ pañcaka¢ • yo ’yaµ såtviko’haµkåro vaik®tiko vaik®to bh¥tvaikåda©endriyå~yutpådayati sataijasamahaµkåraµ sahåyaµ g®h~åti • såtviko ni\kriya¢ sa taija-sayukta indriyotpatau samartha¢ • tathå tåmaso ’haµkåro bh¥tå-disaµjñito ni\kriyatvåtaijasenåhaµkåreãa kriyåvatå yuktastanmå-trå~yutpådayati • tenoktam – taijasådubhayamiti • evaµ taijasenå-haµkåre~endriyå~yekåda©a pañcatanmåtrå~i k®tåni bhavanti •• så-tvika ekåda©aka ityukta¢ • yo vaik®tåtsåtvikådahaµkårådutpadya-te tasya kå saµjñetyåha –

buddhındriyå~i cak\u¢©rotraghråãarasanaspar©anakåni •våkpå~ipådapåy¥pasthånkarmendriyå~yåhu¢ •• 26 ••

cak\urådıni spar©anaparyantåni buddhındriyå~yucyante • sp®-©yate ’nena iti spar©anaµ tvagindriyam • tadvåcı siddha¢ spar©ana-©abdo ’sti tenedaµ pa†hyate spar©anakånıti • ©abdaspar©ar¥parasa-gandhånpañca vi\ayånbudhyante ’vagacchantıti pañcabuddhındri-yå~i •• våkpå~ipådapåy¥pasthånkarmendriyå~yåhu¢ • karma ku-rvantıti karmendriyå~i • tatra vågvadati hastau nånåvyåparaµ ku-rvata¢ pådau gamanågamanaµ påyurutsargaµ karotyupastha åna-ndaµ prajotpatyå •• evaµ buddhındriyakarmendriyabhedena da©a

183gauƒapådaviracitabhå≤yasahitå¢26

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indriyå~i vyåkhyåtåni • mana ekåda©aµ kimåtmakaµ kiµsvar¥-paµ ceti taducyate –

ubhayåtmakamatra mana¢ saµkalpakamindriyaµ ca sådharmyåt •guãapari~åmavi©e\ånnånåtvaµ båhyabhedå©ca •• 27 ••

atrendriyavarge mana ubhayåtmakam • buddhındriye\u buddhı-ndriyavatkarmendriye\u karmendriyavat • kasmåt • buddhındriyå-~åµ prav®tiµ kalpayati karmendriyå~åµ ca • tasmådubhayåtma-kaµ mana¢ • saµkalpayatıti saµkalpakam •• kiµ cånyat • indriyaµca sådharmyåt • samånadharmabhåvåt • såtvikåhaµkårådbuddhı-ndriyå~i karmendriyå~i manaså sahotpadyamånåni manasa¢ sådha-rmyaµ prati • tasmåtsådharmyånmano ’pındriyam • evametånyekå-da©endriyå~i såtvikådvaik®tådahaµkårådutpannåni • tatra manasa¢kå v®tiriti • saµkalpo v®ti¢ • buddhındriyå~åµ ©abdådayo v®taya¢karmendriyå~åµ ca vacanådaya¢ •• athaitånındriyå~i bhinnåni bhi-nnårthagråhakå~i kimı©vareãa uta svabhåvena k®tåni yata¢ pradhå-nabuddhyahaµkårå acetanå¢ puru\o ’pyakartetyatråha – iha såµ-khyånåµ svabhåvo nåma ka©citkåraãamasti • atrocyate – guãapari-~åmavi©e\ånnånåtvaµ båhyabhedå©ca • imånyekåda©endriyå~i ©a-bdaspar©ar¥parasagandhå¢ pañcånåµ vacanådånavihareõotsargå-nandå©ca pañcanåµ saµkalpa©ca manasa¢ • evemete bhinnånåme-vendriyå~åmarthå¢ • guãapari~åmavi©e\åt – gu~ånåµ pari~åmoguãapari~åma¢ • tasya vi©e\ådindriyå~åµ nånåtvaµ båhyabhedå-©ca • athaitannånåtvaµ ne©vareãa • nåhaµkåreãa na buddhyå napradhånena na puru\eãa svabhåvåtk®taguãapariãåmeneti • guãånå-macetanatvånna pravartate • pravartata eva • kathaµ vak\yatıhaiva– “vatsaviv®ddhinimitaµ k\ırasya yathå prav®tirajñasya • puru\a-sya vimok\årthaµ tathå prav®ti¢ pradhånasya” evamacetanå gu~å¢ekåda©endriyabhåvena pravartante • vi©e\å api tatk®tå eva • yeno-ccai¢ prade©e cak\uravalokanåya sthitaµ tathå ghråãaµ tathå ©ro-traµ tathå jihvå svade©e svårthagraha~åya • evaµ karmendriyå~ya-pi yathåyathaµ svårthasamarthåni svade©åvasthitåni svabhåvatoguãapariãåmavi©e\ådeva na tadarthå api • yata uktaµ ©åstråntare“gu~å gu~e\u vartante” • gu~ånåµ yå v®ti¢ så guãavi\ayå eveti bå-hyårthå vijñeyå guãak®tå evetyartha¢ pradhånaµ yasya kåraãami-ti •• athendriyasya kasya kå v®tirityucyate –

184 såµkhyakårikå¢ 26

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©abdådi\u pañcånåmålocanamåtrami\yate v®tti¢ •vacanådånaviharaõotsargånandå©ca pañcånåm •• 28 ••

måtra©abdo vi©e\årtha¢ • avi©e\avyåv®tyartha¢ • yathå bhik\å-måtraµ labhyate nånyo vi©e\a iti • tathå cak\¥ r¥pamåtre na raså-di\u • evaµ ©e\å~yapi • tadyathå cak\u\o r¥paµ jihvåyå rasa¢ ghrå-ãasya gandha¢ ©rotrasya ©abda¢ tvaca¢ spar©a¢ • evame\åµ bu-ddhındriyå~åµ v®ti¢ kathitå •• karmendriyå~åµ v®ti¢ kathyate –vacanådånaviharaõotsargånandå©ca pañcånåm • karmendriyå~åmi-tyartha¢ • våco vacanaµ hastayorådånaµ pådayorviharaãaµ påyo-rbhuktasyåhårasya pariãatamalotsarga upasthasyånanda¢ sutotpa-ti¢ • vi\ayå v®tiriti sambandha¢ •• adhunå buddhyahaµkåramana-såmucyate –

svålak\a~yaµ v®ttistrayasya sai\å bhavatyasåmånyå •såmånyakaraãav®tti¢ prå~ådyå våyava¢ pañca •• 29 ••

svalak\aãasvabhåvå svålak\aãyå • adhyavasåyo buddhiriti la-k\aãamuktaµ saiva buddhiv®ti¢ • tathå ’bhimåno ’haµkåra itya-bhimånalak\aõo ’bhimånav®ti©ca • saµkalpakaµ mana iti lak\aãa-muktaµ tena saµkalpa eva manaso v®ti¢ • trayasya buddhyahaµkå-ramanasåµ svålak\a~yå v®ti¢ •• asåmånyå • yå prågabhihitå bu-ddhındriyå~åµ ca v®ti¢ så ’pyasåmånyaiveti •• idånıµ såmånyåv®tiråkhyåyate • såmånyakaraãav®ti¢ såmånyena kara~ånåµ v®-ti¢ • prå~ådyå våyava¢ pañca • prå~åpånasamånodånavyånå itipañca våyava¢ sarvendriyå~åµ såmånyå v®ti¢ • yata¢ pråõo nå-ma våyurmukhanåsikåntargocara¢ tasya yatspandanaµ karma ta-trayodaŸavidhasyåpi såmånyå v®ti¢ • sati prå~e yasmåtkara~ånå-måtmalåbha iti • pråõo ’pi pañjara©akunivatsarvasya calanaµ karo-tıti • pråãanåtpråãa ityucyate • tathå ’pånayanådapåna¢ • tatra ya-tspandanaµ tadapi såmånav®tirindriyasya • tathå samåno madhya-de©avartı ya åhårådınåµ samaµ nayanåtsamåno våyu¢ • tatra ya-tspandanaµ tatsåmånyakaraãav®ti¢ • tathå ¥rdhvåroha~ådutka-r\ådunnayanådvå udåno nåbhide©amastakåntargocara¢ • tatrodå-ne yatspandanaµ tatsarvendriyå~åµ såmånyå v®ti¢ • kiµ ca • ©a-rıravyåtirabhyantaravibhåga©ca yena kriyate ’sau ©arıravyåptyå å-kå©avadvyåna¢ • tatra yatspandanaµ tatkaraãajålasya såmånyå v®-

185gauƒapådaviracitabhå≤yasahitå¢29

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tiriti • evamete pañca våyava¢ såmånyakaraãav®tiriti vyåkhyåtå¢ •trayoda©avidhasyåpi karaãasåmånyå v®tirityartha¢ ••

yugapaccatu\†ayasya tu v®tti¢ krama©a©ca tasya nirdi\†å •d®\†e tathå ’pyad®\†e trayasya tatp¥rvikå v®tti¢ •• 30 ••

yugapaccatu\†ayasya • buddhyahaµkåramanasåmekaikendriya-sambandhe sati catu\†ayaµ bhavati • catu\†ayasya d®\†e prativi\a-yådhyavasåye yugapadv®ti¢ • buddhyahaµkåramana©cak\¥µ\iyugapadekakålaµ r¥paµ pa©yanti sthå~urayamiti • buddhyahaµkå-ramanojihvå yugapadrasaµ g®hãanti buddhyahaµkåramanoghrå-h~åni yugapadgandhaµ g®hãanti • tathå våk©rotre api •• kiµ cakrama©a©ca tasya nirdi\†å • tasyeti catu\†ayasya krama©a©ca v®ti-rbhavati • yathå ka©citpathi gacchand¥rådeva d®\†vå sthå~urayaµpuru\o veti saµ©aye sati tatropar¥ƒhaµ talli√gaµ pa©yati ©akuniµvå • tatastasya manaså saµkalpite saµ©aye • vyavacchedabh¥tå bu-ddhirbhavati sthå~urayamiti • ato ’haµkåra©ca ni©cayårtha¢ sthå-~ureveti • evaµ buddhyahaµkåramana©cak\u\åµ krama©o v®ti-rd®\†å • yathå r¥pe tathå ©abdådi\vapi boddhavyå • d®\†e d®\†avi\a-ye •• kiµ cånyat • tathå ’pyad®\†e trayasya tatp¥rvikå v®ti¢ • ad®-\†e ’någate ’tıte ca kåle buddhyahaµkåramanasåµ r¥pe cak\u¢p¥-rvikå trayasya v®ti¢ • spar©e tvakp¥rvikå gandhe ghråãap¥rvikårase rasanap¥rvikå ©åbde ©ravaãap¥rvikå • buddhyahaµkåramana-såmanågate bhavi\yati kåle ’tıte ca tatp¥rvikå krama©o v®ti¢ • va-rtamåne yugapatkrama©a©ceti •• kiµ ca –

svåµ svåµ pratipadyante parasparåk¥tahetukåµ v®ttim •puru\årtha eva heturna kenacitkåryate karaãam •• 31 ••

svåµ svåmiti vıpså • buddhyahaµkåramanåµsi svåµ svåµ v®-tiµ parasparåk¥tahetukåµ “åk¥tådarasambhrama” iti • pratipa-dyante puru\årthakara~åya buddherahaµkårådaya¢ • buddhira-haµkåråk¥taµ jñåtvå svasvavi\ayaµ pratipadyate •• kimarthamiticet – puru\årtha eva hetu¢ • puru\årtha¢ kartavya ityevamarthaµgu~ånåµ prav®ti¢ • tasmådetåni kara~åni puru\årthaµ prakå©aya-nti • yadyacetanånıti kathaµ svayaµ pravartante – na kenacitkå-ryate karaãam • puru\årtha evaika¢ kårayatıti våkyårtha¢ • na ke-

186 såµkhyakårikå¢ 29

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nacidı©vareãa puru\eãa vå kåryate prabodhyate karaãam •• bu-ddhyådi katividhaµ tadityucyate –

karaãaµ trayoda©avidhaµ tadåharaãadhåraãaprakå©akam •kåryaµ ca tasya da©adhå ’’håryaµ dhåryaµ prakå©yaµ ca •• 32 ••

karaãaµ mahadådi trayoda©avidhaµ boddhavyam • pañca bu-ddhındriyå~i cak\urådıni pañca karmendriyå~i vågådıni buddhya-haµkåramanåµsi ceti trayoda©avidhaµ karaãam •• tatkiµ karotı-tyetadåha – tadåharaãadhåraãaprakå©akam • tatråharaãaµ dhåra-ãaµ ca karmendriyå~i kurvanti prakå©aµ buddhındriyå~i •• kativi-dhaµ kåryaµ tasyeti taducyate • kåryaµ ca tasya da©adhå • tasyakaraãasya kåryaµ kartavyaµ da©adhå da©aprakåram • ©abdaspa-r©ar¥parasagandhåkhyaµ vacanådånavihåraõotsargånandåkhyame-tadda©avidhaµ kåryam • buddhındriyai¢ prakå©itaµ karmendriyå-~yåharanti dhårayanti ceti •• kiµ ca –

anta¢karaãaµ trividhaµ da©adhå båhyaµ trayasya vi\ayåkhyam • såmpratakålaµ båhyaµ trikålamåbhyantaraµ karaãam •• 33 ••

anta¢karaãamiti buddhyahaµkåranåµsi trividhaµ mahadådi-bhedåt • da©adhå båhyaµ ca • buddhındriyå~i pañca karmendriyå~ipañca • da©avidhametatkaraãaµ båhyam •• tatra trayasya vi\ayå-khyam • ©rotraµ vartamånameva ©abdaµ ©®õoti nåtıtaµ na ca bha-vi\yantam • cak\urapi vartamånaµ r¥paµ pa©yati nåtıtaµ nå ’nå-gatam • tvagvartamånaµ spar©aµ jihvå vartamånaµ rasaµ nåsikåvartamånaµ gandhaµ nåtıtånågataµ cetyevaµ karmendriyå~i –vågvartamånaµ ©abdamuccårayati nåtıtaµ nå ’någataµ ca • på~ıvartamånaµ gha†amådadåte nåtıtamanågataµ ca • pådau vartamå-naµ panthånaµ viharato nåtıtaµ nåpyanågatam • påyurupasthauca vartamånåvutsargånandau kuruto nåtıtau nå ’någatau • evaµbåhyaµ karaãaµ såmpratakålamuktam •• trikålamåbhyantaraµ ka-raãam • buddhyahaµkåramanåµsi trikålavi\ayå~i buddhirvarta-månaµ gha†aµ budhyate ’tıtamanågataµ ceti • ahaµkåro vartamå-ne ’bhimånaµ karotyatıte ’någate ca • tathå mano vartamånesaµkalpaµ kurute ’tıte ’någate ca • evaµ trikålamåbhyantaraµ ka-raãamiti •• idånımindriyå~i kati savi©e\aµ vi\ayaµ g®h~anti • kåninirvi©e\amiti • taducyate –

187gauƒapådaviracitabhå≤yasahitå¢33

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buddhındriyå~i te\åµ pañca vi©e\åvi©e\avi\ayå~i •vågbhavati ©abdavi\ayå ©e\å~i tu pañcavi\ayå~i •• 34 ••

buddhındriyå~i • tåni savi©e\aµ vi\ayaµ g®hãanti • savi©e\avi-\ayaµ månu\å~åµ ©abdaspar©ar¥parasagandhånsukhadu¢khamo-hayuktånbuddhındriyå~i prakå©ayanti • devånåµ nirvi©e\ånvi\ayå-nprakå©ayanti •• tathå karmendriyå~åµ madhye vågbhavati ©abda-vi\ayå • devånåµ månu\å~åµ ca vågbhavati ©lokådınuccårayati •tasmåddevånåµ månu\å~åµ ca vågindriyaµ tulyam •• ©e\å~yapivågvyatiriktåni på~ipådapåy¥pasthasaµjñitåni pañcavi\ayå~i • pa-ñca vi\ayå¢ ©abdådayo ye\åµ tåni pañcavi\ayå~i • ©abdaspar©ar¥-parasagandhå¢ påãau santi • pañca©abdådilak\a~åyåµ bhuvi pådoviharati • påyvindriyaµ pañcakøptamutsargaµ karoti • tathopasthe-ndriyaµ pañcalak\aãaµ ©ukramånandayati ••

sånta¢karaãå buddhi¢ sarvaµ vi\ayamavagåhate yasmåt •tasmåttrividhaµ karaãaµ dvåri dvårå~i ©e\å~i •• 35 ••

sånta¢kara~å buddhi¢ • ahaµkåramana¢sahitetyartha¢ • yasmå-tsarvaµ vi\ayamavagåhate g®h~åti • tri\vapi kåle\u ©abdådıng®h~å-ti • tasmåtrividhaµ karaãaµ dvåri • dvårå~i ©e\å~i • kara~ånıti vå-kya©e\a¢ •• kiµ cånyat –

ete pradıpakalpå¢ parasparavilak\a~å guãavi©e\å¢ •k®tsnaµ puru\asyårthaµ prakå©ya buddhau prayacchanti •• 36 ••

yåni kara~å~yuktåni • ete guãavi©e\å¢ kiµvi©i\†å¢ pradıpaka-lpå¢ pradıpavadvi\ayaprakå©akå¢ •• parasparavilak\a~å¢ • asad®©å¢ •bhinnavi\ayå ityartha¢ •• guãavi©e\å¢ • gu~ebhyo jåtå¢ •• k®tsnaµpuru\asyårtham • buddhındriyå~i karmendriyå~yahaµkåro mana-©caitåni svaµ svamarthaµ puru\asya prakå©ya buddhau praya-cchanti • buddhisthaµ kurvantıtyartha¢ • yato buddhisthaµ sa-rvaµ vi\ayasukhådikaµ puru\a upalabhyate •• kiµ cånyat –

sarvaµ pratyupabhogaµ yasmåtpuru\asya sådhayati buddhi¢ •saiva ca vi©ina\†i puna¢ pradhånapuru\åntaraµ s¥k\mam •• 37 ••

sarvendriyagataµ tri\vapi kåle\u sarvam • pratyupabhogamu-pabhogaµ prati • devamanu\yatiryagbuddhındriyakarmendriyadvå-

188 såµkhyakårikå¢ 34

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reãa sånta¢kara~å buddhi¢ sådhayati sampådayati yasmåtasmå-tsaiva ca vi©ina\†i pradhånapuru\ayorvi\ayavibhågaµ karoti • pra-dhånapuru\åntaraµ nånåtvamityartha¢ •• s¥k\mamityanadhik®ta-tapa©caraãairapråpyam • iyaµ prak®ti¢ satvarajastamasåµ såmyå-vasthå • iyaµ buddhirayamahaµkåra¢ • etåni pañcatanmåtrå~ye-kåda©endriyå~i pañca mahåbh¥tånyayamanya¢ puru\a ebhyo vya-tirikta¢ • ityevaµ bodhayati buddhiryasyåvåyådapavargo bhavati ••p¥rvamuktaµ vi©e\åvi©e\avi\ayå~i tatke vi\ayå¢ tåndar©ayati –

tanmåtrå~yavi©e\å¢ tebhyo bh¥tåni pañca pañcabhya¢ • ete sm®tå vi©e\å¢ ©åntå ghorå©ca m¥ƒhå©ca •• 38 ••

yåni pañca tanmåtrå~yahaµkårådutpadyante tåni – ©abdata-nmåtraµ spar©atanmåtraµ r¥patanmåtraµ rasatanmåtraµ ga-ndhatanmåtraµ – etånyavi©e\å ucyante • devånåmete sukhalak\a-~å vi\ayå du¢khamoharahitå¢ •• tebhya¢ pañcabhya¢ tanmåtre-bhya¢ pañca mahåbh¥tåni p®thivyaptejovåyvåkå©asaµjñåni yånyu-tpadyanta ete sm®tå vi©e\å¢ • gandhatanmåtråtp®thivı rasatanmå-trådåpa¢ spar©atanmåtrådvåy¥ r¥patanmåtråteja¢ ©abdatanmåtrå-dåkå©amityevamutpannånyetåni mahåbh¥tåni •• ete vi©e\å månu\å-~åµ vi\ayå¢ • ©åntå¢ sulak\a~å¢ • ghorå du¢khalak\a~å¢ • m¥ƒhåmohajanakå¢ • yathåkå©aµ kasyacidanavakå©ådantarg®hådernirga-tasya sukhåtmakaµ ©åntaµ bhavati • tadeva panthånaµ gacchatovanamårgådbhra\†asya di√mohånm¥ƒhaµ bhavati • evaµ våyu-rgharmårtasya ©ånto bhavati • ©ıtårtasya ghora¢ • dh¥lı©arkaråvi-mi©ro ’tivånm¥ƒha iti • evaµ teja¢prabh®ti\u dra\†avyam •• athå-nye vi©e\å¢ –

s¥k\må måtåpit®jå¢ saha prabh¥taistridhå vi©e\å¢ syu¢ •s¥k\måste\åµ niyatå måtåpit®jå nivartante •• 39 ••

s¥k\må¢ tanmåtrå~ı • yatsaµg®hıtaµ s¥k\ma©arıraµ mahadå-dili√gaµ sadå ti\†hati saµsarati ca te s¥k\må¢ •• tathå måtåpit®jå¢sth¥la©arıropacåyakå ®tukåle måtåpit®saµyoge ©o~ita©ukrami©rı-bhåvenodarånta¢ s¥k\ma©arırasyopacayaµ kurvanti • tats¥k\ma-©arıraµ punarmåtura©itapıtanånåvidharasena nåbhınibandhenåpyå-yate •• tathå prårabdhaµ ©arıraµ s¥k\mairmåtåpit®jai©ca saha ma-

189gauƒapådaviracitabhå≤yasahitå¢39

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håbh¥tai¢ tridhå vi©e\ai¢ p®\†odaraja√ghåka†yura¢©ira¢ prabh®ti-\å†kau©ikaµ påñcabhautikaµ rudhiramåµsasnåyu©ukråsthimajjå-saµbh®taµ – åkå©o ’vakå©adånåt • våyurvardhanåteja¢ påkådåpa¢saµgrahåtp®thivı dhåra~åt samaståvayavopetaµ måturudarådbahi-rbhavati • evamete trividhå vi©e\å¢ syu¢ •• atråha – ke nityå¢ kevå ’nityå¢ – s¥k\måste\åµ niyatå • s¥k\måstanmåtrasaµjñakåste-\åµ madhye niyatå nityå¢ • tairårabdhaµ ©arıraµ karmava≤åtpa-©um®gapak\isarıs®pasthåvarajåti\u saµsarati • dharmava©ådindrådi-loke\u • evametanniyataµ s¥k\ma©arıraµ saµsarati na yåvajjñåna-mutpadyate • utpanne jñåne vidvåñcharıraµ tyaktvå mok\aµ ga-cchati • tasmådete vi©e\å¢ s¥k\må nityå iti •• måtåpit®jå nivartante •tats¥k\ma©arıraµ parityajya ihaiva pråãatyågavelåyåµ måtåpit®jånivartante • maraãakåle måtåpit®jaµ ©arıramihaiva niv®tya bh¥-myådi\u pralıyate yathåtatvam •• s¥k\maµ ca kathaµ saµsaratitadåha –

p¥rvotpannamasaktaµ niyataµ mahadådis¥k\maparyantam •saµsarati nirupabhogaµ bhåvairadhivåsitaµ li√gam •• 40 ••

yadå lokå anutpannå¢ pradhånådisarge tadå s¥k\ma©arıramu-tpannamiti • kiµ cånyat • asaktam • na saµyuktaµ tiryagyonideva-månu\asthåne\u • s¥k\matvåtkutracidasaktaµ parvatådi\vapratiha-taprasaraµ saµsarati gacchati •• niyataµ nityam • yåvanna jñåna-mutpadyate tåvatsaµsarati •• tacca mahadådis¥k\maparyantam •mahånådau yasya tanmahadådi buddhirahaµkåro mana iti pañcatanmåtrå~i • s¥k\maparyantaµ tanmåtraparyantaµ saµsarati ©¥la-grahapipılikåvatrınapi lokån •• nirupabhogam • bhogarahitam • ta-ts¥k\ma©arıraµ pit®måt®jena båhyenopacayena kriyådharmagraha-~ådbhoge\u samarthaµ bhavatıtyartha¢ •• bhåvairadhivåsitam • pu-rastådbhåvåndharmådınvak\yåma¢ tairadhivåsitamuparañjitam •• li-√gamiti • pralayakåle mahadådis¥k\maparyantaµ karaõopetaµ pra-dhåne lıyate • asaµsaraãayuktaµ sadåsargakålamatra vartate • pra-k®timohabandhanabaddhaµ satsaµsara~ådikriyåsvasamarthamiti •puna¢ sargakåle saµsarati tasmålli√gaµ s¥k\mam •• kiµ prayoja-nena trayoda©avidhaµ karaãa saµsaratıtyevaµ codite satyåha –

citraµ yathå©rayam®te sthå~vådibhyo yathå vinå chåyå •tadvadvinå ’vi©e\airna ti\†hati nirå©rayaµ li√gam •• 41 ••

190 såµkhyakårikå¢ 39

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citraµ yathå kuƒyå©rayam®te na ti\†hati sthå~vådibhya¢ kıla-kådibhyo vinå chåyå na ti\†hati tairvinå na bhavati • ådigraha~å-dyathå ©aityaµ vinå nåpo bhavanti ©aityaµ vå ’dbhirvinå • agniru-\ãaµ vinå våyu¢ spar©aµ vinå ’’kå©amavåka©aµ vinå p®thivı ga-ndhaµ vinå tadvat • etena d®\†åntena nyåyena vinå ’vi©e\airavi©e-\aistanmåtrairvinå na ti\†hati • atha vi©e\abh¥tånyucyante ©arıraµpañcabh¥tamayaµ vai©e\i~å ©arıreãa vinå kvå li√gasthånaµ ceti •kva ekadehamujjhati tadevånyamå©rayati •• nirå©rayam • å©rayara-hitaµ li√gaµ trayoda©avidhaµ karaãamityartha¢ •• kimarthaµ ta-ducyate –

puru\årthahetukamidaµ nimittanaimittikaprasa√gena •prak®tervibhutvayogånna†avadvyavati\†hate li√gam •• 42 ••

puru\årtha¢ kartavya iti pradhånaµ pravartate • sa ca dvividha¢– ©abdådyupalabdhilak\aõo guãapuru\åntaropalabdhilak\aãa©ca • ©a-bdådyupalabdhirbrahmådiloke\u gandhådibhogåvåpti • guãapuru-\åntaropalabdhirmok\a iti • tasmåduktaµ puru\årthahetukamidaµs¥k\maµ ©arıraµ pravartata iti •• nimitanaimitikaprasa√gena • ni-mitaµ dharmådi naimitikam¥rdhvagamanådi purastådeva va-k\yåma¢ • prasa√gena prasaktyå •• prak®te¢ pradhånasya vibhutva-yogåt • yathå råjå svarå\†re vibhutvådyadyadicchati tatatkarotıtitathå prak®te¢ sarvatra vibhutvayogånnimitanaimitikaprasa√genavyavati\†hate p®thakp®thagdehadhåra~e li√gasya vyavasthåµ karo-ti •• li√gaµ s¥k\mai¢ paramå~ubhistanmåtrairupacitaµ ©arıraµtrayoda©avidhakaraõopetaµ månu\adevatiryagyoni\u vyavati\†ha-te • katham • na†avat • yathå na†a¢ pa†åntareãa pravi©ya devo bh¥-två nirgacchati punarmånu\a¢ punarvid¥\aka evaµ li√gaµ nimi-tanaimitikaprasa√genodarånta¢ pravi©ya hastı strı pumånbhava-ti •• bhåvairadhivåsitaµ li√gaµ saµsaratıtyuktaµ tatke bhåvå ityå-ha –

såµsiddhikå©ca bhåvå¢ pråk®tikå vaik®tikå©ca dharmådyå¢ •d®\†å¢ kara~å©rayiãa¢ kåryå©rayiãa©ca kalalådyå¢ •• 43 ••

bhåvåstrividhå©cintyante – såµsiddhikå¢ pråk®tå vaik®tå©ca •tatra såµsiddhikå yathå bhagavata¢ kapilasyådisarga utpadyamå-

191gauƒapådaviracitabhå≤yasahitå¢43

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nasya catvåro bhåvå¢ sahotpannå¢ – dharmo jñånaµ vairågyaµai©varyamiti • pråk®tå kathyante – brahmaãa©catvåra¢ putrå¢ sa-nakasanandasanåtanasanatkumårå babh¥vu¢ • te\åmutpannakå-ryakåra~ånåµ ©arırå~åµ \oƒa©avar\å~åmete bhåvå©catvåra¢ sa-mutpannå¢ tasmådete pråk®tå¢ • tathå vaik®tå yathå – åcåryam¥-rti nimitaµ k®två ’smadådınåµ jñånamutpadyate • jñånådvairå-gyaµ vairågyåddharmo dharmådai©varyamiti • åcåryam¥rtirapi vi-k®tiriti tasmådvaik®tå ete bhåvå ucyante • yairadhivåsitaµ li√gaµsaµsarati • ete catvåro bhåvå¢ såtvikå¢ • tåmaså viparıtå¢ “såtvi-kametadr¥paµ tåmasamasmådviparyastam” ityatra vyåkhyåtå¢ •evama\†au – dharmo jñånaµ vairågyaµ ai©varyamadharmo ’jñåna-navairågyamanai©varyamiti •• a\†au bhåvå¢ kva vartante – d®\†å¢kara~å©rayiãa¢ • buddhi¢ karaãaµ tadå©rayiãa¢ • etaduktam – “a-dhyavasåyo buddhirdharmo jñånam” iti •• kåryaµ dehastadå©rayå¢kalalådyå¢ • ye måt®jå ityukå¢ • ©ukra©o~itasaµyoge viv®ddhihetu-kå¢ kalalådyå budbudamåµsape©ıprabh®taya • tathå kaumårayau-vanasthaviratvådayo bhåvå¢ • annapånarasanimitå¢ ni\padyante •ata¢ kåryå©rayiãa ucyante ’nnådivi\ayabhoganimitå jåyante •• ni-mitanaimitakaprasa√geneti yaduktamatrocyate –

dharmeãa gamanam¥rdhvaµ gamanamadhastådbhavatyadharmeãa •jñånena cåpavargo viparyayådi\yate bandha¢ •• 44 ••

dharmeãa gamanam¥rdhvam • dharmaµ nimitaµ k®tvordhva-mupayåti • ¥rdhvamitya\†au sthånåni g®hyante • tadyathå – brå-hmaµ pråjåpatyaµ saumyaµ aindraµ gåndharvaµ yåk\aµ råk\a-saµ pai©åcamiti • tats¥k\ma©arıraµ gacchati • pa©um®gapak\isarı-s®pasthåvarånte\vadharmo nimitam •• kiµ ca jñånena cåpavarga¢ •apavarga¢ ca pañcaviµ©atitatvajñånam • tena nimitenåpavargomok\a¢ • tata¢ s¥k\ma©arıraµ nivartate paramåtmocyate •• vipa-ryayådi\yate bandha¢ • ajñånaµ nimitam • sa caiva naimitika¢pråk®to vaikåriko dåk\i~ika©ca bandha iti vak\yati puraståt • yadi-damuktam – “pråk®tena ca bandhena tathå vaikårikeãa ca • dåk\i-~ena t®tıyena baddho nånyena mucyate” tathå ’nyadapi nimitam –

vairågyåtprak®tilaya¢ saµsåro bhavati råjasådrågåt •ai©varyådavighåto viparyayåttadviparyåsa¢ •• 45 ••

192 såµkhyakårikå¢ 43

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yathå kasyacidvairågyamasti na tatvajñånam • tasmådajñåna-p¥rvådvairågyåtprak®tilaya¢ • m®to ’\†åsu prak®ti\u pradhånabu-ddhyahaµkåratanmåtre\u lıyate na mok\a¢ • tato bh¥yo ’pi saµsa-rati •• tathå so ’yaµ råjaso råga¢ – yajåmi • dak\i~åµ dadåmi yenå-mu\miµlloke ’tra yaddivyaµ månu\aµ sukhamanubhavåmi – eta-smådråjasådrågåtsaµsåro bhavati •• tathå ai©varyådavighåta¢ • eta-dai©varyama\†aguãama~imådiyuktam • tasmådai©varyanimitåda-vighåto naimitiko bhavati • bråhmådi\u sthå~e\vai©varyaµ na vi-hanyeta •• kiµ cånyat • viparyayådviparyåya¢ • tasyåvighåtasya vi-paryåso vighåto bhavati • anai©varyåtsarvatra vihanyate •• e\a ni-mitai¢ saha naimitika¢ \oƒa©avidho vyåkhyåta¢ • sa kimåtmakaityucyate –

e\a pratyayasargo viparyayå©aktitu\†isiddhyåkhya¢ •guãavai\amyavimardåttasya bhedåstu pañcå©åt •• 46 ••

yathå e\a \oƒa©avidho nimitanaimitikabheda¢ vyåkhyåta e\apratyayasarga ucyate • pratyayo buddhirityuktå “adhyavasåyo bu-ddhirdharmo jñånam” ityådi •• sa ca pratyayasarga©caturdhå bhi-dyate – viparyayå©aktitu\†isiddhyåkhyabhedåt • tatra saµ©ayo ’jñå-naµ viparyaya¢ • yathå kasyacitsthå~urdar©ane sthå~urayaµ pu-ru\o veti saµ©aya¢ • a©aktiryathå – tameva sthå~uµ samyagd®-\†vå saµ©ayaµ chetuµ na ©aknotıtya©akti¢ • evaµ t®tıyastu\†yå-khyo yathå – tameva sthå~uµ jñåtuµ saµ©ayituµ vå necchati ki-manenåsmåkamitye\å tu\†i¢ • caturtha¢ siddhyåkhyo yathå – ana-nditendriya¢ sthå~umår¥ƒhaµ valliµ pa©yati ©akuniµ vå • tasyasiddhirbhavati sthå~urayamiti •• evamasya caturvidhasya pratyaya-sargasya guãavai\amyavimardena tasya bhedåstu pañcå©at • yo’yaµ satvarajastamogu~ånåµ vai\amyo vimarda¢ tena tasya pra-tyayasargasya pañcå©adbhedå bhavanti • tathå kvåpi satvamutka-†aµ bhavati rajastaması udåsıne kvåpi raja¢ kvåpi tama iti •• bhedå¢kathyante –

pañca viparyayabhedå bhavantya©akti©ca karaãavaikalyåt •a\†åviµ©atibhedå tu\†irnavadhå ’\†adhå siddhi¢ •• 47 ••

pañca viparyayabhedå¢ • te tathå – tamo moho mahåmoha¢ tå-mi©ro andhatåmi©ra iti • e\åµ bhedånåµ nånåtvaµ vak\yate ’na-

193gauƒapådaviracitabhå≤yasahitå¢47

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ntarameveti •• a©aktestva\†åviµ©atirbhedå bhavanti karaãavaika-lyåt • tånapi vak\yåma¢ •• tathå ca tu\†irnavadhå • ¥rdhvasrotasiråjasåni jñånåni •• tathå ’\†avidhå siddhi¢ • såtvikåni jñånåni ta-traivordhvasrotasi • etatkrameãaiva vak\yati •• tatra viparyayabhe-då ucyante –

bhedastamaso ’\†avidho mohasya ca da©avidho mahåmoha¢ •tåmisro ’\†åda©adhå tathå bhavatyandhatåmisra¢ •• 48 ••

tamasaståvada\†adhå bheda¢ • pralayo ’jñånådvibhajyate • so’\†åsu prak®ti\u lıyate • pradhånabuddhyahaµkårapañcatanmåtrå-su • tatra lıyamåtmånaµ manyate mukto ’hamiti tamobheda e\a¢ ••a\†avidhasya mohasya bhedo ’\†avidha evetyartha¢ • yatrå\†aguãa-mai©varyaµ tatra sa√gådindrådayo devå na mok\aµ pråpnuvanti •puna©ca tatk\aye saµsarantye\o ’\†avidho moha iti •• da©avidho ma-håmoha¢ • ©abdaspar©ar¥parasagandhå devånåmete pañca vi\ayå¢sukhalak\a~å månu\å~åmapyeta eva ©abdådaya¢ pañca vi\ayå¢ • e-vamete\u da©asu mahåmoha iti •• tåmisro ’\†åda©adhå • a\†avidha-maiŸvaryaµ d®\†ånu©ravikå vi\ayå da©a • ete\åma\†åda©ånåµ sa-mpadamanunandanti vipadaµ nånumodantye\o ’\†åda©avidho vi-kalpaståmisra¢ •• yathå tåmisrama\†aguãamai©varyaµ d®\†ånu©ra-vikå da©a vi\ayå¢ tathå ’ndhatåmisro ’pya\†åda©abheda eva • kiµtu vi\ayasampatau sambhogakåle ya eva mriyate • a\†aguãai©va-ryådvå bhra©yate tatastasya mahaddu¢khamutpadyate so ’ndhatå-misra iti • evaµ viparyayabhedåstama¢prabh®taya¢ pañca pratye-kaµ bhidyamånå dvi\a\†ibhedå¢ saµv®tå iti •• a©aktibhedå¢ ka-thyante –

ekåda©endriyavadhå¢ saha buddhivadhaira©aktiruddi\†å •saptada©a vadhå buddherviparyayåttu\†isiddhınåm •• 49 ••

bhavantya©akte©ca karaãavaikalyåda\†åviµ©atibhedå¢ • ityu-ddi\†am • tatra ekåda©endriyavadhå¢ – bådhiryamandhatå prasu-ptirupajihvakå ghråãapåko m¥katå ku~itvaµ khåjyaµ gudåvarta¢klaibyamunmåda iti •• saha buddhivadhaira©aktiruddi\†å • ye bu-ddhivadhaistai¢ sahå©aktera\†åviµ©atibhedå bhavanti •• saptada©avadhå buddhe¢ • saptada©a vadhåste tu\†ibhedåsiddhibhedavaiparı-

194 såµkhyakårikå¢ 47

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tyena • tu\†ibhedå nava siddhibhedå a\†au ye te viparıtai¢ saha ekå-da©a vadhå¢ • evama\†åviµ©ativikalpå a©aktiriti •• viparyayåtu\†isi-ddhınåmeva bhedakramo dra\†avya • tatra tu\†irnavadhå kathyate ••

ådhyåtmikå©catasra¢ prak®tyupådånakålabhågyåkhyå¢ •båhyå vi\ayoparamåtpañca nava tu\†ayo ’bhihitå¢ •• 50 ••

ådhyåtmikå©catasra¢ tu\†aya¢ • adhyåtmani bhavå ådhyåtmi-kå¢ • tå©ca prak®tyupådånakålabhågyåkhyå¢ • tatra prak®tyåkhy墖 yathå ka©citprak®tiµ veti tasyå¢ saguãatvanirguãatvaµ ca tenatatvaµ tatkåryaµ vijñåyaiva kevalaµ tu\†astasya nåsti mok\a¢ –e\å prak®tyåkhyå • upådånåkhyå – yathå ka©cidavijñåyaiva tatvå-nyupådånagrahaãaµ karoti • trida~ƒakama~ƒaluvividi≤åbhya¢ mo-k\a iti • tasyåpi nåsti mok\a iti • e\å upådånåkhyå • tathå kålåkhyå– kålena mok\o bhavi\yatıti kiµ tatvåbhyåsena • itye\å kålåkhyåtu\†istasya nåsti mok\a iti • tathå bhågyåkhyå – bhågyenaiva mo-k\o bhavi\yatıti bhågyåkhyå • caturdhå tu\†iriti •• båhyå vi\ayopa-ramåcca pañca • båhyåstu\†aya¢ pañca vi\ayoparamåt • ©abdaspa-r©ar¥parasagandhebhya uparato ’rjanarak\aãak\ayasa√gahiµsåda-r©anåt • v®ddhinimitaµ på©upålyavå~ijyapratigrahasevå¢ kåryå¢ •etadarjanaµ du¢kham • arjitånåµ rak\a~e du¢kham • upabhogå-tk\ıyata iti k\ayadu¢kham • tathå vi\ayopabhogasa√ge k®te nåstı-ndriyå~åmupa©ama iti sa√gado\a • tathå nå ’nupahatya bh¥tånyu-pabhoga iti hiµsådo\a¢ • evamarjanådido\adar©anåtpañcavi\ayo-paramåtpañca tu\†aya¢ •• evamådhyåtmikabåhyabhedånnava tu\†a-ya¢ • tåsåµ nåmåni ©åstråntare proktåni – ambha¢ salilamogho v®-\†i¢ sutama¢ påraµ sunetraµ nårıkamanutamåmbhasikamiti • å-såµ tu\†ınåµ viparıtå a©aktibhedådbuddhivadhå bhavanti • tadya-thå – anambho ’salilo ’nogha ityådivaiparıtyådbuddhivadhå iti •• si-ddhirucyate –

¥ha¢ ©abdo ’dhyayanaµ du¢khavighåtåstraya¢ suh®tpråpti •dånaµ ca siddhayo ’\†au siddhe¢ p¥rvo ’√ku©astrividha¢ •• 51 ••

¥ho yathå ka©cinnityam¥hate – kimiha satyaµ kiµ paraµ kiµnai¢©reyasaµ kiµ k®två k®tårtha¢ syåm – iti cintayato jñånamu-tpadyate pradhånådanya eva puru\a iti • anyå buddhi¢ • anyo

195gauƒapådaviracitabhå≤yasahitå¢51

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’haµkåra¢ • anyåni tanmåtrå~ındriyå~i pañca mahåbh¥tånıtyevaµtatvajñånamutpadyate yena mok\o bhavati • e\å uhåkhyå pratha-må siddhi¢ •• tathå ©abdajñånåtpradhånapuru\abuddhyahaµkåra-tanmåtrendriyapañcamahåbh¥tavi\ayaµ jñånaµ bhavati • tato mo-k\a itye\å ©abdåkhyå siddhi¢ •• adhyayanådvedådi©astrådhyayanå-tpañcaviµ©atitatvajñånaµ pråpya mok\aµ yåti • itye\å t®tıyå si-ddhi¢ •• du¢khavighåtatrayam • ådhyåtmikådhibhautikådhidaivika-du¢khatrayavighåtåya guruµ samupagamya tata upade©ånmo-k\aµ yåti • e\å caturthı siddhi¢ • e\aiva du¢khatrayabhedåtridhåkalpanıyå • iti \a†siddhaya¢ •• tathå suh®tpråpti¢ • yathå ka©citsuh®-jjñånamadhigamya mok\aµ gacchati • e\å saptamı siddhi¢ •• dånam •yathå ka©cidbhagavatåµ pratyå©rayau\adhitrida~ƒaku~ƒikådınåµgråsåcchådanådınåµ ca dånenopak®tya • tebhyo jñånamavåpya mo-k\aµ yåti • e\å ’\†amı siddhi¢ •• åsåma\†ånåµ siddhınåµ ©åstrånta-re saµjña¢ k®tå¢ – tåraµ sutåraµ tåratåraµ pramodaµ pramudi-taµ pramodamånaµ ramyakaµ sadåpramuditamiti • åsåµ viparya-yådbuddhervadhå ye viparıtåsta a©aktau nik\iptå¢ • yathå – atåra-masutåramatåratåram – ityådi dra\†avyam •• a©aktibhedå ’\†åviµ©a-tiruktå¢ • te – sahabuddhivadhairekåda©endriyavadhå iti • tatra tu-\†iviparyayå nava siddhınåµ viparyayå ’\†au – evamete saptada©abuddhivadhå¢ • etaı¢ sahendriyavadhå¢ • a\†åviµ©atira©aktibhedå¢pa©cåtkathitå iti viparyayå©aktitu\†isiddhınåmevodde©o nirde©a©cak®ta iti •• kiµ cånyat • siddhe¢ p¥rvo ’√ku©astrividha¢ • siddhe¢p¥rvå yå viparyayå©aktitu\†ayastå eva siddhera√ku©a¢ • tadbhedå-deva trividha¢ • yathå hastı g®hıtå√ku©ena va©o bhavatyevaµ vipa-ryayå©aktitu\†ibhirg®hıto loko ’jñånaµ pråpnoti • tasmådetå¢ pari-tyajya siddhi¢ sevyå • sasiddhestatvajñånamutpadyate • tasmå-nmok\a iti •• atha yaduktaµ “bhåvairadhivåsitaµ li√gam” • tatrabhåvå dharmådayo ’\†åvuktå buddhipariãamå¢ • viparyayå©aktitu-\†isiddhipari~atå¢ • sa bhåvåkhya¢ pratyayasarga¢ • li√gaµ ca ta-nmåtrasarga©caturda©abh¥taparyanta ukta¢ • tatraikenaiva sarge-ãa puru\årthasiddhau kimubhayavidhasarge~etyata åha –

na vinå bhåvairli√gaµ na li√gena bhåvanirv®tti¢ •li√gåkhyo bhåvåkhyastasmåddvividha¢ pravartate sarga¢ •• 52 ••

bhåvaispratyayasargairvinå li√gaµ na tanmåtrasargo na p¥rva-p¥rvasaµskåråd®\†akåritatvådutarotaradehalambhasya •• li√gena

196 såµkhyakårikå¢ 51

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tanmåtrasargeãa ca vinå bhåvanirv®tirna • sth¥las¥k\madehaså-dhyatvåddharmåde¢ • anåditvåcca sargasya bıjå√kuravadanyonyå-©rayo na do\åya tatajjåtıyåpek\itatve ’pi tatadvyaktınåµ paraspa-rånapek\itatvåt • tasmådbhåvåkhyo li√gåkhya©ca dvividha¢ • pra-vartate sarga iti •• kiµ cånyat •

a\†avikalpo daivastairyagyona©ca pañcadhå bhavati •månu\a©caikavidha¢ samåsato ’yaµ tridhå sarga¢ •• 53 ••

tatra daivama\†aprakåram – bråhmaµ pråjåpatyaµ saumya-maindraµ gåndharvaµ yåk\aµ råk\asaµ pai©åcamiti • pa©um®ga-pak\isarıs®pasthåvarå~i bh¥tåni • evaµ pañcavidhastaira©ca • må-nu\ayonirekaiva • iti caturda©a bh¥tåni •• tri\vapi loke\u guãatra-yamasti • tatra kasminkimadhikamityucyate –

¥rdhvaµ sattvavi©ålastamovi©åla©ca m¥lata¢ sarga¢ •madhye rajiovi©ålo brahmådistambaparyanta¢ •• 54 ••

¥rdhvamiti • a\†asu devasthåne\u satvavi©åla • satvaviståra¢satvotka†a ¥rdhvasatva iti • tatråpi rajastaması sta¢ •• tamovi©ålom¥lata¢ • pa©vådi\u sthåvarånte\u sarva¢ sargastamasådhikyenavyåpta¢ • tatråpi satvarajası sta¢ •• madhye månu\e raja utka†am •tatråpi satvataması vidyete • tasmåddu¢khapråyå manu\yå¢ •• e-vaµ brahmådistambaparyanto brahmådisthåvarånta ityartha¢ • e-vamabhautika¢ sargo li√gasargo bhåvasargo bh¥tasargo daivamå-nu\atairyagyonå¢ • itye\a pradhånak®ta¢ \oƒa©avidha¢ sarga¢ ••

tatra jaråmaraãak®taµ du¢khaµ pråpnoti cetana¢ puru\a¢ •li√gasyåviniv®tte¢ tasmåddu¢khaµ svabhåvena •• 55 ••

tatreti • te\u devamånu\atiryagyoni\u jaråk®taµ maraãak®taµcaiva du¢khaµ cetana¢ caitanyavånpuru\a pråpnoti • na pradhå-naµ na buddhirnåhaµkåro natanmåtrånındriyå~i mahåbh¥tåni ca ••kiyantaµ kålaµ puru\o du¢khaµ pråpnotıti tadvivinakti – li√ga-syåviniv®te¢ • yatanmahadådi li√ga©arıre~åvi©ya tatra vyaktıbha-vati tadyåvanna nivartate saµsåra©arıramiti tåvatsaµk\epeãa tri-\u sthåne\u puru\o jaråmaraãak®taµ du¢khaµ pråpnoti li√gasyå-viniv®terli√gasya viniv®tiµ yåvat • li√ganiv®tau mok\a¢ • mok\a-

197gauƒapådaviracitabhå≤yasahitå¢55

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pråptau nåsti du¢khamiti • tatpuna¢ kena nivartate yadå pañca-viµ©atitatvajñånaµ syåtsatvapuru\ånyatåkhyåtilak\aãam – idaµpradhånaµ iyaµ buddhirayamahaµkåra¢ • imåni pañca mahåbh¥-tåni yebhyo ’nya¢ puru\o visad®©a iti • evaµ jñånålli√ganiv®tista-to mok\a iti •• prak®te¢ kiµ nimita årambha ityucyate –

itye\a¢ prak®tik®tau mahadådivi©e\abh¥taparyanta¢ •pratipuru\avimok\årthaµ svårtha iva parårtha årambha¢ •• 56 ••

itye\a¢ parisamåptau nirde©e ca • prak®tik®tau prak®tikara~e •prak®tikriyåyåµ ya årambho mahadådivi©e\abh¥taparyanta¢ – pra-k®termahån • mahato ’haµkåra¢ • tasmåtanmåtrå~yekåda©endri-yå~i tanmåtrebhyo pañca mahåbh¥tåni • itye\a¢ •• pratipuru\avi-mok\årtham • puru\aµ puru\aµ prati • devamanu\yatiryagbhåvaµgatånåµ vimok\årthamårambha •• katham – svårtha iva parårthaårambha¢ • yathå ka©citsvårthaµ tyaktvå mitrakåryå~i karotyevaµpradhånam • puru\o ’tra pradhånasya na kiñcitpratyupakåraµ ka-roti • svårtha iva na ca svårtha¢ • parårtha eva • artha¢ ©abdådivi\a-yopalabdhirguãapuru\åntaropalabdhi©ca • tri\u loke\u ©abdådivi\a-yai¢ puru\å yojayitavyå¢ • ante mok\eãa – iti pradhånasya prav®-ti¢ • tathå coktam – kumbhavatpradhånaµ puru\årthaµ k®två ni-vartata iti •• atrocyate – acetanaµ pradhånaµ cetana¢ puru\a iti •‘mayå tri\u loke\u ©abdådibhirvi\ayai¢ puru\o yojyo ’nte mok\a¢kartavya¢’ iti kathaµ cetanavatprav®ti • satyam • kintvacetanånå-mapi prav®tird®\†å niv®ti©ca yasmådityåha –

vatsaviv®ddhinimittaµ k\ırasya yathå prav®ttirajñasya •puru\avimok\animittaµ tathå prav®tti¢ pradhånasya •• 57 ••

yathå t®~ådikaµ gavå bhak\itaµ k\ırabhåvena pariãamya va-tsaviv®ddhiµ karoti • pu\†e ca vatse nivartate • evaµ puru\avimo-k\animitaµ pradhånamityajñasya prav®tiriti •• kiµ ca –

autsukyaniv®ttyarthaµ yathå kriyåsu pravartate loka¢ •puru\asya vimok\årthaµ pravartate tadvadvyaktam •• 58 ••

yathå loka i\†autsukye sati tasya niv®tyarthaµ kriyåsu prava-rtate gamanågamanakriyåsu k®takåryo nivartate • tathå puru\asya

198 såµkhyakårikå¢ 55

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vimok\årthaµ ©abdådivi\ayopabhogalak\aãaµ guãapuru\åntaro-palabdhilak\aãaµ ca dvividhamapi puru\årthaµ k®två pradhånaµnivartate •• kiµ cånyat –

ra√gasya dar©ayitvå nivartate nartakı yathå n®tyåt •puru\asya tathå ’’tmånaµ prakå©ya vinivartate prak®ti¢ •• 59 ••

yathå nartakı ©®√garådirasairitihåsådibhåvai©ca nibaddhagıta-våditrav®tåni ra√gasya dar©ayitvå k®takåryå n®tyånnivartate ta-thå prak®tirapi puru\asyåtmånaµ prakå©ya buddhyahaµkårata-nmåtrendriyamahåbh¥tabhedena nivartate •• kathaµ ko vå ’syå ni-vartako hetustadåha –

nånåvidhairupåyairupakåri~yanupakåriãa¢ puµsa¢ •guãavatyaguãasya satastasyårthamapårthakaµ carati •• 60 ••

nånåvidhairupåyai¢ prak®ti¢ puru\asyopakåri~ı • anupakåriãa¢puµsa¢ • katham – devamånu\atiryagbhåvena sukhadu¢khamohå-tmakabhåvena ©abdådivi\ayabhåvena •• evaµ nånåvidhairupåyai-råtmånaµ prakå©ya • ahamanyå tvamanya iti • nivartate • ato ni-tyasya tasyårthamapårthaµ carati kurute • yathå ka©citparopakårısarvasyopakurute • nåtmana¢ pratyupakåramıhate • evaµ prak®ti¢puru\årthaµ carati karotyapårthakam •• pa©cåduktam – åtmånaµprakå©ya nivartate • niv®tå ca kiµ karotıtyåha –

prak®te¢ sukumårataraµ na kiñcidastıti me matirbhavati •yå d®\†åsmıti punarna dar©anamupaiti puru\asya •• 61 ••

loke prak®te¢ sukumårataraµ na kiñcidastıtyevaµ me mati-rbhavati yena parårtha evaµ matirutpannå • kasmåt – ahamanenapuru\eãa d®\†åsmıtyasya puµsa¢ punardar©anaµ nopaiti • puru\a-syådar©anamupayatıtyartha¢ • tatra sukumårataraµ varãayati • ke-cidı©varaµ kåraãaµ bruvate – “ajño janturanı©o ’yamåtmana¢ su-khadu¢khayo¢ • ı©varaprerito gacchetsvargaµ narakameva vå ••”(ma. bhå. 3.30.88) •• apare svabhåvakåraãakå bruvate – kena ©uklı-k®tå haµså may¥rå¢ kena citritå¢ svabhåvenaiveti • atra såµkhyå-cåryå åhu¢ • nirguãatvådı©varasya kathaµ sagu~å¢ prajå¢ jåyeran •

199gauƒapådaviracitabhå≤yasahitå¢61

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kathaµ vå puru\ånnirgu~ådeva • tasmåtprak®teryujyate • yathå ©u-klebhyastantubhya ©ukla eva pa†o bhavati • k®\~ebhya¢ k®\ãa eve-ti • evaµ trigu~åtpradhånåtrayo lokåstrigu~å¢ samutpannå iti ga-myate • nirguãa ı©vara¢ • sagu~ånåµ lokånåµ tasmådutpatirayu-kteti • anena puru\o vyåkhyåta¢ • tathå ke\åµcitkåla¢ kåraãamiti •uktaµ ca – “kåla¢ pacati bh¥tåni kåla¢ saµharate jagat • kåla¢ su-pte\u jågarti kålo hi duratikrama¢” • vyaktåvyaktapuru\å¢ traya¢padårthå¢ • tena kålo ’ntarbh¥to ’sti • sa hi vyakta¢ • sarvakart®två-tkålasyåpi pradhånameva kåraãam • svabhåvo ’pyatraiva lına¢ • ta-småtkålo na kåraãaµ • nåpi svabhåva iti • tasmåtprak®tireva kåra-ãaµ na prak®te¢ kåraãåntaramastıti •• na punardar©anamupayåtipuru\asya • ata¢ prak®te¢ sukumårataraµ subhogyataraµ na kiñci-dı©varådikåraãamastıti me matirbhavati •• tathå ca loke r¥ƒhaµpuru\o mukta¢ puru\a¢ saµsaratıti codite åha –

tasmånna badhyate nåpi mucyate nåpi saµsarati ka©cit •saµsarati badhyate mucyate ca nånå©rayå prak®ti¢ •• 62 ••

tasmåtkåra~åtpuru\o na badhyate nåpi mucyate nåpi saµsara-ti yasmåtkåra~åtprak®tireva nånå©rayå daivamånu\atiryagyonyå-©rayå buddhyahaµkåratanmåtrendriyabh¥tasvar¥peãa badhyatemucyate saµsarati ceti •• atha mukta eva svabhåvåtsa sarvagata-©ca kathaµ saµsarati – apråptapråpa~årthaµ saµsaraãamiti • te-na puru\o badhyate puru\o mucyate puru\a¢ saµsaratıti vyapadi-©yate yena saµsåritvaµ na vidyate • satvapuru\åntarajñånåta-tvaµ puru\asyåbhivyajyate • tadabhivyaktau kevala¢ ©uddho mu-kta¢ svar¥paprati\†ha¢ puru\a iti •• atra yadi puru\asya bandho nå-sti tato mok\o ’pi nåsti • atrocyate – prak®tirevåtmånaµ badhnåtimocayati ca • yatra s¥k\ma©arıraµ tanmåtrakaµ trividhakaraõope-taµ tatrividhena bandhena badhyate • uktaµ ca – “pråk®tena cabandhena tathå vaikårikeãa ca • dåk\i~ena t®tıyena baddho nånye-na mucyate” tats¥k\maµ ©arıraµ dharmådharmasaµyuktam •• pra-k®ti©ca badhyate prak®ti©ca mucyate saµsaratıti kathaµ tat – ucya-te –

r¥pai¢ saptabhireva tu badhnåtyåtmånamåtmanå prak®ti¢ •saiva ca puru\årthaµ prati vimocayatyekar¥peãa •• 63 ••

200 såµkhyakårikå¢ 61

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r¥pai¢ saptabhireva • etåni sapta procyante • dharmo vairågya-mai©varyamadharmo ’jñånamavairågyamanai©varyametåni prak®te¢sapta r¥på~i • tairåtmånaµ svaµ badhnåti prak®tiråtmanå svenai-va • saiva prak®ti¢ puru\asyårtha¢ puru\årtha¢ kartavya iti vimo-cayatyåtmånamekar¥peãa jñånena •• kathaµ tajjñånamutpadyate –

evaµ tattvåbhyåsånnåsmi na me nåhamityapari©e\am •aviparyayådvi©uddhaµ kevalamutpadyate jñånam •• 64 ••

evamuktakrameãa pañcaviµ©atitatvålocanåbhyåsåt • iyaµprak®ti¢ • ayaµ puru\a¢ • etåni pañcatanmåtrendriyamahåbh¥tånı-ti puru\asya jñånamutpadyate – nåsmi nåhameva bhavåmi • name mama ©arıraµ tat • yato ’hamanya¢ ©arıramanyat • nåhamitya-pari©e\aµ • ahaµkårarahitamapari©e\am •• aviparyayådvi©uddham •viparyaya¢ saµ©aya¢ • aviparyayådasaµ©ayåt • vi©uddhaµ keva-laµ tadeva nånyadastıti mok\akåraãamutpadyate ’bhivyajyate jñå-naµ pañcaviµ©atitatvajñånaµ puru\asyeti •• jñåne puru\a¢ kiµkaroti –

tena niv®ttaprasavåmarthava©åtsaptar¥paviniv®ttåm •prak®tiµ pa©yati puru\a¢ prek\akavadavasthita¢ svastha¢ •• 65 ••

tena vi©uddhena kevalajñånena puru\a¢ prak®tiµ pa©yati • pre-k\akavat prek\akeãa tulyam • avasthita¢ svastha¢ • yathå ra√ga-prek\ako ’vasthito nartakı pa©yati • svastha¢ • svasmiµsti\†hatisvastha¢ • svasthånasthita¢ •• kathaµ bh¥tåµ prak®tim – niv®ta-prasavåm • niv®tabuddhyahaµkårakåryåm • arthava©åtsaptar¥pa-viniv®tåm • nivartitobhayapuru\aprayojanava©åt • yai¢ saptamı r¥-pairdharmådibhiråtmånaµ badhnåti tebhya¢ saptabhyo r¥pebhyoviniv®tåµ prak®tiµ pa©yati ••

ra√gastha ityupek\aka eko d®\†åhamityuparamatyekå •sati saµyoge ’pi tayo¢ prayojanaµ nåsti sargasya •• 66 ••

ra√gastha iti • yathå ra√gastha ityevamupek\aka eka¢ kevala¢©uddha¢ puru\a • tenåhaµ d®\†eti k®två uparatå niv®tå • ekå ekai-va prak®ti¢ trilokyasyåpi pradhånakåraãabh¥tå • na dvitıyå prak®-

201gauƒapådaviracitabhå≤yasahitå¢66

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tirasti • m¥rtibhede jåtibhedåt •• evaµ prak®tipuru\ayorniv®tåvapivyåpakatvåtsaµyogo ’sti na tu saµyogak®ta¢ sarga¢ • sati saµyo-ge ’pi tayo¢ • prak®tipuru\ayo¢ sarvagatatvåtsatyapi saµyoge pra-yojanaµ nåsti sargasya ©®\†e©caritårthatvåt • prak®terdvividhaµ pra-yojanam – ©abdådivi\ayopalabdhirguãapuru\åntaropalabdhi©ca • u-bhayatråpi caritårthatvåtsargasya nåsti prayojanaµ ya¢ puna¢ sa-rga iti • yathå dånagrahaãanimita utamar~ådhamarãayordravya-vi©uddhau satyapi saµyoge na ka©cidarthasambandho bhavati • e-vaµ prak®tipuru\ayorapi nåsti prayojanamiti •• yadi puru\asyotpa-nne jñåne mok\o bhavati tato mama kasmånna bhavati – ityata u-cyate –

samyagjñånådhigamåddharmådınåmakåraãapråptau • ti\†hati saµskårava©åccakrabhramavaddh®ta©arıra¢ •• 67 ••

yadyapi pañcaviµ©atitatvajñånaµ samyagjñånaµ bhavati ta-thåpi saµskårava©åddh®ta©arıro yogı ti\†hati katham – cakrabhra-mavat • cakrabhramaãaµ tulyam • yathå kulåla©cakraµ bhramayi-två gha†aµ karoti m®tpi~ƒaµ cakramåropya puna¢ k®två gha†aµparyåmuñcati • cakraµ bhramatyeva saµskårava©åt • evaµ samya-gjñånådhigamådutpannasamyagjñånasya dharmådınåmakåraãaprå-ptau • etåni saptar¥på~i bandhanabh¥tåni samyagjñånena dagdhå-ni • yathå någninå dagdhåni bıjåni prarohaãasamarthåni evametå-ni dharmådıni bandhanåni na samarthåni • dharmådınåmakåraãa-pråptau saµskårava©åddh®ta©arırasti\†hati • jñånådvartamånadha-rmådharmak\aya¢ kasmånna bhavati vartamånatvådeva • k\a~å-ntare k\ayamapyeti • jñånaµ tvanågatakarma dahati • vartamåna-©arıreãa ca yatkaroti tadapıti • vihitånu\†hånakara~åditi • saµskåra-k\ayåccharırapåte mok\a¢ •• sa kiµvi©i\†o bhavatıtyucyate –

pråpte ©arırabhede caritårthatvåtpradhånaviniv®ttau •ekåntikamåtyantikamubhayaµ kaivalyamåpnoti •• 68 ••

dharmådharmajanitasaµskårak\ayåtpråpte ©arırabhede caritå-rthatvåtpradhånasya niv®tau ekåntikamava©yamåtyantikamananta-rhitaµ kaivalyam • kevalabhåvånmok\a¢ • ubhayamaikåntikåtya-ntikamityevaµvi©i\†aµ kaivalyamåpnoti ••

202 såµkhyakårikå¢ 66

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puru\årthajñånamidaµ guhyaµ paramar\i~å samåkhyåtam •sthityutpattipralayå©cintyante yatra bh¥tånåm •• 69 ••

puru\årtho mok\a¢ • tadarthamidaµ guhyaµ rahasyaµ para-mar\i~å ©rıkapilar\i~å samåkhyåtaµ samyaguktam • yatra jñånebh¥tånåµ vaikårikå~åµ sthityutpatipralayå avasthånåvirbhåvati-robhåvå©cintyante vicåryante • ye\åµ vicåråtsamyakpañcaviµ©ati-tatvavivecanåtmikå sampadyate saµvitiriti •• “såµkhyaµ kapila-muninå proktaµ saµsåravimuktikåraãaµ hi • yatraitå¢ saptatirå-ryå bhå\yaµ cåtra gauƒapådak®tam” ••

etatpavitramagryaµ muniråsuraye ’nukampayå pradadau •åsurirapi pañca©ikhåya tena ca bahudhå k®taµ tantram •• 70 ••

©i\yaparamparayå ’’gatamı©varak®\~ena caitadåryåbhi¢ •saµk\iptamåryamatinå samyagvijñåya siddhåntam •• 71 ••

saptatyåµ kila ye ’rthåste ’rthå¢ k®tsnasya \a\†hitantrasya •åkhyåyikåvirahitå paravådavivarjitå©cåpi •• 72 ••

samåptå imå¢ sagauƒapådabhå\yå¢ såµkhyakårikå¢ ••

*

203gauƒapådaviracitabhå≤yasahitå¢72

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_________________________________________________Finito di stampare nel mese di Aprile 2016 da LA TIPOGRAFICA ARTIGIANA

Via Poggio Mirteto, 4 – 02100 Rieti

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