Simone Ferrari, Nota in tema di corruzione propria

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degli atti, dispone, anche d’ufficio, accertamenti sulle condizioni di salute o su altre condizioni o qualita ` perso- nali dell’imputato. Il tenore delle suddette disposizioni non da ` spazio ad incertezze, dimostrando come il giudice possa esercitare il potere coercitivo di assoggettamento dell’imputato al trattamento piu ´a%ittivo, soltanto dando conto delle precise ragioni che legittimano una deroga al principio stabilito nel 4 o comma dell’art. 275 c. p. p., e dimostrando l’esistenza, nel caso concreto, di un peri- culum in libertate di un’intensita ` cosı ´ elevata da far venir meno il divieto d’applicazione della misura custodiale in relazione alla comprovata inidoneita ` di ogni altra misura a fronteggiare esigenze cautelari di inusuale gravita `. Il silenzio sul punto da parte del Tribunale della liberta ` e la succinta motivazione del provvedimento d’inammis- sibilita ` dell’istanza di revoca o di sostituzione della mi- sura custodiale in carcere, di certo non erano stati in linea con le finalita ` del combinato disposto degli artt. 299, 1 o comma, e 275, 4 o comma bis, c. p. p. e il Giudice di le- gittimita `, in questa situazione, ha saputo cogliere e scon- giurare tale errore. In casi come quello affrontato e risolto nella sentenza annotata, ogni qualvolta venga in discussione il diritto alla salute, l’organo giudicante e ` tenuto ad un’attenta va- lutazione circa la potenzialita ` di un contrasto tra le con- dizioni di salute dell’imputato e il perdurare dello stato detentivo, in una maggiore consapevolezza della rifles- sione sulla pena: sono questi passaggi obbligati al fine di evitare lesioni di diritti costituzionalmente garantiti. La Costituzione, infatti, da un lato proclama come inviola- bile il diritto alla liberta ` personale, imponendo di consi- derare lo status custodiae dell’imputato non come la re- gola, bensı ´ come l’eccezione nel sistema processuale pe- nale; e dall’altro tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo: alla luce di tali principi, il limite della compatibilita ` delle condizioni di salute con la de- tenzione deve condurre sempre all’applicazione di mi- sure cautelari meno gravose e compatibili con lo stato patologico del soggetto che ne e ` colpito, in modo tale da assicurargli le cure necessarie che in altri modi gli sareb- bero negate. Cio ` , anche a costo di superare eventuali esi- genze cautelari di eccezionale rilevanza o specifiche esi- genze di sicurezza sociale, per il prevalere delle esigenze di ordine umanitario promosse dal legislatore e dalla Co- stituzione. Sull’avvincente tematica del diritto alla salute in corso di misure custodiali, v. De Ferrari-Romano, Sistema penale e tutela della salute, Milano, 2003, 45 e segg.; Fio- rio, Misure coercitive e tutela del diritto alla salute, in Studi sul processo penale in ricordo di Assunta Mazzarra,a cura di A. Gaito, Padova, 1996, 155 e segg.; Grevi, Gravi condizioni di salute dell’imputato e custodia cautelare in carcere, in Dir. Pen. e Processo, 1995, 63; Gaito, Imputati per fatti di mafia, diritto alla salute e custodia cautelare, in Giur. It., 1996, 626; Magliona, Tutela dei soggetti affetti da AIDS o da altre malattie gravi e misure alternative in carcere. Aspetti medico-legali, in Dir. Pen. e Processo, 1999, 1233; Riviezzo, Custodia cautelare e diritto di di- fesa, Milano, 1996, 63. Nadia La Rocca Cassazione penale, III Sezione, 21 giugno 2005 (dep. 14 luglio 2005), n. 25839 — Postiglione Presi- dente —Grassi Relatore —Siniscalchi P. M. (parz. diff.). — Marangon ed altro, ricorrenti. Corruzione di pubblico ufficiale — Corruzione propria — Atto contrario ai doveri d’ufficio — Concetto (C. p. art. 319). Ai fini della configurabilita ` del delitto di cui all’art. 319 c. p., per valutare se la condotta del pubblico ufficiale sia — o meno — contraria ai doveri d’ufficio, occorre avere riguardo non ai singoli atti, ma all’insieme del servizio reso al privato, con la conseguenza che, se anche ogni atto, di per se ´ considerato, corrisponde ai requisiti di legge, l’asservi- mento della funzione, per denaro od altra utilita ` , agli inte- ressi del privato, integra gli estremi del reato in questione, realizzandosi in tal modo la violazione del dovere di impar- zialita `, assistito da tutela costituzionale (1). Omissis. — In tema di corruzione propria, delitto previ- sto dall’art. 319 c.p., l’atto contrario ai doveri d’ufficio, oggetto dell’accordo illecito, non e ` necessario che venga accer- tato nei propri connotati specifici, essendo sufficiente che sia individuabile in funzione della competenza e della concreta sfera di intervento del pubblico ufficiale, cosı ´ da essere suscet- tibile di specificarsi in una pluralita ` di singoli atti, anche non preventivamente fissati o programmati, ma pur sempre appar- tenenti al genus previsto, come quando il pubblico ufficiale si ponga a disposizione del privato in violazione del dovere di imparzialita `, onesta ` e vigilanza — situazione in cui non e ` pos- sibile prevedere specifici atti contrari ai doveri d’ufficio — ed il privato miri ad assicurarsi un atteggiamento di favore da parte di quello (v. conf. Cass., sez. 5 a pen., 3/11/1998, Giovannelli, in Riv. Pen., 1999, 48). Ai fini della configurabilita ` del delitto di che trattasi, per va- lutare se la condotta del pubblico ufficiale sia — o meno — contraria ai doveri d’ufficio, occorre dunque avere riguardo non ai singoli atti, ma all’insieme del servizio reso al privato, con la conseguenza che, se anche ogni atto, di per se ´ considerato, corrisponda ai requisiti di legge, l’asservimento della funzione, per denaro o altra utilita `, agli interessi del privato, integra gli estremi del reato in questione, realizzandosi in tal modo la vio- lazione del dovere di imparzialita `, assistito da tutela costituzio- nale (v. conf. Cass., sez. 6 a pen., 14/7/1998, Nottola, in Rep. Foro It., 1999 «Corruzione», n. 16). Nella fattispecie in esame, la responsabilita ` penale del Ma- rangon, in ordine al delitto di corruzione propria ascrittogli, e ` stata affermata legittimamente e con motivazione adeguata e logica, fondata sul rilievo che la reiterata dazione gratuita dei propri favori sessuali, da parte delle prostitute, costituiva, nel rapporto di parita ` instaurato con le stesse attraverso una serie disdicevole di comportamenti improntati a familiarieta ` e confi- denza, « l’utilita ` » che egli traeva da una serie di comportamenti contrari ai doveri d’ufficio, costituiti dalla protezione assicurata alle stesse, dando loro consigli su come restare in Italia, impe- dendone o ritardandone l’espulsione, evitando che fossero al- lontanate, da organizzazioni criminali albanesi, dal luogo in cui si prostituivano e dando loro sicurezza con la abituale familia- rita ` dei loro rapporti sessuali e non. Vero e ` che, a mente dell’art. 321 c.p., anche il corruttore viene punito con le stesse pene applicabili al pubblico ufficiale corrotto, ma e ` anche vero che il sia pur deprecabile mancato esercizio dell’azione penale nei confronti della Dauti, non esclude — se provata, come nel caso in esame — la responsa- bilita ` penale del corrotto. — Omissis. (1) Nello stesso senso v. Cass., Sez. VI, 14 luglio 1998, Nottola, in C.E.D. Cass., 213054; Id., Sez. II, 9 dicembre 2003, Nucci, ivi, 227246: « In tema di reato di corruzione “propria”, non e ` necessario individuare lo specifico atto contrario ai doveri d’ufficio, sussistendo la fattispecie anche quando, pur rispondendo ogni singolo atto ai requisiti di legge, nell’insieme del servizio reso dal pubblico ufficiale vi sia stato un totale asservimento della funzione agli interessi del privato, concretizzatosi in una sostanziale rinuncia allo svolgimento della funzione di controllo in cambio di provati pagamenti in suo favore »; Id., Sez. VI, 3 novembre 1998, Giovannelli, in Riv. Pen., 1999, 48 (fattispecie relativa a somme di denaro elargite a militari della Guardia di Finanza da imprese sottoposte a DIRITTO E PROCEDURA PENALE 578

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degli atti, dispone, anche d’ufficio, accertamenti sullecondizioni di salute o su altre condizioni o qualita perso-nali dell’imputato. Il tenore delle suddette disposizioninon da spazio ad incertezze, dimostrando come il giudicepossa esercitare il potere coercitivo di assoggettamentodell’imputato al trattamento piu a%ittivo, soltanto dandoconto delle precise ragioni che legittimano una deroga alprincipio stabilito nel 4o comma dell’art. 275 c. p. p., edimostrando l’esistenza, nel caso concreto, di un peri-culum in libertate di un’intensita cosı elevata da far venirmeno il divieto d’applicazione della misura custodiale inrelazione alla comprovata inidoneita di ogni altra misuraa fronteggiare esigenze cautelari di inusuale gravita.

Il silenzio sul punto da parte del Tribunale della libertae la succinta motivazione del provvedimento d’inammis-sibilita dell’istanza di revoca o di sostituzione della mi-sura custodiale in carcere, di certo non erano stati in lineacon le finalita del combinato disposto degli artt. 299, 1o

comma, e 275, 4o comma bis, c. p. p. e il Giudice di le-gittimita, in questa situazione, ha saputo cogliere e scon-giurare tale errore.

In casi come quello affrontato e risolto nella sentenzaannotata, ogni qualvolta venga in discussione il dirittoalla salute, l’organo giudicante e tenuto ad un’attenta va-lutazione circa la potenzialita di un contrasto tra le con-dizioni di salute dell’imputato e il perdurare dello statodetentivo, in una maggiore consapevolezza della rifles-sione sulla pena: sono questi passaggi obbligati al fine dievitare lesioni di diritti costituzionalmente garantiti. LaCostituzione, infatti, da un lato proclama come inviola-bile il diritto alla liberta personale, imponendo di consi-derare lo status custodiae dell’imputato non come la re-gola, bensı come l’eccezione nel sistema processuale pe-nale; e dall’altro tutela la salute come fondamentalediritto dell’individuo: alla luce di tali principi, il limitedella compatibilita delle condizioni di salute con la de-tenzione deve condurre sempre all’applicazione di mi-sure cautelari meno gravose e compatibili con lo statopatologico del soggetto che ne e colpito, in modo tale daassicurargli le cure necessarie che in altri modi gli sareb-bero negate. Cio, anche a costo di superare eventuali esi-genze cautelari di eccezionale rilevanza o specifiche esi-genze di sicurezza sociale, per il prevalere delle esigenzedi ordine umanitario promosse dal legislatore e dalla Co-stituzione.

Sull’avvincente tematica del diritto alla salute in corsodi misure custodiali, v. De Ferrari-Romano, Sistemapenale e tutela della salute, Milano, 2003, 45 e segg.; Fio-rio, Misure coercitive e tutela del diritto alla salute, inStudi sul processo penale in ricordo di Assunta Mazzarra, acura di A. Gaito, Padova, 1996, 155 e segg.; Grevi, Gravicondizioni di salute dell’imputato e custodia cautelare incarcere, in Dir. Pen. e Processo, 1995, 63; Gaito, Imputatiper fatti di mafia, diritto alla salute e custodia cautelare, inGiur. It., 1996, 626; Magliona, Tutela dei soggetti affettida AIDS o da altre malattie gravi e misure alternative incarcere. Aspetti medico-legali, in Dir. Pen. e Processo,1999, 1233; Riviezzo, Custodia cautelare e diritto di di-fesa, Milano, 1996, 63.

Nadia La Rocca

Cassazione penale, III Sezione, 21 giugno 2005 (dep.14 luglio 2005), n. 25839 — Postiglione Presi-dente — Grassi Relatore — Siniscalchi P. M.(parz. diff.). — Marangon ed altro, ricorrenti.

Corruzione di pubblico ufficiale — Corruzione propria— Atto contrario ai doveri d’ufficio — Concetto(C. p. art. 319).

Ai fini della configurabilita del delitto di cui all’art. 319c. p., per valutare se la condotta del pubblico ufficiale sia— o meno — contraria ai doveri d’ufficio, occorre avereriguardo non ai singoli atti, ma all’insieme del servizio resoal privato, con la conseguenza che, se anche ogni atto, di perse considerato, corrisponde ai requisiti di legge, l’asservi-mento della funzione, per denaro od altra utilita, agli inte-ressi del privato, integra gli estremi del reato in questione,realizzandosi in tal modo la violazione del dovere di impar-zialita, assistito da tutela costituzionale (1).

Omissis. — In tema di corruzione propria, delitto previ-sto dall’art. 319 c.p., l’atto contrario ai doveri d’ufficio,

oggetto dell’accordo illecito, non e necessario che venga accer-tato nei propri connotati specifici, essendo sufficiente che siaindividuabile in funzione della competenza e della concretasfera di intervento del pubblico ufficiale, cosı da essere suscet-tibile di specificarsi in una pluralita di singoli atti, anche nonpreventivamente fissati o programmati, ma pur sempre appar-tenenti al genus previsto, come quando il pubblico ufficiale siponga a disposizione del privato in violazione del dovere diimparzialita, onesta e vigilanza — situazione in cui non e pos-sibile prevedere specifici atti contrari ai doveri d’ufficio — ed ilprivato miri ad assicurarsi un atteggiamento di favore da partedi quello (v. conf. Cass., sez. 5a pen., 3/11/1998, Giovannelli, inRiv. Pen., 1999, 48).

Ai fini della configurabilita del delitto di che trattasi, per va-lutare se la condotta del pubblico ufficiale sia — o meno —contraria ai doveri d’ufficio, occorre dunque avere riguardonon ai singoli atti, ma all’insieme del servizio reso al privato, conla conseguenza che, se anche ogni atto, di per se considerato,corrisponda ai requisiti di legge, l’asservimento della funzione,per denaro o altra utilita, agli interessi del privato, integra gliestremi del reato in questione, realizzandosi in tal modo la vio-lazione del dovere di imparzialita, assistito da tutela costituzio-nale (v. conf. Cass., sez. 6a pen., 14/7/1998, Nottola, in Rep.Foro It., 1999 «Corruzione», n. 16).

Nella fattispecie in esame, la responsabilita penale del Ma-rangon, in ordine al delitto di corruzione propria ascrittogli, estata affermata legittimamente e con motivazione adeguata elogica, fondata sul rilievo che la reiterata dazione gratuita deipropri favori sessuali, da parte delle prostitute, costituiva, nelrapporto di parita instaurato con le stesse attraverso una seriedisdicevole di comportamenti improntati a familiarieta e confi-denza, «l’utilita» che egli traeva da una serie di comportamenticontrari ai doveri d’ufficio, costituiti dalla protezione assicurataalle stesse, dando loro consigli su come restare in Italia, impe-dendone o ritardandone l’espulsione, evitando che fossero al-lontanate, da organizzazioni criminali albanesi, dal luogo in cuisi prostituivano e dando loro sicurezza con la abituale familia-rita dei loro rapporti sessuali e non.

Vero e che, a mente dell’art. 321 c.p., anche il corruttoreviene punito con le stesse pene applicabili al pubblico ufficialecorrotto, ma e anche vero che il sia pur deprecabile mancatoesercizio dell’azione penale nei confronti della Dauti, nonesclude — se provata, come nel caso in esame — la responsa-bilita penale del corrotto. — Omissis.

(1) Nello stesso senso v. Cass., Sez. VI, 14 luglio1998, Nottola, in C.E.D. Cass., 213054; Id., Sez. II,

9 dicembre 2003, Nucci, ivi, 227246: «In tema di reato dicorruzione “propria”, non e necessario individuare lospecifico atto contrario ai doveri d’ufficio, sussistendo lafattispecie anche quando, pur rispondendo ogni singoloatto ai requisiti di legge, nell’insieme del servizio reso dalpubblico ufficiale vi sia stato un totale asservimento dellafunzione agli interessi del privato, concretizzatosi in unasostanziale rinuncia allo svolgimento della funzione dicontrollo in cambio di provati pagamenti in suo favore»;Id., Sez. VI, 3 novembre 1998, Giovannelli, in Riv. Pen.,1999, 48 (fattispecie relativa a somme di denaro elargite amilitari della Guardia di Finanza da imprese sottoposte a

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verifiche fiscali, in modo da far sı che quest’ultime nonfossero particolarmente attente e non intralciassero l’at-tivita aziendale).

Anche la giurisprudenza di merito non si discosta daquesto orientamento interpretativo. Cosı, si e statuito cherisponde di corruzione continuata per un atto contrarioai doveri d’ufficio l’agente di Polizia penitenziaria che ab-bia dapprima, in violazione delle norme regolamentari edi legge, consentito a due detenuti l’uso del proprio tele-fono cellulare per contattare persone all’esterno dell’isti-tuto di pena, accettando in cambio la promessa di alcunedosi di cocaina per uso personale e della riparazione delmotore della propria autovettura, e abbia successiva-mente accettato da parte degli stessi la promessa di un’in-gente somma di denaro, affermando di essere in cambio«disposto a tutto», ancorche non fosse possibile indivi-duare specificamente l’atto contrario ai doveri d’ufficioda compiersi (che nelle intenzioni dei due detenuti sa-rebbe dovuto consistere in un aiuto all’evasione) (Trib.Ravenna, 10 gennaio 2003, Ventura, in Giust. Pen., 2003,II, 603). Analogamente, si e deciso che l’accordo corrut-tivo diretto al condizionamento dell’attivita di un pub-blico ufficiale agli interessi di un gruppo economico de-terminato integra il reato in parola, senza la necessita diindividuare uno specifico atto contrario ai doveri d’uffi-cio, e legittima, ai sensi dell’art. 25, 5o comma, D. Lgs. 8giugno 2001, n. 231, l’adozione di misure interdittive neiconfronti dell’ente nell’interesse del quale il corruttoreha operato (Trib. Milano, 27 aprile 2004, Siemens AG, inForo It., 2004, II, 434).

Va osservato che ai fini della configurabilita del reato dicorruzione, tanto «impropria» quanto «propria», non edeterminante il fatto che l’atto d’ufficio o contrario aidoveri d’ufficio sia compreso nell’ambito delle specifichemansioni del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pub-blico servizio, essendo necessario e sufficiente che l’attorientri nelle competenze dell’ufficio cui il soggetto appar-tiene ed in relazione al quale egli abbia o possa avere unaqualche possibilita di ingerenza, sia pure di mero fatto(Cass., Sez. I, 27 ottobre 2003, Balsano, in C.E.D. Cass.,227100).

In particolare, le dimissioni da una carica politica elet-tiva possono rappresentare un atto contrario ai doverid’ufficio, quando violano il dovere di imparzialita, ossiarisultano poste in essere non gia per una scelta discrezio-nale legittima, di natura squisitamente politica, ma afronte del compenso promesso o ricevuto, con lo scopodi assicurare ad un soggetto privato il maggior beneficio,configurando quindi una «totale svendita» delle fun-zioni pubbliche (nel caso di specie, la Cassazione havalutato come «atti contrari ai doveri d’ufficio» le dimis-sioni concertate di alcuni consiglieri comunali, funzio-nali allo scioglimento del consiglio comunale e alla «ca-duta» del sindaco, in quanto conseguenti alla dazione disomme di denaro e di altre utilita economiche da partedi un soggetto che voleva evitare che il legale rappresen-tante dell’ente territoriale gli revocasse l’incarico di pre-sidente di un consorzio inter-comunale, il quale avevaaffidato, proprio alla societa della quale lo stesso sog-getto era direttore generale, il settore dell’approvvigio-namento idrico e delle altre infrastrutture a cio necessa-rie) (Cass., Sez. VI, 2 luglio 2003, Zabatta, in C.E.D.Cass., 226803).

Recentemente, inoltre, si e ritenuta la sussistenza delreato di corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio nelcaso di organizzatori di corsi di formazione professionalecontrollati dalla Regione, i quali, in cambio di corrispet-tivo in denaro, assicuravano agli allievi il conseguimentodel titolo professionale senza l’osservanza del prescrittoobbligo di presenza alle lezioni (Cass., Sez. VI, 28 ottobre2004, Lacatena, in Riv. Pen., 2005, 733).

In definitiva, la giurisprudenza sostiene che sono atticontrari ai doveri d’ufficio non soltanto quelli illeciti oillegittimi, ma anche quelli che, pur formalmente rego-lari, prescindono, per consapevole volonta del pubblicoufficiale (o dell’incaricato di pubblico servizio), dall’os-servanza dei doveri istituzionali, espressi in norme diqualsiasi livello, compresi quelli di correttezza e d’impar-zialita (Cass., Sez. VI, 4 dicembre 2002, Grippo, inC.E.D. Cass., 224056). Per un’ampia esposizione dellagiurisprudenza sull’argomento, v. G. Vinciguerra, Lacorruzione nella giurisprudenza, Padova, 2004, 37.

In dottrina, invece, movendo dalla premessa secondo laquale la contrarieta ai doveri d’ufficio deve essere indivi-duata con riguardo ai beni del buon funzionamento edell’imparzialita della Pubblica Amministrazione, si egiunti ad affermare che la valutazione dell’atto non puoche essere compiuta se non in relazione ai singoli e spe-cifici doveri dell’ufficio (e non gia con riferimento ai do-veri generici di comportamento del pubblico ufficiale).Percio, la contrarieta ai doveri d’ufficio presuppone unrinvio alle norme del diritto amministrativo, che regolanoe disciplinano lo svolgimento dell’attivita dell’ufficio:essa implica l’illegittimita dell’atto, alla stregua dellenorme che disciplinano i tipici vizi dell’atto amministra-tivo (Fiandaca-Musco, Diritto penale, parte speciale, I,3a ed., Bologna, 2002, 224; contra Pagliaro, Principi didiritto penale, parte speciale, I, 9a ed., Milano, 2000, 191,secondo cui il dovere d’ufficio puo essere generico (difedelta, obbedienza, segretezza, imparzialita, vigilanza,ecc.) o specifico, relativo alla trattazione di un determi-nato affare. Nel senso che la violazione della competenzae in ogni caso un atto contrario ai doveri d’ufficio cfr.Antolisei, Manuale di diritto penale, parte speciale, II,14a ed. integrata e aggiornata a cura di Conti, Milano,2003, 333).

D’altra parte, l’omissione o il ritardo dell’atto rappre-sentano, nella descrizione dell’art. 319 c. p., le prime pos-sibili forme di contrarieta ai doveri: la norma fa pensaread un atto dovuto, e dovuto in un dato momento o entroun dato termine, che invece il pubblico ufficiale si impe-gna a non compiere o a compiere fuori tempo, nella cor-ruzione antecedente, oppure ad un atto che fosse dovuto,o dovuto entro un certo giorno, che non e stato compiutoo e stato compiuto in ritardo, nella corruzione susse-guente (Romano, I delitti contro la Pubblica Amministra-zione. I delitti dei pubblici ufficiali, Milano, 2002, 182).

Va poi precisato che deve essere violato un dovere d’uf-ficio e non un dovere che incombe, in generale, su tutti icittadini; e cio anche se, nel caso concreto, il pubblicoufficiale si e trovato nella situazione di dovere a causa delsuo ufficio (Pagliaro, Principi di diritto penale, partespeciale, cit., 191).

Per quanto concerne infine il problema della configu-rabilita della corruzione «propria» nell’ambito degli attiamministrativi di natura discrezionale (sul punto v. Pa-gliaro, Principi di diritto penale, parte speciale, cit.,194), la giurisprudenza di legittimita ha ritenuto che nonassume rilievo scriminante la circostanza che gli atti postiin essere dal pubblico ufficiale abbiano superato il vagliodi legittimita del giudice amministrativo, giacche il supe-ramento di tale vaglio e un risultato contingente e parti-colare, connesso alle concrete modalita di impostazione esvolgimento del giudizio amministrativo; ai fini della sus-sistenza del reato — spiega la Cassazione — e sufficiente,piuttosto, che la discrezionalita venga esercitata in mododistorto, alterandone consapevolmente i fondamentalicanoni di esercizio e ponendo in essere, percio, un’atti-vita contraria ai doveri d’ufficio (nella specie, il delitto dicorruzione «propria» e stato ravvisato in rapporto adepisodi corruttivi verificatisi in occasione della privatiz-zazione del servizio di raccolta dei rifiuti solidi urbani del

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comune di Napoli) (Cass., Sez. VI, 23 gennaio 2003, DiDonato, in Foro It., 2004, II, 622). Per altri riferimentigiurisprudenziali, v. G. Vinciguerra, La corruzionenella giurisprudenza, cit., 42.

Invero, nel caso di atto discrezionale, solamentequando sia accertata una «rinuncia preventiva», da partedel pubblico funzionario, alla valutazione comparata de-gli interessi contrapposti, e lecito ritenere configurabile ildelitto de quo: cio perche proprio questa rinuncia pre-ventiva contraddice gli scopi per i quali e concesso il po-tere discrezionale (Fiandaca-Musco, Diritto penale,parte speciale, cit., 224).

Cio detto, pare che la tesi piu restrittiva, secondo laquale la valutazione dell’atto va compiuta soltanto in re-lazione ai singoli e specifici doveri dell’ufficio, sia piu ri-spettosa del principio di legalita e in particolare del prin-cipio di tassativita: asserire — come la sentenza in epi-grafe — che «se anche ogni atto, di per se considerato,corrisponde ai requisiti di legge, l’asservimento della fun-zione, per denaro o altra utilita, agli interessi del privato,integra gli estremi del reato in questione, realizzandosi intal modo la violazione del dovere di imparzialita», rischiadi rendere arbitraria e oscura la linea di confine tra attid’ufficio leciti e illeciti, a tutto svantaggio della separa-zione dei poteri dello Stato e della certezza del diritto.Nel riferirsi all’omissione o al ritardo di un atto d’ufficio,o al compimento di un atto contrario ai doveri d’ufficio, illegislatore si e evidentemente sforzato di descrivere ilfatto punibile con sufficiente precisione: in modo da evi-tare che un eccesso di genericita della fattispecie incrimi-natrice si traduca in indebiti sconfinamenti del giudicepenale in campi di materia riservati alla discrezionalitadella Pubblica Amministrazione.

Simone Ferrari

Cassazione penale, II Sezione, 5 maggio 2005 (dep. 8giugno 2005), n. 21622 — Sirena Presidente —Fumu Relatore — Delehaye P. M. (conf.). — Chio-dino, ricorrente.

Circostanze del reato — Connessione teleologica —Truffa — Finalita della realizzazione del profitto difurto — Inapplicabilita (C. p. artt. 61 n. 2, 624, 640).

L’aggravante di cui all’art. 61, n. 2, c. p. non puo essereritenuta in relazione al delitto di truffa sotto il profilo chequesto era stato commesso al fine di realizzare il profitto difurto e cio perche la truffa si consuma per conseguireun’utilita nettamente distinta dal profitto del furto gia ot-tenuto con l’impossessamento della cosa altrui (1).

Omissis. — L’unico motivo del ricorso, sintetizzato nellaparte espositiva, e infondato. Il ricorrente motiva il pro-

prio interesse processuale alla questione rilevando che l’esclu-sione della circostanza aggravante del nesso teleologico com-porterebbe l’improcedibilita del delitto di lesioni per difetto ditempestiva querela.

Ma a prescindere dalla considerazione (Cass. n. 3897 del1976) che la procedibilita «ex officio» per il reato di lesionipersonali volontarie, aggravate ai sensi dell’art. 61 n. 2 c.p., nonviene meno allorche il reato-fine, costituendo originariamenteoggetto di apposita imputazione, venga nel corso del processoritenuto elemento della fattispecie complessa di altro reato con-corrente, perche esso, pur non potendo costituire titolo per l’ir-rogazione di una pena distinta, e indipendentemente dalla for-mula di assoluzione impiegata dal giudice per dichiarare la non

sussistenza come ipotesi di reato autonoma, non cessa di rap-presentare la finalita antigiuridica al cui servizio il reo pose lacondotta di violenza lesiva e percio di costituire causa di aggra-vamento della responsabilita penale per il reato-mezzo, la cuistrumentalita viene a proiettarsi sul reato complesso, del qualel’episodio criminoso venga riconosciuto elemento costitutivo ocircostanza aggravante, il Collegio condivide l’orientamentogiurisprudenziale (Cass. n. 12656 del 1977) secondo cui il pa-radigma legale, previsto dall’art. 628 c.p., richiede solo l’usodella violenza o della minaccia; pertanto, in base al principiodella specialita, si verifica l’assorbimento nel reato di rapinadella minaccia e della violenza contenuta nei limiti delle per-cosse, mentre, qualora l’agente cagioni la morte o lesioni perso-nali, si ha non solo concorso formale di reati, ma anche aggra-vamento ai sensi dell’art. 61 n. 2 c.p del reato mezzo, perpetratovolontariamente dall’agente medesimo in luogo d’una sempliceminaccia o d’una violenza contenuta negli anzidetti limiti dellapercossa. Infatti (Cass. n. 6986 del 1977) il delitto di rapinaassorbe in se soltanto quel minimo di violenza che si concretanelle percosse, per cui, ove la vis compulsiva raggiunga nell’itercriminoso un grado tale da divenire causa di lesioni personali,l’agente risponde anche di questo autonomo reato (vedi ancheCass. n. 4982 del 1979).

Analogamente, con riferimento al delitto di resistenza a pub-blico ufficiale, e stato ritenuto (Cass. n. 167 del 1997; Cass. n.1420 del 1994) che resta assorbito in detto reato solo il minimodi violenza che si concreta nelle percosse e non anche gli attiche, esorbitando da tale limite, siano causa di lesioni personali;in quest’ultima ipotesi, l’ulteriore delitto di lesioni, stante il suocarattere autonomo, concorre con quello di resistenza a pub-blico ufficiale, con l’effetto che, se l’atto di violenza, con il qualel’agente ha prodotto consapevolmente le lesioni, non sia fine ase stesso, ma venga posto in essere allo scopo di resistere alpubblico ufficiale, si realizza il presupposto per la sussistenzadell’aggravante della connessione teleologica. Errata in diritto,la tesi del ricorrente e insostenibile anche sotto altro profilopoiche la Corte territoriale si e riferita, con apprezzamento dimerito razionalmente motivato e, quindi, idoneo a superare ilvaglio di legittimita, anche alla sequenza fattuale. — Omissis.

(1) La sentenza in epigrafe merita attenzione peressersi pronunciata in ordine alla circostanza aggra-

vante di cui all’art. 61 n. 2 c. p., secondo la quale aggravail reato «l’aver commesso il reato per eseguirne od occul-tarne un altro, ovvero per conseguire o assicurare a se oad altri il prodotto o il profitto o il prezzo ovvero l’impu-nita di un altro reato».

Nel caso di specie la Corte di cassazione ha escluso chela circostanza in questione possa applicarsi al delitto ditruffa per essere stato commesso al fine di realizzare ilprofitto di furto. Viceversa, si afferma che tale aggravantepotrebbe essere contestata in relazione «al delitto difurto sotto il profilo che questo era stato realizzato al finedi commettere, successivamente, quello di truffa».

Relativamente all’applicabilita della circostanza di cuiall’art. 61 n. 2 c. p. al delitto di truffa, in giurisprudenza sie affermato che «e configurabile la circostanza aggra-vante del nesso teleologico, quando il soggetto attivo percommettere una truffa — reato fine — si sia avvalso di unfalso in scrittura privata, cosiddetto mezzo» (Cass., Sez.II, 16 dicembre 1988, Piazza, in Riv. Pen., 1990, 168) eche «nel caso in cui la corruzione di un funzionario abbiacostituito lo strumento per la consumazione di una truffaai danni della P. A. da parte del privato e del funzionarioinfedele si verifica un concorso formale dei due reati e ilprimo deve ritenersi aggravato ai sensi dell’art. 61, n. 2,c. p.» (Cass., Sez. III, 25 giugno 1984, Mortarini, inGiust. Pen., 1985, II, 452).

Nell’ampia casistica sviluppatasi sulla aggravante inquestione v., ex pluribus, Cass., Sez. VI, 4 dicembre 1996,Cusimano, in C.E.D. Cass., 206788, secondo la quale «intema di applicabilita dell’aggravante del «nesso teleolo-gico» (art. 61, n. 2, c. p.) al delitto di corruzione propria,l’aggravante de qua non e configurabile rispetto ad illecitipenali — quali l’omissione di atti di ufficio, l’abuso di

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