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1 SILVIO CECCATO E LA DIDATTICA OPERATIVAAlla ricerca di una comunicazione formativa … Cenni biografici di una storia “socratica”, avversa al pensare “sporco e zoppicante”… Silvio Ceccato nasce a Montecchio Maggiore, in provincia di Vicenza, nel 1914 e muore a Milano nel 1997. Dopo la laurea in Giurisprudenza ed un diploma in direzione d’orchestra ed in composizione al Conservatorio di Milano (amava definirsi musicista dilettante inarrivabile …), approda, verso la metà degli anni Quaranta al mondo dei filosofi, nella speranza e convinto di poter giungere ad analizzare e descrivere in unità elementari discrete tutti gli elementi che costituiscono il pensiero umano, attraverso lo studio, con metodo scientifico, del linguaggio nel suo operare (da qui la definizione di “linguistica operativa” con la quale spesso si indica il suo lavoro di ricerca). Non solo, ma avvalendosi anche dei risultati di questa ricerca, secondo questo studioso, si potevano trasferire su un artefatto le attività superiori dell’uomo, cioè, di fatto, il pensiero. Per raggiungere questo obiettivo era irremovibilmente convinto che era necessario stare nel mondo delle cose visibili, proprie e positive, liberandosi dalle “scorie” della metafisica. Dopo una prima pubblicazione (1951 Parigi il linguaggio con la tabella di Ceccatieff ), scrive la sua opera maggiore e più significativa da cui muove tutto il suo lavoro: “Un tecnico tra i filosofi” (Marsilio Padova 1964), diviso in due tomi. Il primo “ Come filosofare “ è composto da 313 pagine, ma il secondo, “Come non filosofare” (uscito due anni dopo) era composto di 662 pagine (e le pagine non sono solo una quantità…). Dopo questa critica radicale alla “svista iniziale”, il millenario “errore filosofico”, fondamento della filosofia classica, il mondo accademico lo circondò di un silenzio che ancora oggi permane e che si dimostra imbarazzante in quanto è molto difficile, forse impossibile, contrastare o falsificare ciò che è stato descritto con metodo scientifico. Aveva infatti iniziato prestissimo a porsi delle domande “vietate”, da tecnico che conosceva così bene la filosofia da riuscire a liberasene: si chiedeva come mai l’uomo, capace di arrivare sulla Luna , applicandosi alla scienza, si stesse facendo, dopo 2500 anni, ancora le stesse domande di Socrate senza riuscire a dare risposte convincenti … gli venne il dubbio che sbagliate non fossero le risposte ma le domande e che le famose “entità astratte” fossero per il pensare umano una trappola mortale . Movendo da queste premesse, con un metodo scientifico-sperimentale, pensò di costruire un modello dell’uomo in quanto “sapiens” (mentale), sostenendo che impossibile è soltanto ciò che contiene una contraddizione insanabile (il cerchio quadrato…) . A tal proposito usava dire che “ l’uomo non è un progetto contradditorio: è un progetto realizzato, e dunque dev’ essere realizzabile”. Questa convinzione teorica non trovava il supporto tecnologico (anni ’60) per una realizzazione pratica: di fatto costruì “Adamo II” nel 1956 e successivamente il “cronista meccanico”. Il primo misteriosamente “scomparve”, il secondo non ebbe sorte migliore perché, dopo essere stato collocato al museo della Tecnica e della Scienza di Milano, fu smembrato e poi rubato dai “soliti” ignoti … Dalla cibernetica (automi o robotica di Wiener N.) alla bionica (quella delle cellule e dei distretti fisiologici), Ceccato passava alla terza cibernetica o “logonica” : quella dello studio e della “ri-produzione” del pensiero … Di fatto la ri-produzione dell’uomo sapiens sapiens non fu realizzata perché non se ne sapeva e non se ne sa abbastanza dell’originale. Personalmente ho avuto modo di conoscere Silvio Ceccato, di percorrere un pezzetto di vita professionale con questo Gigante e ricordo il suo parlare a “ raffica”, con una fluidità “impetuosa”, in un convegno a Solbiate Arno nel 1992, dopo la presentazione di un

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SILVIO CECCATO E LA “DIDATTICA OPERATIVA” Alla ricerca di una comunicazione formativa …

Cenni biografici di una storia “socratica”, avversa al pensare “sporco e zoppicante”… Silvio Ceccato nasce a Montecchio Maggiore, in provincia di Vicenza, nel 1914 e muore a Milano nel 1997. Dopo la laurea in Giurisprudenza ed un diploma in direzione d’orchestra ed in composizione al Conservatorio di Milano (amava definirsi musicista dilettante inarrivabile …), approda, verso la metà degli anni Quaranta al mondo dei filosofi, nella speranza e convinto di poter giungere ad analizzare e descrivere in unità elementari discrete tutti gli elementi che costituiscono il pensiero umano, attraverso lo studio, con metodo scientifico, del linguaggio nel suo operare (da qui la definizione di “linguistica operativa” con la quale spesso si indica il suo lavoro di ricerca). Non solo, ma avvalendosi anche dei risultati di questa ricerca, secondo questo studioso, si potevano trasferire su un artefatto le attività superiori dell’uomo, cioè, di fatto, il pensiero. Per raggiungere questo obiettivo era irremovibilmente convinto che era necessario stare nel mondo delle cose visibili, proprie e positive, liberandosi dalle “scorie” della metafisica. Dopo una prima pubblicazione (1951 – Parigi – il linguaggio con la tabella di Ceccatieff), scrive la sua opera maggiore e più significativa da cui muove tutto il suo lavoro: “Un tecnico tra i filosofi” (Marsilio Padova 1964), diviso in due tomi. Il primo “ Come filosofare “ è composto da 313 pagine, ma il secondo, “Come non filosofare” (uscito due anni dopo) era composto di 662 pagine (e le pagine non sono solo una quantità…). Dopo questa critica radicale alla “svista iniziale”, il millenario “errore filosofico”, fondamento della filosofia classica, il mondo accademico lo circondò di un silenzio che ancora oggi permane e che si dimostra imbarazzante in quanto è molto difficile, forse impossibile, contrastare o falsificare ciò che è stato descritto con metodo scientifico. Aveva infatti iniziato prestissimo a porsi delle domande “vietate”, da tecnico che conosceva così bene la filosofia da riuscire a liberasene: si chiedeva come mai l’uomo, capace di arrivare sulla Luna , applicandosi alla scienza, si stesse facendo, dopo 2500 anni, ancora le stesse domande di Socrate senza riuscire a dare risposte convincenti … gli venne il dubbio che sbagliate non fossero le risposte ma le domande e che le famose “entità astratte” fossero per il pensare umano una trappola mortale . Movendo da queste premesse, con un metodo scientifico-sperimentale, pensò di costruire un modello dell’uomo in quanto “sapiens” (mentale), sostenendo che impossibile è soltanto ciò che contiene una contraddizione insanabile (il cerchio quadrato…). A tal proposito usava dire che “ l’uomo non è un progetto contradditorio: è un progetto realizzato, e dunque dev’ essere realizzabile”. Questa convinzione teorica non trovava il supporto tecnologico (anni ’60) per una realizzazione pratica: di fatto costruì “Adamo II” nel 1956 e successivamente il “cronista meccanico”. Il primo misteriosamente “scomparve”, il secondo non ebbe sorte migliore perché, dopo essere stato collocato al museo della Tecnica e della Scienza di Milano, fu smembrato e poi rubato dai “soliti” ignoti … Dalla cibernetica (automi o robotica di Wiener N.) alla bionica (quella delle cellule e dei distretti fisiologici), Ceccato passava alla terza cibernetica o “logonica” : quella dello studio e della “ri-produzione” del pensiero … Di fatto la ri-produzione dell’uomo sapiens sapiens non fu realizzata perché non se ne sapeva e non se ne sa abbastanza dell’originale. Personalmente ho avuto modo di conoscere Silvio Ceccato, di percorrere un pezzetto di vita professionale con questo Gigante e ricordo il suo parlare a “ raffica”, con una fluidità “impetuosa”, in un convegno a Solbiate Arno nel 1992, dopo la presentazione di un

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“modello” di mente da parte del prof. G. Moretti, Neuropsichiatra Infantile, suo amico e grande studioso, al quale il Nostro chiedeva di supportare scientificamente, come medico esperto del settore, le sue ricerche descrittive del pensiero … oggi la tecnologia avrebbe forse permesso un’interazione feconda e di grande spessore … Instancabile nel suo operare, attento e rispettose di ogni uomo, il suo impegno volse lo sguardo ad una “maieutica” moderna diretta ai bambini, alle persone comuni per far capire che si ha uno “strumento” testa che noi facciamo funzionare in un modo o in un altro fino a giocarci le strade della felicità (al proposito, tipico è il libro “L’ ingegneria della felicità “ – Rizzoli – Milano 1985). Pochi mesi prima delle 19,30 del 2 dicembre 1997 data della sua scomparsa, scriveva: “ ho regalato i libri, l’auto. Vivo in 80 metri, con mia moglie, Daniela, amica della mia mente e del mio cuore. Abbiamo un Personal, una macchina per scrivere, un fax. Talvolta un conoscente curioso mi chiede informazioni: “ che cosa fai, Ceccato?” Ho impachettato in una pagina il mio cammino. Il bambino dubbioso, il ragazzo musicato, il soldato fortunato sono volati via. Qualcuno sarà ancora in giro, sbattendo le ali …” Poche righe che racchiudono la storia di un uomo che si è dato all’uomo, studiando l’uomo, vaccinandolo contro gli errori del “pensare sporco”, zoppicante (tra l’altro Ceccato era nato lo stesso giorno di Jonas Salk, lo scopritore del vaccino contro la poliomelite: una coincidenza sconcertante …). “La felicità non è un dono, è un compito. Bisogna studiare”. Linguaggio e pensiero o, meglio, del pensiero … Il cuore del discorso di Ceccato si inserisce nella possibilità di capire come l’uomo è artefice del suo costruire mentale, iniziando dal prendere le distanze dal fisicalismo, distinguendo ciò che è osservativo da ciò che è mentale, costruito cioè dalla mente. L’operare mentale è di natura costitutiva: la mente funziona costituendo i propri oggetti in modo non direttamente e immediatamente osservabili, ma in modo mediato, utilizzando una funzione, una particolare attività nervosa che Ceccato chiama attenzione e questa, applicandosi a tutti gli organi umani, rende possibile non solo la percezione ma tutto il pensiero. L’attenzione tiene, seleziona, lascia, mantiene presenti o abbandona i propri oggetti, li correla con specifiche operazioni. Ed è importante che queste operazioni mentali vengano individuate, analizzate e descritte in modo proprio e positivo, evitando che si utilizzino negazioni, tautologie o metafore irriducibili. Il linguaggio (e non solo… anche il fare del corpo) è il canale di indagine attraverso il quale individuare, analizzare e descrivere le operazioni mentali che si fanno, scoprendo come si costituiscono pensieri: sono atteggiamenti nel senso di azioni mentali che bisogna indagare e conoscere per essere autori e fautori del proprio operare mentale, al fine di raggiungere autonomia e libertà di pensiero, evitando l’incapsulamento nelle fauci dei dogmi, della propaganda, dell’ a-priori. Possiamo approfondire il discorso analizzando due attività umane dell’homo sapiens sapiens: l’attività trasformativa e l’attività costitutiva. L’attività trasformativa e quella tipicamente fisica che non costituisce ma trasforma materiali che all’attività devono preesistere. Nel linguaggio esistono, per esempio, ambedue le attività: da una parte l’attività fisica, trasformativa, dell’apparato vocale che produce il materiale sonoro delle parole o delle mani o del volto (la mimica …) dall’altro l’attività mentale che costituisce dando significato a quel materiale fisico e rimandando al pensiero ed ai suoi contenuti. La storia umana è piena di attività trasformativa, esplicantesi dal linguaggio all’immagine al simbolo, ma anche alla ruota, sino all’astronave … è un digitale naturale che trasforma di

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stato, di forma, di posto ecc. materiali che all’attività preesistono. Senza esserne spesso consapevole l’uomo è costitutivo dei propri prodotti mentali (costrutti mentali). Come? Lungo sarebbe il discorso che racchiude anni di osservazione e studio di S. Ceccato: proverò solo a dare una base, un input di lavoro, lasciando a chi ne è interessato la fatica dello studio, dell’approfondimento e della condivisione. Le analisi operative

a) funzione presenziatrice dell’attenzione. funzione essenziale alla costituzione di ogni costrutto mentale è l’attività (o funzione) che il Nostro convenne chiamare attenzione. Senza l’intervento dell’attenzione nulla potrebbe esserci mentalmente presente. Basti pensare alle nostre natiche in contatto della sedia, od ai vestiti sul corpo, o ancora, ai molti rumori che vi circondano … ed a come tutto ciò, prima di scorrere queste righe, fosse inavvertito. I risultati più semplici del funzionamento dell’organo attenzionale sono i presenziati, in quanto l’attenzione, li rende presenti mentalmente e nient’altro. Rientrano tra questi presenziati, anche se difficilmente costituiti isolati, per esempio i contenuti mentali designati dai termini “caldo”, “freddo”, “rumore”, “luce”, “buio”, “silenzio” … Va inoltre ricordato che l’attenzione nel suo applicarsi al funzionamento di altri organi, non si svolge in modo continuo, ma per intervalli temporali discreti che vanno dal decimo di secondo al secondo e mezzo. In questo suo applicarsi e staccarsi, oltre a rendere presente il funzionamento degli organi interessati, l’attenzione frammenta, isolandone delle parti che una seconda funzione attenzionale, quella categoriale, permette poi di ricomporre attraverso particolari costrutti di rapporto

b) funzione categoriale dell’attenzione quando l’attenzione, anziché dirigersi sul funzionamento di altri organi, si applica al proprio funzionamento svolge attività categoriale e le categorie mentali ne sono il risultato. Per fare un esempio possiamo pensare alla punta di una freccia come inizio o fine della stessa. In questo ambito non entra in gioco alcun aspetto osservativo, perché la punta può essere l’inizio o la fine di quell’oggetto senza che nulla di osservativo (colore, forma …) venga a cambiare. Allora “inizio” e “fine”, come “causa, effetto, tempo, spazio, parte, tutto, singolare, plurale, stesso altro, numero, 1,2,3,4 …, punto, linea, e, o, con, ma, …” sono parole che indicano categorie mentali “pure”, cioè costruite e designate isolatamente. Queste categorie prendono vita dalla combinazione dei diversi stati di attenzione, pensando la stessa come un organo a due stati: uno di attivazione, l’altro di disattivazione, dove, il primo non applicato, considerato a sé, costituisce uno stato di attenzione pura, di semplice vigilanza, come, per esempio, quando al cinema si spengono le luci e si attende. Se a questo se ne aggiunge un altro, avremo una situazione di attenzione applicata, ma solo a se stessa, un’attenzione piena e focalizzata. E via di seguito, potremmo entrare in combinazioni sempre più complesse, combinazioni sommative di stati di attenzione che costituiscono le categorie mentali, rappresentabili graficamente con una “S” per gli stati attenzionali e con un tratto orizzontale per la combinazione. Ogni categoria mentale è distinta dal numero degli stati attenzionali che la compongono e dal loro ordine di combinazione. I costrutti categoriali allora potranno essere rappresentati graficamente in questo modo:

S S S S S S S S …

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Ceccato, nel suo studio individuò una serie di categorie, derivanti da queste combinazioni e rappresentate nella tabella sottostante. Per molte combinazioni manca il nome e la serie delle stesse categorie, come possibili combinazioni, è di per sé estendibile indefinitamente, ma di fatto non superabile un certo limite. tabella tratta da “La terza cibernetica” – S. Ceccato e B. Zonta - 1974 – Feltrinelli Ed.

Un esempio: riprendendo quanto già accennato sopra, nell’osservare una freccia noi abbiamo elementi “osservativi” (colore, forma …) che tali percepiamo, ma che la punta della freccia sia l’inizio o la fine della stessa non ha nulla a che fare con la freccia fisica che abbiamo davanti; è, bensì, un nostro operare nei confronti della freccia a presentarcela sotto i due aspetti: sono le categorie “inizio e fine” che “costruiamo” con gli stati attenzionali: nel considerare la punta come inizio si avvertirà che l’attenzione e forse anche l’occhio, non va soltanto sulla punta, ma scorre anche un pochino fuori, strutturando uno stato attenzionale “vuoto” che si combina con la categoria di oggetto (categoria di cosa preceduta da uno stato attenzionale puro) : S S S S Anche singolare e plurale sono categorie che applichiamo con costrutti mentali e non sono insite nelle cose fisiche: con quattro stati di attenzione il singolare e con cinque il plurale …

Considerare come inferriata (singolare) o come sbarre (plurale) questa figura è costruire mentalmente qualcosa (una categoria) e nulla c’entra con la figura stessa (la cosa fisica), poco

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con la grammatica …. Stesso discorso per bosco e alberi …. O per applauso o colpi (di mani)

c) l’osservazione: percepire e rappresentare.

Come percepiamo e ci rappresentiamo le cose? Qui il discorso si sposta sui costrutti osservativi. In sintesi, l’osservato, percepito o rappresentato che sia, avviene attraverso l’intervento dell’attività presenziatrice, unita a quella categoriale, appena vista. Nel percepito l’attenzione si applica al funzionamento di un organo sensoriale, andando oltre il semplice stato di attenzione, strutturandosi in stato di attenzione pura (e qui parte del funzionamento presenziato viene abbandonato …) ed in categoria di cosa (qui parte del funzionamento presenziato viene tenuto, “messo a fuoco”). A questo possono eventualmente aggiungersi una “figurazione” ed altre categorizzazioni. Nel rappresentato le operazioni agite sono temporalmente rovesciate: costruzione della categoria di oggetto costruzione di un presenziato mantenimento del presenziato che si riveste della categoria di oggetto. Poi, come per il percepito, si potranno avere figurazioni ed altre categorizzazioni. Gli osservati così agiti se, poi, vengono messi in rapporto e localizzati nel tempo e nello spazio, giungono all’osservazione fisica (localizzazione spaziale) e “psichica” (localizzazione temporale): la cosa fisica sarà, quindi, sempre in un certo posto; la cosa “psichica” si troverà sempre in un certo momento …

d) la memoria: oggi della memoria si sa senz’altro qualcosa di più (non molto in quest’ottica, a dire il vero …). Ceccato nei suoi studi ne sottolinea alcune funzioni principali: funzione di ripresa letterale che permette di avere presente, senza mutarlo, l’operare già svolto; funzione di ripresa riassuntiva che permette di avere presente l’operare già svolto in forma abbreviata e condensata; funzione di mantenimento, attraverso cui, l’operare svolto viene mantenuto presente senza alcun intervallo, intervenendo soprattutto nell’attività categoriale e nella costituzione del singolo osservato; funzione associativa e selettiva che riguarda la possibilità di associare ciò che si è fatto anche in epoche lontane e selezionare ciò che sarà ricordato; funzione propulsiva che permette di indirizzare in una direzione o in un’altra l’operare in corso, sulla base dell’operare già svolto; funzione “inconscia o subconscia” che fa presente non solo ciò che è già stato presenziato dall’’attenzione, ma anche, seppur in minor grado, l’operare di organi che era passato via inavvertito ( che ne direbbe la psicanalisi?...) funzione “bergsoniana”, quando la memoria si fa continuamente ricreatrice di ciò che è stato fatto.

e) Le categorie mentali di rapporto L’operare costitutivo delle cose, dunque, avviene in un processo discreto, dove si frammenta, attraverso l’attenzione che tiene e lascia, sia per ottenere semplici presenziati, sia per avere i più ricchi osservati. E ciò risponde sia ai limiti di natura biologica degli organi in gioco, sia per ragioni e vantaggi di ordine pratico. Se per esempio immaginiamo una situazione in cui abbiamo di fronte un tavolino con sopra una bottiglia ed un tappo, certo potremmo costituire globalmente a livello osservativo il tutto. Ma costituirla così ed avere dal punto di vista del linguaggio un’unica parola per designarla, sarebbe antieconomico,

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perché potremmo servirci di quella parola solo in quella particolare situazione e ce ne servirebbero altre per situazioni analoghe ma differenti (tavolo con solo la bottiglia o solo il tappo …). Come allora la frammentazione è legata a condizioni di tipo biologico (limitatezza), le modalità ed i criteri della frammentazione dipendono invece, in grande misura, da fattori di ordine pratico, storico e culturale. Le singole unità ottenute dalla frammentazione vengono messe insieme mediante il pensiero, il quale si articola con le categorie di rapporto: particolari combinazioni di stati attenzionali che frammentano il flusso operativo, dando origine alle diverse unità e poi connettono, correlano le stesse. Per tornare all’esempio di prima (tavolo, bottiglia e tappo …) la situazione può essere descritta come “una bottiglia e un tappo su un tavolo”: la situazione viene frammentata sul piano percettivo in tre cose distinte poi riconnesse nel pensiero da particolari rapporti, definiti da “e” e “su”. E ciò avviene isolando dapprima delle unità per riconnetterle poi con un passaggio attenzionale dall’una all’altra senza interruzioni. Tale operare non riguarda chiaramente la natura della situazione che può essere sia fisica, sia psichica, sia categoriale (“rompere piatti e bicchieri”, “provare odio e amore”, “definire tempo e spazio” ); ciò vale non solo per la “e” ma per tutte le categorie di rapporto, le quali ammontano, nei popoli di civiltà evoluta, a circa 150 (secondo Ceccato negli anni ‘70/’80). Esse comprendono oltre alla “e”, il “con” il “di”, il “per”, il “su”, il “ma”, l’”a”, il “da”, il “se” … etc. tante di quelle “particelle, congiunzioni, preposizioni” che nella grammatica sembrano “inutili” … e si studiano a memoria, perdendone il senso quando poi ci si avventura nell’analisi “logica” dove si stenta a capire perché in “Mario prende una sberla”, quel “Mario” è “soggetto” secondo una “classica” definizione di “chi o cosa che compie l’azione …”, senza tener conto della categoria di rapporto e della correlazione agita. Una categoria particolare di rapporto è detta di “mantenimento”: non ha un corrispettivo in una parola italiana ma si combina e mantiene due costrutti mentali per esempio in “Luca” e “ corre” e poi “Luca corre” … “alto” e “edificio” e poi “alto edificio”. In tutte le categorie di rapporto sono almeno presenti due categorie di cosa, mai meno di due e la categoria di mantenimento è la più semplice delle categorie di rapporto proprio perché è costituita da solo due categorie di cosa.

f) La correlazione di pensiero

Tutte le situazioni sin qui analizzate, risultano composte da tre elementi che si susseguono nel tempo, costituendo una particolare struttura dinamica, caratterizzata da un elemento centrale che è una categoria di rapporto: queta struttura dinamica è quella specifica del pensiero: _________________ _ _ _ _ _ _ _ _ _ (a) (t1) ______________ _ _ _ _ _ _ _ _ (b) (t2) _____________ _ _ _ _ _ _ _ _ (c) (t3) La linea continua indica il tempo di costruzione dell’elemento, quella tratteggiata il suo mantenimento mentre viene costruito il secondo, grazie all’intervento della memoria. La rappresentazione mette in eveidenza anche le funzioni dei tre

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elementi: a primo correlato; b correlatore; c secondo correlato.

Possiamo chiamare questa struttura CORRELAZIONE e rappresentarla per comodità come segue:

Un esempio:

e

Bottiglia tappo

La correlazione in questa struttura triadica è l’unità minima del dinamismo del pensiero: normalmente gli uomini danni vita ad unità di pensiero più ampio che, a spirale, si costituiscono utilizzando una correlazione come elemento di un’altra, che, a sua volta, può entrare a costituirne una terza, e così sino a comporre una rete correlazionale: un esempio: pensiero: “noi leggiamo libri e riviste” Rete correlazionale :

NOI

LEGGIAMO

E

LIBRI RIVISTE

= correlatore di mantenimento

Una rete correlazionale non superare una certa complessità, corrispondendo a un tempo che si aggira in media sui 5 – 6 secondi: a questo punto interviene la funzione di ripresa riassuntiva della memoria. Il pensiero già svolto viene condensato in forme della durata di 1 – 2 secondi, rendendolo così utilizzabile come elemento in una nuova struttura. È necessario qui non farsi ingannare da strutture simili usate per l’analisi logica della frase o del periodo che non agisce con la consapevolezza delle categorie mentali di rapporto, della funzione attenzionale e mnemonica e dell’atto costituivo di presenziati ed osservati: questa è davvero tutta un’altra storia perché elimina le contraddizioni insite nell’analisi logica e usa il linguaggio come canale per capire il pensiero. Non sono etichette incollate ad una struttura ma atteggiamenti, azioni mentali costitutive. E la ricchezza di

correlatore

1° correlato 2°correlato

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questo modo di operare mentalmente sta proprio nella possibilità di prendere consapevolezza (metacognizione in senso lato …) del nostro costituire mentalmente il pensiero che si sposta inevitabilmente anche sull’asse valoriale ed etico: una mente espressa in operazioni apre sempre almeno tre alternative, identificabili in operare in quel certo modo, non operare affatto, operare in altro modo. È un atteggiamento da uomo “polivalente”, perché polivalente diventa il suo atteggiarsi “libero” di fronte alle “cose”. Una volta potrà vedere il lavoro come lavoro, ma un’altra come gioco; una volta la scienza come scienza, un’altra come magia; una volta come scambio economico, una volta come scambio grazioso o dono … e così in chiave etica, religiosa, politica, turistica …. Se qualcosa non ci soddisfa secondo un certo atteggiamento mentale, potrebbe soddisfarci secondo un altro: “sarà brutta ma costa poco, è resistente” ripeteva Ceccato. Questa polivalenza apre anche le vie del comunicare perché se non si riesce ad assumere l’atteggiamento dell’interlocutore, la comunicazione (mettere in comune … qualcosa deve diventare comune …) non si istaura. “Dirò di una soluzione – scriveva – che più di una volta mi ha aiutato a superare il contrasto. Il comportamento sia proprio che altrui va considerato come osservanza di regole di gioco, in nome delle quali ognuno esce dunque giustificato, anzi loro inevitabile prodotto, se non bara al gioco. Alla fine ci si ritroverà tutti “nostri simili”, anzi “nostri eguali”, perché tutti giocatori e giocatori corretti, anche se differenti sono i giochi “ … E la polivalenza atteggiativa si può promuovere sin dai primi anni di vita: l’atteggiamento non sarà considerato come un modo di re-agire alle cose passivo (scetticismo – a-priori- ipse dixit …) ma come un modo di costituirle, “anzi di andarle a cercare con determinate caratteristiche … una ventina di atteggiamenti, etico, estetico, economico, di lavoro, di gioco, scientifico, filosofico (questa volta assunto e dismesso deliberatamente e non più evitabile: “si fa della filosofia come si respira”), magico, turistico, sportivo … offrono uan quarantina di valori, assicurano l’uomo polivalente, capace di intendersi con una grande varietà di persone, riconoscendole in ogni caso “suoi simili”. (da: La terza

cibernetica – pag. 40)

g) Il linguaggio.

La funzione principale del linguaggio è di assicurare la comunicazione del pensiero, designando sia i contenuti, sia la loro funzione nella correlazione, attraverso due ordini di informazioni. Le tre componenti fondamentali del linguaggio sono: la cosa designata, la cosa designante ed il rapporto che li unisce, rapporto particolare, detto designativo, perché è questo che caratterizza la situazione come linguistica. È un passaggio attenzionale da una cosa all’altra; un passaggio asimmetrico in quanto una cosa viene tenuta e l’altra abbandonata: viene tenuto il designato che ci serve per il nostro pensiero, mentre viene abbandonato velocemente il designante. Il tenere costituisce il designato, l’abbandonare fa il designante. Quando si parla o si scrive, si parte dal designato; quando si legge o si ascolta si parte dal designante che subito si abbandona per il designato …: il lettore si renderà facilmente conto che, percepiti i caratteri sullo schermo del pc o sulla carta, subito li abbandona per passare sui costrutti mentali, tenendo questi presenti per articolarli in pensiero. La funzione designativa è giocata da cose fisiche, le uniche che possono rendere pubblico il nostro pensiero: in primis il suono, a disposizione di tutti, facilmente riproducibile con l’apparato vocale, di breve durata che non

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comporta quindi sovrapposizione e accumulo e poi, come prolungamento della memoria (durata) e maggiore trasmissibilità, le grafie … Linguaggio e lingua si distinguono perché per l’uno e sufficiente un rapporto designativo, per l’altra serve che vengano fissati i termini del rapporto designativo, cioè gli “impegni semantici” o “convenzioni linguistiche”. I due patrimonio delle cose da designare e dei designati e le diverse modalità di strutturazione del discorso ( cose designate strutturate in pensiero con cose designanti strutturate in discorso …) marcano le differenze tra le diverse lingue. Questa interconnessione tra designati e designanti, nel loro rapporto strutturante, rimane il canale di indagine del pensiero.

Dal contributo operativo alla “didattica operativa”… Lasciando ad altre letture e conoscenze il contributo che si potrebbe offrire (ancora !? …) alla neurobiologia, alle neuroscienze, agli studi sull’intelligenza artificiale ed alla costruzione di artefatti quali meccanismi sostitutivi del nostro operare mentale, all’etica e ad altri ambiti, penso si possano intuire la forza e le potenzialità di un tale operare in ambito didattico, ambito nel quale lo stesso Ceccato si volle cimentare, proprio con bambini di classe quinta elementare (allora si chiamava così …). Precursore della formazione per tutta la vita, il contributo fondamentale di Ceccato, in ambito educativo, è “stato alla libertà dell’uomo; a quella della mente, s’intende, ma per lui non ne esisteva altra” (Amietta in “la Linea e la striscia” 2008 – Franco Angeli ed.). Per Ceccato formare, educare, non vuol dire trasmettere contenuti, ma insegnare a pensare in proprio, togliere gli stereotipi, avviare alla flessibilità ed alla libertà, facilitare la creatività, intesa però non come becero spontaneismo, ma come capacità di conoscere le proprie possibilità mentali, fino al pieno dominio del proprio pensiero; entrare in un aula non è mettere solo un segno sugli alfabeti essenziali, ma con pazienza e fantasia, portare alla coscienza gli alunni tutte le possibilità del loro pensiero. Nell’era digitale, della grande “moda” tecnologica, dove sembra, da parte di alcuni, che un tablet o un collegamento telematico, le “aule virtuali” possano rivoluzionare la didattica, senza un simile approccio si rimane nella palude, nel guado, illudendosi di fare cose nuove, ma balbettando tante parole che di fatto esprimono solo uno stallo, un vuoto, dimentico delle tecnologie millenarie dell’uomo e spoglio della forza del pensiero pulito, libero, creativo. In sintesi si possono tracciare queste linee fondamentali della didattica secondo il Nostro ricercatore: a) i fondamentali principi della didattica sono due:

a. ciò che viene proposto non deve mai essere superiore (trascendere) alla capacità di comprensione del discente;

b. ciò che viene proposto non deve mai superare (trascendere) la capacità di comprensione del docente.

b) la formazione-educazione è un momento privilegiato della comunicazione

(mettere in comune): ciò implica di aver sempre molto presente la differenza tra propaganda ed educazione. L’una vuole far passare sugli altri i propri valori, l’altra aiuta ciascuno a realizzare i propri.

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c) Abituare gli allievi ad assumere diversi atteggiamenti (mentali e non solo) di

fronte ai problemi; il fatto di rendersi fautori di diversi punti di vista guida alla flessibilità, alla convinzione che esista sempre un’alternativa, evitando di incapsularsi nello scetticismo che nega ogni alternativa e nel dogmatismo che ne individua una sola.

d) Se una domanda non ha risposta, magari da anni o comunque per diverso

tempo e non dipenda ciò da una carenza di informazioni e conoscenze, chiedersi se la stessa non sia sbagliata o posta in modo errato. Ciò succede soprattutto in ambito filosofico e sociale e magari ha dato solo risposte negative, tautologiche o solo metaforiche …

e) I significati si attribuiscono e non si trovano: sia nell’attribuzione semantica

pura, sia nel dare un segno “positivo o negativo” siamo noi che costruiamo mentalmente e non c’è una realtà esterna, preesistente e così fatta, in modo che a noi non resterebbe che assumerla passivamente. Questo apre le alternative di cui sopra: avere sempre due libertà in più e cioè fare quelle operazioni, farne altre o, ancora, non farne alcuna.

f) Dare il massimo di attenzione e di studio al linguaggio: rimane l’unica strada

per arrivare al pensiero. Un termine è un confine, un recinto di significato; i sinonimi non ci sono perché ogni termine rimanda ad un’operazione mentale diversa. Alcuni termini possono diventare “una vera e propria ernia del pensiero” se non viene esplicitato il relativo criterio ( deve essere chiaro ai due comunicanti) a cui gli stessi si riferiscono soprattutto quando esprimono o implicano valori: “giusto-giustizia” per esempio o “razionalità” e altri …

g) I veri nemici della creatività sono il “principio di autorità” se racchiude il

tarlo del dogmatismo e del fondamentalismo; l’abitudine ripetitiva ed un atteggiamento che tanto è radicato da diventare unico ed esclusivo; le regole, le norme, le procedure ed il metodo aiutano a ricercare ed indagare e non abbattono la creatività e la flessibilità.

h) Tenere uniti il fare ed il sapere quotidiano e ciò che si fa a scuola: la vita

nella scuola, la scuola nella vita …

i) Il metodo didattico più efficace rimane ancora la “maieutica”: è un fare scuola attivo, perché ciò che si impara lo si ricava da sé e questo apprendimento non si perde. Le nozioni, le cose apprese per date si dimenticano o creano incapsulamento del pensiero. Certo rimane la necessità di fornire agli allievi una serie di conoscenze fondamentali e di base che servono per “andare” oltre. Ma il metodo di ricerca delle informazioni/conoscenze si snoda sempre attraverso un attivo interagire, fondato sull’arte maieutica e sulla metacognizione.

j) I soli progetti impossibili sono quelli che contengono una contraddizione

insanabile: il cerchio quadrato per esempio. Tutto il resto è esplorabile e, prima o poi realizzabile …

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k) I contenuti: in merito a questi Ceccato, li riteneva tutti utili ed invitava i docenti a ripartire le materie in tal modo:

a. Materie che hanno per oggetto cose fisiche o psichiche (per psichiche intende le materie che volgano alle emozioni, agli affetti e ai sentimenti);

b. Le materie che hanno per oggetto le cose mentali. A queste contrapponeva la storia e la geografia che non permettevano una reale possibile sperimentazione. Non possiamo conoscere la storia, ma la storiografia, ciò che altri ci hanno lasciato del passato; noi lì non ci possiamo tornare e la geografia è descrittiva ed osservativa di una realtà.

L’azione pratica di fare scuola, questa scuola, è raccolta in diversi suoi testi che trascrivono i dialoghi tra Ceccato e gli alunni; io ho avuto modo di vederlo in azione una sola volta: la sua forza, le sue strategie per mantenere attiva l’attenzione, la sua pazienza e fantasia nel ritornare con esempi numerosi e diversi portavano tutti a pensare davvero … Un po’ l’ho sperimentata in classe: è una didattica inclusiva, perché tutti hanno qualcosa da dire e tutti possono portare il proprio apporto su come funziona la testa; quando si innesca questo modo di affrontare tutte le discipline, gli alunni interagiscono, fanno domande, partecipano attivamente; si può avere l’impressione di “non fare il programma”, in realtà si guadagna molto in capacità di analisi e partecipazione … ti chiamano il maestro dei “perché”, ma il bello è che loro diventano gli alunni dei perché… Questo scritto non vuole esaurire assolutamente la ricchezza dell’approccio operativo alla didattica ed alla scuola … Non solo, è questo un ambito di ricerca, dove è necessario condividere, comunicare, imparare insieme: il metodo ed il contenuto lo impongono … Lascio in conclusione la bibliografia. Nella grande rete non si trova molto di Silvio Ceccato e non è forse un caso … magari da altre parti un giorno arriverà qualche spunto per una nuova ricerca o per una didattica “innovativa” … Ceccato è un italiano geniale, polivalente … il mondo accademico lo ha taciuto, ma lui ha ancora molto, di nuovo da dire . Mi sembra di sentire la sua voce, quando a qualche mio balbettio, rispondeva: “bisogna studiare e ricercare, io ho fatto un pezzetto, bisogna andare avanti, insieme..” Altri impegni (scelte) mi hanno portato lontano da lui negli ultimi anni della sua vita, quando forse avrei avuto “un’eredità” unica ed irripetibile …

Luigi Macchi - Carnago 22/04/2013

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Bibliografia: Opere di Silvio Ceccato:

Un tecnico tra i filosofi vol. 1 “ come filosofare” –1964– Marsilio - Padova

Un tecnico tra i filosofi vol. 2 “come non filosofare” – 1966 - Marsilio – Padova

Corso di linguistica Operativa – a cura di Ceccato - Longanesi&C – Milano 1969

Cibernetica per tutti 2 voll. – Feltrinelli – Milano – 1968 n- 1970

La terza cibernetica Feltrinelli UE 709 – Milano 1974

Il maestro inverosimile – sussidiario del 2000 per gli educatori di oggi – Bompiani – Milano 1972

Il Punto 1 e 2 – perché tuo figlio pensi così 2 voll. – IPSOA – 1980

L’ingegneria della felicità – Rizzoli – Milano 1985

La fabbrica del bello, l’estetica per tutti o per pochi – Rizzoli Milano – 1987

Il perfetto filosofo – Laterza – Roma – Bari – 1988

C’era una volta la filosofia – Spirali – Milano 1996

La linea e la striscia – il testamento del Maestro Inverosimile – P.L. Amietta e Silvio Ceccato – Franco Angeli 2008