Silvana Casartelli Novelli L’emergenza delle porte...

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1 Silvana Casartelli Novelli L’emergenza delle porte basaltiche della Siria “bizantina”, nella macrostoria della pietra e della porta e della loro coniugazione ‘monumentale’ Nel quadro del Progetto Interuniversitario Nazionale di Ricerca su “ Le interazioni culturali tra mondo mediterraneo ed Europa occidentale” (MURST 2001-2003), responsabile Letizia Ermini Pani dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” (S. LUSUARDI SIENA 2003) 1 , la ricerca integrata avente per oggetto “I materiali, le vie, i siti, i monumenti dei “segni di salvezza” della Siria cristiana: l’emergenza delle porte basaltiche” ha costituto uno dei due poli di interesse delle analisi conoscitive e critiche svolte sul campo dall’Unità di Ricerca dell’Università degli Studi di Roma “Roma Tre” negli anni 2001- 2004, con il cofinanziamento dell’Ateneo, del MURST e del MAE, responsabile scientifico Silvana Casartelli Novelli (P. FALCIONI.- F. SEVERINI 2005) 2 ; il secondo polo di interesse, avente per oggetto la Tebaide egiziana, ha dato contestualmente vita al Progetto Pilota del Ministero degli Affari Esteri “Deir el Ahmar, Deir anba Bishoi “Convento Rosso”” (B. MAZZEI 2004) 3 . I Un collega modernista, gettato uno sguardo alla documentazione fotografica delle oltre centocinquanta porte basaltiche inedite risultanti dalla ricerca sul campo delle missioni di studio effettuate in Siria negli anni 2001-2004, le definiva brevemente “tutte uguali”, intendendo con ciò trattarsi di una produzione che per lo storico dell’arte non presenta interesse alcuno per valore inventivo-creativo, né tanto meno estetico. Ma la patente arcaicità della materia e del decoro di codeste porte siriane - quasi “tutte uguali”- unita alla loro straordinaria emergenza quantitativa, massimamente concentrata nell’area del Massiccio Calcareo, richiamano lo storico della civiltà medievale all’assunto degli odierni studi archeomitologici “che le pietre parlino o piuttosto “urlino” un messaggio che è ancora parte integrante del presente” 4 , e quindi all’impegno della spiegazione della loro eminente presenza “monumentale”, intesa nel senso etimologico del termine: ovvero della ‘memoria’ della funzione e del messaggio che la loro peculiare materia e forma dell’espressione ha rappresentato, e ancora sta a rappresentare, sia nel quadro generale della coeva produzione artistica cristiana e sia della cultura artistica particolare della Siria. 1 S. LUSUARDI SIENA (a cura di), Fonti archeologiche e iconografiche per la storia e la cultura degli insediamenti nell’altomedioevo,”Contributi di archeologia” 3, Milano 2003. 2 P. FALCIONI, Nota geo-morfologica e cartografica del territorio, F. SEVERINI, Catalogo delle porte basaltiche siriane,Università degli Studi “Roma Tre” 2005, costituiscono la prima presentazione della documentazione iconografica originale delle porte basaltiche siriane e dei nuovi dati archeologici e geo-morfologici relativi alla loro presenza, collocazione e densità sul territorio, risultante complessivamente dalle missioni svolte in Siria negli anni 2001-2004 dall’équipe di ricerca dell’Università “Roma Tre”, edita dall’Ateneo in 200 copie in brossure per la “Giornata di Studio” in oggetto, promossa dalla Facoltà di Lettere e Filosofia il 15 dicembre 2005 (una copia depositata presso la biblioteca della facoltà); per cui da ultimo Cfr. il contributo a due voci: P. FALCIONI, F. SEVERINI, In margine alla ricerca sulle porte basaltiche siriane, in TEMPORIS SIGNA. Rivista di Archeologia della tarda antichità e del medioevo, Spoleto, I, 2006, pp.353-373. 3 B. MAZZEI (a cura di), Progetto pilota Deir el Ahmar, Deir anba Bishoi “Convento Rosso”, Introduzione di S. Casartelli Novelli, Università degli Studi “Roma Tre”, Roma 2004. 4 cfr. M. DONI, Introduzione a M. GIMBUTAS, Le dee viventi, Milano 2005, p. 6. Fig. 1. La prima fioritura dei centri urbani nel Vicino Oriente (da A. D1994).

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Silvana Casartelli Novelli L’emergenza delle porte basaltiche della Siria “bizantina”, nella macrostoria della pietra e della porta e della loro coniugazione ‘monumentale’ Nel quadro del Progetto Interuniversitario Nazionale di Ricerca su “ Le interazioni culturali tra mondo mediterraneo ed Europa occidentale” (MURST 2001-2003), responsabile Letizia Ermini Pani dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” (S. LUSUARDI SIENA 2003)1, la ricerca integrata avente per oggetto “I materiali, le vie, i siti, i monumenti dei “segni di salvezza” della Siria cristiana: l’emergenza delle porte basaltiche” ha costituto uno dei due poli di interesse delle analisi conoscitive e critiche svolte sul campo dall’Unità di Ricerca dell’Università degli Studi di Roma “Roma Tre” negli anni 2001- 2004, con il cofinanziamento dell’Ateneo, del MURST e del MAE, responsabile scientifico Silvana Casartelli Novelli (P. FALCIONI.- F. SEVERINI 2005)2; il secondo polo di interesse, avente per oggetto la Tebaide egiziana, ha dato contestualmente vita al Progetto Pilota del Ministero degli Affari Esteri “Deir el Ahmar, Deir anba Bishoi “Convento Rosso”” (B. MAZZEI 2004)3.

I Un collega modernista, gettato uno sguardo alla documentazione fotografica delle oltre centocinquanta porte basaltiche inedite risultanti dalla ricerca sul campo delle missioni di studio effettuate in Siria negli anni 2001-2004, le definiva brevemente “tutte uguali”, intendendo con ciò trattarsi di una produzione che per lo storico dell’arte non presenta interesse alcuno per valore inventivo-creativo, né tanto meno estetico.

Ma la patente arcaicità della materia e del decoro di codeste porte siriane -quasi “tutte uguali”- unita alla loro straordinaria emergenza quantitativa, massimamente concentrata nell’area del Massiccio Calcareo, richiamano lo storico della civiltà medievale all’assunto degli odierni studi archeomitologici “che le pietre parlino o piuttosto “urlino” un messaggio che è ancora parte integrante del presente”4, e quindi all’impegno della spiegazione della loro eminente presenza “monumentale”, intesa nel senso etimologico del termine: ovvero della ‘memoria’ della funzione e del messaggio che la loro peculiare materia e forma dell’espressione ha rappresentato, e ancora sta a rappresentare, sia nel quadro generale della coeva produzione artistica cristiana e sia della cultura artistica particolare della Siria.

1 S. LUSUARDI SIENA (a cura di), Fonti archeologiche e iconografiche per la storia e la cultura degli insediamenti

nell’altomedioevo,”Contributi di archeologia” 3, Milano 2003. 2 P. FALCIONI, Nota geo-morfologica e cartografica del territorio, F. SEVERINI, Catalogo delle porte basaltiche

siriane,Università degli Studi “Roma Tre” 2005, costituiscono la prima presentazione della documentazione iconografica originale delle porte basaltiche siriane e dei nuovi dati archeologici e geo-morfologici relativi alla loro presenza, collocazione e densità sul territorio, risultante complessivamente dalle missioni svolte in Siria negli anni 2001-2004 dall’équipe di ricerca dell’Università “Roma Tre”, edita dall’Ateneo in 200 copie in brossure per la “Giornata di Studio” in oggetto, promossa dalla Facoltà di Lettere e Filosofia il 15 dicembre 2005 (una copia depositata presso la biblioteca della facoltà); per cui da ultimo Cfr. il contributo a due voci: P. FALCIONI, F. SEVERINI, In margine alla ricerca sulle porte basaltiche siriane, in TEMPORIS SIGNA. Rivista di Archeologia della tarda antichità e del medioevo, Spoleto, I, 2006, pp.353-373.

3 B. MAZZEI (a cura di), Progetto pilota Deir el Ahmar, Deir anba Bishoi “Convento Rosso”, Introduzione di S. Casartelli Novelli, Università degli Studi “Roma Tre”, Roma 2004.

4 cfr. M. DONI, Introduzione a M. GIMBUTAS, Le dee viventi, Milano 2005, p. 6.

Fig. 1. La prima fioritura dei centri urbani nel Vicino Oriente (da A. DUÉ 1994).

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Terra di ‘memoria’ millenaria e pluristratificata, dovuta alla sua strategica posizione di “affaccio” al Mediterraneo delle grandi civiltà anatolico-mesopotamiche e contestualmente di “ponte” con l’Egitto5 (Fig. 1), la Siria, specie la Siria del Nord, appartiene a quella “culla della civiltà” dove dalla “rivoluzione” neolitica la pietra basaltica -pietra vulcanica uscita incandescente dalle viscere della montagna- risulta avere costituto continuativamente una materia di elezione fino a “I primi Imperi e i Principati del Ferro (1600-700 a. C)” dei diversi popoli, semitici e non semitici (come i Sumeri e gli Ittiti?), venuti dall’interno lungo i millenni a stanziarsi sul suo territorio; e che hanno fatto della Siria, come scrive Paolo Matthiae, l’area geograficamente centrale dell’Oriente antico nella quale più intenso, continuo, intrecciato e fecondo è stato lo scambio di esperienze tra le grandi culture artistiche dell’intera area6 (Figg. 2, 3).

Fig. 2. Carta storica della Siria con l’indicazione della città di Hazor.

Fig. 3. Gerusalemme, Israel Museum, il gruppo dei materiali basaltici provenienti dagli scavi del cosidetto “Tempio ortostato” di Hazor, XIV-XVIII secolo a.C (da K. KATZ, P.P. KAHANE, M. BROSHI 1968) .

Oriente antico alla cui capacità di “simbolizzazione” –nella definizione di Denis Vialou “la forma

della idee” dell’Homo simbolicus/Homo religiosus7- spetta altresì di avere compiuto nel corpo semico del “linguaggio per immagini”, il primo e l’unico linguaggio fossilizzabile della Preistoria, il processo di divaricazione che lungo l’età protostorica ha portando in ultimo alla creazione del linguaggio autonomo della parola nella scrittura “alfabetica” dei Fenici (circa 1600 a. C.): una invenzione senza ritorno nella storia della scrittura, la cui alta funzionalità fonda nella transcodificazione dei fonemi costitutivi della parola nelle diverse lingue storico-naturali in un servomeccanismo fondato sulla combinazione lineare di un numero limitato di segni, affatto “arbitrari” rispetto alla ‘cosa’ significata, il cui potere di comunicazione/ significazione risponde a una convenzione socialmente accettata e condivisa8.

5 Cfr. A. DUÉ, R. ROSSI, Atlanti della storia dell’Uomo. Le grandi civiltà del Vicino Oriente, del Mediterraneo e

dell’Africa, Milano 1994, tav I. 6 Cfr. P. MATTHIAE, La storia dell’arte dell’Oriente Antico. I primi Imperi e i Principati del Ferro (1600-700 a. C.),

Milano 1997, pp.109-153; IDEM La storia dell’arte dell’Oriente Antico. I Grandi Imperi (1000-330 a. C.), Milano 1996; per la documentazione relativa alla città di Hazor/Azor e ai materiali basaltici del XIV-XIII secolo a.C. ivi scoperti: K.KATZ, P.P. KAHANE, M. BROSHI, Il Museum Israel di Gerusalemme, Milano1968, pp.66-67, fig.58; A. CAUBET, P. POUYSSEGUR, Aux Origines de la Civilisation. L’Orient Ancien, Paris 2001, pp.134-135. Per i testi del XVIII sec. a. C. provenienti da Mari, attestanti che la città di Hazor/Azor (che dal XV sec. a. C. sarà assoggettata alla dominazione egiziana) aveva stretti rapporti politici e commerciali con la Mesopotamia, in particolare per l’esportazione dello stagno: G. CORCOS (a cura di), La gloria dell’Antico Testamento, Bologna 1983, pp.134-136, carta p. 234-235.

7Cfr. D. VIALOU, La Preistoria, Milano 1992, pp.330-339. 8 Sinteticamente G. JEAN, L’ècriture mémoire des hommes, ed. Gallimardd 1987, con bibliografia.

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Divaricazione per cui, accogliendo la tesi di André Leroi-Ghouran, Julien Ries ha scritto: Sarà questa tappa della subordinazione dell’espressione grafica all’espressione fonetica, che avrà come conseguenza un impoverimento del pensiero multidimensionale presente fino ad allora nei mitogrammi paleolitici; nel mentre che le immagini conserveranno fino al presente, nei diversi codici e sottocodici culturali delle diverse civiltà, la densa carica polisemica che è del loro statuto ontologico-funzionale primordiale e primario di unico linguaggio capace di vedere l’invisibile9.

E se, nel merito, dall’Oriente antico volgiamo lo sguardo alle tappe fondanti la macrostoria del segnico disegnate -al di là della contraddizione in termini- dalla nuova “storia” della Preistoria, e specificamente alla seconda tappa epocale della “simbolizzazione” scoperta in Eurasia occidentale nel“binarismo” segni/immagini che dal 18.000 al 10.000 circa a. C. ha trionfato nelle grandiose “Cattedrali della Rigenerazione” franco-cantabriche di Altamira, Lascaux, etc., dove gli astratti mitogrammi “aurorali” funzionano in sistema con le possenti figure del “realismo magdaleniano”10, è ancora a ben guardare in terra di Siria che possiamo leggere una tappa ulteriore del linguaggio delle immagini, nella decorazione di codice “organico” e/o “astratto”11 che dal VI-V millennio a. C. ha segnato contestualmente la sua ceramica “cultuale” lungo lo straordinario esercizio di creatività produttiva ed espressiva che va da Hassuna a Samarra, da Obeid a Susa (Figg. 4, 5). Della quale André Parrot ha scritto: “Susa era diventata la Sèvres dell’Antichità. Esemplari del suo vasallame sono stati raccolti a migliaia dalla missione di J.d Morgan e il Louvre ne possiede delle serie che permettono di potere affermare che nessuna antica manifattura orientale potrebbe competere con essa”12 (Fig. 6).

9 J. RIES, Il Mito e I suoi primi passi, in J. RIES (a cura di), Il Mito. Il suo linguaggio e il suo messaggio attraverso le

civiltà, Milano 2005, pp.18-21. 10 Dell’analisi etnolinguistica di André Leroi Gourhan, cui spetta la fondamentale innovazione e sistemazione del segnico

nella Preistoria dai “mitogrammi” aurorali del Paleolitico al “binarismo” segni-immagini della grande arte parietale del Magdaleniano, vedi in particolare: A. LEROI-GOURHAN, Les religions de la préhistoire. Paléolithique, Paris 1964 (tr. it. di F. Saba Sardi, Le religioni della preistoria, Milano 1970); IDEM, Le geste e la parole. I, Technique et langage, Paris 1964; II, La mémoire et les rytmes, Paris 1965 (trad. it. di Franco Zannino: Il gesto e la parola, voll. 2, Torino 1977); IDEM, Consideration sur l’organisation spatial des figures animals dans l’art parietal paléolitique, Symposium international de Arte prehistorico, Santander 1972; IDEM, Préhistoire de l’art occidental, Préface de YVES COPPENS, Collection “L’art et les Grandes Civilisations”, Paris 1965, nouv. éd. par B. et G. Delluc, Paris1995; IDEM, L’art parietal. Langage de la préhistoire, Grenoble 1992.

11 Per la “rivoluzione” che, nel secondo ‘900, l’analisi del segnico in generale di LEROI-GOURHAN ha portato circa i tempi e le forme della figurazione nel codice “organico” e/o”naturalistico” vs “astratto”e/o “aniconico”, in rapporto al panorama tradizionale degli studi archeologici del primo ‘900 su cui fondava ancora la proposizione storico-critica del prezioso saggio di R. BIANCHI BANDINELLI, Organicità e astrazione, Milano 1956, quindi per il nuovo quadro conoscitivo e critico che alla fine del secolo la macrostoria del segnico ha portato allo storico dell’arte, nel nostro specifico allo storico dell’arte altomedievale, cfr. S. CASARTELLI NOVELLI, Segni e codici della figurazione altomedievale, “Testi, Studi, Strumenti” II, Spoleto 1996, in part. all’Introduzione, pp. 3-42, tavv. I-XXIV, con bibliografia.

12 Per la stretta correlazione della ceramica con lo stato sedentario, in quanto “ per la sua fragilità, è incompatibile con lo stato nomade”, e per il suo massimo sviluppo in funzione “cultuale” nell’antica Mesopotamia, da Hassuna Samarra e da Obeid fino a Susa: A. PARROT, I Sumeri, Milano 1960, pp. 44-60, p. 40 la carta dell’antica Mesopotamia; in generale per i materiali relativi a Susa: M. ROAF, Atlas de la Mésopotamie et du Proche-Orient Ancien, éd. Brepols 1991; per confronto con il nuovo quadro generale dello sviluppo dalla produzione ceramica dalle origini ai più importanti ritrovamenti centro-europei del VI-V millennio a. C. “in funzione di rappresentanza, di comunicazione o rituale”: V. KRUTA, M. LIČKA, Prime Terrecotte dal cuore dell’Europa. Ceramiche dei cacciatore e dei primi agricoltori di Boemia e Moravia 27.000-4.000 a. C., Milano 2001.

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Fig. 4. La Mesopotamia al tempo della dominazione dei Sumeri (da ANDRÉ PARROT 1960).

Fig. 5. La tavola dei piatti di Samarra che documenta esemplarmente nel V millennio a. C. la resa formale dello stesso soggetto in codice “naturalistico” e/o “astratto” (da ANDRÉ PARROT 1960).

E anche quando il “bacino” mediterraneo si aprirà all’età storica, la Siria continuerà a dare prova ad ampio raggio della sua funzione di “terra strategica degli scambi e delle osmosi continue” in quanto, leggiamo, in essa vivono Roma e l’Iran e le culture locali si ammantano di tutti i loro apporti. É difficile definirne le frontiere (la sfera siriaca, infatti, non è né quella dell’antica Siria, né quella della Siria attuale). Lungi dal costituire un mondo separato, essa si estende dal Mediterraneo alla Persia, inglobando parte dell’Asia minore e aprendosi verso il profondo dell’Asia, fino alla Cina, all’India e al Tibet13.

A seguire è quindi la nuova entità geo-politica della Siria provincia “bizantina”, diretta erede e

interprete della grande stagione culturale ellenistico–romana che ha interessato l’intero “Levante”, quando la regione storica divisa oggi nelle singole entità nazionali di Siria, Libano, Giordania, Israele e territori autonomi palestinesi, era punto d’arrivo delle vie carovaniere che dal lontano Oriente portavano la seta fin nel bacino Mediterraneo14. E nella complessa quanto drammatica geografia storica dell’orbis christianus antiquus, al tempo della lotta dirompente dei secoli V e VI fra nestoriani e monofisiti la Siria si schiererà con le provincie orientali dell’Impero di credo monofisita “non-calcedoniano”; e il suo monachesimo estremo, che pur condivide la struttura di

13Per il rapporto fra ellenizzazione e cultura indigena e per le principali espressioni della civiltà figurativa della Siria

nell’età romana cfr. in part. M. SARTE, D’Alexandre à Zénobie. Histoire du Levant antique IVe siècle av. J.-C./ IIIe siècle ap. J.-C., Paris 2001, pp. 851-883, pp.885-995; per la citazione cfr. M. ZIBAWI, Orienti cristiani. Senso e storia di un’arte tra Bisanzio e l’Islam, Prefazione di O. CLEMENT, Milano 1995, p. 47.

14 J-M. DENTZER, W. ORTHMANN, Archéologie et histoire de la Syrie, II, La Syrie de l’époque achémenide à l’avènement de l’Islam, Damas 1989; M. ZIBAWI 1995, per la Siria pp. 9-16, 47-100.

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Fig. 6. Particolari delle vetrine del Louvre dedicate alle ricche “collezioni” delle ceramiche protostoriche rinvenute nell’area mesopotamica (foto dell’Autore).

base anacoretico-cenobitica della regola pacomiana, rivendica origini autonome rispetto alla “Tebaide” egiziana15.

Infine, quando nel 634 Bisanzio è sconfitta in Siria dagli Arabi, e quando nel 636 la battaglia di

Yarmuk segna la dilagante vittoria dell’Islam nell’Oriente cristiano, Siria, Egitto e Palestina escono congiuntamente dal pesante giogo bizantino e sottoscrivono la resa ai nuovi dominatori, sottoscrivendo contestualmente quei “trattati di pace” che, in cambio del pagamento di un tributo (djizia), offrivano alle comunità religiose la triplice garanzia della libertà di culto, della sicurezza fisica e della possibilità di godere dei propri beni16.

E con gli Arabi il “Levante” tornerà a riprendere la sua storia nel Medioevo come unica entità culturale, denominata Bilad el-Sham, il “Paese siriano” o il “Paese della Siria” 17.

II Se guardiamo ai “capi d’opera” delle porte basilicali paleocristiane, protobizantine e copte, e

consideriamo delle prime quanto resta della preziosa porta lignea “figurata” della basilica milanese di Sant’Ambrogio, datata alla fine del IV secolo18 (Fig. 7) e l’altrettanto preziosa porta lignea

15 Cfr. J. M. LABOA (a cura di), Atlante storico del Monachesimo, Milano 2002, pp. 48-51. 16Cfr. O. BINST, LEVANTE. Storia e archeologia del Vicino Oriente, Milano 2000; M. ZIBAWI 1995, p. 15; A. DUÉ, J. M.

LABOA, Atlante storico del Cristianesimo, Milano 1997, in part. il cap. “Bisanzio, gli Arabi e l’Islam, pp. 101-103. 17 Cfr. O. BINST 2000, p.7. 18 Cfr. W-F. VOLBACH, H. HIRMER, Arte paleocristiana, Firenze 1958, tav. 102, pp. 77,78 : “La suddivisione dei pannelli

ricorda le porte di Santa Sabina a Roma. Anche le porte lignee orientali a noi pervenute, come quelle del Sinai o quelle di Santa Barbara al Cairo, ora nel locale museo Copto, hanno una scompartizione simile a questa”; C. BERTELLI (a cura di), Milano, una capitale da Ambrogio ai Carolingi, “Il millennio ambrosiano”, Milano 1987, I, p.126.

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Fig. 7. Milano, Museo della Basilica di Sant’Ambrogio, due pannelli frammentari della porta lignea della basilica di Sant’Ambrogio (da W-F. VOLBACH, H. HIRMER 1958).

Fig. 8. Roma, la porta lignea della basilica di Santa Sabina, datata circa al 430-432 (da W-F. VOLBACH, H. HIRMER

1958).

Fig. 9. Cairo, Museo Copto. Particolari della porta lignea dalla chiesa di S. Barbara (foto dell’Autore).

Fig. 10 Costantinopoli, Santa Sofia. Le due false-porte marmoree a doppio battente della galleria sud-ovest cosidette Porta del Paradiso e Porta dell’Inferno (da P. SANPAOLESI

1945). “figurata” della basilica romana di Santa Sabina consacrata da Sisto III nel 410 dopo la distruzione e il saccheggio dei Goti di Alarico (Fig. 8)19, accomunate nella discendenza ellenistica alle porte “figurate” della chiesa di Santa Barbara, ora al Museo Copto del Cairo20 (Fig. 9); e delle seconde le preziose porte “aniconiche” della Santa Sofia di Costantinopoli consacrata da Giustiniano il 27 dicembre 537, in particolare le due “false-porte” marmoree interne (Fig. 10) 21 , la porta

19 W-F. VOLBACH, H. HIRMER 1958, tavv. 103-105, pp. 78: “L’iconografia è influenzata fortemente dall’Oriente, forse da

modelli siriaci”; C. BERTELLI 1987, I, fig. 147, p.148. 20 Per la similarità, in particolare della divisione in pannelli, con le porte lignee “ambrosiane”, cfr. W-F. VOLBACH, H.

HIRMER 1958, p. 78; per la vicinanza cronologica alle porte “ambrosiane” e per lo stile delle figure e delle decorazioni fitomorfe che “rimane fedele alla scuola ellenistica”, cfr. M. A. CRIPPA, M. ZIBAWI, L’arte paleocristiana. Visione e Spazio dalle origini a Bisanzio, con Introduzione di J. RIES, Milano 1999, pp. 304-305 e fig.124-125.

21 Cfr. P. SANPAOLESI, Santa Sofia a Costantinopoli, “Forma e colore”, Firenze 1965, p.7, tav. 23; H. STIERLIN, Orient Byzantin. L’art antique au Proche-Orient,de Constantiniple à l’Arménie et de Syrie en Ethiopie, Friburg (Suisse)1988, p. 72, fig. 69, riproduce una delle due false-porte della galleria sud-ovest e nota :“cette fausse porte en pierre reproduit, jusque dans les moindres details, les vanteaux d’une porte de bronze”.

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Fig. 11. Costantinopoli, S. Sofia. La grande porta bronzea “Porta Imperiale” che introduce al nartece, con al centro delle specchiature la “croce gemmata” (da P. SAMPAOLESI 1945).

Fig. 12 a) Costantinopoli, S. Sofia. Particolare della porta lignea che dal nartece apre alla navata centrale, con la sovrastante decorazione lignea ricoperta in lamina bronzea al cui centro è il Libro aperto (da L. KINROSS 1972); b) particolare della composizione superiore al cui centro è il Libro aperto al passo di Giovanni (Giov 10,9) inerente la simbologia cristiana della porta.

bronzea di accesso al nartece o “ Porta Imperiale” segnata originariamente di grandi croci “gemmate” (Fig. 11), e a seguire la porta lignea centrale che dà accesso alla basilica, al cui sommo entro un arco è figurata la colomba con il trono e il Libro aperto in cui si legge il passo del Vangelo di Giovanni (Gv 10.9) “Il Signore disse «Io sono la porta dell’ovile: se uno entra tramite me, sarà salvato, e potrà entrare e uscire e troverà pascolo»”22 (Fig.12a,b), e quindi, spingendoci nell’area bizantino-mediterranea fino al Sinai, consideriamo le porte “aniconiche” lignee e bronzee della basilica fortificata di Santa Caterina, eretta sempre da Giustiniano (post 536?) e dedicata alla Thetokos 23 (Fig.13a,b; Fig. 14a,b), siamo sempre in presenza di porte che aprono all’aula basilicale, al messaggio di Salvezza che prendeva forma e vita al suo interno, contestualmente alla liturgia della Parola, nel complesso apparato di colori e di immagini della sua decorazione, sia “figurativa” e sia “aniconica”. Come per eccellenza nella S. Sofia giustinianea, la massima basilica “bizantina” (Fig.15 a,b,c.). Quindi tutte porte nelle quali un rapporto diretto con le porte basaltiche siriane in oggetto risulta, sia nei materiali e nei decori e sia nella funzione, affatto sfuocato. Né l’eminente testimonianza delle nostre porte basaltiche è presenza “monumentale” che si lascia spiegare al tutto nella cultura artistica della Siria “bizantina”, e neppure nella sua eredità ellenistico-romana24; bensì piuttosto spostando all’indietro l’analisi, al “retaggio” del simbolismo ‘ierofanico’ primordiale della pietra = manifestazione del divino quale, contestualmente ai segni-

22 L. KINROSS, Santa Sofia, Milano 1972, pp. 41-43. 23 G. H. FORSYTH, K. WEITZMANN, The Monastey of Saint Catherine at Mount Sinai. The Church and Fortress of

Justinian, The University of Michigan Press 1965, pp. 1-20, tavv. XCIV-XCVII. 24 Cfr. E. KITZINGER, Byzantine Art in the Making. Main lines of stylistic developpement in Mediterranean Art 3rd-7th

Century, London 1977; nuova ed. it. M. ANDALORO, P. CESARETTI (a cura di), E. KITZINGER, Alle origini dell’Arte Bizantina. Correnti stilistiche nel mondo mediterraneo dal III al VII secolo, “ Di fronte e attraverso” 672, “Storia dell’Arte” 26, Milano 2005, con note bibliografiche; nella stessa collana cfr. anche: T. F. MATHEWS, Scontro di Dei. Una reinterpretazione dell’arte paleocristiana, con il saggio di E. Russo Per leggere «The Clash of Gods. A reinterpretation of Early Christian Art di Thomas F. Mathews», “ Di fronte e attraverso” 646, “Storia dell’Arte” 28, Milano 2005, con note bibliografiche.

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Fig. 13. S. Caterina al Sinai. a) le due porte lignee della Cappella dei Quaranta Martiri e della Cappella di San Giacomo Minore; b) particolari dei motivi decorativi della porta della Cappella di San Giacomo Minore (da G. H. FORSYTH, K. WEITZMANN 1965).

Fig. 14. S. Caterina al Sinai. a) le due porte bronzee della Cappella dei Quaranta Martiri e della Cappella di San Giacomo Minore; b) particolari dei motivi decorativi (da G. H. FORSYTH, K. WEITZMANN 1965).

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simboli archetipi e archetipici del ‘sacro’(Fig. 16)25, ha attraversato dalla Preistoria le “Crises, Ruptures, Mutations dans les Traditions Religieuses”26 fino alle tre grandi religioni “rivelate” fiorite nel Mediterraneo; per riattestarsi nel nuovo ‘sacro’ cristiano27, non solo nell'area siro-palestinese e mediterranea ma nelle “pietre stanti”/”pierres levées”/”standig stones” che vanno

25 Cfr.P. HARBISON, Pre-Christian Ireland. From the First Settlers to the Early Celts, London 1988, pp.42-86, fig. 31. 26 J. RIES (ed. par), Crises, Ruptures, Mutations dans les Traditions Religieuses, “Homo Religiosus”, s. II, Thurnout

(Belgium) 2005. 27Per lo statuto ‘ierofanico’ della pietra nell’esperienza del sacro dell’Homo religious/Homo simbolicus, quindi per la sua

carica più propriamente ‘teofanica’ nelle tre grandi religioni monoteiste “rivelate”, in particolare nel sacro cristiano in quanto “sacro del Dio vivente reso presente grazie alla mediazione di Gesù Cristo”, cfr. : J. RIES, Le origini. Le Religioni, Milano 1993, in part. i capitoli L’Uomo religioso, 30. L’esperienza del sacro; 31. Il Simbolo e il linguaggio simbolico, pp.116-122.

Fig. 15. Costantinopoli, S. Sofia. L’originaria decorazione “aniconica” della basilica giustinianea (532-537) incentrata sull’immagine della “croce gemmata”: a) nei marmi preziosi della parete di controfacciata sottostante la loggia imperiale; b-c) nelle campiture auree dei mosaici della prima campata della navata destra (foto dell’Autore).

Fig. 16. Irlanda, la “decorated stones” del Cairn T di Loughcrew. (da P. HARBISON 1988).

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dalle cross-standing stones dell’Europa nord-insulare 28 ai Khatchkars (pietre-croci) di cui è disseminato il territorio dell’Armenia storica29 (Figg. 17-19).

Per cui, a latere delle porte/portali delle grandi aule liturgiche paleocristiane e bizantine e circa mezzo millennio avanti il (bianco) manto di cattedrali “policrome” che ricoprirà l’Europa romanica e gotica30, è il macrofenomeno delle “pietre crociate” distribuite a “macchia di leopardo” nella nuova geografia, eminentemente monastica, dell’Eurasia cristiana, nella funzione primaria risemantizzare in signacula del nuovo ‘sacro’ cristiano, in forme diverse ma non distinte, le “grandi pietre” erette

Fig. 17. Irlanda, la Cross-slab di Inishmurray (da P. SKUBISZEWSKI 1995).

Fig. 18. Irlanda, la Cross-slab di Fahan Mura (foto dell’Autore).

Fig. 19. Armenia, i khatchkar (pietre-croci) che chiudono all’esterno le cappelle rupestri del monastero di Gheghard (foto dell’Autore).

28 Da ultimo cfr. P. SKUBISZEWSKI, L’art du Moyen Âge. L’Art européen du VIe au IXe siècle, Torino 1995, in part. il

cap.V, “Le Monde Irlandais et Anglo-Saxon”, pp.158-206 ; S. CASARTELLI NOVELLI, Spoleto 1996, in part. i saggi “Committenza e produzione scultorea ‘bassa’” e “Scritture e immagine nell’ambito insulare”, pp.105-195, tavv. LXIII-CLXIII, con bibliografia.

29 In particolare L. AZARIAN, A. MANOUKIAN, A. ALPAGO-NOVELLO, Documenti di Architettura armena/Documents of Armenian Architecture, 2, KHATCHAR , Erevan-Milano 1977.

30 R. GLABER, Historiarum libri V, libro III, cap. IV (ed it. a cura di G. CAVALLO e G. ORLANDI, Rodolfo il Glabro, Cronache dell’anno mille (Storie), Fondazione Lorenzo Valla 1989).

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nella Preistoria «a chiamare in presenza la divinità», che in qualche caso si accompagna anche direttamente all’esaugurazione degli antichi menhir preistorici (Fig. 20a, b)31.

Un macrofenomeno imponente, di indubbia ascendenza arcaica nella materia e forma dell’espressione coreferentemente alla materia e forma del contenuto, che rispetto all'analisi morfologico-stilistica tradizionale degli studi storico-artistici impone oggi piuttosto il ricorso ai nuovi paradigmi d’analisi messi in campo dalla macrostoria del segnico e dalla teoria semiotica e testuale, al fine di spiegarne la diffusa emergenza nell’orbis christianus antiquus in ordine alla peculiare funzione di comunicazione / significazione del ‘sacro’ nella langue cristiana e, per quanto ci attiene nello specifico, nella cultura artistica e nell’immaginario della Siria “bizantina”.

III Una ascendenza, la più vicina nel tempo e nello spazio, inerente complessivamente materia, decoro e tipologia strutturale delle porte basaltiche siriane, si impone nel “Levante” palestinese con le porte presenti nelle catacombe ebraiche di età romana, datate al I-II secolo d. C, altrettanto funzionali e realizzate in pietra, monolitiche a un solo corpo con cardine incorporato e coperte di segni-simboli (Fig. 21a); quella in situ nella catacomba presso Beath-Shearim, con finta doppia anta e finte formelle di marca “lignea” decorate di segni-simboli (Fig. 21b), insieme alla porta del “Torah shrine” figurata nel mosaico della Sinagoga Scavata presso Beth Alpha (Fig. 22)

31Per il peculiare fenomeno dei “menhir cristianizzati”della Bretagna, principalmente G. LE SCOUËZEC, J-R. MASSON,

Pierres sacrées de Bretagne. Croix et sanctuaries, Paris 1983.

Fig. 20a,b. Il menhir di Tregunc e il menhir di Saint-Uzec, due esempi del fenomeno della “cristianizzazione” dei massimi megaliti preistorici che in Bretagna si accompagna alla diffusa erezione delle nuove “pietre stanti” cristiane (foto dell’Autore).

Fig. 21. a) Museo del Louvre, la porta da catacomba ebraica (I sec. d. C.) presso S. Giovanni D’Acri (da G. AVNI, Z. GREENHUT 1994). 21b. La porta in pietra basaltica in opera nella catacomba ebraica presso Beath-Shearim, datata al II sec. d. C. (da A. REINFERBERG

1950).

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complessivamente le più vicine alla maggioranza delle nostre porte32.

Una ulteriore ascendenza, limitata al decoro delle nostre porte, si pone altresì nel “Levante” palestinese con i celeberrimi ossuari giudeo-cristiani scoperti al «Dominus Flevit» di Gerusalemme dal Padre Bellarmino Bagatti negli anni 1953-55, pubblicati nella Collectio Maior dello Studium Biblicum Franciscanum (SBF) nel 1958 33 , le cui maggiori raccolte sono gerosolimitane, del Museo della Flagellazione e dell’Israel Museum (Figg. 23, 24); e si conferma ulteriormente con la più recente scoperta delle tre grotte di Alcedama, situate presso il villaggio di Silwan, ai piedi del Monte degli Ulivi, utilizzate

dal I secolo a.C. al V-VI secolo d. C., dove nella grotta n.2 vediamo il particolare di un ossuario in situ e a lato una semplice porta in pietra, che al momento del rinvenimento risultava perfettamente sigillata, mentre nella più lussuosa camera C della grotta n.3, al centro di un arco scolpito in bassorilievo è una porta in pietra, funzionale, semplicemente scompartita in pannelli nel modello base delle porte lignee ( Fig. 25)34.

32 A. REINFERBERG, Ancient Hebrew Art, New York 1950, pp. 129-138, fig. p. 130. 33 P. B. BAGATTI, J. T. MILIK, Gli scavi del “Dominus Flevit” (Monte Oliveto-Gerusalemme), I. La Necropoli del periodo

Romano, Studium Biblicum Franciscanum (SBF), Collectio Maior, 13, 1958. 34 per la notizia e la documentazione relative alla scoperta: G. AVNI, Z. GREENHUT, Akeldama. Resting Place of the Rich

and Famous, in “Biblical Archaeology Review”, vol. 20, n.6 (nov.-dec.1994), pp. 36-46; IIDEM, Lo splendore delle Grotte di Aceldama: sepolcri ebraici e cristiani dall’epoca romana all’età bizantina, in “Archeo”, n. IX 1994, pp.56-61 .

Fig. 22. La porta del “Torah shrine” figurata nel mosaico della Sinagoga scavata presso Beth Alpha, datata al VI secolo d. C. (da A. REINFERBERG 1950).

Fig. 23. Gerusalemme, gruppo di “ossuari” raccolti nei depositi del Museo della Flagellazione (foto dell’Autore.

Fig. 24. Gerusalemme, gruppo di “ossuari” esposti all’Israel Museum.

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I quali ossuari, ricordiamo, hanno costituito i monumenti primari de “Il simbolismo dei giudeo-

cristiani” fondato sull’uso/riuso -e correlativa risemantizzazione- dei segni/simboli archetipi e archetipici del ‘sacro’, alla cui documentazione e decodificazione il Padre francescano Emmanuele Testa ha dedicato nel 1962 un fondamentale volume, riedito nel 198135 (Fig. 26); e che il Padre francescano Romualdo Fernandez ha ripreso, aggiornandone la documentazione e l’analisi nel volume appena uscito36 (Fig. 27), che corona a oggi il frutto della ricerca compiuta sistematicamente dai Padri francescani negli “spazi sacri” del Massiccio Calcareo, testimoniata principalmente nei volumi a tre mani pubblicati lungo un trentennio dallo Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme (Fig 28)37.

Dove il primo volume, dedicato agli stiliti, apre con la testimonianza di Theodoreto di Ciro relativa ai colli dell’Antiochene: «Les monts sont delivrés de l’erreur; là où jadis s’élevaient les autels païens, des choeurs de moines célèbrent aujour’dui Jesus-Christ Crucifié» (MIGNE, P. G. LXXXIII, 1044 C).

Mentre, nel dare insieme felice e accorata testimoniana del loro lavoro, commencée à la table d’étude, poursuivi sur les hauteurs du Djebel Baricha et du Djebel Sim’an, i Padri Ignazio Peña, Pasquale Castellana, Romualdo Fernandez hanno scritto:

“Ces montagnes d’où, pendant plusieurs siècles, cette louange du Christ s’éleva de facon

ininterrompue, nous les avons parcourues et parcourues encore, poussés par notre amour de la liturgie et de l’art réligieux syriens. Nous avons rempli nos yeux de ces visions mêmes qui enthousiasmèrent un Saint Jean Chrisostome et un Théodoret de Cir. Nous avons visitè les églises

35 E. TESTA, Il simbolismo dei giudeo-cristiani, Studium Biblicum Franciscanum (SBF) Collectio Maior 14, Jerusalem

1961. 36 R. FERNÁNDEZ FERREIRA, Simbolos christianos en la Antigua Siria, Patrimonnie Syriaque 4, Kaslik-Liban 2004. 37 Principalmente: I. PEÑA, P. CASTELLANA, R. FERNÁNDEZ, Les stylites syriens Studium Biblicum Franciscanum (SBF)

Collectio Minor 16, Jerusalem 1975; IIDEM, Les reclus syriens. Recherché sur les formes de vie solitaire en Syrie, SBF Collectio Minor, Jerusalem 1980; IIDEM, Les cénobits syriens, SBF Collectio Minor 1983; IIDEM, Inventaire du Jébel Baricha. Recherches archéologiques dans la région des Villes Mortes de la Syrie du Nord, SBF Collectio Minor 33, Jerusalem 1987: IIDEM Inventaire du Jébel el-A’la. Recherches archéologiques dans la région des Villes Mortes de la Syrie du Nord, SBF Collectio Minor 31, Jerusalem 1990: IIDEM Inventaire du Jébel Wastani. Recherches archéologiques dans la région des Villes Mortes de la Syrie du Nord, SBF Collectio Minor 36, Jerusalem 1999; cui ha fatto seguito da ultimo il volume di I. PEÑA, Lieux de pèlerinage en Syrie, SBF Collectio Minor 38, Milano 2000.

Fig. 25. Particolari delle grotte scoperte ad Aceldama (da G. AVNI, Z. GREENHUT 1994).

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anciennes (…). Nous avons interrogé les abitants du lieu (…)”; per concludere: “Semblable aux derniers feux d’un navire qui disparait au loin, les souvenirs des stylites n’est plus aujourd’hui qu’una faible lueur s’estompant dans la nuit des temps”38. E non solo degli stiliti.

Una ricerca pluridecennale, che risulta tanto

più preziosa in quanto ha raccolto sistematicamente negli anni testimonianze archeologiche oggi fortemente compromesse, quando non al tutto obliterate, dagli eventi che si sono succeduti in questo territorio nel corso dei secoli e culminati, occorre ricordare, non già nella salvaguardia dell’eccezionale “patrimonio dell’umanità” conservato nella zona del Massiccio Calcareo -una procedura dell’Unesco in tal senso iniziata tempo addietro non ha avuto seguito 39 -, bensì nel reinsediamento abitativo che è venuto a interessare negli ultimi decenni le sue celebri “villes mortes” (Fig. 29); più propriamente “villages”, nati dagli antichi insediamenti nel modello del “deserto monastico” di tipo anacoretico-cenobitico40.

Ossia dal macrofenomeno di quelle “associazioni autonome” dei “figli del deserto” che, nel modello degli eremiti Paolo e Antonio e della Tebaide egiziana, hanno attinto direttamente la Roma “capitale cristiana” di Giulio I (337-352)41 e preso campo nell’intero orbis christianus antiquus, a formare una specialissima “contro-società” che - come ha scritto Regis Debray- fugge au moule hiérarchique du bas Empire autoritaire ristabilendo contre le temps politique de la Ville le temps eschatologique du Désert. Sia nel tipo del monastero ilot-navire enlisé en terre ferme e sia nel tipo del couvent de haute

38 I. PEÑA, P. CASTELLANA, R. FERNANDEZ 1975, p.19. 39Cfr. A. KAMARA, The “Dead Cities” of North Syria, in E. ANDREADI (a cura di), Syria. Byzantine times, Catalogo della

mostra, Atene 2001-2002, p. 57. 40 M. DE VOGÜE, Syrie centrale. Architecture civile et religieuse, voll, 2, Paris 1865-1877; J. LASSUS, Santuaires chrétiens

de Syrie. Essai sur la genèse, la forme et l’usage liturgiques des edifices du cult Chrétien en Syrie, du IIIe siècle à la conquête musulmane, Paris 1947; G. TCHALENKO, Villages antiques de la Syrie du Nord, 3voll. Parigi 1955-1958.

41 Cfr. A. DUÉ, J. M. LABOA Milano 1977, p.78; più ampiamente C. FARAGGIANA DI SARZANA, Gli insegnamenti dei Padri del Deserto nella Roma altomedievale (secc. V-IX): vie e modi di diffusione, in “Roma fra Oriente e Occidente”, CISAM, XLIX Settimana, Spoleto 2002, I, pp.587-605.

Fig.26. Il volume di EMMANUELE TESTA.

Fig. 27. Il volume di R. FERNANDEZ.

Fig. 28. I principali volumi a più mani sul Massiccio Calcareo pubblicati dallo Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme.

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mer particolare dell’Europa nord-insulare42 ; quale, al di là dei confini settentrionali dell’orbis romanus, muovendo dall’Ibernia e dalla Caledonia i monaci irlandesi hanno portato intrepidamente, attraverso l’Oceano Atlantico, alle Ebridi e alle Orcadi, alle Shetland e alle Färöer, fino all’ultima Tule.43

E che nel “Levante” mediterraneo ha conosciuto un territorio eminente di insediamento e di sviluppo nella particolare area geo-morfologica del Massiccio Calcareo -la stessa area della massima presenza delle nostre porte-; la quale nei secoli è andata incontro al fenomeno del progressivo abbandono, passando dal “Deserto” quale luogo di vita e di elezione spirituale di anacoreti e cenobiti

Fig. 29. Carta delle “Dead Cities” of North Syria (da A. KAMARA 2001-2002).

e stiliti, della frequentazione delle folle di devoti pellegrini e della lunga risonanza nell’intero Mediterraneo “bizantino”44 (Figg. 30, 31), alla reale desertificazione del suo territorio. Cui si deve

42 R. DEBRAY, Le Feu sacré fonction du religieux, Paris 2003, p. 53 scrive: Le monachisme chrétien est né d’un geste de

recul, de rupture avec l’officialité triomphante…Il s’agissait de retablire, contre le temps politique de la Ville le temps eschatologique du Désert .

43 F. HENRY, La Sculpture Irlandais pendant les douze premiers siècles de l’ère chrétienne, Paris 1933; EADEM, L’art irlandais, “Zodiaque”, voll.2, 1963-65; J. R. HJALMARSSON, History of Iceland. From the Settlement to the Present Day, Reykjavik 1988; P. SKUBISZEWSKI, L’art du Moyen Âge. L’Art européen du VIe au IXe siècle, Torino 1995; P. HARBISON, L’art médiéval en Irlande, “Zodiaque” 1997 (ed it. a cura di R. CASSANELLI, L’arte medievale in Irlanda, Milano 1999) con bibliografia; R. FLETCHER, La Conversione dell’Europa dal paganesimo al cristianesimo 371-1386 d. C., Milano 2000, in part. pp. 101-124, 450-506; S. CASARTELLI NOVELLI, La “Tebaide cristiana”: dall’Alto Egitto all’ultima Tule. Nota sulla penetrazione del “retaggio” mediterraneo fino all’estrema propaggine settentrionale dell’Occidente (e la contestualità delle “gigantesche tane di talpa”), in “TEMPORIS SIGNA. Archeologia della tarda antichità e del medioevo”, Spoleto 2006, I, pp. 375-388.

44 Cfr. G. CAVALLO, La cultura italo-greca nella produzione libraria, in I Bizantini in Italia, Milano1982, p.526, fig.485.

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sostanzialmente la millenaria conservazione delle memorie “fossili” della sua grande stagione monastica; mentre il suo recente ripopolamento ha portato appunto, quando non la totale cancellazione, il “riuso” e la “degradazione” delle antiche pietre ancora esistenti in loco, anche delle nostre porte.

In merito alle quali è pertanto da salutare l’iniziativa promossa recentemente dal Governo della Repubblica Araba di Siria, della loro sistematica raccolta e musealizzazione, dal Museo Archeologico Nazionale di Damasco alle nuove collezioni in zona, unitamente al ricchissimo patrimonio di mosaici interessante la stessa area, nel museo aperto nell’antico Caravanserraglio di Ma’Arrat al-Noumann, nei musei di Aleppo, di Idlib, di Hama, etc.; dando avvio contestualente agli accordi di collaborazione scientifica con L’Università degli Studi “Roma Tre” (G. CALCANI 200145) e alla compartecipazione di giovani ricercatori e dottorandi siriani ai Progetti di Studio e di Ricerca congiunti delle Università degli Studi di Roma “La Sapienza” e “Roma Tre”46.

Fig. 30. Icona di san Simeone Stilita (390-459) attribuita al pittore Yû Al-Musawwir avanti il 1667, conservata nella Chiesa di Nostra Signora di Aleppo (foto dell’Institut du Monde Arabe di Parigi)

Fig. 31. Libro liturgico prodotto nella Puglia “bizantina” nel sec.XI, con la rappresentazione di san Simeone Stilita firmata da un ‘pittore’ di mestiere di nome Basilio Auximos,

45 G. CALCANI, Tra Roma e Damasco. L’architettura di Apollodoro nella cultura classica, Roma 2001. 46Dell’attuale interesse per questo patrimonio da parte del Governo della Repubblica Araba di Siria, congiuntamente

all’Istituto di Cultura dell’Ambasciata Italiana a Damasco, è testimone la borsa di studio quadriennale erogata alla dottoressa Najwa Haj Bkri per il conseguimento del Dottorato in Archeologia e Antichità Post-classica dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” (XV° Ciclo), conclusosi con la Tesi su Le porte basaltiche di Ma’Arrat al Nouman, coordinatore prof. Letizia Ermini Pani, cotutore prof. Silvana Casartelli Novelli; dove il contributo scientifico originale che la compartecipazione della dottoressa Najwa Haj Bkri ha portato al Progetto Interuniversitario di Ricerca delle Università “La Sapienza” e “Roma Tre” consta nel reperimento e traduzione in lingua italiana delle fonti arabe e dei documenti in lingua araba interessanti le porte basaltiche in oggetto, in particolare le informazioni sulla data di acquisizione e sul luogo di provenienza (ove contenute) nelle schede relative alle porte musealizzate (cfr. F.SEVERINI 2005).

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IV La finalità di questa Giornata di Studio, i cui Atti, unitamente all’edizione definitiva del Catalogo delle 164 porte basaltiche censite (di cui oltre 150 inedite) e ai contributi di Padre Pasquale Castellana e di Padre Romualdo Fernandez47, saranno pubblicati on line nel sito web del Laboratorio Informatico del Dipartimento di Studi Storico-Artistici, Archeologici e sulla Conservazione

dell’Università degli Studi “Roma Tre”, a inaugurare il Portale delle Ricerche “MEDITERRANEO, ROMA E LA NASCITA

DELL’EUROPA”, è finalità scientifica, mirata a offrire agli studi medievistici una documentazione, a oggi inedita nella sua eminenza quantitativa e qualitativa, la cui radicale arcaicità della materia e del decoro non si lascia spiegare nella semplice accezione “funeraria” delle porte, chiuse e/o socchiuse, ricorrenti nella fronte dei sarcogagi pagani e cristiani, le quali, giova distinguere, appartengono ad altra più recente suddivisione del campo semico e relativa tipologia monumentale. Cosicché nel Santo Sepolcro figurato nella Cassettina eburnea del British Museum, datata al V secolo, per significare/comunicare il miracolo dell’avvenuta Resurrezione del Cristo, la porta che ne sigilla la tomba è figurata non “socchiusa” –come accade di leggere!48- bensì infranta, spezzata, come bene mostra l’anta sinistra (Fig. 32); dimostrando pertanto di avere abbandonato per via la simbologia primordiale e primaria della pietra e della sua configurazione nella porta, quale dalla ricerca condotta risulta connotativa del filo rosso che, così come nelle parole di Giovanni (Gv 10,9), mostra di unire in profondità essenzialmente, nella stessa catena semantica, lo statuto ‘ierofanico’ delle porte basaltiche siriane alle grandi porte/portali aperte sull’aula basilicale destinata a celebrare il Mistero della Rivelazione e/o alle multiformi “pietre crociate” presenti dall’Irlanda all’Armenia, nella funzione basilare di annunciare/manifestare la «presenza del divino» nel nuovo statuto del sacro “messianico” cristiano.

Per cui, nel ringraziare vivamente gli studiosi che, anche dall’esterno della ricerca, hanno voluto portare a questa

47 Impossibilitati a intervenire personalmente per la coincidenza della data di svolgimento della “Giornata” con l’impegno

del loro ministero religioso rispettivamente ad Aleppo e a Damasco. 48Cfr., ad esempio, S. G. MC CORMACK, Arte e cerimoniale nell’antichità, Torino 1995, p.166.

Fig. 32. Il S. Sepolcro con la porta “spezzata” figurato nella Cassettina eburnea del British Museum (da S. MC

CORMACK 1995).

Fig. 33. Il volume sulla Porta Soprana di Ianua-Genova (C. BOZZO DUFOUR 1989).

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“Giornata” il loro contributo di studio e di interesse alla sua tematica, per mia parte propongo alla riflessione una rapida serie di flash sulla catena semantica che ha legato la pietra e la porta, dalla sua emergenza originaria in Eurasia nell’ultima età della Preistoria in coincidenza con la “sedentarizzazione” dei primi allevatori e agricoltori dell’età neolitica, attraversando quindi, pietra e porta separatamente e/o congiuntamente, in continuo dialogo simbolico-semantico, gli spazi interculturali e interreligiosi del ‘sacro’ fino, come ha voluto ricordarci recentemente Jacques Le Goff -introducendo proprio nel tema della porta la sua Mostra di Parma inaugurata nel settembre 2003!- al valore essenzialmente ‘sacrale’ che nel “villaggio globale” dell’Europa romanica e gotica connoterà e coniugherà ancora magistralmente la Porta di Città e la Porta/portale della Cattedrale (J. LE GOFF 2003)49.

Porta di Città - esempio paradigmatico la “Porta Soprana” di Ianua-Genova (C. BOZZO DUFOUR

1989) 50 (Fig. 33) - e Porta/portale della Cattedrale (X. BARRAL I ALTET, 2005) 51 : i massimi ‘testi’/’ipertesti’ monumentali della polarità civile-religiosa di cui si sostanzia la simbologia e l’immagine identitaria della “città” medievale, e in cui si conclude il programma della nostra “Giornata”, con l’intervento sul tema della nostra giovane storica, meritevole allieva e assidua collaboratrice alla ricerca, Micaela Maurici.

49 J. LE GOFF, Un Medioevo europeo, in D. ROMAGNOLI (a cura di), Il Medioevo europeo di Jacques Le Goff , Catalogo

della mostra, Parma 2003; J. LE GOFF, Il mio Medioevo, in “Archeologia viva”, Storia, a. XXIII, n. 103, gennaio-febbraio 2004, pp. 48-63 .

50 C. BOZZO DUFOUR, La porta urbana nel Medioevo. Porta Soprana di S. Andrea in Genova, Roma 1989. 51 X. BARRAL I ALTET, Les Images de la Porte Romane comme un Livre Ouvert à l’Entrée de l’Eglise, in M. HAGEMAN,

M. MOSTERT, Reading Images and Texts. Medieval images and texts as Form of Communication, Turnhout (Belgium) 2005, pp.527-543.

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I flash La prima “porta” che conosciamo

fa la sua comparsa in Anatolia nel sito di Çatal Hüjük (VIII-VII millennio a. C.), consistente nell’immagine a ogiva e/o a timpano che apre nella montagna la visione di una profonda grotta naturale segnata di stalattiti, dove si manifesta l’idolo della Grande Dea Madre Terra “partogenetica”= autogenerantesi, quale l’immaginario dell’Homo simbolicus/Homo religious ha eletto nell’Eurasia neolitica a presiedere in toto alla rigenerazione ciclica della vita, allacciando nello stesso tempo-non-concluso del ciclo vita-morte-vita il destino della Natura e dell’Uomo (Fig. 34)52. Idolo della Dea Madre che nelle pitture di Çatal Hüjük si manifesta nella stessa forma duplice incentrata “a specchio” sul grembo femminile, la cui prima apparizione risulta nella “Venere” di Lespugue scolpita in avorio di mammut, dalla tenerissima notazione dei lunghi capelli, ritrovata nella grotta di Rideau in Francia (Haute Garonne) e databile già al Gravettiano (27.000-20.000 a. C.)53. (Fig. 35).

Dunque porta che nella macrostoria del segnico si affaccia primordiale nell’Eurasia neolitica dell’VIII-VII millennio a. C. nello statuto di immagine-simbolo, cotestuale all’immagine-simbolo primordiale di ‘divinità’, testimoniando che nella pietra è insita ab origine la valenza di «presenza della divinità» e quindi della funzione di «intercomunicazione con il divino», affatto ante litteram rispetto alle realizzazioni

52 Principalmente: J.MELLAART, Çatal Hüjük, London 1967; J.MELLAART, U. HIRSCH, B. BALPINAR, The Goddess of

Anatolia, voll.4, Milano 1989; M. GIMBUTAS, Il Linguaggio della Dea. Mito e culto della Dea madre nell’Europa neolitica,con Introduzione di J. CAMPBELL, Milano 1990. Da ultimo M. GIMBUTAS, Le dee viventi, Milano 2005; il lavoro della grande studiosa Marija Gimbutas, da poco scomparsa, uscito postumo a cura di MIRIAM ROBBINS DEXTER e Introduzione di MARTINO DONI, è dedicato appunto al culto delle “dee viventi”, quale, nella tesi della studiosa, si è manifestato e ha caratterizzato a partire dal Neolitico le società preistoriche “prepatriarcali” nell’intera area euroasiana, o della “Europa Antica”.

53 Cfr. D. VIALOU, La Preistoria, Milano 1992, pp.239-252.

Fig. 34 Anatolia, Çatal Hüjük, VIII-VII millennio a. C. Particolare della tavola riproducente la “porta” a ogiva e/o a timpano che apre nella montagna la visione di una profonda grotta naturale segnata di stalattiti con l’idolo della Grande Dea Madre Terra “partogenetica”=autogenerantesi, e l’immagine del mare ricco di vita (di pesci). (da J. MELLAART 1989)

Fig. 35. La “Venere” di Lespugue ritrovata nella grotta di Rideau in Francia (Haute Garonne) e databile già al Gravettiano (-27.000-20.000 a. C.).

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monumentali che le porte/portali saranno chiamate ad assolvere nei millenni e nelle civiltà a venire; in quanto la ricerca archeologica ha mostrato che a Çatal Hüjük, la prima “città” della storia, costruita in mattoni crudi e abitata lungo un millennio, non esistettero strade, né pertanto porte funzionali all’accesso alle circa 40 case e/o case-santuario recuperate, che avveniva invece dall’alto, dal piano di camminamento del terrazzo.

Come è sempre dal recupero delle pitture delle case/case-santuario di Çatal Hüjük che conosciamo la primordiale apparizione dell’acqua/Acqua diVita (ricca di pesci: fig. 34), dell’immagine dell’albero/Albero della Vita fra i cui rami ricchi di rossi frutti saltellano rossi cervidi (Fig. 36), delle immagini “teriomorfe” del toro e dei leopardi dal mantello interamente maculato di cerchietti oculati e/o crociati, cotestuali ai rombi e quadrati umbilicati, alle croci e svastiche (Fig. 37a-d), etc.); in sintesi, le immagini e i segni che hanno declinato il “binarismo” delle “Cattedrali della Rigenerazione” della Preistoria nella grande famiglia neolitica delle immagini-simbolo di ‘divinità’. Così come è sempre a Çatal Hüjük che conosciamo la prima apparizione della montagna/MontagnaCosmica/Montagna Sacra, nell’immagine rubescente che si innalza alle spalle della “città” nella peculiare forma “a sella” con due cime laterali, una cima rappresentata in attività eruttiva, di possente vulcano, da cui appunto, annotiamo, è generata la pietra basaltica (Fig. 38).

Fig. 38. Çatal Hüjük, L’immagine della montagna/Montagna Cosmica/Montagna Sacra (da J. MELLAART 1989)

Fig. 36 Çatal Hüjük, L’immagine dell’albero/ Albero della Vita (da J. MELLAART 1989).

Fig. 37a- d. Çatal Hüjük, le decorazioni a motivi geometri (da J. MELLAART 1989).

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II flash Ci spostiamo all’altro capo dell’Eurasia, alla

eminente cultura del “megalitismo” atlantico, improntata omologamente al culto della Dea Madre, dove nell’area insulare e peninsulare britannica il Neolitico inizia la sua massima invenzione/espressione “monumentale” circa 5.000 anni a. C. con l’erezione dei massimi men-hir cavati dal corpo della montagna e appena sbozzati, pietra su pietra54(Fig. 39). Cultura che continuerà lungo i millenni anche nelle civiltà mediterranee e vicino-orientali protostoriche «a chiamare in esistenza la divinità», come per eccellenza documentato nei grandi Templi protostorici egizi e fenici (Figg. 40, 41), nella catena semantica delle pietre, sia isolate e sia allineate o disposte a cerchio, in forma di stele, cippi, pilastri e obelischi; tutti “monumenti” della grande famiglia dei massebot o massebe “il cui significato in lingua semitica vale “«casa del dio» e dio stesso”55.

Come alla stessa area mediterranea e alla stessa lingua semitica, nonché allo stesso primordiale e primario statuto ontologico di «manifestazione della divinità» appartiene il betilo/Bet-El di nuda pietra (Es 20,25) che Giacobbe volle innalzare e consacrare dopo il sogno profetico, quale appunto «casa di Dio»

54 Del “megalitismo” atlantico, celeberrimo per le sue dimensioni il menhir di Locmariaquer ( alto 18 metri, pesante 347

tonellate), per l’imponenza del complesso costituito contestualmente da un cerchio di pietre (cromlech) e dall’allineamento di dieci filari di massi per circa un kilometro il sito di Carnac, entrambi in Bretagna; mentre per la più alta concentrazione di strutture megalitiche (dolmen) il primato spetta in Irlanda alla Boyne Valley e in all’Inghilterra al complesso di Stonehenge, etc. Per lo sviluppo conoscitivo e critico del megalitismo, dall’area “atlantica” alla “universalità dei megaliti”, della vastissima bibliografia principalmente: E. BERNARDINI, Guida alle civiltà megalitiche, Firenze 1977; A. SERVICE, J. BRADBERY, Megaliths and their Mysteries, ? 1979 (tr. it. di M. BONI GRANDI, I Megaliti e i loro misteri, Milano 1981); J.P MOHEN, Le monde des megalithes, “Archives du temps”, Casterman 1989.

55 G. LILLIU, Betilo, in Enciclopedia dell’Arte Antica. Classica e orientale, Roma 1958, II, pp.72,73 .

Fig. 39. Cultura del “megalitismo atlantico”, V millenio a. C. Particolari del grande allineamento megalitico di Carnac in Bretagna (foto dell’Autore).

Fig. 40. Tempio faraonico di Serabis el-Kadim, edificato nel XX-XVIII sec. a.C. nel Sinai, nel luogo delle antiche miniere di turchese (foto dell’Autore).

Fig. 41. Biblo, particolare del Tempio fenicio “degli Obelischi”, XX-XVIII sec. a. C. (foto dell’Autore).

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e «porta del cielo» (Gen 28,11-19), confermando nell’immaginario veterotestamentario la continuità della pietra nello statuto primordiale di ‘porta’ aperta alla manifestazione e intercomunicazione con la divinità; in sostanziale omologia simbolico-semantica con tutte le pietre che, nel nuovo statuto del sacro “messianico” cristiano, saranno innalzate nell’orbis christianus antiquus in figura di “pietre crociate”.

III flash La prima eclatante coniugazione “monumentale” della pietra e della porta appartiene ai diversi

popoli, semitici e non semitici, che dal IV millennio exeunte//III ineunte a. C. hanno dato vita alla civiltà delle Città-stato e degli Imperi dinastici, emergenti dall’Anatolia al Vicino Oriente, dalla Siria all’Egitto; dove la materia ‘pietra’ e la funzione ‘porta’ sono state chiamate a coniugarsi per dare vita alle massime invenzioni/creazioni architettoniche, recuperando appieno ed esaltando lo statuto simbolico primordiale e primario con cui pietra e porta hanno fatto la loro comparsa aurorale nell’immaginario del sacro.

Come, esemplarmente, la grande porta sorvegliata dai possenti leoni, alti più di due metri, che nella sua imponente monumentalità marca l’accesso a una sorta di cittadella naturale posta nel cuore dell’altopiano anatolico, dove nel II millennio a. C. (verso il 1650) gli Ittiti hanno costruito la loro capitale (Fig. 42); e, sempre in Anatolia, la Porta delle Sfingi di Alaça-Hüjük, eretta sempre dagli Ittiti nel XIV secolo a. C. nella funzione di accesso monumentale a uno spazio il cui centro geometrico era occupato da un santuario 56 (Fig. 43). Scendendo lungo la strada seguita dagli Ittiti nella loro conquista, in Siria, sei-sette kilometri a Nord di Aleppo, è il Tempio-Palazzo di Ain-Dara, neo-ittita del X secolo a. C., di cui vediamo un ortostato in basalto dove scolpito fra due geni a protome d’uccello la “Dea della Montagna” è declinata ormai morfologicamente in figura maschile (Fig. 44a,b)

56 Cfr. KURT BITTEL, Gli Ittiti, Milano 1997, p. 187.

Fig. 42. Hattusha/Bogasköy, la Porta dei Leoni del Palazzo ittita, XIV-XIII sec. a. C. (da E. AKURGAL, M. HIRMER 1962).

Fig. 43. Alaça-Hüjük, La Porta delle Sfingi del Palazzo ittita, XIV secolo a. C. (da K. BITTEL 2005).

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Fig. 44. a) Ain-Dara, particolare della facciata del Tempio-Palazzo neo-ittita, X secolo a. C.; b) Aleppo, Museo Archeologico, ortostato in basalto figurante il “Dio-Montagna” ( da K. Bittel 2005).

Fig. 45. a) Sculture in basalto provenienti dalla grande facciata del Tempio–Palazzo di Tell Halaf, neo-ittita del X-IX sec. a. C., rimontate a formare l’ingresso del Museo Archeologico di Aleppo; b) alcuni degli ortostati in basalto conservati all’interno del Museo (foto dell’Autore).

e dove l’accesso al Tempio–Palazzo era costituto non più da una porta, per quanto monumentale, ma da una complessa facciata monumentale. Così come nel Tempio–Palazzo di Tell Halaf, neo-ittita del X-IX sec. a. C., la cui facciata monumentale, con le sue monumentali sculture in pietra basaltica, è stata ricostruita (in parte) quale ingresso del Museo Archeologico di Aleppo (Fig. 45a,b)57.

57 Cfr. KURT BITTEL, Gli Ittiti, Milano 1997: Hattusha/Bogasköy, pianta generale del sito p. 109, la Porta dei Leoni p. 223;

KURT BITTEL, Ittiti. L’antica civiltà. dell’Anatolia, Borgaro Torinese (To) 2005, ortostato in basalto p. 272, la carta del dominio degli Ittiti p. 289 ; E. AKURGAL, M. HIRMER, L’arte degli Ittiti, Firenze 1962.

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V flash Ma è in Egitto, nella concezione escatologica e

nell’immaginario soteriologico degli antichi. Egizi, che la coniugazione pietra-porta ha

sviluppato la sua semantica fondamentale nella creazione/invenzione delle false–porte, le quali “functioned magically as actual doors through wich the deceased could communicate with the world of the living and receive offerings and prayers necessary for his survival in the next world” 58 (funzionano magicamente come porte in essere attraverso le quali il defunto può comunicare e ricevere offerte e preghiere necessarie per la sua sopravvivenza nel mondo ultraterreno).

L’apparizione del singolare “monumento” costituito dalla falsa-porta si presenta nell’arte faraonica dell’Antico Regno già al tempo della V dinastia (2465-2323 a. C.), con un rarissimo esemplare di falsa-porta realizzata in legno59 (Fig. 46) - nel cui merito, della coniugazione simbolico-semantico albero-porta non vogliamo entrare in questa sede-, e la presenza della falsa-porta in pietra, largamente presente in Egitto:

a) nel “tipo primario” che imita la porta di una casa, con montanti, architrave e un elemento cilindrico per fissarvi una tenda (Fig. 47a);

b) nel “tipo di rappresentanza”, che riproduce le sporgenze e le rientranze peculiari della facciata di un palazzo (Fig. 47b);

c) nel “terzo tipo”, recante modanature e tori a imitazione degli ingressi degli edifici di culto 60. (Fig. 47c).

Il tipo significativamente iterato all’interno della complessa struttura dell’Osireion, il grandioso Tempio dedicato a Osiride, signore dell’aldilà egizio, che lascio all’analisi della collega egittologa Giuseppina Capriotti Vittozzi (la cui specifica competenza ha posto le basi al Progetto Pilota “Deir el Ahmar, Deir anba Bishoi «Convento Rosso»” 61 ), limitandomi per parte mia a richiamare brevemente, dalla lezione del grande egittologo Sergio Donadoni, che Osiride ha la prerogativa assoluta di un dio che era morto ed è risorto e che pertanto, per tutti i millenni in cui si svolse e si concluse la civiltà egizia presiedette al grande Deserto che si estende sulla riva destra del Nilo, a Occidente dell’antica “città regale e imperiale” di Tebe, nella funzione appunto di guidare il defunto a continuare a godere della vita nello stesso ‘modello’ del tempo non-concluso degli dei e della natura62.

58 M. SALEH, H. SOUROUZIAN, Official Catalogue.The Egyptian Museum Cairo, Mainz 1987, scheda n. 58. 59 Cfr. M. SALEH, H. SOUROUZIAN 1987, fig. n. 58; F. TIRADRITTI (ed. by), The Treasures of the Egyptian Museum, Cairo

2000, pp. 84, 85. 60 Cfr. R. SCHULZ, M. SEIDEL, Egitto,la terra dei Faraoni, Milano 1999, pp.81-83. 61 Cfr. G. CAPRIOTTI VITTOZZI, La montagna dell’Occidente, luogo del divino, e EADEM, Deir el-Abiad: continuità

monumentale ed espressione religiosa dall’Egitto faraonico a quello cristiano, in B. MAZZEI 2004, pp.49-64. 62 Cfr. S. DONADONI, Introduzione a F. TIRADRITTI (a cura di), Il cammino di Harwa. L’uomo di fronte al mistero:

l’Egitto, Milano 1999, p.13; IDEM, Tebe, Milano 1999, p.14.

Fig. 46. Falsa-porta egizia in legno (da M. SALEH, H. SOUROUZIAN 1987).

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Quindi false-porte in pietra, variamente strutturate e segnate della preziosa “scrittura sacra” per

immagini, peculiare degli Egizi 63 , la cui funzione essenziale è di rappresentare/significare la continuità fra la vita al di quà e al di là della morte: nella lezione di Donadoni “monumenti” dello «stato di essere» -di esistenza!- del defunto nella vita ‘alta’ oltre la morte, secondo le aspettative soteriologiche che distinguono gli Egizi dalle altre grandi civiltà protostoriche, mediterranee e vicino-orientali. Così come, sempre nella lezione di Donadoni, è in Egitto che nasce il Paradiso64; che con il rito lustrale dell’Acqua di Vita, il nutrirsi dei frutti Albero della Vita, l’immagine a “due cime” della Montagna Sacra, ben lunga fortuna interculturale e interreligiosa conosceranno nell’immaginario e nella liturgia del ‘sacro’, e specificatamente del sacro “messianico” cristiano.

Per cui false-porte in pietra, non funzionali ma pura «presenza», dove il nesso pietra-porta vale semicamente non nella funzione “funeraria” -di ‘sigillo’ tombale!- bensì nella funzione di immagine-manifesto dello «stato di essere» del defunto nel processo vita-morte-vita della rigenerazione cosmica; sostanzialmente la stessa funzione del cosidetto “Libro dei Morti”, propriamente Libro (o Capitoli) dell’uscita al giorno co-testo di geroglicifi e di immagini -il primo libro “illustrato” della storia!65-, che gli Egizi sigillavano nel sarcofago segnato del nome del defunto, insieme alla sua mummia, per accompagnarne appunto la rinascita a immagine del sole diurno Râ. Il grande dio creatore del “monothéisme à facettes” degli Egizi, che, come scrive Paul

63 In merito al peculiare statuto dei geroglifici, propriamente la “scrittura sacra” per immagini degli antichi Egizi “che non

sono nè un rebus né un crittoramma”, vedi in particolare per il geroglifico ‘orizzonte’, formato dal segno della montagna “a due cime” al centro della quale è il disco del sole Râ, la spiegazione di R. A. SCHWALLER DE LUBICZ, I Templi di Karnak, ROMA 2001, I, p. 30, quale “espressione non di una astrazione bensì di una < funzione>: uno stato di essere vitale. Il segno ‘orizzonte’ in immagine è positivo, concreto, non ha nulla di astratto o di convenzionale, ciò che evoca è una ‘intuizione, quella della funzione di apparire: di essere uscito dal non essere.

64 Cfr. S. DONADONI 1999, pp.13-15. 65 Cfr. S. CASARTELLI NOVELLI, Dal Libro dei Morti al Book of Kells, in “Medioevo: il tempo degli antichi”, I Convegni di

Parma, 6, Atti del Convegno internazionale di studi di Parma (24-28 settembre 2003), Parma 2006, pp.69-84.

Fig. 47. a) Falsa-porta egizia in pietra del I tipo, che imita la porta di una casa, con montanti, architrave e un elemento cilindrico per fissarvi una tenda (da R. SCHULZ, M. SEIDEL 1999); b) Falsa-porta egizia in pietra del II tipo, che riproduce le sporgenze e le rientranze peculiari della facciata di un palazzo (da R. SCHULZ, M. SEIDEL 1999); c) Falsa-porta egizia in pietra del III tipo, con modanature e tori a imitazione degli ingressi degli edifici di culto (da R. SCHULZ, M. SEIDEL 1999).

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Barguet, nel cap. 85 del cosidetto “Libro dei Morti”, dal titolo «Prendre l’aspecte d’une âme vivant» (tel est son titre)”,si dichiara:

«Je suis l’Éternel, … je suis celui qui a créé le Verbe, … je suis le Verbe»; ce qui est, avant la lettre, presque la première phrase de l’Évangile selon saint Jean” 66.

E sempre in Egitto conosciamo, nell’età cristiana, la ricchissima testimonianza della coniugazione

pietra-porta nelle stele copte a “motivo architettonico”)67, che sia nel sottotipo a frontone triangolare e sia nel sottotipo ad arco centinato, richiamano una semplice nicchia o porta di chiesa oppure una intera facciata di chiesa, realizzando, come scrive Sergio Pernigotti spostandone l’analisi dal piano puramente morfologico a quello semantico-simbolico, un insieme che è nuovo e che realizza concezioni figurative e religiose che trovano la loro origine in Egitto; in quanto per il cristiano d’Egitto, la stele a motivo architettonico sta sempre e soltanto a suggerire un edificio sacro, comunque connesso con il destino ultraterreno del defunto”68.

Nelle quali (Fig. 48) la croce è di sovente accompagnata, così come nelle nostre porte, da un corposo segno ricurvo che scende, più frequentemente ma non esclusivamente, alla destra del braccio verticale della croce; il quale non vale a rappresentare né la lettera greca rho ( P) né la corrispettiva lettera latina (R), bensì il “Segno del Figlio” della tradizione faraonica, diffuso in particolare negli “orienti cristiani”.

Fig. 48. Esempi di stele copte a “motivo architettonico” (da A. BADAWY 1945).

66 P. BARGUET, Le Livre des Morts des anciens Egyptiens, Paris 1967, p. 17. 67 A. BADAWY, La stèle funèraire copte à motif architectural, “Bulletin de la société d’Archèologie Copte”, XI, 1945, pp.

1-25. 68 S. PERNIGOTTI, Osservazioni sulla tipologia delle stele copte, in XXVIII Corso di Cultura sull’arte Ravennate e

Bizantina, Ravenna 1981, pp.239-253.

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IV flash Seguiamo, nelle grandi linee, le testimonianze “a macchia di leopardo” che nella Tarda Antichità

interessano la coniugazione “monumentale” della pietra e della porta nel tipo della falsa-porta, registrando esemplarmente in Tripolitania, nell’oasi di Ghirza, una necropoli le cui tombe -costruite “a torre” o “a tempio” come a Palmira!- sono testimoni di un insediamento nel pre-deserto libico vissuto dall’età romana alla prima età islamica (inserire qui nuove immagini alzato nuovo libro (Fig. 49)69 . Nelle quali, contestualmente all’apparato scultoreo figurativo di simbolismo sincretistico pagano-cristiano, è in facciata la falsa-porta in pietra, monolitica, le due (false) ante scompartite in pannelli decorati con segni-simboli arcaici e arcaizzanti (Figg. 50 a-f; 51), che richiamano da vicino il codice del decoro caratterizzante la quasi totalità delle porte basaltiche della Siria “bizantina”.

Fig. 50 a-f. Ghirza, l’insediamento nel deserto libico dei mausolei a falsa-porta in pietra (foto dell’Autore).

69 O. BROGAN, D. J. SMITH, GHIRZA. A Libyan Settlement in the Roman Period, Tripoli 1984.

Fig. 49. Ghirza, necropoli nord, mausoleo B (da J.-M. BLAS DE ROBLES, Libye grecque, romaine et byzantine, Éditions Édisud, Aix-en-Provence, France 2005, p. 122).

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Fig. 51. La falsa-porta in pietra esposta al Museo Archeologico di Tripoli (da O. BROGAN, D.J. SMITH 1984).

V e ultimo flash Infine, spendiamo il nostro ultimo flash sul simbolismo della falsa-porta nella langue

dell’immaginario “messianico” cristiano, richiamando dall’Algeria il celeberrimo esempio di Ain Zoui.

Fra le stele e le stele/pilastres raccolte nel cortile del Museo del Tempio della Minerva a Tebessa (Fig. 52) è la celeberrima falsa-porta in pietra a “decoro geometrico” ritrovata nella basilica di Ain Zoui (anticamenteVazaïvi) e datata al V secolo, dove, nella traversa centrale, campisce il chrismon; in cui leggiamo esemplarmente la coniugazione e risemantizzazione, in chiave “cristologica”, del simbolismo archetipo delle pietra eretta a chiamare «in presenza» la divinità e della porta quale manifestazione «in presenza» della Grande Dea partenogenetica nel grembo della montagna; che la magnifica civiltà del “linguaggio dell’immagine” dell'Egitto faraonico e copto ha avuto per eccellenza la funzione di declinare nel “crogiuolo” della cultura mediterranea e quindi di trasmettere, unitamente ai modelli del primo Libro Sacro/Libro della Vita e del “Deserto monastico”, alla langue del sacro messianico cristiano.

Pietra a “falsa-porta” e/o, più debolmente, “falsa-porta” in pietra (Fig. 53), che dalle ripetute segnalazioni e chiamate in causa di Henry Leclercq e dei massimi specialisti del “decoro geometrico”, tipico del linguaggio scultoreo delle hautes plaines dell’Africa romana70, è approdata

70 Principalmente H. LECLERCQ, Dictionnaire d’Archéologie Chretienne et de Liturgie, Paris 1907-1953, t. 14, coll. 1029-

1032, figg. 10272-10274; N. DUVAL, P. A. FEVRIER, Le décor des monuments chrétiens d’Afrique (Algerie et Tunisie), in “Actas del VIII Congreso International de Arqueologia Cristiana, Barcellona 5-11, X, 1969”, Roma 1972, I, pp. 5-55; P. FEVRIER, L’evolution du décor figuré et ornamental en Afrique à la fin de l’Antiquité, “XX Corso di Cultura sull’Arte ravennate e Bizantina”, Ravenna 1972, pp. 183-186; P. SALAMA, Recherches sur la sculture geometrique traditionelle, “El djezair”, 16 (1977); J. FONTAINE, L’Arte préroman hispanique, “Zodiaques” 1973, I, pp. 131-133; S. CASARTELLI

NOVELLI, Le nuove <<pietre fitte>> sarde e il testo della croce monumentale quale Albero della Vita di “Apocalisse” II, 7, in “Arte medievale”, s.II, a.III, n.2, 1989, pp.1-50, con bibliografia.

Fig. 52. Tebessa, giardino del Museo del Tempio della Minerva, la stele/pilastre a “falsa-porta” del Vsec. proveniente dalla basilica di Ain Zoui, antica Vazaivi (foto dell’Autore).

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oggi, paradigmaticamente direi, agli onori della ribalta nella recentissima mostra di Milano "387 d. C./ambrogio e agostino/le sorgenti dell'Europa"71.

Fig. 53. Ricostruzione assonometrica della tomba palmirena fondata da Iarhay nel 108 d. C. e ricostruita nel Museo Nazionale di Damasco, dove nel primo ambiente laterale (alla destra della grande esedra occidentale) è indicata la presenza della “porta del morto” (da da P. AMIET 1983) .

71 Cfr. S. FERDI, Pilastro a cassettoni, scheda n. 356, in"387 d. C./ambrogio e agostino/le sorgenti dell'Europa", Milano

2003, p. 445, p. 343.

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APPENDICE Non voglio chiudere questo

excursus tralasciando al tutto, in questa sede, una breve riflessione sulla cosidetta “porta del morto”, la cui presenza in forma di piccola porta laterale di servizio, nuda di ogni decoro, si affaccia e si lascia distinguere nella Siria ellenistico-romana, come ci illustrava Bachir Zouhdi nel corso della nostra ultima missione, nella articolata struttura monumentale delle ricche tombe-mausoleo familiari di Palmira; di cui un esempio è riscontrabile nella grande tomba-mausoleo, di dimensioni tali da permettere l’inumazione di duecentodiciannove familiari (!), ricostruita in parte nel Museo Nazionale di Damasco nel 1935, e che una iscrizione ricorda fondata da Iarhay, figlio di Barbaki, nell’aprile del 108 d. C. 72; dove la “porta del morto” si distingue nella forma, funzione e collocazione laterale inferiore, dalla grande porta finemente scolpita in pietra nel modello delle porte lignee, che dava l’accesso all’intero complesso monumentale e, in particolare, al ricco ambiente dell’esedra occidentale. (Fig. 54).

“Porta del morto” che sembrerebbe riaffacciarsi sub divo nella Siria “bizantina” in forma

“ibridata” (ovvero decorata di segni-simboli che affacciano all’esterno dell’edificio), nella piccola porta basaltica, alta circa cm. 60, monolitica con cardine incorporato, documentata in opera nella muratura della Chiesa di San Giorgio di Esra da chi scrive nelle prime esplorazioni degli anni 1988-89, in corrispondenza con il sacello interno tradizionalmente indicato quale “Memoriale” del santo73 (Fig. 55): nella funzione non solo di significarne/comunicarne la presenza, ma aprendo contestualmente alla possibilità di entrare direttamente in contatto, dall’esterno, con la ‘sacralità’ di detto ambiente?

72 Cfr. C. J. DU RY, L’arte nell’antico Oriente, Milano 1970, pp.210-211; A. JOUNDJ, B. ZOUHDI, A concise Guide to

National Museum of Damascus, Directorate General of Antiquites and Musem, Damasco 1980, p. 129; P. AMIET (a cura di), Au pays de Baal et d’Astarté. 10.000 ans d’art en Syrie, Musée du Petit Palais, Paris 1983, p. 255.

73Cfr. scheda n. 71 del Catalogo.

Fig. 54. Particolare dell’esedra occidentale (da C. J. DU RY 1970).

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Fig. 55. Esra, Chiesa di San Giorgio, la piccola “porta” basaltica funzionale e decorata nella faccia esterna, già in opera in corrispondenza al “Memoriale” del santo (foto dell’Autore).

Un problema che, in quanto “articolazione” nella “continuità” della lunga catena semantica della

porta/falsa-porta, può intersecare e arricchire nella macrostoria del segnico il tema della coniugazione “monumentale” della pietra e della porta fino alle sue invenzioni/creazioni nella langue del ‘sacro’ cristiano, assunto nodale di questa prima fase della ricerca; sulla cui base e nel cui merito, anche alla luce dei contributi scientifici degli studiosi partecipanti e convenuti a questa “Giornata di Studio”, confidiamo possano maturare e scendere in campo ulteriori e più approfondite analisi a venire.

Roma, 15 ottobre 2005 Silvana Casartelli Novelli