Sii viaggiare.......

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per “Flusso Continuo, notiziario A.O.A. gennaio 2005, Albaadalberto geradini – http://prendersicura.blogspot.com 1 Sii...viaggiare... Mogol-Battisti “il bello di guidare verso l’orizzonte è che rincorri l’infinitopubblicità Pirelli 1992 Cosa c’è di più semplice di un viaggio? Basta avere del tempo libero (ma allora l’altro è tempo schiavo?), si prenota, si acquista un biglietto, si va, si soggiorna, si torna. O no?! Tutti i viaggi sono uguali? Il viaggio è tante cose, avventura, fuga, ricerca, noia, speranza, ecc. Poche parole sono cosi evocative come questo vocabolo che non cade mai nel vuoto e che suscita sempre attese e risposte: ad un viaggio si chiede sempre e comunque qualcosa. “quando ti metterai in viaggio per Itaca devi augurarti che la strada sia lunga e fertile in avventure e in esperienze” Costantino Kavafis Secondo i dizionari viaggio significa semplicemente trasferimento da un luogo all’altro.L’etimologia risale al latino viaticum, le provviste necessarie per affrontare un tragitto che s’immagina quindi difficile, adottato poi nella liturgia cattolica per l’ultima comunione, per l’estrema unzione, ciò che serve per accompagnare il credente nel viaggio senza ritorno, che ha come meta il ricongiungimento con le braccia misericordiose di Dio. Forse, il mistero di questa parola è nel suo concetto: la nostra vita (il viaggio) è ciò che abbiamo a disposizione, la provvista che ci serve per partire da un luogo e per ritornarvi! Forse ogni volta che effettuiamo un viaggio interpretiamo po’ una metafora della vita: una partenza, un percorso, un arrivo, il cui vero significato sta nel percorso, nel “come viaggiamo”, a come affrontiamo le prove che ci sono proposte prima del ritorno, prima di accedere al Paradiso Perduto, esistente o no. Del resto nasciamo con una fisio-biologia che ci predispone ad andare in giro; i bambini sin da quando hanno pochi giorni di vita se presi sotto le ascelle compiono dei movimenti simili al camminare (il cosiddetto riflesso di stepping) e secondo le chiavi interpretative più recenti, nel primo sviluppo essenziale degli ominidi (Ardipithecus ramidus, l’ominide dell’Etiopia e Kenya risalente a 4-5 milioni d’anni fa), ciò che li differenziava dalla scimmia arboricola era il saper di afferrare un oggetto e di correre, in cui la particolarità era costituito da un tipo di gambe adatte alla corsa, che lasciava libere le mani. Le scimmie invece camminano usando le nocche delle dita degli arti superiori. Si pensava che la differenza principale fosse la dimensione del cervello, ma oggi s’ipotizza che fossero le gambe, queste facevano sì che le mani fossero libere di manipolare gli oggetti: successivamente si innescarono altri meccanismi molto complessi e articolati che hanno condotto all’aumento del volume e della complessità cerebrale quali ora le intendiamo. (Tattersall Il cammino dell’uomo Garzanti 1998) L’importanza del viaggio per la specie umana è riflessa in tutte le culture, che hanno prodotto un ricco simbolismo in cui tutti gli eroi, proprio per essere tali, partono alla ricerca di qualcosa: di un tesoro, della verità, della conoscenza, dell’immortalità, di un proprio centro. I viaggi cinesi s’indirizzano verso le Isole degli Immortali, paradisi che corrispondono pressapoco all’Eden, nella cultura occidentale i viaggi d’Enea, d’Ulisse, di Dante, di Galaad alla ricerca del Sacro Graal, di Gulliver, di Pantagruele ecc. Nel simbolismo, il viaggio testimonia un’insoddisfazione che spinge alla ricerca e alla scoperta di nuovi orizzonti, esprime sempre un desiderio di cambiamento interiore, d’esperienze nuove. Il viaggio è la rottura delle abitudini, risponde al bisogno di cambiare. Ma perchè rompere la routine? Cosa significa il bisogno di cambiare? Cambiare cosa? Se il viaggio lo si decide per lo più in uno stato d’insoddisfazione di sè e del proprio stile di vita, il viaggio che rappresenta una fuga da stessi non riuscirà mai nel suo vero fine. Il viaggio ha dunque questa duplice dimensione: esterna ed interna individuale. Nel pensiero orientale la strada è il Tao, il sentiero, ognuno ha il suo Tao, un suo cammino personale da percorrere, l’unico che possa aiutarlo a raggiungere la sua in- dividuazione (la separazione dall’indistinto per liberare la sua potenzialità, il suo “progetto”) , nessuna imitazione è possibile, non ci sono strade a scorrimento veloce aperte a tutti o scorciatoie preconfezionate. Ci mettiamo in viaggio e l’obiettivo è la realizzazione di qualcosa che in precedenza non esisteva sulla terra, ovvero la nostra potenzialità. Come nel mito del Graal. Tutti

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La dimensione esterna e interiore del viaggio, il cambiamento

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per “Flusso Continuo, notiziario A.O.A. gennaio 2005, Alba”

adalberto geradini – http://prendersicura.blogspot.com 1

Sii...viaggiare... Mogol-Battisti

“il bello di guidare verso l’orizzonte è che rincorri l’infinito” pubblicità Pirelli 1992

Cosa c’è di più semplice di un viaggio?

Basta avere del tempo libero (ma allora l’altro è

tempo schiavo?), si prenota, si acquista un

biglietto, si va, si soggiorna, si torna. O no?! Tutti

i viaggi sono uguali?

Il viaggio è tante cose, avventura, fuga,

ricerca, noia, speranza, ecc. Poche parole sono

cosi evocative come questo vocabolo che non

cade mai nel vuoto e che suscita sempre attese e

risposte: ad un viaggio si chiede sempre e

comunque qualcosa.

“quando ti metterai in viaggio per Itaca devi augurarti che la strada sia lunga e fertile in avventure e in esperienze” Costantino Kavafis

Secondo i dizionari viaggio significa

semplicemente trasferimento da un luogo

all’altro.L’etimologia risale al latino viaticum, le

provviste necessarie per affrontare un tragitto che

s’immagina quindi difficile, adottato poi nella

liturgia cattolica per l’ultima comunione, per

l’estrema unzione, ciò che serve per

accompagnare il credente nel viaggio senza

ritorno, che ha come meta il ricongiungimento con

le braccia misericordiose di Dio.

Forse, il mistero di questa parola è nel suo

concetto: la nostra vita (il viaggio) è ciò che

abbiamo a disposizione, la provvista che ci serve

per partire da un luogo e per ritornarvi! Forse ogni

volta che effettuiamo un viaggio interpretiamo po’

una metafora della vita: una partenza, un percorso,

un arrivo, il cui vero significato sta nel percorso,

nel “come viaggiamo”, a come affrontiamo le

prove che ci sono proposte prima del ritorno,

prima di accedere al Paradiso Perduto, esistente o

no.

Del resto nasciamo con una fisio-biologia

che ci predispone ad andare in giro; i bambini sin

da quando hanno pochi giorni di vita se presi sotto

le ascelle compiono dei movimenti simili al

camminare (il cosiddetto riflesso di stepping) e

secondo le chiavi interpretative più recenti, nel

primo sviluppo essenziale degli ominidi

(Ardipithecus ramidus, l’ominide dell’Etiopia e

Kenya risalente a 4-5 milioni d’anni fa), ciò che li

differenziava dalla scimmia arboricola era il saper

di afferrare un oggetto e di correre, in cui la

particolarità era costituito da un tipo di gambe

adatte alla corsa, che lasciava libere le mani. Le

scimmie invece camminano usando le nocche

delle dita degli arti superiori. Si pensava che la

differenza principale fosse la dimensione del

cervello, ma oggi s’ipotizza che fossero le gambe,

queste facevano sì che le mani fossero libere di

manipolare gli oggetti: successivamente si

innescarono altri meccanismi molto complessi e

articolati che hanno condotto all’aumento del

volume e della complessità cerebrale quali ora le

intendiamo. (Tattersall Il cammino dell’uomo

Garzanti 1998)

L’importanza del viaggio per la specie

umana è riflessa in tutte le culture, che hanno

prodotto un ricco simbolismo in cui tutti gli eroi,

proprio per essere tali, partono alla ricerca di

qualcosa: di un tesoro, della verità, della

conoscenza, dell’immortalità, di un proprio

centro. I viaggi cinesi s’indirizzano verso le Isole

degli Immortali, paradisi che corrispondono

pressapoco all’Eden, nella cultura occidentale i

viaggi d’Enea, d’Ulisse, di Dante, di Galaad alla

ricerca del Sacro Graal, di Gulliver, di

Pantagruele ecc. Nel simbolismo, il viaggio

testimonia un’insoddisfazione che spinge alla

ricerca e alla scoperta di nuovi orizzonti, esprime

sempre un desiderio di cambiamento interiore,

d’esperienze nuove. Il viaggio è la rottura delle

abitudini, risponde al bisogno di cambiare. Ma

perchè rompere la routine? Cosa significa il

bisogno di cambiare? Cambiare cosa? Se il

viaggio lo si decide per lo più in uno stato

d’insoddisfazione di sè e del proprio stile di vita,

il viaggio che rappresenta una fuga da stessi non

riuscirà mai nel suo vero fine. Il viaggio ha

dunque questa duplice dimensione: esterna ed

interna individuale. Nel pensiero orientale la

strada è il Tao, il sentiero, ognuno ha il suo Tao,

un suo cammino personale da percorrere, l’unico

che possa aiutarlo a raggiungere la sua in-

dividuazione (la separazione dall’indistinto per

liberare la sua potenzialità, il suo “progetto”) ,

nessuna imitazione è possibile, non ci sono strade

a scorrimento veloce aperte a tutti o scorciatoie

preconfezionate. Ci mettiamo in viaggio e

l’obiettivo è la realizzazione di qualcosa che in

precedenza non esisteva sulla terra, ovvero la

nostra potenzialità. Come nel mito del Graal. Tutti

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i cavalieri si dichiararono d’accordo a partire alla

ricerca, ma pensarono che non sarebbe stato bene

farlo in gruppo, ci voleva il rispetto per il

cammino individuale, per il modo di essere del

singolo. viaggio Ciò che cerchiamo è dare un

significato alla nostra esperienza.

Nella società odierna non è detto che si

sappia o si voglia viaggiare davvero. Sappiamo

muoverci con velocità crescente, sempre

maggiore, attenti a verificare se quanto è riportato

sulla guida lo abbiamo visto, spuntato sulla nostra

lista e fotografato, ma così facendo possiamo

perdere il senso del percorso, della scoperta,

quello in cui scopriamo consapevolezza di quanto

di ciò che c’è fuori, è anche dentro di noi.

“non ho girato il mondo per contare scalini di campanile” marinaio genovese del Cinquecento

Il “viaggio” scompare, va sullo sfondo; ci si

sposta continuamente con una bulimia desiderosa

d’abbuffate, d’ingurgitamento di sensazioni ma

indifferente ai contenuti e alla loro digestione,

attenta all’esperienzialismo, al fare per fare, ma

sorda alle differenze, alla loro assimilazione, a

quanto risuona dentro di noi. Per lo più il viaggio

viene abolito, esistono il punto di partenza e

quello d’arrivo, il tempo del trasferimento assume

solo la dimensione della durata (la più breve

possibile) e svanisce quella della qualità vissuta,

del qui e ora.

“caminante no hay camino, el camino se hace al andar” Antonio Machado.

“soprattutto, non affrettare il viaggio; fa che duri a lungo, per anni e che da vecchio metta piede sull’isola, tu ricco di tesori accumulati per strada” Costantino Kavafis

Viaggiare significa anche attendere

l’inatteso e l’improbabile. Essere in luoghi nuovi

in cui nessuno ci conosce, in cui nessuno sa

collegare il nostro viso al nostro ruolo, alla nostra

storia, è come abbandonare la vecchia identità per

assumerne una nuova rompendo gli schemi

mentali in cui incaselliamo e ci facciamo

incasellare. Può accadere che diventi un momento

per verificare o cercare nuove forme più aderenti a

noi stessi.. L’insoddisfazione che ci ha spinto a

viaggiare rappresenta la consapevolezza della

rottura e della perdita di un equilibrio originario.

Si parte per trovare qualche cosa che si è smarrito,

ma non si trova la cosa desiderata, il valore

sognato, se ne trova un altro, che non si sa ancora

cosa sia, cosa comporti. Viaggiamo,

inconsapevolmente o no, alla ricerca di noi stessi,

nel corso del viaggio l’identità che si va cercando

cambia inevitabilmente, quella vecchia viene

decongelata, resa mobile e giunti alla meta ci

troviamo diversi, con una nuova inedita, mutata,

inaspettata identità.

“cosa c’è di meglio di un orizzonte più vasto delle nostre abitudini? Bruce Chatwin

Forse la mitologia ci può dare qualche spunto: la

formula universale del viaggio dell’eroe

mitologico è composta da tre fasi: separazione,

iniziazione, ritorno. L’eroe si avventura fuori dal

suo mondo quotidiano, in una regione di

meraviglie soprannaturali, dove si scontra con

forze straordinarie e riporta una vittoria decisiva.

Ulisse, partito da Troia dopo averla conquistata,

con dodici navi giunse in un porto della Tracia,

Ismaro, lo saccheggiò, ne uccise gli abitanti e

impossessatosi delle donne e delle ricchezze, le

distribuì poi ai suoi uomini. Chiaramente, un

bruto di tale fatta non era pronto per la vita

domestica. Occorreva un cambiamento completo

di carattere. E gli dei, sempre attenti a queste cose,

fecero in modo che egli cadesse in mani

competenti. Il vero problema dunque è come

compiere il viaggio o i viaggi senza naufragare.

Perchè sebbene il nostro viaggio sia verso

l’esterno, è al tempo stesso rivolto all’interno,

verso la fonte di tutte le grandi azioni che non è là

fuori, ma qui, dentro tutti noi, dove dimorano le

Muse. (Campbell Miti per vivere RED 1990)

“in un viaggio così lungo e difficile, come è possibile non sporcarsi e non farsi male? Jorge Amado

Povero Ulisse! Il viaggiare come metafora

della ricerca. Ulisse ha vita più facile d’Abramo,

le sue difficoltà e i suoi rischi saranno enormi ma

almeno sa dove va. Lo aspetta una casa, una

patria. Abramo non sa dove andrà, conosce

soltanto quello che lascia. Le sue notti sono piene

di ricordi, di case e cose e volti che non vedrà più.

Davanti a sè non ha un ritorno, ma una continua

partenza. Però non bisognerebbe dimenticare che

il Dio dell’Antico Testamento, per quanto

imprevedibile è sempre al fianco di Abramo,

mentre Ulisse non può contare su alcun aiuto

sovramondano a parte gli occasionali supporti di

alcuni dei e dee singolarmente volubili. (Gentiloni

Abramo contro Ulisse Claudiana 1984).

E il ritorno? Si parte per tornare recita un

vecchio adagio, ma i nostri viaggi concitati, all

inclusive e last minute, sembrano aver smarrito il

senso del nòstos, del ritorno. Sembra che basti

andare avanti per andare bene, e di tanto in tanto

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guardare in alto, in basso, attorno, dentro?! Ma

non tutti tornano perchè non tutti partono,

lapalissiano. E’ scomparso il senso profondo del

viaggio. perchè accanto a quella che abbiamo

descritto come una sorta di coazione a viaggiare

c’è la difficoltà a staccarci dalla sicurezza delle

nostre case, anche se, in effetti, non sono le cose e

le case a dare sicurezza, sono le relazioni che

stabiliamo e i ricordi che abbiamo, la memoria del

vissuto. Si ripropone sempre questa dicotomia tra

la fedeltà alle radici del luogo natale e il desiderio

dell’avventura, dell’incontro con il diverso, con

l’altro da sè. C’è la promessa di nuove scoperte

ma la paura angosciosa dell’ignoto, di

abbandonare gli spazi rassicuranti di ciò che

conosciamo (di noi e degli altri).

Perchè? Forse la frenetica velocità di

rotazione di cui facciamo parte accentua la forza

centrifuga e smarriamo il giardino interiore, quel

centro interiore ricco di memorie individuali e

collettive che assicurava l’orientamento dei

percorsi, le motivazioni profonde del viaggio.

Oggi la memoria è in pericolo, senza memoria

non si può tornare, si gira a vuoto, si cade vittime

del movimento per il movimento, vale a dire la

gratuità pura. Resta il puro agitarsi; in una

situazione problematica l’uomo moderno esce da

casa, non s’interroga, il viaggio fa da alibi, si butta

nel mondo esterno per dimenticare il sè e i suoi

problemi, il viaggio senza meta come anestetico.

(Ferrarotti Partire, tornare Donzelli 1999)

“non cesseremo di esplorare

e la fine di tutto il nostro andare sarà di arrivare

là dove siamo partiti

e conoscere il posto per la prima volta” Thomas Sterne Eliot

“chi sarà tanto insensato da morire senza aver

fatto almeno il giro della propria prigione?” Margherite Yourcenaire “Memorie di Adriano”

adalberto geradini