SICUREZZA SUL LAVORO: ORIENTAMENTI …...ORIENTAMENTI PSICOSOCIALI IN LAVORATORI DI UNA AZIENDA...

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MODENA E REGGIO EMILIA Facoltà di Scienze della Comunicazione e dell’Economia Corso di Laurea in Comunicazione e Marketing SICUREZZA SUL LAVORO: ORIENTAMENTI PSICOSOCIALI IN LAVORATORI DI UNA AZIENDA REGGIANA Laureando: Relatore: Monica BONVICINI Prof. Nicoletta CAVAZZA Anno Accademico 2007/2008

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MODENA E REGGIO EMILIA Facoltà di Scienze della Comunicazione e dell’Economia

Corso di Laurea in Comunicazione e Marketing

SICUREZZA SUL LAVORO: ORIENTAMENTI PSICOSOCIALI

IN LAVORATORI DI UNA AZIENDA REGGIANA

Laureando: Relatore: Monica BONVICINI Prof. Nicoletta CAVAZZA

Anno Accademico 2007/2008

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Alla mamma Deanna e al papà Angelo

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INDICE

Premessa.............................................................................................................................4

Introduzione .........................................................................................................................7

CAPITOLO 1 - IL DOVERE DELLA SICUREZZA ...........................................................9 1.1 La dimensione dei diritti fondamentali .................................................................9 1.2 La dimensione del lavoratore contraente ..........................................................10 1.3 La dimensione del lavoratore persona ..............................................................10 1.4 Il Testo Unico ....................................................................................................11 1.5 Formazione, informazione e addestramento dei lavoratori ...............................16 1.6 Ambiente di lavoro e disposizioni antinfortunistiche specifiche.........................17 1.7 Organismi di vigilanza e attività ispettive ..........................................................19

CAPITOLO 2 - IL FENOMENO INFORTUNISTICO ......................................................22 2.1 L’evento infortunio.............................................................................................22 2.2 Il bilancio infortunistico in Italia.........................................................................23 2.3 Il sistema di rilevazione nell’Unione Europea....................................................25 2.4 Le malattie professionali ...................................................................................26

CAPITOLO 3 - IL COMPORTAMENTO SICURO..........................................................30 3.1 Definizioni: rischio, pericolo, errori, violazioni....................................................30 3.2 Dalle prime teorie agli approcci più recenti .......................................................32 3.3 Alcuni fattori che influenzano il comportamento sicuro .....................................35

Clima di sicurezza, clima organizzativo, cultura organizzativa.............................................. 35 La sicurezza all’interno dell’organizzazione........................................................................... 37 Il clima di sicurezza e gli infortuni .......................................................................................... 39 Gli atteggiamenti verso la sicurezza ...................................................................................... 40 Percezione di controllo e locus of control .............................................................................. 41 Altri studi ................................................................................................................................ 42

3.4 La formazione alla sicurezza ............................................................................43 3.5 L’influenza delle caratteristiche socio-demografiche.........................................44

CAPITOLO 4 - I PREDITTORI DEI COMPORTAMENTI A RISCHIO............................46 4.1 Il quadro teorico ................................................................................................46 4.2 Applicazioni della Teoria del Comportamento Pianificato .................................48 4.3 La teoria del comportamento pianificato e i comportamenti di trasgressione delle norme di sicurezza in ambito lavorativo ...................................................49 4.4 L’applicazione della Teoria del Comportamento Pianificato ai comportamenti di trasgressione delle norme di sicurezza: studio empirico fra lavoratori a Reggio Emilia ................................................................................................................50

CONCLUSIONI..................................................................................................................70

Bibliografia .........................................................................................................................72

ALLEGATI..........................................................................................................................75

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Premessa Uno ogni sette ore. In questo titolo, scelto da Gianni Pagliarini e Paolo Repetto per il loro

volume di recente pubblicazione, c’è la miglior sintesi del fenomeno delle morti sul lavoro

nel nostro Paese.

Per inquadrare il problema nella sua gravità è certamente indispensabile parlare di numeri

e a questi sarà dedicato un paragrafo che riporta le statistiche di diverse fonti che si

occupano di censire gli infortuni e le morti sul lavoro. Ma i lavoratori non sono e non

dovranno mai essere “numeri”: anche un solo morto è una tragedia e una sconfitta.

Il diritto a lavorare senza rischiare ogni giorno la vita e la capacità di garantire condizioni di

sicurezza ai propri cittadini lavoratori sono indicatori del grado di civiltà di un paese.

Lavorare in una condizione di dignità e sicurezza è un diritto sancito nella Carta

Costituzionale del nostro Paese.

“Basta” ha detto il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano; di fronte alle continue

tragedie “è doveroso tenere viva l’attenzione, non demordere nell’allarme sulla sua gravità

sociale, applicare e migliorare le norme legislative”. Questo, ha proseguito Napolitano “è

un obiettivo di civiltà che dobbiamo al sacrificio dei tanti caduti, mutilati e invalidi. Non

limitiamoci alla denuncia, dobbiamo sentire il dovere istituzionale di reagire, di indignarsi,

di gettare l’allarme, di sollecitare risposte. Dobbiamo volere condizioni più umane, più

civili, più rispettose dei bisogni e delle dignità di tutti.”

Guglielmo Epifani, segretario della CGIL, pochi giorni dopo il devastante incidente di

Torino alla Thyssen Krupp, afferma in un’intervista che “per mantenere alta la sensibilità

sui temi degli infortuni sul lavoro, grande è la responsabilità dei media, ancora troppo

sporadica e troppo legata a episodi gravi. I riflettori si accendono solo sulle stragi e

comunque si spengono in fretta.”

Troppe volte si chiama impropriamente in causa la “fatalità”: presentare un infortunio come

“incidente” consente di definire “normale” qualcosa che non lo è affatto. Derubricare la

morte di un operaio a fatto accidentale aiuta ad addormentare le coscienze, a cancellare

l’indignazione, a creare nei cittadini assuefazione alle morti sul lavoro.

Pietro Ingrao, nel corso di un’intervista all’indomani dell’incidente alla ThyssenKrupp, si

chiede: “Ma cosa deve ancora succedere perché su questo tema antico del rapporto

uomo-fatica, un potere costituito si turbi, si preoccupi, si domandi che dobbiamo fare? Il

potere e i poteri non rispondono con forme e contenuti all’altezza della gravità del

problema.” Lo definisce un “rumoroso silenzio” quello che non viene raccolto “dalla massa

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vivente del paese, in primis dalla sua rappresentanza politico-sociale.” “Da millenni” –

continua Ingrao – “l’essere umano è stato fuso con l’atto lavorativo, da secoli dura questo

problema. Che la tragedia delle morti e degli infortuni sul lavoro riesploda irrisolta nel

2007, è un triste segnale di come, ancora oggi, sia terribile, incerta, precaria, questa

esperienza umana elementare che è il lavorare… Come tutelare chi lavora, come lavorare,

come produrre senza ferire e uccidere?”

Le risposte vanno cercate nella politica, nella cultura e nella società.

In pochi decenni il lavoro ha progressivamente perso la sua centralità al cospetto

dell’impresa e la sua mercificazione è diventata la principale regola del sistema economico

globalizzato.

Il sociologo Luciano Gallino, studioso della cultura d’impresa e del lavoro, afferma in

un’intervista pubblicata dal quotidiano Il Manifesto nel dicembre 2007, che “il lavoro oggi è

meno visibile, perciò sicuramente serve un’altra cultura del lavoro. Qui però, ad essere

importante, è la cultura manageriale, tecnica e dirigenziale, quella cioè che è matrice di

decisioni. E’ quando nei quadri decisionali la sicurezza non figura che succedono queste

tragedie. E non c’è dubbio che vi sia una carenza in questo senso… I manager hanno

spesso sulla testa azionisti che pretendono redditività e a cui, evidentemente, della

sicurezza, che dovrebbe invece entrare nei bilanci d’impresa, non importa nulla. Il quadro

è quello di imprese dove, tra le tante variabili che sottendono alla decisione di cosa, dove

e come produrre, la sicurezza viene messa al decimo, ventesimo posto. Mentre ci sono

manager che potrebbero fare molto di più, gestendo imprese efficienti e insieme prestando

attenzione alla sicurezza. Poi c’è una carenza nella formazione; in un qualsiasi corso

all’Università, mentre si spendono pagine e pagine sui rischi del capitale, sulla sicurezza

del lavoro, che è tema piuttosto complesso, non c’è una riga. La politica può, senza alcun

dubbio, fare molto di più, a partire dalle leggi sulla sicurezza sul lavoro”.

Il procuratore torinese Raffaele Guariniello afferma in un’intervista, proprio a proposito

della nuova normativa che estende ai reati sul lavoro la responsabilità delle aziende, che

questa “sussiste qualora sia appurato che l’autore del reato ha agito nell’interesse o a

vantaggio dell’ente. E si crea un vantaggio all’impresa se si abbassano i livelli di sicurezza

per ridurre i costi o per aumentare la produzione”.

Negligenze? Mancanza di sicurezza? Eccessiva ricerca del profitto? Se spetta alla

magistratura il compito di rispondere a queste domande che ricorrono in occasione di ogni

infortunio sul lavoro, è anche all’uomo di chiesa che spetta ribadire, come ha fatto il

Cardinale Poletto ai funerali di Torino, che “il lavoro è per l’uomo, non l’uomo per il lavoro.

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La salute non può essere un prodotto da vendere in cambio di un posto di lavoro. Nessuno

può cadere nel peccato di non occuparsi a sufficienza della salute dei lavoratori”.

Se questa premessa, oltre ad introdurre alcuni dei temi, ha indugiato in una breve

rassegna di autorevoli opinioni sull’argomento è perché proprio dalla consapevolezza che

la morte sul lavoro sia socialmente inaccettabile è venuta la scelta di questo studio.

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Introduzione In ambito di sicurezza e salute il concetto di prevenzione ha subito, nei diversi periodi,

numerosi cambiamenti.

Dagli anni Cinquanta agli anni Sessanta la prassi e la metodologia operativa degli esperti,

determinata anche dalle leggi e dalle norme esistenti, erano prevalentemente indirizzate al

miglioramento della sicurezza tecnica, alla messa a punto di macchine e impianti e di

procedure operative più sicure.

Progressivamente, negli anni Ottanta e Novanta, il modo di pensare, progettare, attuare e

controllare gli aspetti della sicurezza e della salute è profondamente cambiato; alla teoria

della valutazione dei rischi si è associata la metodologia dell’approccio gestionale

sistemico.

L’attuazione della prevenzione nelle organizzazioni, di qualunque dimensione e settore di

attività, è un problema prevalentemente gestionale che deve essere progettato, voluto,

promosso e controllato da tutti i soggetti coinvolti, individuati dalla normativa vigente in

materia. Le norme, però, dovrebbero costituire solo le condizioni minime che devono

essere rispettate e applicate; per molti datori di lavoro la prevenzione è vista ancora come

un problema tecnico da delegare agli specialisti, un costo e un obbligo formale il cui

adempimento è spesso attuato su base cartacea e apparente.

Per far crescere una cultura, una teoria e un insieme di modalità operative nel campo della

prevenzione, che non siano solo basate sulle indicazioni legislative, sarebbe opportuno

riunire i contributi delle diverse discipline che convivono a pieno titolo sul terreno della

sicurezza lavorativa. Risulta importante valorizzare sia l’aspetto conoscitivo, che pone

l’enfasi sulla descrizione e sulla spiegazione del comportamento umano, sia quello

dell’applicazione controllata del sapere accumulato per orientarlo alla soluzione di

problemi concreti.

L’evento infortunio può essere considerato ed analizzato da punti di vista differenti:

tecnico-ingegneristico (a livello di progettazione degli strumenti), ergonomico (compatibilità

fra essere umano, macchine e ambiente), medico (prevenzione e cura dei danni da

infortunio e malattie professionali) e socio-psicologico; quest’ultimo orientamento di analisi

impone il superamento di un approccio individualista, che spesso ha caratterizzato lo

studio delle condotte lavorative, in favore di una concezione psicosociale che dia rilievo al

contesto sociale, organizzativo e simbolico entro cui si costruisce anche l’azione umana,

espressione finale degli sforzi per delineare e conseguire risultati apprezzabili. Come in

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ogni sistema sociale, anche nei gruppi di lavoro il comportamento individuale è in gran

parte influenzato dal contesto sociale, cioè le altre persone, i processi di influenza

reciproca, i valori, le norme, ecc.

In ambito psicosociale sono numerosi gli studi e le ricerche che si sono occupati di

individuare quali fattori considerare per comprendere e modificare i comportamenti delle

persone per arrivare alla definizione di modelli applicativi.

Gli studi che si sono occupati di comportamenti di sicurezza in ambito lavorativo hanno

riconosciuto l’importanza di fattori quali il clima di sicurezza, l’atteggiamento del lavoratore,

la percezione di controllo e le caratteristiche socio-demografiche del lavoratore (età,

anzianità di mansione, etc.) ma alcune delle teorie psicosociali che utilizzano questi

costrutti e che si sono rivelate efficaci modelli esplicativi in altri ambiti (comportamenti a

rischio per la salute, la sicurezza stradale, etc.) sono state scarsamente applicate nelle

ricerche che si sono occupate di comportamenti a rischio dei lavoratori.

Il maggiore apporto nell’individuare i fattori che possono contribuire a comprendere i

comportamenti delle persone è stato fornito dalla Teoria del Comportamento Pianificato

elaborata dagli studiosi Fishbein e Ajzen a partire dal 1975; questa teoria è il quadro di

riferimento concettuale per la ricerca condotta all’interno di un’impresa, riferita nell’ultimo

capitolo di questo lavoro.

Si è ritenuto opportuno, prima di trattare nello specifico i fattori psicosociali considerati

antecedenti il comportamento, offrire una sintesi della legislazione vigente in materia di

sicurezza e salute dei lavoratori e riportare, unitamente ad un inquadramento generale in

ambito infortunistico, il bilancio 2007, pubblicato dall’INAIL nell’ottobre 2008, relativamente

agli incidenti sul lavoro e alle malattie professionali.

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“Quale diritto è più importante se non quello di riportare a casa la pelle a fine turno di lavoro?” Valeria Parrini, mamma di Ruggero Toffolutti, morto sul lavoro nel 1998

CAPITOLO 1 - IL DOVERE DELLA SICUREZZA

Nel nostro Paese, a partire dalla Costituzione e, gerarchicamente, fino al Testo Unico,

sono numerose le norme vigenti in materia di tutela della salute e della sicurezza dei

lavoratori.

1.1 La dimensione dei diritti fondamentali

La Costituzione italiana contiene principi fondamentali e inderogabili quali la tutela del

lavoro, la tutela della salute, il rispetto della dignità umana.

Titolo II – Rapporti etico sociali

Articolo 32

“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della

collettività…”

Titolo III – Rapporti economici

Articolo 35

“La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni.

Cura la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori.

Promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e

regolare i diritti del lavoro…”

Articolo 41

“L’iniziativa economica privata è libera.

Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla

sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.

La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica

e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.”

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1.2 La dimensione del lavoratore contraente

Gli articoli della Costituzione trovano una loro specifica applicazione nell’articolo 2087 del

Codice Civile.

“Il datore di lavoro deve adoperarsi, nello svolgimento di quella che è una specifica attività

professionale, con una diligenza particolare, in base alla quale deve adottare tutte le

misure dettate:

1. dalla particolarità del lavoro, in base al quale devono essere individuati rischi e

nocività specifiche;

2. dall’esperienza, in base alla quale devono essere previste le conseguenze

dannose, sulla scorta di eventi già verificatisi e di pericoli già valutati in precedenza;

3. dalla tecnica, in base alle nuove conoscenze in materia di sicurezza messe a

disposizione dal progresso tecnico-scientifico.”

E’ questo il fondamentale principio della massima sicurezza tecnologicamente fattibile che

esprime l’obbligazione fondamentale del datore di lavoro in quanto primo garante

dell’obbligo di sicurezza verso i lavoratori dipendenti (od equiparati) di perseguire

costantemente la massima sicurezza tecnica, organizzativa o procedurale fattibile.

Le regole di condotta preventiva stabilite dall’art. 2087 c.c. concorrono ad integrare e

perfezionare le fattispecie criminose di cui agli art. 589 e 590 del Codice Penale (omicidio

colposo e lesioni personali colpose)1.

Dal punto di vista dell’ordinamento giuridico prevenzionistico il principio chiave della

massima sicurezza possibile è al vertice delle norme vigenti e trova espressione,

all’interno di una struttura ordinata gerarchicamente, dapprima nelle norme di grado

superiore e via via in quelle di grado inferiore.

Si tratta di un obbligo preventivo generale che impone al datore di lavoro il positivo

apprestamento di tutti i necessari mezzi idonei ai fini della sicurezza che non sono solo

quelli strettamente indicati, a pena di sanzione penale, dalla vigente legislazione

prevenzionistica.2

1.3 La dimensione del lavoratore persona

Con la denominazione di Statuto dei lavoratori ci si riferisce alla Legge n. 300 del 20

maggio 1970 recante “Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà

1 In tal senso si è espressa la Cassazione penale con sentenza del 20/09/1988 2 Rolando Dubini – L’obbligo del datore di lavoro di attenersi al principio della massima sicurezza tecnologicamente fattibile. Sicurezza tecnica, organizzativa e procedurale.

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sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento” che è una

delle norme principali del diritto del lavoro italiano. La sua introduzione provocò importanti

e notevoli modifiche sia sul piano delle condizioni di lavoro che su quello dei rapporti fra i

datori di lavoro, i lavoratori e le loro rappresentanze sindacali.

Il testo si divide in un titolo dedicato al rispetto della dignità del lavoratore, in due titoli

dedicati alla libertà ed alle attività sindacali, in un titolo sul collocamento ed in uno sulle

disposizioni transitorie.

Si riporta, di seguito, l’Articolo 9, del Titolo I, Della libertà e dignità del lavoratore.

Art. 9 – Tutela della salute e dell’integrità fisica.

“I lavoratori, mediante loro rappresentanze, hanno diritto di controllare l’applicazione delle

norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali e di promuovere la

ricerca, l’elaborazione e l’attuazione di tutte le misure idonee a tutelare la loro salute e la

loro integrità fisica.”

1.4 Il Testo Unico

Il Decreto legislativo 9 Aprile 2008, n.813, in vigore dal 25 Agosto 2008 , recante norme di

“Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della

salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro” ha parzialmente riformato la disciplina in

materia di sicurezza e salute sul lavoro. Il D.Lgs n.81/2008 ha un’architettura che ricalca

sostanzialmente quella del D.Lgs n.626/1994; il Titolo I statuisce i principi generali comuni,

i Titoli dal II all’XI contengono le disposizioni specifiche in materia di luoghi di lavoro, di

attrezzature di lavoro e dispositivi di protezione individuale, la segnaletica, la

movimentazione manuale dei carichi, i videoterminali, gli agenti fisici, le sostanze

pericolose, gli agenti biologici e le atmosfere esplosive. Il nuovo provvedimento è

completato dai Titoli XII (disposizioni in materia penale e di procedura penale) e XIII

(norme transitorie e finali). Il Testo Unico consta di ben 306 articoli, 51 allegati e un

sistema sanzionatorio basato su numerose norme introdotte alla fine di ogni titolo.

Secondo Antonio Pileggi4, la tanto attesa legislazione antinfortunistica (entrata in vigore

dopo circa 14 anni da quella profonda, autentica, operata dal D.Lgs 19 settembre 1994, n.

626) non ha prodotto, in termini di riassetto organico della materia, i risultati attesi; il Testo

Unico pare piuttosto, a suo parere, un’opera essenzialmente compilativa che, limitandosi a

3 Per la stesura di questo paragrafo è stato utilizzata, come materiale di riferimento per una sintesi del D.Lgs 81/08, la Guida Pratica Sicurezza del Lavoro a cura di Mario Gallo – Le guide pratiche del Sole 24 ORE 4 Professore ordinario di Diritto del Lavoro, Università degli Studi di Cassino

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ricondurre in tale provvedimento le previgenti norme in materia, non risolve la mancanza di

coordinamento delle disposizioni che si traduce poi in numerosi problemi applicativi.

Il T.U. si applica a tutti i settori di attività, pubblici e privati e a tutte le tipologie di rischio. E’

rivolto a tutti i lavoratori, subordinati e autonomi, nonché ai soggetti ad essi equiparati.

L’articolo 15 ribadisce due concetti fondamentali della “nuova sicurezza sul lavoro”: il

primo è che la valutazione di tutti i rischi rappresenta il perno portante del meccanismo

prevenzionistico, sul quale reggono tutta una serie di conseguenti adempimenti

(informazione e formazione, sorveglianza sanitaria, scelta dei DPI, ecc.). Il secondo che la

sicurezza non sia episodica ma programmata in tutti i suoi aspetti attraverso un nuovo

modo di strutturare il sistema di sicurezza e salute sul lavoro; deve essere prestata

particolare attenzione alla programmazione delle misure cosiddette migliorative, adottando

anche codici di condotta e buone prassi.

Figura 1

Fonte: tratto da Guida Pratica SICUREZZA DEL LAVORO a cura di Mario Gallo – Le guide pratiche de Il Sole 24 ore

La valutazione, globale e documentata, di tutti i rischi per la salute e sicurezza dei

lavoratori presenti nell’ambito dell’organizzazione in cui essi prestano la propria attività, è

finalizzata ad individuare le adeguate misure di prevenzione e di protezione e ad elaborare

Servizio di prevenzione e protezione

Medico competente

DATORE DI LAVORO

LAVORATORI

Squadre per l’emergenza

RLS

Dirigente

Preposto

Sorveglianza sanitaria

MODELLO ORGANIZZATIVO E DI GESTIONE

Il nuovo sistema di sicurezza e salute sul lavoro del D.Lgs n. 81/2008

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il programma delle misure atte a garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di salute e

sicurezza. Attraverso tale processo devono essere identificate le sorgenti di rischio (ciclo

lavorativo, macchine e impianti, modelli organizzativi e operativi, ecc) e i rischi da

esposizione presenti (documentando le misure attuate quali protezione macchine,

automazioni, dispositivi di protezione individuale, formazione, ecc) al fine di eliminarli e,

ove ciò non sia possibile, ridurli al minimo in relazione alle conoscenze acquisite in base al

progresso tecnico. In tal modo si identifica la nozione di rischio residuo che presuppone

un’esposizione controllata entro limiti considerati accettabili.

Il Testo Unico definisce il servizio di prevenzione e protezione dai rischi come l’insieme

delle persone, sistemi e mezzi finalizzati all’attività di prevenzione e protezione dai rischi

professionali per i lavoratori.

Figura 2

Fonte: tratto da Sicurezza e salute nei luoghi di lavoro – Linee guida per l’applicazione del D.Lgs n.626/1994, Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province Autonome, 2°ed.

A seguire, sono riportate solo alcune parti degli articoli utili, ai fini del presente lavoro, per

un inquadramento degli obblighi generali, dei soggetti coinvolti (datore di lavoro, preposto,

responsabile del servizio prevenzione e protezione, lavoratore, medico competente,

rappresentante dei lavoratori per la sicurezza), della formazione, informazione e

addestramento dei lavoratori, della consultazione e partecipazione dei rappresentanti dei

lavoratori e dell’ ambiente di lavoro e disposizioni antinfortunistiche specifiche (con

particolare riferimento ai dispositivi di protezione individuale).

OBIETTIVI DEL SERVIZIO DI PREVENZIONE E PROTEZIONE

Identificazione dei pericoli

per la salute e la sicurezza dei lavoratori

e degli esposti delle

situazioni

Valutazione dei rischi

Informazione e formazione sui rischi e

indicazioni di misure

preventive nelle loro

varie articolazioni

Modificazioni delle condizioni

di lavoro, dei metodi e dei

comportamenti

Eliminazione e/o riduzione dei rischi e

prevenzione della

patologia correlata col

lavoro e promozione della salute

dei lavoratori

Servizio di Prevenzione e Protezione

Obiettivo funzionale

1

Obiettivo funzionale

2

Obiettivo funzionale

3

Obiettivo del

programma

Obiettivo finale

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Il Datore di lavoro Per datore di lavoro si intende il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o,

comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il

lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o

dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa.

Il datore di lavoro è il soggetto obbligato a titolo principale, e s’identifica nella persona

fisica che è effettivamente titolare dei poteri giuridici di adottare le misure di prevenzione e

protezione.

Articolo 18, comma 1 – Obblighi del datore di lavoro e del dirigente, lett. c) d) e) f) l) m) z)

c) nell’affidare i compiti ai lavoratori, tenere conto delle capacità e delle condizioni

degli stessi in rapporto alla loro salute e alla sicurezza;

d) fornire ai lavoratori i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale, sentito il

Responsabile del Servizio Prevenzione e Protezione (RSPP) e il medico

competente, ove presente;

e) prendere le misure appropriate affinché soltanto i lavoratori che hanno ricevuto

adeguate istruzioni e specifico addestramento accedano alle zone che li espongono

ad un rischio grave e specifico;

f) richiedere l’osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti, nonché

delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza e di igiene del lavoro e di uso dei

mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuali messi a loro

disposizione;

l) adempiere agli obblighi di informazione, formazione e addestramento;

m) consentire ai lavoratori di verificare, mediante il Rappresentante dei Lavoratori per

la Sicurezza (RLS) l’applicazione delle misure di sicurezza e di protezione della

salute;

z) aggiornare le misure di prevenzione in relazione ai mutamenti organizzativi e

produttivi che hanno rilevanza ai fini della salute e sicurezza del lavoro, o in

relazione al grado di evoluzione della tecnica della prevenzione e della protezione;

Il preposto L’articolo 2, comma 1, lett. e) definisce il preposto quale persona che, in ragione delle

competenze professionali e nei limiti dei poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura

dell’incarico conferitogli, sovrintende all’attività lavorativa e garantisce l’attuazione delle

direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed

esercitando un funzionale potere di iniziativa. Pertanto su tale figura della prevenzione

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gravano obblighi di generale sovraintendimento e di vigilanza indicati nell’articolo 19, di cui

si riportano solo alcune lettere.

Articolo 19 – Obblighi del Preposto, lett. a) f) g)

a) sovrintendere e vigilare sull’osservanza da parte dei singoli lavoratori dei loro

obblighi di legge, nonché delle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza

sul lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione

individuale messi a loro disposizione e, in caso di persistenza dell’inosservanza,

informare i loro superiori diretti;

f) segnalare tempestivamente al datore di lavoro o al dirigente sia le deficienze dei

mezzi e delle attrezzature di lavoro e dei dispositivi di protezione individuale, sia

ogni altra condizione di pericolo che si verifichi durante il lavoro, delle quali venga a

conoscenza sulla base della formazione ricevuta;

g) frequentare appositi corsi di formazione secondo quanto previsto dall’art. 37.

Il preposto ha, rispetto alla precedente normativa, un ruolo di vigilanza attiva ed è un

perno del modello organizzativo e di gestione previsto dall’articolo 30.

Il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione

Il RSPP è designato dal datore di lavoro, a cui risponde, per coordinare il servizio di

prevenzione e protezione dai rischi; l’articolo 32 ne individua le necessarie capacità ed i

requisiti professionali. Gli RSPP sono tenuti a frequentare specifici corsi di formazione.

Il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza Il modello compartecipativo, già introdotto dal D.Lgs n. 626/1994 e confermato dal Testo

Unico, riconosce ai lavoratori i diritti di partecipazione e di controllo in materia di salute e

sicurezza sul lavoro da esercitarsi attraverso la figura dell’RLS, eletto o designato dai

lavoratori; il loro numero all’interno dell’azienda varia in funzione delle dimensioni

dell’impresa.

Il RLS ha diritto ad una formazione particolare in materia di salute e sicurezza tale da

assicurargli adeguate competenze sulle principali tecniche di controllo e prevenzione dei

rischi stessi; nell’articolo 50 del T.U. ne sono definite le attribuzioni che sono di carattere

consultivo, partecipativo e di vigilanza.

Il medico competente L’articolo 2 del Testo Unico rafforza, rispetto alla normativa precedente, il ruolo gestionale

del medico competente, nominato dal datore di lavoro per effettuare la sorveglianza

sanitaria in azienda; per sorveglianza sanitaria si intende l’insieme degli atti medici

finalizzati alla tutela dello stato di salute e sicurezza dei lavoratori in relazione all’ambiente

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di lavoro, ai fattori di rischio professionali e alle modalità di svolgimento dell’attività

lavorativa.

Il medico competente costituisce una delle componenti fondamentali dell’organizzazione

aziendale ed è chiamato ad esercitare 3 funzioni fondamentali:

1. fornire la sua consulenza nella valutazione dei rischi, collaborando attivamente

con il datore di lavoro e il servizio di prevenzione e protezione;

2. programmare e gestire la sorveglianza sanitaria (visite mediche, sopralluogo negli

ambienti di lavoro, giudizio di idoneità alla mansione, etc.);

3. collaborare nella scelta dei dispositivi di protezione individuali, nelle attività

informative e formative e nell’organizzazione del servizio di primo soccorso

aziendale.

1.5 Formazione, informazione e addestramento dei lavoratori

Nel Testo Unico l’informazione ai lavoratori è definita come il complesso delle attività

dirette a fornire conoscenze utili all’identificazione, alla riduzione e alla gestione dei rischi

in ambiente di lavoro. I destinatari sono tutti i lavoratori che rientrano nel campo

applicativo del D.Lgs 81/08.

L’articolo 36 prevede che il datore di lavoro provveda affinché ciascun lavoratore riceva

un’adeguata informazione articolata su 2 livelli:

1. Informazione di base

a. rischi per la salute e sicurezza sul lavoro connessi alla attività dell’impresa in

generale;

b. procedure che riguardano il primo soccorso, la lotta antincendio, l’evacuazione

dei luoghi di lavoro;

c. nominativi dei lavoratori incaricati di applicare le misure antincendio, di primo

soccorso ed evacuazione;

d. nominativi del responsabile e degli addetti del servizio di prevenzione e

protezione e del medico competente.

2. Informazione specifica

a. rischi specifici cui è esposto in relazione all’attività svolta, le normative di sicurezza

e le disposizioni aziendali in materia;

b. pericoli connessi all’uso delle sostanze e dei preparati pericolosi sulla base delle

schede dei dati di sicurezza previste dalla normativa vigente e dalle norme di buona

tecnica;

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c. misure e attività di protezione e prevenzione adottate.

Il legislatore non ha specificato gli strumenti informativi da utilizzare; l’unico vincolo è che il

contenuto dell’informazione deve essere facilmente comprensibile per i lavoratori e deve

consentire loro di acquisire le relative conoscenze.

L’articolo 2 introduce anche due nuove nozioni di formazione e addestramento in materia.

La formazione è definita come un processo educativo attraverso il quale trasferire ai

lavoratori ed agli altri soggetti del sistema di prevenzione e protezione aziendale

conoscenze e procedure utili all’acquisizione di competenze per lo svolgimento in

sicurezza dei rispettivi compiti in azienda e alla identificazione, riduzione e gestione dei

rischi.

L’addestramento è definito come il complesso delle attività dirette a fare apprendere ai

lavoratori l’uso corretto di attrezzature, macchine, impianti, sostanze, dispositivi, anche di

protezione individuale, e le procedure di lavoro.

La formazione prevista non è solo indirizzata ai lavoratori, ai preposti, ai rappresentanti dei

lavoratori per la sicurezza ma anche ai dirigenti; si vedrà in seguito, infatti, come si rivela

importante il clima di sicurezza aziendale vissuto all’interno di un’organizzazione per

un’uniformità dei comportamenti prevenzionistici da parte dei lavoratori.

La formazione e, ove previsto, l’addestramento specifico, devono essere programmati ed

avvenire in occasione della costituzione del rapporto di lavoro, del trasferimento o cambio

mansione, dell’introduzione di nuove attrezzature di lavoro o di nuove tecnologie, di nuove

sostanze e preparati pericolosi. Deve inoltre essere ripetuta periodicamente in relazione

all’evoluzione dei rischi o all’insorgenza di nuovi rischi.

1.6 Ambiente di lavoro e disposizioni antinfortunistiche specifiche

Ai fini del presente lavoro non vengono trattati gli articoli del Testo Unico in materia di

luoghi di lavoro e attrezzature di lavoro in quanto non strettamente pertinenti e per

approfondimenti si rimanda al testo integrale del decreto legislativo e alla numerosa

letteratura disponibile.

Per concludere la sintesi del quadro normativo utile alla comprensione dell’oggetto della

tesi, si ritiene utile riportare, in questa ultima parte dedicata alla legislazione, il contenuto

degli articoli del T.U. che definiscono aspetti, requisiti, obblighi e sanzioni in relazione ai

Dispositivi di Protezione Individuale (DPI).

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Per DPI si intende qualsiasi attrezzatura destinata ad essere indossata e tenuta dal

lavoratore allo scopo di proteggerlo contro uno o più rischi per la sicurezza o la salute

durante il lavoro, nonché ogni complemento o accessorio destinato a tale scopo.

I DPI devono essere impiegati quando i rischi non possono essere evitati o

sufficientemente ridotti da misure tecniche di prevenzione, da mezzi di protezione

collettiva, da misure, metodi o procedimenti di riorganizzazione del lavoro (rischi residui).

Pertanto i DPI non possono essere utilizzati per far fronte ad inadeguatezze di attrezzature

di lavoro o procedurali in quanto il datore di lavoro è obbligato ad osservare

costantemente le misure di cautela previste dall’articolo 15 del Testo Unico.

I DPI devono essere conformi al D.Lgs 4/12/1992, n. 475 e adeguati ai rischi da prevenire,

senza comportare di per sé un rischio maggiore, oltre che alle condizioni esistenti sul

luogo di lavoro. Inoltre devono anche tenere conto delle esigenze ergonomiche o di salute

del lavoratore e poter essere adattati all’utilizzatore secondo le sue necessità.

L’articolo 77 fornisce quasi una guida puntuale al datore di lavoro, dalla scelta dei DPI

adeguati, secondo i criteri individuati nell’allegato VIII al Testo Unico, fino al loro utilizzo.

Sono numerosi gli obblighi del datore di lavoro in relazione ai DPI: fornitura dei dispositivi

ove siano stati individuati quei rischi che non possono essere evitati con altri mezzi,

mantenimento in efficienza degli stessi, addestramento ai lavoratori per l’utilizzo, la

riconsegna e il deposito.

L’articolo 78, invece, definisce gli obblighi a carico del lavoratore rappresentati,

essenzialmente, da quello dell’utilizzo conformemente all’informazione, formazione e

addestramento ricevuto e nel rispetto delle procedure aziendali, oltre a quello di segnalare

immediatamente al datore di lavoro ogni difetto o inconveniente. Inoltre, al lavoratore è

fatto divieto di apportare modifiche di propria iniziativa.

Il regime sanzionatorio in materia di DPI a carico del datore di lavoro/dirigente prevede,

ammende ed anche la pena dell’arresto per periodi di tempo variabile in relazione al tipo di

illecito. I dispositivi di protezione individuale sono suddivisi in funzione delle parti del corpo

che devono proteggere e sono divisi in tre categorie (art 4 D.Lgs 475/1992), in funzione

del tipo di rischio.

I categoria: di progettazione semplice, destinati a salvaguardare la persona da rischi di

danni fisici di lieve entità (guanti per detersivi, da giardinaggio, …).

II categoria: vi rientrano quelli che non rientrano nelle altre due categorie (caschi, i

dispositivi che proteggono l’udito, …)

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III categoria: di progettazione complessa, destinati a salvaguardare da rischi di morte o

lesioni gravi e di carattere permanente (dispositivi contro le cadute dall’alto, apparecchi di

protezione delle vie respiratorie, …).

Le istruzioni che devono essere impartite ai lavoratori sulle modalità di utilizzo e su come

deve essere indossato un dispositivo risultano particolarmente rilevanti in quanto

l’efficacia dei DPI dipende moltissimo dalle condizioni in cui vengono utilizzati; nel capitolo

seguente, dedicato alle definizioni di infortunio e di malattia professionale, all’andamento

del fenomeno infortunistico e delle malattie indennizzate, sono riportate anche alcune delle

principali patologie correlate al non utilizzo o all’utilizzo non conforme dei dispositivi.

1.7 Organismi di vigilanza e attività ispettive

La vigilanza sull’applicazione della legislazione in materia di salute e sicurezza nei luoghi

di lavoro è delegata alle Aziende Sanitarie Locali competenti per territorio e alle Direzioni

Provinciali del Lavoro (queste ultime, in raccordo con le ASL, limitatamente ad alcuni

settori, fra i quali l’edilizia). In una intervista, pubblicata da alcuni quotidiani nel dicembre

2007, l’allora ministro del lavoro Cesare Damiano ha affermato che, nonostante l’

assunzione di nuovi ispettori ed un più stretto coordinamento del lavoro con le ASL, resta

comunque una notevole sproporzione tra il numero degli ispettori e quelle delle imprese. A

livello nazionale, i numeri dicono che ogni ispettore del lavoro dovrebbe, teoricamente,

controllare lo stato di attuazione delle misure di sicurezza in oltre 650 imprese.

Considerato che ogni singola ispezione richiede da una a più giornate di lavoro se ne

ricava che ogni singolo ispettore può compiere una sola visita approfondita alle imprese

che gli competono circa ogni sei anni.

Nella provincia di Reggio Emilia il numero delle imprese da controllare, di competenza

dell’ASL, nell’anno 2008, era pari a 2.200; 47 il numero degli ispettori in organico per

l’attività di sorveglianza. La Direzione Provinciale del Lavoro può contare sull’operato di 2

ispettori a fronte di oltre 500 notifiche preliminari (denunce di apertura di cantieri edili).

Nel 20075 i dati relativi all’attività di vigilanza eseguita dal Servizio Prevenzione e

Sicurezza negli Ambienti di Lavoro dell’AUSL di Reggio Emilia sono i seguenti: 435 le

Unità Locali nelle quali sono state accertate violazioni alle norme antinfortunistiche e 749 il

totale delle violazioni di cui 709 a carico del datore di lavoro/dirigente, 14 per il preposto, 8

per il lavoratore autonomo, 1 a carico del lavoratore e 17 per altre figure. Specificamente

ai dispositivi di protezione individuale, in relazione alla mancata fornitura e/o vigilanza, 5 Dati forniti dal Servizio Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro dell’AUSL di Reggio Emilia

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sono state accertate 53 violazioni, di cui 31 a carico del datore di lavoro/dirigente, 13 per il

preposto (mancata vigilanza), 1 per il lavoratore e 8 per il lavoratore autonomo per il

mancato utilizzo dei DPI. La Direzione Provinciale del Lavoro di Reggio Emilia ha

effettuato, nell’anno 20086, 155 ispezioni presso cantieri edili, accertando 149 violazioni

alle norme antinfortunistiche a carico del datore di lavoro, 89 in fase di

esecuzione/progettazione, 1 violazione a carico del coordinatore, e, in relazione ai

dispositivi di protezione individuale, 5 per mancata fornitura dei DPI ed 1 a carico del

lavoratore per il mancato utilizzo.

Figura 3

Fonte: tratto da Guida Pratica SICUREZZA DEL LAVORO a cura di Mario Gallo – Le guide pratiche de Il Sole 24 ore

6 Dati forniti dalla Direzione Provinciale del Lavoro di Reggio Emilia

ORGANI DI VIGILANZA CON COMPETENZA SPECIFICA A.S.L. – Direz. Prov.li del Lavoro – Vigili del Fuoco

ACCESSO NELL’UNITÀ PRODUTTIVA (in tutte le ore del giorno e della notte, previa qualificazione, e in tutti

gli ambienti di lavoro)

VERIFICA DOCUMENTALE: ESIBIZIONE Autorizzazioni, documento di valutazione dei rischi, consegna DPI,

nomine, etc

COLLOQUIO CON DATORE DI LAVORO, RSPP, RLS, LAVORATORI, MEDICO COMPETENTE

Impianti, macchinari, attrezzature, DPI, presidi

antincendio, ecc

CONTROLLO ISPETTIVO NEI LUOGHI DI LAVORO

Ambiente di lavoro (spazi, altezze, scale, uscite di

sicurezza, ecc.)

Igiene del lavoro (agenti fisici, chimici, biologici,

microclima, ecc.)

ACCERTAMENTO DI VIOLAZIONI

ACCERTAMENTO DI SITUAZIONI DI PERICOLO

NON SANZIONATE

ASSENZA DI VIOLAZIONI

PENALI AMMINISTRATIVE Potere di disposizione Chiusura ispezione

1. Prescrizione 2. Informazione al Pubblico Ministero

1. Diffida 2. Irrogazione sanzione normale

ATTIVAZIONE: infortunio, malattia professionale, denuncia, verifica selettiva, etc

SCHEMA GENERALE DELLA PROCEDURA ISPETTIVA

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Il personale ispettivo, può ispezionare, in qualsiasi momento ed in ogni parte, i luoghi di

lavoro, sottoporre a visita medica il personale occupato, prelevare campioni di materiali e

prodotti, chiedere l’esibizione della documentazione in materia di salute e sicurezza sul

lavoro.

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“Le chiamano con indifferenza “le morti bianche”. In realtà sono tragedie inaccettabili. Inaccettabili per i familiari che si vedono strappare il proprio congiunto. Inaccettabili per un Paese civile che non può permettere che i suoi cittadini muoiano lavorando” Alessandra Franchello, nipote di Giancarlo Garabello, morto sul lavoro nel 2008

CAPITOLO 2 - IL FENOMENO INFORTUNISTICO

2.1 L’evento infortunio

La definizione di infortunio sul lavoro è contenuta nella legge della tutela assicurativa

obbligatoria gestita dall’INAIL. Secondo la norma rientrano in questa fattispecie “tutti i casi

di infortunio avvenuti per causa violenta in occasione di lavoro, da cui sia derivata la morte

o un’inabilità permanente al lavoro, assoluta o parziale, ovvero un’inabilità temporanea

assoluta che importi astensione dal lavoro per più di tre giorni”7.

Per causa violenta si intende un fattore esterno, improvviso e imprevisto, che in modo

rapido e intenso provoca un effetto lesivo. Ogni “aggressione”, quindi, che dall’esterno

danneggia l’integrità psico-fisica del lavoratore può essere ritenuta causa violenta

dell’infortunio assicurato. Può essere tale anche un’azione dovuta a microrganismi oppure

uno sforzo che provoca uno strappo muscolare, un evento drammatico che provoca un

trauma psichico e cosi via.

La nozione di “occasione di lavoro”, sulla base del quale viene definito il carattere

professionale dell’infortunio, focalizza l’esigenza che fra l’attività lavorativa prestata

dall’infortunato e l’incidente vi sia un rapporto, anche indiretto, di causa ed effetto. Si tratta

di un concetto più ampio di quello che potrebbe essere espresso da una locuzione come

“causato da lavoro” o “accaduto sul luogo di lavoro o durante l’orario di lavoro”. Tuttavia,

per quanto la definizione assicurativa permetta di comprendere nella tutela di legge

un’ampia casistica, è evidente che si tratta di un punto di vista ancora parziale.

Basterebbe pensare al fatto che non ricadono nella sua sfera gli infortuni che provocano

un’assenza dal lavoro inferiore a tre giorni e che sono comunque eventi importanti da

prendere in considerazione ai fini della prevenzione. Una novità di rilievo è stata introdotta

a riguardo dal Testo Unico (art 18, comma 1, lett. r)); mantenendo per il datore di lavoro

l’obbligo di denunciare gli infortuni che comportino un’assenza superiore a 3 giorni, è stato

7 Art. 2, c.1, D.P.R. 30 giugno 1965, n.1124

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introdotto un nuovo adempimento che riguarda la comunicazione all’INAIL anche degli

infortuni che comportino un’assenza dal lavoro di almeno un giorno, escluso quello

dell’evento, ai soli fini statistici e informativi.

Le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese ad impedire

l’insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli

incidenti derivanti dalla sua disattenzione ma anche quelli ascrivibili ad imperizia,

negligenza ed imprudenza dello stesso. La Corte di Cassazione ha infatti precisato8 che il

datore di lavoro è sempre responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore, sia quando

ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste

misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi

alcun effetto esimente, per l’imprenditore che abbia provocato un infortunio sul lavoro per

violazione delle relative prescrizioni, l’eventuale concorso di colpa del lavoratore.

Occorre inoltre tenere presente che sono incidenti sul lavoro anche quelli che, pur non

provocando danni alle persone, determinano comunque danni materiali. Anche questi

vanno considerati in un’ottica preventiva. A tale proposito, nella letteratura specialistica

internazionale di lingua inglese, si opera costantemente una distinzione tra il termine injury

(incidente che provoca lesione, il nostro infortunio) e accidents (incidente senza lesioni);

tanto che si usa l’espressione “Injures are not accidents” (gli infortuni non sono incidenti)

per affermare che non sono il semplice frutto di fatalità.

Autorevoli organismi internazionali riconoscono da tempo che gli infortuni sul lavoro sono

“la conseguenza statisticamente prevedibile del fallimento tecnico-sociale del lavoro”.9

Dal punto di vista sanitario gli infortuni (di tutti i generi, non solo quelli sul lavoro) sono

considerati eventi sentinella. Determinano cioè una malattia, una invalidità o una morte

prematura non necessarie (nel senso che, se fosse stato fatto tutto il possibile, non si

sarebbero verificate) e che, dunque, giustificano una ricerca scientifica accurata per

eliminarne le cause.

2.2 Il bilancio infortunistico in Italia

Alla rilevazione del 31 Ottobre 2008, il bilancio infortunistico per l’anno 2007 pubblicato

dall’INAIL (Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro), riporta i

seguenti dati: 912.410 gli infortuni sul lavoro denunciati, 1.207 i casi mortali10.

8 Sentenza del 18 febbraio 2004, n. 3213 9 X Rapporto del Comitato misto dell’Ufficio Internazionale del Lavoro e dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, n. 777/89

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La ripartizione degli infortuni per gestione evidenzia che il 90,5% si verifica nell’Industria

(ai primi posti costruzioni e industria dei metalli) e nei Servizi (in testa trasporti e

comunicazioni), il 6,3% nell’Agricoltura e il 3,2% fra i dipendenti dello Stato.

Quasi l’80% degli infortuni si concentra nelle fasce di età centrali,18-34 e 35-49 anni, ed è

quest’ultima quella più colpita da infortuni mortali.

L’analisi territoriale evidenzia che oltre il 60% degli infortuni è concentrato

nell’industrializzato Nord Italia: nel Nord Est, in particolare, sono stati denunciati nel 2007

quasi 299.000 casi, un terzo del totale nazionale: il 17% in Lombardia, il 14,3% in Emilia

Romagna, il 12% in Veneto. Le tre regioni totalizzano quasi 400.000 casi, pari al 43,4%

del complesso.

Ai fini della valutazione del rischio infortunistico è utile riportare un altro tipo di analisi,

relativo alla tipologia di azienda, artigiana o industriale e alla dimensione aziendale,

considerata relativamente al numero degli addetti che vi lavorano. Se le norme in materia

di salute e sicurezza sul lavoro si applicano indipendentemente dalla dimensione

dell’impresa, è utile riportare che numerose norme del Testo Unico, D.Lgs 81/08 sono

collegate al parametro dimensionale; questo diventa rilevante al fine di poter accedere a

semplificazioni (rilevante, ad esempio, la possibilità per i datori di lavoro che occupano fino

a 10 lavoratori di autocertificare l’avvenuta valutazione dei rischi) o, al contrario, per

stabilire l’assoggettabilità ad un determinato regime più rigoroso.

Le aziende artigiane sono caratterizzate da un indice di rischio ( che esprime il rapporto fra

infortuni indennizzati e addetti) decisamente più alto rispetto a quello delle aziende di tipo

industriale: infatti da una media di quasi 30 infortuni indennizzati per mille addetti delle

aziende industriali, si passa a quasi 38 per quelle artigiane, che rappresentano il 42%

delle aziende assicurate. E’ da rilevare che nella classe da 1 a 15 addetti, l’indice

raddoppia a 60,07 e rimane molto elevato, pari a 54,05 anche nella classe da 16 a 30

addetti. Per le aziende industriali non sembra riscontrarsi, tranne che in particolari settori,

una influenza decisiva sui livelli di rischio da parte della dimensione aziendale.

Un altro aspetto rilevante per l’analisi del fenomeno è quello che riguarda la forma

contrattuale del lavoratore; le due principali forme di lavoro atipico che si sono affermate in

questi ultimi anni, i lavoratori interinali (o a “somministrazione di lavoro”) e i lavoratori

10 Casi mortali - Si classificano per data di avvenimento dell’evento che ha causato la morte. Si considerano solo quei casi in cui il decesso sia sopravvenuto entro 180 giorni dalla data dell’evento; sono esclusi i casi che al momento dell’elaborazione risultino chiusi negativamente entro 180 giorni dalla data dell’evento in quanto non di origine professionale.

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parasubordinati (lavoratori autonomi che esercitano un’attività di collaborazione coordinata

e continuativa o a progetto) sono quelle che hanno fatto registrare nell’anno 2007 sensibili

incrementi in termini di infortuni (+ 13,6% e + 5,6% rispetto al 2006). La situazione è

analoga per quanto riguarda l’andamento degli infortuni mortali.

Questo ultimo aspetto evidenzia come precarietà e insicurezza possano rappresentare un

drammatico connubio. A tale proposito si riporta una considerazione del sociologo Luciano

Gallino: “La frammentazione pianificata dei processi produttivi in imprese e squadre di

lavoro sempre più piccole, collegate da lunghe catene di esternalizzazioni a cascata e

sub-appalti, disincentiva la formazione alla sicurezza. E in molti casi la rende tecnicamente

inattuabile … Allo stesso effetto operano i contratti di lavoro atipici, in specie quelli con

durata di pochi mesi … Il tempo e la stabilità dell’occupazione sono indispensabili per la

formazione alla sicurezza”. (G. Pagliarini, P.Repetto, 2008, p35)

L’INAIL rileva che il bilancio infortunistico per l’anno 2007 si presenta migliore rispetto a

quello dell’anno precedente, sia per l’andamento generale del fenomeno, con una

flessione dell’1,7% degli infortuni denunciati che per il numero degli infortuni mortali che

sono stati del 10% inferiori al 2006.

L’analisi tendenziale di medio periodo, che prende in considerazione gli anni dal 2001 al

2007, conferma l’ andamento decrescente del fenomeno infortunistico, con un tasso medio

annuo di variazione pari a – 1,8%.

A conclusione di questa breve rassegna sui dati infortunistici, occorre ricordare che la

stessa INAIL sottolinea che in Italia si stimano almeno 200.000 infortuni all’anno mai

denunciati. Ciò dipende soprattutto dalla grande diffusione del lavoro nero e irregolare. Per

tale ragione, nonostante i dati ufficiali sugli infortuni totali siano in flessione, è importante

mantenere l’attenzione sul dato certo, quello del numero delle morti bianche che,

comportando inevitabilmente la denuncia, è da considerarsi il riferimento più attendibile.

2.3 Il sistema di rilevazione nell’Unione Europea

In sede comunitaria, i dati relativi agli infortuni sul lavoro sono elaborati dall’Eurostat,

l’Ufficio di statistica dell’Unione Europea.

Ad oggi, le analisi fornite dall’istituto risentono della differente modalità con cui i diversi

Paesi dell’Unione rilevano gli infortuni (fonti assicurative vs fonti sanitarie) ed anche i

diversi criteri di inclusione utilizzati (ad esempio, inclusione vs esclusione di settori

produttivi e tipologie di evento). Ciò determina un’oggettiva incomparabilità dei dati relativi

alle diverse nazioni dell’Unione; se questo potrebbe non essere un problema per chi è

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interessato solo a stilare estemporanee e poco significative “classifiche”, rappresenta

certamente un ostacolo per una ben più produttiva analisi delle differenze che si possono

riscontrare fra Paesi che in materia applicano legislazioni con caratteristiche differenti.

Al fine di uniformare i dati e poter contare su una effettiva loro comparabilità, è stato

elaborato un protocollo, denominato ERAW (European Statistics on Accident at Work)

che, oltre a permettere di elaborare statistiche nazionali confrontabili fra loro, introduce

anche grandi novità. In primo luogo, questo protocollo, è stato pensato ai fini della

prevenzione degli infortuni, con l’obiettivo di utilizzare codici riconosciuti e definiti a livello

europeo per la registrazione dei dati. L’infortunio è il risultato del susseguirsi di più

avvenimenti diversi, fra loro collegati, il cui studio rappresenta un passo importante per

l’individuazione dei fattori di rischio rilevante e la conseguente elaborazione di congrue ed

efficaci strategie di prevenzione.

Le variabili contemplate dal protocollo per la descrizione dell’evento infortunistico

consentiranno infatti di rendersi conto con precisione delle cause degli incidenti e quindi di

progettare gli interventi più idonei ad evitarli. Le variabili previste sono otto e vanno dal tipo

di luogo al tipo di lavoro, presentando, ognuna di esse, ulteriori tre livelli per la descrizione

dell’evento traumatico. Inoltre è stata aggiunta la variabile “deviazione” che specifica come

si è verificato l’infortunio e quella “contatto” che descrive l’elemento che ha provocato la

lesione11.

Il modello ESAW, dopo una fase di monitoraggio e validazione dei dati durata alcuni anni,

è gia operativo ed anche l’INAIL sta riorganizzando la propria banca dati statistica.

2.4 Le malattie professionali

Una particolare attenzione deve essere posta nella prevenzione delle malattie

professionali perché, sia per numero che per gravità per la salute dei lavoratori,

rappresentano un costo umano, sociale ed economico al pari degli infortuni sul lavoro.

La conoscenza delle malattie professionali risente delle criticità del sistema informativo ad

esse dedicato; i dati pubblicati rappresentano la punta di un iceberg di dimensioni

complessivamente non note. I dati esistenti sono conseguentemente rappresentativi solo

di una parte dell’”universo” che riguarda tali patologie. La malattia professionale, nella sua

11 Per un approfondimento si rimanda ad un’interessante applicazione della codifica ERAW effettuata dall’ASL T01 – Direzione Sanità, Prevenzione Sanitaria ambienti di vita e di lavoro della Regione Piemonte nel marzo 2007. Lo studio ha interessato 1.441 aziende impegnate nei cantieri edili attivi in quel periodo nella città di Torino e sono stati individuati e definiti 4 principali gruppi di dinamiche: vittima in movimento (40% degli eventi), manipolazione oggetti (20%), trasporto manuale (20%) e uso di utensili .

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manifestazione clinica e di esiti, si caratterizza per i lunghi tempi che intercorrono tra il

contatto con il fattore e la diagnosi. Questo determina una notevole incidenza dei casi

ancora indeterminati nel complesso dei dati disponibili. Il Ministero della Salute ha

finanziato uno specifico progetto per il miglioramento del sistema informativo destinato a

colmare il deficit conoscitivo e per indirizzare adeguatamente le azioni di riduzione del

numero e della gravità di tali patologie.

Le malattie professionali denunciate all’INAIL nel 2007 sono state 28.619, con un

incremento, rispetto al 2006, del 7%.

Al primo posto fra le malattie professionali denunciate si confermano ipoacusia e sordità

(circa 6.000 denunce), malattie dell’apparato respiratorio (asma bronchiale allergica e

bronchite cronica professionale) e si rileva un aumento consistente (le denunce sono

quasi raddoppiate nell’ultimo quinquennio) delle malattie muscolo scheletriche: tendiniti,

affezioni dei dischi intervertebrali, artrosi e sindrome del tunnel carpale. In aumento anche

le neoplasie ed altre forme tumorali.12

Per malattia professionale si intende una patologia che si sviluppa a causa della presenza

di stimoli nocivi nell’ambiente di lavoro. Gli agenti responsabili sono tantissimi e spesso i

lavoratori sono esposti alla loro azione senza conoscere i rischi a cui vanno incontro ed i

cui effetti si notano dopo decenni il loro utilizzo. Altri fattori di rischio sono legati

all’organizzazione del lavoro, campo in cui il fattore umano ormai riveste un ruolo

marginale, che si possono riassumere in:

ambienti di lavoro carenti dal punto di vista igienico o sovraffollati;

ritmi di lavoro elevati e mansioni ripetitive;

scarsa manutenzione degli impianti.

Dal punto di vista legislativo esiste in Italia dal 1965 un’assicurazione obbligatoria, come

per gli infortuni, ed un elenco delle malattie riconosciute con causa professionale; è

possibile inoltre ottenere un risarcimento anche per le malattie non previste nell’elenco ma

per cui sia dimostrabile una chiara correlazione tra patologia e attività lavorativa.

Il sistema di tutela perciò è “misto”. Le malattie professionali “tabellate” sono quelle

contratte nell’esercizio ed a causa delle lavorazioni specificate in apposite tabelle definite

per legge dello Stato13.Le malattie professionali “non tabellate” sono appunto quelli per le

12 Fonte “DATI INAIL”, settembre 2008 13 Il D.P.R. 336/94 presenta tali tabelle, con l’indicazione delle lavorazioni e delle malattie professionali.

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quali il lavoratore riesce a dimostrare che la causa consiste nella lavorazione a cui è

addetto14.

Nel luglio 2008 un intervento istituzionale ha sancito l’emanazione delle nuove tabelle, con

l’inserimento delle principali malattie “non tabellate” fra quelle “tabellate”, individuando

nuove voci per l’industria e riducendo il numero di quelle per l’agricoltura15.

Le nuove tabelle conservano la precedente struttura, ovvero la suddivisione fra malattie,

lavorazioni e periodo massimo di indennizzabilità, nelle quali le malattie sono disposte in

ragione degli agenti causali. L’elenco prevede in sequenza le malattie da agenti chimici,

quelle dell’apparato respiratorio, quelle della pelle non descritte in altre voci e, infine,

quelle da agenti fisici. Per ciascuna voce sono indicate malattie specifiche, prevedendo

altresì, per la maggior parte degli agenti, la possibilità della voce aggiuntiva “altre malattie

causate dall’esposizione professionale a…” nella quale potranno essere ricompresse

eventuali altre patologie che la scienza medica, nel tempo, dovesse considerare ascrivibili

allo stesso agente.

A seguire si riportano le descrizioni (ed anche sintomi, agente causale e prevenzione) di

alcune delle patologie che, come si è visto, hanno una maggiore incidenza. In relazione

all’aspetto della prevenzione, nelle brevi schede che seguono, sono indicati anche i

dispositivi di protezione individuale il cui utilizzo può risultare molto importante per evitare

malattie spesso irreversibili.

Sordità e Ipoacusia

Il rumore è spesso presente in ogni ambito della nostra società ed anche in ambiente

lavorativo. Agendo sulle strutture dell’orecchio interno, provoca danni che possono essere

temporanei o permanenti in base all’intensità o alla durata dello stimolo fino a provocare la

perdita irreversibile dell’udito.

Inizialmente si ha un deterioramento delle cellule che codificano le alte frequenze;

prolungando l’esposizione vengono colpite quelle che rispondono alle basse frequenze

manifestando così difficoltà nel percepire anche il linguaggio parlato.

Nel campo della prevenzione, la vigente normativa impone, nel documento di valutazione

di rischi, una valutazione del rischio rumore da parte del datore di lavoro16 che viene fatta

misurando il livello sonoro nell’ambiente di lavoro e calcolando i livelli di esposizione 14 E’stata la sentenza della Corte Costituzionale n.179/88 ad introdurre la possibilità che “esistano” malattie professionali al di fuori di quelle espressamente previste per legge e che, quindi, anch’esse vengano eventualmente indennizzate. 15 La riduzione delle voci in agricoltura è da ricondurre all’esclusione di alcuni agenti chimici il cui utilizzo è stato vietato negli ultimi anni. 16 Introdotta dal D.Lgs 277/91

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personale. In rapporto ai dati rilevati, sono individuati i dispositivi di protezione individuale

da mettere a disposizione ai lavoratori esposti, quali cuffie, inserti auricolari, ecc.

Apparato respiratorio - Asma bronchiale allergica

L’asma è una patologia che si contraddistingue per il ripetersi di crisi di dispnea dovute a

uno stato infiammatorio delle vie respiratorie. Si parla di “asma professionale” nel caso in

cui si accerti che tale malattia è provocata dall’inalazione di determinati composti

nell’ambiente di lavoro. L’insorgenza della malattia aumenta con l’intensità e la durata

dell’esposizione all’agente sensibilizzante. La gravità dell’affezione può, talvolta, rendere

necessario l’allontanamento dal luogo di lavoro.

In termini di prevenzione sono previsti dalla valutazione dei rischi, oltre ad una adeguata

ventilazione dei locali e l’installazione di impianti di aspirazione per eliminare polveri e

vapori tossici, il controllo della concentrazione delle sostanze sensibilizzanti nell’ambiente

di lavoro e la messa a disposizione dei lavoratori di dispositivi di protezione individuale

quali mascherine, tute, ecc.

Apparato respiratorio – bronchite cronica professionale

La bronchite cronica è una patologia infiammatoria della mucosa dei bronchi, con sintomi

che sono presenti per diversi giorni, più volte all’anno. La malattia progredisce lentamente

e può portare a insufficienza respiratoria. I sintomi sono caratterizzati da tosse

accompagnata da escreto abbondante e da dispnea che si aggrava sotto sforzo. Tra gli

agenti causali in ambito professionale compaiono gas, vapori e polveri contenenti agenti

irritanti tra i quali ammoniaca, acetone, polvere di grano, cotone e carbone. La

prevenzione si concretizza con il rispetto delle norme vigenti in materia in relazione

all’ambiente di lavoro, con il controllo delle concentrazioni degli agenti irritanti e loro

allontanamento mediante sistemi di ventilazione e aspirazione e con l’utilizzo da parte dei

lavoratori dei dispositivi di protezione individuale idonei (mascherine, etc.).

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“Un lavoratore consapevole del rischio che va ad affrontare, volendo potrebbe rifiutarsi di eseguire un incarico pericoloso. Ma a pericolo identificato si pensa alla famiglia, non si vuole mettere a rischio il posto di lavoro considerando quanto è difficile oggi trovarne uno.” Pietro Mirabelli, operaio RLS del cantiere TAV Bologna-Firenze

CAPITOLO 3 - IL COMPORTAMENTO SICURO

3.1 Definizioni: rischio, pericolo, errori, violazioni

Gli infortuni non sono necessari: questo deve, necessariamente, rappresentare il punto di

partenza per parlare di prevenzione e sicurezza sul lavoro. Il pericolo è sempre presente e

tutti, lavorando, dobbiamo affrontarlo; la natura del problema è fare in modo che questi

pericoli non si trasformino in infortuni.

Le attività lavorative presentano differenti potenziali di rischio in rapporto all’attività svolta,

agli impianti, ai macchinari, etc. ma la probabilità di andare incontro ad un infortunio è solo

in parte funzione della pericolosità obiettiva. Tra i fattori generatori di rischio vi sono le

inadempienze da parte delle aziende rispetto alle normative vigenti e la sottovalutazione

da parte dei lavoratori dei rischi. Elevati ritmi di lavoro, turni, attività ripetitive ed altre

variabili organizzative possono provocare la perdita di concentrazione, cali di attenzione e

la tendenza ad evitare l’utilizzo di dispositivi di protezione per manovrare più agevolmente;

le conseguenze possono risultare la messa in atto di comportamenti rischiosi.

Spesso si impiegano i termini rischio e pericolo come sinonimi; in realtà, questi vocaboli

hanno rispettivamente un significato ben preciso. Nella lingua inglese esistono due termini

per indicare il concetto di sicurezza: safety e security. Essere al sicuro e sentirsi sicuro

sono in una relazione non semplice da indagare. Il pericolo è una condizione obiettiva

nella quale un individuo subisce l’eventualità di un danno; una situazione pericolosa

rimane tale anche cambiando gli individui che vi operano. La nozione di rischio è invece

interamente soggettiva, è una percezione dell’individuo. Non basta però che un lavoratore

conosca il pericolo perché se ne allontani automaticamente; psicologicamente, il rischio e

il sentimento di essere capaci di superare un pericolo senza conseguenze dannose stanno

alla base di moltissime iniziative umane. La distinzione tra individui spericolati e individui

prudenti è pertanto improduttiva; in realtà tutti gli esseri umani sono al tempo stesso

prudenti e imprudenti. L’analisi psicosociale del cosiddetto “comportamento pericoloso” ha

infatti permesso di individuare come la scelta di mettere in atto comportamenti pericolosi

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sia determinata dalla desiderabilità sociale di queste azioni; inoltre gli altri significativi,

quali la famiglia, i colleghi, il gruppo di lavoro, etc. variano da individuo a individuo17.

Il diverso livello di socializzazione individuale si è dimostrato quindi un fattore influente

nella determinazione del comportamento pericoloso.

Le concezioni sugli infortuni lavorativi sono così gradualmente passate dall’identificazione

della causa nel solo individuo e nell’attività svolta al riconoscimento di una multicasualità

dell’evento, fino alla più recente rappresentazione, di matrice sistemica, che mette al

centro dell’attenzione sistemi socio-tecnici complessi18. La relazione tra le caratteristiche

individuali e un comportamento sicuro è stata analizzata dagli studiosi da due prospettive

diverse: quelle della psicologia sociale e quella della psicologia cognitiva.

La psicologia cognitiva si concentra sull’errore umano nella prestazione come funzione

delle operazioni di elaborazione mentale (comprensione del compito, capacità, carico

mentale, pressione temporale, etc.); la psicologia sociale, invece, si concentra sulla

personalità, sugli atteggiamenti e sulle percezioni. Entrambe le tradizioni hanno portato un

contributo importante alla sicurezza lavorativa. In questa sede si intende presentare

unicamente i principali contributi della psicologia sociale per la comprensione dei

comportamenti a rischio.

Si ritiene comunque opportuno riportare una tassonomia, fra le diverse elaborate, in grado

di orientare tra la moltitudine di sbagli, dimenticanze, incertezze e imprecisioni che

caratterizzano il normale comportamento umano nel quotidiano.

Reason (1990) divide le azioni pericolose in due grandi categorie: le attività non

intenzionali e quelle intenzionali. Le azioni non intenzionali sono a loro volta divise in due

classi, gli slips e i lapses (dimenticanze) e le azioni intenzionali in mistakes (errori) e

violazioni.

Gli slips e i lapses vengono definiti come fallimenti riguardanti l’esecuzione e/o il deposito

in memoria di una sequenza d’azione. I mistakes invece vengono considerati come

deficienze o fallimenti nel criterio di giudizio e/o nei processi inferenziali (se, situazione-

allora, azione) coinvolti nella selezione di un obiettivo, o nel modo per realizzarlo; si tratta

17 Nella situazione attuale del mondo del lavoro, caratterizzata dal passaggio da una classe lavoratrice “garantita” ad una classe “atipica” costituita da un precariato diffuso, occorre non sottovalutare anche le pressioni che possono essere esercitate da un clima di insicurezza che i lavoratori vivono in relazione al mantenimento del posto di lavoro 18 Le conseguenze degli incidenti sul lavoro includono infatti, oltre ai danni al lavoratore, anche le perdite di produzione, la rottura di modelli organizzativi di lavoro, i danni ai macchinari e le conseguenze economiche e legali.

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anche di noncuranza delle azioni necessarie per realizzare un obiettivo secondo un piano

prevedibile. Gli errori, quindi, sono riferiti esplicitamente al funzionamento cognitivo.

Slips, lapses e mistakes vengono definiti come tipici errori di base; collegati cioè al

contesto presente al momento e provengono dai fallimenti inferenziali, mnestici e

attentivi19.

Le violazioni, al contrario, non sono viste come guasti nel processo cognitivo normale,

come fallimenti nell’acquisizione delle informazioni ma come un rifiuto intenzionale delle

procedure e delle regole da parte del lavoratore come singolo o come gruppo. Il

sabotaggio è l’esempio più estremo di violazione di regole stabilite, ma le procedure

possono essere ignorate o non rispettate per molte altre ragioni e cioè senza avere

l’intenzione di causare un guasto, danni irreparabili o un grave danno a sé o agli altri.

Limitandosi a considerare, in questa sede, le violazioni intenzionali delle norme di

sicurezza, che rappresentano una quota rilevante nell’incidenza sul fenomeno

infortunistico, in questo capitolo si riporta una rassegna degli studi sui fattori psicosociali

coinvolti nella spiegazione dei comportamenti a rischio in ambito lavorativo, con il

proposito di capire perché i lavoratori non aderiscano alle procedure di sicurezza e

adottino comportamenti pericolosi e per cercare di contribuire ad individuare le possibili

azioni più idonee da porre in essere per determinare reali modificazioni dei

comportamenti dei lavoratori verso pratiche più sicure.

3.2 Dalle prime teorie agli approcci più recenti

“Non corre forse (chiedeva ansioso il senatore Tolain nella seduta del 12 marzo 1889 del

Senato francese) una grande differenza tra l’epoca in cui l’operaio era il padrone del suo

utensile, in cui lo dirigeva egli stesso e lo teneva in sua mano, e l’epoca in cui si è

19 Brown (1990) definisce un incidente come la “conseguenza non pianificata di un comportamento improprio” e tale definizione mette in risalto l’importante distinzione tra il comportamento antecedente e le sue conseguenze … una buona descrizione dell’episodio pericoloso o dell’incidente dovrebbe focalizzare l’attenzione sulla situazione precedente (contesto, compito e caratteristiche dell’operatore), sull’avvenimento determinante (ambientale o dovuto a manovra errata), sulle conseguenze (guasti, danni, interruzione del lavoro, etc.) … tale descrizione dovrebbe confluire in un rapporto sugli incidenti nei sistemi di lavoro. La maggior parte dei sistemi di descrizione e di documentazione degli incidenti sono invece spesso basati su resoconti verbali e retrospettivi legati alla reazione che si ha verso l’accaduto piuttosto che tenere conto dei quasi-errori e degli altri incidenti simili già capitati… la ricostruzione è affidata alla memoria e spesso le analisi degli incidenti si trasformano nella ricerca di qualcuno da accusare piuttosto che concentrarsi sulla complessità delle cause e sulle loro possibili combinazioni per produrre un effetto indesiderato (Nik Chmiel, 2000). Ross (1977) chiamò l”errore fondamentale” attribuire alla persona ciò che invece è opera del contesto in cui agisce… di chi è effettivamente la colpa: della persona o della situazione? … quale delle due è più “correggibile”? Secondo Reason è meglio rivolgersi alla situazione perché non si può pensare di eliminare del tutto l’errore umano … è utile spostare l’interesse dai singoli comportamenti ai contesti … (G.Cavadi e S.Roncato, 2003).

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introdotto nell’industria il congegno meccanico, in cui l’operaio invece di essere l’arbitro del

suo strumento, più non è, per così dire, che un roteggio umano aggiunto alla macchina la

quale lo conduce e lo domina?”

E il dotto ingegnere Cheysson aggiungeva: “Quando il terrazziere lavora con la sua zappa

e con la sua vanga, il boscaiolo con la sua scure, lo strumento che gli sta in mano non è

che il prolungamento dei suoi organi, e si può ammettere ch’egli è responsabile. Ma

quanto diversa la situazione dell’operaio in un alto forno, o accanto a una caldaia, ad un

laminatoio, ad uno di quei formidabili congegni, ad una di quelle forze irresistibili, il cui

contatto è mortale!”.

In poche parole possiamo affermare che, nell’opinione generale, la grande industria

moderna ha notevolmente accresciuto i rischi di morte o di lesione per l’operaio.20

Già nell’800 si pubblicavano statistiche relative agli infortuni sul lavoro e le dissertazioni fra

studiosi e politici vertevano sull’analisi dei cambiamenti in atto nella società del lavoro

determinati dalla nascita dei grandi impianti industriali e dall’introduzione dei macchinari

sui quali il lavoratore non esercita più alcun controllo ma da questi è condotto e dominato.

I tentativi di ridurre gli eventi infortunistici sul lavoro sono indirizzati, fino alla fine del secolo

XIX, alla ricerca di soluzioni prevalentemente di carattere tecnologico per la messa in

sicurezza dei macchinari.

E’ solo a partire dagli anni ’20 del secolo scorso che sulle riviste scientifiche appaiono i

primi studi che fanno riferimento ad aspetti psicologici quali i cosiddetti “fattori di

predisposizione individuale agli infortuni”, assimilabile a un tratto di personalità, intesa

come una disposizione relativamente durevole; secondo questa idea certe persone sono

coinvolte in incidenti più frequentemente di altre. Questa semplificazione offriva una

soluzione immediata per la riduzione del tasso di infortuni: rimuovere queste persone da

certi ruoli lavorativi.

Se pure il concetto di “propensione all’infortunio” viene rapidamente abbandonato, anche a

causa delle critiche metodologiche rivolte alle ricerche empiriche effettuate per

dimostrarne la validità, l’introduzione nell’analisi degli infortuni di un fattore non tecnologico

rappresenta una svolta importante per la sensibilizzazione del mondo scientifico allo studio

del fenomeno anche da un punto di vista psicologico; Reason (1974) propose piuttosto di

ragionare in termini di momenti differenti nella vita delle persone durante i quali possono

verificarsi, con maggiore probabilità, eventi infortunistici (es. giovani e lavoratori inesperti).

20 Girolamo Boccardo, Gli infortuni sul lavoro – Nuova antologia di scienze, lettere ed arti, Roma 1892 – Tip. della Camera dei deputati

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Questo approccio continua ad oggi, comunque, ad essere fortemente criticato in quanto

rischia di far sottovalutare l’importanza dei fattori situazionali.

Negli anni successivi si affermano studi psico-tecnici che, accanto a fattori individuali sia di

tipo socio demografico (età, sesso, etnia,etc.) sia di tipo fisiologico (destrezza, acuità

visiva, etc.), considerano fattori ambientali (illuminazione, temperatura, ecc) ed

organizzativi (turni, retribuzioni, incentivi, ecc) relativi ai luoghi di lavoro. Il limite di questi

studi, seppure già orientati ad un approccio multidimensionale, è quello di essere centrati

su una relazione causale diretta fra i fattori presi in considerazione e l’infortunio.

Alla fine degli anni ’40 il contributo della psicologia sociale ha consentito di includere negli

studi e nelle ricerche in materia di sicurezza anche fattori di natura specificamente psico-

sociale fino all’elaborazione, in anni recenti, di modelli multicausali per la spiegazione del

fenomeno infortunistico; l’infortunio è considerato come un sintomo del malfunzionamento

del sistema socio-tecnico costituito dall’interazione tra essere umano-macchina-ambiente

sociale.

E’ a partire da questo approccio che lo studio degli infortuni comincia a rivestire un

significato in termini di prevenzione, con l’obiettivo di intervenire per modificare gli elementi

che contribuiscono ai fallimenti dei sistemi tecnologici. Reason (ibidem), da un’analisi

dettagliata sui documenti della maggior parte dei disastri industriali avvenuti negli anni ‘70

e ’80, ha dimostrato che molte caratteristiche delle organizzazioni contribuiscono a questi

fallimenti dei sistemi tecnologici e complessi e che cercare di comprendere come rendere

sicuri tali ambienti implica molto di più dell’analisi dei motivi per cui gli individui

commettono errori e prendono parte ad azioni pericolose.

Alcuni studiosi (E.A. Dembe, J.B. Erickson, R.G. Delbos, 2004) hanno considerato il

complesso intreccio di fattori di rischio che possono avere come esito un infortunio: la

probabilità di incorrere in un incidente risulta dall’intersezione fra le caratteristiche

personali del lavoratore, il livello oggettivo di rischio della mansione (alcuni lavori sono più

pericolosi di altri), l’organizzazione del lavoro e le richieste che questa avanza (pressione

temporale, produttiva, etc.) senza prescindere dal considerare il contesto sociale,

economico e culturale.

Le ricerche sulle condizioni di sicurezza devono pertanto, al fine di migliorare la loro

capacità predittiva degli infortuni, essere orientate sia all’individuazione dei singoli fattori

facilitanti gli infortuni che interagiscono, sia a come questi possano esercitare azioni

concomitanti.

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Inoltre, secondo Reason, nelle organizzazioni, gli obiettivi di sicurezza e salute sono mal

bilanciati rispetto a quelli della produzione o, comunque, restano in secondo piano nel

quadro delle priorità di funzionamento del sistema. Inoltre gli obiettivi di produzione si

misurano facilmente, risultano molto visibili e, quando si raggiungono, sono ricompensati

positivamente; gli obiettivi di sicurezza, invece, sono misurati indirettamente, con l’assenza

di incidenti, e divengono socialmente visibili solo quando si verificano un incidente, un

quasi-incidente o un infortunio alle persone.

3.3 Alcuni fattori che influenzano il comportamento sicuro

Gli studi che mettono in relazione la sicurezza con variabili psicologiche, psicosociali e di

psicologia organizzativa sono numerosi e molti di questi si sono proposti di indagare sulle

possibili relazioni dirette fra diverse categorie di antecedenti e gli infortuni lavorativi: clima

organizzativo, leadership, atteggiamenti e comportamenti, percezione di controllo e locus

of control sono alcuni dei fattori considerati dai diversi autori le cui definizioni sono di

seguito riportate unitamente alle conclusioni emerse da alcune delle loro ricerche.

Clima di sicurezza, clima organizzativo, cultura organizzativa Gli studi sul clima organizzativo si sono distinti tra loro in base al differente peso

assegnato all’ambiente, definiti come strutturali, alla persona, definiti come percettivi, o

all’interazione di questi due aspetti, definiti come interattivi.

I primi, da un punto di vista temporale, ad essere stati sviluppati sono stati gli approcci

strutturali; questi definiscono il clima come una caratteristica oggettiva che deriva da

aspetti concreti presenti in un’organizzazione. Forehand e Gilmer (1964) definiscono il

clima organizzativo come un insieme di caratteristiche che

a. descrivono un’organizzazione e la distinguono dalle altre

b. sono relativamente stabili nel tempo

c. influenzano il comportamento delle persone

Questi autori identificano anche una serie di variabili che operazionalizzano questo

concetto, quali le dimensioni del gruppo di lavoro, la struttura dell’ autorità, gli stili di

leadership, etc.

I principali limiti di questi approcci all’analisi del clima organizzativo, evidenziati nel tempo

da altri studi, sono:

il non aver considerato la presenza di differenti climi organizzativi all’interno di una stessa

organizzazione (e questo è in contraddizione con la centralità degli aspetti strutturali del

costrutto);

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il non aver attribuito importanza al diverso impatto che le variabili strutturali hanno sugli

individui e sui gruppi di lavoro, assumendo che questi siano in grado di percepire in modo

accurato e oggettivo i diversi fattori strutturali.

L’approccio percettivo, nell’attribuire centralità al lavoratore e alle sue percezioni delle

variabili ambientali, evidenzia a sua volta il limite di considerare l’influenza dell’ambiente

sugli individui senza valutare l’intervento attivo della persona sull’ambiente di lavoro.

L’approccio interattivo, differenziandosi dai precedenti, definisce il clima organizzativo

come una rappresentazione dell’ambiente condivisa dai membri di un’organizzazione. Il

clima è creato dallo scambio comunicativo fra le persone presenti in un’organizzazione.

Il costrutto di cultura organizzativa pone le sue radici nella sociologia e nell’antropologia.

Schein (1984) propone una definizione piuttosto completa del concetto di cultura

organizzativa: “ è l’insieme coerente degli assunti fondamentali che un dato gruppo ha

inventato, scoperto o sviluppato, imparando ad affrontare i suoi problemi di adattamento

esterno e di integrazione interna e che hanno funzionato abbastanza bene da poter essere

considerati valori e perciò tali da essere insegnati ai nuovi membri come il modo corretto di

percepire, pensare e sentire in relazione a quei problemi”. (Schein, 1984, trad it. 1986).

Secondo questo studioso, la cultura non è costituita da idee astratte ma da risposte a

problemi concreti presenti in un’organizzazione ed è determinata dall’esperienze dei suoi

membri. Una cultura si forma sempre all’interno di un gruppo: tanto più questo è

omogeneo, stabile e con esperienze lunghe e intense, tanto più forte e articolata sarà la

sua cultura.

La cultura organizzativa si caratterizza quindi come un elemento stabile e resistente nel

tempo ma, in quanto risposta a problemi concreti, è anche in continua evoluzione,

costantemente aggiornata da valori e strategie che risultino adatti a nuovi problemi che si

possono presentare.

Questo approccio, seppure rappresenti uno dei più accreditati e utilizzati negli ambiti di

studio della cultura organizzativa e confermi una sua validità come schema interpretativo,

per alcuni studiosi non tiene in debita considerazione l’esistenza, che spesso si riscontra

nelle organizzazioni, di subculture e di molteplicità di punti di vista fluttuanti e a volte

ambigui. Un altro autore, Gideon Kunda (1992) sostiene che la funzione della cultura

organizzativa sia quella di controllare i membri di un’organizzazione al fine di eliminare il

confine esistente fra il sé individuale e l’impresa. Innes e Kummerow (1994) integrano il

ruolo della cultura organizzativa con la funzione di agevolare la familiarizzazione, da parte

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dei membri di un gruppo, di ciò che non è conosciuto e che quindi risulta di non facile

comprensione.

Le principali strategie adottate dai ricercatori per lo studio e la comprensione della cultura

organizzativa sono state principalmente tre (Depolo, 1998):

1. analizzare i processi di socializzazione dei nuovi membri all’interno

dell’organizzazione;

2. indagare le risposte date dai membri di un’organizzazione agli eventi critici

verificatesi in azienda;

3. studiare, attraverso interviste ai nuovi membri, la loro percezione della nuova

organizzazione.

Il confronto e il dibattito fra gli studiosi di cultura organizzativa è ancora molto vivace.

Un’asserzione di Smircich (1983) sintetizza la mancanza di una teoria condivisa: per

alcuni la cultura di un’organizzazione è una variabile interna (l’organizzazione ha una

cultura), per altri la cultura è una metafora che concettualizza l’organizzazione stessa

(l’organizzazione è una cultura).

Anche in relazione alle differenze rilevabili fra il concetto di clima organizzativo e cultura

organizzativa non vi è ancora unanimità di vedute. La più condivisa è quella che ne

sottolinea la differente radice: il concetto di clima ha una derivazione psicologica mentre

quella di cultura ha un’origine sociologica. Denison (1996) confrontando studi che si sono

occupati rispettivamente di clima e cultura, sostiene che questa distinzione in realtà non

esiste e che le differenze sono legate più a diverse interpretazioni degli autori delle diverse

teorie più che a reali differenze del fenomeno indagato.

La sicurezza all’interno dell’organizzazione In alcuni settori industriali, caratterizzati dalla presenza di processi produttivi con elevati

livelli di pericolo, la sicurezza è concepita come un capitale importante e frequentemente,

in queste organizzazioni esistono condizioni culturali ed esigenze di fatto che facilitano la

progettazione di molti programmi (regole, procedure, addestramento, etc.) per aumentare

la sicurezza sul lavoro.

Dalle opere di molti studiosi e dalle numerose ricerche empiriche effettuate, è da tempo

emersa una forte relazione fra il successo dei programmi di sicurezza e il clima di

sicurezza presente in un’organizzazione; questo concetto ha origine ed è collegato ai

costrutti di clima organizzativo e di cultura organizzativa presentati nel paragrafo

precedente. Il clima di sicurezza si riferisce alle percezioni che i lavoratori hanno rispetto al

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grado di impegno che la loro organizzazione manifesta verso i problemi della sicurezza.

Zohar (1980), in un suo studio, ha individuato, nelle organizzazioni con una bassa

percentuale di incidenti, alcune caratteristiche organizzative distintive:

a. il coinvolgimento personale della dirigenze e di altri manager in attività di sicurezza

(alto grado di priorità assegnato ai temi della sicurezza negli incontri direzionali e

nella pianificazione della produzione)

b. l’importanza data alla formazione alla sicurezza

c. l’esistenza di una comunicazione aperta e reciproca tra i livelli aziendali e un

frequente contatto fra il management e i lavoratori

d. un elevato livello di ordine nelle operazioni eseguite e l’ampia diffusione di

apparecchiature di sicurezza

Zohar ha così definito otto dimensioni del clima di sicurezza:

1. l’importanza della sicurezza nei programmi di formazione

2. gli atteggiamenti della direzione verso la sicurezza

3. la considerazione, per promozioni, incentivi e percorsi di carriera delle

condotte sicure;

4. il livello di rischio presente nel posto di lavoro

5. il ritmo delle richieste lavorative che hanno effetti sulla sicurezza

6. la presenza di un responsabile della sicurezza

7. gli effetti del comportamento sicuro sullo status sociale del lavoratore

8. la presenza e il funzionamento del comitato aziendale per la sicurezza.

Successivamente, diversi studiosi hanno proposto altre dimensioni costitutive del clima di

sicurezza. Ad oggi, i fattori principalmente privilegiati sono: la percezione dei lavoratori

sull’impegno della direzione per la sicurezza e il grado di coinvolgimento dei lavoratori sul

tema della sicurezza.

Il coinvolgimento della direzione nella sicurezza è, nel modello di spiegazione dei

comportamenti di sicurezza di alcuni studiosi (Cheyne, Cox, Oliver e Tomas, 1998), un

fattore primario insieme alla comunicazione sulla sicurezza. L’importanza che la direzione

assegna alla sicurezza in relazione agli altri obiettivi aziendali (sicurezza e produttività

possono infatti essere priorità ed obiettivi conflittuali, possono influenzare la percezione

che il lavoratore ha del bilanciamento tra le pressioni per la produzione e la sicurezza

individuale) (D.Zohar & G.Luria, 2005). Anche la percezione dei lavoratori di avere

accesso alle informazioni sulla sicurezza presenti in azienda e di essere in grado di

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incoraggiare discussioni in materia (coinvolgimento) rende più probabile che si sviluppi un

buon clima di sicurezza.

L’attenzione della direzione verso il benessere del lavoratore e le azioni messe in atto al

fine di migliorarne il benessere sono, come si è visto, una determinante di un buon clima di

sicurezza.

Per comprendere come la leadership influenzi il clima all’interno di un’organizzazione è

necessario tenere in considerazione i differenti stili che la caratterizzano.

Zohar ha declinato, in relazione alle questioni di sicurezza, alcune differenti tipologie di

leadership: trasformazionale (transformational leadership), tesa ad affrontare i continui

cambiamenti dell’azienda, ad attribuire importanza al benessere dei lavoratori, a motivarli,

ad andare incontro ai loro bisogni e ad aiutarli a raggiungimento delle loro potenzialità e la

leadership transazionale (transactional leadership) tesa piuttosto al raggiungimento degli

obiettivi in un momento dato più che a soddisfare i bisogni dei lavoratori e a pianificare

miglioramenti per il futuro.

Bass e Avolio hanno proposto una ulteriore distinzione all’interno della tipologia

transazionale, sulla base del grado di importanza attribuito alla salute del lavoratore:

leadership correttiva, che si esercita principalmente attraverso azioni di monitoraggio e

correzione degli errori dei lavoratori e implica un basso interesse nei confronti della

sicurezza dei lavoratori, leadership costruttiva, che si esercita principalmente attraverso

pratiche di ricompensa ed implica un livello medio di attenzione nei confronti della

sicurezza dei lavoratori e leadership laissez faire, che comporta una blanda assunzione di

responsabilità nell’esercizio del ruolo di supervisore implicando un basso livello di

interesse nei confronti del lavoratore.

I risultati di studi condotti in relazione agli effetti che esercita lo stile di leadership sul clima

di sicurezza hanno dimostrato che sia la leadership trasformazionale che quella

transazionale costruttiva sono positivamente associate ad un buon clima di sicurezza,

mentre gli stili correttivo e laissez faire sono negativamente associate al clima di

sicurezza.

Il clima di sicurezza e gli infortuni Un altro filone di ricerche ha preso in esame il clima di sicurezza e la messa in atto di

comportamenti sicuri ed i risultati degli studi condotti sono abbastanza univoci nel

confermare che esiste una relazione diretta: complessivamente, nelle aziende

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caratterizzate da un buon clima di sicurezza si registrano tassi di infortuni minori rispetto

alle aziende dove questo fattore riporta livelli più bassi21.

Negli anni numerosi studi e ricerche hanno posto in relazione il tasso di infortuni nelle

imprese con il clima di sicurezza; in sintesi, i risultati emersi sembrano indicare che il

clima di sicurezza che i lavoratori “respirano” all’interno delle organizzazioni costituisca

l’orizzonte normativo reale (al di là di quello formale) e che questo rappresenti la regola a

cui l’effettiva condotta dei singoli e dei gruppi deve attenersi.

Per questa ragione è plausibile affermare che il clima di sicurezza ricopra un importante

ruolo di “sfondo” rispetto ad altri fattori che interagiscono e che saranno presi in

considerazione in seguito.

Gli atteggiamenti verso la sicurezza Gli atteggiamenti individuali dei lavoratori verso la sicurezza che, come affermato in

precedenza, sono uno dei fattori che incidono sulla qualità del clima di sicurezza all’interno

di un’organizzazione, sono stati oggetto di ricerche da parte degli studiosi di psicologia

sociale e, nel corso degli anni, molti autori hanno fornito diverse definizioni del costrutto di

atteggiamento. Per compendiare le diverse interpretazioni, si può definire l’atteggiamento

come l’orientamento, positivo o negativo, di una persona verso un determinato oggetto

sociale (Eagly e Chaiken, 1993); la rappresentazione che un individuo si forma su ciò che

lo circonda non è una semplice descrizione di cose, fatti o persone ma è soprattutto una

valutazione su quanto è presente nel suo mondo sociale. Una delle concettualizzazioni

oggi più consolidate, il cosiddetto Modello tripartito, vede il costrutto psicologico di

atteggiamento come costituito da tre componenti: la componente cognitiva, ovvero le

credenze positive o negative che gli individui possiedono in relazione ad un determinato

oggetto, la componente affettiva, che riguarda le emozioni, positive o negative, che

l’oggetto suscita e la componente comportamentale.

L’orientamento verso un determinato oggetto sociale può, semplificando, formarsi

attraverso tre modalità principali: attraverso l’esperienza diretta, l’osservazione

dell’esperienza altrui e la comunicazione. Un atteggiamento risultante dall’esperienza

diretta sarà costituito da una forte associazione, depositata nella memoria e caratterizzata

da una maggiore o minore accessibilità, fra l’oggetto e la sua valutazione; la forza di

21 questa correlazione risulta molto meno significativa quando il rischio oggettivo sia legato ad un particolare

tipo di lavoro o di mansione.

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questa associazione sarà via via inferiore nel caso in cui sia stata memorizzata mediante

l’osservazione dell’esperienza altrui o come frutto della comunicazione.

Gli psicologi sociali hanno riservato una particolare attenzione al costrutto di

atteggiamento ritenendo che questo possa essere considerato un antecedente del

comportamento e quindi utile al fine di spiegare il comportamento umano in termini

scientifici; questo interesse è aumentato negli ultimi anni soprattutto in rapporto alle

possibilità che questi studi sugli atteggiamenti offrivano per capire come indurre

cambiamenti nei comportamenti (ad esempio i comportamenti di acquisto).

Gli atteggiamenti però non sono osservabili; possono essere indagati attraverso le risposte

delle persone o i loro comportamenti e da questi indicatori risalire alla valutazione

dell’individuo nei confronti di un dato oggetto. Gli studiosi hanno messo a punto scale per

la misurazione degli atteggiamenti per poter tradurre in un punteggio la posizione di un

individuo e sviluppare ricerche che producano risultati quantificabili e confrontabili.

Al ruolo svolto dagli atteggiamenti nella messa in atto dei comportamenti e al loro

potenziale predittivo è dedicato il capitolo successivo che riporta il dibattito fra gli studiosi,

le principali teorie elaborate ed alcune ricerche effettuate.

Percezione di controllo e locus of control La probabilità di mettere in atto comportamenti sicuri da parte di un individuo è, secondo

alcuni autori, in relazione con l’idea che le persone maturano sulla possibilità di incidere

sulla realtà che li circonda, cioè con il grado di controllo che ritengono di poter esercitare

sia in relazione ad una specifica situazione sia come orientamento personale.

Dal punto di vista situazionale e più specificamente in ambito lavorativo, Averill (1973) ha

individuato, in relazione al controllo sulla sicurezza, tre dimensioni: controllo

comportamentale (la possibilità concreta di mettere in atto azioni dirette a influenzare la

propria sicurezza), controllo cognitivo (la possibilità che l’importanza assegnata dal

lavoratore alla sicurezza influenzi l’orientamento generale) e controllo decisionale (cioè il

grado di libertà di scelta che il lavoratore sente di avere sulle pratiche di sicurezza).

Queste dimensioni sono state rilevate, nell’ambito di ricerche in contesti lavorativi,

attraverso l’accordo/disaccordo con affermazioni quali: “so che il mio atteggiamento riveste

un ruolo importante per lavorare in sicurezza” o “il rischio associato ad un determinato

evento può essere ridotto grazie all’utilizzo di specifici equipaggiamenti”, etc.

Alcuni studi hanno mostrato che all’aumentare della percezione di controllo da parte dei

lavoratori è associata una maggiore frequenza della messa in atto di comportamenti sicuri

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ed una riduzione degli infortuni autoriportati. Questo modello ha inoltre evidenziato che

una buona qualità delle politiche e dei programmi per la sicurezza all’interno di

un’organizzazione aumenta la percezione del grado di controllo che i lavoratori ritengono

di avere nel loro ambito lavorativo.

In relazione al grado di controllo come orientamento personale si definisce con il termine

locus of control la propensione ad attribuire la causalità degli eventi occorsi, positivi o

negativi, all’interno (quindi alla propria volontà, responsabilità, determinazione, impegno,

etc.) o all’esterno (agli altri, alla situazione, al fato, al caso, etc.).

Le numerose ricerche che hanno indagato, in ambito di sicurezza sul lavoro, la relazione

fra questa differente propensione all’attribuzione interna od esterna da parte delle persone

della causa degli accadimenti, hanno evidenziato risultati non omogenei; seppure questi

studi hanno consentito di tracciare differenti profili di lavoratore, non è stato possibile

metterli univocamente in relazione diretta con il fenomeno infortunistico.

Altri studi Nel 1991 Cox e Cox hanno studiato, all’interno di una grande azienda europea, gli

atteggiamenti dei lavoratori verso la sicurezza. Al termine della ricerca gli autori hanno

individuato alcuni fattori in base ai quali potevano essere strutturati i dati emersi e fra

questi hanno evidenziato in particolare: lo scetticismo personale, che comprende

percezioni improntate al cinismo e svalutative dell’importanza della sicurezza, la

responsabilità individuale, che mette in risalto l’impegno diretto che le persone sentono di

avere per lavorare in sicurezza e l’immunità personale, che esprime la credenza che gli

incidenti possano non riguardare l’interessato ed essere evitati in base all’expertise

personale e all’esperienza posseduta. Questo ultimo aspetto rientra nella più generale

tendenza, generalizzata nelle persone, a sottovalutare la probabilità che eventi negativi

possano accadere, nel futuro, proprio a loro stesse.

Un altro autore, Dejoy (1986), cercando di progettare delle strategie educative riguardanti

la salute nei contesti lavorativi, ha delineato tre categorie di fattori, compatibili con quelle

individuate dai Cox, che rivestono un ruolo di rilevo nella costruzione di una condotta

sicura da parte delle persone: fattori predisponenti, che riguardano le caratteristiche

personali come le credenze, gli atteggiamenti, i valori e le percezioni relative al

comportamento autoprotettivo, fattori abilitanti, che si riferiscono alle caratteristiche

dell’ambiente di lavoro che possono promuovere (informazione e formazione) o, al

contrario, rendere impraticabile un comportamento sicuro e fattori rinforzanti, che

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riguardano le ricompense o le punizioni, come conseguenza del comportamento adottato,

elargite o comminate da parte dei dirigenti.

3.4 La formazione alla sicurezza

Alla formazione alla sicurezza il D.Lgs 81/08 assegna particolare rilievo, definendolo un

processo educativo da indirizzare all’insieme delle figure aziendali coinvolte.

L’acquisizione della competenza è, in complessi sistemi socio-tecnici come le imprese, un

elemento sociale; la stessa persona, se inserita in contesti diversi, esprime un grado di

competenza differente in quanto trova differenti risorse a supporto della propria

prestazione. In una organizzazione o gruppo di lavoro, le risorse di ciascuno –

conoscenze, esperienze, attitudini, ecc – si integrano dando vita a un’inedita competenza

di rete (Le Boterf, 1999).

Inoltre, la competenza è talvolta trasversale a molti compiti e situazioni; il “saper fare bene

una tal cosa” deve essere integrato con il saper apprendere, il saper comunicare, saper

trovare risorse per operare, ecc. (Mearns, Flin e O’Connor, 2000).

Alcuni studiosi hanno indagato gli effetti della formazione al fine di valutarne l’efficacia

sulla messa in atto di comportamenti sicuri; sono state condotte ricerche con disegni

longitudinali, cioè confrontando il tasso di infortuni o il numero di comportamenti di

prevenzione adottati dai lavoratori prima e dopo l’intervento formativo ed altri con disegni

trasversali, indagando la medesima relazione ma tra lavoratori che hanno partecipato ad

attività formative ed altri che non vi hanno avuto accesso.

Uno studio di Burke, Sarpy, Tesluk e Smith Crowe (2002), effettuato presso quattro

organizzazioni inglesi, ha indagato la relazione tra le conoscenze acquisite attraverso

attività formative (approfondite vs vaste) e i comportamenti, rilevando che la profondità

delle conoscenze, rispetto alla loro vastità, è superiore nel predire comportamenti sicuri.

Un altro studio, condotto da Lingard (2002) in 25 piccole imprese edili australiane, ha

evidenziato che la formazione, in questa indagine sul primo soccorso, ha prodotto

cambiamenti di comportamento, una maggiore consapevolezza dell’interdipendenza con

gli altri e una diminuzione della tolleranza dell’esistenza di situazioni di rischio.

Se da queste ricerche emerge un effettivo incremento delle azioni di sicurezza a seguito

della frequenza ad attività formative in materia, occorre però osservare che non si tratta

sempre di cambiamenti veramente rilevanti e, in particolare, gli effetti riscontrati non sono

stabili nel tempo. L’effetto della formazione sul concreto cambiamento dei comportamenti

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appare condizionato da altri fattori che possono essere riassunti nel clima di sicurezza; il

processo di formazione, infatti, si colloca all’interno del contesto lavorativo ed è quindi in

relazione con il clima di sicurezza che in esso si sviluppa.

Formare alla sicurezza, alla salute e alla prevenzione significa quindi apportare un

profondo cambiamento culturale all’interno delle organizzazioni; non deve essere un

momento sporadico di intervento ma un percorso interno e integrato con il sistema

organizzativo, andando al di là della soddisfazione degli obblighi di legge per definire un

processo che parta dall’individuazione dei bisogni formativi e si concluda con la

valutazione dell’efficacia. Anche la sempre crescente diffusione di forme contrattuali

atipiche, caratterizzate da periodi brevi di presenza in impresa, è certamente un fattore

che contribuisce a rendere poco applicabile e scarsamente efficace l’attività formativa.

Dai risultati delle diverse ricerche non sono emerse indicazioni su quali tecniche formative

possano risultare più efficaci per garantire una stabilità dell’apprendimento nel tempo ed

una reale modificazione dei comportamenti di sicurezza. E’ possibile però identificare

almeno tre parametri che, di fatto, si ritrovano in ogni azione formativa: lo stile di

conduzione del momento formativo (accademico-frontale, attivo-in interazione), il focus

dell’azione formativa (sui contenuti, per far conoscere informazioni, o sui processi, per far

acquisire strategie di apprendimento) e il livello di strutturazione (aver definito con

precisione momenti e sequenze o lasciare che sia la situazione contingente a guidare lo

svolgimento dell’azione formativa). Una volta definito il tipo di azione, si potranno scegliere

le metodologie utili al raggiungimento degli specifici obiettivi didattici; l’appropriatezza dei

metodi è infatti da mettere in relazione con gli obiettivi didattici ed anche con le

caratteristiche dei partecipanti, i vincoli di tempo, le risorse, ecc.(Bisio e Favarano, 2003).

3.5 L’influenza delle caratteristiche socio-demografiche

Età anagrafica, anzianità di servizio e livello di istruzione sono alcune delle caratteristiche

socio-demografiche oggetto di numerose ricerche finalizzate ad individuare eventuali

correlazioni con il numero e la gravità degli infortuni sul lavoro.

I risultati di queste ricerche, in particolare quelle che hanno indagato la relazione fra età

anagrafica e infortuni, hanno evidenziato risultati non omogenei. Ad esempio, in alcuni

studi è emerso un maggior numero di infortuni a carico dei lavoratori più giovani, attribuito

alla scarsa esperienza maturata in ambito lavorativo; in altri, l’anzianità è risultata un

predittore significativo di sintomi psicologici, quali tensione, ansia e tristezza, unitamente a

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quelli fisici come nausea, insonnia, cefalea e dolori osteoarticolari che possono aumentare

la probabilità di incorrere in infortuni.

Altri fattori, la cui relazione con i comportamenti di sicurezza è, ad oggi, poco indagata,

quali il livello di istruzione, la motivazione, la soddisfazione lavorativa ed il livello di

responsabilità della mansione, possono risultare delle variabili rilevanti da tenere in

considerazione per ulteriori ricerche sulla sicurezza in ambito lavorativo.

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“Mio fratello era scrupolosissimo e amava il suo lavoro, si sentiva utile, perché senza manutentori i treni non possono viaggiare. Quella notte aveva alle spalle già 11 ore di lavoro; quando è stato chiamato domandò se poteva evitare di andare. Il capo gli disse: devi venire e basta”. Eileen Michelle Forsythe, sorella di Anthony Forsythe, morto sul lavoro nel 2007

CAPITOLO 4 - I PREDITTORI DEI COMPORTAMENTI A RISCHIO

4.1 Il quadro teorico

Nel capitolo precedente si è parlato del costrutto di atteggiamento, riportando una sintesi

delle numerose definizioni proposte dagli studiosi, del modo attraverso il quale si può

formare, della forza di questa associazione fra un oggetto sociale e la sua valutazione,

dell’accessibilità e del grado di sicurezza che può caratterizzarlo.

I primi studi che presero in considerazione l’atteggiamento come antecedente del

comportamento, risalgono agli anni ’30 (La Piere, 1934); le prime prove empiriche, come

anche le successive fino alla fine degli anni ’60, mostrarono una scarsa coerenza fra

l’atteggiamento nei confronti di un dato oggetto sociale ed il comportamento riferito o

osservato, riportando correlazioni basse e molto variabili fra le due misure.

L’idea che le persone si comportino in modo indipendente da come la pensano non era

però sostenibile; gli studiosi cercarono così di capire a quali condizioni la relazione fra

atteggiamento e comportamento potesse risultare significativa.

Fishbein e Ajzen, individuarono, quali limiti delle ricerche svolte, alcune questioni di

natura metodologica e suggerirono l’ipotesi che altri fattori, non indagati, potessero

svolgere un ruolo di moderazione tra atteggiamento e comportamento.

Secondo questi studiosi, molte delle ricerche effettuate, avevano considerato i due

costrutti ad un differente livello di specificità; frequentemente gli atteggiamenti erano stati

analizzati in termini generali (ad esempio, l’atteggiamento su temi molto “ampi” come

ecologia, inquinamento, etc.) mentre i comportamenti indagati erano molto più specifici

(riguardavano cioè precise azioni poste in essere). I due autori sostennero la necessità di

rispettare il “principio di compatibilità” fra i due indicatori e questo permise, negli studi

successivi, di rilevare una maggiore correlazione fra i due costrutti.

I fattori che svolgono un ruolo di moderazione sono invece quelle variabili che, modulando

gli indicatori, consentono di stabilire le condizioni nelle quali la relazione risulta più

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significativa; ad esempio, in relazione all’atteggiamento, la sua capacità predittiva del

comportamento aumenta quando questo si è formato per esperienza diretta, è accessibile

in memoria, è espresso con un buon livello di sicurezza, può cioè essere definito un

atteggiamento stabile.

Fra le numerose teorie che sono state elaborate sulla relazione fra atteggiamenti e

comportamenti, è di particolare interesse quella elaborata proprio da Fishbein e Ajzen nel

1975. La loro proposta concettuale, che prende il nome di Teoria dell’Azione Ragionata,

integra il costrutto di atteggiamento con altri importanti fattori per poter continuare a

considerare ovvio che la razionalità sia il motore dell’agire umano. Secondo gli autori i

comportamenti delle persone sono, in primis, frutto dell’intenzione di metterli in atto;

l’intenzione di intraprendere un determinato comportamento è originata, a sua volta, dalle

credenze dell’individuo circa le conseguenze del suo agire, unitamente ad una sua

valutazione degli esiti. L’atteggiamento di una persona nei confronti di un tema

considerato in maniera generica (ad esempio, la sicurezza sul lavoro) rappresenta il

contesto valutativo (di favore o sfavore verso la questione) entro il quale l’individuo prende

in considerazione le conseguenze, positive o negative, della messa in atto di un

comportamento specifico (ad esempio, indossare i dispositivi di protezione individuale);

sarebbe quindi, secondo gli autori, una determinante dell’intenzione non tanto

l’atteggiamento generico verso la sicurezza sul lavoro, quanto l’atteggiamento verso lo

specifico comportamento sicuro di adozione dei DPI e la valutazione delle sue

conseguenze. Un altro insieme di fattori presi in considerazione dalla Teoria dell’Azione

Ragionata sono il ruolo dell’ambiente sociale, che condiziona l’agire individuale e fornisce

norme condivise e la personale motivazione a corrispondere alle aspettative dei gruppi di

riferimento in termini di adeguatezza dei comportamenti alle diverse situazioni. In ambito

lavorativo assume pertanto un grande rilievo il clima di sicurezza in cui opera il lavoratore,

sia in relazione alla sua percezione di quanto posto in essere dall’impresa per la

salvaguardia della sicurezza delle persone sia in relazione alla considerazione e alle

aspettative che gli altri significativi (colleghi, datore di lavoro, familiari, etc.) hanno circa la

messa in atto di comportamenti sicuri. In un ambiente lavorativo nel quale le norme di

sicurezza, seppure cogenti, non sono percepite dal lavoratore come un principio che

governa le scelte dell’impresa e come una regola comportamentale che incide anche sulla

valutazione dei colleghi nei suoi confronti, è probabile che, pur in presenza di un

atteggiamento generico di favore verso la sicurezza, i comportamenti non siano coerenti.

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Figura 1: Teoria dell’Azione Ragionata

Questa teoria ricevette alcune critiche in relazione alla considerazione che il

comportamento spiegabile attraverso questa teoria è soltanto quello sotto il controllo

dell’individuo agente; è evidente che abitudini, dipendenze, stati emotivi acuti ed altri

comportamenti sono fuori dal controllo individuale. Per tenere conto di questi appunti,

Ajzen, nel 1988, riformulò questa proposta concettuale, integrandola con un’altra variabile:

la percezione di controllo comportamentale. La nuova teoria, che prese il nome di Teoria

del Comportamento Pianificato (nota con l’acronimo TPB), inserisce la percezione, da

parte dell’individuo, della facilità o della difficoltà di attuare un determinato comportamento;

questa nuova dimensione può, secondo l’autore, influire anche direttamente la messa in

atto di un comportamento.

Figura 2: Teoria del comportamento pianificato

4.2 Applicazioni della Teoria del Comportamento Pianificato

La teoria elaborata da Ajzen è stata utilizzata, negli anni successivi alla sua pubblicazione,

in diversi ambiti applicativi; numerose ricerche hanno assunto questo modello come

quadro teorico per indagare e spiegare, prevalentemente nell’ambito della salute, i

CREDENZE CIRCA LE CONSEGUENZE

CREDENZE CIRCA LE NORME SOCIALI

ATTEGGIAMENTO VERSO IL COMPORTAMENTO

PERCEZIONE DELLE ASPETTATIVE DEGLI ALTRI SIGNIFICATIVI

INTENZIONE COMPORTAMENTO

ATTEGGIAMENTO VERSO IL COMPORTAMENTO

PERCEZIONE DELLE ASPETTATIVE DEGLI ALTRI SIGNIFICATIVI

INTENZIONE COMPORTAMENTO

CONTROLLO COMPORTAMENTALE PERCEPITO

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comportamenti di prevenzione e tutela; dall’uso del preservativo ai test di prevenzione di

alcune malattie, dall’analisi dei comportamenti di consumo di cibo al consumo di droga.

Gli studi effettuati hanno evidenziato che, oltre ai fattori originari considerati dalla Teoria

del Comportamento Pianificato, altre variabili assumo un certo rilievo nel contribuire alla

spiegazione delle intenzioni e del comportamento.

Per la messa in atto di tutti quei comportamenti che hanno una dimensione morale ed

etica, le norme morali ( Beck e Ajzen, 1991 – Parker e al., 1995) esercitano un’influenza

importante; guidare senza rispettare i limiti di velocità o non utilizzare i DPI (violazione

delle norme) sono esemplificativi di comportamenti, sia rilevati (effettivi) che auto-riportati

(riferiti dalle persone oggetto di ricerca), ascrivibili a questa categoria.

Un’altra dimensione, inclusa nelle applicazioni che hanno utilizzato la Teoria del

Comportamento Pianificato come quadro di riferimento, è il comportamento passato

(Conner e Armitage, 1998); aver agito abitualmente in un certo modo in passato può

aumentare la probabilità che, in futuro, lo stesso individuo metta in atto la medesima

azione (Conner e al., 2007).

4.3 La teoria del comportamento pianificato e i comportamenti di trasgressione delle norme di sicurezza in ambito lavorativo

Uno studio recente (Quick, Stephenson, Witte, Vought, Booth-Butterfield e Patel, 2008),

condotto su un campione di 254 minatori americani, ha analizzato il comportamento di

utilizzo dei dispositivi di protezione dell’udito successivamente ad una campagna di

sensibilizzazione sull’argomento. Ai lavoratori è stato inviato per posta un questionario,

elaborato dai ricercatori inserendo i costrutti della teoria del comportamento pianificato; a

distanza di 6 settimane è stato somministrato un altro questionario per integrare la ricerca

con una rilevazione longitudinale. I ricercatori hanno rilevato che gli atteggiamenti nei

confronti dell’utilizzo delle cuffie di protezione e le norme sociali sono i migliori predittori

dell’intenzione di utilizzarli e che solo l’intenzione è predittore del comportamento effettivo.

Dopo le sei settimane, i risultati del secondo questionario hanno evidenziato che il potere

predittivo delle norme sociali si indebolisce e rimane stabile solo l’effetto

dell’atteggiamento verso il comportamento.

Rispetto alla numerosità degli studi effettuati in ambito di comportamenti di prevenzione e

tutela della salute, non sono molti gli studi che hanno applicato la Teoria del

Comportamento Pianificato allo studio dei comportamenti di sicurezza in ambito lavorativo.

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4.4 L’applicazione della Teoria del Comportamento Pianificato ai comportamenti di trasgressione delle norme di sicurezza: studio empirico fra lavoratori a Reggio Emilia

Procedura

Lo studio è stato condotto su un campione di lavoratori dipendenti, occupati presso due

aziende, una del settore dell’industria alimentare e l’altra del settore chimico, entrambe

appartenenti ad un gruppo aziendale con sede a Reggio Emilia; entrambe le imprese

gestiscono il proprio sistema sicurezza in conformità alla Norma OHSAS 18001:2007,

standard ufficiale in materia di salute e sicurezza sul lavoro.

La finalità dello studio è verificare quanto la Teoria del Comportamento Pianificato è in

grado di spiegare l’effettiva messa in atto dei comportamenti a rischio in ambito lavorativo;

nello specifico, la ricerca è stata effettuata in relazione all’utilizzo da parte dei lavoratori dei

Dispositivi di Protezione Individuale, previsti per le mansioni svolte dalla valutazione dei

rischi eseguita dall’impresa.

La tecnica utilizzata per l’indagine è stata la somministrazione ai partecipanti di due

questionari ad una settimana di distanza l’uno dall’altro (disegno longitudinale); per

associare allo stesso lavoratore il primo questionario con il secondo, e nel contempo

garantirne l’anonimato, sono stati inseriti dei campi codice da compilarsi a cura dei

partecipanti22.

Per la distribuzione e la raccolta dei questionari, avvenuta nel periodo luglio/novembre

2008, oltre alla necessaria autorizzazione accordata dal datore di lavoro, sono stati

coinvolti i Rappresentanti dei Lavoratori della Sicurezza presenti nelle diverse sedi

aziendali. Nel corso di un incontro preliminare sono state illustrate agli RLS le finalità della

ricerca e le domande presenti nel questionario; particolare attenzione è stata dedicata a

sottolineare la volontarietà della compilazione da parte dei lavoratori, la riservatezza

garantita ai dati raccolti e l’estraneità dell’azienda alla ricerca, al fine di contenere

l’eventualità di risposte dettate dalla desiderabilità sociale verso l’impresa.

Per la strutturazione del questionario sono stati operazionalizzati i costrutti della Teoria del

Comportamento Pianificato ai quali sono stati aggiunti altri due fattori, le norme morali e il

22 Garantire l’anonimato agli intervistati è molto importante per la veridicità delle risposte. Quando gli intervistati temono di essere identificati, come nel caso in cui si richiedano alcuni dati anagrafici, è possibile garantire il cosiddetto “segreto statistico”: all’inizio del questionario è stato dichiarato che “le informazioni raccolte saranno utilizzate esclusivamente a scopo scientifico nell’ambito universitario” e rese note solo sotto forma di dati globali, anonimi, non collegabili alle singole persone.

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comportamento abituale la cui inclusione ha dimostrato, in precedenti ricerche effettuate,

un aumento della predittività del modello.

In linea con il quadro teorico di riferimento, sono state formulate le seguenti ipotesi:

H1: ci si attende che le intenzioni di trasgressione di utilizzo dei DPI siano predette

dalla percezione di controllo sul comportamento sicuro

dagli atteggiamenti (con particolare riferimento alla componente affettiva

dell’atteggiamento) sull’utilizzo dei DPI

dalle norme sociali

Una scarsa percezione di controllo da parte dei lavoratori sulla messa in atto di

comportamenti sicuri, atteggiamenti ed emozioni negative nei confronti dell’utilizzo dei DPI

e una percezione di scarso supporto normativo da parte dei colleghi verso i comportamenti

di sicurezza dovrebbero portare ad una maggiore intenzione di trasgressione.

H2: ci si attende che l’inclusione degli altri due fattori, comportamento abituale di

trasgressione e norme morali, aumenti la capacità predittiva della Teoria del

Comportamento Pianificato.

H3: ci si attende che, al tempo 1 (primo questionario), più i lavoratori esprimono intenzioni

di trasgressione alle norme di utilizzo dei DPI, maggiore sarà la frequenza di

comportamenti di trasgressione rilevata al tempo 2 (secondo questionario, con riferimento

alla settimana intercorsa fra le due rilevazioni).

Campione

Prima di testare l’efficacia della Teoria del Comportamento Pianificato nello spiegare la

messa in atto di comportamenti a rischio per la sicurezza abbiamo analizzato i dati con un

approccio descrittivo.

Le tabelle che seguono descrivono, secondo variabili socio-demografiche e di

classificazione, i lavoratori che hanno partecipato alla rilevazione.

GENERE Frequenza Percentuale Percentuale di risposte valide

maschio 115 83,9 90,6 femmina 12 8,8 9,4

Totale 127 92,7 100,00 non hanno risposto 10 7,3

TOTALE 137 100,0

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CLASSE DI ETA’ Frequenza Percentuale Percentuale di

risposte valide Percentuale cumulativa

18-25 8 5,8 6,6 6,6 26-35 26 19,0 21,5 28,1 36-45 45 32,8 37,2 65,3 46-55 39 28,5 32,2 97,5 oltre 55 3 2,2 2,5 100,00

Totale 121 88,3 100,00 non hanno risposto 16 11,7

TOTALE 137 100,0

TITOLO DI STUDIO Frequenza Percentuale Percentuale di risposte valide

Percentuale cumulativa

Elementare 13 9,5 10,7 10,7 Media inferiore 62 45,3 51,2 62,0 Media superiore 46 33,6 38,0 100,0

Totale 121 88,3 100,0 non hanno risposto 16 11,7

TOTALE 137 100,0

ANZIANITÀ IN AZIENDA Frequenza Percentuale Percentuale di risposte valide

Percentuale cumulativa

Da 1 mese a 1 anno 8 5,8 6,2 6,2 Da 1 anno a 5 anni 18 13,1 14,0 20,2 Da 5 a 10 anni 29 21,2 22,5 42,6 Da 10 a 20 anni 47 34,3 36,4 79,1 Da più di 20 anni 27 19,7 20,9 100,0

Totale 129 94,2 100,0 non hanno risposto 8 11,7

TOTALE 137 100,0

REPARTO/SETTORE Frequenza Percentuale Manutenzione alimentare 10 7,3 Autotrasportatori alimentare 7 5,1 Miscelazione alimentare 34 24,8 Confezionamento alimentare 24 17,5 Manutenzione Molitorio alimentare 1 0,7 Molitorio alimentare 7 5,1 Pet Food alimentare 3 2,2 Fertilizzanti chimico 35 25,5 Agro chimico 16 11,7

TOTALE 137 100,0

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TIPO DI CONTRATTO Frequenza Percentuale Percentuale di risposte valide

Tempo indeterminato 112 81,8 91,1 Tempo determinato 10 7,3 8,1 interinale 1 0,7 0,8

Totale 123 89,8 100,0 non hanno risposto 14 10,2

TOTALE 137 100,0

ORARIO DI LAVORO Frequenza Percentuale Percentuale di risposte valide

Normale 45 32,8 42,9 Turno 60 43,8 57,1

Totale 105 76,6 100,0 non hanno risposto 32 23,4

TOTALE 137 100,0

HA SVOLTO CORSI DI FORMAZIONE ALLA SICUREZZA IN QUESTA AZIENDA

Frequenza Percentuale Percentuale di risposte valide

NO 36 26,3 28,1 SI 92 67,2 71,9

Totale 128 93,4 100,0 non hanno risposto 9 6,6

TOTALE 137 100,0

IN QUALE ANNO HA PARTECIPATO A CORSI DI FORMAZIONE ALLA SICUREZZA IN QUESTA AZIENDA

Frequenza Percentuale

Non indicato 89 65,5 1998 1 0,7 2000 1 0,7 2001 1 0,7 2002 1 0,7 2003 3 2,2 2004 1 0,7 2005 3 2,2 2007 4 2,9 2008 33 24,1

TOTALE 137 100,0

Dalle tabelle riportate, si possono riassumere alcuni dati: il 90,6 % dei partecipanti sono

uomini, il 28,1% di età inferiore ai 25 anni, il 37,2% ha un’età compresa tra i 26 e i 35 anni,

il 32,2% tra i 46 e i 55 anni. Il 20,2% lavora in azienda da meno di 5 anni ed il 36,4% da 10

a 20 anni; nel 91,1% con un contratto a tempo indeterminato. Il titolo di studio conseguito

è nel 51,2% dei casi il diploma di scuola media inferiore. In relazione alla formazione sulla

sicurezza il 67,2% ha risposto di aver svolto corsi all’interno dell’azienda anche se nel

65,5% dei casi non ha indicato in quale anno; il 24,1% riporta di aver frequentato

un’attività formativa in materia di sicurezza nell’anno 2008.

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Misure

Il questionario sottoposto ai partecipanti è stato costruito in differenti versioni in relazione

ai dispositivi di protezione individuale obbligatori per il reparto di appartenenza dei

lavoratori; poiché ogni singola misura inclusa è stata declinata per ogni dispositivo e,

generalmente, si ritiene accettabile un questionario che non contenga più di 20 domande

ed un tempo di 10-20 minuti per la sua compilazione, sono stati individuati, tra quelli

obbligatori, tre dispositivi per ogni tipologia di questionario. I dispositivi considerati sono i

seguenti: indumenti da lavoro, mascherine di protezione, tappi e cuffie di protezione,

scarpe antinfortunistiche, guanti da lavoro, casco di protezione, cinture anticaduta e

occhiali di protezione.

I rispondenti al questionario dovevano compiere una scelta per ogni risposta da compilare

sulla base di una scala graduata, da 1 a 7 punti ai cui estremi è stata associata una

categoria verbale: 1=per niente d’accordo, 7=totalmente d’accordo. Le posizioni

intermedie, senza etichetta verbale, consentivano una gradazione del giudizio tra le due

posizioni estreme in relazione all’oggetto di indagine.

Di seguito sono riportate le misure incluse nel questionario secondo il quadro teorico di

riferimento:

Atteggiamenti nei confronti dell’utilizzo del DPI: è stato calcolato un punteggio di credenze

negative a partire da 2 item (esempio di credenza negativa: “L’utilizzo della cintura

anticaduta causa un rallentamento della produzione”) e un punteggio di credenze positive

a partire da altri 2 item (esempio di credenza positiva: “Se utilizzo il casco di protezione

posso evitare di avere un infortunio”).

Per ottenere l’indice di atteggiamento positivo e negativo, i valori medi delle credenze

positive e negative sono stati moltiplicati, rispettivamente, per il punteggio assegnato dai

partecipanti a un item di valutazione dell’importanza attribuita alla credenza positiva (“La

sicurezza sul posto di lavoro è molto importante per me”) e negativa (“Per me è molto

importante terminare il mio compito il prima possibile”). Infine, per creare un indice di

atteggiamento generale, è stata calcolata la media dei due punteggi sopra descritti.

Percezione di controllo: è stato calcolato un indice di percezione di controllo sull’utilizzo

dei DPI a partire dalla media delle risposte a 2 item (1.”Per me utilizzare i dispositivi di

protezione individuale è facile” 2. “Posso facilmente superare le difficoltà che comporta

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usare i dispositivi di protezione individuale”). A punteggio maggiore corrisponde una

maggiore percezione di controllo sull’utilizzo dei DPI da parte dei lavoratori.

Emozioni nei confronti dell’utilizzo dei DPI: è stato calcolato un indice di emozioni a partire

dalle risposte date dai partecipanti a 4 item: 2 relativi ad emozioni negative (esempio di

item di emozioni negative: “Indossare le scarpe antinfortunistiche mentre svolgo il mio

lavoro mi disturba”) e 2 relativi ad emozioni positive (esempio di item di emozioni positive:

“Indossare la mascherina mentre svolgo il mio lavoro mi rassicura”). A punteggio maggiore

corrispondono emozioni più positive.

Norme sociali: è stato introdotto un item volto a misurare la percezione da parte dei

lavoratori delle aspettative dei colleghi circa la messa in atto di comportamenti di sicurezza

(“I miei colleghi pensano che io dovrei utilizzare la cintura anticaduta”). E’ stato inoltre

introdotto un item per misurare l’importanza che il lavoratore assegna alle opinioni dei

colleghi circa i temi riguardanti la sicurezza (“”Quello che pensano sulla sicurezza i miei

colleghi è molto importante per me”). Al fine di creare un indice di norme sociali è stata

calcolata la media delle risposte all’item delle aspettative e questo valore moltiplicato per il

punteggio assegnato al secondo (importanza).

Intenzione di trasgressione: sono stati inclusi 4 item per misurare le intenzioni di

trasgressione (esempio: “Ho intenzione di utilizzare i guanti nei prossimi giorni”); uno di

questi è stato formulato in modo da cercare di minimizzare gli effetti di desiderabilità

sociale poiché il comportamento è sanzionato dalle normative vigenti (“Penso che nelle

prossime settimane mi capiterà di non utilizzare le scarpe antinfortunistiche”). E’ stato poi

calcolato un indice di intenzione di trasgressione all’utilizzo dei DPI a partire dalla media

delle risposte. A punteggio maggiore corrisponde una maggiore intenzione di

trasgressione delle norme di sicurezza.

Dopo la presentazione di come sono state indagate le misure incluse dalla Teoria del

Comportamento Pianificato, si riporta quella relativa ai due costrutti cha sono stati utilizzati

per aumentare il potere predittivo della teoria.

Norme morali: è stato calcolato un indice di norme morali a partire dalla media delle

risposte a 3 item (esempio: “Penso che sia molto sbagliato non utilizzare i guanti di

protezione nelle aree in cui sono richiesti”).

Comportamento abituale di trasgressione: è stato introdotto un item in cui si chiedeva ai

lavoratori di indicare con quale frequenza capita loro di mettere in atto comportamenti di

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trasgressione di utilizzo dei DPI (esempio: “Le capita di non utilizzare gli occhiali di

protezione nelle aree in cui è obbligatorio?”). E’ stato poi calcolato il punteggio medio delle

risposte date. Per la misura del comportamento è stata utilizzata una scala graduata a 4

punti, da 1= mai a 4= sempre e ad ogni punteggio intermedio è stata associata una

categoria verbale. A punteggio maggiore corrisponde maggiore frequenza di

comportamenti di trasgressione.

Come si è detto in precedenza, la ricerca è stata effettuata secondo un disegno

longitudinale che prevedeva la somministrazione di un secondo questionario ad un tempo

2 (una settimana dopo la compilazione del primo); la seconda rilevazione era composta di

sole tre domande in cui si chiedeva di riportare la frequenza di trasgressione all’utilizzo dei

DPI, i medesimi della precedente indagine, nella settimana trascorsa (esempio: “nella

settimana passata le è capitato di non indossare gli indumenti da lavoro?”). La scala

utilizzata per le risposte è stata quella a 4 punti utilizzata per il comportamento abituale. A

punteggio maggiore corrisponde una maggiore frequenza di trasgressione.

Risultati

Nelle tabelle e nei grafici che seguono si evidenziano i risultati per ogni misura.

Il numero delle risposte è pari al numero dei lavoratori per i quali, nel questionario costruito per reparto di appartenenza, era incluso il DPI indicato.

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CREDENZE POSITIVE

DPI tappi e cuffie mascherina occhiali cinture

anticadutaindumenti da

lavoro casco scarpe antinfortunistiche guanti

n. risposte 89 103 17 13 74 24 25 82 Media 5,75 6,11 6,06 5,23 5,38 6,02 5,92 6,3

CUFFIE E TAPPI DI PROTEZIONE

MASCHERINA

OCCHIALI

CINTURE ANTICADUTA

INDUMENTI DA LAVORO

CASCO

SCARPE ANTINFORTUNISTICHE

GUANTI

0 1 2 3 4 5 6 7

MEDIA

I punteggi risultanti dalle domande che includevano le credenze positive mostrano che i

lavoratori ritengono che l’utilizzo dei DPI possa effettivamente aumentare la loro sicurezza

e possa evitare loro di riportare lesioni nello svolgimento della propria mansione.

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CREDENZE NEGATIVE

DPI tappi e cuffie mascherina occhiali cinture

anticadutaindumenti da lavoro casco scarpe

antinfortunistiche guanti

n. risposte 89 103 17 13 74 24 25 82 media 2,29 1,98 3,44 4,34 1,53 1,67 1,18 2,59

CUFFIE E TAPPI DI PROTEZIONE

MASCHERINA

OCCHIALI

CINTURE ANTICADUTA

INDUMENTI DA LAVORO

CASCO

SCARPE ANTINFORTUNISTICHE

GUANTI

0 1 2 3 4 5 6 7

MEDIA

Dalle medie rilevate si osserva che, in generale, i lavoratori non hanno credenze negative

verso l’utilizzo dei DPI; la media più alta riscontrata è quella relativa alla cintura anticaduta

che viene più frequentemente ritenuta dai partecipanti un ingombro ed un ostacolo per lo

svolgimento della propria mansione, soprattutto in relazione ai tempi di esecuzione delle

attività.

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EMOZIONI POSITIVE

DPI tappi e cuffie mascherina occhiali cinture

anticadutaindumenti da lavoro casco scarpe

antinfortunistiche guanti

n. risposte 89 103 17 13 74 24 25 82 media 5,57 5,64 5,06 4,61 5,18 5,4 5,78 5,57

CUFFIE E TAPPI DI PROTEZIONE

MASCHERINA

OCCHIALI

CINTURE ANTICADUTA

INDUMENTI DA LAVORO

CASCO

SCARPE ANTINFORTUNISTICHE

GUANTI

0 1 2 3 4 5 6 7

MEDIA Le risposte dei partecipanti alle domande relative alle emozioni positive evidenziano medie

piuttosto prossime al totale accordo con le affermazioni proposte: tranquillità e

rassicurazione sono i sentimenti che i lavoratori associano all’utilizzo dei dispositivi di

protezione individuale.

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EMOZIONI NEGATIVE

DPI tappi e cuffie mascherina occhiali cinture

anticadutaindumenti da lavoro casco scarpe

antinfortunistiche guanti

n. risposte 89 103 17 13 74 24 25 82 media 3,30 3,69 4,56 4,69 1,95 2,58 1,76 0,25

CUFFIE E TAPPI DI PROTEZIONE

MASCHERINA

OCCHIALI

CINTURE ANTICADUTA

INDUMENTI DA LAVORO

CASCO

SCARPE ANTINFORTUNISTICHE

GUANTI

0 1 2 3 4 5 6 7

MEDIA I dati riscontrati relativamente alla componente affettiva dell’atteggiamento, le emozioni,

evidenziano che la cintura anticaduta è il DPI che, in generale, provoca maggiori emozioni

negative (disturbo, fastidio, ecc).

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PERCEZIONE DI CONTROLLO

DPI tappi e cuffie mascherina occhiali cinture

anticadutaindumenti da lavoro casco scarpe

antinfortunistiche guanti

n. risposte 89 103 17 13 74 24 25 82 media 6,02 5,47 4,41 4,80 6,02 5,93 6,16 6,09

CUFFIE E TAPPI DI PROTEZIONE

MASCHERINA

OCCHIALI

CINTURE ANTICADUTA

INDUMENTI DA LAVORO

CASCO

SCARPE ANTINFORTUNISTICHE

GUANTI

0 1 2 3 4 5 6 7

MEDIA In relazione alle domande che indagavano la percezione di controllo sulla messa in atto di

comportamenti sicuri, come indossare i DPI, le medie evidenziano che i lavoratori sono

generalmente d’accordo sul fatto che utilizzare i dispositivi messi a loro disposizione non

comporti particolari difficoltà e che questo dipenda, in larga misura, esclusivamente dalla

propria volontà a farlo. Anche in relazione alle opportunità di partecipazione alle decisioni

e alle attività relative alla sicurezza, i partecipanti si esprimono favorevolmente.

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NORME SOCIALI

DPI tappi e cuffie mascherina occhiali cinture

anticadutaindumenti da lavoro casco scarpe

antinfortunistiche guanti

n. risposte 88 101 16 13 72 23 25 81 media 5,43 5,23 4,81 4,00 5,41 5,17 5,96 5,16

CUFFIE E TAPPI DI PROTEZIONE

MASCHERINA

OCCHIALI

CINTURE ANTICADUTA

INDUMENTI DA LAVORO

CASCO

SCARPE ANTINFORTUNISTICHE

GUANTI

0 1 2 3 4 5 6 7

MEDIA I dati risultanti dalle risposte circa le aspettative dei colleghi sull’utilizzo dei DPI e

l’importanza che a queste viene attribuita dai lavoratori evidenziano il particolare rilievo di

questa variabile di carattere sociale. I lavoratori ritengono importanti, nel determinare la

propria condotta, le opinioni dei colleghi sui temi della sicurezza e le valutazioni che questi

esprimono su chi mette in atto comportamenti sicuri; l’accettazione da parte del gruppo e il

clima di sicurezza percepito in ambito lavorativo sono fattori psicosociali in grado di

influenzare i comportamenti individuali.

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INTENZIONE DI TRASGRESSIONE

DPI tappi e cuffie mascherina occhiali cinture

anticadutaindumenti da lavoro casco scarpe

antinfortunistiche guanti

n. risposte 89 103 82 13 73 24 25 81 media 2,46 2,63 2,64 3,61 2,11 2,51 1,87 2,68

CUFFIE E TAPPI DI PROTEZIONE

MASCHERINA

OCCHIALI

CINTURE ANTICADUTA

INDUMENTI DA LAVORO

CASCO

SCARPE ANTINFORTUNISTICHE

GUANTI

0 1 2 3 4 5 6 7

MEDIA L’intenzione di trasgressione, oltre a rappresentare una variabile dipendente della ricerca,

è stata anche indagata attraverso l’inclusione di 4 item. I dati risultanti dalle risposte circa

l’intenzione di trasgressione nell’utilizzo dei DPI evidenziano valori medi generalmente

piuttosto bassi, con un dato più elevato per la cintura anticaduta che, come si ricava dalle

tabelle precedenti, è il dispositivo per il quale i lavoratori esprimono atteggiamenti

(credenze ed emozioni) più negativi.

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Test della teoria

Per verificare le ipotesi formulate inizialmente, l’analisi di regressione è stata condotta in

due fasi. Nella prima fase sono state inserite le variabili previste dalla Teoria del

Comportamento Pianificato (atteggiamenti, sia la componente cognitiva – credenze, che

quella affettiva - emozioni, la percezione di controllo e le norme sociali); nella seconda

sono state incluse le norme morali e il comportamento abituale.

I dati elaborati nella prima fase di analisi mostrano che i predittori considerati dalla Teoria

del Comportamento Pianificato spiegano il 54,2% della varianza; i fattori che influenzano

significativamente le intenzioni di trasgressione delle norme di sicurezza (figura 1) sono gli

atteggiamenti (credenze ed emozioni) e la percezione di controllo sull’utilizzo dei DPI da

parte dei lavoratori.

In linea con la prima ipotesi formulata, più i partecipanti dichiarano di avere credenze ed

emozioni positive nei confronti dell’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale ed una

buona percezione di controllo sul loro utilizzo, minore è l’intenzione autoriportata di

trasgredire le norme di sicurezza aziendali. Non risulta invece significativa l’influenza delle

norme sociali sull’intenzione di trasgressione.

Nella figura sottostante si riportano i valori riscontrati per le misure che sono risultate

statisticamente significative quali predittori dell’intenzione di trasgressione.

Il segno meno indica una correlazione negativa

Intenzione di trasgressione

Percezione di controllo

Emozioni positive

Atteggiamenti

-.174*

-.282*

-.366**

* p<.01 **p<.005 R2=.542 Figura 1

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Per verificare la seconda ipotesi formulata, nel secondo passo dell’analisi di regressione

sono state incluse altre due variabili: le norme morali e il comportamento abituale di

trasgressione; in relazione al comportamento si riportano le tabelle con i dati della

rilevazione al tempo 1 (prima rilevazione) e al tempo 2 (secondo questionario

somministrato dopo una settimana dalla prima rilevazione).

NORME MORALI

DPI tappi e cuffie mascherina occhiali cinture

anticadutaindumenti da lavoro casco scarpe

antinfortunistiche guanti

n. risposte 89 103 17 13 74 24 25 82 media 5,25 5,31 5,66 4,59 5,02 5,49 5,75 5,11

CUFFIE E TAPPI DI PROTEZIONE

MASCHERINA

OCCHIALI

CINTURE ANTICADUTA

INDUMENTI DA LAVORO

CASCO

SCARPE ANTINFORTUNISTICHE

GUANTI

0 1 2 3 4 5 6 7

MEDIA

Le risposte alle domande che indagavano gli aspetti morali che appartengono alla sfera

individuale, cioè le convinzioni personali su cosa sia giusto e cosa sia sbagliato, hanno

evidenziato che per i lavoratori l’adesione alle regole e alle norme in materia di sicurezza,

è un fattore abbastanza rilevante che partecipa a determinare quali comportamenti

mettere o meno in atto.

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COMPORTAMENTO ABITUALE DI TRASGRESSIONE (tempo 1)

DPI tappi e cuffie mascherina occhiali cinture

anticadutaindumenti da lavoro casco scarpe

antinfortunistiche guanti

n. risposte 87 101 17 13 72 8 25 80 media 2,03 2,00 1,76 3,08 1,55 2,25 2,04 2,51

CUFFIE E TAPPI DI PROTEZIONE

MASCHERINA

OCCHIALI

CINTURE ANTICADUTA

INDUMENTI DA LAVORO

CASCO

SCARPE ANTINFORTUNISTICHE

GUANTI

0 1 2 3 4 5 6 7

MEDIA

I risultati rilevati hanno evidenziato medie piuttosto basse di trasgressione autoriportata; in

relazione a questo dato occorre però tenere presente la mancanza di un orizzonte

temporale preciso, che può incidere sul ricordo e quindi sulla attendibilità delle risposte.

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Hanno compilato il 2° questionario Frequenza Percentuale SI 122 89,1 NO 15 10,9

Totale 137 100,00

COMPORTAMENTO ABITUALE DI TRASGRESSIONE (tempo 2)

DPI tappi e cuffie mascherina occhiali cinture

anticadutaindumenti da lavoro casco scarpe

antinfortunistiche guanti

n. risposte 75 89 17 11 60 7 25 82 media 1,79 1,49 2,06 2,91 1,48 1,43 1,48 1,34

CUFFIE E TAPPI DI PROTEZIONE

MASCHERINA

OCCHIALI

CINTURE ANTICADUTA

INDUMENTI DA LAVORO

CASCO

SCARPE ANTINFORTUNISTICHE

GUANTI

0 1 2 3 4 5 6 7

MEDIA

Attraverso la seconda rilevazione, effettuata dopo una settimana, si è cercato di limitare

l’effetto di distorsione del ricordo, proponendo ai partecipanti di rispondere alle domande

circa i comportamenti di trasgressione facendo riferimento al recente periodo intercorso fra

il primo e il secondo questionario. Le medie rilevate non sono state significativamente

differenti rispetto a quelle precedenti; occorre però tenere conto che tali comportamenti

sono sanzionati e pertanto le persone possono essere riluttanti a dichiararli.

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La seconda ipotesi formulata, secondo la quale le norme morali e il comportamento

abituale migliorano il potere predittivo della Teoria del Comportamento Pianificato è stata

completamente confermata dalla seconda parte dell’analisi. L’introduzione di queste due

variabili aumenta la predittività del modello di spiegazione delle intenzioni di trasgressione,

portando la quota di varianza spiegata dal 54,2% al 65,2% (figura 2).

Il mettere in atto con continuità comportamenti di trasgressione delle norme porta ad un

aumento delle intenzioni a reiterare il medesimo comportamento. Al contrario, più i

partecipanti percepiscono la trasgressione alle norme come una violazione dei propri

principi morali, minore è l’intenzione di trasgressione rilevata.

Con l’introduzione delle ultime due variabili si verifica una variazione delle percentuali con

cui le misure classiche della Teoria del Comportamento Pianificato concorrono alla

predittività del modello; gli atteggiamenti e la percezione di controllo sull’utilizzo dei DPI

rimangono significativi mentre, rispetto alla prima analisi di regressione, l’effetto delle

emozioni diventa statisticamente non significativo.

Il segno meno indica una correlazione negativa

Intenzione di trasgressione Percezione di controllo

Emozioni

Atteggiamento -.133*

-.148

-.375**

-.156*

Norme morali

.306** Comportamento

abituale di trasgressione

Nota: **p<.005; *p<.05 R2= . 652 Figura 2

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La terza ipotesi formulata all’inizio della ricerca, secondo la quale più i lavoratori, al tempo

di compilazione del primo questionario, avessero espresso intenzioni di trasgressione alle

norme di utilizzo dei DPI, maggiore sarebbe stata la frequenza di comportamenti di

trasgressione rilevata nel secondo questionario, non è stata verificata.

Le intenzioni di trasgressione, che nel modello della Teoria del Comportamento

Pianificato, rappresentano l’antecedente diretto del comportamento, non predicono in

maniera significativa i comportamenti di trasgressione delle norme sull’utilizzo dei DPI

rilevati al tempo 2.

Dai risultati emerge che i comportamenti effettivi di trasgressione sono predetti in maniera

diretta solo dalle norme sociali.

COMPORTAMENTO DI TRASGRESSIONE NORME SOCIALI

-.259*

Nota: *p=.05 Figura 3

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CONCLUSIONI

Come si è visto nei commenti ai risultati delle diverse fasi dell’analisi, le ipotesi formulate

inizialmente sono state solo parzialmente verificate; alcuni dei fattori inclusi nel modello

della Teoria del Comportamento Pianificato si sono rivelati buoni predittori dell’intenzione

di trasgressione delle norme di sicurezza aziendali. Atteggiamenti ed emozioni nei

confronti dell’utilizzo dei DPI e la percezione di controllo sul comportamento danno conto

di una quota rilevante della varianza della variabile dipendente, l’intenzione di

trasgressione, mentre le norme sociali non hanno un’influenza significativa.

L’introduzione delle altre due variabili, norme morali e comportamento abituale, aumenta

in modo significativo il potere predittivo del modello.

Per quel che riguarda il comportamento effettivo, variabile dipendente dell’intenzione di

trasgressione, le ipotesi non sono state confermate: le intenzioni di trasgressione delle

norme di sicurezza non predicono in modo significativo i comportamenti effettivi dei

lavoratori. Risultano invece buoni predittori le norme sociali; i lavoratori trasgrediscono le

norme di utilizzo dei DPI non tanto perché hanno già intenzione di farlo quanto perché,

nelle situazioni concrete, all’interno del proprio contesto lavorativo, assegnano a ciò che

pensano i colleghi un ruolo rilevante. Ad esempio, la percezione da parte di un lavoratore

che i colleghi o la dirigenza non vedano nel rispetto delle norme di sicurezza un

comportamento meritevole o, addirittura, che questo venga ritenuto un problema per lo

svolgimento della mansione, può rappresentare un fattore significativo per la messa in atto

di comportamenti non sicuri.

I fattori di natura individuale, come atteggiamenti, emozioni e percezione di controllo

influenzano le dichiarazioni dei partecipanti circa le intenzioni di trasgressione mentre per

la messa in atto dei comportamenti di sicurezza i lavoratori sono influenzati dalla pressioni

sociali, in particolare dalle aspettative di chi appartiene allo stesso contesto lavorativo. La

percezione di come la pensano gli altri significativi e di come l’azienda gestisce la

sicurezza influenza il comportamento del lavoratore; l’”atmosfera” che i lavoratori

avvertono nel proprio luogo di lavoro, quello che è stato definito il clima di sicurezza

presente in un’impresa, costituisce l’orizzonte normativo reale e rappresenta la regola a

cui l’effettivo operare dei singoli e dei gruppi deve attenersi. Pertanto, anche a fronte di

dichiarazioni di intenzione ad operare in modo sicuro, nel momento in cui i lavoratori si

trovano a mettere in atto concretamente un determinato comportamento, entrano in gioco

fattori di natura psicosociale.

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Ed è proprio questa matrice psicosociale del comportamento lavorativo che può fornire un

importante spunto di riflessione, con particolare riferimento alla formazione per la

prevenzione dei comportamenti a rischio e degli infortuni sul lavoro. L’unità di analisi delle

esigenze per la progettazione delle attività formative dovrebbe essere non tanto e non solo

il singolo lavoratore quanto i gruppi e le squadre di lavoro e l’impresa nel suo insieme, con

particolare attenzione alle relazioni che si instaurano tra le figure che operano all’interno di

un sistema di sicurezza aziendale; dirigenza, RLS, preposti e lavoratori. E’ infatti

necessario conoscere queste dinamiche per poter intervenire qualora queste portino a

comportamenti non sicuri; la percezione da parte del lavoratore che l’intera organizzazione

si interessi e si occupi del suo benessere lavorativo aumenta i comportamenti di sicurezza

autoriportati23.

Una cultura della sicurezza fondata solo sulle norme, il cui elemento rilevante non può che

essere la sanzione, con il rischio che, in assenza di controlli puntuali, questa perda

d’effetto fino a “nascondere” la reale sanzione dei comportamenti a rischio, cioè la

diminuzione del benessere lavorativo, può essere efficacemente integrata da strategie

organizzative che portino a sviluppare un clima d’impresa favorevole alla sicurezza. Con

particolare riferimento ai costrutti psico-sociali di carattere organizzativo, il cui rilievo è

emerso dai risultati di questa ricerca, possono essere individuati alcuni fattori che

potrebbero essere in grado di innescare, in un gruppo di lavoro o in un’impresa, un circolo

virtuoso che porti a sviluppare un clima favorevole alla sicurezza. La valorizzazione di

comportamenti innovativi positivi, una leadership che non si limiti al controllo della

conformità alle norme ma faciliti l’assunzione di possibilità positive e la comprensione dei

collegamenti tra le condotte lavorative e i loro esiti, l’orientamento alla creazione di gruppi

di lavoro in grado di apprendere, non solo in termini adattivi, ma capaci di innescare

dinamiche positive di cambiamento, possono rappresentare alcune opportunità per le

imprese per arrivare alla modificazione di modalità disfunzionali a favore di prassi

operative in grado di garantire la salute e la sicurezza dei lavoratori.

23 Il presente lavoro di ricerca “soffre” certamente del limite relativo alla natura self report dei dati rilevati; i partecipanti, nel riportare la frequenza dei comportamenti di trasgressione, possono aver risposto sulla base di ricordi non precisi ed anche sulla base della desiderabilità sociale insita in comportamenti sanzionabili. In ricerche future questo limite potrebbe essere superato utilizzando anche misure del comportamento osservato al fine di verificare il potere predittivo della teoria limitando i fattori di distorsione.

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Bibliografia Le testimonianze riportate all’inizio dei capitoli sono tratte dal libro “Morti Bianche” di Samanta Di Persio, (2008), Ed.Casaleggio Associati Ajzen, I. (1988), Attitude, personality and behaviour. Milton Keynes: Open University Press. Ajzen, I. (1991), The theory of planned behaviour. Organizational Behaviour and Human Decision Processes 50, 179–211 Averill, J. R. (1973), Personal control over aversive stimuli and its relationship to stress. Psychological Bulletin, 80, 286-303. Bass ,B. M., & Avolio, B. J. (1997), Full range leadership development: manual for the MLQ. Palo Alto: Mind Garden. Beck, L., & Ajzen, I. (1991), Predicting dishonest actions using the theory of planned behavior. Journal of Research in Personality, 25, 285-301. Bisio C., Favarano P., (2003) “Migliorare le competenze attraverso una formazione efficace: didattica per la sicurezza lavorativa”, Fattore umano e sicurezza sul lavoro, Ed. Unicopli Burke m., Sarpy S., Tesluk P., Smith Crowe K., (2002), “General safety Performance: A Test of a Grounded Theoretical Model”, Personnel Psychology, n. 2, pp.429-457 Cavadi G., Roncato S., (2003), “Ergonomia e sicurezza”, Fattore umano e sicurezza sul lavoro, Ed Unicopli Cheyne, A., Cox, S., Oliver, A., & Tomas, J. M. (1998), Modelling safety climate in the prediction of levels of safety activity. Work and Stress, 12, 255-271. Chmiel N., (2000) Tecnologia e Lavoro, ed Il Mulino, Bologna Conner, M., & Armitage, C. J. (1998), Extending the theory of planned behavior: A review and avenues for further research. Journal of Applied Social Psychology, 28, 1429-1464 Conner, M., Lawton, R., Parker, D., Chorlton, K., Manstead, A. S.R., & Stradling, S. (2007), Application of the theory of planned behaviour to the prediction of objectively assessed breaking of posted speed limits. British Journal of Psychology, 98, 429-453 Cox, S. J., & Cox, T. (1991), The structure of employee attitudes to safety: a European example. Work & Stress, 5, 93-106. D. Dejoy, (1986), A behavioural-diagnostic model for self-protective behaviour in the workplace Dembe E.A., J.B. Erickson, R.G. Delbos, (2005), “L'effetto di ore straordinarie e delle ore lunghe del lavoro sulle lesioni e sulle malattie professionali: nuova prova dagli Stati Uniti”. Dembe, A. E., Erikson J. B., & Delbos, R. (2004), Predictor of work-related injury and illness: national survey finding. Journal of Occupational and Environmental Hygiene, 1, 542-550 Depolo M. (1998), L’ingresso nel mondo del lavoro: i comportamenti di individui e organizzazioni. Ed. Carocci

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73

Depolo M. (1998), Psicologia delle organizzazioni. Ed. Il Mulino, Bologna Denison, D. R. (1996), What is the difference between organizational culture and organizational Climate? A native's point of view on a decade of paradigm war. The Academy of Management review, 21, pp. 619-654. Fishbein, M. & Ajzen, I. (1975), Belief, attitude, intention, and behavior. An introduction to theory and research. Reading: Addison-Wesley. Flin, R., Mearns, K., O’Connor, R., & Bryden, R. (2000), Measuring safety climate: Identifying the common features. Safety Science, 34, 177-192. Forehand, G., e Gilmer, B. (1964), Environmental variation in study of organizational behaviour. Psicological Bulletin, 62, 632-382 Innes, E. H. & e Kummerow G. M. (1994). Social representations and the concept of organizational culture : Symposium on social representations. Social Science Information, 33, 255-271 La Piere R.T., (1934) Attitudes vers actions Le Boterf G. (1999), L’ingénierie des competences; Editions d’organisation, Paris Lingard H., (2002), “The Effect of First Aid Training on Australian Construction Workers’Occupational Health and Safety Motivation and Risk Control Behavior”, Journal of Safety Research, n. 2, pp. 209-230 Kunda, G. (1992), Engineering, culture, control and commitment in a high-tech corporation, Philadelphia, Temple University; trad. it. L’ingegneria della cultura, controllo, apparenza e impegno in una impresa ad alta tecnologia, Torino, Comunità. 2000 Mearns K., Flin R, O’Connor P. (2001), “Sharing ‘World of Risk’: Improving Communication With Crew Resource Management”, Journal of Risk Research, n. 4, pp 377-392 Parker, D., Manstead, A. S. R., Stradling, S. G. (1995), Extending the theory of planned behaviour. The role of the personal norm. British Journal of Social Psychology 34, 127-137. Quick, B. L., Stephenson, M. T., Witte, K.,Vought, C., Booth-Butterfield, S., & Patel, D. (2008), An examination of antecedents to coal miners' hearing protection behaviors: A test of the theory of planned behavior. Journal of Safety Research, 39, 329-338 Pagliarini G., Repetto P., (2008) “Uno ogni sette ore – Perché di lavoro si muore” ed. Datanews – Short Books Reason J.T., (1974), Man in motion Reason, J. T. (1990), Human error. Cambridge: Cambridge university press; trad. It. L’errore umano. Bologna: Il Mulino, 1994. Schein, E. H. (1984), Coming to a new awareness of organizzational culture. Sloan management review, 25, 3-16; trad. it. Verso una nuova consapevolezza della cultura organizzativa, in A Gagliani (Ed.), Le imprese come culture, Torino: Petrini, 1986. Serpe, A., & Cavazza, N. (2007), I predittori psicosociali degli infortuni sul lavoro. Psicologia Sociale, 2 Smircich, L. (1983), Concepts of culture and organizational analysis. Administrative Science Quarterly, 28, 339-359.

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74

Zohar, D. (1980), Safety climate in industrial organizations: theoretical and applied implications. Journal of Applied Psychology, 65, 96-102. Zohar D. & Luria G., (2005), “Multilevel Model of Safety Climate: Cross-Level Relationship Between Organization and Group Level Climate” Journal of Applied Psychology

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75

ALLEGATI

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I

Copia I° questionario (tempo 1)

Questionario sulla sicurezza sui luoghi di lavoro.

Università degli Studi di Modena

e

Reggio Emilia

Tipologia: ________

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II

Stiamo studiando il modo in cui i lavoratori vedono i problemi legati alla sicurezza sui

luoghi di lavoro.

Il questionario è completamente anonimo e le informazioni in esso contenute saranno

utilizzate esclusivamente a scopo scientifico nell’ambito dell’Università.

La sua collaborazione è importante ai fini della ricerca.

Per questo la invitiamo a rispondere alle domande che troverà in questo questionario,

tenendo conto che non ci sono risposte giuste o sbagliate; ci interessa soltanto che lei

esprima il suo parere liberamente.

Grazie per la collaborazione

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III

Di seguito troverà una serie di affermazioni. La preghiamo di indicare il suo grado di accordo con ciascuna affermazione scegliendo fra le alternative proposte con una sola crocetta per ogni frase

1. Se utilizzo la cintura anticaduta posso evitare di avere un infortunio. Per niente d’accordo

Totalmente d’accordo

2. Io penso che sia molto sbagliato non utilizzare la cintura anticaduta nelle mansioni

in cui è richiesta. Per niente d’accordo

Totalmente d’accordo

3. Usare o non usare la cintura anticaduta dipende solo da me.

Per niente d’accordo

Totalmente d’accordo

4. Per me è molto importante terminare il mio compito il prima possibile.

Per niente d’accordo

Totalmente d’accordo

5. Indossare la cintura anticaduta mentre svolgo il mio lavoro mi disturba.

Per niente d’accordo

Totalmente d’accordo

6. I miei colleghi pensano che si dovrebbe utilizzare la cintura anticaduta. Per niente d’accordo

Totalmente d’accordo

7. Se non utilizzo la cintura anticaduta dove è richiesto mi sento in colpa. Per niente d’accordo

Totalmente d’accordo

8. Penso che nelle prossime settimane mi capiterà di non utilizzare la cintura

anticaduta nelle mansioni in cui è richiesta. Per niente probabile

Totalmente probabile

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IV

9. Per me utilizzare la cintura anticaduta è facile. Per niente d’accordo

Totalmente d’accordo

10. Indossare la cintura anticaduta mentre svolgo il mio lavoro mi rassicura Per niente d’accordo

Totalmente d’accordo

11. L’utilizzo della cintura anticaduta causa un rallentamento della produzione.

Per niente d’accordo

Totalmente d’accordo

12. Se utilizzo la cintura anticaduta aumenterà la sicurezza sul luogo di lavoro.

Per niente d’accordo

Totalmente d’accordo

13. Indossare la cintura anticaduta mentre svolgo il mio lavoro mi tranquillizza

Per niente d’accordo

Totalmente d’accordo

14. Nelle prossime settimane penso che utilizzerò la cintura anticaduta nelle mansioni

in cui è richiesta. Per niente d’accordo

Totalmente d’accordo

15. Quello che pensano della sicurezza i colleghi è molto importante per me

Per niente importante

Totalmente importante

16. Posso facilmente superare le difficoltà che comporta usare la cintura anticaduta. Per niente d’accordo

Totalmente d’accordo

17. Sento di poter partecipare alle decisioni che vengono prese nella mia azienda in

materia di sicurezza. Per niente d’accordo

Totalmente d’accordo

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V

18. Lavorare senza la cintura anticaduta è contro i miei principi. Per niente d’accordo

Totalmente d’accordo

19. Ai miei colleghi non interessa che io utilizzi la cintura anticaduta. Per niente d’accordo

Totalmente d’accordo

20. Ho intenzione di incoraggiare l’uso della cintura anticaduta nelle prossime

settimane Per niente d’accordo

Totalmente d’accordo

21. Indossare la cintura anticaduta mentre svolgo il mio lavoro mi infastidisce.

Per niente d’accordo

Totalmente d’accordo

22. Nelle prossime settimane ho intenzione di utilizzare la cintura anticaduta nelle mansioni in cui è richiesta.

Per niente d’accordo

Totalmente d’accordo

23. La sicurezza sul posto di lavoro è molto importante per me. Per niente d’accordo

Totalmente d’accordo

24. Se non utilizzo la cintura anticaduta terminerò il mio lavoro prima.

Per niente d’accordo

Totalmente d’accordo

1. Se utilizzo le maschere di protezione posso evitare un’intossicazione.

Per niente d’accordo

Totalmente d’accordo

2. Io penso che sia molto sbagliato non utilizzare le maschere di protezione nelle

mansioni in cui sono richieste Per niente d’accordo

Totalmente d’accordo

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VI

3. Usare o non usare le maschere di protezione dipende solo da me. Per niente d’accordo

Totalmente d’accordo

4. Indossare le maschere di protezione mentre svolgo il mio lavoro mi disturba.

Per niente d’accordo

Totalmente d’accordo

5.I miei colleghi pensano che si dovrebbero utilizzare le maschere di protezione nelle mansioni in cui è richiesta.

Per niente d’accordo

Totalmente d’accordo

6. Se non utilizzo le maschere di protezione dove è richiesto mi sento in colpa Per niente d’accordo

Totalmente d’accordo

7. Penso che nelle prossime settimane mi capiterà di non utilizzare le maschere di

protezione nelle mansioni in cui sono richieste. Per niente probabile

Totalmente probabile

8. Per me utilizzare le maschere di protezione è facile.

Per niente d’accordo

Totalmente d’accordo

9. Indossare le maschere di protezione mentre svolgo il mio lavoro mi rassicura.

Per niente d’accordo

Totalmente d’accordo

10. L’utilizzo delle maschere di protezione causa un rallentamento della produzione.

Per niente d’accordo

Totalmente d’accordo

11. Se utilizzo le maschere di protezione aumenterà la sicurezza sul luogo di lavoro.

Per niente d’accordo

Totalmente d’accordo

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VII

12. Indossare le maschere di protezione mentre svolgo il mio lavoro mi tranquillizza Per niente d’accordo

Totalmente d’accordo

13. Nelle prossime settimane penso che utilizzerò le maschere di protezione nelle mansioni in cui sono richieste.

Per niente d’accordo

Totalmente d’accordo

14. Posso facilmente superare le difficoltà che comporta usare le maschere di protezione.

Per niente d’accordo

Totalmente d’accordo

15. Lavorare senza le maschere di protezione è contro i miei principi.

Per niente d’accordo

Totalmente d’accordo

16. Ai miei colleghi non interessa che io utilizzi le maschere di protezione. Per niente d’accordo

Totalmente d’accordo

17. Ho intenzione di incoraggiare l’uso delle maschere di protezione nelle prossime settimane.

Per niente d’accordo

Totalmente d’accordo

18. Indossare le maschere di protezione mentre svolgo il mio lavoro mi infastidisce. Per niente d’accordo

Totalmente d’accordo

19. Nelle prossime settimane ho intenzione di utilizzare le maschere di protezione nelle mansioni in cui sono richieste.

Per niente d’accordo

Totalmente d’accordo

20. Se non utilizzo le maschere di protezione terminerò il mio lavoro prima.

Per niente d’accordo

Totalmente d’accordo

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VIII

1. Se utilizzo il casco di protezione posso evitare di avere un infortunio. Per niente d’accordo

Totalmente d’accordo

2. Io penso che sia molto sbagliato non utilizzare il casco di protezione.

Per niente d’accordo

Totalmente d’accordo

3. Usare o non usare il casco di protezione dipende solo da me.

Per niente d’accordo

Totalmente d’accordo

4. Indossare il casco di protezione mi disturba.

Per niente d’accordo

Totalmente d’accordo

5. I miei colleghi pensano che si dovrebbe utilizzare il casco di protezione. Per niente d’accordo

Totalmente d’accordo

6. Se non utilizzo il casco di protezione mi sento in colpa. Per niente d’accordo

Totalmente d’accordo

7. Nelle prossime settimane penso che mi capiterà di non utilizzare il casco di protezione nelle mansioni in cui è richiesto.

Per niente probabile

Totalmente probabile

8. Per me utilizzare il casco di protezione è facile.

Per niente d’accordo

Totalmente d’accordo

9. Indossare il casco di protezione mi rassicura. Per niente d’accordo

Totalmente d’accordo

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IX

10. L’utilizzo del casco di protezione causa un rallentamento della produzione. Per niente d’accordo

Totalmente d’accordo

11. Se utilizzo il casco di protezione aumenterà la sicurezza sul luogo di lavoro.

Per niente d’accordo

Totalmente d’accordo

12. Indossare il casco di protezione mi tranquillizza.

Per niente d’accordo

Totalmente d’accordo

13. Nelle prossime settimane penso che utilizzerò il casco di protezione nelle mansioni in cui è richiesto.

Per niente d’accordo

Totalmente d’accordo

14. Posso facilmente superare le difficoltà che comporta usare il casco di protezione. Per niente d’accordo

Totalmente d’accordo

15. Lavorare senza il casco di protezione è contro i miei principi.

Per niente d’accordo

Totalmente d’accordo

16. Ai miei colleghi non interessa che io utilizzi il casco di protezione. Per niente d’accordo

Totalmente d’accordo

17. Ho intenzione di incoraggiare l’uso del casco di protezione nelle prossime settimane

Per niente d’accordo

Totalmente d’accordo

18. Indossare il casco di protezione mentre svolgo il mio lavoro mi infastidisce.

Per niente d’accordo

Totalmente d’accordo

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X

19. Nelle prossime settimane ho intenzione di utilizzare il casco di protezione nelle mansioni in cui è richiesto.

Per niente d’accordo

Totalmente d’accordo

20. Se non utilizzo il casco di protezione terminerò il mio lavoro prima. Per niente d’accordo

Totalmente d’accordo

Di seguito troverà un elenco di frasi; La preghiamo di valutare la frequenza con cui mette

in atto i comportamenti descritti. Risponda utilizzando le alternative che trova sotto e che

vanno da “mai” a “sempre” con una sola crocetta.

1. Le capita di non utilizzare la cintura anticaduta nelle mansioni in cui è richiesta?

Mai Raramente Spesso Sempre

3. Le capita di non utilizzare le mascherine di protezione nelle mansioni in cui sono

richieste?

Mai Raramente Spesso Sempre

4. Le capita di non utilizzare il casco di protezione ?

Mai Raramente Spesso Sempre

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XI

Informazioni Socio demografiche Età_________ Genere M F

Da quanti anni lavora in questa azienda? Da 1 mese ad 1 anno

Da 1 anno a 5 anni

Da 5 a 10 anni Da 10 a 20 anni Più di 20 anni

Ha mai svolto corsi di formazione alla sicurezza in questa azienda?

Si No

Se ha svolto corsi di formazione alla sicurezza, quando tempo fa ha svolto l’ultimo

corso?

________________________________________________________________________

Tipo di contratto Tipo di turno di lavoro

Tempo indeterminato Orario Normale

Tempo determinato Turni di giorno

Apprendistato Turni di notte

Contratto di formazione lavoro

Lavoro interinale

Titolo di studio

Licenza elementare

Licenza media

Licenza superiore

Laurea

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XII

Codice del questionario

Per esigenze della ricerca è possibile che nel futuro le sia chiesto di rispondere ancora ad

altri questionari. Per questa ragione le chiediamo di mettere un codice che garantisce il

suo anonimato e permette a noi di ricondurre tutte le risposte alla stessa persona.

Inserisca nel caselle sottostanti un codice composto da: 1) Nelle prime due celle il giorno del mese di nascita di sua madre (per esempio 06) 2) Nella terza e quarta cella il mese di nascita di sua madre (per esempio 12 per

dicembre) 3) Nella quinta cella l’iniziale del nome di sua madre (per esempio S per Simonetta) Per esempio

0 6 1 2 S

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XIII

Copia II° questionario (tempo 2)

Questionario sulla sicurezza sui luoghi di lavoro.

Università degli Studi di Modena

e

Reggio Emilia

Tipologia: ________

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XIV

Di seguito troverà un elenco di frasi; La preghiamo di valutare la frequenza con cui ha

messo in atto i comportamenti descritti.

Risponda utilizzando le alternative che trova sotto e che vanno da “mai” a “sempre” con

una sola crocetta.

1. Nella settimana passata le è capitato di non utilizzare la cintura anticaduta nelle aree

in cui è richiesta?

Mai Raramente Spesso Sempre

3. Nella settimana passata le è capitato di non utilizzare le mascherine di protezione

nelle mansioni in cui sono richieste?

Mai Raramente Spesso Sempre

4. Nella settimana passata le è capitato di non utilizzare il casco di protezione ?

Mai Raramente Spesso Sempre

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XV

Codice del questionario

Per esigenze della ricerca è possibile che nel futuro le sia chiesto di rispondere ancora ad

altri questionari. Per questa ragione le chiediamo di apporre un codice che garantisce il

tuo anonimato e permette a noi di ricondurre tutte le risposte alla stessa persona.

Inserisca nelle caselle sottostanti un codice composto da: 1) Nelle prime due celle il giorno del mese di nascita di sua madre (per esempio 06)

2) Nella terza e quarta cella il mese di nascita di sua madre (per esempio 12 per

dicembre)

3) Nella quinta cella l’iniziale del nome di sua madre (per esempio S per Simonetta)

Per esempio

0 6 1 2 S

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RINGRAZIAMENTI

Non è mai troppo tardi.

Grazie a mio marito Vincenzo che mi ha incoraggiata, sostenuta e coccolata in

questi anni di studio.

Grazie ai miei genitori e a mia suocera Mimma che con il loro aiuto mi hanno

permesso di lavorare e studiare senza… “morire di fame”.

Grazie alle mie amiche ed in particolare a Viviana che mi ha dedicato tempo e

attenzione nei momenti più duri.

Grazie all’Ing. Celso Spinelli, il mio “capo”, e al Dott. Marco Pirani, Presidente del

Gruppo Progeo, che mi hanno permesso di usufruire delle ore di diritto allo studio

consentendomi la frequenza alle lezioni e la preparazione agli esami.

Grazie ai Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza e a tutti i lavoratori

dell’azienda per la collaborazione alla ricerca.

Grazie alle mie compagne di studio, in particolare Antonella, Marzia e Laura con le

quali ho condiviso le gioie e i dolori degli studi e degli esami.

Grazie alla Prof.ssa Nicoletta Cavazza e alla Dott.ssa Alessandra Serpe per la

collaborazione e la disponibilità che mi hanno accordato per la preparazione della

tesi.

Un ringraziamento alla D.ssa Gandolfi dell’AUSL di Modena, alla D.ssa Bassoli

dell’AUSL di Reggio Emilia e all’Ing.Aldini della Direzione dell’Ispettorato del Lavoro

di Reggio Emilia per le consulenze ed i dati che mi hanno fornito.