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1 SIAMO IN GUERRA James Waugh

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SIAMO IN GUERRA

James Waugh

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Gli zergling uccisero Irmscher durante la battaglia di Lawndale 12, un'incursione isolata avvenuta

durante la Guerra dello Sciame di cui nessun libro di storia parla.

Irmscher era solo un ragazzino, appena uscito dalla scuola superiore, col viso pulito e il cuore pieno di

entusiasmo ed energia: il tipo che non dura mai a lungo nel Corpo dei Marine del Dominio. A diciott’anni

anni, senza alcuna prospettiva per il futuro, vendeva porta a porta telefoni modificati per guadagnare

quel tanto che bastava da uscire con le ragazze e pagare l'affitto. Un giorno bussò alla porta del sergente

Robert Maury, un reclutatore dei marine del Dominio, che si rivelò assai poco interessato alla mercanzia

di Irm. Tre giorni dopo, Irmscher era su una navetta per il campo reclute di Turaxis II, con la testa piena

di storie su combattimenti eroici, viaggi leggendari e medaglie gloriose. Ma uccidere gli zerg si rivelò

piuttosto diverso dalla brillante carriera che gli era stata prospettata. Non c'era niente di glorioso nel

vedere degli uomini, anzi il più delle volte si trattava di ragazzi, triturati vivi sotto i propri occhi, fatti a

pezzi selvaggiamente da dei mostri, col sangue che sgorgava dalla bocca e riempiva i caschi CMC come

fossero macabri frullatori pieni di daiquiri.

Di notte, quando tutti quelli della squadra Rho erano ammassati nelle stanze umide di una caserma

tirata su in fretta e furia, lui apriva una foto su uno dei suoi telefoni modificati e la mostrava ai ragazzi

dicendo: "Ecco la ragazza che andrò a prendere e farò mia quando questa guerra sarà finita." Era una

bella bionda con i capelli ricci legati alla moda di Marlowe. Si chiamava Mary Lou e l'aveva conosciuta

pochi giorni prima di incontrare il sergente Maury.

"Figurati... Non ci farai niente con quella, ragazzino. È roba di classe," lo sfotteva Birch, un marine più

anziano. "Sarebbe più adatta a uno stallone come me."

Si erano incontrati in uno di quegli stimbar sotterranei, illegali per tutti tranne che per quelli abbastanza

ricchi da possederne uno o abbastanza ammanicati da entrarci. Era una notte torrida che rammentava

solo a tratti, con lampi di ricordi carichi di adrenalina: i balli, le risate, lo Scotty Bolger. Raccontava che si

erano baciati. Almeno, gli sembrava che fosse così. Lo sperava. Dopo, lei gli aveva lasciato il suo recapito,

e da allora si mandavano costosissimi messaggi interplanetari. Con l’andare delle settimane e il tempo

trascorso sempre più spesso in prima linea, a un passo dalla morte, era arrivato a considerarla qualcosa

di più che una semplice ragazza. Era un'idea. L'idea di un tempo in cui non trascorreva i suoi giorni

dentro una pesante armatura CMC, ammucchiato con un gruppo di vecchi marine, più simili a fratelli che

commilitoni, che lo prendevano in giro per ogni sua piccola frase ingenua, facendogli desiderare con

tutto se stesso il giorno in cui non sarebbe stato più il "ragazzino". La sua foto gli ricordava di un tempo

in cui non aveva ancora sentito il rumore di uno sciame di zergling che caricava verso di lui, in cui non

sapeva con certezza che avrebbe visto sangue e visceri e morte. Sono cose che ti cambiano.

"Vedrai," diceva sempre col sorriso sognante quando guardava la foto di lei, perdendosi a fantasticare.

"Sì, vedrai, vedrete tutti."

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Il giorno in cui gli zergling uccisero Irmscher non era poi tanto diverso dagli innumerevoli altri giorni di

guerra. I marine li trascorrevano per lo più in attesa, seduti ad ascoltare il vento che ululava, sprofondati

in una noiosa tranquillità. Una tranquillità carica di promesse oscure.

La squadra Rho era stato assegnato alla difesa di Lawndale 12, un piccolo ripetitore sulla penisola

meridionale di Anselm. La settimana prima i marine avevano scavato profonde trincee tutto intorno al

sistema satellitare e piazzato bunker e due carri d'assedio lungo il perimetro. Avevano quindi stabilito

una base per ricevere i dati e reindirizzarli alle flotte del settore. Era stata costruita anche una caserma,

ma quelli della Rho non ci entravano quasi mai. I pochi, preziosi secondi necessari per uscire potevano

significare la morte durante un assalto, perciò gli uomini si adattarono ai disagi della vita in trincea.

Nessuno pensava che gli zerg avrebbero veramente attaccato Lawndale. Il suo valore strategico, nel

grande schema della guerra, era risibile. Così, quando l'allarme squarciò il silenzio e Virgil Caine,

sergente della squadra, cominciò ad abbaiare ordini, i suoi marine balzarono in piedi e si prepararono al

peggio. Ma non fu il peggio. Fu un suicidio per gli zergling. Un inutile suicidio. Le bestie erano in netta

inferiorità numerica. Eppure, quegli stupidi alieni attaccarono comunque.

Li si poteva sentire molto prima che fossero visibili, a metri di distanza: il ronzio confuso del loro

terrificante tramestio ti riempiva le orecchie.

"Perché ci attaccano? Che cosa potrebbero volere?" Irmscher ora riusciva a vederli: una ventina di

zergling bavosi, coi denti scoperti, gli artigli sollevati, le bocche che schiumavano orrendamente, i

robusti arti posteriori che li proiettavano in avanti. Sembravano cani rabbiosi e mutati lasciati liberi da

qualche padrone crudele. Irmscher non avrebbe mai ottenuto risposta alle sue domande. Il suono dei

colpi ipersonici riempì l'aria e non ci fu più tempo per pensare. Solo per agire.

Gli zergling erano in inferiorità numerica, ma non gl'importava; come se una singola morte terran

valesse dieci volte una delle loro. La squadra Rho capì subito che il comando aveva preso una decisione

sbagliata, facendo predisporre le trincee: diversi zergling scavarono fino a raggiungerle e, vista la mole

delle armature CMC, molti marine ci rimasero intrappolati assieme agli alieni, col fuoco amico che

grandinava dall'alto e colpiva le pareti di fango.

Irmscher gridò quando gli zergling lo uccisero. Gridò mentre un artiglio affilato come un rasoio tagliava

in due il suo casco e gli affondava nella clavicola, seguito da un altro artiglio che squarciava l'armatura

come fosse una lattina di stagno.

Era ancora vivo, quando l'ultimo di quei bastardi fu abbattuto. Si stava ancora chiedendo perché mai

avessero attaccato non avendo alcuna possibilità di successo. Si chiedeva perché fossero venuti solo per

ucciderne così pochi, solo per uccidere lui. Mentre moriva, con lo stimpack ancora nelle vene, il cuore

che rallentava sempre più, mentre la sua tuta CMC cercava di suturare le arterie recise, mentre Birch lo

sosteneva e il sergente Caine lo guardava, Irmscher sussurrò: "Mary Lou".

***

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Virgil Caine gridò nel buio. Sentiva freddo, perché aveva allontanato a calci le lenzuola impregnate di

sudore dal suo corpo nudo.

"Virgil!" disse Rufi, stringendolo fra le braccia e tirandolo di nuovo verso la morbidezza dei cuscini e delle

sue labbra. "Sei qui, tesoro. Sei con me." Appoggiò il capo sul braccio robusto dell’uomo, i suoi capelli

biondi sembravano seta sulla pietra di quei muscoli. Virgil respirava a fatica. Il petto gli si sollevava

ritmicamente e il cuore batteva a mille.

"Accidenti. Mi... Mi dispiace, Ru... Io..."

"Shhh. Non dire niente. Lo so, lo so."

Nel corso dell'ultimo anno del loro fidanzamento lei si era abituata a quegli incubi notturni... i suoi

ricordi. Quando si erano fidanzati, si era impegnata a conviverci. Si era abituata a svegliarlo, asciugargli

le lacrime, fissando la tenera incongruenza di un uomo tanto grosso e forte che piangeva nel sonno. Era

un'altra delle cose che amava di lui.

"Io... Sono tornati, amore. Non posso crederci, sono tornati. L'ho sempre saputo, ma... ci speravo,

capisci?"

Ci speravo anch'io, pensò lei. "Non importa se ti hanno richiamato, Virgil. Non c'è alcun bisogno che ci

torni. Te l'ho detto. Abbiamo deciso: penserà a tutto papà. Devi rifarti una vita. Nessuno scoprirà chi sei,

nessuno saprà dove sei stato. Da domani sera, tutte queste preoccupazioni apparterranno al passato."

Rifletté su quelle parole alcuni istanti, prima di rispondere. Pensò alla possibilità di non essere l'uomo

che aveva fronteggiato gli zerg durante la Guerra dello Sciame, l'uomo che aveva mantenuto la

posizione contro ondate e ondate di zergling durante lunghi mesi, riuscendo a sopravvivere. Non sapeva

chi sarebbe diventato senza quella parte della sua vita, e il pensiero di scoprirlo era una delle cose più

terrificanti che avesse mai affrontato.

"Lo so, Ru. Lo so. Eppure una parte di me... non sono mai fuggito, prima d'ora."

"Non è fuggire, dannazione. Mengsk ti ha preso il meglio che avevi da dare. Ha dei nuovi marine adesso,

a cui fare la stessa cosa. Che diavolo ha mai fatto per te, eh? Per noi? È stato mio padre a pagare per i

tuoi interventi, non il Dominio. Hai ripagato il tuo debito, e lo sai. Quante volte sei quasi morto, Virgil?

Quanti amici hai perso?"

"Non mi va più di parlarne." Stava pensando al servizio della UNN che aveva visto prima di andare a

letto. Pensava alle immagini di quell'orda che si scatenava su Tiria, travolgendo le schiere dei soldati.

Pensava a quelle zanne, a quegli artigli e all'orribile tramestio che facevano quando attaccavano.

"Non è giusto che ti abbiano richiamato, Virgil. Per niente. Tu sei fuori dall'esercito. Non hanno alcun

diritto di richiamarti solo perché c'è una nuova emergenza. Quattro anni fa eri lì. Adesso che mandino

qualcun altro."

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"Ti ho detto che non sarei ritornato là, Rufi... Quindi stai tranquilla, non lo farò."

Lui si chinò e la baciò sulla fronte, come faceva ogni sera prima di spegnere le luci e andare a dormire.

Lei spinse il suo corpo minuto verso di lui, e quel calore e quella morbidezza lo rasserenarono. Quando si

separarono, lei seguì con le dita la larga cicatrice irregolare che gli scendeva dal collo fino all'ombelico,

quindi risalì, fino a raggiungere il dente di zergling che portava attorno al collo, appeso a un cordone di

cuoio.

"Odio questa cosa. E sai che non voglio che la porti a letto. Mi fa male... Toglietela."

Sorrise. "Va bene. Me la tolgo." E lo fece, appoggiandola sul comodino.

"Domani ce ne andiamo... Tutto questo apparterrà al passato. Tra l'altro, non sei l’unico a fare dei

sacrifici, Virgil. Devo ricominciare anch'io tutto daccapo. Lasciare i miei amici, la famiglia. Papà."

"Lo so."

"Ora dormiamo, orsacchiotto!"

Virgil si girò e si mise a fissare il ventilatore a soffitto. Le pale giravano proiettando lame d'ombra contro

le pareti scure illuminate solo dalla luce gialla della luna. Pensò alla nuova vita che Rufi gli offriva: la

salvezza da tutto quello che avrebbe dovuto affrontare. Si chiese se fosse possibile per un uomo che

aveva affrontato gli zerg, che aveva perso degli amici a causa loro e che aveva guardato nei loro vuoti

occhi freddi, potersene davvero liberare.

***

I servizi della UNN erano terrificanti, ma non riusciva a smettere di guardarli. Si era alzato all'alba e da

allora era rimasto incollato allo schermo, sorseggiando caffè bruciato. Ne aveva bevuto quasi un'intera

caraffa, quando Rufi entrò in cucina.

"Perché li stai guardando, Virgil?"

"A te non interessa sapere cosa succede là fuori? Volevo solo assicurarmi che potessimo ancora

raggiungere un trasporto planetario. Siamo in guerra, tesoro."

Sullo schermo scorrevano le immagini di quella guerra. La carneficina di un incrociatore che si schiantava

su un grattacielo mentre delle mutalische scendevano in picchiata, sciamando a mezz'aria e sputando

proiettili contro lo scafo in fiamme. In basso, sullo schermo, scorrevano nastri di parole. Nessuna di

quelle parole era positiva: conte d'innumerevoli cadaveri, pianeti sotto assedio, vittime. Erano davvero

in guerra.

"Santo cielo..." Rufi si coprì la bocca con entrambe le mani. Anche di prima mattina, con i capelli arruffati

e il mascara sbavato, era una creatura di rara e delicata bellezza. "È orribile."

"Orribile, sì."

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"Adesso chiamo papà. Ha detto che i documenti falsi sarebbero stati pronti nel pomeriggio."

"Tuo padre si sta assumendo un grosso rischio. Impieghi di governo importanti come il suo non capitano

tutti i giorni."

"Non pensi che sua figlia e il suo futuro genero valgano un rischio così?"

Lui annuì, voltandosi di nuovo verso lo schermo. Un giornalista gridava e correva in un vicolo, ripreso da

una videocamera robot.

"Continua a riprendere!" Virgil li vide subito dietro l'angolo, scendere verso il giornalista e la

videocamera. Gli zergling erano moltissimi: i lunghi artigli protesi verso l'esterno, i carapaci che

picchiavano rumorosamente contro le sottili pareti, gli occhi morti, vuoti. Vicini. Più vicini. ECCOLI.

La scena fu di colpo interrotta da Donny Vermillion, il più celebre giornalista della UNN, che apparve

nello studio della stazione, intervenendo un istante prima che gli Zergling riempissero l'intera

inquadratura. Donny era bianco come un lenzuolo e non riusciva a nascondere il disgusto per la morte

brutale del suo collega.

"È...?"

"Sì." Virgil la interruppe prima che chiedesse l'ovvio. "Chiami papà?"

"Sì... sì," rispose lei, uscendo dalla cucina.

Virgil bevve un altro sorso di caffè, la mente ancora sull'immagine degli zergling che, compatti,

s'infilavano nel vicolo. Gli vennero in mente le trincee di tanto tempo prima. Fece un lungo e pesante

sospiro, lasciando uscire dai polmoni ogni grammo d'aria prima di chiudere gli occhi. Erano in guerra.

***

Gli zergling uccisero Albee nei canyon di Long Shadow, su Asteria, durante uno dei famosi tramonti color

zafferano.

Albee era un risocializzato, grosso e stupido, con il ghigno soddisfatto di quelli che si sono fatti

aggiustare e sostituire la memoria. Ma a Virgil o a Birch o a Dave o al resto della squadra Rho, questo

non interessava. Per essere un risocializzato, non era poi così male. Era un soldato eccezionale e molto

fortunato. Come la maggior parte dei risocializzati, combatteva in prima linea, pronto a gettarsi sulla

massa di zerg per contrastarne l'assalto iniziale. Aveva visto e vissuto più azione lui negli ultimi quattro

anni, prima nei Corpi Confederati e poi nei Corpi del Dominio, di quanto avesse fatto la maggior parte

dei soldati in tutta la vita... e in qualche modo, in prima linea se l'era sempre cavata, con l'icore schizzato

sul suo casco CMC e quel gran ghigno idiota sulla faccia.

Durante i tempi morti, Albee raccontava della vita di campagna su Halcyon, dov'era nato. Ricordava le

splendide colline verdi coperte d'erba alta che si stendevano a perdita d'occhio sotto il cielo azzurro e le

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piccole soffici nuvole. Parlava dei cuccioli scodinzolanti che lo seguivano ovunque andasse, di quanto gli

piaceva quando gli leccavano la faccia con la linguetta ruvida nei pomeriggi di riposo, tutti vicini sotto

l'ombra di un albero di banyan. La sua era stata un'infanzia idilliaca, e gli mancava. Era per quello che

combatteva, perché anche altri potessero godersi momenti come quelli che lui ricordava, perché

l'umanità potesse resistere agli zerg e ai protoss e a chiunque altro volesse intromettersi.

Naturalmente, erano ricordi fasulli, impiantati in uno studio di risocializzazione su Norris VI. Tutti nella

squadra Rho lo sapevano e avevano sentito gli stessi identici ricordi raccontati da altri risocializzati. Ma

nessuno avrebbe mai detto nulla sul gigante buono o sui suoi ricordi artificiali. Durante una libera uscita

al Cat House Bar sulla Luna di Bacco, uno dei soldati semplici della squadra Alpha, che aveva bevuto

troppi zipper umojani, provò a far notare ad Albee che i suoi ricordi erano falsi. Incontrò subito il pugno

di Virgil che scatenò una bella rissa tra marine. Virgil voleva che Albee conservasse i suoi ricordi, falsi o

meno che fossero: erano l'unico sollievo che avesse dagli orrori che affrontava quotidianamente sul

campo di battaglia. Nessuno glieli avrebbe portati via.

Un giorno, per le strade di Nephor II, Caine e Albee incrociarono una donna che, vedendo il grosso

risocializzato, cominciò a gridare indicandolo. "Il Macellaio! Mioddio, è il macellaio di Pridewater! Cosa ci

fa qui? Fermatelo! Qualcuno deve fermarlo!" La donna fu subito scortata via dalle autorità locali. Né

Caine né Albee sapevano che cosa significasse.

Qualche settimana più tardi, dato che l’episodio continuava a tornargli in mente, Caine decise di fare

alcune ricerche sul suo fortunato soldato di prima linea. Imparò così che alcune cose era meglio non

saperle, quando si trattava di marine risocializzati. Albee, che raccontava della gioia dei cuccioli e della

bellezza delle colline che si stendevano a perdita d'occhio, era conosciuto anche come "il Macellaio di

Pridewater" per una serie di omicidi che aveva perpetrato per oltre dieci anni nei bassifondi della

capitale. Torturava le sue vittime, godeva del suono delle loro grida angosciate e per questo le

manteneva in vita per giorni. Le immagini che accompagnavano i dati erano orribili, e Caine comprese da

dove provenisse la ferocia che aveva visto impadronirsi di Albee sul campo di battaglia. Eppure, ogni

volta che gli occhi di Albee sorridevano beati, mentre parlava del pelo liscio e beige dei cuccioli, dei loro

denti da latte che gli mordevano le braccia, dei nasi umidi che gli facevano venire la pelle d'oca... Caine

poteva pensare solo che il programma di risocializzazione era stato un successo, capace di salvare anche

il peggiore degli uomini.

Quando gli zergling uccisero Albee, era immerso nel biostrato viola fino alle ginocchia. La squadra Rho

aveva marciato nei canyon di Long Shadow con un contingente di piromani, fiancheggiata dal pesante

bombardamento di carri d'assedio e Goliath. Erano venuti a "fare le pulizie", come diceva Caine.

L'infestazione zerg era stata respinta in profondità nel canyon, verso una colonia annidata all'interno.

Finché ci fosse stata ancora una colonia attiva su Asteria, gli zerg non avrebbero mai smesso di

attaccare. Il rastrellamento fu un successo strepitoso. Cadaveri carbonizzati di idralische affondavano nel

biostrato e carcasse di larve galleggiavano nelle pozze germinali. I vivai e le altre strutture si

sbriciolavano in collassi bioplasmici.

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Il rimbombo proveniente dai carri d'assedio scosse l’armatura CMC di Albee. Come sempre, era stato lui

a guidare la carica in prima linea e ad addentrarsi più in profondità nella colonia. Non sembrava fossero

rimasti molti zerg, la maggior parte era stata falciata da una raffica dei cannoni automatici dei Goliath.

Albee non pensava ci fosse molto altro di cui preoccuparsi, quando abbassò il fucile gaussiano per

godersi la carneficina compiuta da lui e dai suoi ragazzi. Era uno spettacolo glorioso per un terran. Le

strutture zerg, veri e propri organismi viventi, erano ormai a pezzi, schiacciate le une sulle altre, con le

vene pulsanti e ribollenti che spruzzavano sul terreno un denso miasma simile al sangue. Vittoria! Albee

provò un senso d'orgoglio.

Gli zergling emersero da una vicina pozza germinale con una cacofonia di urla rabbiose mai udite prima.

Albee non li vide, nessuno li vide. La luce dorata di uno dei famosi tramonti sul canyon aveva avvolto

tutto in un uniforme color seppia, mentre le lunghe ombre disegnavano falci di oscurità sul biostrato.

Quell'attimo colpì il soldato fortunato: le particelle di polvere che danzavano nell'aria gli ricordarono

delle foglie che danzavano nella brezza primaverile della sua finta infanzia.

Non capì che cosa lo avesse colpito, mentre crollava con la faccia nel biostrato. Gli zergling si riversarono

su di lui, colpirono e tagliarono, squarciarono e strapparono come belve col bisogno di nutrirsi, lottando

come se provassero gioia nell'assicurarsi che gli artigli di tutti i membri del branco potessero affondare

nel cadavere sotto di loro.

Quando la battaglia finì, non rimase nulla del Macellaio di Pridewater. Era poco più di una macchia di

Rorschach disegnata sul biostrato viola, niente più che un ricordo indelebile nelle menti di coloro che

avevano combattuto al suo fianco.

***

"Potremmo coltivare dei campi. Su Shiloh hanno splendidi programmi agricoli," disse Rufi, mettendo una

camicetta color lavanda nella sacca da viaggio.

"Adesso ci mettiamo a fare i contadini?"

"Certo, perché no?" La sua risata era una musica. "Potrebbe essere una bella vita, non credi?"

Virgil raggiunse l'armadio e prese una maglietta da uno scaffale. Lei stava aspettando una risposta.

Lentamente lui sfilò l'appendino, lo gettò da parte e mise la maglietta nella sua borsa.

"Allora?"

Quel sorriso affascinante che lo rendeva attraente, nonostante le cicatrici e il contegno duro, gli illuminò

il volto. "L'agricoltura sembra divertente... È un lavoro onesto... Hai voglia di essere la moglie di un

piccolo contadino?"

"Be', pensaci, Virgil: spazi aperti, cibo coltivato con le nostre mani... Dei bambini, se avremo dei figli...

cioè... Be', i nostri figli potrebbero crescere all'aria aperta, avere tutta quella terra a disposizione."

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"Pensi che avremo abbastanza crediti da poterci permettere molta terra?"

"Le cose costano poco, su Shiloh."

"Certo che costano poco. E perché, secondo te?" Non era una domanda. Era un'affermazione.

Il suo sorriso radioso s'incupì. "Perché parli così? Io sono... Io mi sto sforzando, Virgil... Mi sto davvero

sforzando."

Virgil le si avvicinò e la strinse. Lei cercò di divincolarsi, ma subito fu trattenuta dalla sua presa salda.

"Ascolta, signorina. Sarò il tuo marito contadino, e avremo quei figli di cui parli sempre e faremo quella

vita semplice in cui tutti i vicini si conoscono per nome e..."

"E non parlerai mai più di zergling o... o della squadra Rho?"

La strinse più forte. "Ora, perché dici questo? I marine saranno sempre con me, Ru."

Per quanto si fossero avvicinati molto nell'ultimo anno, ci sarebbe sempre stato un abisso tra di loro. Lei

non poteva capire quello che lui aveva vissuto.

"Non significa che devi lasciare che governino la tua vita", disse.

"Non lo faccio."

Lo guardò negli occhi. Il sorriso era tornato, e le riempiva tutto il viso come elio in un palloncino. "Sarò la

moglie di un contadino."

La baciò dolcemente. "Apprezzo questa possibilità di ricominciare. Davvero."

"Oh, devo andare. I documenti dovrebbero essere pronti. Lei, signore, veda di liberare quell'armadio e

impacchettare tutto prima che io torni."

Virgil la lasciò andare e si diresse verso l'armadio. Accese la luce interna e s'inginocchiò. Sollevò un

mucchio di camicie. Sotto c'era un bauletto militare impolverato.

"Non puoi portarlo, Virg."

"Lo so."

"Devi sbarazzarti di tutto quello che c'è dentro. Non dev'esserci alcuna prova di ciò che siamo stati. Hai

sentito papà."

"Lo so."

"Non dev'essere facile..."

"No, non lo è."

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Quando se ne fu andata, lui si voltò di nuovo verso il bauletto e lo aprì. I ricordi si diffusero dall'interno

con l'odore di umido e di muffa. Non lo apriva da anni. C'erano le medaglie di cui un tempo era stato

così fiero ora nascoste a raccoglier polvere, un sigaro secco, un arpione ipersonico, uno dei telefoni

modificati di Irmscher. Poi sentì qualcosa di appiccicoso. La sua reazione iniziale fu quella di tirare

indietro la mano. Biostrato! Naturalmente, non era biostrato. E poco alla volta gli tornò in mente.

"Dave." Il nome gli uscì in un sospiro, mentre tirava fuori quello che aveva trovato. Era uno stick mezzo

utilizzato di cera blu... cera per tavole a propulsori. Virgil la portò al naso e la annusò profondamente. Il

profumo ricco, come di noci, lo riportò indietro nel tempo, in quel tempo da cui stava cercando di

fuggire.

***

Gli zergling uccisero Dave nel suo letto, mentre dormiva ubriaco dopo una nottata di poker. A volte,

succede anche così.

Dave Big Wave veniva dall'isola di Santori su Miranar. Faceva parte degli Screaming Sixes, un club di

surfisti piuttosto famosi: con le loro tavole a propulsori cavalcavano le onde gigantesche che

polverizzavano le coste di Santori. Erano le stesse onde che producevano abbastanza energia

idroelettrica da alimentare tutte le città del pianeta. Gli scienziati dicevano che onde di tale portata

erano dovute alla tripla forza di attrazione gravitazionale esercitata dalle tre lune di Miranar, un perfetto

allineamento della natura che difficilmente si sarebbe potuto verificare altrove.

Gli Screaming Sixes seguivano gli incostanti schemi stagionali del pianeta e affollavano l'isola durante

l'inverno, quando questi schemi meteorologici convergevano. Allora, le onde erano enormi: da 30 a 60

metri di scure acque oceaniche salivano dalle profondità come presagi funesti. Le città assediate lungo la

costa si riempivano di surfisti da tutto il sistema, con gli ospedali e gli obitori invasi dai corpi dei più

inesperti. Fu uno di questi inesperti che portò Dave nel Corpo dei Marine.

"Se non fosse stato per quei bastardi, non sarei qui con voi ragazzi," diceva a Virgil o a Birch o a chiunque

della squadra Rho fosse a portata d'orecchio. "È una fortuna per voi che io fossi un tipo irascibile."

I marine del Dominio avevano una forte presenza di reclutatori all'interno del sistema carcerario in tutto

il settore, ed era su quei registri che trovarono Dave, davvero un tipo irascibile. Al Bar Method, un locale

sottomarino sei piani sotto il livello del mare, uno dei luoghi di ritrovo più frequentati dai surfisti di tutto

il pianeta, Dave Big Wave aveva notato alcuni turisti che si stavano spingendo un po' troppo oltre con

una delle ragazze locali.

"Ero come un cavaliere con la sua armatura luccicante, fratello... Ho raggiunto quei tipi e gli ho fatto

vedere che succede a Santori quando ti metti contro uno del posto."

E lo fece davvero, solo che le cose gli sfuggirono di mano e perse il controllo. Alcune bottiglie rotte più

tardi, il bar era ricoperto di sangue. Dovettero chiamare un'unità medica per sistemare quelli che Dave

aveva picchiato e mutilato. Al tempo, Dave era una canaglia di surfista, trasgressivo, tutto pelle e ossa,

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con capelli da rasta e tatuaggi luminosi da isolano, il tipo che i detenuti nelle carceri del Dominio

chiamano "carne fresca". Dopo la sua condanna, con una sorta di ammirazione per un carattere che

aveva mandato tanti uomini in ospedale, un reclutatore del Dominio gli fece un'offerta: 10 anni di fedele

servizio per l'imperatore Mengsk al posto di 40 anni di lavori forzati in prigione. Per tutta risposta, Dave

chiese:

"Mi devo tagliare i dread?"

E fu così che li tagliò, anche se con dolore, e si ritrovò al campo reclute. Diversi trattamenti stim e

steroidei più tardi, arrivò in prima linea durante la Guerra dello Sciame, con 25 chili di muscoli in più e un

posto fisso al tavolo da poker della squadra Rho. Le reclute criminali non avevano diritto alle licenze, e

così lo Scotty Bolger e il gioco d'azzardo erano le sue uniche distrazioni.

Gli mancavano i giorni sulle onde. Gli mancava tagliare il rigonfiarsi di un'onda alta come un edificio, i

propulsori ionici della tavola che lo spingevano sempre più in alto, i suoi dreadlock - accidenti quanto gli

mancavano - che si muovevano nel vento. Per compensare come meglio poteva, teneva uno stick di cera

per tavole Mr. Snorggs nel suo bauletto e quando non aveva altro da fare la annusava profondamente,

senza preoccuparsi di ciò che Virgil o Birch o chiunque altro dicesse per prenderlo in giro. Sapeva che se

fosse riuscito a resistere e a sopravvivere per dieci anni, il tempo sarebbe passato e lui sarebbe riuscito

di nuovo a cavalcare le onde invernali di Santori.

Gli zergling uccisero Dave in caserma perché il sensore della torretta era guasto e una nidiata di quei

mostri fece irruzione nella base su Seti. Dave era così ubriaco che continuò a dormire nonostante gli

allarmi interni e il crepitio dei colpi sonici. Continuò a dormire anche quando gli alieni sfondarono i

cancelli di sicurezza e si riversarono nella caserma. Continuò a dormire fin quando uno di loro non gli

saltò addosso, scuotendo il letto con il suo peso.

Quando si svegliò, era in uno stato di delirio, gli occhi fissi sull'incarnazione della morte, uno zergling con

una smorfia da gatto del Cheshire che gli teneva aperta la bocca. Si svegliò giusto in tempo per sentire il

dolore dei lunghi artigli che lo attraversavano più e più e più volte, riversando i suoi visceri fuori

dall’addome, visceri simili ai suoi lunghi dreadlock tagliati.

Virgil e Birch riuscirono a uccidere lo zergling mentre ancora si trovava sopra Dave. Chissà, forse essere

uccisi così, nel sonno, aveva qualche lato positivo.

***

Virgil guardò le due borse che contenevano tutto ciò che avrebbe portato con sé per iniziare la sua

nuova vita come contadino o come padre o come entrambi. Tutto il resto della sua vita era stato gettato

via. Solo, nel piccolo appartamento, il silenzio era assordante. Ogni volta che chiudeva gli occhi, tutto

quello che poteva vedere erano immagini di zergling, di idralische e mutalische, di notizie di stragi e di

morte. Ma soprattutto di zergling, perché erano quelli che aveva sempre visto, per primi e più numerosi.

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Sussultò, aprendo gli occhi di scatto, quando la udì entrare dalla porta principale. Lacrime le rigavano il

viso come lunghe vene trasparenti. Si asciugò il naso con la manica della camicia. Gli sembrò un gesto

grazioso.

"Ru, stai bene?"

"Sì, è solo difficile dire addio, è solo... solo difficile." Si alzò e la abbracciò, e lei sorrise. "Papà ha detto

che cercherà di venirci a trovare, quando le cose si calmeranno un po'. Magari fra un paio d'anni. Crede

di potercela fare, con un'identità falsa. E allora... lo vedrò di nuovo."

"I documenti li hai?"

Lei si sottrasse all'abbraccio annuendo e si mise a rovistare nella sua gigantesca borsa. Ne tirò fuori due

carte d'identità digitali, del tipo che si usava su Shiloh, e gliene porse una. Virgil premette il piccolo

pulsante e la sottile carta generò un'oloproiezione. Era il suo viso, è vero, ma non erano suoi né il nome

né i dati. La testa olografica in tre dimensioni cominciò a girare, mostrandosi, mentre i paragrafi con le

informazioni personali scorrevano accanto a essa. Rufi guardò la sua reazione attraverso l'immagine,

mordendosi il labbro inferiore, chiedendosi come avrebbe reagito.

"Derek Dayton?" disse alla fine. "Sembra il nome di un supereroe."

"Be', il mio è Jossie Thomas... non è granché... E ho frequentato una scuola di studi bioplasmici."

Premette la carta d'identità, facendo comparire un'immagine olografica della sua testa. "La mia navetta

parte tra un'ora. La tua fra due. Papà ha organizzato tutto in modo da non attirare sospetti. Ha detto che

dobbiamo fare attenzione: nessuno deve sospettare che ci conoscevamo prima dell’arrivo sul pianeta.

Ha detto che dovremmo incontrarci lì... magari allo spazioporto... e far finta che sia la prima volta."

"Dovremo fingere parecchie cose d'ora in avanti, immagino."

"Temo di sì... Devo andare, Virgil..." La sua risata tintinnò nuovamente. "Voglio dire, Derek."

"Vieni qui, Jossie." Le baciò la fronte come faceva sempre. "Ti amo, sai?"

"Lo so." E lo baciò sulle labbra. Fu un bacio lungo e lento, e la cosa più importante fu che i loro corpi

erano stretti l'uno contro l'altro. La cosa più importante era la loro vicinanza. Finalmente, dopo un

tempo che parve un'eternità, lei lo lasciò. "Sei sulla navetta 3801. Non fare tardi! Ci sono maggiori

controlli, con la minaccia degli zerg."

"Cosa farei senza di te?" Sorrise.

"Non chiederlo a me!" Rise. "Ci vediamo là."

E se ne andò, abbandonando il loro piccolo appartamento, la loro vecchia vita, per sempre.

Virgil sedette di nuovo, a far nulla. Fissò il muro sporco per un'ora, con la mente sgombra da ogni

pensiero, per la prima volta da anni. Quando fu il momento, si alzò, prese le borse e si diresse verso la

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porta. Ma qualcosa lo fermò. Mancava qualcosa. Posò le borse di nuovo a terra. Si voltò a guardare

l'appartamento. Era così vuoto, ora. Il profumo unico creato dall'unione delle loro vite era ormai svanito.

Era solo uno spazio triste, un panorama arido di ciò che non c'era più.

Prima di andarsene, decise che sarebbe stato meglio controllare quel posto un'ultima volta, giusto per

assicurarsi di non aver dimenticato nulla.

Lo vide nel momento stesso in cui entrò nella camera da letto. Lì, sul comodino, c'era il dente dello

zergling. Lo raccolse e fece scorrere il dito lungo il suo margine seghettato. Era ancora così affilato che

non si accorse nemmeno che si stava tagliando, non finché non vide il sangue che gli colava lungo il

braccio.

***

Gli zergling uccisero Birch quando invasero la base terran su Urona Sigma. Ancora una volta, le navette

di evacuazione erano in ritardo, come sembrava che fossero sempre.

Birch un tempo era stato un famoso demolitore della scuola superiore di Shiloh, un appassionato di

motori, sempre sporco di grasso, che conosceva poco altro. La demolizione era uno sport

particolarmente brutale, una di quelle cose che i genitori per bene avevano sempre cercato di bandire

dalle scuole, ma senza mai riuscirvi. Proprio come i piloti dei demolition derby della vecchia Terra, i

demolitori costruivano i loro veicoli e poi li usavano per "sbattere fuori" i loro concorrenti. Era una gara

a 190 chilometri all'ora su una pista di ghiaia rocciosa instabile. L'auto che sbatteva fuori il maggior

numero di avversari (e che ancora funzionava) vinceva. Ogni anno, torme di giovani uomini e

occasionalmente anche qualche donna, venivano ricoverati in ospedale per gravi ustioni, bruciature e

contusioni; a volte morivano pure. Birch era il migliore. In assoluto. Era tutta la sua vita. A parte la

scuola, trascorreva il tempo con le mani nel motore della macchina che stava costruendo al momento,

pensando alla gara successiva. Alla scuola superiore ottenne il record di avversari sbattuti fuori, e mai

una volta era stato ricoverato per le ferite. Per un certo periodo, era stato una leggenda del posto.

Quando ottenne il diploma, arrivò la depressione. Non aveva più la fama, gli applausi o la scarica

d'adrenalina settimanale di quando andava a scuola. Non proseguì negli studi ma andò a lavorare,

facendo l'unica cosa che era capace di fare: il meccanico. Dopo due anni passati ad aggiustare macchine,

moduli di trasporto e moto Vulture, tutte le cheerleader che gli ricordavano i suoi giorni di gloria si

erano trasferite su altri pianeti o conducevano vite diverse. Quando tornava a scuola per fare ancora un

po' di pratica suscitava sempre meno entusiasmo nei nuovi demolitori, che iniziavano a considerare i

suoi record non così imbattibili. Giorno dopo giorno, la sua fama nella piccola città era diventata solo un

ricordo sbiadito.

Le leghe illegali di demolitori erano gestite dalla criminalità organizzata. Tutti lo sapevano. Tutti

sapevano che lavorare per loro significava concordare le gare, perdere il controllo sulle proprie finanze e

finire nel disonore. Per quanto a Birch mancassero le corse, il rombo dei motori, le vibrazioni dei sedili

scomodi e l'aumento del suo battito cardiaco quando il mondo scompariva e lui buttava fuori un

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avversario, non era disposto a mettere i suoi record a disposizione dei capricci di un boss della malavita

che gli avrebbe chiesto di perdere una gara di tanto in tanto. Birch era orgoglioso di ciò che sapeva fare

bene e non aveva alcuna intenzione di rinunciarvi.

Ma le corse gli mancavano. Gli mancava stare nel cuore dell'azione, chiedendosi se da un momento

all'altro si sarebbe spalancato l'inferno, l'unica cosa che avrebbe potuto distrarre la sua attenzione

totale. Questo tipo di concentrazione nel mezzo del caos lo aveva tenuto vivo. Senza, aveva cominciato a

sentirsi morto, superfluo, qualcun altro. Fu un ologramma del Corpo dei Marine che lo convinse. Fu il

suono della voce ispirata dell'Imperatore Mengsk sopra le immagini di marine vestiti in neo-acciaio che

imbracciavano pesanti fucili gaussiani, a dargli l'idea che lasciare Shiloh ed entrare nei marine fosse una

buona scelta. C'era una minaccia nell'universo, e forse lui poteva combatterla.

Pochi giorni dopo arrivò al campo reclute di Turaxis II. Inizialmente, dato il suo passato, pensava

l'avrebbero preso come pilota di un Vulture o di un carro, ma il Corpo dei Marine ne aveva già

abbastanza di piloti. C'era bisogno di uomini in prima linea, soldataglia, carne da cannone.

Virgil Caine e Birch si piacquero subito. Caine trovò un fedele complice pronto a eseguire i suoi ordini, e

Birch un vero amico per la prima volta dai tempi delle gare di demolizione. Parlavano fino a tarda notte

bevendo Scotty Bolger, condividendo i segreti con una confidenza che solo i legami nati sul campo di

battaglia potevano creare. Caine si aprì col soldato più giovane, confessandogli che sapeva che non

avrebbe mai trovato una donna che lo amasse, che era troppo marine dentro di sé, e le donne erano

sensibili e certe cose le intuivano. Birch fece del suo meglio per fargli cambiare idea, ma entrambi

sapevano che un po' di verità c'era. Birch disse a Caine che temeva di non ritrovare più il senso di

appagamento sperimentato ai tempi della scuola, e questo pensiero lo spaventava a morte.

Quando gli zergling uccisero Birch, la base era già stata invasa e la maggior parte delle strutture era

avvolta dalle fiamme, mentre le mutalische li bombardavano dall'alto. Virgil e Birch correvano a

perdifiato, nelle loro corazze CMC, verso il punto di raccolta. Il Comando aveva detto che stavano

arrivando delle navette per l'evacuazione. Il Comando diceva sempre un sacco di cose.

"Dove cazzo sono quelle maledette navette?!?" urlò Virgil nel suo comunicatore quando un'esplosione

fece saltare in aria il terreno intorno a lui.

"Nessuna risposta", rispose Birch, tornando indietro e sparando alla cieca. "Buon dio," sussurrò, basito.

Non c'era nulla nell'universo che potesse terrorizzare di più un uomo che la vista di un’orda di zergling

che si riversava su una base. Erano centinaia, saltellavano e caricavano, squarciavano gli uomini dall'alto

in basso e trituravano gli edifici. Erano una moltitudine, travolgenti. Nient'altro che un mare biologico di

entità mutate marroni e viola, artigli, zanne e denti. Uno sciame di mostri dagli occhi morti.

Birch continuava a sparare.

"Cessa il fuoco!" disse Virgil. "Muoviti, soldato. Stai solo attirando l'attenzione su di noi... Questa

battaglia è persa. Via! Via! Via!"

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"Porca puttana, sergente, voglio uccidere quei bastardi."

"Continua a correre!"

"Perché? Le navette ci hanno lasciato qui, Virg, non se ne vedono nemmeno all'orizzonte. Questa è la

nostra ultima battaglia."

"Birch, è un ordine... Fanculo, lascia perdere. Fallo per me, per un amico. Non per il grado!" Era tutto ciò

che Virgil aveva da dire. Birch smise di sparare e ricominciò a correre senza pensarci due volte.

Qualche istante dopo all'orizzonte comparvero due navette, come una luce rossa di speranza.

"Stanno arrivando... Vengono a prenderci."

"Muoviti!"

Non ci volle molto perché una mutalisca individuasse le navette terran e le colpisse. Le due navette si

divisero, sperando che la mutalisca ne trascurasse una per inseguire invano l'altra. La mutalisca si

allontanò, mentre una delle navette percorse un arco fino al punto di raccolta, in cui Virgil e Birch

stavano agitando le braccia.

Il portello della navetta si aprì e una voce femminile gridò da dentro, "Allacciate le cinture, ragazzi!"

Proprio mentre i due stavano per salire a bordo, un fischio squarciò il cielo. Ma non era uno zerg: era il

fischio dell'altra navetta che precipitava in una spirale fuori controllo, tra il fumo e le fiamme, proprio

verso di loro. Senza aspettare un secondo di più, la navetta che li stava aspettando si alzò in volo per non

essere colpita dall'esplosione che sarebbe sicuramente seguita, lasciando Virgil e Birch a terra, costretti

a cercare un riparo.

BUUUUUUUM!

Quando la navetta impattò al suolo, la terra tremò. S'innalzarono fiamme che incendiarono tutta la zona

del punto di raduno. In cielo, la navetta sopravvissuta tornò indietro, cercando il punto giusto per

recuperare Virgil e Birch.

Fu allora che lo sentirono, quell'orribile tramestio familiare, amplificato dal numero. Cento o forse

cinquecento zergling li stavano caricando.

"Corri, sergente... Dannazione, Virg, corri!"

"Birch, seguimi! Questo è un ordine."

Ma non lo fece. Invece, si voltò di fronte alla massa e premette il grilletto più veloce e più forte che poté,

finché, come un'onda colossale che s’infrangeva sulla costa, l'orda lo investì con tale forza che cadde e

fu calpestato, come se non fosse mai nemmeno stato lì. Alcuni alieni si fermarono a devastare il suo

corpo, altri spostarono l'attenzione su Virgil, che stava correndo verso la navetta in attesa.

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"Presto, marine, muoviti. Non voltarti!" gridò il pilota.

Virgil corse, anche se ogni fibra del suo essere gli gridava di voltarsi, per dare un'ultima occhiata al suo

amico, per vedere se fosse ancora vivo. Sapeva che era un pensiero ridicolo, ma ci sperava. Alla fine,

raggiunse la navetta e vi saltò dentro.

Ma non era solo! Uno zergling spiccò un salto mentre il mezzo stava decollando e si aggrappò a una

maniglia, tirandosi dentro prima che il portello si chiudesse.

"Spara! Quella cosa sta entrando!" La ragazza ai comandi era terrorizzata: faceva del suo meglio per

tenere la navetta fuori dalle traiettorie di fuoco ed era atterrita dalla vicinanza di uno zerg vivo. Gli

zergling le sembravano già abbastanza spaventosi dall'alto, ma a quella distanza erano un incubo

vivente.

Virgil si appoggiò alla struttura metallica della navetta. Lo zergling era riuscito a entrare e con una

velocità prodigiosa si gettò su di lui, con gli artigli allungati per colpirlo.

A quella distanza i colpi sonici del fucile di Virgil trasformarono la testa dello zergling in un ammasso

disordinato di carne macinata, nient'altro che sangue e denti. Ma la creatura non si fermò, anzi continuò

ad avanzare e allungò il suo artiglio verso il petto di Virgil, squarciandone l'armatura CMC e strappando

la carne sottostante. Virgil gridò e il fucile gli cadde di mano. Lo zergling stava morendo, ma era ancora

abbastanza cosciente da ritrarre il suo artiglio per ultimo disperato colpo.

Fu allora che Virgil agì, contrastando l'oscurità che gli stava annebbiando la coscienza a causa della

perdita di sangue. Quando l'artiglio fece per colpirlo una seconda volta, lui sferrò un destro a quello che

era rimasto del muso dello zergling, maciullandone i denti e respingendolo indietro. Con ogni grammo

della sua forza di volontà, Virgil si protese in avanti e lo colpì di nuovo, con tutta la potenza automatica

della corazza CMC, e colpì ancora e ancora e ancora, fino a quando la creatura smise di muoversi e lui

cadde da un lato, mentre il mondo si dissolveva.

L'ultima cosa che ricordava di aver visto, prima di svegliarsi in ospedale, era un dente rotto dello

zergling, che stringeva saldamente nel suo guanto.

Birch era morto. La squadra Rho era stata annientata durante l'assalto alla base. Virgil era tutto ciò che

ne rimaneva.

***

Dopo essersi bendato la mano, Virgil si mise il dente intorno al collo e si diresse verso la porta

d'ingresso. Sapeva che avrebbe dovuto lasciato, che nessun contadino di Shiloh poteva avere un dente

di zergling come ciondolo, ma non riusciva a buttarlo via. Lo nascose sotto il colletto della camicia in

modo che nessuno lo vedesse. Ma lui sapeva che c'era.

Le strade erano piene di cittadini in preda al panico che correvano chissà dove. Un giornalista

oloproiettato, a 20 metri di altezza, trasmetteva gli eventi che si stavano verificando in tutto il sistema.

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La grafica mostrava l'assalto interplanetario dello Sciame che si spostava da un pianeta all'altro. Virgil

cercò di non guardare, si sforzò di tenere lo sguardo dritto avanti, si concentrò.

Quando svoltò l'angolo, vide un gruppo di uomini e donne raccolti attorno a un ufficio di reclutamento

del Dominio. Si stavano formando due file. Da una parte NUOVE RECLUTE, dall'altra RICHIAMATI. Erano

in guerra, e i soldati firmavano per andare a combattere.

Virgil affrettò il passo, cercando di non guardare gli uomini e le donne che stavano firmando, che

stavano facendo, loro sì, il proprio dovere.

Raggiunse la stazione di transito e si sedette su una panchina, in attesa della successiva corsa per lo

spazioporto di Kurtz. Il display mostrava che il mezzo stava arrivando, era una questione di pochi istanti.

Dall'altra parte della strada si vedeva una trasmissione della UNN su uno dei monitor. L'imperatore

Mengsk era in piedi su un podio, accanto al generale Warfield, una leggenda. Un testo scorreva sulla

metà inferiore dello schermo, la conta dei morti in aumento.

Seduto in silenzio, Virgil era certo di aver sentito il tramestio. Avrebbe giurato di aver sentito l'acuto

strillo di uno zergling e una raffica d'arma da fuoco fondersi al suono di un'esplosione. Chiuse gli occhi,

ma fu assalito dalla visione di una carica di zergling famelici, come quelli che avevano ucciso Birch, Dave,

Irmscher e i così tanti altri compagni caduti. Era tutto nella sua testa. Sarebbe stato lì per sempre. Non

c'era scampo. Aprendo gli occhi, lo capì.

Sentì un suono acuto provenire da dietro l'angolo e subito dopo comparve il mezzo, sospeso a un metro

da terra. L'ondata di calore dei suoi motori colpì Virgil in faccia. Alzò lo sguardo. Il conducente aprì la

porta per farlo entrare. Virgil rimase lì seduto ad ascoltare le fusa del motore del mezzo. Gli ricordavano

il suono che facevano i Vulture mentre correvano verso una zona di combattimento.

"Ehi, amico, hai intenzione di stare lì tutto il giorno o vuoi salire?"

Virgil fissò l'uomo per un lungo momento. Infine, si alzò in piedi. "No, signore... mi scusi. Stavo solo...

solo riposando le gambe."

"Oh, fottiti, amico! Riposa le tue stupide gambe su una panchina che non si trovi in una stazione...

Idiota!" Il conducente ripartì.

Virgil tornò in fondo all'isolato.

Mentre si avvicinava all'ufficio reclutamento del Dominio, si fermò vicino a un bidone della spazzatura

sulla strada. Lì, tirò fuori dalla tasca la carta d'identità digitale. Era la chiave per una vita diversa, lontano

dagli zergling e dai combattimenti. Per un attimo, le immagini di lui e Rufi scompaginarono i suoi

pensieri. Facevano i contadini nelle terre di Shiloh, circondati da bellissimi bambini che si rincorrevano,

ridendo, una risata musicale come quella della loro madre. Erano immagini di una vita possibile, ma una

vita sconosciuta a un sergente dei marine, quando c'era una guerra in corso.

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Gettò la falsa carta d'identità nel bidone della spazzatura, mise la mano sotto il colletto ed estrasse il

dente di zergling scheggiato, lasciando con orgoglio che tutti potessero vederlo: un distintivo d'onore, la

sua medaglia preferita.

Pochi istanti dopo, Virgil era in fila presso l'ufficio di reclutamento del Dominio con il resto dei vecchi

marine che si erano trovati faccia a faccia con gli zerg: uomini che sapevano ciò che lui aveva visto, ciò

che aveva vissuto... e che quell’esperienza l’avrebbe reso per sempre diverso da chiunque non ci fosse

passato.

Fine