Siamo forse il contrario di Dio?

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ANTONIO THELLUNG SIAMO FORSE IL CONTRARIO DI DIO? UN INVITO A COLTIVARE LA SPERANZA

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Che bisogno c’è mai che il mondo esista, si chiedeva Guido Gozzano. Partendo da esperienze vissute, che da un lato comprendono sessantacinque anni di felice vita coniugale, e dall’altro il diabolico dramma di un figlio ormai gravemente malato, l’autore propone una sua spiegazione originale: se Dio è tutto in tutti, come diceva San Paolo, che cos’è l’individuo che, per sua natura, si distingue da tutto il resto? Chi si trova a vivere in prima persona drammatiche esperienze che ricordano Giobbe, non fatica a credere che l’inferno si trovi su questa terra, come dicevano Schopenhauer o Italo Calvino. L’unico modo per non farsi travolgere è imparare a intrecciare insieme felicità e angoscia, è riuscire a sorridere anche con la morte nel cuore. Contrario non significa contrapposto: il vero contrario del bene non è il male (che da solo non esiste) ma bene e male mischiati assieme. «Per questo io che sono buono e cattivo a un tempo capisco di essere il contrario di Dio» dice l’autore. Le dedu

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“CMONDO ESISTA”, SI CHIEDEVAGUIDO GOZZANO. PARTENDODA ESPERIENZE VISSUTE, CHEDA UN LATO COMPRENDONOSESSANTACINQUE ANNI DI FELICEVITA CONIUGALE, E DALL’ALTROIL DIABOLICO DRAMMA DI UNFIGLIO ORMAI GRAVEMENTE MALATO,L’AUTORE PROPONE UNA SUASPIEGAZIONE ORIGINALE:SE D TUTTO INTUTTI, COMEDICEVA SAN PAOLO,L’INDIVIDUO CHE, PER SUA NATURA,SI DISTINGUE DATUTTO IL RESTO?CHI SI TROVA AVIVERE IN PRIMAPERSONA DRAMMATICHE ESPERIENZECHE RICORDANO GIOBBE, NONFATICA A CREDERE CHE L’INFERNOSI TROVI SU QUESTATERRA, COMEDICEVANO SCHOPENHAUER OITALO CALVINO. L’UNICO MODO PERNON FARSI TRAV PARARE

ANGOSCIA, A SORRIDEREANCHE CON LA MORTE NEL CUORE.

SIAMO FORSEIL CONTRARIODI DIO?

ANTONIOTHELLUNG

SIAMO FORSEIL CONTRARIODI DIO?UN INVITO A COLTIVARELA SPERANZA

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PREMESSA

È molto vivo in me un ricordo di sessant’anni fa, quando mia!glia ha visto per la prima volta il mare. Non aveva ancora treanni e quel giorno d’estate stavamo scendendo in Liguria dal Pie-monte, dove aveva fatto più volte il bagno nelle pozze di un pic-colo !ume di montagna sentendosi ripetere ogni volta, ai suoitrilli di gioia: «vedrai, vedrai quando saremo al mare!».

La sua attesa era grande, e così quel giorno, giunti a mezzacosta, avevo fermato l’auto su un piazzale dove la vista parevasenza con!ni. Ricordo che si era aggrappata alle sbarre della rin-ghiera, e dopo aver osservato a lungo quella sterminata diste-sa d’acqua, in assoluto silenzio e letteralmente a bocca aperta, siera voltata verso di me dicendo: «è questo il mare?… Così gran-de?...», per poi aggiungere col tono dell’ovvio: «io non posso fareil bagno, è troppo grande per me!».

Da allora l’episodio mi è rimasto in mente, non tanto per me-rito della mia memoria, piuttosto fragile, ma per il fatto che nelcorso degli anni mi sono ritrovato più volte di fronte a eventidalle dimensioni inquietanti. Aggiungerei però che !no a un cer-to punto si è trattato di sensazioni piuttosto normali, mentre daquando ho cominciato a studiare per imparare a morire mi capi-ta sempre più spesso d’incontrare aspetti della realtà che perce-pisco troppo grandi per me. Anzi, mi viene il sospetto che tut-to sia troppo grande per me. O forse mi sto rendendo conto diquanto le mie reali dimensioni siano piccole piccole.

Per esempio, il fatto che ora questa mia !glia è nonna (da qua-si dieci anni) mi suscita una stranissima sensazione: papà di una

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nonna? Ma come! Ricordo che la mia mi sembrava vecchissima(anche se quando è morta aveva otto anni meno dei miei attua-li). E ora? Sono il papà di una nonna? E tuttavia non è l’unicasensazione inquietante che provo.

In questo mio studio, fatto soprattutto di auto osservazio-ne, potrei dire di essere giunto a conclusioni che si riallaccianoa quanto avevo già intuito un tempo, quand’ero un giovane in-telligente tutto proiettato verso il futuro. Ora invece che ho lamente stanca e il futuro non mi appartiene più (perché alla miaetà si può anche avere un lungo presente, ma non è più il tempodi programmi e progetti) gira e rigira mi trovo a riscoprire quelloche !n dall’inizio del mio itinerario mi era sembrata un’intuizio-ne paradossale, ma logica e convincente.

Dopo aver esplorato molte strade, anche diverse fra loro, sen-to risuonare dentro di me sempre la stessa domanda: sono for-se il contrario di Dio? E come risposta direi proprio di sì, ben con-sapevole (o almeno credo) del suo drammatico signi!cato. Nonperché sia proprio io un’eccezione fra tanti, ma semplicementeperché sono un individuo. Credo che ogni individuo, di qualsia-si tipo, meriti di essere classi!cato come contrario di Dio, soloche pochissimi se ne rendono conto, e ancor meno riescono acomprenderne il senso. Anche perché, di solito, la parola contra-rio viene usata a sproposito, con signi!cato ambiguo, improprio,diabolicamente fuorviante. In particolare, viene sovente intesacome sinonimo di contrapposto, termine che invece ha un signi-!cato assolutamente diverso.

Per questo, prima di proseguire, vorrei fare subito qualcheprecisazione per tentare di superare equivoci e incomprensioni.Quando, negli anni, mi è capitato di accennare a questa tesi hoincontrato sovente delle avversità di principio, come un’istinti-va di"denza perché evidentemente, nell’inconscio, il contrariodi Dio (del bene) viene immaginato come qualcosa che spaven-ta, e quindi da fuggire. Ma se prendiamo sul serio la tesi paolinache Dio è tutto in tutti, allora dobbiamo anche credere che ognicosa, per!no la peggiore, sia compresa in lui, e quindi conservi in

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sé qualche aspetto divino capace di dare il via al ricupero. In ter-mini matematico-!loso!ci, si potrebbe citare a conferma che ilrelativo, pur essendo il contrario dell’assoluto, resta pur semprecompreso al suo interno. Perché temere, dunque? In tale pro-spettiva, anche le situazioni più negative non saranno mai ab-bandonate a se stesse, ma ci sarà sempre una qualche possibili-tà di riscatto.

Intesa nel suo signi!cato corretto, quindi, la parola contra-rio non ha nulla a che fare con la contrapposizione, anzi sotto-linea il paradosso che il contrario appartiene anch’esso al mon-do divino, com’è ben spiegato simbolicamente nel libro di Giob-be, dove Satana è in dialogo attivo con Dio, e con le sue iniziativeo"re a Giobbe la possibilità di capire il senso delle contraddizio-ni, vivendole !no al punto di trascenderle. Partendo da questoinsegnamento, mi propongo di scavare negli aspetti drammati-ci della mia e nostra vita, non per piangerci sopra, ma per espri-mere speranza.

L’argomento è tutt’altro che facile, anche perché le spiegazio-ni teoriche rischiano di suonare come astrazioni, di#cili da com-prendere nel loro autentico signi!cato. Come proseguire, dun-que? Riconosco che si tratta di un argomento troppo grande perme, e tuttavia sento che mi attrae al punto da non esitare a tuf-farmici, ripetendo volentieri col poeta: tra questa immensità s’an-nega il pensier mio, e il naufragar m’è dolce in questo mare.

Con fede e speranza che ci sia qualcuno pronto a raccoglierei naufraghi.

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1L’ESPERIENZA GIOBBE

Questa tesi, che per quanto mi riguarda direi di aver metabo-lizzato e assimilato da tempo, a me sembra sostenuta da consi-derazioni assai logiche e nient’a!atto negative. Ma bisogna capi-re bene quale ne sia il profondo signi"cato, possibilmente senzapregiudizi. Perciò preferisco partire da esempi concreti di vita,sperimentati personalmente, rimandando a un secondo tempole spiegazioni secondo la logica razionale.

Nella tradizione cristiana occidentale c’è l’uso liturgico diconcludere ogni lettura biblica proclamando che è parola di Dio,frase che nessuno interpreterà alla lettera, immagino, e tuttaviaqualcuno continua a credere che in sostanza, sia pure indiret-tamente, i libri della Bibbia siano “scritti” da Dio. Da parte miapenso che ragionando in termini antropomor"ci emergano facil-mente equivoci di vario tipo, mentre indagando il senso metafo-rico possono a#orare signi"cati assai interessanti. Il Dio tuttoin tutti non può più essere considerato come una sorta di super-man che sta davanti alla sua creazione governandola dall’ester-no. Il “tutto in tutti”, se viene preso sul serio, modi"ca radical-mente il senso della realtà, costringendo ("nalmente) a usciredall’antropomor"smo. E allora i racconti diventano metafore ca-paci di svelare signi"cati nascosti.

Emblematica la vicenda di Giobbe, ben nota anche se gene-ralmente in maniera approssimativa. Quel che non riesco a capi-re è perché mai Giobbe sia diventato simbolo di proverbiale pa-zienza, perché a leggere bene si scopre che invece non sopporta

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a!atto i suoi guai con rassegnazione, anzi combatte vivacemen-te senza mai perdere la speranza, mostrandosi fermo nelle sueconvinzioni e ribellandosi alle disgrazie, "no a dire esplicitamen-te: «e perché non dovrei perdere la pazienza?» (Gb 21,4). Eglivive come può quello che la vita gli mette davanti: un intrecciodi eventi divini e diabolici. Il testo infatti lo dice esplicitamentelà dove, poco dopo l’inizio, racconta che «un giorno, i "gli di Dioandarono a presentarsi davanti al Signore e anche Satana andòin mezzo a loro» (Gb 1,6). Cioè Satana viene indicato come par-te dell’entourage divino: la parte diabolica, appunto. Ed è lui chesi prende l’incarico di rovesciare disgrazie su disgrazie sul pove-ro Giobbe, rendendolo simbolo dei so!erenti.

Qui non si tratta di stabilire (in termini antropomor"ci) sequalcuno si muove nell’ombra alle spalle degli esseri umani, madi a!errare il signi"cato sottinteso, il quale a!erma chiaramen-te che nulla esiste di estraneo a Dio, ma che tutto, proprio tuttotutto, rientra nella sua sfera. Che poi la realtà negativa sia per-sonalizzata in Satana, oppure sia considerata in senso imperso-nale, non pone sostanziali di!erenze: la sua natura resta semprediabolica. Il che signi"ca che Dio non è consenziente o permis-sivo per sua scelta volontaria, né tanto meno per capriccio, ma ifatti stanno così semplicemente perché questa è la realtà. Nep-pure Dio può prendere l’asso di briscola con una scartina, diceun antico aforisma, il che è come dire che la natura complessi-va dell’insieme divino non potrebbe essere diversa, neppure neisuoi aspetti che si esprimono in dimensione terrena. Dio nonpotrebbe essere altro da Dio.

Tali premesse introducono a un’analisi di signi"cati comples-sa e piena di trabocchetti. Però alcune cose mi sembrano chiare,e mi propongo di evidenziarle via via, per quanto ne sarò capa-ce. Qui, per il momento, m’interessa sottolineare che in qualsia-si modo lo si voglia intendere, a Dio appartiene comunque ancheil suo contrario, come tutto il resto.

Sotto molti aspetti, e con le dovute proporzioni, la vicendadi Giobbe ri#ette signi"cativamente il senso dei drammi umani,

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o meglio, del dramma umano, perché tutta la realtà terrena po-trebbe essere considerata un’unica serie di eventi che si svolgo-no sul grande palcoscenico della storia, dove protagonisti e com-primari, contemporaneamente attori e spettatori, interpretanoruoli diversissimi e simili a un tempo, tutti precariamente dipen-denti da una realtà limitata. «Uno muore in piena salute, tuttotranquillo e prospero; i suoi !anchi sono coperti di grasso e il mi-dollo delle sue ossa è ben nutrito. Un altro muore con l’amarezzain cuore senza aver mai gustato il bene. Nella polvere giaccionoinsieme e i vermi li ricoprono.» (Gb 21,23/26).

Si potrebbe dire che la vecchiaia insegna a vivere l’esperienza-Giobbe sulla propria pelle, uscendo dalle teorie per sperimenta-re di persona il decadimento !sico e la so"erenza, !no alla sogliadella morte. E posso confermarlo personalmente dato che gli ac-ciacchi non mi mancano, tra digestione che fa i capricci, reuma-tismi che impongono posizioni oblique, analisi del sangue cheinquietano, ernie che spuntano all’improvviso, crampi notturniche (sia pur nulla di grave) sono capaci di far vedere le stelle an-che in camera da letto. In compenso riconosco che il mal di den-ti si fa sempre più raro, anche perché di quelli originali, nella miabocca, ne sono rimasti solo tre (ridotti a monconi), e già preno-tati per una prossima estrazione. C’è poi una stanchezza maiu-scola che m’insegue tutto il giorno, insieme a un sonno patologi-co che, salvo brevi momenti di tregua, m’invita continuamente adar retta alle palpebre.

Certe volte, quando mi sento bene, per qualche istante misembrerebbe di essere quello d’un tempo. Ma se mi guardo allospecchio vedo un vecchio! E non posso neppure strapparmi i ca-pelli, dato che da anni sono completamente calvo. Potrei dire chenon penso più alla vecchiaia: la sto vivendo. Sono e mi riconoscoinesorabilmente vecchio, anche se i miei acciacchi sono distur-bi relativi.

Spesso si sente parlare del diritto alla salute, ma mi doman-do se sia davvero un diritto. Ed eventualmente !no a che età?Il tempo scorre inesorabile, e col passare degli anni anche chi

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ha una “salute di ferro” sente farsi avanti la ruggine. Per quan-to mi riguarda so di poter ancora dire: che sarà mai, in fondo?Sto !n troppo bene, e se qualche amico di Giobbe saltasse su adire la sua non avrei neppure bisogno di ascoltarlo. Ma !no aquando?

Sul modo d’interpretare una realtà caotica e contraddittoriacome quella che ci riguarda, mi sento assai perplesso. Come dice-va il protagonista biblico, non pochi sono gli esseri umani a mo-rire con la morte nel cuore, senza aver mai gustato il bene. E ver-rebbe da dire, sia pure ragionando in astratto: meno male chequei tipi di vita così disgraziati prima o poi !niscono. Se non cheanche la vita di chi se la gode ben nutrito e con i !anchi ricopertidi grasso prima o poi !nisce. E allora? Sia a chi va tutto male, siaa chi va tutto bene, e anche a tutti quelli che sperimentano con-dizioni intermedie, la sorte pare riservare risultati identici, conun unico sipario conclusivo. Non si tratta forse di tragicomme-die desolatamente diaboliche?

Mentre sto scrivendo sta calando il sole, la giornata è al tra-monto, e fra non molto anche quest’anno volgerà al termine.Tutto è continuamente indirizzato verso la !ne, e ogni conclu-sione può essere più o meno breve (o lunga), ma resta sempre!nale. È come se la vita dell’individuo fosse legata a un elasti-co che col passare del tempo si tende sempre più, mentre con-temporaneamente ne capitano di tutti i colori. Mantenerlo teso,però, richiede energia continua, perché l’elastico aspirerebbe afarsi risucchiare per tornare in posizione di quiete. E così, quan-do col passare degli anni i vari protagonisti della tragicommediaaumentano la loro fragilità, la forza dell’elastico !nisce per pre-valere, come per rivendicare un diritto al riposo.

Col mio attuale studio per imparare a morire sto ripercorren-do tanti momenti della mia vita, che al ricordo mi sembrano in-globati progressivamente gli uni dentro gli altri alla maniera del-le matriosche. Sotto un certo aspetto nulla va perduto, ma inprospettiva tutto sembra destinato a decadere, per impossibilitàdi assumere posizioni stabili e de!nitive.

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Il “peccato” che emerge chiarissimo dal libro di Giobbe stanell’attribuire a Dio quello che non dipende da lui o dalla sua vo-lontà, perché si tratta semplicemente di conseguenze automati-che di una realtà strutturata secondo indirizzi diabolici, capacidi dare continue dimostrazioni di che cosa signi!ca essere il con-trario di Dio. Una logica paradossale, assai di"cile da capire, senon con fede che tutto abbia un senso.

Il libro di Giobbe è un grande insegnamento simbolico, e an-che se lungi da me l’intenzione di fare paragoni, non potrei nega-re che talune vicende drammatiche fanno parte integrante dellamia esperienza quotidiana, e mi stanno insegnando molto. Nonmi riferisco ai modesti acciacchi personali, che sebbene sgrade-voli rientrano nel !siologico, ma al fatto che non sono solo almondo, cosa che mi costringe a fare i conti con ben altri a#anni.Al di là delle teorie, quindi, credo importante il confronto sui fat-ti, perciò penso che iniziare parlando di problemi concreti, comequelli che sto sperimentando personalmente, o#ra la possibili-tà di riscontri oggettivi, perché ciascuno potrà veri!care quan-to potrebbero essere calzanti in rapporto alla propria circostan-za vivente.

Comincerei perciò col tracciare un breve a#resco sull’intrec-cio tra meraviglie e tragedie della mia vita, che si potrebbero de-!nire teologia vissuta sulla pelle, per tentare poi qualche ri$es-sione sul senso misterioso della realtà, nella speranza di capirlameglio.