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1 Introduzione In questo corso si introduce una riflessione sullo sport secondo una prospettiva giusteoretica: si tratta di una prospettiva tesa ad individuare profili di rilevanza giuridica che, pur nel mutare continuo e/o nel sovrapporsi delle discipline regolamentari in materia, si mantengano essenzialmente immutati. Si partirà dall’interrogativo se il fenomeno sportivo abbia o meno rilevanza giuridica. Rispondere a tale interrogativo richiederà preliminarmente una definizione di sport, al fine di individuare le tipicità che valgono ad identificarlo in maniera inequivocabile, distinguendolo da altre attività ad esso assimilabili. La definizione condurrà all’individuazione tanto delle soggettività implicate quanto dei beni e/o interessi coinvolti: di qui emergeranno i profili di rilevanza giuridica in via generale, così come quelli specifici relativi a ciascuna delle fattispecie analizzate in via particolare.

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Introduzione

In questo corso si introduce una riflessione sullo sport secondo una prospettiva

giusteoretica: si tratta di una prospettiva tesa ad individuare profili di rilevanza giuridica che, pur

nel mutare continuo e/o nel sovrapporsi delle discipline regolamentari in materia, si mantengano

essenzialmente immutati.

Si partirà dall’interrogativo se il fenomeno sportivo abbia o meno rilevanza giuridica.

Rispondere a tale interrogativo richiederà preliminarmente una definizione di sport, al fine di

individuare le tipicità che valgono ad identificarlo in maniera inequivocabile, distinguendolo da

altre attività ad esso assimilabili.

La definizione condurrà all’individuazione tanto delle soggettività implicate quanto dei beni

e/o interessi coinvolti: di qui emergeranno i profili di rilevanza giuridica in via generale, così come

quelli specifici relativi a ciascuna delle fattispecie analizzate in via particolare.

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Capitolo I

La rilevanza giuridica dello sport.

1.1 Una definizione di sport.

Prima ancora di rispondere all’interrogativo sulla rilevanza giuridica dello sport, appare

importante cercarne una definizione: definire implica, infatti, un’opera di de-limitazione

dell’ambito di riflessione, onde evitare, per quanto possibile, le confusioni che possono generarsi

quando, appunto, non si procede a tale delimitazione.

L’opera di definizione, è bene sottolinearlo, non è ultimativa, in quanto sovente proprio

quando ci si accosta al confine ci si imbatte in zone grigie, ove l’opera di distinzione e/o di

individuazione delle appartenenze non è affatto semplice.

Dando inizio a questa definizione, ricercando sui vocabolari della lingua italiana, si trova

che sport è “attività che impegna sul piano dell’agonismo oppure dell’esercizio individuale o

collettivo, le capacità psicofisiche, svolta con intenti ricreativi ed igienici oppure professionistici (di

lucro)”1; così come lo sport sarebbe “insieme delle gare e degli esercizi compiuti individualmente o

in gruppo come manifestazione agonistica o per svago o per sviluppare l’agilità del corpo”2.

Da questa prima rapida escursione sui vocabolari emerge come le definizioni appena citate

siano abbastanza simili, evidenziando come si tratti di attività psicofisica, che si sviluppa in ambito

agonistico, con intenti ricreativi o professionistici3.

Si può dire, pertanto, che parlare di sport parlare di sport significa indicare un’attività

segnata dal coinvolgimento della sfera psico-fisica che persegue l’obiettivo essenziale di

primeggiare nella competizione4.

1 G. Devoto – G. Oli, Dizionario della lingua italiana, II, Le Monnier, Firenze, 1992, p. 3026 2 N. Zingarelli, lo Zingarelli 2004. Vocabolario della lingua italiana, Zanichelli, Bologna, 2004. In questo

vocabolario si annota anche un uso estensivo del termine che vale ad indicare “divertimento, passatempo” 3 Forse questo è l’aspetto che differenzia sostanzialmente la definizione del Devoto-Oli da quella dello

Zingarelli. 4 In tal senso Luca Di Nella afferma che “l’attività sportiva è presenza e attualità del corpo umano implica

una azione fisica che si manifesta esteriormente che pone in rilievo i poteri, la vitalità e l’efficacia. […] Lo sport non è

soltanto eminentemente attualizzazione dell’essere sul piano fisico. Anche lo spirito è coinvolto nell’azione. […] Il

corpo sportivo, a differenza di quello ordinario, la cui attitudine al gesto viene da movimenti abitudinari e meccanici,

è il risultato di una educazione consapevole di una costruzione intelligente” (L. Di Nella, Lo sport. Profili teorici e

metodologici, in L. Di Nella (a cura di), Manuale di diritto dello sport, ESI, Napoli, 2010, p. 14). Non solo, “l’esperienza

sportiva è fondamentalmente consacrata al compimento di prestazioni. In questo senso l’atleta è colui che si mette

costantemente alla prova. In questo senso, l’atleta è colui che si mette costantemente alla prova. Attraverso l’ostacolo

egli interroga il valore delle proprie qualità fisiche e morali, del coraggio e dell’intelligenza che lo devono animare”

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Nell’attrezzarsi per giungere all’obiettivo proposto, ancora, si sviluppano abilità di

destrezza tali da permettere l’esecuzione di gesti che richiedono una capacità di coordinazione

estremamente raffinata5.

Il tutto si inserisce in una cornice di essenziale ed originale innecessarietà, che rende lo

sport un’attività peculiare del tempo libero, segnata dalla piacevolezza che deriva dalla sua

pratica6.

Si tratta di una prima definizione che, tuttavia, non vale a distinguere ancora lo sport da

altre attività umane d’elezione, quali possono essere il gioco o la semplice pratica dell’esercizio

fisico.

Si parla allora di sport in senso stretto quando la dimensione competitiva diventa

prevalente rispetto a quella dell’affinamento delle abilità e delle capacità di coordinazione psico-

fisica e, non ultimo, rispetto alle attese di piacevolezza.

A caratterizzare, però, in senso proprio lo sport è sì la presenza degli elementi appena

individuati (competizione, sviluppo di particolari abilità psicofisiche, piacevolezza), ma anche

un’insopprimibile dimensione relazionale, che richiede una regolamentazione istituzionalizzata7.

1.2 Lo sport è rilevante giuridicamente?

(Ibidem, p. 15.). In una parola, la competizione è “strettamente connessa all’attività sportiva e consiste nella volontà di

superare l’avversario” (Ibidem, p. 16) 5 In proposito, Di Nella continua ad osservare che “se il corpo è il soggetto della performance, il movimento

ne è l’atto stesso. Lo sport consiste nel muoversi e nel dare movimento per un dato fine. Quest’ultimo sollecita il gesto

in modo tale che è la conforme intenzione del movimento a dargli esistenza e significato. […] Il movimento è anche

espressione di una volontà diretta a realizzare il fine cui l’atto è rivolto. Ciò si manifesta nell’educazione del gesto

sportive attraverso l’incessante perfezionamento dello stesso con il tecnicismo e con il costante controllo del gesto

appreso e automaticamente reso nel corso della prestazione” (Ibidem, p. 15). 6 Lo sport “contiene già in sé tutti i caratteri propri del giuoco, inteso come atto libero, non utilitaristico,

esterno alla vita ordinaria, con un fine in sé, circoscritto nello spazio e nel tempo, caratterizzato da un rigoroso

tecnicismo , creativo di tensione, idoneo a formare un gruppo sociale stabile” (Ibidem, p. 17). In questa prospettiva,

non appare fuori luogo affermare che “lo sport svolge in primo luogo un ruolo ludico. Il gesto sportivo presenta

un’attitudine giocosa e quel tratto di vacuità che l’accostano all’immaginario. Il piacere immediato che sprigiona dal

dinamismo di un’azione competitivamente proiettata al superamento dell’ostacolo ed al conseguimento della

performance, il gusto dell’atto tecnico perfettamente riuscito soddisfano quei bisogni spirituali di liberazione dal

quotidiano e di aspirazione a fini elevati propri dell’uomo” (Ibidem, p. 21). 7 Si osserva, in proposito, come l’istituzionalizzazione delle regole sia un processo che ha una serie di

conseguenze estremamente importanti. La prima consiste nella positivizzazione delle regole: non più attività sportive,

le cui regole siano consuetudinarie, ma disciplinate da norme scritte, con effetti di certezza giuridica e relativa stabilità

normativa. L’istituzionalizzazione implica anche l’individuazione di una serie di organi e/o federazioni preposti tanto

alla scrittura delle regole, quanto alla vigilanza in ordine alla loro osservanza, cui segue un potere di sanzione nei

confronti di quanto le dovessero disattendere.

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Partendo da questa definizione che fa emergere alcuni tratti distintivi dello sport, si

cercherà ora di rispondere all’interrogativo se lo sport sia in sé un fenomeno giuridicamente

rilevante.

a) Lo sport in una prospettiva formal-normativista.

C’è chi risponde negativamente, argomentando che lo sport, per il suo essere legato alla

dimensione del tempo libero e, dunque, alla sfera della innecessarietà, per il suo essere, in ragione

di ciò, fenomeno riconducibile a quella sfera privata dei cittadini nella quale l’ordinamento si

astiene dall’intervenire, non sarebbe rilevante in sé e per sé, ma solo quando insorgono particolari

conflittualità che coinvolgono interessi di carattere generale.

Lo sport, pertanto, nonostante il proliferare di trattati di diritto dello sport, apparirebbe ad

alcuni un fenomeno cui difficilmente si possa riconoscere una rilevanza giuridica in sé, se non per

le interferenze accidentali con ambiti di stretta pertinenza della legislazione statale e/o

internazionale.

La negazione della rilevanza giuridica intrinseca dello sport, ordinariamente, promana

dall’adesione ad una prospettiva ordinamentale di stampo normativista.

Tale asserzione è tuttavia insufficiente, poiché esiste una pluralità di modi di concepire il

normativismo, tanto che si può parlare tanto di normativismo ontologico, quale teoria sulla

natura del diritto (il diritto è norma)8, quanto di normativismo gnoseologico, per il quale la

conoscenza del diritto avviene conoscendo le norme9; si può avere, inoltre, un approccio

metodologico, quale teoria della conoscenza delle norme10, cui si affianca spesso un approccio

logico, volto alla scoperta della logica propria delle norme giuridiche11; così come può esserci,

infine, un normativismo ideologico, quale teoria delle condizioni di validità delle norme12.

8 “La tesi secondo cui il fenomeno giuridico è costituito prevalentemente da norme è largamente accettata

dai teorici del diritto contemporaneo. Nell’articolare i loro, pur diversi e originali, contributi alla costruzione di una

dottrina generale del diritto costoro raramente mettono in discussione la rilevanza della nozione di norma per la

caratterizzazione del fenomeno giuridico. Per quanto oggi sia quasi generalmente condivisa, la rappresentazione del

diritto come un sistema di norme è un’acquisizione relativamente recente. Essa costituisce l’idea fondante del

‘normativismo’” (S. Bertea, Diritto e norma, in M. La Torre – A. Scerbo, Un’introduzione alla filosofia del diritto,

Rubbettino, Soveria Mannelli, 2003, pp. 47-48). Fra gli esponenti più rilevanti del giuspositivismo normativistico si

possono ricordare Hans Kelsen (vedi infra) e Herbert L. Hart (1907-1992), secondo cui la norma è nozione

fondamentale senza la quale non è possibile spiegare neanche la forma più elementare del diritto, introducendo,

però, una distinzione fra norme primarie, che impongono obblighi e doveri (norme imperative), e norme secondarie,

che attribuiscono, autorizzano poteri e, quindi, includono anche le norme di mutamento delle primarie (le c.d. meta-

norme). 9 Appare importante osservare come il normativismo gnoseologico sia un portato del normativismo

ontologico: se il diritto è norma, la sua conoscenza non può che avvenire attraverso la conoscenza della norma.

L’approccio normativista gnoseologico, tuttavia, non implica l’adesione al normativismo ontologico, potendosi

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In questa sede si assume la prima accezione di normativismo, per il suo rispondere alla

domanda quid ius? che il diritto è norma. Una volta assunto che il diritto è norma, tuttavia, il

compito definitorio non è affatto esaurito, in quanto esiste una pluralità di possibili accezioni di

norma: norma come comando13; norma come dichiarazione di volontà14; norma come imperativo

indipendente15; norma come relazione logica16 o, ancora, norma come giudizio ipotetico17.

riscontrare teorie elaborate in antitesi al normativismo, quali l’istituzionalismo e la teoria relazionale del diritto, che

non rifiutano il normativismo gnoseologico. 10

Si tratta della concezione che ha origine nella c.d. “giurisprudenza dei concetti” (Begriffsjurisprudenz),

secondo la quale il diritto è un'entità definita concettualmente, da comprendere e da spiegare entro se stessa,

ricercando il fondamento delle norme, dei rapporti e degli istituti giuridici in formulazioni concettuali che

costituiscono un organismo logico autonomo e autosufficiente. Tra gli esponenti principali si ricordano George

Friedrich Puchta 1798-1846), Bernhard Windscheid (1817-1898) e il primo Rudolph von Jhering (1818-1892). 11 Secondo tale prospettiva non si fa altro che elevare al massimo la metodologia assiomatica, utilizzata già

nella sistematizzazione giuridica. Le relazioni logiche fra le norme sono, infatti, distinte e differenti da quelle che

possono intercorrere fra gli altri enunciati, in quanto le norme (particolarmente il diritto) hanno una logica propria e,

dunque, una sintassi peculiare. 12 In questa prospettiva teorica si dà prevalenza ad una considerazione della validità della norma che

prescinda dalla effettività o reale efficacia della stessa: una validità che consiste nella sua positività, ossia nell’essere

stata posta e convalidata nell’ordinamento. 13 Si tratta di una concezione secondo la quale la norma si presenterebbe sempre come un imperativo

(praeceptum) positivo o negativo, ove l’imperativo va inteso nel duplice senso di imposizione di un comportamento da

tenere (un facere) e di imposizione di un comportamento da non tenere (non facere). Si tratta di una concezione che

ha ascendenze antiche, particolarmente nel diritto romano (in tal senso, ex pluribus si veda D. I, 1 , 3, “Legis virtus

haec est imperare vetare permittere punire”); una concezione che nella modernità si fa risalire a Thon, per il quale

“l’intero diritto di una società non è altro che un complesso d’imperativi” (Norma giuridica e diritto soggettivo (1878),

CEDAM, Padova, 1951, p. 17), quindi a John Austin (il quale nel suo Lectures on Jurisprudence, I, John Murray, London,

1885, p. 88, ha affermato che “every law or rule (taken with the largest signification which can be given to the term

properly) is a command. Or, rather, laws or rules, properly so called, are a species of commands”. In particolare, “a law

is a command which obliges a person or persons” Ibidem, p. 96). In Italia, si ricordano Francesco Carnelutti (18979-

1065), il quale ha affermato che “con la formula della imperatività si vuol denotare che il comando è l’elemento

idefettibile dell’ordinamento giuridico o, in altre parole, il prodotto semplice o primo del diritto; già fu detto che se

l’ordinamento giuridico fosse un organismo il comando ne rappresenterebbe la cellula” (Teoria generale del diritto,

Foro italiano, Roma, 1946, p. 67-68); e Giorgio Del Vecchio, per il quale “importantissimo ed essenziale carattere della

norma giuridica è l’imperatività. Non possiamo concepire una norma che non abbia carattere imperativo, sia pure

sotto condizioni determinate” (Filosofia del diritto, Giuffrè, Milano, 1953, p. 230). 14 Si tratta di una definizione della norma più estesa della precedente, in quanto la dichiarazione della volontà

non implica necessariamente un comando. 15 È una concezione di norma centrale nel pensiero di Karl Olivecrona (1897-1980), filosofo del diritto

svedese, esponente del realismo giuridico. Per il nostro autore, le norme giuridiche hanno una forma imperativa: sono

comandi privati di tutte relazioni personali, qualificabili come imperativi indipendenti, ossia delle immagini di azioni e

situazioni che il legislatore propone ai cittadini quali modelli di comportamento, esprimendoli sotto forma di

imperativi. Le norme giuridiche sono, per un verso, simili ai comandi per il fatto che esercitano una pressione e, per

altro verso, se ne differenziano per il loro essere spersonalizzate: le norme giuridiche sono imperativi indipendenti,

ossia sono imperativi che non discendono da un soggetto che comanda (da un “imperatore”), non sono dichiarazioni

di volontà né dello Stato né di un soggetto, e non sono prescrizioni dirette ad un particolare individuo. La forma

attraverso la quale si esprimono tali imperativi non è pertanto diretta di un comando (fa’ così!), ma indiretta e

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b) Hans Kelsen.

Fra le molte prospettive normativiste, appare importante soffermarsi, sia pure

brevemente, sulla concezione normativista di Hans Kelsen18, la cui teoria ha riverberato i suoi

effetti sulla riflessione giusteoretica del nostro tempo: chiunque si sia accostato al diritto nella

contemporaneità ha dovuto necessariamente confrontarsi con la teoria kelseniana,

condividendola o confutandola.

Si ricorda che obiettivo della riflessione kelseniana era quello di fondare logicamente e

sistematizzare una concezione del diritto che avesse dignità di scienza19: diventava, pertanto,

necessario porre una teoria del diritto anassiologica, salvaguardandola dall’intrusione di

qualsivoglia giudizio di valore20. Una scienza del diritto che voglia dirsi tale non può né deve porsi

la domanda cosa sia giusto o ingiusto: la teoria del diritto non deve avere altro oggetto che il

diritto e nessun altro scopo che la sua conoscenza21.

impersonale (Questa azione deve essere fatta). Più estensivamente si veda di Karl Olivecrona, Il diritto come fatto

(1939), Giuffrè, Milano, 1967. 16 17 È la teoria kelseniana che vedremo nel dettaglio infra. 18

Hans Kelsen (Praga, 11 ottobre 1881 – Berkeley, 19 aprile 1973) è stato un giurista austriaco, tra i più

importanti del Novecento e maggior esponente del normativismo. Fra le maggiori opere di Kelsen si ricordano

Hauptprobleme der Staatsrechtslehre (1911), Allgemeine Staatslehre (1925), quindi la Reine Rechtslehre (1934),

General Theory of Law and State (1945), fino alla seconda edizione della Reine Rechtslehre (1960). 19 Hans Kelsen programmaticamente nell’incipit della sua Reine Rechtslehre afferma infatti che “la dottrina

pura del diritto è una teoria del diritto positivo. Del diritto positivo semplicemente, non di un particolare ordinamento

giuridico. […] Essa, come teoria, vuole conoscere esclusivamente ed unicamente il suo oggetto. Essa cerca di

rispondere alla domanda: cosa è e come è il diritto; non però alla domanda: come deve essere o come si deve

produrre il diritto. È scienza del diritto, non già politica del diritto” (La dottrina pura del diritto (1960), Einaudi, Torino,

1966, p. 9). 20 In tal senso, “il diritto, qual è usato in questo genere di ricerche, non ha alcun significato morale. Esso

designa una tecnica specifica di organizzazione sociale. Il problema del diritto, in quanto problema scientifico, è il

problema della tecnica sociale, non problema di morale. L’affermazione che «un dato ordinamento sociale ha il

carattere di diritto, è un ordinamento giuridico» non implica il giudizio morale che quell’ordinamento sia buono o

giusto” (Teoria generale del diritto e dello Stato (1945), ETAS KOMPASS, Milano, 1966, p. 5). 21 “La si definisce dottrina «pura» del diritto perché vorrebbe assicurare una conoscenza rivolta soltanto al

diritto e perché vorrebbe eliminare da tale conoscenza tutto ciò che non appartiene all’oggetto esattamente

determinato come diritto. Vuole cioè liberare la scienza del diritto da tutti gli elementi che le sono estranei” (La

dottrina pura del diritto, cit., p. 9). In tal senso, “[La conoscenza razionale] può intendere solo un ordinamento

positivo, comprovato da atti oggettivamente determinabili. Quest’ordinamento è il diritto positivo. Solo questo può

essere oggetto di scienza, non una metafisica, del diritto” (Teoria generale del diritto e dello Stato, cit., p. 13).

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Date queste premesse, assume ancor più rilievo la distinzione fra diritto e natura: le leggi

che governano entrambi sono giudizi ipotetici, solo che la natura appartiene al mondo del Sein

(essere), retto dal principio di causalità, per il quale “se è A, allora è (sarà) B”22, mentre il diritto

appartiene alla dimensione del Sollen (dovere), nel quale la conseguenza (Rechtsfolge) è attribuita

alla condizione (Rechtsbedingung) , in ragione di un nesso di imputazione (Zurechnung), che si

esprime nella formula “se è A, allora deve (dovrà) essere B” 23.

Ne deriva che il diritto si qualifica non già come un sistema di imperativi, ma come un

sistema di qualificazione dei comportamenti umani, ritenuti giuridicamente rilevanti se, e solo se,

contemplati da una qualche norma giuridica24.

22 “La natura è un certo ordinamento delle cose, ovvero un sistema di elementi collegati l’uno con l’altro

come causa ed effetto, cioè secondo un principio detto di causalità. Le cosiddette leggi della natura, con cui la scienza

descrive questo suo oggetto (per esempio:«Se un metallo viene riscaldato, si dilata»), sono applicazioni di questo

principio. Il rapporto fra calore e dilatazione è un rapporto da causa ed effetto” (La dottrina pura del diritto, cit., p. 93).

In particolare, “la legge naturale stabilisce che se A è, B è (o sarà). […] Il significato del collegamento stabilito ra due

elementi dalla legge naturale è dato dall’«essere»” (Teoria generale del diritto e dello Stato, cit., p. 46). 23 “Nella descrizione di un ordinamento normativo che regoli il reciproco comportamento umano si applica un

criterio ordinatore diverso dal principio di causalità, il quale può essere denominato imputazione (Zurechnung)” (La

dottrina pura del diritto, cit., p. 94). Non solo, “La formula linguistica in cui trova espressione tanto il principio di

causalità quanto il principio di imputazione è un giudizio ipotetico, in cui una certa condizione viene collegata ad una

certa conseguenza. Ma nei due casi, come si è visto, il senso del collegamento è diverso. Il principio di causalità dice,

se è A, è (ovvero sarà) anche B. Il principio di imputazione dice che se è A, deve essere B. […] La differenza fra causalità

e imputazione, come già si è detto, consiste nel fatto che il rapporto tra condizione (considerata come causa) e

conseguenza (considerata come effetto), affermato nella legge naturale, non è sancito da una norma prodotta dagli

uomini […] ma è indipendente da ogni influenza di questo tipo. Poiché il senso specifico dell’atto con cui si crea il

rapporto fra condizione e conseguenza in una legge morale o giuridica, è una norma, si può parlare di rapporto

normativo, contrapponendolo ad uno causale. Con «imputazione» si intende un rapporto normativo. Questo rapporto

(e null’altro) è espresso con il termine «dover essere» (Sollen) nella misura in cui se ne fa uso in una legge morale o

giuridica” (Ibidem, pp. 109-110). “La regola di diritto è una norma (nel senso descrittivo del termine). […] Il significato

del collegamento fra due elementi stabilito dalla regola di diritto è dato dal «dover essere». Il principio in base al quale

la scienza naturale descrive il suo oggetto è la causalità; il principio in base al quale la scienza del diritto descrive il

suo oggetto è la normatività” (Teoria generale del diritto e dello Stato, cit., p. 46). 24

“La norma giuridica può venir applicata non soltanto nel senso che viene eseguita dall’organo o obbedita

dal soggetto, ma anche nel senso che essa forma la base di un giudizio specifico di valore che qualifica il

comportamento e del soggetto come giuridico (legittimo, lecito) o antigiuridico (illegittimo, illecito)” (Loc. cit.). In

particolare, un fatto ottiene “il suo senso specificamente giuridico, il suo particolare significato giuridico, per mezzo di

una norma il cui contenuto si riferisce a tale fatto attribuendogli un significato giuridico, cosicché l’atto può essere

qualificato in base a tale norma. In altre parole, il giudizio con cui si dichiara che un atto del comportamento umano,

posto in essere nel tempo e nello spazio, è un atto giuridico o antigiuridico, è il risultato di una specifica qualificazione,

precisamente di una qualificazione normativa” (La dottrina pura del diritto, cit., p. 12).

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Si tratta di un interessante capovolgimento degli assunti della dottrina tradizionale, giacché

per Kelsen la sanzione non è intesa come reazione all’inosservanza delle regole, ma è ciò che

permette la pensabilità stessa della norma: l’illecito non è la negazione del diritto, ma è l’elemento

costitutivo a partire dal quale si può affermare che ci sia diritto25.

In Kelsen primarietà e secondarietà sono così ribaltate, attribuendo la primarietà alla

sanzione, che conferisce la qualifica di giuridicità alla fattispecie26.

Asserire che il diritto sia norma, per Kelsen, non è tuttavia sufficiente: è necessario

aggiungere che la norma è giuridica se appartiene ad un ordinamento che, a sua volta, possa

qualificarsi come giuridico27.

La norma, dunque, non è valida in sé e per sé , ma per (fur) ed attraverso (durch)

l’ordinamento : l’esistenza e la qualificazione della norma si danno pertanto proprio nel suo

relazionarsi con l’ordinamento, inteso come complesso di norme logicamente organizzato e

gerarchicamente ordinato.

L’organizzazione logica dell’ordinamento emerge da una sua considerazione secondo una

prospettiva statica28, per cui ogni norma può essere inscritta nell’ordinamento, se il suo contenuto

può essere derivato da un’unica norma di cui costituisce specificazione29: questa norma, definita

da Kelsen come fondamentale (Grundnorm), costituisce il fondamento di validità e definisce il

contenuto della validità delle norme derivabili da essa mediante un’operazione logica30.

25

“Quando si parla di illecito («Un-Recht»), di antigiuridicità («Rechts»-Widrigkeit), di infrazione («Rechts»-

Bruch), o di violazione del diritto («Rechts»-Verletzung), si esprime il pensiero di una negazione del diritto, la

rappresentazione di qualcosa di estraneo e contrario al diritto, che ne minaccia, interrompe o addirittura annienta

l’esistenza. Questa concezione è errata. […] Se un ordinamento normativo prescrive un certo comportamento,

ricollegando soltanto una sanzione al comportamento opposto, gli elementi essenziali sono esaurientemente descritti

con un giudizio ipotetico secondo cui, in presenza di un certo comportamento, si deve eseguire un atto coercitivo. In

questa proposizione, l’illecito appare come la condizione e non come la condizione del diritto; e allora si vede che

l’illecito non è un fatto estraneo e contrario al diritto, bensì un fatto interno al diritto e da esso determinato, e che il

diritto, conformemente alla sua essenza, si rivolge proprio ad esso e particolarmente ad esso” (Ibidem, p. 135). ???

Teoria generale del diritto 26 ??? Teoria generale del diritto “La scienza giuridica, trasformando l’illecito in condizione del diritto e

capovolgendo così l’ingenua concezione prescientifica che immaginava l’illecito come negazione del diritto, come atto

contrario al diritto (Un-Recht), compie un processo simle a quello della teologia di fronte al problema della teodicea,

cioè al problema del male in un mondo creato da un dio infinitamente buono ed onnipotente” (La dottrina pura del

diritto, cit., p. 136). 27 “Una singola norma è una norma giuridica in quanto appartiene ad un certo ordinamento giuridico”

(Ibidem, pp. 42-43) 28 Nella distinzione fra sistema normativo statico e sistema normativo dinamico, Kelsen sostiene che nel

primo tipo di ordinamento la validità delle norme “può essere ricondotta ad una norma, nel cui contenuto si può

sussumere il contenuto di tutte le norme che costituiscono l’ordinamento, così come il particolare si può sussumere

dal generale. […] Poiché tutte le norme di un ordinamento di questo tipo esistono già nel contenuto della norma

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La strutturazione gerarchica emerge, invece, da una considerazione secondo una

prospettiva dinamica, per cui ogni norma che voglia essere qualificata come giuridica, ossia

appartenente ad un ordinamento giuridico, deve essere prodotta secondo le modalità

determinate dalla norma fondamentale31. In tale prospettiva la qualificazione di giuridicità deriva

non dal contenuto, ma dalle modalità di produzione: il diritto può avere pertanto qualsiasi

contenuto32. Ne deriva una descrizione dell’ordinamento in cui le norme sono unite fra loro da un

presupposta, possono da questa essere dedotte mediante un’operazione logica, con una conclusione dal generale al

particolare” (Ibidem, p. 219). 29 “Per esempio, le norme in base alle quali non si deve mentire, non si deve ingannare, si deve mantenere la

parola data, non si deve prestare falsa testimonianza possono essere dedotte da una norma che prescrive di dire la

verità” (Loc. cit.) 30 “Questa norma, presupposta come norma fondamentale, fornisce tanto il fondamento della validità,

quanto il contenuto della validità (Geltungsinhalt) delle norme da essa dedotte mediante un’operazione logica”

(Ibidem, pp. 219-220). Ancora, “le norme sono valide a causa di un richiamo loro inerente. Le norme hanno questa

qualità perché sono deducibili da una norma fondamentale specifica, come il particolare è deducibile dal generale”

(Teoria generale del diritto, cit., p. 113). 31

“Il sistema normativo di tipo dinamico è caratterizzato dal fatto che la norma fondamentale presupposta

non contiene altro che l’istituzione di una fattispecie produttiva di norma, l’autorizzazione di un’autorità legiferante o,

cosa che è poi eguale, una regola che determina come si devono produrre le norme generali ed individuali

dell’ordinamento riposante su questa norma fondamentale” (La dottrina pura del diritto, cit., pp. 220-221). Inoltre, “il

sistema normativo che si presenta come ordinamento giuridico ha un carattere essenzialmente dinamico. Una norma

giuridica non è in vigore per il fatto di avere un certo contenuto, cioè per il fatto che se ne può dedurre il contenuto da

una norma fondamentale, secondo una deduzione logica, bensì per il fatto che la si produce in un certo modo, in un

modo cioè che, in ultima analisi, è determinato da una norma fondamentale presupposta. […] In questo senso, la

norma fondamentale istituisce la fattispecie fondamentale per la produzione del diritto; in questo senso la si può

designare come costituzione in senso logico-giuridico, per distinguerla dalla costituzione in senso giuridico-positivo. È

il punto di partenza di un procedimento: il procedimento di produzione del diritto positivo” (Ibidem, pp. 222-223). In

tal senso, “la norma fondamentale di un sistema dinamico è la regola basilare, secondo la quale devono venir create le

norme del sistema. Una norma fa parte di un sistema dinamico se è stata creata mediante un’operazione intellettuale

determinata – in ultima analisi dalla norma fondamentale. […] Una norma giuridica è valida in virtù del fatto che essa è

postulata secondo la quale le norme di questo ordinamento sono poste in essere e nel nulla, ricevono e perdono la

loro validità” (Teoria generale del diritto, cit., p. 114). 32

“Le norme giuridiche non sono valide perché esse medesime o la norma fondamentale hanno un contenuto

la cui forza vincolante è evidente di per sé. Esse non sono valide per via del richiamo loro inerente. Le norme

giuridiche possono avere un contenuto di qualsiasi genere” (loc. cit.). Infatti, “la norma fondamentale fornisce

soltanto il fondamento della validità, non però anche il contenuto delle norme che costituiscono questo sistema” (La

dottrina pura del diritto, cit., p. 221).

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nesso dinamico-produttivo, per cui ogni norma deriva la sua validità da una norma superiore33: è

la classica costruzione a gradi (Stufenbau) dell’ordinamento34.

La premessa teoretica anassiologica sembra essere meglio assicurata da una

considerazione dell’ordinamento secondo quest’ultima prospettiva.

In particolare, la Grundnorm recita qui il ruolo fondamentale di norma di chiusura

dell’ordinamento, presentandosi come fattispecie produttrice di diritto nonché condizione di

pensabilità del diritto, meglio ancora dell’ordinamento35, rappresentando il punto di partenza del

processo di produzione del diritto36.

In una parola, la Grundnorm è ad un tempo fonte di validità e criterio di valutazione di

appartenenza37: per ciò la sua validità non può essere dedotta nei modi previsti per le altre norme

giuridiche, così come non può essere posta, ma presupposta (Vorausgesetzt)38.

33 “Poiché, secondo il carattere proprio dinamico del diritto, una norma è valida per il fatto che e nella misura

in cui la si produce in determinato modo (determinato cioè da un’altra norma), quest’ultima costituisce l’immediato

fondamento della validità della prima. Il rapporto fra la norma che regola la produzione di un’altra e la norma

prodotta conformemente alla prescrizione si può rappresentare con l’immagine spaziale della sovrordinazione e della

subordinazione. Superiore è la norma che regola produzione, inferiore è la norma prodotta conformemente alla

prescrizione” (Ibidem, pp. 251-252). 34 “L’ordinamento giuridico non è un sistema di norme giuridiche poste l’una accanto all’atra in condizioni di

parità, bensì una struttura gerarchica (Stufenbau) composta da vari piani di norme giuridiche” (Ibidem, p. 252). 35 “Poiché soltanto presupponendo la norma fondamentale è possibile interpretare il senso soggettivo

dell’atto costituente e degli atti statuiti conformemente alla costituzione come loro senso oggettivo, cioè come norme

giuridiche oggettivamente valide, la norma fondamentale (così come la definisce la scienza giuridica) può essere

definita la condizione logico-trascendentale di questa interpretazione, se è lecito applicare per analogia un concetto

della teoria kantiana della conoscenza” (Ibidem, p. 227). 36

“La norma fondamentale istituisce la fattispecie fondamentale per la produzione del diritto; in questo

senso, la si può designare come costituzione in senso logico-giuridico, per distinguerla dalla costituzione in senso

giuridico-positivo. È il punto di partenza di un procedimento: il procedimento di produzione del diritto positivo”

(Ibidem, p. 223). 37 “Tutte le norme, la cui validità è riconducibile ad una stessa norma fondamentale, formano un sistema di

norme, un ordinamento normativo. La norma fondamentale è la fonte comune della validità di tutte le norme

appartenenti allo stesso ordinamento; è il fondamento comune della loro validità. L’appartenenza di una certa norma

ad un certo ordinamento riposa sul fatto che il fondamento ultimo della sua validità è la norma fondamentale. Questa

norma fondamentale organizza in unità una pluralità di norme, costituendo il fondamento della validità di tutte le

norme appartenenti a questo ordinamento” (Ibidem, p. 219). “Tutte le norme la cui validità può essere ricondotta ad

un’unica norma fondamentale costituiscono un sistema di norme, o un ordinamento. Essendo la sorgente comune, la

norma fondamentale costituisce il vincolo fra tutte le differenti norme di cui consiste un ordinamento. L’appartenenza

di una norma a un dato sistema di norme, a un dato sistema normativo, può esser provata soltanto accertando che

essa trae la sua validità dalla norma fondamentale che costituisce l’ordinamento” (Teoria generale del diritto, cit., p.

112). 38 “Noi riteniamo norma «fondamentale» (basic) una norma la cui validità non può essere derivata da una

norma superiore” (loc. cit.). Non solo, “la norma fondamentale non è creata mediante un procedimento giuridico da

un organo che crei il diritto. Essa non è valida – come lo è una norma giuridica positiva – perché è stata creata in una

data maniera da un atto giuridico, ma è validità perché è presupposta valida; ed è presupposta valida, perché senza

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Ulteriore caratteristica dell’ordinamento che voglia qualificarsi giuridico è quella della

coercibilità, presentandosi sotto le specie di uno Zwangsordnung (ordinamento coercitivo): le

norme dell’ordinamento statuiscono atti coercitivi ascrivibili alla comunità giuridica, ossia

stabiliscono atti coercitivi, quali la privazione della vita, della libertà, di beni, quali conseguenze

dell’inosservanza delle condizioni poste dallo stesso39. In una parola, l’atto, stabilito quale

conseguenza di un’azione ritenuta socialmente dannosa, deve essere eseguito anche contro la

volontà del destinatario, ricorrendo, se del caso, anche all’uso della forza.

Una simile concezione, operando anche una identificazione fra Stato ed ordinamento, che

sono considerati coincidenti (meglio ancora Kelsen non parla di Stato, quanto di ordinamento

giuridico), non può che condurre ad una negazione del pluralismo giuridico: è inconcepibile

l’esistenza di una pluralità di ordinamenti giuridici che abbiano competenza su un medesimo

ambito, in quanto si determinerebbe una concorrenza di norme, che potrebbero essere fra loro

contrastanti, riferibili ciascuna ad un ordinamento, senza possibilità di individuare la prevalente.

Nulla osta, invece, in ordine all’ammissibilità di una pluralità di ordinamenti, ciascuno

fondato su una propria Grundnorm, ciascuno avente uno specifico ambito di competenza

territoriale.

c) Le ragioni della negazione.

Collocarsi una prospettiva siffatta, aderire ad una concezione normativista di ascendenza

kelseniana implica una risposta negativa in ordine alla questione attinente alla giuridicità

intrinseca del fenomeno sportivo, per almeno tre ordini di ragioni.

Il primo risiede nella considerazione della negazione della possibilità di una pluralità di

ordinamenti giuridici, autonomi, insistenti su un medesimo territorio. Ciò in ragione della

negazione del pluralismo giuridico di cui si è appena detto.

tale presupposto nessun atto umano potrebbe essere interpretato come un atto giuridico, e specialmente come

creativo di norme” (Ibidem, pp. 117-118). La norma fondamentale “come norma suprema deve essere presupposta, in

quanto non può essere posta da un’autorità, la cui competenza dovrebbe riposare su una norma ancora più elevata.

La sua validità non può più essere dedotta da una norma superiore, il fondamento della sua validità non può più

essere discusso” (La dottrina pura del diritto, cit., pp. 218-219) 39

“Un’altra caratteristica comune agli ordinamenti sociali designati come diritto è l’essere ordinamenti

coercitivi, nel senso che essi reagiscono a certe circostanze, ritenute indesiderabili perché dannose alla società, ed in

particolare a comportamenti umani di questo tipo, con un atto coercitivo (cioè con un male come la privazione della

vita, della salute, della libertà o di beni economici o di altro genere) che deve essere applicato al destinatario anche

contro la sua volontà e, se necessario, con ricorso alla forza fisica, cioè coercitivamente” (Ibidem, p. 45).

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Il secondo risiede nell’accezione del diritto come ordinamento coercitivo: questa

definizione determina una limitazione degli spazi di intervento dell’ordinamento che arresta

l’ambito di competenza sulla soglia della sfera del privato, nel quale si rileva un’astensione dalla

normazione che assume carattere di generalità.

Il terzo risiede nella considerazione del fatto che, ancorché si volesse ammettere un

carattere di giuridicità al fenomeno sportivo, l’ordinamento ad esso riferibile non possiede tutte le

caratteristiche che lo potrebbero caratterizzare come ordinamento giuridico: in particolare, poiché

l’ordinamento giuridico, pur avendo una complessità gerarchica che richiamerebbe una struttura

assimilabile alla Stufenbau di kelseniana memoria, si caratterizza per una policentricità essenziale

(per cui non è individuabile un’unica fonte sovraordinata da cui tutte le norme sportive ricevano

validità) e per una convenzionalità originaria che espunge una coercibilità del comando che abbia

efficacia erga omnes, restringendola invece a quanti si riconoscano e continuino ad essere parte

dell’ordinamento.

1.2.2 Lo sport in una prospettiva istituzionalista.

Rispondere affermativamente all’interrogativo sull’essenziale giuridicità dello sport implica

l’adesione ad una prospettiva istituzionalista, la quale permetterebbe la previsione di una pluralità

di ordinamenti giuridici, i cui ambiti di applicazione possano intersecarsi, senza entrare

necessariamente in un rapporto di sovraordinazione gerarchica e/o senza la necessità di

formalizzare un rapporto di complementarietà e/o di sussidiarietà.

Al pari delle molte concezioni del diritto l’istituzionalismo risponde alla domanda quid ius?

e lo fa affermando che il diritto è istituzione.

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Ancora, come per il normativismo, affermare che il diritto sia istituzione non esaurisce

affatto il compito definitorio, in quanto esiste una pluralità di concezioni istituzionaliste: una

pluralità riflesso anche della duplicità di significati che è possibile assegnare al termine stesso, la

cui radice etimologica rimanda al verbo latino instituere, che per un verso indica l’atto del porre

e/o del costituire e per altro verso sta ad indicare l’effetto dell’azione del porre, rimandando così

al processo di ordinamento delle articolazioni interne40. A seconda che si ponga l’accento sul

primo momento, quello dell’ordo ordinans, o sul secondo, quello dell’ordo ordinatus, si possono

sviluppare concezione del tutto diverse fra loro41. A ciò si aggiunga che spesso non si è fatta

neanche chiarezza su questa distinzione, determinando un’oscillazione dei significati che non ha

giovato alla linearità della riflessione.

a) I precedenti nella canonistica medioevale.

Al fine di comprendere meglio l’approccio, appare opportuno tornare indietro sino alle

prime elaborazioni del concetto di istituzione che risalgono alla canonistica medioevale,

particolarmente nel pensiero di Sinibaldo de’ Fieschi42, la cui importanza sta nell’aver dato

consistenza autonoma all’institutio, all’interno della classificazione delle persone giuridiche,

ponendola accanto a corporazioni e fondazioni.

Per Sinibaldo de’ Fieschi, dunque, l’institutio è innanzi tutto una persona ficta, dotata di

voluntas superioris, la quale, a sua volta, si colora dei tratti dell’auctoritas43: una voluntas presente

sin dalla sua costituzione che permane per tutta la durata della sua esistenza44. L’institutio è,

pertanto, qualcosa di autonomo rispetto alle parti che la compongono, che si sottrae alla loro

volontà distinguendosi in ciò dalle corporazioni e dalle fondazioni, la cui peculiarità è data dal

carattere eminentemente patrimoniale.

Ulteriore tratto distintivo dell’institutio sarebbe dato dalla durata, e con essa dalla stabilità,

che sarebbe assicurata proprio da quella voluntas superioris che ha presieduto alla sua

costituzione45.

In una parola, le caratteristiche dell’institutio, così come delineata da Sinibaldo de’ Fieschi,

sarebbero dati dalla compresenza del molteplice, che si compone in unità; dall’auctoritas

fondante, organizzante l’institutio; e dalla durata e dalla stabilità.

40 41

42 43 44

45

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Si tratta di elementi peculiari che saranno ripresi dalla riflessione istituzionalista, nel suo

riproporsi successivo, particolarmente grazie alle riflessioni di Marcel Hauriou46, cui si deve una

teoria che si è sviluppata eminentemente su un piano filosofico, e Santi Romano47, che ha

elaborato la sua teoria su un piano giuridico, dichiarando espressamente di volersi astenere da

astrazioni di natura filosofica.

b) Santi Romano.

In particolare, Santi Romano ha dichiarato la necessità di riprendere, dandogli l’importanza

dovuta, al c.d. ius involontarium, per la funzione che questo può svolgere, evidenziandone

l’imprescindibilità nell’interpretazione e nella decifrazione del fenomeno giuridico, che non può

ritenersi esaustivamente definito dal ricorso alla categoria della norma giuridica, intesa

nell’accezione tradizionale di norma positiva avente carattere prescrittivo48. Secondo Romano, alla

domanda quid ius? rispondere che il diritto è norma determina una riduzione semplificante e

mortificante l’intrinseca complessità della giuridicità.

In questa prospettiva assume veridicità il brocardo ubi societas ibi ius, secondo il quale non

è possibile concepire società senza diritto, così come del suo inverso ubi ius ibi societas, per cui il

diritto, in quanto tale, è principio di organizzazione49.

46 47 48

“L’esistenza poi di un ius involontarium, avente una estensione e un’importanza maggiore di quanto

generalmente si crede, appare più evidente se, dalla teoria così detta normativa o, meglio, ad integrazione di essa, si

accolga quella così detta istituzionale. Allora, ogni ordinamento giuridico, considerato nel suo aspetto, non solo più

largo e comprensivo, ma anche più comprensivo, ma anche più decisivo per comprenderne la natura, si rivela, non un

complesso di norme, che ne sono piuttosto un prodotto e una derivazione , ma un ente sociale, avente una propria

organizzazione e, quindi, una vita che si identifica con lo spirito giuridico che l’anima e che dalla struttura dell’ente

non può scindersi, così come lo spirito vitale non può scindersi dal corpo vivente se non per mera attrazione. […] Data

l’equazione fra il concetto di istituzione e ordinamento giuridico, almeno il primo nucleo, la prima pietra in cui un ente

di tale natura comincia a porsi è un diritto involontario; soltanto in momenti posteriori, se non cronologicamente, in

ogni caso logicamente, potrà da esso emanare un diritto volontario, che, del resto, di regola non riuscirà a cancellare

interamente le tracce del primo, poiché ciò implicherebbe una soluzione di continuità nella vita stessa dell’ente e,

quindi, della sua identità” (S. Romano, Diritto e morale, in Id., Frammenti di un dizionario giuridico, Giuffrè, Milano,

1947, pp. 68-69). Non solo, “la c.d. obiettività dell’ordinamento giuridico non può circoscriversi e limitarsi alle norme

giuridiche. Si riferisce e si riflette anche su di esse, ma parte sempre da un momento anteriore, logicamente e

materialmente, alle norme, e, talvolta, anzi spesso, arriva a dei momenti che non si possono identificare e confondere

con quelli della posizione delle norme stesse. Il che equivale e a dire che queste sono o possono essere una parte

dell’ordinamento giuridico, ma sono ben lontane dall’esaurirlo” (S. Romano, L’ordinamento giuridico (1918), Sansoni,

Firenze, 1977, p. 22) 49 Il concetto del diritto deve, secondo noi, contenere i seguenti elementi essenziali: a) Anzitutto deve

ricondursi al concetto di società. Ciò in due sensi reciproci, che si completano a vicenda: quel che non esce dalla sfera

puramente individuale, che non supera la vita del singolo come tale non è diritto (ubi ius ibi societas) e inoltre non c’è

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Un’interpretazione del giuridico, che ne rispetti l’essenziale complessità, è assicurata dal

ricorso alla cifra interpretativa dell’istituzione, i cui tratti distintivi sono dati

1) dalla pluralità dei soggetti che la compongono (connotazione di carattere

eminentemente sociale)50,

2) dall’organizzazione che li lega: ciò conferisce stabilità all’istituzione, che si caratterizza

per l’essere qualcosa di a sé stante, diversa dalla somma delle diverse individualità che

la compongono, permanente nel tempo (suità)51

3) dal potere di normazione, che è espressione e, ad un tempo, frutto dell’organizzazione

stessa52.

Con Santi Romano avviene così un’identificazione fra diritto e società che non sono

elementi distinti fra loro, ma costituiscono un unicum nell’ordinamento. Ciò perché il diritto, prima

ancora di tradursi in norme, è organizzazione, struttura, posizione della società stessa53: il giuridico

è nella società prima ancora che questa generi le norme che andranno a costituire l’ordinamento

giuridico positivo.

L’accento posto sull’organizzazione evidenzia, pertanto, una pluridimensionalità del diritto

che non è costituito solo da norme e precetti, ma consta di altri elementi quali appunto la

socialità, l’organizzazione e l’istituzione ad essa conseguente. Le norme del diritto costituiscono il

fogliame del diritto, il cui tronco, parte vitale e vitalizzante la giuridicità, è data dall’istituzione54.

società nel senso vero della parola, senza che in essa si manifesti il fenomeno giuridico (ubi societas ibi ius)” (Ibidem,

pp. 25-26). 50 “Diciamo inoltre che l’istituzione è un ente o un corpo sociale nel senso che essa è manifestazione della

natura sociale e non puramente individuale dell’uomo” (Ibidem,p. 37). 51 “L’istituzione è un’unità ferma e permanente, che cioè non perde la sua identità, almeno sempre e

necessariamente, pel mutarsi dei singoli suoi elementi, delle persone che ne fanno parte, del suo patrimonio, dei suoi

mezzi, dei suoi interessi, dei suoi destinatari, delle sue norme, e così via. Essa può rinnovarsi, conservandosi la

medesima e mantenendo la propria individualità: da ciò deriva la possibilità di considerarla come corpo a sé stante, di

non identificarla con ciò che può essere necessario a darle vita, ma che, dandole vita, si amalgama in essa” (Ibidem, p.

39). 52 “Se il diritto non può concretarsi ed acquistar corpo se non nell’istituzione e se, viceversa, tutto ciò che,

socialmente organizzato, viene assorbito come elemento di quest’ultima, acquista carattere giuridico, se ne può trarre

il corollario che il diritto è il principio vitale di ogni istituzione, ciò che anima e tiene uniti i vari elementi di cui questa

risulta, che determina, fissa e conserva la struttura degli enti immateriali. Reciprocamente l’istituzione è sempre un

regime giuridico” (Ibidem, p. 46). 53 “Il diritto, prima di essere norma, prima di concernere un semplice rapporto o una serie di rapporti sociali,

è organizzazione, struttura, posizione della stessa società in cui si svolge e che esso costituisce come unità, come ente

per sé stante” (Ibidem, p. 27). 54

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Appare importante sottolineare come, nonostante il rilievo conferito alla socialità,

l’approccio sia un approccio eminentemente giuridico: Santi Romano prende le distanze da

prospettive filosofiche e/o politiche, le cui indagini sono ritenute fuorvianti e, soprattutto,

essenzialmente superflue quando queste vengono a confrontarsi con l’esperienza giuridica55.

Romano avverte del rischio in cui si può incorrere se si dovesse confondere il piano descrittivo,

proprio di una conoscenza che voglia dirsi scientifica, con quello che prescrittivo, pertinente di

una dimensione etica56.

È inferita, così, l’inutilità di qualsiasi ricerca sul fondamento dell’istituzione: per la scienza

giuridica è importante che essa esista, poiché qualsiasi ricerca sul perché della sua fondazione non

aggiunge alcunché alla conoscenza giuridica57.

Da questo impianto giusteoretico deriva un’adesione incondizionata all’assunto pluralista:

le istituzioni giuridiche rilevabili nella società stanno su un piano assolutamente paritario, tanto

che è riconosciuta dignità giuridica anche a quelle esperienze particolari costituite dalle

associazioni per delinquere58, senza che sia possibile individuarne qualcuna che primeggi di per sé

sulle altre.

Tale concezione evidenzia, così, la complessità del diritto che non è formato solo da norme

né si fonda esclusivamente su base convenzionale: la giuridicità rappresenta piuttosto una

dimensione intrinseca dell’esistenza e, in quanto tale, si dà prima ancora che siano poste norme di

qualsiasi tipo59.

Non solo, l’adesione al pluralismo normativo, ad essa strettamente conseguente, evidenzia

la fallacia insita nel monismo ordinamentale, permettendo la comprensione di una realtà che si

rivela molto più articolata di quella semplicisticamente ipotizzata in un approccio normativista,

che si rivela quanto meno riduttivo.

55 56 57

58 “Ogni forza che sia effettivamente sociale e venga quindi organizzata si trasforma per ciò stessi in diritto.

Che se essa, come talvolta accade, si esplica contro un’altra istituzione, ciò può essere un motivo per le si neghi il

carattere giuridico o la si consideri addirittura antigiuridica dall’istituzione, cioè dall’ordinamento contro cui si rivolge

e opera come forza disorganizzatrice e antisociale […]. Come si è detto, una società rivoluzionaria o una associazione a

delinquere non costituiranno diritto per lo Stato che vogliono abbattere o di cui violano le leggi, così come una setta

scismatica è dichiarata antigiuridica dalla Chiesa, ma ciò non esclude che, in questi casi, non si abbiano delle

istituzioni, delle organizzazioni, degli ordinamenti che, isolatamente presi e intrinsecamente considerati, siano

giuridici” (Ibidem, pp. 43-44). 59

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Si tratta di un approccio teoretico che ha finito per dare consistenza autonoma al diritto

pubblico e a quello internazionale, sganciandoli da una condizione di ancillarità nei confronti del

diritto privato.

c) Lo sport fenomeno giuridicamente rilevante.

Collocandosi, quindi, in una prospettiva istituzionalista le difficoltà a considerare lo sport

fenomeno giuridicamente rilevante in sé per sé, segnalate nell’approccio normativista, decadono

del tutto in virtù della reversibilità del brocardo ubi societas ibi ius postulata da Romano,

secondo cui laddove si individua una forma associativa organizzata si rileva una giuridicità

essenziale, che potrà esprimersi nelle forme del diritto positivo, ma non si esaurisce di certo in

queste.

Sulla base di tale assunto, lo sport esprime una realtà giuridica, che si costituisce e si

struttura per la regolamentazione delle competizioni, che ne rappresentano l’essenza e, ad un

tempo, l’espressione propria. Lo sport, per ciò, si costituisce in un ordinamento autonomo rispetto

a quello giuridico-statale, con il quale potrà intessere rapporti di collaborazione, ma

esperimentare anche sovrapposizione di competenze, senza che per questo si renda necessaria

un’azione di coordinamento degli interventi normativi.

In particolare, nella prospettiva istituzionalista lo sport assume una rilevanza giuridica per

quanto di competenza propria delle legislazioni nazionali e/o internazionali, ma si può affermare

anche che abbia una giuridicità propria che si esprime nelle forme dell’ordinamento sportivo

costituito e positivizzato per la disciplina delle relazioni competitive che si intessono al suo interno.

1.3 I beni giuridicamente rilevanti.

Nell’assumere la prospettiva istituzionalista e riconoscendo, quindi, una rilevanza giuridica

allo sport, si individuano almeno due tipi di ordinamenti giuridici che si occupano a vario titolo

dello sport.

Da una parte sta una pluralità di ordinamenti statali, organizzati secondo modalità loro

proprie (vuoi costituendosi come ordinamenti di civil law60, vuoi come ordinamenti di common

law61), aventi lo scopo di tutelare beni di interesse generale, la cui protezione si può ottenere in

via coattiva.

60

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Dall’altra parte sta l’ordinamento sportivo, organizzato non già su base nazionale e/o

internazionale ma su base federale e/o associativa, dunque un ordinamento transnazionale,

costituito per assicurare il corretto svolgimento del confronto competitivo, caratterizzato da una

convenzionalità originaria talché la coercizione del comando sportivo può essere esercitata

unicamente su chi si riconosce ed è riconosciuto parte di tale ordinamento.

All’interno di questa duplicità ordinamentale si individua una pluralità di beni che il

fenomeno sportivo nel suo dispiegarsi coinvolge a vario titolo.

a) Il corretto svolgimento della competizione.

In primo luogo, ricordando che una caratteristica essenziale dello sport è data dal

confronto competitivo, che ne costituisce espressione, cui si partecipa con l’obiettivo del

conseguimento della vittoria, viene in rilievo l’interesse a che tale confronto avvenga in maniera

corretta.

Si tratta di un interesse la cui tutela sembra essere peculiare dell’ordinamento sportivo, il

quale, secondo quanto detto supra, si costituisce e si struttura per assicurare un confronto

competitivo che avvenga secondo un criterio di correttezza, facendo sì che le forze in campo non

siano palesemente sbilanciate a favore di una delle parti in competizione. È questa la ratio

sottostante la divisione delle competizioni per genere, come la suddivisione in categorie: il

confronto avviene tra sportivi che partano da una potenzialità quanto più possibile paritaria.

Gli ordinamenti di natura pubblicistica, invece, sembrano essere sostanzialmente

indifferenti alla tutela di tale bene, ameno che il vulnus arrecato al corretto svolgimento della

competizione non vada ad incidere su interessi correlati, quali potrebbero essere, per esempio,

interessi di natura patrimoniale.

b) La vita e/o l’integrità fisica.

Un secondo nucleo di beni che viene in rilievo è quello attinente alla vita, più diffusamente

nello sport l’integrità fisica.

Si tratta di bene la cui rilevanza promana da una considerazione dello sport come attività

rischiosa62: ogni sport, infatti, è caratterizzato, in misura minore o maggiore, da una pericolosità

che potrebbe determinare una compromissione dell’integrità fisica, se non portare alla perdita

della vita.

62

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È un vulnus che potrebbe essere arrecato tanto in seguito al comportamento dei

partecipanti al confronto agonistico, quanto discendere dalla violazione degli obblighi di diligenza

gravanti sui soggetti preposti a garantire che i rischi derivanti dall’esercizio dell’attività sportiva

siano contenuti al massimo delle possibilità.

Per il primo profilo, sembrerebbe emergere una responsabilità ascrivile agli atleti

impegnati nella competizione. È un’individuazione di responsabilità niente affatto semplice,

considerando il nesso intrinseco che lega inscindibilmente lo sport alla forza: l’attività sportiva,

infatti, si caratterizza essenzialmente come esercizio regolato della forza, incanalato in una

molteplicità di gesti atletici diretti al conseguimento del successo nel confronto competitivo. Ci si

domanda, allora, quale sia la soglia, varcata la quale, l’uso della forza viri in violenza.

Per il secondo profilo, la responsabilità si sostanzia in comportamenti omissivi che

riverberano conseguenze tanto sui partecipanti alla competizione quanto sugli spettatori:

comportamenti omissivi imputabili ai sanitari63, per i quali si profila una responsabilità che attiene

ad obblighi deontologici professionali64, che non esclude affatto la possibilità di adire a

responsabilità di natura civilistica e/o penalistica; comportamenti omissivi ascrivibili a tecnici65 e/o

arbitri (giudici di gara)66; comportamenti omissivi imputabili anche ai responsabili a vario titolo

degli impianti e/o dei siti ove si tengono le manifestazioni sportive (siano essi i proprietari, siano

essi gli organizzatori)67.

Emerge, così, una pluralità di profili di responsabilità di non facile attribuzione. A titolo

esemplificativo, basti ricordare come, per quanto riguarda la tutela della salute, sia ormai

consolidata la tendenza a dare rilevanza al principio di autodeterminazione68, per cui, allorquando

si verifichi una compromissione dell’integrità fisica, appare piuttosto arduo discriminare se questa

sia ascrivibile solamente alla responsabilità di sanitari, tecnici o arbitri, oppure sia una

conseguenza della libera determinazione dell’atleta; così come il sovrapporsi delle responsabilità

ascrivibili ai proprietari degli impianti e agli organizzatori determina un rimpallo di competenze i

cui effetti sortiscono, sovente, una sostanziale impunità69.

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La tutela di tale nucleo di beni sembrerebbe essere peculiarmente di pertinenza degli

ordinamenti di natura pubblicistica, i quali, quand’anche non dovessero ritenere la tutela della

salute un bene di interesse generale70, sono tenuti comunque alla tutela della vita dei propri

cittadini. Si tratta di una competenza che assume coloriture e forza diversificate a seconda della

rilevanza attribuita alla tutela della salute, rendendosi più stringente man mano che la salute

acquista primarietà fra i beni di interesse generale. Permane, tuttavia, un limite di carattere

generale, che promana dalla considerazione che lo sport, la sua pratica ed il godimento dello

spettacolo generato dal confronto agonistico rientrano in quella sfera privata in cui lo Stato tende

ad astenersi dall’intervenire, se non, appunto, per tutelare di interessi di natura generale. Ci si

domanda, allora, quale sia il criterio dirimente, atto ad individuare l’astensione o la necessità di

intervento da parte dello Stato.

Ad un primo sguardo, invece, sembrerebbe che la tutela della vita, ed in via subordinata

dell’integrità fisica, esuli dalle competenze proprie dell’ordinamento sportivo: una conclusione

piuttosto frettolosa che viene presto confutata non appena si rileva che si è in presenza di un

ambito di tutela che finisce per rientrare tra gli interessi considerabili rilevanti per almeno due

ordini di ragioni.

Un primo emerge in via derivata dall’interesse costitutivo dell’ordinamento sportivo a

regolare il confronto agonistico in modo che si svolga regolarmente: una delle pre-condizioni non

può che essere quella di avere atleti in condizioni di salute, altrimenti l’equilibrio competitivo

risulterebbe irrimediabilmente falsato. In tal senso possono essere interpretate tutte le regole

sportive dirette ad indicare gli standard fisiologici, la cui mancanza conduce alla sospensione dalle

competizioni71.

Un secondo ordine di ragioni emerge richiamando il nesso essenziale tra sport ed uso

regolato della forza: un nesso costitutivo che esclude in sé la possibilità di giungere alla

compromissione dell’integrità fisica dei competitori, meno ancora alla perdita della vita, pena il

virare verso forme di confronto conflittuali che nulla hanno a che vedere con l’agonismo

sportivo72.

Perplessità e dubbi emergono, tuttavia, non appena si consideri lo sport praticato ad alti

livelli: fino a quanto la preparazione atletica che caratterizza tali forme di pratica agonistica può

essere considerata compatibile con uno stato di salute?

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c) Gli interessi di natura patrimoniale.

Un terzo nucleo di beni interessati dal fenomeno sportivo potrebbe essere quello dei c.d.

interessi di natura patrimoniale, che possono essere rintracciati a vario titolo al suo interno.

Si tratta di interessi che a prima vista sembrerebbero essere alieni allo sport nella sua

essenza, configurandosi semmai come esito dell’evoluzione distorcente (a parere di alcuni) subita

dallo stesso, che, per un verso, ha sviluppato forme di pratica professionale, che danno luogo ad

un complesso intreccio di obbligazioni e crediti intercorrenti fra atleti e società e/o federazioni, e,

per altro verso, ha determinato l’innestarsi di un circuito mediatico e commerciale che appare

ormai imprescindibile per ogni riflessione giusteoretica in materia. Seguendo tale linea

interpretativa, si dedurrebbe una sostanziale estraneità di tali interessi al complesso della pratica

sportiva, riconducendone lo studio e la disamina ad ambiti giuridici più generali.

Andando più in profondità, emerge, per contro, un interesse di natura patrimoniale che

connota essenzialmente e peculiarmente il confronto sportivo: si può estendere in questa sede la

tesi interpretativa di Luca Buttaro, elaborata originariamente nell’ambito della disamina della

natura di giochi e scommesse73, a quello delle competizioni sportive, così che nel confronto

agonistico sarebbe insita l’individuazione di un vincitore il cui riconoscimento passa attraverso

l’attribuzione di un premio (che può presentarsi sotto le specie di una medaglia e/o una coppa,

così come sotto le specie di un premio economicamente valutabile). Basti pensare alla medaglia

d’argento attribuita nella finale dei 500 m K1 delle Olimpiadi di Pechino all’atleta azzurra Josefa

Idem per un distacco di 4 millesimi di secondo dall’atleta ucraina Inna Osypenko-Radomska: un

distacco difficilmente percepibile, ma non per questo ininfluente, rendendo impossibile

l’attribuzione di un ex aequo. L’evoluzione della pratica sportiva, che si caratterizza per una

professionalità che di fatto pervade anche quei settori che non riconoscono l’esistenza di un vero

e proprio professionismo, sembra rinforzare ulteriormente questa ipotesi interpretativa, in

ragione della presenza sempre più diffusa di “rinforzi” di natura economica, diretti ad incentivare

una pratica a tempo pieno, almeno per gli atleti di punta74.

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Il riconoscimento di tale peculiarità fa emergere l’esistenza di un “diritto” da parte dei

vincitori ad esigere il riconoscimento loro dovuto, un diritto che potrebbe dare origine ad un

credito vantato sul patrimonio del debitore75. Tutto ciò in ragione di un rapporto nel quale si

individuano, per un verso, l’aspettativa del creditore (= sportivo), che ha per oggetto l’avverarsi o

meno di un fatto, e, per altro verso, la responsabilità del mancato soddisfacimento di tale

aspettativa da parte del debitore (= Federazioni e/o associazioni, società, organizzatori della

manifestazione)76.

Si è in presenza, anche qui, di beni la cui tutela sembrerebbe essere peculiarmente di

pertinenza degli ordinamenti di natura pubblicistica. Una tutela che appare, però, di difficile

attuazione, non appena si consideri che questa dovrebbe prendere spunto dalla cognizione della

regolarità del confronto agonistico: una cognizione che riposa su regole proprie di un altro

ordinamento (quello sportivo), le cui valutazioni in ordine alla validità andrebbero assunte sic et

simpliciter, senza possibilità alcuna di verifica da parte dell’ordinamento pubblicistico.

Per quanto concerne l’ordinamento sportivo, ancorché essenzialmente estraneo alla tutela

di beni di tale natura, si potrebbe individuare in esso una qualche forma di riconoscimento che si

esprime nel complesso delle regole tese a valutare gli esiti del confronto agonistico. Ci si trova,

infatti, dinanzi ad una disciplina estremamente rigorosa e puntuale che non esclude affatto la

possibilità di riscrittura della classifica qualora si dovessero riscontrare irregolarità77: una

riscrittura che esige la restituzione di trofei ed eventuali premi da riattribuire agli aventi diritto78.

Sin qui la considerazione di soggetti direttamene coinvolti nel confronto agonistico: resta

del tutto aperta la questione della cognizione dell’esistenza di interessi patrimoniali ascrivibili ad

altri soggetti che, pur non partecipando direttamente al confronto agonistico, ne sono coinvolti a

vario titolo, quali possono essere i portatori di interessi commerciali, come i network

massmediatici o il complesso delle sponsorizzazioni, o quali gli spettatori che, a fronte dell’accesso

alla visione della competizione (personalmente o mediata dai mezzi di comunicazione) si

attendono di godere di uno spettacolo di loro gradimento e soddisfacimento: l’interrogativo è se

tali soggetti possano essere riconosciuti portatori di interessi di natura patrimoniale e, nel caso di

risposta affermativa, quali sono gli spazi di tutela e quali gli ordinamenti competenti.

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È un interrogativo che resta per il momento sospeso, mancando alcuni elementi utili per

dirimere la questione. Di certo va considerato che affrontarne la disamina implica un’opera

esegetica che utilizzi criteri di valutazione, derivanti da entrambi i tipi di ordinamento, riposanti,

quindi, su categorie affatto diverse, con la conseguente necessità di contemperare interessi

spesso divergenti fra loro. Un interrogativo che resta sospeso, ma non rimanerlo al lungo.