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SI FORMASI DEFORMASI MODELLA

Come il territorio si modifica attraverso il tempo geologico

Alla memoria di mio Padre, Piero Venturini, insostituibile presenza,costante fonte di entusiasmo e stimolo durante molte delle escursioni effettuateal fine di comprendere i caratteri del territorio descritti in questo volume

Testi di Corrado Venturini (©Geoworld, Torreano di Cividale, Udine)Le foto e i disegni, ove non diversamente indicato, sono dell’autoreAdattamento grafico dei disegni al tratto: Cooperativa Naturalisti M. Gortani, UdineRedazione e ottimizzazione: Giuseppe MuscioPubblicazione edita da Comunità Montana della Carnia - Museo Geologico della Carnia

CORRADO VENTURINIUniversità degli Studi di BolognaDipartimento di Scienze della Terra e Geologico-AmbientaliVia Zamboni 67, 40126 Bologna

[email protected]

Comunità Montana della Carnia

Museo Geologico della Carnia

CarniaMusei

e

con il patrocinio di

Dipartimento di Scienze della Terra e Geologico-AmbientaliUniversità degli Studi di Bologna

Società Geologica Italiana

Operatori NaturalisticiClub Alpino Italiano

Associazione NazionaleInsegnanti di Scienze Naturali

Copertina: Alta Valle di San Nicolò, a SW del Passo omonimo(Marmolada). Sistema di pieghe nella successione prevalentementegessosa di età permiana. Escursione in Dolomiti della SocietàGeologica Italiana in occasione del suo primo centenario (1982).Retrocopertina: giochi grafici con le increspature di sabbia in movi-mento lungo la riva del mare.

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Corrado Venturini

Come il territorio si modifica attraverso il tempo geologico

S I F O R M A S I D E F O R M A S I M O D E L L A

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EHI, LETTORE... .........................................................................................................................................

PER CHI E PERCHÉ ..................................................................................................................................

TANTO PER COMINCIARE A1 Il mirabile ordine .....................................................................................A2 Le risposte della Geologia ........................................................................A3 L’albero della conoscenza (geologica) .......................................................A4 La danza delle placche .............................................................................A5 La torta distorta ......................................................................................A6 Mezzo miliardo di anni… ma non li dimostra! ..........................................A7 Livello marino, livello ballerino ................................................................A8 Ogni causa è un effetto e in effetti… ........................................................A9 Un’infinita pila di libri ..............................................................................A10 Lo strato è una valigia piena .....................................................................A11 Che caratteri quei... sedimenti! .................................................................A12 Il top della classifica(zione) ......................................................................

12a) Le rocce carbonatiche .......................................................L’importanza delle alghe ...............................................

A13 Sabbie e spiagge ......................................................................................

SI FORMA - SF SF1 I depositi “questo sì, questo no” ..............................................................

1a) I riempimenti dei canali fluviali ............................................1b) Le pianure, figlie dei fiumi ...................................................1c) Le increspature di sabbia e le dune .......................................

SF2 I depositi “tutto in una volta” ..................................................................2a) Le colate .............................................................................2b) Le correnti di torbidità ........................................................2c) I colossali accumuli di frana sottomarina ..............................

Lo strato “più spesso del mondo” ......................................Mega-frane, che passione! ..............................................

2d) Gli accumuli delle frane di superficie .................................La frana del Vajont .....................................................

2e) I depositi dei ghiacciai .........................................................Un anfiteatro morenico da manuale ...................................Il colpo di coda dei ghiacciai alpini ....................................

SF3 Certi strati si depositano inclinati .............................................................3a) Conoidi di versante .............................................................3b) Conoidi di deiezione ...........................................................3c) Delta lacustri e marini .........................................................3d) Pendii frontali delle “scogliere organogene” .........................

SF4 Da sedimento sciolto a roccia cementata ..................................................4a) Sedimenti calpestati e divorati ..............................................4b) Le contorsioni delle lamine (deformazioni precoci) ..............

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INDICE

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Per espulsione d’acqua ....................................................Per carico ....................................................................Per scivolamento subacqueo .............................................Per contrazione da essiccamento ........................................

4c) La compattazione degli strati ...............................................4d) La cementazione di un sedimento ........................................

SI DEFORMA - SDSD1 Eppur si muovono! ..................................................................................SD2 Gli strani effetti .......................................................................................

2a) Mi piego ma non mi spezzo .................................................Le deformazioni dei gessi ................................................

2b) Ma quante belle faglie Madama Dorè ...................................Traiettorie striate...........................................................Gli accavallamenti (faglie compressive)..............................

SD3 Quando le faglie richiamano i sedimenti ...................................................3a) Una OLA in roccia .............................................................3b) Una gigantesca scala sottomarina ........................................

SD4 Il motore degli strani effetti .....................................................................4a) La crescita di un’antichissima catena montuosa ....................4b) Come e quando si è deformato il settore alpino orientale ......4c) Si forma qui, ma si deforma là .............................................4d) Ma c’è ancora chi non si scompone .....................................

SI MODELLA - SM SM1 Una superficie sempre diversa ..................................................................SM2 Fiumi e ghiacciai: gli scultori del territorio ................................................

2a) Acque per graffiare .............................................................I terrazzi fluviali ..........................................................Gli effetti di un’improvvisa alluvione ................................Un copione collaudato ...................................................

2b) Acque per sciogliere ...........................................................2c) Acque per cancellare ...........................................................

1500 anni per distruggere un delta ....................................2d) Acque per appesantire ........................................................

SM3 Le nicchie di paleo-frana ..........................................................................3a) Le paleo-frane dei Monti di Rivo e Cucco .............................

SM4 Le catture fluviali e gli spostamenti degli spartiacque .................................4a) Fiumi italiani portano acqua al Mar Nero .............................

Mare Adriatico batte Mar Nero 6 a 0 ..............................Un insolito viaggio nel tempo ...........................................

POCO... PER FINIRE Z1 Erosioni, trasporti e accumuli .................................................................Z2 Ospiti temporanei con obbligo di buona condotta ....................................

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Anonimo lettore, quasi ignaro di Scienze della Terra, quella che stai perintraprendere iniziando a leggere questo libro di Corrado Venturini non èuna semplice lettura. È un viaggio quadridimensionale nel tempo e nellospazio che ti coinvolgerà come un gioco interattivo. Anzi, assai di più,giacché non stai entrando in un mondo di realtà virtuale o immaginata, staiper entrare nel racconto storico delle vicende accadute realmente e che neltempo hanno portato alla formazione del territorio friulano quale ora è.L’autore, con la sua prosa fluida e coinvolgente e con esempi semplicida comprendere e a volte fantasiosi, ti condurrà per mano tra continentiche collidono, oceani che si chiudono, montagne che si sollevano e poivengono erose per spiegarti i fondamentali processi geologici che infinehanno portato questo angolo di pianeta ad assumere l’aspetto odierno.Non è un racconto semplice. Semplificare il difficile e renderlocomprensibile è il compito arduo che i divulgatori scientifici si pongonocome obiettivo. Rivolgersi agli “addetti ai lavori” è relativamente facile,si può usare un linguaggio da iniziati che i “non addetti ai lavori” peròfaticano a comprendere. Anche semplificare banalizzando può essererelativamente semplice, se si rinuncia al rigore scientifico. Infine si puòsemplificare senza rinunciare al rigore e scrivere una storia noiosae piatta, poco interessante.Sono pochissimi quelli che, come Corrado, hanno il talentodi raccontare la loro materia in modo semplice ma interessantee di rendere avvincente, fruibile e talvolta divertente la loro scienza.Sono pochissimi quelli che riescono a trasmettere la loro passionee ad “infettarne” gli altri come se il piacere per ciò che fanno fosseuna sorta di virus. Un virus non letale, ma vitalissimo! Un virus concui negli anni Corrado ha infettato vari suoi studenti al punto dacondurli a seguire le sue orme nella ricerca scientifica.Entra quindi, o lettore, tra le seguenti pagine tranquillo e confidente.Corrado sarà la tua guida, il tuo Virgilio, lo troverai al tuo fianco.Mettiti comodo e inizia a leggere questo racconto affascinante.Spero che tu, come me, che pur da anni sono uno dei primi lettoridelle sue produzioni, faccia fatica a staccarti dalla lettura fino a quandoavrai terminato. Pensa che l’inizio di quello che ti accingi a leggere sia“C’era una volta, ma c’era per davvero…”

Claudia SpallettaUniversità degli Studi di Bologna

EHI, LETTORE...

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PER CHIE PERCHÈ

Questo volume è concepito in maniera nuova e insolita. Descrivee analizza - con una serie di esempi reali e di artifici inconsueti -i numerosi segni lasciati dalle forze che agiscono, tanto sulla superficiequanto nelle profondità della crosta terrestre, in un incessantesusseguirsi di deposizioni, deformazioni e modellamenti.Il testo si rivolge sia agli appassionati naturalisti, sia agli studenti(scuola superiore e primo anno di università) propensi a comprenderel’essenza e la ragione di molti tra i fenomeni che condizionanole modificazioni, grandi e piccole, dell’ambiente che li circonda.A tal fine è stato dato spazio alle didascalie delle quasi quattrocentofigure (tra foto e disegni) che si prefiggono di concretizzaree approfondire i numerosi concetti espressi nel testo.Sono tante le possibilità di interesse, varie e affascinanti, che il territoriopropone lungo i propri infiniti tracciati. Curiosità botaniche,faunistiche, forestali, insieme a informazioni archeologiche, storiche,di architettura rurale; senza considerare le infinite proposte di sempliceappagamento estetico: cascate, tramonti, temporali,arcobaleni improvvisi, mari di nubi... Al contrario, è quasi ovunquedel tutto trascurato l’aspetto geologico e morfologico.Questo accade perché la divulgazione di tali caratteri naturali, moltoattiva in altri paesi o addirittura fondamentale nel mondo anglosassone,da noi è ancora ritenuta, a torto, di secondario interesse. Ne consegueche le morfologie e le successioni rocciose per la maggioranza di noiappaiono prive di significato e dunque incapaci di trasmettere sensazioni.Eppure, se solo l’attenzione fosse maggiormente stimolataall’osservazione diretta dei tanti sedimenti e strati rocciosi e dei loromodellamenti erosivi, si aprirebbe un affascinante capitolo di storianaturale. Le stesse rocce e i sedimenti - stupefacente rappresentazionefisica del tempo - manifesterebbero la loro varietà con prepotenza evigore, raccontando storie antiche e recenti, svelando una serie diimpensabili e coinvolgenti aspetti non privi di indubbio fascino.In questi casi la conoscenza è capace di generare stupore, e insiemesi fanno stimolo al rispetto e alla tutela dell’ambiente, spesso vilipesounicamente per mera ignoranza. Questo volume cerca di dare un contributoanche in questa direzione: quella della consapevolezza e della meraviglia.

L’[email protected]

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Foto

I.Pe

cile.

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soprattutto, sulla sua superficie e che complessi-vamente conducono alla formazione degli innu-merevoli tipi di rocce. Non solo dunque di quel-le magmatiche.

Non ci può essere differenza di sostanza tra l’e-saminare i minerali ben cristallizzati racchiusi inuna roccia magmatica e il prendere in considera-zione i ciottoli e i granuli accumulati da un fiumesul fondo del suo alveo o dal moto ondoso lungouna spiaggia.

Le rocce, di qualsiasi tipo e natura siano, rappre-sentano il meraviglioso concretizzarsi di un insiemedi energie - fisiche e chimiche - presenti nell’am-biente nel quale si generano e operano. Energieche dipendono o vengono ad interagire con varia-bili quali la velocità, l’accelerazione, la densità diun flusso, la massa, le dimensioni e le forme delleparticelle trasportate, le distanze, le pendenze e leasperità del territorio, l’ordine di fusione e di cri-stallizzazione dei vari tipi di minerali.

TANTO PERCOMINCIARE

Fig. 1 - Il piccolo Cris(tallo).

A1 - Il mirabile ordine

Un organismo vivente, animale o vegetale,assume le caratteristiche proprie della specie cuiappartiene grazie al particolare codice geneticoscritto nelle sue cellule. Una sorta di programmache gli impone di svilupparsi in un determinatomodo e secondo una prefissata successione dieventi, assecondando un disegno che porterà alconseguimento di un “mirabile ordine”.

In un certo senso assistere alla nascita e crescitadi un organismo è come passare giorno dopo gior-no, per un anno intero, davanti ad un cantiere edilee seguire il progressivo assemblaggio di mattoni,cemento, ferro e acciaio, legno, vetro e ceramica,che daranno forma ad un edificio secondo un pre-ciso progetto. Quei medesimi materiali, riuniti inmodo diverso, avrebbero dato luogo ad una diffe-rente costruzione. Animali e vegetali sono dunqueorganizzati secondo programmi prestabiliti cheogni organismo è in grado di leggere e realizzarecome un ingegnere interpreta ed esegue il proget-to di uno stabile.

Anche il mondo minerale segue una sorta dicodice di sviluppo: ogni cristallo è il risultato di unasovrapposizione ordinata di atomi, scelti e saldatiassieme secondo un ben definito progetto geome-trico tridimensionale. Un magma che solidifica dàluogo ad una serie di rocce, ognuna composta daun insieme di minerali che rappresentano i matto-ni, le pietre, le travi del nuovo saldo edificio.

Identificare il regno minerale solo e unicamen-te con le perfette geometrie dei cristalli è forte-mente riduttivo. È più logico e completo pensaread esso come all’insieme di tutti gli effetti causa-ti da quel vario e spettacolare complesso di feno-meni naturali che incessantemente agisconotanto nelle profondità della Terra quanto, e

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Fig. 2 - La geologia, soprattutto attraverso le successionirocciose sedimentarie, possiede l’indubbio fascino di mate-rializzare il trascorrere del tempo rendendolo concreto etangibile. Strato dopo strato una sequenza di rocce rappre-senta un insostituibile archivio tridimensionale del passatoprossimo e remoto del pianeta Terra.

Le rocce sedimentarie formano il gruppo che inassoluto fornisce le più ampie e migliori possibilitàdi leggere il passato geologico di una regione.Grazie ad esse le pagine della storia geologica diun territorio appaiono nitide e precise anche dopocentinaia di milioni di anni.

In Italia le più vecchie rocce sedimentarie risal-gono al Paleozoico antico (quasi mezzo miliardo dianni fa). In territorio friulano e austriaco formanouna consistente parte della catena alpina carnica.

Alpi e Appennini sono il risultato di processinaturali che hanno portato una successione roccio-sa prima a formarsi, accumulandosi strato su stra-to, colata su colata, per spessori di chilometri, poi adeformarsi, sollevandosi, piegandosi e frantuman-dosi, e infine a modellarsi, in tempi recenti e sottol’azione di corsi d’acqua o ghiacciai.

Il geologo osserva, riconosce e raccoglie indizi edati dagli affioramenti rocciosi che rileva. Unodegli scopi della ricerca geologica di base è quellodi ricostruire come e quando una successione roc-ciosa si è formata e come e quando la stessa è stataeventualmente deformata durante le successivecompressioni prodotte dai movimenti della crostaterrestre. È un po’ come arrivare sul “luogo deldelitto” (spesso parecchi milioni di anni dopo!) ecercare di ricostruire la successione degli eventiche l’hanno prima propiziato e in seguito indotto.

Salendo una montagna, percorrendone i sentierie le mulattiere sovente scavate nella roccia, risalen-do i corsi dei torrenti e dei fiumi, raggiungendo,spesso a fatica, le pareti rocciose non di rado cir-condate da impenetrabili grovigli di vegetazione, ilgeologo osserva, una dopo l’altra, un’infinità ditessere che appartengono ad un gigantesco mosai-co del quale, all’inizio, non conosce, o comprendesolo in maniera molto vaga e approssimata, il dise-gno finale.

A2 - Le risposte della Geologia

La storia della Terra iniziò 4,6 miliardi di anni fa.Da allora la sua superficie si è incessantementemodificata in un frenetico alternarsi di fusioni eraffreddamenti, traslazioni e scontri, sollevamentie sprofondamenti, inondazioni e disseccamenti,erosioni e accumuli di sedimenti.

Sono questi ultimi, assieme al loro contenutofossilifero, a fornirci tangibilmente, uno sull’altro,il successivo sopra il precedente, la percezione deltrascorrere del tempo geologico (Fig. 2).

Gli innumerevoli tipi di rocce esistenti in naturapossono essere divisi, com’è noto, in tre gruppi:- rocce magmatiche, originate dal raffredda-mento di masse fuse solidificatesi all’interno dellacrosta terrestre o che, in altri casi, escono insuperficie originando apparati vulcanici (subaereie sottomarini) con le rispettive rocce laviche;- rocce sedimentarie, che derivano da erosionee/o alterazione di più antiche rocce affioranti sullasuperficie terrestre e dal successivo accumulo mec-canico dei prodotti di smantellamento, oppure daprocessi chimici (evaporazione di acque ad elevatasalinità e precipitazione sul fondo dei sali primadisciolti, quali gessi, salgemma, alcuni tipi di calca-ri...), o ancora da processi biògeni, ossia collegatialla deposizione di resti scheletrici di viventi (adesempio gusci, ossa, impalcature minerali dei coral-li e di altri innumerevoli tipi di organismi definibiliper l’appunto come “costruttori”);- rocce metamorfiche, così denominate perchéderivanti da una serie di modificazioni, da minimead intensissime, che rocce appartenenti indiffe-rentemente ad uno dei tre gruppi hanno subìtonel corso della loro storia geologica a causa di ele-vate temperature e/o pressioni che hanno dovutosopportare.

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Tali insiemi prendono il nome dall’azione che liproduce e che ne guida lo sviluppo: si forma, sideforma e si modella (Figg. 4 e 5).

Al si forma apparterranno dati e fenomeni ascri-vibili alla sedimentologia, alla stratigrafia, allapaleontologia, nonché i processi ad esse collega-

Questa triade è capace dispartirsi ogni causa edeffetto presente in naturanell’ambito delle Scienzedella Terra. Da questi ramiprincipali prendono poiforma, identità e sviluppoquelli secondari ad essicollegati (Fig. 3).

Sarà l’insegnante, dianno in anno, a sceglierequali rami secondari pota-re, senza mai sacrificare ilcorrispondente ramo por-tante.

Infine, l’intero insiemedelle conoscenze trasmis-sibili deve assecondareuna organizzazione gerarchi-ca dei propri contenuti(Fig. 3).

Occorre, in altre parole,che tutte le informazionididatticamente utili (no-zioni, dati, parametri,variabili, formule, concet-ti, processi, fenomeni,…)siano collocate in unalogica “ad albero”, in cuile foglie si innestano suirami minori, questi suirami maggiori i quali, aloro volta, confluiscono e si innestano nel troncoprincipale.

In questo modo di procedere diventa moltoutile raggruppare nei tre soli insiemi (corrispon-denti ai rami principali) tutti i fenomeni geologi-ci che producono evidenze visibili nella crosta.

Fig. 3 - L’albero della conoscenza… geologica, dove ogni insieme di dati trova la propria col-locazione gerarchica funzionale alla didattica.

A3 - L’albero della conoscenza(geologica)

Il capitolo è specificatamente dedicato agliInsegnanti. Dalla mobilità del pianeta (e a benvedere il termine più corretto a tal propositosarebbe cinematica delle placche) scaturisconotre grandi insiemi di effetti, raggruppabili neirispettivi contenitori, identificati con termini sem-plici, capaci di evocarne il significato: “si forma, sideforma, si modella” (Fig. 3).

Il collegamento ai vari contesti geodinamici,acquisiti durante la trattazione della tettonicadelle placche, sarà irrinunciabile e gioverà allacomprensione delle differenze. Nell’ambito del siforma troverà spazio la trattazione delle rocce mag-matiche e, in special modo, di quelle vulcaniche.

Al si forma faranno naturale riferimento anche iprocessi genetici che stanno alla base dei vari tipidi rocce sedimentarie, meglio se visualizzatiognuno nel proprio contesto ambientale attuale,paragonando poi i risultati con i campioni di roc-cia dei laboratori scolastici.

Il si deforma sarà il passo successivo, capace diinquadrare gli effetti verso i quali sono destinate,col tempo, tutte le successioni rocciose. In questocontenitore confluiranno tanto gli elementi defor-mativi di una catena orogenetica, quanto la tratta-zione esaustiva dei terremoti, nonché i prodotti delmetamorfismo regionale.

Il si modella conterrà i risultati ascrivibili alle altera-zioni chimiche e fisiche, alle esarazioni glaciali e alleerosioni fluviali, logica conseguenza del si deforma.

In questa trattazione servirà sottolineare preli-minarmente la circolarità dei tre insiemi di daticoncettuali, dato che lo stesso si modella crea gliirrinunciabili presupposti per lo sviluppo di moltetra le successioni sedimentarie (Figg. 4 e 5).

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ni di orientamento e di collegamento tra i com-plessi contenuti della materia. Potrà essere utiliz-zato come costante chiave di lettura durante l’as-similazione dei contenuti didattici.

L’utilizzo dell’albero (Fig. 3) si dimostra perti-nente anche per un altro motivo. Consente diinserire nel palinsesto concettuale anche i“rischi” e le “risorse”, considerati come rapportoUomo-Terra alla luce del ruolo crescente chenegli ultimi decenni i due argomenti hanno con-quistato, a ragione, nei palinsesti didattici delleScienze della Terra.

Fig. 5 - Concettualmente la sequenza dei tre insiemi di datiè circolare piuttosto che lineare. Ogni volta dal si modellapartono i presupposti per il successivo si forma e il ciclo siripropone senza soluzione di continuità.

Fig. 4 - In un rilievo le rocce esposte e fratturate, generate milioni di anni prima per accumulo o precipitazione di particelle osostanze, subiscono incessanti smantellamenti. Ma quest’ultimo atto, distruttivo, è anche capace di produrre la materia prima cheandrà a formare le nuove successioni rocciose.

Prima si è FORMATA

... poi si è DEFORMATA

... infine è stata MODELLATA

E ora nuovo sedimento si FORMA ...e ricomincia il ciclo!

ti; nel si deforma si troveranno i riferimenti agli ele-menti di tettonica, mentre il si modella accoglieràfenomeni di alterazione, erosione, esarazione,dissoluzione e quanto asporta e modifica qualsia-si volume crostale alle più varie scale.

È altrettanto necessario, in questo caso, capireche la sequenza dei tre insiemi non è lineare macircolare (Fig. 5).

Le strategie utilizzate fanno da cornice e sup-porto al complesso insieme degli argomentididattici e con esso costituiscono l’inscindibilecorpo del sapere trasmesso. Il complesso dei treinsiemi di dati fa capo a un tronco unico che rap-presenta il movente e il presupposto di base perla loro esistenza e affermazione: la tettonica delleplacche (Fig. 3).

È propedeutica ad essi in quanto capace di giu-stificare e motivare i dati appartenenti sia al siforma, tanto al si deforma, quanto al si modella. Lastessa tettonica delle placche a sua volta affondale proprie radici e ragioni d’essere in profondità,nella dinamica astenosferica, regolata dai caratte-ri fisici e reologici dell’interno terrestre.

A questo proposito è utile notare che per favo-rire la comprensione della stessa organizzazionegerarchica del sapere, applicata alle Scienze dellaTerra, si è fatto uso di una particolare strategia:l’esemplificazione (Fig. 3).

L’uso dell’albero, la cui struttura si presta inmodo ottimale, permette di codificare, gerar-chizzare e posizionare secondo un ordine logicofacilmente memorizzabile da parte degli studenti,una serie di contenuti complessi - per il momen-to ancora astratti - paragonandoli a qualcosa dinoto.

Uno schema simile, qualora ritenuto utile, rap-presenta una sorta di mappa concettuale da assi-milare propedeuticamente grazie alle sue funzio-

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ZOLLANORDAMERICANA

ZOLLA DINAZCA

ZOLLA DICOCOS

ZOLLAPACIFICA

ZOLLAEURO-ASIATICA

ZOLLAPACIFICA

ZOLLASUDAMERICANA

ZOLLAAFRICANA

ZOLLA CARAIBICA

ZOLLA ANTARTICA

ZOLLAINDO-AUSTRALIANA

ZOLLADELLE

FILIPPINE

ZOLLA DISCOTIA

ZOLLAARABICA

A4 - La danza delle placche

La Terra è paragonabile - con le dovute cautele!- a una sorta di enorme uovo formato da immensiinvolucri concentrici. Ognuno ha caratteristichefisiche e chimiche, di temperatura e pressione, pro-prie e peculiari. L’involucro più esterno può essereassimilato a un sottile guscio “rigido e fragile” dallospessore variabile, mai superiore a 200 km. Questasorta di guscio è frammentato nelle note placche(Fig. 6), capaci di stupirci per il loro dinamismo.Dunque la parte più esterna e superficiale del pia-neta è costituita da placche mobili.

La porzione di materiale terrestre che forma levarie placche (le principali sono una decina) è chia-mata litosfera. La litosfera, rigida e fragile, è spo-stata dagli incessanti movimenti dell’involucro chele sta immediatamente… sotto. Il suo nome è aste-nosfera e il relativo spessore supera di parecchievolte quello della soprastante litosfera. C’è chi ritie-ne che la sua porzione più profonda confini con ilnucleo terrestre, a circa 2.900 km dalla superficiedel pianeta. E qui ci fermiamo perché saranno pro-prio litosfera e astenosfera a chiarirci i presuppostidel magico materializzarsi delle deformazioni cro-stali, essenza stessa delle catene montuose e l’argo-mento principale della sezione “Si Deforma”.

A questo punto molti tra voi potrebbero chie-dersi che fine hanno fatto le suddivisioni internedella Terra, così come erano e sono ancora propo-ste dai testi scolastici (ma non solo da questi). Latripartizione in crosta, mantello e nucleo dov’èandata a finire? È forse da considerarsi superata o,ancor peggio, col procedere delle conoscenze si èrivelata una sonora bufala?

Nulla di tutto ciò. Semplicemente le due suddivi-sioni affrontano la descrizione dell’interno terrestreda due prospettive differenti, entrambe valide.

Fig. 6 - Denominazionedelle placche tettonicheprincipali, definibili anchecon il sinonimo zolle.Ogni placca è un fram-mento di litosfera, checomprende la porzionepiù esterna del mantelloe la soprastante crosta.Quest’ultima si può dif-ferenziare in crosta ocea-nica e continentale.

Se parliamo di crosta e mantello (il nucleo non ciinteressa direttamente e lo trascureremo) vuol direche stiamo descrivendo l’interno della Terra dalpunto di vista della sua composizione. La notasuperficie di Moho (dal suo scopritore, il geofisi-co Mohorovicic) costituisce il limite tra crosta emantello, anch’essi involucri concentrici la cui diffe-renza si basa su dati chimico-composizionali. Finqui è tutto chiaro, ma attenzione: c’è crosta e crosta!Nel senso che esiste, in seno alla crosta, un’ulterio-re suddivisione che, in certa misura, cerca di com-plicare la semplicità del precedente enunciato.

La crosta quindi non è tutta uguale e anche que-sto aspetto avrà la sua importanza, risultando inseguito molto utile (cfr. Sez. “Si Deforma”).

Prima di prendere in esame i tipi di crosta (pernostra fortuna sono solo due!) è però convenientetornare all’altro modo di descrivere l’interno terre-stre, rappresentato come si ricorderà dai terminilitosfera e astenosfera. In questo caso la discri-minante tra i due involucri non è più la composi-zione ma il… comportamento fisico dei materiali

di cui sono fatti. Detto con una parola più scienti-fica è la loro reologia a definirli, ossia la rispostadei materiali soggetti a deformazione.

Questa innovativa classificazione dell’internoterrestre è nata negli anni ’70 parallelamente ai pro-gressi delle indagini geofisiche e delle applicazionidel magnetismo terrestre allo studio dei fondali ocea-nici. Si può aggiungere inoltre che questa suddivi-sione è diventata l’unico strumento descrittivo,compatibile e coerente con la neonata teoria dellatettonica delle placche.

Effettivamente l’astenosfera, pur essendo un soli-do, si muove e fluisce - per nostra fortuna semprecon esasperante lentezza - sollecitata dalle differen-ze di temperatura presenti nell’interno della Terra.Nei suoi moti trascina quanto di “rigido e freddo”le si appoggia sopra: la litosfera.

Il comportamento dell’astenosfera ricorda un po’quello del ghiaccio che, anch’esso solido, è inperenne movimento verso le quote inferiori, anchese la sollecitazione, in questo caso, deriva non dallevariazioni di temperatura ma dalla forza di gravità.

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Il limite tra litosfera e astenosfera è una superfi-cie presente a profondità variabili, da alcune deci-ne di km a non oltre 200. Si colloca alle profonditàin cui l’interno terrestre raggiunge la temperaturadi circa 1280 °C, oltre il quale la roccia diventa percosì dire “pastosa”, una sorta di ghiaccio bollenteo, se vi piace di più come paragone, di immensanutella. Non è dunque un confine basato sullacomposizione ma sul differente comportamentodei materiali.

Queste sono le due classificazioni dell’internoterrestre con le relative chiavi di lettura. Inutiledire che le due nomenclature nonsono sovrapponibili.

Si può sintetizzare che la litosferaè formata da TUTTA la crosta e dallaparte più superficiale delle rocce delmantello, quelle a temperatura ancoranon elevatissima (inferiore alla soglia dei 1280 °C).

Ecco che riparlando di crosta - in entrambe lesuddivisioni resta la porzione più esterna e super-ficiale del pianeta - si ripresenta il problema lascia-to in sospeso delle due croste differenti.

È il momento di affrontarlo, sempre consapevo-li che la sua comprensione ci avvantaggerà nelladescrizione della formazione delle catene oroge-netiche e in particolare nella sintetica trattazionedell’evoluzione dell’area circum-mediterranea.

Primo concetto da memorizzare: la crosta èdistinguibile, a seconda delle zone, in oceanica econtinentale. La rispettiva collocazione è coe-rente con le due definizioni: la prima è presentesotto la massa d’acqua degli oceani (si trova “làsotto” perché tra le due è la più densa e dunquetende ad abbassarsi); la seconda invece forma lemasse continentali e si estende anche sotto i maripoco profondi, sia interni che marginali, dei con-tinenti.

Il secondo concetto riguarda le relative moda-lità di genesi. La spiegazione si fa più complessama anche più interessante.

Per comprendere meglio torniamo per un istantealle placche e ai loro incessanti movimenti e intera-zioni reciproche. In certe fasce le placche collidono(margini distruttivi) e nelle collisioni il materiale lito-sferico più denso, quello della crosta oceanica, èspesso in grado di scendere obliquamente nel man-tello più profondo per poi essere “digerito” nell’a-stenosfera. Questo processo si realizza nelle cosid-dette zone di subduzione, lungo le quali la crosta

oceanica (con il relativomantello superiore)

finisce per esseredistrutta (Fig. 8).

continuamente attivo. Lo si osserva lungo partico-lari strutture lineari, definite dorsali medio-oceani-che. Attualmente formano una struttura articolata,lunga ben 40.000 km e sviluppata sui fondali ocea-nici di tutto il mondo. Il materiale magmatico aste-nosferico che si fa strada lungo le gigantesche frat-ture delle dorsali, può sia effondere sotto la massad’acqua degli oceani (basalti) sia consolidarsi abreve profondità (gabbri). I due prodotti, derivatidal medesimo magma molto basico, danno originea crosta oceanica nuova, ad alta densità (Fig. 7).

La crosta continentale è meno densa di quella ocea-nica. La sua genesi (inizialmente, nella storia dellaTerra, non esisteva) è stata più articolata e com-plessa di quella della crosta oceanica. Si può affer-mare che alla sua formazione hanno concorso (econcorrono tuttora) processi tra i più disparati:magmatici, sedimentari e metamorfici.

Per sintetizzare si può provare a riassumere i varicontesti e le modalità di formazione, differenti traloro e tutti capaci di generare crosta continentale.

Immaginate per prima cosa una zona di subduzio-ne (margine distruttivo) lungo la quale una por-

zione di crosta oceanica scende in profonditànell’astenosfera (mantello inferiore). Mentre

scende attraversa temperature e pressionicrescenti che causano la fusione fra-

zionata dei suoi componenti cheallo stato liquido risalgono versola superficie. Questi nuovi magmi(ancora basici e densi) per un

certo tempo tendono a stazionare a medie profon-dità litosferiche.

Intanto danno luogo, per una sorta di smista-mento, a fusi meno densi che poi effondono insuperficie formando consistenti archi vulcanici.Gli apparati vulcanici della cordigliera andina nesono una classica manifestazione (Fig. 8b).

Ma se da qualche parte - e non sono poche! - leplacche sono consumate in profondità e arricchi-scono la massa astenosferica, per l’equilibrio delpianeta da qualche altra parte - e sono parecchie! -si deve assistere alla risalita a giorno e messa inposto di nuovo materiale astenosferico.

Effettivamente anche questo, come la distruzio-ne della crosta oceanica, è un processo diffuso e

Fig. 7 - Gemmazionedi una placca attraver-so la nascita di una dor-sale medio-oceanica.

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In altri casi (Fig. 8c) i magmi così ottenuti conso-lidano in profondità. In seguito, per decompressio-ne - spesso data da erosione delle rocce soprastan-ti e conseguente sollevamento isostatico - gli ammassimagmatici già consolidati possono di nuovo fonde-re parzialmente. Saranno i minerali meno densi afondere per primi portando alla formazione dimagmi acidi (ricchi in minerali “leggeri”). Si faran-no strada nella crosta, per poi raffreddare lentamen-te a profondità intermedie. Daranno luogo a magmicosiddetti acidi (ricchi in silice) che, consolidando,costituiranno enormi ammassi granitici: roccia“leggera” caratteristica della crosta continentale.

Nei frequenti scontri tra le masse litosferichespesso, nelle profonde zone di radici delle catenemontuose, si raggiungono pressioni laterali e tem-perature capaci di trasformare le rocce in meta-morfiche (v. Cap. “Gli strani effetti”, SD2).Anch’esse sono tipiche rappresentanti della crostacontinentale. A queste si aggiungono i numerositipi di rocce sedimentarie che rielaborano, attra-verso le alterazioni chimiche e fisiche, i massiccimagmatici e metamorficiportati a giorno dai solle-vamenti e dall’erosione.

La crosta oceanica siforma in tempi geologica-mente rapidi. Ad esempiol’Atlantico meridionale (e lasua crosta oceanica) è largo oggi 3.000 km. Si è for-mato per giustapposizioni laterali di rocce magmati-che ai lati della dorsale in un tempo di poco superio-re a 130 milioni di anni. Un nulla in geologia.

Ma in tempi altrettanto rapidi subisce subduzio-ne e distruzione. Ne deriva un dato geologicamen-te stupefacente per i non addetti ai lavori: mentrel’età della Terra è circa 4,6 miliardi di anni e sonostate trovate rocce o minerali (nella crosta conti-

nentale!) di oltre 4 miliardi di anni, non esistonorocce di crosta oceanica più vecchie di 180 milio-ni di anni. Non perché non ci fossero prima diallora, ma perché sono digerite in continuazionenelle fasce di subduzione!

Questo non può accadere invece per la crostacontinentale perché quando si produce uno scon-tro tra due placche a crosta continentale, notoria-mente più leggera, si assiste sì all’infilarsi dell’unasotto l’altra, ma entrambe, mentre si scontrano,comprimono, deformano e affastellano, continua-no a restare “a galla”, comesugheri sull’acqua.

Ora che i due tipi di crosta,e la loro differente genesi,sono stati precisati, proviamo

zona fratturata formando nuova crosta, densa eperciò ribassata (crosta oceanica). I due lembi dellafrattura vengono divaricati e continuamente allon-tanati, dando la possibilità al fenomeno eruttivo diripetersi. Inizialmente una frattura del genere siforma su una massa di crosta continentale (Fig. 7).

Lo stesso processo di apertura crostale (e futuraformazione di un oceano) è iniziato da qualchedecina di milioni d’anni nell’Africa orientale. Nesono evidente testimonianza le grandi depressionidella Rift Valley che, per il momento, ospitano solo

i grandi laghi africani ma checol tempo si collegherannoall’Oceano Indiano da unlato e col Mar Rosso dall’al-tro. Concomitantementepotrà generarsi la prima

crosta oceanica sul fondale della depressione desti-nata a sezionare l’Africa in due placche distinte.

Anche le masse dei continenti, fatte dunque diantica crosta continentale - la parte emersa e visibiledelle placche - si spostano per migliaia di chilome-tri. Questo perché migrano solidalmente alle por-zioni di crosta oceanica, per noi invisibili sotto lasuperficie marina, che sono appoggiate al loro fian-co e con le quali spesso formano una placca lito-sferica unica.

Abbiamo quindi visto che, così come nuova cro-sta oceanica si genera continuamente dalla fuoriu-scita di magma lungo 40.000 km di dorsali terre-stri, in altre parti del globo deve esistere anticacrosta oceanica che in qualche modo affonda nelmantello per ristabilire l’equilibrio. Questo ineffetti avviene lungo le fasce di subduzione (mar-gini distruttivi) che dunque coincidono con lezone di collisione tra placche. Nello scontro unadelle due è spinta verso le profondità dove il man-tello astenosferico finisce per assimilarla (Fig. 8).

Fig. 8 - I diversi processi di subdu-zione (o: crosta oceanica; c: crostacontinentale).

CO

Astenosfera

CCLitosfera

a vedere il loro formarsi ed evolversi in modo…dinamico, attraverso il fluire del tempo. Abbiamonotato che il margine costruttivo tra due placche siincontra spesso in mezzo a un oceano. In tal casocoincide con la dorsale medio-oceanica.

Ricordiamo che questa è la fascia di fratture deifondali da cui fuoriesce in continuazione magmache risale dall’astenosfera, e che il materiale mag-matico uscendo solidifica ai due margini della

CO O

a

b

c

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A5 - La torta distorta

Non è semplice raffigurarsi un territorio, gigan-tesco, tridimensionale, ancora pianeggiante macostituito, in profondità, da sedimenti e rocce stra-tificate. Per chilometri di spessore. Ancora più dif-ficile sarebbe figurarsi le modificazioni che quellostesso territorio potrebbe subire col trascorrere deimilioni d’anni. Il nostro territorio allora, per cerca-re di capire, diventerà una torta. Una semplice tortada osservare mentre si modifica e si evolve.

Immaginiamo dunque una torta. Immaginiamola gustosa,composta da una successione di sottili strati di pan di Spagnaalternati a livelli ora di cioccolata ora di crema. Prima di pre-sentarla in tavola seguiremo una procedura insolita ma neces-saria per rendere l’esempio più realistico e prossimo allarealtà. Appoggiamo la torta sopra un tavolo, posto a ridossodi una parete, e cominciamo a spingerla lentamente verso que-st’ultima fino a comprimerla e deformarla interamente. Neldolce si producono fratture, sbriciolamenti, divisioni. Lentima inesorabili scorrimenti di un pezzo rispetto all’altro.Quelli che erano i livelli interni della torta, continui e oriz-zontali, ora vengono alla superficie lungo le rotture e le risa-lite delle fette più sollevate. Una vera rivoluzione.

La torta non ha più nulla che ricordi la sua forma ini-ziale né il suo originale tranquillo assetto orizzontale,anche se, non dimentichiamolo, è ancora tutta lì, sul tavo-lo. Compressa e strizzata, ma sempre abbastanza compat-ta anche se la sua forma ormai richiama quella di unatorre diroccata.

Il nuovo aspetto non è certo tra i più invitanti. Prima diportare la torta in tavola è forse meglio cospargerla di zuc-chero a velo per mascherare lo scempio.

La torta, o per meglio dire la sua più recente modifica,fa il suo ingresso in sala da pranzo accompagnata da unsilenzioso coro di sguardi ben poco convinti. Inutile spie-gare che l’abbiamo fatto per il bene della divulgazionescientifica, nessuno capirebbe. Alla paletta per tagliare ildolce sostituiamo un cucchiaio, molto più idoneo, che conun senso di malcelato disagio viene usato a turno dagliinvitati. C’è chi con quello asporta un blocco da una partelaterale della torta informe, chi invece preferisce raccoglie-re la propria porzione scavando una sorta di trincea chescende dalla sommità giù fino alla base. Altri, al contra-rio, vi avvitano il cucchiaio, avendo cura di farlo nei bloc-chi che più degli altri conservano una certa integrità, for-mando delle buche strette e profonde; altri ancora scavanodelle gallerie orizzontali intercettando fitti strati di crema,cioccolato e pan di Spagna, contorti e ripiegati.

“Fermi così!” grido io a questo punto, bloccando gliesterrefatti presenti che alla sorpresa della torta distortaaggiungono il disappunto per il mio intervento inatteso!“Osservate, prego”, aggiungo con più calma invitandoli aconsiderare l’oggetto dei loro scavi. “Questo è un ammas-so di dolce, una volta era una torta a strati. Potrei allostesso modo dirvi, guardando oltre la finestra: quella èuna montagna. Una volta era semplicemente una succes-

Fig. 9 - Una successione rocciosa sedimentaria è assimilabi-le ad una torta stratificata. Essa ora può formare i rilievi diuna catena montuosa che racchiude in sè una storia geolo-gica estesa attraverso intervalli di decine o centinaia dimilioni d’anni ed è caratterizzata da tre fondamentali tappeevolutive.Dapprima si forma, lamina su lamina, strato su strato, all’in-terno di caratteristici e mutevoli ambienti sedimentari.In seguito si deforma nel momento in cui la placca dellaquale fa parte entra in collisione o contatto con adiacentiblocchi crostali.Le deformazioni compressive inducono raccorciamenti,sollevamenti ed emersioni. Come conseguenzapossono generarsi dei rilievi subaerei che risen-tono dei fenomeni di alterazione ed erosione.L’originaria sequenza di strati, primadeposta e poi deformata, successiva-mente si modella sotto l’azione delleacque superficiali che erodono, corrodo-no, trasportano e conducono lontanodal luogo d’origine i frammenti e le par-ticelle asportate all’antica successionerocciosa.È inoltre utile ricordare che quegli stessiframmenti vengono rideposti più a valle,nelle pianure, nei delta e nei mari, dandoforma a una nuova successione di stratisedimentari... e il ciclo ricomincia.

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è possibile ricostruire quella che era l’originaria composi-zione della torta, definendo il numero e il tipo dei livelliche la costituivano e in quale sequenza e posizione risul-tavano deposti, prima che le spinte sacraboltassero tutto.

C’è di più. Mentre per una torta è fuori luogoapprofondire ulteriormente l’analisi, nel caso dellamontagna e della sua successione rocciosa è possi-bile ed entusiasmante proseguire la ricerca. L’essereriusciti a ricollocare nel giusto assetto i singoliblocchi deformati dalle compressioni ci consente sìdi individuare quello che un tempo era stato l’ordi-ne di deposizione, uno sull’altro, dei singoli strati,ma non ancora di comprendere il tipo di ambiente,sempre molto differente da quello attuale, nel qualein origine si accumulavano. Per ora, dunque, ci tro-viamo nella condizione di chi, trovato un libro conle pagine scollate e distribuite alla rinfusa sopra untavolo, è riuscito con pazienza a ricomporlo,seguendo la numerazione progressiva dei singolifogli, accorgendosi però che il volume è scritto inuna lingua sconosciuta.

Ogni pagina del libro corrisponde ad uno stra-to della successione rocciosa. Ognuno di essicontiene una serie di informazioni scritte in unlinguaggio che solo il geologo è in grado di inter-pretare. Sono informazioni che parlano di antichipaesaggi, di ambienti differenti, di climi diversi, diforme di vita ormai scomparse, di rapide modifi-

cazioni, improvvisi sprofondamenti, oscillazionidel livello marino, erosioni fluviali, alluvioni eforti evaporazioni, di foreste antichissime e di pia-nure immense, di colossali delta e tranquille lagu-ne, di scogliere e fondali marini, di vulcani ormaiestinti da milioni d’anni e di abissi oceanici.

Tutto questo, e non solo questo, è chiaramenteleggibile negli strati di una successione rocciosa.Una serie di analisi più particolareggiate forniràindicazioni sul tipo di clima, sull’entità deglisprofondamenti e delle oscillazioni del livellomarino, sull’ubicazione e la composizione dellezone sottoposte in quel preciso momento ad ero-sione, sulle direzioni di percorso degli antichifiumi e sul limite fra pianura e mare, sull’estensio-ne dei delta e sull’espansione delle scogliere e laloro successiva estinzione, sulla posizione di anti-chissimi centri vulcanici e sulla direzione di tra-sporto delle loro ceneri influenzata dai venti, e sutanti, tantissimi altri caratteri che, tutti insieme,concorrono alla ricostruzione di quello che pote-va essere, decine o centinaia di milioni di anni orsono, prima delle compressioni, degli scivolamen-ti, degli scorrimenti, dei sollevamenti, delle defor-mazioni e dei raccorciamenti subiti, l’aspetto dellamontagna che periodicamente saliamo, percorria-mo e osserviamo, cercando di conoscere e capire.

La montagna, composta di strati in originesovrapposti orizzontalmente, è dunque come unatorta che una compressione contro una parete haspezzato, frantumandola e accavallandola in fettecontorte. E quando con un cucchiaio scaveremo inquell’ammasso di pan di Spagna, crema e cioccola-to, mettendo in luce gli originali livelli del dolce,piegati e spostati lungo i numerosi movimenti trafetta e fetta, meravigliati noteremo la somiglianzatra quella torta distorta, rotta e scavata e le nostremontagne stratificate, piegate, spezzate ed erose.

sione di strati orizzontali. Ora sof-fermatevi sui solchi e le trincee cheavete prodotto col cucchiaio nel dolceche vi ho presentato. Fate caso comelungo quelle incisioni affiorinoframmenti e tratti degli strati dell’o-

riginaria torta. Guardate nuova-mente la montagna: trincee e solchi cor-

rispondono a strade, sentieri e a valli sca-vate da corsi d’acqua. Allo stesso modo tro-

viamo rappresentati pozzi di trivellazione e gallerie. Lozucchero a velo, inizialmente distribuito a pioggia e can-cellato successivamente lungo le impronte e incisioni pro-dotte dal cucchiaio è l’equivalente della vegetazione che suirilievi montani spesso cela, ricoprendola, buona parte degliaffioramenti rocciosi. Provate adesso, dopo aver preso attodella possibile similitudine, a considerare quanto di quel-l’iniziale torta resta sul vassoio. L’originaria continuitàdei singoli livelli di crema, pan di Spagna e cioccolato,depositati uno dopo l’altro e uno sopra l’altro, è statadisgregata dalle lente, inesorabili compressioni contro laparete. I vostri interventi sul dolce hanno scavato, eroso emesso in evidenza significative e ben sviluppate successio-ni stratigrafiche.”

Attraverso una serie di collegamenti e confronti tra levarie successioni affioranti nei diversi punti dell’ammasso,

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A6 - Mezzo miliardo di anni…ma non li dimostra!

Ho sentito un geologo che, mostrando alcunifossili appena raccolti da una successione di rocceben stratificate, ha esclamato: “Questi sedimenti sisono deposti verso la fine del Cambriano, il che equivale acirca 490 milioni di anni fa.” Un turista, sempliceamatore di cose geologiche, lo ascoltava stupito.Non metteva in dubbio la parola dell’esperto ma sidomandava come poteva essere così preciso nelproporre un’età guardando solo dei fossili. E men-tre la sua curiosità aumentava, una nuova voce fecevoltare entrambi: “Hai ragione!” si sentì esclamare.

Era un vulcanologo che confermava la deduzio-ne del geologo. “L’anno scorso - continuò - ho trova-to un livello vulcanico, spesso 20 centimetri, intercalato aquesti stessi strati sedimentari. Affiora proprio qui vici-no, oltre questa collina. Ne ho analizzato i minerali e iloro elementi mi hanno fornito un’età di accumulo moltoprossima a 490 milioni di anni. Lo stesso valore che turicavi attraverso l’esame dei fossili.”

“Mi fa molto piacere”, riprese il geologo e fra i dueil discorso proseguì con un fitto dialogo pieno ditermini scientifici. In questo momento la cosa chepiù mi interessava era l’espressione confusa diquell’occasionale turista. Mi interessava per iragionevoli dubbi che lo assalivano e per i suoi“perché”, destinati, se lo sentiva, a restare irrisolti.

Alcuni appropriati esempi potrebbero peròmodificare questa sfiducia di fondo tentando dispiegare in modo non complesso... e insolito,come quattro fossili o qualche grammo di minera-le possono, indipendentemente gli uni dagli altri,suggerirci l’età di una roccia.

Dimentichiamo per un attimo la successionerocciosa e sfogliamo una raccolta di fotografie tro-vata nella soffitta dei bisnonni. Ci aiuterà a capire.

Le foto sono tutte ordinate con estrema precisione. Losi comprende dalla cura con cui sono state incollate sullepagine di cartoncino nero dell’album. Ognuna reca sulmargine un numero progressivo ma, pur cercando conattenzione, non riusciamo a trovare un indice con le cor-rispondenti notizie sui soggetti e, cosa importante, nemme-no le relative date di scatto. Peccato, sarebbe stato belloconoscere in quali anni le fotografie erano state eseguite.

La gran parte delle immagini ritrae i bisnonni a pas-seggio lungo le vie di alcune città italiane. Eppure unmetodo deve esserci per scoprire indirettamente quelle date.

Forse ci siamo! Osservando attentamente le singole foto,scattate in tempi molto diversi tra loro, si nota qualcosa chesi ripropone sullo sfondo di ognuna, pur con caratteri dif-ferenti da foto a foto. Questo qualcosa è rappresentatodalle automobili di passaggio che, assieme ai bisnonni,sono rimaste catturate dall’obiettivo. Ecco allora che, rico-noscendo in un’immagine alcune Fiat 508 Balilla assiemea delle Lancia Lambda e una Bugatti, possiamo afferma-re che la fotografia risale agli inizi degli anni ‘30. Inun’altra istantanea, incollata parecchie pagine dopo, utiliz-zando lo stesso metodo di ricerca (!), troviamo una CitroenDS 19 (la vecchia Citroen a ferro da stiro!), molte Fiat600 D e 500 D, due Lancia Flavia e un’AustinInnocenti A-40, oltre ad una Bianchina panoramica.Risulta immediato attribuire l’immagine agli anni ‘60.

A questo punto è possibile azzardare il parago-ne: l’album di fotografie equivale ad una succes-sione di rocce sedimentarie. Ogni pagina, con larelativa foto, corrisponde ad uno strato ben defi-nito. Ogni foto ha un proprio contenuto caratteri-stico che ne consente la datazione: le automobili,classificabili sulla base della marca e del modello.

Anche ogni strato, o pacco di strati, possiede unproprio contenuto caratteristico. È rappresentatodai fossili. Anch’essi, come le auto nelle foto, pos-sono essere individuati, poi riconosciuti e classifi-cati in base al genere e alla specie (Fig. 11).

CR

IPTO

ZOIC

OFA

NER

OZO

ICO

Eone Era Periodo Epoca Limitemilioni di anni

OLOCENE

PLEISTOCENE

PLIOCENE

MIOCENE

OLIGOCENE

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HEO

ZOIC

O

NEOGENE

PALEOGENE

CRETACEO

GIURASSICO

TRIASSICO

PERMIANO

CARBONIFERO

DEVONIANO

SILURIANO

ORDOVICIANO

CAMBRIANO

PROTEROZOICO

ARCHEANO

mancadocumentazione

stratigrafica

Il Criptozoicocomprendecirca l'87%dei tempigeologici

0,012

2,6

5

23

35

55

65

150

200

250

300

360

415

445

490

545

2500

4000

4600Fig. 10 - Questo è il calendario usato dai geologi per suddi-videre il tempo e le sue materializzazioni: le successioni roc-ciose del pianeta Terra. Le età sono arrotondate.

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Ann

i ’10

Ann

i ’30

-’40

Ann

i ’20

Ann

i ’50

-’60

Ann

i ’80

Anni

’60-

’70

Età relative

Fig. 11 - L’età di uno strato può essere indiretta-mente stimata in base al suo contenuto paleonto-logico, ossia ai fossili che contiene. Allo stessomodo, ad esempio, la fotografia di una città puòessere collocata temporalmente osservando i modellidelle auto che circolavano al momento dello scatto. In entram-bi i casi si tratta di valutare un “contenuto” irripetibile nel tempo.La fotografia utilizzata in questo schema - Piazza Barberini, a Roma - evidente-mente non è dei giorni nostri. Né può essere definita recente. Anzi, guardando-la anche solo di sfuggita, è facile collocarla negli anni ‘50. Questo è possibile per-ché il nostro cervello ha colto dall’immagine degli elementi particolari collocabi-li, in base alla nostra esperienza, in un preciso contesto temporale.Le nostre conoscenze pregresse hanno creato una sorta di archivio (database!) checi suggerisce delle possibili associazioni: in questo caso gli anni ‘50. Gli elemen-ti utilizzati nell’esempio sono stati i modelli delle automobili.In altre occasioni potrebbero essere i vestiti di un insieme di persone, oppure, sela fotografia riguarda l’interno di un ufficio, i tipi di macchine da scrivere o dicomputer, e così di seguito.Ogni ambiente contiene associazioni di elementi caratteristici, riferibili a unadeterminata epoca o età, e solo a quella. La loro presenza consente di collocareun avvenimento passato all’interno della storia. Se la storia è quella del nostropianeta gli elementi utili sono i fossili.

Forse ora è diventata più comprensibile la sicu-rezza che il geologo ostentava nel datare la rocciaattraverso l’osservazione dei fossili raccolti dalsuo interno.

Resta ancora da spiegare la certezza mostrata suquello stesso argomento dal collega vulcanologoche affermava di potere definire addirittura l’età diuna roccia magmatica lavica che, per ovvie ragio-ni, non può contenere resti di organismi.

Usando parole semplici si può dire che quel vul-canologo, con appropriati strumenti, aveva misu-rato la quantità di certi atomi presenti in determi-nati minerali della roccia. Atomi particolari che almomento del consolidamento della lava non esi-stevano ancora nei suoi cristalli, ma si sono gene-rati in seguito, nel corso dei successivi 490 milio-ni di anni.

In che modo? Attraverso leggere trasformazionisubite da altri atomi già presenti nella roccia stessa.

Tale capacità di trasformazione è nota comedecadimento radioattivo, con la conseguenteemissione di radioattività. La velocità con cui sirealizza è calcolabile e viene definita tempo di dimez-zamento. Si chiama così perché individua il tempoche impiega la metà di tutti gli atomi di un datoelemento per trasformarsi in un altro. Tale perio-do è variabile a seconda del tipo di atomi presi inconsiderazione e questo rende possibile, in base alcalcolo delle quantità di atomi “originali” e “tra-sformati”, la valutazione del tempo trascorso.

Un esempio forse è indispensabile. Anche seazzardato. Sarà ancora indirettamente attraversodelle fotografie che tenteremo di comprenderecome la stima delle quantità di certi atomi presen-ti nei minerali di una roccia ci consenta di datarnel’età di formazione. Il discorso vale essenzialmen-te per le rocce magmatiche perché i singoli mine-rali presi in esame si sono formati contempora-

Come per le automobili è possibile consultaredei cataloghi che riportano l’anno di costruzionee le immagini dei vari modelli delle diverse mar-che, così anche per i fossili esistono migliaia distudi compiuti dai paleontologi di tutto il mondoche hanno riunito in appropriati cataloghi di con-fronto tutti i generi e le specie scoperte e studia-te, collocandole in appropriati “alberi genealogi-ci”, estesi per decine di milioni di anni, secondoun preciso ordine temporale (Fig. 12).

La gran parte dei fossili, come le automobili,ha una diffusione temporale limitata. È questo

un innegabile vantaggio: dà la possibilità di sud-dividere il tempo in tantissimi momenti distinti esuccessivi. Nessuna casa automobilistica sisognerebbe di riproporre, fabbricato in serie, unmodello di macchina già diffuso 30 anni prima!

Anche in natura accade la stessa cosa: la formadi un nuovo organismo, e di conseguenza il rela-tivo fossile (impronta, calco, riempimento, mine-ralizzazione, ...) è sempre differente da quella ditutti gli organismi che l’hanno preceduto e che loseguiranno durante la lunga storia geologica delpianeta Terra.

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Torniamo alla possibilità di proporre un esem-pio... credibile, alle fotografie.

Pensiamo ora a un’ultima classe di liceali che prima diottenere il diploma vuole ricordare il momento con unaclassica foto di gruppo. Anni dopo si ritrovano, organiz-zano una cena e al termine... una foto.

Passa qualche altro anno. L’amicizia resta e con essalo spirito di gruppo d’un tempo. Un altro incontro con unsorriso di fronte all’obiettivo procura una nuova foto perl’album dei ricordi. Erano molto affiatati quei compagnidi liceo. Riescono a ritrovarsi ancora, quasi tutti, allasoglia della terza età. Non può mancare la foto.

Altri anni dopo, la mitica 5aB si riunisce ancora. Unacena, le battute allegre di sempre, molti i ricordi strappa-risate (sempre quelli!), il tutto velato ormai da una insop-primibile malinconia. Non può mancare la foto di rito.L’ultima, forse. Oggi quello che resta della 5aB è tutto inquest’album. Nessuna delle foto riporta la data, né pos-siede dei riferimenti che possano servire in tal senso.Nessun indizio cronologico, nessuna macchina sullo sfon-do in questo caso!

L’unica certezza è che l’ultima fotografia risale a pochimesi fa e che loro, i vecchi studenti d’un tempo, hannoormai quasi tutti i capelli bianchi.

Le fotografie potranno essere datate attraversol’aspetto di quegli studenti, osservandone peresempio proprio il colore dei capelli i quali, colpassare del tempo, saranno diventati, in numerosempre maggiore, inesorabilmente bianchi.

Allo stesso modo la roccia può essere datataattraverso i suoi minerali (paragonabili agli stu-denti). Questi risultano in parte composti daatomi (confrontabili con i loro capelli) che “invec-chiando” subiscono progressive e riconoscibilimodifiche.

Valutando in entrambi i casi la percentuale dei“trasformati” rispetto alla quantità degli “origina-li” si risale al tempo trascorso. Questo per le rocce

Fig. 12 - Per ogni gruppo di organismi è possibile costruire una sorta di “albero genealogico” che ne illustra le variazioni nelcorso del tempo. Spesso si tratta di intervalli lunghi decine o centinaia di milioni d’anni. Il caso qui raffigurato raccoglie le infor-mazioni fornite dalla paleontologia sull’evoluzione e lo sviluppo dei cavalli. A fianco, un diagramma simile è stato utilizzato perrappresentare l’evoluzione di… un particolare gruppo di automobili le cui modificazioni nel tempo sono sotto gli occhi di tutti(in particolare dei più anziani)! Il principio usato è lo stesso.

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PROTEROZOICO

ARCHEANO

mancadocumentazione

stratigrafica

Il Criptozoicocomprendecirca l'87%dei tempigeologici

0,012

2,6

5

23

35

55

65

150

200

250

300

360

415

445

490

545

2500

4000

4600

della sedimentazione di quello strato, ma all’atti-mo in cui quel granulo, ancora cristallo, si eraappena consolidato all’interno della sua origina-ria roccia madre, dalla quale poi, in un secondotempo (anche centinaia di milioni di anni dopo),sarebbe stato eroso e trasportato dalle acquesuperficiali verso una zona di sedimentazione,fino a formare l’accumulo sabbioso.

neamente al consolidamento della roccia stessa.Non è valido per le rocce sedimentarie, specie perquelle formate da granuli derivanti dall’erosionedi rocce più antiche.

Questo perché se si tentasse di analizzare conlo stesso metodo, cosiddetto radiometrico, i sin-goli granuli di un’arenite (o arenaria) si ricavereb-be un’età non certo corrispondente al momento

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è possibile perché alcuni particolari atomi (isoto-pi) di certi elementi presenti nei minerali invec-chiano secondo una regola ben precisa: ci voglio-no X anni affinché metà di tutti gli atomi presen-ti al momento della formazione della roccia che licontiene si siano modificati. Il valore (X) cambiada elemento a elemento ed è perfettamente noto.Sarebbe come dire: occorrono X anni affinchémetà dei capelli che un individuo ha in testa

diventi bianca; e poi ancora quello stesso numeroX di anni per consentire a quella metà di capelliscuri rimasti di dimezzarsi, e così via, riducendoesponenzialmente la quantità di capelli che con-serva ancora il colore originario.

Solo alcuni e molto particolari atomi si presta-no ad essere convenientemente usati per questiconteggi. Per essi è stato ricavato sperimental-mente il cosiddetto tempo di dimezzamento (o di

decadimento) che consente di risalire all’età dellaroccia attraverso il rapporto (misurato con stru-mentazioni molto sofisticate) tra le quantità diatomi “trasformati” e “originali”.

Per valutare l’età di sedimenti abbastanza recenti(qualche decina di migliaia di anni al massimo) ven-gono utilizzati isotopi con rapido decadimento. Adesempio il 14C (Carbonio) contenuto nei residuiorganici e/o nei resti vegetali carbonificati è dotatodi un tempo di dimezzamento di 5.730 anni.

Per stimare invece l’età di rocce magmaticheantiche di centinaia di milioni di anni si scelgonoelementi quali K-Ar (Potassio-Argon) o Rb-Sr(Rubidio-Stronzio), caratterizzati da tempi di deca-dimento (o dimezzamento) rispettivamente prossi-mi a 1,3 miliardi d’anni e a 50 miliardi di anni.

Queste scelte, diversificate sulla base degli ele-menti di volta in volta da utilizzare, in quanto pre-senti nella roccia da esaminare, e sul presunto ordi-ne di grandezza dell’età da misurare, possono esse-re giustificate attraverso due banali considerazioni:nessuno misurerebbe mai la lunghezza di una coc-cinella usando la propria spanna né, tantomeno, siservirebbe di una striscia di carta lunga un centime-tro per valutare la distanza tra due paesi.

Per concludere, valutando dunque i più usualimetodi di datazione di un deposito roccioso, è pos-sibile affermare che questi forniscono delle etàconsiderabili ora assolute ora relative. Assolute sonoquelle ricavate dalle analisi degli elementi attraver-so le quali si ottengono dei valori numerici cheesprimono l’età della roccia in anni. Relative, alcontrario, sono considerate quelle età che utilizza-no particolari “presenze” interne al deposito - ifossili ad esempio - vissute contemporaneamenteall’accumulo del sedimento che le ha inglobate.

In questo caso il contenuto fossile ci dice sol-tanto che un pacco di strati è più giovane di un

Fig. 13 - Questa eccezionale fotografia documenta un recente accumulo di sabbie e... pneumatici che, come si può osservare,si sono deposti insieme. Qui le gomme rappresentano il contenuto fossile che consente di attribuire un’età approssimativa al depo-sito, raccontandoci che è “attuale”. Alla stesso modo, per datare indirettamente gran parte dei depositi sedimentari si utilizza-no i fossili (molto più frequenti degli pneumatici, specie in sedimenti non recenti!). Si può aggiungere che l’evidente embrica-tura di alcuni tra gli pneumatici indica inoltre che il flusso procedeva verso sinistra (cfr. Fig. 28). (Foto D. Castaldini).

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tre direttori differenti si sono avvicendati alla guida delgiornale. Le scarse pagine ancora intatte (che fortunata-mente coprono tempi molto diversi tra loro) ci consentonodunque di fare corrispondere ad alcune date ben precise (leetà assolute) i nomi dei direttori che in quel momento gui-davano il giornale (possiamo paragonarli al contenuto fos-sile che muta e si rinnova col passare del tempo).

Nei numerosi fogli col margine superiore rovinato (prividunque di età assoluta valutabile) è comunque leggibile,nell’apposito spazio, la firma del direttore del momento.La sola presenza di tale nome (confrontato con i pochidati assoluti prima osservati) riesce ugualmente a fornirci

un’età. Non sarà più un’età assoluta ma... relativa.Relativa in quanto ci dice semplicemente che quel foglio digiornale, deve essere più recente o più antico di un altro,caratterizzato da un direttore differente. I limiti esatti deitre successivi intervalli temporali potranno essere valutaticon maggiore precisione se col progredire delle ricerche ver-ranno alla luce altri fogli integri. Oppure utilizzando, inaggiunta, altri criteri completamente diversi, quali adesempio la valutazione delle modifiche apportate neltempo all’impaginazione, l’esame del contenuto delle noti-zie..., integrando e confrontando infine i singoli gruppi diinformazioni.

Fig. 14 - Successione varicolore che affascina e incuriosisce. Le domande spontanee sono inizialmente due: quando e dove. Chein altre parole significano: “Che età hanno queste rocce?” e “Com’era l’ambiente, il paesaggio, in cui si formavano?” La geologia forniscele risposte. Fm. di Werfen (Triassico inf.), ambiente lagunare. Rio Randìce, Arta Terme (UD).

altro, in quanto contiene specie e generi di diffe-renti e più evoluti organismi. Siamo però anchein grado di correlare, più o meno precisamente, ildato relativo con quella che è la scala assoluta deitempi, quella espressa in migliaia e milioni di anni(Fig. 12).

Questo avviene grazie ai numerosi studi chehanno esaminato e continuano, sempre nuovi, adesaminare le particolari successioni rocciose nellequali, come osservato all’inizio del capitolo, siintercalano sedimenti fossiliferi (età relative) e sot-tili episodi vulcanici (età assolute).

I due tipi di età insieme contribuiscono a for-mare una scala di riferimento largamente usatama anche costantemente soggetta a piccole revi-sioni e calibrature. Un esempio fra tanti è costi-tuito dal limite tra l’Era Paleozoica e l’EraMesozoica che, negli ultimi 40 anni, è passato dai245 ai 247 milioni di anni sino all’attuale valore di250 milioni di anni.

Si può tentare di escogitare un esempio attra-verso il quale meglio chiarire i rapporti che inter-corrono tra età assolute ed età relative.

Davanti a noi, sopra una scrivania, sono distribuitealla rinfusa un centinaio di prime pagine di un noto quo-tidiano. Ogni pagina risulta stampata in tempi a voltemolto diversi tra loro e che complessivamente coprono unintervallo di quasi trent’anni. Tutte le pagine contengonoun articolo di fondo firmato dal direttore del momento.

Molte tra esse hanno l’orlo superiore rovinato e presso-ché illeggibile, proprio lì dove sarebbe comparsa la data distampa! Ecco il senso dell’esempio. Nei pochi fogli integric’è la possibilità di leggere delle età assolute: le date stam-pate lungo il margine superiore dei singoli fogli.

Ma non è tutto. Guardando sotto il titolo del quotidia-no ci accorgiamo che il direttore della testata non sempreè il medesimo. Anzi, controllando meglio tutte le primepagine che abbiamo di fronte è facile verificare che almeno

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A7 - Livello marino, livello ballerino

Presumo che tra quanti leggeranno queste pagi-ne saranno in molti ad aver provato l’intensa sen-sazione che accompagna la ricerca di un fossile el’appagante eccitazione che ne sottolinea la sco-perta. E questo vale sempre, sia per il calco di unguscio, il resto di una pianta, l’orma di un rettile oanche solo per la pista di spostamento di un sem-plice mollusco.

La gran parte dei fossili tramanda le forme o letracce di organismi che originariamente vivevanoe proliferavano nel mare, alle più varie profondità.

Molto spesso accade che i ritrovamenti di taliresti avvengano in successioni rocciose affiorantia quote elevate: seicento, mille, duemila metri dialtitudine e oltre. Altrettanto spesso può accadereche alla scoperta segua una logica riflessione:“Come possono fossili marini trovarsi ora a simili altitu-dini?”, e che tale domanda possa venire soddisfat-ta attraverso la facile quanto illogica risposta: “Untempo il livello del mare arrivava a queste altezze (e oltre)e poi si è ritirato.”

Nulla di più fuorviante! Sottolineando le ragio-ni per le quali questa risposta non può essere con-siderata valida (v. Sez. “Si Deforma”), si tendecomunque a negare indirettamente l’esistenza diampie variazioni del livello marino. Anche questonon è corretto.

Occorre tenere presente che: a) nel corso dellastoria della Terra il livello del mare ha subito dellevariazioni, in più o in meno rispetto alla posizio-ne attuale; b) sono oscillazioni che raramentesuperano i 100 m e anzi, comunemente si attesta-no su valori di poche decine di metri. La piùampia tra esse si realizzò tra il Giurassico e ilCretaceo, con un aumento complessivo del livellomarino intorno a 350 m (Fig. 15).

Se le oscillazioni del livello del mare non posso-no giustificare il ritrovamento dei fossili marini aquote molto elevate, la ragione di una tale partico-larità deve essere allora attribuita a un progressivosollevamento dei fondali che un tempo ospitavanogli organismi. In effetti le montagne sono spesso ilrisultato di enormi compressioni che hanno rac-corciato e sospinto verso l’alto vasti settori crosta-li formati in gran parte da sedimenti depositatisisul fondo dei mari.

Queste affermazioni generano due domande,tanto semplici nella loro enunciazione quantocomplesse nelle relative risposte. Perché il livellodegli oceani è stato e sarà soggetto periodicamentea variazioni, sia positive sia negative? Qual è ilmotore che consente alla crosta terrestre di solle-varsi portando a chilometri d’altezza superfici cheun tempo sono state pianure, lagune o fondalimarini? La risposta a quest’ultima trova spazionella sezione “Si Deforma”, dedicata alle deforma-zioni delle successioni rocciose. La prima doman-da invece non è soddisfatta da una sola risposta.

Le cause che regolano i sollevamenti e gli abbas-samenti del livello degli oceani, e dei mari ad essicollegati, sono molteplici. Inutile sottolineare chetali oscillazioni nulla hanno a che vedere con imovimenti dovuti alle maree, rispetto ai quali dif-feriscono sia per la notevole maggiore ampiezzadelle variazioni, quanto per la frequenza, regolatada intervalli di decine-centinaia di migliaia di anni,fino a molti milioni di anni. Esaminiamo rapida-mente le ragioni note come responsabili di talifluttuazioni del livello marino.

Questa volta proviamo ad impiegare una vasca dabagno. Immaginiamola però non modellata, come abitual-mente, in acciaio smaltato ma realizzata in gomma, inmodo che risulti facilmente deformabile, specialmente sulfondo. Dopo averla appoggiata ad un telaio in ferro,

lasciandola sospesa a mezzo metro dal pavimento (sarànecessario per il buon andamento dell’esperimento!), riem-piamola per metà d’acqua. Facciamo un segno all’internodella vasca per marcare il livello raggiunto dal liquido.Quello che ora abbiamo di fronte è un oceano, anche seridotto ad un formato minimo.

Adesso, inginocchiandoci, portiamo entrambe le manisotto la vasca, verso la zona centrale, e spingiamo versol’alto. Una fascia del fondo di gomma si solleverà forman-do un rilievo all’interno della vasca. L’effetto più imme-diato e intuibile sarà uno spostamento progressivo, versol’alto, del livello dell’acqua che sta nella vasca. In questocaso il livello del “nostro” oceano è aumentato senza doveraggiungere altro liquido. In natura cause ed effetti connes-

Livellomarinoattuale

Periodo ed etàin milioni di anni

innalzamento abbassamento+400 +200 0 -200 -400

TERZIARIO

CRETACEO

GIURASSICO

TRIASSICO

PERMIANO

CARBONIFERO

DEVONIANO

SILURIANO

ORDOVICIANO

CAMBRIANO

490

545

445

415

360

300

250

200

150

65

Fig. 15 - Curva delle variazioni globali del livello marinodurante il Fanerozoico, ossia dall’inizio dell’era paleozoica alpresente.

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si al fenomeno del sollevamento del livello marino corri-spondono in certi casi molto bene a quelli dell’esempiodescritto. Cambia naturalmente il movente.

Osserviamo ora quello che accade in realtà.Come esempio - questa volta concreto - prendia-mo l’Oceano Atlantico che possiede due marginiabbastanza ben definiti (rispettivamente le costeamericane e quelle afro-europee), come la vascadell’esempio proposto. Forse non tutti sono aconoscenza che l’Oceano Atlantico cominciò adesistere solo circa 180 milioni di anni fa. Prima diallora al suo posto c’erano terre emerse ancorastrette saldamente insieme. Quegli stessi conti-nenti che ora ne definiscono i limiti, orientali eoccidentali, si trovavano allora in contatto reci-proco e nulla avrebbe fatto presagire lo sviluppodi una frattura così colossale che da allora hacostantemente favorito il distanziamento dei duegiganteschi margini.

Il fenomeno è tuttora attivo e raggiunge velo-cità prossime a 1-3 cm l’anno. Come dire che daitempi della trasvolata atlantica di Lindberg (avve-nuta nel 1927) a oggi, un intervallo infinitesimo separagonato ai lunghi tempi geologici, l’Europa egli Stati Uniti si sono allontanati di oltre 1 m!

È come spezzare in due una focaccia e fare sci-volare i pezzi allontanandoli progressivamente.Con la differenza che nella realtà la fascia centraledi fratture, lungo tutta la sua estensione, sviluppa-ta per oltre 10.000 km, diventa sede di risalita dimagmi profondi originati nel mantello terrestre.

Si ricordi che la gigantesca frattura, o meglio lafascia di fratture che si forma nel blocco continen-tale, determina uno sprofondamento generalizzatodel territorio che, man mano che le due placche incui si smembra divergono una dall’altra, tenderà adabbassarsi al di sotto del livello del mare fino a rag-giungere profondità medie di 4-6 km.

Il quadro che un tale evento determinaconsiste inizialmente in una fascia di fratturestretta e allungata (nel caso dell’Atlantico indirezione all’incirca N-S) che interessa unblocco continentale emerso. Le spaccature sitrasformano rapidamente in solchi e, mentrei rispettivi lembi si allontanano, la fossa che sidetermina oltre ad allargarsi sprofonda pro-gressivamente.

Contemporaneamente, dal fondo dellafossa ormai coperta da acque marine, lungoquelle stesse innumerevoli fratture che orainteressano le profondità di quel nuovobraccio di mare in formazione, inizianocopiose le effusioni laviche sottomarine. Laloro quantità è tale che nel buio di queiprofondi fondali le eruzioni creano delle

Fig. 16 - Così si presentavano le terre emerse del futuroterritorio italiano all’inizio del Pliocene, poco più di 5milioni di anni fa, un istante (geologicamente parlando).Le Alpi erano già una importante catena montuosa (v.Cap. “Il motore degli strani effetti”, SD4), mentre gliAppennini mostravano i muscoli muovendosi con forzalungo le fasce laterali, pronti a farsi valere diventando, apieno titolo, protagonisti del futuro stivale italiano.

Fig. 17 - Lo scenario delle periferie (le linee di costa!)cambiò drasticamente nel Quaternario, durante l’affer-mazione dei periodi glaciali. Negli ultimi 2,6 milioni dianni il clima si deteriorò drasticamente per almenoquattro volte, forse sei. Le calotte e le coltri di ghiacciodelle medie e alte latitudini causarono la periodica riten-zione di enormi quantità d’acqua innescando, ognivolta, rapidi quanto sensibili cali del livello marino glo-bale. L’ultima volta che questo accadde (per ora) fucirca 20.000 anni fa (Würm). Il calo globale del livellomarino fu di quasi 130 metri. Ne conseguì che moltimari bassi, situati al bordo delle aree continentali, emer-sero trasformandosi in vaste piane fangose. Ne fece lespese anche l’alto Mare Adriatico (v. Cap. “Fiumi eghiacciai...”, SM2).

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imponenti montagne sottomarine allineate lungol’iniziale fascia di fratture.

Montagne vulcaniche riescono occasionalmentea emergere, innalzandosi dal fondo dell’oceano permigliaia di metri. L’Islanda, terra di vulcani di que-sto particolare tipo, costituisce una infinitesimaporzione della estesa dorsale medio-atlantica che siestende senza interruzioni quasi da un polo all’al-tro. I flussi di lava sono pressoché continui neltempo e al contatto conle masse d’acqua solidi-ficano rapidamente.

Le effusioni lavichesono concentrate lungola frattura principale,che permane in posi-zione centrale rispettoall’oceano in progressi-vo allargamento. Adogni flusso si divaricano e allontanano di qualchemillimetro i precedenti accumuli lavici di modoche, ai due lati della fascia effusiva, lungo la cosid-detta dorsale medio-oceanica, si sviluppano deidepositi distribuiti simmetricamente. Sonoanch’essi destinati col tempo ad allontanarsi pro-gressivamente dalle fratture centrali dell’oceano.

Può accadere che nel corso dei milioni di annid’attività di una dorsale medio-oceanica le eruzio-ni possano subire un forte incremento, arrivandoanche a raddoppiare l’usuale quantità di lava emes-sa. Il fenomeno è capace di creare un’espansionepiù rapida dell’oceano (ad esempio con valori cheda 2-3 cm all’anno passano a 15 cm, velocità diapertura caratteristica dell’attuale Oceano Pacifico)ma anche e soprattutto un progressivo aumento divolume delle montagne laviche sottomarine, bensuperiore allo spazio acquistato attraverso la mag-giore velocità di apertura oceanica.

Ma questo è proprio quello che abbiamo vistoaccadere nel nostro modellino di oceano quandone abbiamo sospinto verso l’alto, con le mani, ilfondo di gomma. La reazione in entrambi i casi èla stessa: il livello delle acque si solleva e si stabiliz-za a quote più alte.

Nell’esempio proposto l’acqua della vascapotrebbe in parte debordare; nella realtà la direttaconseguenza è che sui margini dei due blocchi

continentali in allontanamento reciproco (i bordidel bacino oceanico) si potranno registrare som-mersioni di intere fasce costiere e di pianure finoad altezze che occasionalmente, come si verificònel Cretaceo superiore, possono raggiungere i 350m sopra il precedente livello marino. Tutto questonaturalmente accade con velocità che l’essereumano non riesce a percepire e che risultano pros-sime a 1 cm di sollevamento ogni 1000 anni.

Il livello degli oceani oltre a subire degli innalza-menti può anche calare, lasciando allo scopertovasti territori che in precedenza costituivano deibassi fondali marini. Negli ultimi due milioni dianni questo è accaduto parecchie volte, almenoquattro, forse sei (v. Sez. “Si Forma”, SF). In que-sto caso la causa che indusse i drastici e periodicicali del livello marino (fino a 130 m in una solavolta) fu il relativo rapido deterioramento delclima che, specialmente durante le estati, si fece

più rigido. Il calo della temperatura media nelcorso di poche centinaia d’anni contribuì a sottrar-re ai mari gran parte delle precipitazioni che, allenostre latitudini, furono bloccate sotto forma dineve sui massicci montuosi più elevati, sia delleAlpi sia, in minor misura, degli Appennini.

Si generarono giganteschi accumuli nevosi che,sotto il carico del proprio stesso peso, in breve sitrasformarono in ghiaccio formando una densa e

spessa coltre dalla quale emergevano, nelle Alpi,solo le cime delle vette più elevate (Fig. 17).

Se potessimo idealmente inviare indietro neltempo di 50.000 anni un satellite dotato di stru-mentazioni per il telerilevamento, collocandolo inorbita sulla verticale di un settore situato in mezzoal Mare Adriatico, diciamo tra LignanoSabbiadoro e Ancona, e lo facessimo funzionareper decine di migliaia di anni, da allora fino ainostri giorni, avremmo a disposizione una serie difotogrammi che, proiettati in rapida successione,ci potrebbero fornire il susseguirsi dei mutamentigeologici e geografici subiti dall’area dell’altoAdriatico. Sarebbe un po’ come assistere, durantele previsioni del tempo alla televisione, al rapido-spostamento dei fronti perturbati.

Fig. 18 - Le Alpi, nonostante la posizione a latitudineintermedia, si riempirono di ghiacciai grazie alle lorocomplessive alte quote. Alpi Carniche (da Rivalpo versoE, UD).

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e del Mar Tirreno settentrionale (Fiumi Arno eTevere) la linea di costa si attestò su posizionidecisamente più arretrate rispetto alle attuali.

Questo importante evento trasgressivo, concre-tizzatosi nella notevole risalita del livello marino,stimata tra 120 e 130 m, è stato seguito nelle ulti-me migliaia di anni da modeste fluttuazioni privedi particolari conseguenze su ulteriori arretra-menti o avanzamenti della linea di costa. Eppurese consideriamo le posizioni occupate dal mare odalle sue lagune anche solo duemila anni fa ciaccorgiamo che la linea di costa deve per forzaaver subito un netto avanzamento.

Per rendere maggiormente l’idea si pensi che inepoca romana sia Ravenna (Po) sia Pisa (Arno) siaffacciavano sul mare. Ora ognuna dista una deci-na di chilometri dalle rispettive coste. Questosignifica che la linea di riva si è allontanata inmedia di 25 m ogni secolo. Il che non è poco!

Dobbiamo dunque dedurre che una regressione- il mare che si ritira - si può realizzare anchesenza un abbassamento del livello marino. In que-sto caso il meccanismo che fa avanzare la terrafer-ma a spese del mare è l’enorme quantità di sedi-menti trasportati verso la foce e accumulati ingran parte proprio nella fascia deltizia dei grandifiumi. Fiumi che costituiscono i collettori di unamiriade di affluenti, rivoli e torrenti i quali, nellezone montane d’origine, possiedono un elevatopotere erosivo. Non si dimentichi del resto cheanche una invasione delle terre emerse da partedel mare può verificarsi in assenza di innalzamen-ti del livello del mare: ad esempio quando un deltasmette improvvisamente di essere alimentato dalrispettivo fiume a causa di un cambiamento dipercorso di quest’ultimo che lo porta a sfociare inun altro punto della costa (v. Cap. “1500 anni percancellare un delta”, SM-2c).

Solo che in questo caso non sarebbero semplicie rapidi sistemi nuvolosi a muoversi, ma intere epiù complesse linee di costa marcate da una fasciadi sistemi deltizi e di cordoni litorali sabbiosi chelentamente migrerebbe verso SE, verso il centrodell’attuale Mare Adriatico. Attraverso la registra-zione filmata di questi eventi ci potremmo facil-mente accorgere che nel settore inquadrato dalsatellite e da noi preso come riferimento, il pro-gressivo abbassamento del livello marino ha por-tato i grandi fiumi padani, con il concorso di tuttii loro numerosi affluenti, a spingere il loro caricodi sabbie e limi dove prima esisteva il mare con isuoi relativi e caratteristici depositi subacquei.

Se la fascia dei depositi deltizi si spinge versomare questa trascinerà nello spostamento anche iretrostanti depositi fluviali della pianura alluvio-nale. Questi ultimi andranno a ricoprire i prece-denti sedimenti deltizi accumulatisi nei secoli onei millenni precedenti, mentre la nuova fasciadeltizia attiva (l’unica visibile in superficie) prose-guirà la propria migrazione verso il centro delMare Adriatico.

Ecco allora che, se oltre a fotografare semplice-mente le variazioni della superficie del settorepreso come riferimento, potessimo anche farneuna radiografia, osservando cosa è avvenuto al disotto di essa per qualche decina o centinaio dimetri di spessore, ci accorgeremmo che agli inizia-li depositi marini si sono progressivamente sosti-tuiti, in successione verticale, quelli deltizi che lihanno letteralmente ricoperti nella loro avanzata.

Circa 18.000 anni fa i grandi ghiacciai alpinicominciarono rapidamente a ritirarsi (v. Cap. “Idepositi dei ghiacciai...”, SF-2e) abbandonando leloro postazioni più avanzate, collocate allo sboccoin pianura dei maggiori solchi vallivi montani. Loscioglimento quasi totale dell’ampia calotta glaciale

che rivestiva il complessivo territorio alpino, assie-me al concomitante drastico ridimensionamentodelle calotte polari, restituirono agli oceani e ai mariquell’acqua - una quantità enorme - a suo temposottratta. I ghiacciai rapidamente si sciolsero e l’e-norme massa liquida che avevano monopolizzatotornò ai mari e agli oceani. Si realizzò così uncospicuo innalzamento del livello marino che furecepito a scala mondiale, in ogni settore del globo.

Ecco dunque che la variazione climatica puòindirettamente costituire un ulteriore motivo chegiustifica un sensibile sollevamento del livello deimari. L’avanzamento verso mare delle pianurealluvionali e delle loro avanguardie deltizie e litora-li si interruppe bruscamente.

Nei fotogrammi idealmente inviati attraverso iltempo dal satellite cominciamo a percepire netta-mente questa inversione di tendenza. Il mare ricon-quista rapidamente i territori persi nelle migliaia dianni precedenti e i delta tendono velocemente adarretrare. Delle centinaia di metri di sabbie e limideltizi e alluvionali accumulati sulla verticale nell’al-to Mare Adriatico, sopra un territorio vasto quantol’intera Pianura Padana attuale, solo gli ultimi metrifurono rimaneggiati dalle correnti e dalle tempestedi un mare in costante innalzamento.

Altri sedimenti, questa volta nuovamente marini,si sovrapposero a quelli di transizione e su quellicontinentali, sottolineando con questo tangibileeffetto destinato a permanere nel tempo (l’unico apoter essere realmente percepito a distanza di quasi20.000 anni) la causa diretta di tale variazione: il sol-levamento del livello marino. Il processo, definitotrasgressione, in questo caso risultò direttamen-te connesso con l’ultima importante deglaciazione.

Dopo quest’ultima modifica, in corrispondenzadegli attuali grandi apparati deltizi dell’altoAdriatico (Fiumi Po, Adige, Piave e Tagliamento)

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A8 - Ogni causa è un effetto e in effettiogni effetto preso in causaè la causa di un effetto

In geologia tutto è concatenato in una comples-sa e mirabile sequenza di cause ed effetti. In pratical’effetto generato da un particolare fenomenodiventa a sua volta la causa che regola lo sviluppodel successivo evento. E così di seguito, in uncomplicato intersecarsi di variabili la cui compren-sione, tentata spesso molti milioni di anni dopo illoro manifestarsi, costituisce un vero rompicapoper gli studiosi della materia.

Immaginiamo una corrente d’aria che in unappartamento muove una tenda la quale, oscillan-do, fa cadere un portaritratti sopra una tastiera dipianoforte. Dall’appartamento confinante unaconfusa dissonanza di note e rumore metallicosarà l’unico indizio per tentare di ricostruire l’in-tero scenario di cause ed effetti. In geologiaavviene qualcosa di molto simile. Basti pensarealle modifiche indotte da un semplice calo dellivello marino (v. Cap. “Livello marino, livelloballerino”, A7).

Un esempio reale lo può fornire il settore del-l’alto Mare Adriatico. Durante il più recenteperiodo glaciale (che ebbe l’ultima delle sueespansioni intorno a 20.000 anni fa) l’acquamonopolizzata dai ghiacciai che in grandi spesso-ri coprivano le medio-alte latitudini e i rilievi piùelevati del globo, causò un progressivo calo dellivello del mare. Quaranta, ottanta, centoventimetri sotto il livello attuale. Metà Adriatico fu insecca. I suoi bassi fondali settentrionali emerserocostituendo una piatta fascia di nuova pianura traquella che era stata la linea dei grandi delta deiFiumi Po, Adige, Piave, Tagliamento e Isonzo(che a quei tempi era attestata una decina di chi-

lometri più a monte dell’attuale) e la nuova lineadi costa che ormai si collocava all’altezza diAncona. La prima causa era stata il raffredda-mento del clima. Il primo conseguente effetto fula ritenzione di gran parte delle precipitazionisotto forma di neve e ghiaccio che si accumulòalle alte latitudini e sui rilievi dei continenti. A suavolta questo effetto diventòcausa e

generò, come effetto corrispondente, il calo dellivello marino.

Quest’ultimo, come visto, produsse il rapidospostamento verso S della linea di costa. Ma que-sto, considerabile già come il terzo anello dellacatena di cause ed effetti che si scambiano ilruolo, fu solo l’inizio.

I fiumi e i rispettivi delta avanzavano, via viache la costa si spostava verso meridione, distri-

buendo sempre più verso S il loro carico disabbie e limi, occupando l’intero spa-zio pressoché pianeggiante messo a

loro disposizione.Di conseguenza intere comunità di

organismi, sia terrestri che marini, migra-vano solidalmente ai movimenti della lineadi riva. Tutto questo per un semplice calo

del livello marino. Eppure basta pen-sare alle modifiche e ripercussioni acatena che un sollevamento del mare,

anche contenuto entro un metro diampiezza, potrebbe procurare al giorno

d’oggi lungo coste densamente popolate.

R

T

Fig. 19 - La successione di disegni illustra quello chepuò accadere lungo un’ideale costa sabbiosasoggetta a periodiche variazioni del livellomarino. L’avanzata del mare sopra le terreemerse prende il nome di trasgressione (T); il

ritiro del mare è invece definito regressione (R), siaesso dovuto a un calo di livello oppure all’avanza-

mento verso mare delle terre emerse (ad esempiodurante lo spostamento di un delta verso mare).È interessante osservare quello che accade in profon-

dità, lungo una sezione verticale, quando il mareavanza o si ritira. Più la costa ha basse inclinazio-

ni e più un piccolo incremento del livello mari-no porterà le acque a invadere territori moltoestesi. Al contrario, limitati cali del livello mari-no possono fare emergere aree estese per cen-

tinaia di chilometri quadrati. Basti pensare aibassi fondali del Mar Baltico per comprendere ilfenomeno.T

a

b

c

d

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A9 - Un’infinita pila di libri

Una successione di rocce sedimentarie - con leproprie caratteristiche strutture, le relative com-posizioni, il particolare aspetto macro- e micro-scopico, il rispettivo contenuto fossilifero - èquanto di meglio un geologo possa trovare perpoter ricreare l’antico paesaggio nel quale gliantichi sedimenti, oggi trasformati in strati roc-ciosi, si andavano, più o meno lentamente, accu-mulando.

L’antico paesaggio non è altro che l’ambientefisico che in origine ospitava i sedimenti. Taleambiente poteva essere continentale (basti pensa-re alle vaste pianure alluvionali, ai fondi dei laghi,alle grotte, alle torbiere, ...) o marino (lagunare, discogliera, di mare aperto, profondo), o ancora ditransizione (deltizio, di spiaggia, costiero, ...).

I vari tipi di ambiente, ora registrati in roccevecchie anche centinaia di milioni d’anni, torna-

no a rivivere attraverso le pazienti analisi dellasuccessione rocciosa. I caratteri in essa registratila rendono una finestra aperta sopra un affasci-nante e lontano passato del nostro territorio.

Il geologo, attraverso lo studio dei caratteri dellerocce e dei fossili che in esse ritrova, ha la possibi-lità di leggere una storia, ricostruendo l’anticoaspetto del territorio, quando quelle stesse rocce,oggi presenti in strati compatti e cementati, eranoancora ghiaie, sabbie, fanghi che si stavano depo-sitando in qualche pianura o sul fondo dei mari diquel tempo.

Gli strati rocciosi, ognuno sopra il precedente,costituiscono dunque le infinite pagine di unmeraviglioso libro della natura (Fig. 20) che haregistrato i caratteri del territorio e che continuaogni giorno a raccogliere con incredibile preci-sione le tracce delle forme di vita che lo popola-no. Il geologo ha la possibilità di leggere tali pagi-ne e di utilizzare questa prodigiosa macchina del

Fig. 21 - Una successione di strati sedimentari può esserefacilmente paragonata a una pila di libri, appoggiati in ordi-ne uno sull’altro. Aprire e sezionare uno strato dopo l’altro,cercando dati e indizi geologici, equivale a sfogliare queilibri leggendone il contenuto. Come i libri anche gli stratisono capaci di raccontare storie meravigliose e straordinarie.In entrambi i casi bisogna solo imparare a leggere il linguag-gio utilizzato. Oppure ascoltare chi traduce quelle stesseappassionanti storie in un linguaggio comprensibile.

Fig. 20 - Strati sedimentari, uno sul-l’altro, come pagine di un immensolibro geologico: sono i “Libri diSan Daniele”. Appartengono auna successione cretaceo-giurassi-ca, molto simile al più noto RossoAmmonitico. Prealpi Carniche(Monte Borgà, presso Erto eCasso, PN). (Foto I. Pecile).

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tazione che nell’insieme favoriscono l’individua-zione dei distinti episodi sedimentari, anche nelcaso in cui il tipo di deposito sia composizional-mente sempre lo stesso, strato dopo strato.

Una successione di rocce è idealmente parago-nabile a una pila di libri accatastati uno sull’altro.Ogni strato è una pagina ricca d’informazioni cheil geologo riesce a tradurre o decifrare. Un pacco distrati forma il capitolo di un volume oppure unintero libro (Figg. 21 e 22). Resta da stabilire qualisono in genere le informazioni contenute in unasuccessione rocciosa. Tali informazioni possonoricavarsi in parte dalla diretta osservazione dellerocce affioranti, in parte da analisi effettuate sucampioni trattati in laboratorio (Fig. 23).

Anche l’analisi delle strutture geometriche pro-dotte nei sedimenti dai processi di trasporto e

Fig. 22 - La parete settentrionale del massiccio del MonteCogliàns (2670 m), la cima più alta delle Alpi Carniche (UD),mette in evidenza la sua nitida successione calcarea. Gli stra-ti risalgono a circa 400 milioni di anni fa (Devoniano inf.).Queste pagine di roccia tramandano, intatti attraverso iltempo, i caratteri del paesaggio di allora. Ci raccontano unastoria di calde lagune tropicali dove fanghi e organismi sedi-mentavano e crescevano sui bassi fondali marini in attesa didiventare parte dell’infinito archivio della storia della Terra.

Fig. 23 - Nelle successioni sedimentarie sono importanti idati collegati al si forma, quelli cioè connessi all’ambiente incui si accumulano. Sono solo tre i gruppi di informazioni dainvestigare: 1) composizione, ossia la natura mineralogica disedimenti e rocce; 2) tessitura, ossia le dimensioni e le formedelle particelle di cui sono formati (granuli, ciottoli,…) e, avolte, il loro modo di “impacchettarsi”; 3) struttura, ossia legeometrie formate dai gruppi di strati e di lamine prima ditrasformarsi in roccia compatta. Inoltre, anche il contenutofossile può in molti casi fornire ottime indicazioni sullecaratteristiche dell’ambiente di accumulo del sedimento.

Composizione

Tessitura

Struttura

Deformazione

Macrofossili

Microfossili

tempo che la natura stessa ci ha fornito per pene-trare i segreti del lontano passato della Terra.

Il territorio, visto sotto questo aspetto, è ungigantesco archivio naturale. Una sorta di biblio-teca tridimensionale in continuo costante aggior-namento. Miliardi di pagine, ognuna stratificatasopra e accanto alle precedenti per continuare astupirci e appassionarci (Figg. 21 e 22).

Il tempo di accumulo del sedimento sotto formadi strato può essere molto breve. Qualche minuto,poche ore, come avviene in molti processi dideposizione regolati da correnti o da cedimentiinnescati dalla forza di gravità. Basti pensare a unafrana da crollo. In altri casi può richiedere tempiinfinitamente più lunghi. Stagioni, anni o addirit-tura secoli o millenni. È quest’ultimo il caso deifanghi di mare profondo caratterizzati a volte daapporti molto ridotti derivati unicamente dalladecantazione lentissima di particelle argillose egusci microscopici di foraminiferi unicellulari.

I singoli strati possono essere molto spessi(anche più di 200 m l’uno (!), v. Cap. “I colossaliaccumuli di frana sottomarina”, SF-2c) oppuresottilissimi, inferiori al centimetro. Il loro spessorequasi sempre non è proporzionale al tempo impie-gato dal sedimento per accumularsi. Il tempo dideposizione d’uno strato potente 200 m può esse-re molto più rapido di quello necessario per for-mare un livello millimetrico se quest’ultimo si èaccumulato in particolari ambienti ed è stato rego-lato da processi di sedimentazione molto lenti.

Nella maggior parte dei casi uno strato è distin-guibile dal precedente e dal successivo attraverso igiunti di strato: superfici che marcano periodi distasi nella sedimentazione e/o di cambiamento deltipo di deposito. Quando la sedimentazioneriprende, l’accumulo precedente può avere giàsubito compattazione, coesione o precoce cemen-

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Fig. 26 - Lungo una spiaggia che raccoglie granuli e ciottoli con dimensioni molto varie è possibile osser-vare l’effetto della selezione idraulica operata dal moto ondoso. Ogni mareggiata, più o meno violenta,produce un accumulo più fine o più grossolano a seconda dell’energia dissipata dalle onde sulla battigia.Le particelle accumulate durante uno stesso evento hanno dimensioni molto simili: è l’effetto dato dallarisacca che, dopo ogni onda, asporta le parti più fini del deposito (la matrice) lasciando solo gli elemen-ti maggiori. Il risultato è un sedimento cosiddetto “ben cernito”. La cernita, alta o bassa, è un carattereche fa parte delle tessiture di un sedimento e si acquisisce al momento della deposizione.

Fig. 24 - Una serie di strati osservata da una certa distanza appare monotona e soloin apparenza priva di particolari indizi. Ma basta avvicinarsi ed esaminare queglistessi strati con attenzione per scoprire caratteri insospettati. Fm. di Werfen,Membro di Campil (Triassico inf.), Torrente Chiarsò, Alpi Carniche centrali (UD).

Fig. 25 - Dettaglio di una porzione dell’affioramento di Fig. 24 (riquadro). Gran parte degli strati sonofusiformi e mostrano laminazioni ondulate, gibbose. Sono le tipiche strutture interne che assume il sedi-mento sabbioso che si trova sui fondali marini soggetti a movimenti d’acqua innescati da tempeste e bur-rasche. Strati simili vengono per l’appunto chiamati tempestiti. Verso l’alto della fotografia è però presenteuno strato (più chiaro degli altri) formato da lamine disposte in modo completamente diverso rispetto aiprecedenti strati. In questo caso si tratta di una microscopica duna (detta comunemente ripple o, in italia-no, increspatura; v. Cap. “Le increspature di sabbia e le dune”, SF-1c). Si è formata per trasporto ed abban-dono di granuli sabbiosi fini da parte di una corrente marina unidirezionale che procedeva verso sinistra.

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Fig. 27 - Questo è un particolare della spiaggia di Fig. 26, nel tratto in cui è stata incisa. Lo scavo, prodotto da un torrente effi-mero che sfocia direttamente in mare, ci dà la possibilità di comprendere l’anatomia del deposito. Com’era logico attendersi, sinota la sovrapposizione di successivi episodi di accrezione (=aumento in verticale) della spiaggia, caratterizzati dai caratteristi-ci strati debolmente inclinati verso mare. Tutti i depositi sono, naturalmente, ben cerniti; ossia presentano elementi, granuli e/ociottoli, con dimensioni molto simili tra loro. Qui ogni pacco di strati con caratteristiche omogenee (se ne scorgono tre) è larappresentazione tangibile dell’energia di un’intensa burrasca scaricata sulla costa, presumibilmente in un arco di una decinad’anni. Spiaggia dell’Oliveto, Casa Stoppelli, il punto in cui sbarcò Pisacane con i suoi 300, Sapri (SA).

Fig. 28 - Una corrente fluviale - ma accade anche per l’acqua marina che s’infrange sopra una costa ghiaiosa - accumula o smuo-ve ciottoli che a volte hanno forme irregolari, appiattite o allungate. Una volta abbandonati, i ciottoli spesso si presentano inca-strati uno dietro all’altro, inclinanti come cavalli rampanti nel verso di trasporto della corrente. La ragione della configurazione“rampante” è dovuta al fatto che questa disposizione è la più aerodinamica (anzi… idrodinamica!) nei confronti del flusso idri-co. Quando i ciottoli, nei loro infiniti movimenti, la raggiungono, la corrente vi scivola sopra senza più creare turbolenze e vor-tici capaci di rimuoverli. Nella foto la corrente fluviale procedeva verso destra accumulando, quasi 290 milioni di anni fa, delleghiaie quarzose trasformate poi in tenaci conglomerati. Permo-Carbonifero Pontebbano, Bacino di Pramollo, Alpi Carniche (UD).

accumulo (v. Sez. “Si Forma”, SF) fornisce unformidabile contributo per comprenderne l’affa-scinante storia deposizionale. Anzi, il più dellevolte un’attenta osservazione di una serie di stratirivela impensabili particolari.

E laddove l’osservazione diretta non riesca araggiungere lo scopo, oppure in aggiunta ad essa,si può provare ad esaminare quelle stesse roccecon l’aiuto del microscopio. Ne scaturiranno risul-tati sorprendenti (Fig. 29).

Riprendiamo per un attimo il paragone rocce-libri e strati-pagine. Sarebbe un po’ come osserva-re da lontano i volumi di un’enciclopedia, appog-giati uno di fianco all’altro sullo scaffale della libre-ria. Apparentemente sono tutti uguali, ma provatea prenderli in mano, uno a uno, e a sfogliarliappropriandovi del significato dei loro testi, dellefotografie e dei disegni. Resterete meravigliati.

Quali potrebbero essere dunque, in ultima ana-lisi, le osservazioni che una roccia sedimentariarichiede per poter essere, anche solo sommaria-mente, compresa?

Prenderemo in esame solo le rocce sedimenta-rie, l’obiettivo di questo volume. Tra queste esclu-deremo quelle formate per precipitazione chimica(gesso, salgemma, calcare di grotta, travertino, ...)che quantitativamente costituiscono una esiguapercentuale delle rocce presenti in natura.

Ci soffermeremo invece su quelle generate dal-l’accumulo di particelle, grandi o piccole, gigante-sche o infinitesime, sospinte, spostate, trascinate,trasportate, crollate, scivolate, fluitate, decantate oabbandonate a formare lamine, strati, livelli, oriz-zonti, banchi o bancate, accumuli o ammassi, ini-zialmente sciolti e che i successivi processi diageneti-ci hanno reso il più delle volte tenacementecementati e solidi (v. Cap. “Da sedimento sciolto aroccia cementata”, SF4).

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A10 - Lo strato è una valigia piena

Ancora una volta, e non sarà l’ultima, un esem-pio aiuterà a capire meglio e più rapidamente. Alposto di uno strato roccioso prendiamo in esameun... vestito! Dovendolo descrivere o presentare aqualcuno sarà indispensabile definire innanzituttola sua composizione, ossia la natura dei singoli fili checompongono il tessuto (lana, lino, seta, cotone,nylon, ...). Sarà importante anche comprendere seil tessuto o la stoffa usata risultano formati da unsolo tipo di fibra (100% lana, ad esempio) o dauna fibra mista (30% nylon, 70% cotone) definen-done appunto le percentuali.

Oltre alla composizione è altrettanto utile analiz-zare la tessitura della stoffa utilizzata, ossia la tramasecondo la quale è stata ordita; in altre parole ilmodo con il quale gli infiniti fili, indipendentemen-te dalla loro composizione, sono stati disposti insie-me, uno accanto all’altro, nello spazio (tessitura spi-nata, liscia, a punto pieno, punto sabbia, ...).

Fino a questo momento sono stati presi in con-siderazione dei caratteri fondamentali sì, ma che,se disgiunti da un ulteriore tipo di osservazioni, sirivelano insoddisfacenti. Alla composizione e allatessitura devono affiancarsi i dati sulla struttura delvestito: ossia la descrizione di come la stoffa èstata tagliata e cucita insieme per formare queldato indumento. Gonna - se di gonna si tratta -lunga, corta, plissettata, a balze, a sbuffi e così via.

Composizione, tessitura e struttura nell’insieme pos-sono adeguatamente descrivere un capo di vestia-rio. Per uno strato, o un insieme di strati, le osser-vazioni da compiere sono le stesse.

La composizione fornisce le indicazioni sullanatura (e origine!) delle particelle che lo formano.Ad esempio potranno essere quarzose, feldspati-che, litiche (formate cioè da frammenti di preesi-

stenti rocce, riconoscibili magari anche solo almicroscopio e non ancora sminuzzate nei singolicostituenti minerali), oppure formate da schegge epezzetti di gusci di organismi che sono stati fram-mentati e rielaborati dalle onde o dalle correnti.

La tessitura innanzitutto dà informazioni sullagranulometria, ossia le dimensioni degli elementiche formano la roccia; inoltre descrive il modo incui questi sono disposti all’interno del deposito(senza un ordine particolare, con gradazione diret-ta verso l’alto, oppure rovescia, ...); determina setra le particelle (granuli, clasti, blocchi, frammentio schegge) c’è molto o poco fango, o se non ce n’èper nulla e gli elementi risultano tutti in direttocontatto reciproco; inoltre analizza il grado diarrotondamento e anche quello di sfericità delleparticelle stesse per dedurne orientativamente laquantità di trasporto subìto, e così via (Fig. 28).

La struttura del deposito completa infine la rac-colta delle informazioni (Fig. 25). Corrisponde alladisposizione tridimensionale delle lamine che for-mano uno strato (piano parallele, gibbose, inclina-te a basso, medio o alto angolo, con inclinazionecostante o variabile da punto a punto, ...) o dellegeometrie prodotte dagli strati che, complessiva-mente, formano un banco omogeneo; l’osserva-zione della natura delle singole superfici che mar-cano la base degli strati o dei pacchi di lamine (ero-sive, nette non erosive, sfumate, ...); la definizionedelle possibili variazioni laterali presenti all’internodi un singolo deposito, e così di seguito.

Fig. 29 - Tre differenti tipi di roccia visti al microscopio otti-co utilizzando la tecnica della sezione sottile: a) Roccia sedi-mentaria a foraminiferi (Fusulinidi) di età carbonifera supe-riore; b) Roccia magmatica intrusiva con evidenti cristalli diplagioclasio; c) Roccia metamorfica di basso grado (fillade)in cui spiccano le nette concentrazioni di quarzo a cristallitozzi, bianchi o neri, alternate a letti di cristalli allungaticostituiti da miche (fillosilicati). (Foto P. Ferrieri).

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Fig. 30 - A volte è un particolare contenuto fossile della roc-cia a dover essere esaminato. Un sedimento (spesso definito- forse un po’ impropriamente come roccia incoerente, ossianon cementata) si disgrega facilmente e i fossili possonoessere estratti semplicemente “lavando” i campioni. Al mas-simo, nel caso di microfossili, ci si aiuta con strumenti otticiquali lenti o microscopi che ne facilitano l’osservazione. Se laroccia è tenacemente cementata può essere utile, con certipresupposti, tentare di dissolverla con appropriati acidi enu-cleando gli eventuali fossili in essa contenuti. La foto mostraalcuni esempi di microfossili ottenuti con questo metodo. Asinistra: conodonti di età carbonifera (ingr. x100). A destra:radiolari di età quaternaria (ingr. x100). (Foto P. Ferrieri).

Uno strato è delimitato da due superfici grosso-lanamente parallele fra loro: i giunti di strato.Spesso sono i soli caratteri geometrici che sembrapossibile individuare. Guardiamo meglio. Moltistrati sedimentari formati da granuli, al loro inter-no sono finemente suddivisi in lamine millimetri-che. Ognuna è stata depositata in rapida successio-ne dalle pulsazioni di quello stesso flusso d’acquache un tempo ha dato origine al complessivo stra-to. Un esempio noto a tutti è dato dalle tipicheincrespature di sabbia che si formano nei pressidella battigia. Le scorgiamo molto bene dove ilmare si è fatto poco profondo oppure nelle zoneinteressate dalla bassa marea lì dove ancora insisto-no sottili lame d’acqua in lento movimento (v. Cap.“Le increspature di sabbia e le dune”, SF-1c).

Uno strato che fa parte di una successione roc-ciosa sedimentaria è paragonabile a una valigiaabbandonata da uno sconosciuto. Come non sipotranno ricavare informazioni su chi ha prepara-to e dimenticato la valigia senza aprirla ed esami-narne il contenuto, così non si potrà conoscerepressoché nulla dell’ambiente, delle condizioni edei processi che hanno favorito l’accumulo dellostrato se non si agisce sullo strato stesso spezzan-dolo, sezionandolo, levigandolo, osservandolo almicroscopio, ma anche incidendolo, disgregando-lo, misurando le dimensioni e le forme e valutan-do la composizione dei suoi costituenti.

L’osservazione di una roccia al microscopio dà imigliori risultati quando la si... affetta. Le singolefettine devono essere sottilissime (circa 1/35 dimm) e per riuscire a preservarle e osservarle con-venientemente devono essere incollate su piccole esottili lastrine di vetro: non a caso il risultato che siottiene è chiamato sezione sottile. Sotto la forteilluminazione del microscopio e con l’aiuto di lentiorientate, particolari fenomeni di rifrazione ottica

zare degli acidi. Quando il materiale roccioso è uncalcare si usa comunemente l’acido cloridrico(HCl) oppure il più blando acido acetico (CH3COOH).

L’acido dissolve la roccia preservando i fossiliche, grazie alla loro differente composizione, nonsono attaccati chimicamente. Questo metodo èparticolarmente usato quando i microfossili daestrarre sono i conodonti, i quali hanno composi-zione non calcarea ma fosfatica (Fig. 30).

Attraverso l’esame dei vari generi e delle nume-rose specie di microfossili, oltre a stabilire l’etàrelativa di deposizione della roccia che li contie-ne (v. Cap. “Mezzo miliardo di anni...”, A6), siricavano spesso anche precise informazionicosiddette paleo-ecologiche, ossia relative allanatura e alle caratteristiche dell’originarioambiente nel quale quei particolari organismivivevano e proliferavano.

del fascio di luce che attraversa i minerali dellasezione sottile fanno assumere ai singoli cristalliattraversati dalla luce, colori e sfumature variabili aseconda della loro composizione. Questo dellasezione sottile è un metodo utilizzato anche per rico-noscere eventuali fossili microscopici.

Per questi ultimi in certi casi può rivelarsi piùvantaggioso, quando è possibile applicarlo, il meto-do dell’estrazione diretta. La roccia, trattata conopportuni disgreganti, viene sbriciolata nei singolicostituenti (ad esempio granuli di sabbia, microfos-sili, ...) e nell’ammasso incoerente che ne derivacon l’aiuto di un microscopio vengono individuatii fossili, solitamente inferiori al millimetro (Fig. 30).

Quando il sedimento è cementato la sua disgre-gazione nei costituenti primari risulta impossibile.In tali casi, e quando i microfossili da estrarrehanno una composizione chimica differente daquella della roccia che li ingloba, si possono utiliz-

Fig. 31 - Il metodopiù usato per analizzare un campionedi roccia è quello di ricavarne dellesezioni sottili per poi esaminarle al microscopio ottico. Unfascio di luce verrà proiettato attraverso le sottili fette diroccia diventate, grazie al minimo spessore, semitrasparenti.La sequenza sintetizza i passaggi necessari per ottenere,partendo dal campione roccioso, una sezione sottile. Il suospessore è circa 3/100 di mm. Il segmento graduato (4cm), tracciato sul piano d’appoggio del vetrino al quale èstata incollata la roccia, è diventato visibile attraverso lasezione stessa! Con questo metodo di un campione roccio-so si può studiare sia il contenuto micropaleontologico (ifossili infinitesimi), sia la sua composizione (quella dei gra-nuli o dei cristalli).

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A11 - Che caratteri quei... sedimenti!

Uno strato composto di particelle, granuli o cla-sti, si può accumulare e depositare in condizionimolto variabili da zona a zona, negli ambienti piùdisparati, ora subaerei ora subacquei, con acquecalme oppure agitate, profonde o sottili, dolci osovrassalate, in climi torridi o temperati. Tutte que-ste variabili concorrono alla formazione dei carat-teri delle rocce sedimentarie.

È il momento di riparlare della nostra valigia.Apriamola insieme e osserviamone il contenuto.Questa volta non ci interessa la composizione,ossia il tipo di oggetti racchiusi, ma il modo colquale sono stati stipati: alla rinfusa, in buon ordi-ne, oppure accatastati con evidente fretta.

Tre definizioni diverse che si basano sulla sem-plice osservazione. Il concetto di ordine, ad esem-pio, lo valutiamo se ogni capo di vestiario è benpiegato e appoggiato in perfetta sovrapposizionesul precedente; una disposizione “alla rinfusa” cidiventa ovvia se camicie, maglie, pantaloni e calze,sono stipati senza pieghe regolari, appallottolati eposti uno sull’altro, con netta casualità. In entrambii casi il contenuto poteva essere il medesimo: cin-que camicie, due maglie, tre paia di calzini ..., cam-biava solo la disposizione degli oggetti nella valigia.Si modificava la tessitura, ossia la loro distribuzionenello spazio della valigia. E non è un dato da poco.

Ci può essere di aiuto nel tentativo di scoprire lapersonalità o lo stato d’animo dello sconosciutoche ha riempito e poi dimenticato la valigia.

E lo strato? Le camicie, le maglie ... in uno stra-to sedimentario diventano i frammenti di roccia, iciottoli, i granuli di sabbia, trasportati e accumula-ti poi in cento modi diversi (alla rinfusa, in buonordine ...), regolati in questo dal tipo di energiapresente nell’ambiente che li accoglie e seleziona.

Fig. 32 - La ghiaia di questa spiaggia deriva dall’erosione diantiche rocce: è dunque classificabile come terrigena.

Fig. 33 - La matrice qui è rappresentata dai frammenti piùpiccoli che riempiono gli interstizi tra un ciottolo e l’altro.

Parleremo di rocce e di sedimenti. C’è chi chia-ma questi ultimi “rocce sciolte” o “rocce incoeren-ti”, ma sempre rocce dunque. Qui si preferisceriservare il termine rocce agli strati compatti e nondisgregabili; in altre parole a quelli che potevano untempo essere stati sedimenti ma che oggi, attraversoil processo della cementazione (v. Cap. “La cemen-tazione di un sedimento”, SF-4d), si sono trasfor-mati in qualcosa d’altro. Un po’ la stessa differenzache ci potrebbe essere tra uno strato di neve appe-na caduta e uno di ghiaccio! Questa scelta evita cheanche le sabbie di una spiaggia siano indicatecome… rocce - seppure ammorbidite da un agget-tivo - a chi vi gioca con paletta e secchiello (“…chebella formina di roccia hai fatto!”), al fine di nonprodurre confusioni inutili.

Le più comuni rocce sedimentarie (alla paridei relativi sedimenti) possono essere distinte, inbase alla loro genesi, in tre grandi gruppi.

Le rocce terrigene, ossia formate da particelledelle più svariate dimensioni e originate dall’erosio-ne e/o alterazione di antichi massicci rocciosi.

Le rocce organogene (o biochimiche), compo-ste da gusci e impalcature minerali di organismi (inmassima parte marini) che, in taluni casi, possono

creare delle biocostruzioni rigide e massicce - lecosiddette scogliere - o da frammenti degli stessirielaborati da onde e correnti immediatamentedopo la loro morte.

Le rocce chimiche, che comprendono deposi-ti originatisi per sovrassaturazione di soluzioni ric-che in sali disciolti e conseguente precipitazione diquesti ultimi.

In questa sede verranno presi in considerazionequei sedimenti, molto diffusi, che risultano for-mati da particelle, grandi e piccole, di origine siaterrigena sia organogena, che tanto le acque con-tinentali quanto quelle marine incessantementeasportano, raccolgono, trasportano, rielaborano eaccumulano nei più svariati ambienti presentisulla superficie terrestre e sotto il livello dei mari.

Sedimenti di questo tipo possono essere innan-zitutto sciolti (condizione posseduta da ogniaccumulo appena deposto) oppure cementati,ossia coesivi. I componenti sono distinguibili ingranuli, matrice e cemento.

I granuli sono i costituenti fondamentali di que-sto tipo di rocce; ne formano il cosiddetto schele-tro, l’ossatura, e possono avere dimensioni infinite-sime quanto decisamente elevate.

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1/256 mm

1/16 mm

2 mm

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Fig. 34 - Una classificazione dei depositi clastici, ossia formati da particelle (granuli, ciottoli, frammenti, blocchi, massi) si basasulla suddivisione in classi granulometriche con limiti dimensionali convenzionalmente stabiliti e comunemente accettati. La figurarappresenta, anche visivamente, le principali classi granulometriche ed evidenzia le corrispondenze tra i depositi ancora incoe-renti (i sedimenti) e quelli cementati (le rocce). In natura comunque è frequente trovare depositi misti quali sabbie ghiaiose, are-niti ciottolose,… e così di seguito. In questi casi il sostantivo indica la granulometria percentualmente prevalente mentre l’agget-tivo sottolinea la presenza, consistente ma subordinata, di elementi appartenenti a una differente classe dimensionale.

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La matrice è la porzione fine del sedimento ed èpresente negli interstizi tra i granuli; in altre parolesono i “granuletti” del sedimento (Fig. 33).

In certi depositi può diventare talmente abbon-dante da circondare e avvolgere i granuli stessi (v.Cap. “Le colate”, SF-2a). In altri casi può al contra-rio mancare se dal sedimento, al momento dell’ab-bandono, sono state asportate le particelle più fini.Si pensi alla risacca di un’onda sulla battigia e nonsarà difficile controllare di persona la formazione -praticamente in diretta - di sedimenti completa-mente privi di matrice, ossia ben cerniti, come soloi depositi di spiaggia sanno essere (Fig. 32).

Il cemento è una sorta di legante chimico (il piùdelle volte costituito da sali o più raramente daossidi) che in un secondo tempo cristallizza odeposita all’interno del sedimento ancora scioltoandando a riempire i pori residui, spesso infinitesi-mi, presenti tra i costituenti dell’accumulo, renden-dolo coesivo e trasformandolo in roccia compatta.

Quando le particelle che formano il sedimentosciolto sono di dimensioni molto ridotte - è il casodei fanghi ad esempio - non esistono in teoria deglispazi da riempire con un’eventuale colla naturale,ma non per questo tali depositi sono destinati arimanere per sempre soffici; saranno le stesse parti-celle, in tempi però molto più lunghi (anche milio-ni di anni), che si consolideranno autocementando-si e dando luogo a strati ugualmente tenaci e coesi.

Le rocce sedimentarie formate da granuli posso-no essere convenientemente classificate ancheattraverso le dimensioni delle particelle di cui sonocostituite, indipendentemente dalla loro composi-zione. Si potranno allora ottenere, a seconda delledimensioni dei frammenti dei vari depositi (Fig. 34),le ruditi (elementi >2 mm), le areniti (tra 2 mm e1/16 mm) e le peliti, dette anche lutiti (<1/16 mm).Questo nel caso che i sedimenti siano cementati.

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Fig. 36 - Questo campione disedimento sciolto, cioè noncementato, proviene da unaspiaggia dei Caraibi.È (…non vogliatemene!) unarudite incoerente. In questo casoperò dovremmo chiamarla ghiaiaorganogena. È una rudite poichégli elementi superano i 2 mm;organogena perché ogni fram-mento deriva da un guscio, daun corallo, da un’alga. La massadi frammenti è dunque formatada spoglie organogene (gusci,rivestimenti, impalcature, ...),rielaborate e deposte all’internodella stessa zona nella quale sisono generate grazie all’attivitàdi organismi capaci di creare unsostegno minerale. Sono pro-dotti - per così dire - “locali”, adifferenza di quelli terrigeni chesono “d’importazione”.

Fig. 35 - Questo deposito è unarudite incoerente.Uhmm, viene voglia di voltarpagina o chiudere il libro.Aspettate: semplifico. Possiamochiamarla ghiaia terrigena. Saresteportati a definirla semplicemen-te “ghiaia”, ma sarebbe tropporiduttivo. Un po’ come entrarein una concessionaria di auto-mobili ed esordire con: “Vogliouna macchina”! Consentitemi diaggiungere terrigena. In questomodo, con un semplice sostanti-vo+aggettivo, vi racconto nonsolo che è formata da prevalen-ti ciottoli arrotondati (ghiaia; sefossero spigolosi sarebbe pietri-sco) ma anche che il ciottolamein questione deriva dallo sman-tellamento di antichi rilievi roc-ciosi.

Qualora si rinvengano degli strati di materialeancora sciolto, si pensi all’alveo di un fiume, ai fon-dali marini, o anche a una spiaggia, alle ruditi corri-sponderanno delle ghiaie (elementi arrotondati),oppure del pietrisco (elementi spigolosi), alle areni-ti delle sabbie, e alle peliti dei fanghi o limi. Questaè una classificazione granulometrica, ossia tessiturale,che tiene conto esclusivamente delle dimensionidegli elementi di cui è formato un sedimento.

Un’altra possibile classificazione è invece quellacomposizionale, basata sul riconoscimento dellanatura degli elementi che compongono la roccia o ilsedimento. Potremo allora avere, a seconda dei casi,frammenti quarzosi oppure calcarei, o ancora litici,intendendo con questo termine gli elementi per iquali è ancora decifrabile la derivazione, connessaall’erosione di antiche rocce - ben riconoscibili seosserviamo, anche solo con una lente, i tipi di gra-nuli! - vuoi vulcaniche o metamorfiche, vuoi carbo-natiche o selcifere, e così via. Utilizzando entrambele classificazioni e fondendole in una terminologiacomposita è spesso possibile definire in modo uni-voco e convenzionale una roccia sedimentaria.

Ad esempio dicendo quarzarenite sarà immedia-to figurarsi una roccia: I) quarz, cioè composta dagranuli di quarzo; II) arenite, ossia formata da ele-menti con dimensioni comprese tra 1/16 mm e i2 mm; III) cementata, in quanto arenite appunto, enon sabbia. Allo stesso modo una calcirudite saràuna roccia: I) calci, dunque composta da clasti dicalcare; II) rudite, formata da elementi con dimen-sioni superiori ai 2 mm.

Scendendo in maggiori particolari si potrebbeanche stabilire, sulla base della forma degli ele-menti, se si tratta di conglomerati (originarieghiaie, a elementi arrotondati) oppure di brecce(originario pietrisco, a elementi spigolosi). La Fig.34 riassume e schematizza quanto descritto.

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A12 - Il top della classifica(zione)

Alcuni capitoli fa si faceva riferimento, più omeno diretto, ad alcune classificazioni usate peresplorare le rocce sedimentarie. Esplorare è proprioil termine giusto; non semplicemente classificare.Classificare equivale all’uso di Internet e Google Earthper scegliere la località della prossima vacanza.Sono mezzi, semplici strumenti, non sono il risulta-to finale, la vacanza in sé. Così è anche per le rocce(e i sedimenti): le classificazioni sono il veicolo colquale percorrere la strada verso la scoperta.

Al tempo stesso occorre essere consapevoli chenon esiste una classificazione unica delle roccesedimentarie, ma tante possibilità di descriverlepartendo da presupposti differenti. Sarebbe un po’come definire i caratteri di una serie di edifici. C’èchi utilizza le dimensioni (altezza, estensione,cubatura, …). Chi invece punta sul tipo di mate-riali utilizzati (pietre, mattoni, pannelli prefabbri-cati, …). Chi, al contrario, prende in esame la lorotipologia (villini a schiera, condomìni, capannoniindustriali, …), e chi utilizza la destinazione d’uso(abitazioni civili, magazzini, uffici, …).

Riflettendo, vi sarete resi conto che una classifica-zione, da sola, quasi sempre non “rende l’idea”. Piùcriteri di indagine sono usati, in parallelo, e più si faaccurata la comprensione di ciò che state analizzan-do. Edificio o roccia esso sia. L’importante è nonprocedere a pallina da flipper (se qualcuno si ricor-da ancora il mitico flipper!), mescolando impropria-mente i criteri di classificazione. Un esempio con-creto, applicato proprio alle rocce descritte in que-sto capitolo, chiarirà il problema che, periodicamen-te, manda in crisi nera generazioni di studenti (maanche semplici appassionati di cose geologiche).

Ricordiamo che sono essenzialmente tre i crite-ri di classificazione di una roccia sedimentaria (o

del relativo sedimento): genetico (tiene conto delcontesto d’origine), tessiturale (considera ledimensioni delle eventuali particelle e frammentiche la compongono) e composizionale (prendein esame la natura chimico-mineralogica del depo-sito). Ora che alcuni depositi ci sono diventati, inun certo senso, più familiari, - ad esempio quelliche si accumulano in una “scogliera organogena”(Fig. 36) - proviamo a… classificarli. La sola paro-la ha in sé qualcosa di ripugnante, confessatelo!Molti, per evitare l’amaro calice, affermano anco-ra che le rocce sono tutte uguali! Noi no, e perdimostrare il contrario useremo, uno dopo l’altro,i tre criteri visti sopra.

Per superare la repulsione verso la classificazio-ne (sempre presente!) tenete conto che essa non èil fine ultimo. È invece una sorta di machete, indi-spensabile per aprirsi un sentiero verso la mèta,attraverso una fitta jungla impenetrabile.

Ci troviamo catapultati sulla grande barrieracorallina australiana. Immersi sott’acqua scendia-mo lentamente il pendio della scogliera (Fig. 38).All’improvviso il sacro fuoco della geologia s’im-

padronisce di noi. Non c’importa più nulla dicolori, luci e sfavillii della superficie del mare checi sovrasta come un soffitto lucente, né dei suoimagici riflessi sulle architetture di pietra che siallontanano, né delle centinaia di specie di organi-smi che ondeggiano intorno a noi. Ci ha colto l’ir-refrenabile desiderio (pazzia pura) di classificare ildeposito clinostratificato (v. Cap. “Pendii frontalidelle scogliere organogene”, SF-3d) che sta sotto eintorno a noi.

Cominciamo con l’uso del criterio genetico: èun deposito organogeno (o biochimico, che dir sivoglia), ossia è formato da resti di organismi bio-costruttori che producono “in diretta” e “in loco”il materiale che forma il deposito.

È materiale strappato alla “scogliera biocostrui-ta” dalle onde e dai pesci pappagallo che con illoro rostro continuamente frammentano le impal-cature minerali dei coralli alla ricerca delle loroparti organiche per divorarle; i frammenti (ingenere granuli e blocchi più o meno grossi) si ada-giano alla fronte della porzione biocostruita della“scogliera organogena” e formano vasti ventaglisubacquei fatti da strati di sedimenti inclinati esovrapposti, spessi anche parecchie centinaie dimetri (Fig. 38).

Ora passiamo al criterio tessiturale (granulo-metrico): lo possiamo fare perché ci accorgiamoche l’accumulo è formato da clasti, ossia da fram-

DEPOSITI SEDIMENTARIEClassificazioni

G T CGenetica

TERRIGENE

BIOCHIMICHE(organogene)

CHIMICHEORGANICHE

Tessiturale

NON CLASTICHE

CLASTICHE

Composizionale

CARBONATICHESILICATICHESOLFATICHEFOSFATICHE

.....

Fig. 37 - Tre modi differenti di classificare i depositi sedi-mentari: genetico, tessiturale, composizionale.

Fig. 38 - Frammenti calcarei ampliano la scarpata di una“scogliera” (v. Cap. “Pendii frontali delle scogliere”, SF-3d).

dimensione forma

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menti e particelle. È dunque un deposito clasticoe, per essere più precisi, potremmo definirlo ruditesabbiosa, dato che, osservandolo con cura, è com-posto di frammenti sia superiori a 2 mm (rudite)sia compresi tra 2 mm e 1/16 di mm (sabbia) (v.Cap. “Che caratteri quei… sedimenti”, A11).

Vogliamo andare oltre e applicare anche il crite-rio composizionale: si tratta di un deposito “cal-careo”, in quanto formato da CaCO3, un sale chia-mato carbonato di calcio che gli organismicostruttori come i coralli - ma non solo - sintetiz-zano dalle acque marine grazie al rapporto simbio-tico con una speciale alga, la Zooxantella (da solinon sarebbero in grado di portare a termine il pro-cesso di sintesi biochimica). Un po’ quello che noifacciamo con i fosfati delle ossa (ma senza l’aiutodelle alghe!).

L’utilizzo dei tre criteri di classificazione, unodopo l’altro, ci ha fornito dati sufficienti per crea-re una sorta di carta d’identità completa del depo-sito. È la base di partenza per comprendere laragione della sua formazione e della sua presenzain quel punto della grande barriera organogena.

Un’analisi del genere è utile soprattutto quandoi depositi da valutare fanno parte di successionirocciose antiche di decine o centinaia di milioni dianni che si cerca di interpretare. Successioni cheun tempo erano perfettamente riconoscibili nelleloro geometrie e nei loro caratteri ambientali, mache oggi appaiono sotto forma di pareti rocciosescavate dai torrenti o dai ghiacci.

Una considerazione a margine. Molti libri ditesto scolastici suddividono le rocce sedimentariein organogene (o biochimiche), clastiche e chimi-che.

L’esempio appena proposto mette in evidenzaun errore concettuale: una roccia (o un sedimento)organogeno può anche, in certi casi, essere clasti-

co, ossia formato da frammenti e particelle. Maallora dove sta l’errore? Nel mescolare, in una stes-sa classificazione, criteri differenti: in questo casoquello genetico con quello tessiturale.

Una classificazione di primo livello impostatacorrettamente prevede la distinzione in rocce orga-nogene (o biochimiche), terrigene (NON clastiche!) echimiche. Dove per “terrigene” si intendono rocce(o sedimenti) formate sì da clasti (tutte le rocceterrigene sono ANCHE clastiche) ma erosi o frana-ti da antiche successioni rocciose sottoposte asmantellamento.

Concludendo, senza andare agli antipodi, sedopo una mareggiata lungo il litorale adriaticoosserviamo gli accumuli di infiniti frammenti digusci presenti lungo la battigia abbiamo di fronteun sedimento clastico… o organogeno? Tutt’edue, perché abbiamo usato due classificazioni dif-ferenti che ci hanno fornito informazioni diverse,non mescolabili fra loro, ma che hanno arricchitoil grado di informazione.

Di certo quel sedimento sulla battigia non potràmai essere classificato come… terrigeno! Una roc-cia (o sedimento) organogeno può dunque, in certicasi, essere anche clastico, ossia formato da fram-menti e particelle.

12a) Le rocce carbonatiche

Una roccia - e parliamo sempre di rocce sedi-mentarie - può essere riconosciuta, e quindi classi-ficata, anche solamente in base alla propria compo-sizione. Certamente determinare un tipo di roccia(o di sedimento) unicamente in base al criteriocomposizionale può risultare molto riduttivo.

Eppure anch’esso è capace di dare una manosignificativa nel “fare ordine” tra le decine di tipi dirocce sedimentarie differenti. Se avessi osato scri-vere centinaia di rocce mi sarei avvicinato più allarealtà, ma avrei potuto essere accusato di terrori-smo psicologico! In fondo, a ben vedere, le litolo-gie principali (quelle più frequenti, nelle quali ci siimbatte durante una camminata in montagna olungo il greto di un torrente) davvero si riducono apoche decine, forse a una ventina al massimo.

Buona parte di queste, se osservate appunto conapproccio esclusivamente composizionale, posso-no essere riunite in un’unica grande famiglia: quel-la delle rocce carbonatiche, che comprende duegrandi capostipiti, calcari (CaCO3) e dolomie (Ca,Mg) (CO3)2 (Figg. 40 e 41).

Il termine “carbonatico” non per tutti è chiaro.Molti lo ritengono attribuibile, ma impropriamen-te, a quelle rocce formate da abbondante calcio(Ca); forse perché carbonatico inizia… per “ca”!

Nulla di più sbagliato.Il carbonato è un insieme di atomi (carbonio e

ossigeno) legati insieme a formare una molecola(ione) particolare: CO3

--. I “due meno” sono levalenze libere, caratteristica di ogni ione, come chiha studiato chimica può facilmente ricordare.

Per capirci meglio è come se in questo caso i“due meno” dello ione carbonato fossero duemani che sporgono dal corpo dello ione alla ricer-ca di “qualcosa a cui aggrapparsi” per cercare

Fig. 39 - Sintesi della tabella di fig. 34: repetita juvant (giovasempre ripetere).

DepositiclasticiIncoerenti Coerenti

PIETRISCO, GHIAIE

SABBIE

SILT

ARGILLE

BRECCE, CONGLOMERATI

ARENITI

SILTITI

ARGILLITI

2 mm

1/16 mm

1/256 mm

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equilibrio. Lo troveranno in altri ioni, dotati peròdi valenze positive, cioè di… mani libere, altret-tanto protese alla ricerca di equilibrio.

Per lo ione CO3-- il partner più ambito e fre-

quente è l’elemento calcio (Ca) il quale, sottoforma ionica, si presenta come Ca++. Le duevalenze positive lo rendono perfetto allo scopo.Dall’unione si genera un composto stabile, il car-bonato di calcio (CaCO3), un sale in cui quattromani, due destre e due sinistre strettamente salda-te tra loro, ne assicurano equilibrio e stabilità.

Nella realtà chimica la metafora delle mani rap-presenta carenze o eccessi di elettroni (caricheelettriche dunque) da compensare. Sono condi-zioni tipiche degli elementi o gruppi di elementiche si presentano in forma ionica.

Naturalmente gli ioni, per essere in grado diinteragire fra loro, debbono trovarsi in condizionidi muoversi e intercettarsi, in situazioni di con-centrazioni elevate. Tutto questo è possibile nel-l’acqua. C’è da aggiungere che anche la biosferaha un ruolo importante e privilegiato nella produ-zione di carbonato di calcio (CaCO3).

Sono molti tipi di organismi a farsene carico,generalmente rappresentati da invertebrati (mol-luschi, brachiopodi, echinodermi, celenterati,foraminiferi, alghe, …) capaci di sintetizzare ilcarbonato di calcio dalle acque, sviluppando rive-stimenti, impalcature scheletriche e gusci, adatti ariparare, ospitare o accogliere le porzioni organi-che che crescono e si ampliano congiuntamentealle porzioni mineralizzate.

Al carbonato di calcio siamo arrivati e dal carbo-nato di calcio dobbiamo ripartire. Per i non addettiai lavori la geologia in generale - e le rocce in par-ticolare - è spesso rappresentata da un insieme diconcetti e nozioni dai significati che sfumano unonell’altro, a tratti sovrapponendosi in modo ambi-

guo, finendo per alimentare una diffusa confusio-ne di fondo.

A conferma di questa realtà devastante è suffi-ciente affiancare tre termini, che spesso ricorronoin ambito geologico, per scatenare il panico: carbo-nato di calcio, calcite, calcare. Il primo passo dunqueè cercare di fare chiarezza, e questo capitolo è lasede più pertinente, trattando sia di composizionedelle rocce, sia di rocce carbonatiche.

Il carbonato di calcio, come prima abbiamovisto, è il modo di leggere “a parole” il CaCO3, ilsale formato dall’elemento calcio in forma ionica(Ca++) combinato saldamente allo ione carbona-to (CO3

--). Questo termine è dunque il linguaggiocapace di leggere la composizione chimica di unben definito ammasso roccioso.

Si potrebbe dire che “CaCO3” sono le notesopra un pentagramma e leggerle come “carbona-to di calcio” equivale a solfeggiare.

Ora tocca alla calcite. È un minerale costituitoda carbonato di calcio puro, capace di assumere laforma di cristalli, da molto piccoli a… molto gran-di, da semitrasparenti a bianchi lattei. La calcite,intesa come minerale, è riconoscibile in molti edifferenti contesti di formazione. Ad esempio siincontra spesso sotto forma di sottili vene biancheche attraversano le rocce (Fig. 42); sono formateda aggregati di infiniti cristalli capaci di riempirefratture o di rivestire superfici di faglia (v. Cap.“Ma quante belle faglie Madama Dorè”, SD-2b).

Il minerale calcite è riconoscibile anche in moltibioclasti, ossia quei frammenti originati da frantu-mazione di gusci e impalcature di organismi capacidi fissare il CaCO3. Un esempio fra tutti: i cosiddet-ti “gigli di mare” (scientificamente chiamati crinoidi).Sono echinodermi con una sorta di lungo stelo chesorregge un calice dal quale si dipartono numerositentacoli (Fig. 43). Oggi, come in passato, lo stelo,

Fig. 41 - Il massiccio dolomitico del Latemar (Trentino-AltoAdige), di età triassica. (Foto I. Pecile).

Fig. 40 - Il massiccio calcareo delMonte Coglians (Friuli VeneziaGiulia), di età devoniana.

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le cui dimensioni sono in genere contenute entropochi decimetri - ma si conoscono forme fossili incui raggiungeva quasi 20 m! - è formato da plac-chette di carbonato di calcio, sovrapposte une allealtre e bucate al centro per far passare la partevivente dell’organismo, una sorta di lungo nervo.Conosciuti fin dall’Ordoviciano, i crinoidi popola-no ancora molti mari, da aperti a profondi.

Ed è proprio lo stelo a rivestire per noi un inte-resse particolare. Alla morte dell’organismo era laparte che prima di ogni altra si disarticolava diffon-dendo le proprie infinite placchette sui fondalimarini. Quelle placchette sono spesso riconoscibi-li negli strati rocciosi a distanza anche di centinaiadi milioni d’anni dal loro accumulo (Fig. 44).Hanno una particolarità: ognuna è formata da ununico cristallo di calcite!

La calcite è inoltre diffusa in numerose roccesedimentarie anche sotto forma di cemento, ossiaquei sali (in questo caso di carbonato di calcio, Fig.45) che, abbandonati tra granulo e granulo dalleacque che inizialmente circolano nel sedimento,sono in grado di occludere i pori con minuti cri-stalli biancastri, trasformandolo in roccia (v. Cap.“La cementazione di un sedimento”, SF-4d).

Posso aggiungere che se vi imbattete nel terminespatite o microspatite (dette anche sparite), sappiateche è un altro modo, per i geologi, di indicare i cri-stalli di calcite pura.

Ecco dunque che il termine calcite (o spatite;famoso è lo Spato d’Islanda, calcite purissima dalperfetto abito cristallino) appartiene a un linguaggioprettamente mineralogico capace di descrivere il car-bonato di calcio quando prende un abito cristallino.

E adesso è la volta del calcare. Quando esisto-no ammassi rocciosi sedimentari che possono

essere letti, con linguaggio chimico, come preva-lente carbonato di calcio, oppure, con linguaggiomineralogico, come calcite, allora, con linguaggiogeologico, possiamo definirli calcari.

Nella grande, immensa famiglia delle rocce calca-ree (confidenzialmente: calcari) possiamo trovare,a seconda dei contesti di formazione, calcari nellepiù varie manifestazioni, ma sempre calcari.

Avremo allora calcari organogeni (formati daresti mineralizzati prodotti da organismi), calcarialabastrini (formati per precipitazione chimica

Fig. 42 - Una vena di calcite interseca ortogonalmente sot-tili strati calcarei (grigi) e di selce (più chiari).

Fig. 43 - Fossile di crinoide (giglio di mare), organismo delphylum degli echinodermi. È formato da infinite placchettecostituite da singoli cristalli di calcite.

Fig. 44 - Strato calcareo (Trias inf.). I frammenti bianchisono placchette di crinoidi disarticolati durante una tempe-sta. Ognuna è un cristallo di calcite.

Fig. 45 - Sezione sottile di strato calcareo a ooliti. La massabianca è cemento spatitico, ossia formato da cristalli visibili(al microscopio) di spatite.

Fig. 46 - Anche qui la massa bianca è formata da cristalli dispatite. Un “cemento” che in questo caso ha riempiti i vuotidelle camere di un guscio di orthoceratide.

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da soluzioni soprassature di carbonato di calcio;sono tipici degli ambienti carsici), calcari chimiciincrostanti e travertini (generati per precipitazio-ne da soluzioni soprassature di carbonato di calcio;sono tipici degli ambienti termali e di cascata), cal-cari terrigeni (formati per accumulo di frammentiriciclati da antiche rocce, anch’esse naturalmente acomposizione calcarea), …

Tra tutti sono i calcari organogeni quelli che, ingenere, ci affascinano maggiormente (v. Cap.“Pendii frontali delle scogliere”, SF-3d). Forse per-ché, almeno in parte, richiamano ambienti intertro-picali, pieni di sole, tranquillità, acque calde e lim-pide, spiagge bianche. E chissà perché nessunomette in conto le piogge prolungate e periodiche(lo testimoniano gli isolotti coperti da vegetazio-ne), il mare agitato, i numerosi mesi all’anno ditempo pessimo... Ma tant’è, nell’immaginario col-lettivo i giorni di bel tempo sono determinanti.

Non sono solo gli organismi di discrete dimen-sioni ad avere la capacità di produrre rivestimentio impalcature minerali, come ad esempio granparte dei molluschi, degli echinodermi o deicelenterati (più conosciuti come coralli).

Fig. 47 - Un classico calcare organogeno: un cespo di corallifossili raccolto, ancora in posizione di crescita, nella succes-sione permo-carbonifera delle Asturie (Spagna N).

Fig. 49 - Calcare alabastrino, varietà di roccia calcarea di usoornamentale. Si ottiene sezionando e levigando una succes-sione di livelli generati per precipitazione chimica.

Fig. 48 - Calcare alabstrino formato in ambiente di grotta perla precipitazione di carbonato di calcio da una soluzionesoprassatura (v. Cap. “Acque per sciogliere”, SM-2b).

Fig. 50 - Calcare travertino, classica roccia di origine chimicaabbondante nel Lazio. I caratteri di questo campione (levi-gato) si addicono a un ambiente termale caldo.

La prerogativa si estende anche a un’enormevarietà di microrganismi unicellulari (foraminiferi) icui gusci, quasi sempre invisibili senza l’aiuto diun microscopio, possono diventare abbondanti alpunto tale da costituire, da soli, intere successionistratificate potenti decine e decine di metri.

Ogni volta che muore un mollusco dotato diguscio e le sue parti molli si decompongono, l’in-volucro, il guscio, la conchiglia, la sua unica por-zione mineralizzata, sopravvive alla distruzioneed entra a far parte del sedimento, la futura roc-cia. Anche se le correnti marine si impadronisco-no di quel guscio, frantumandolo e depositando-lo altrove, in un diverso settore di quel contestomarino che ne aveva ospitato lo sviluppo e la cre-scita, i suoi frammenti diventeranno altrettantigranuli di sabbia calcarea e allo stesso modo for-meranno le particelle dei futuri strati sedimentari.

Anche alcuni generi di alghe, vegetali d’acqua siadolce che salata, hanno - ora come in passato - lapossibilità di fissare il carbonato di calcio rivestendosidi una sottilissima pellicola minerale. Anche in que-sto caso alla morte delle alghe sopravvive la loro

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porzione mineralizzata. Si conoscono successionirocciose calcaree potenti centinaia di metri ed esclu-sivamente formate tanto da accumuli di gusci, siamicroscopici che di grosse dimensioni, quanto daimpalcature di coralli e di organismi simili o affini,tutti accomunati dalla capacità di estrarre dalle acquemarine gli elementi in esse disciolti (basta leggerel’etichetta di una qualsiasi acqua minerale, la cui sali-nità è di un ordine di grandezza più bassa di quellamarina!) per formare i sali che diventeranno, ade-guatamente utilizzati, i loro rivestimenti minerali.

Tutto questo in fondo è più o meno quello cheanche il nostro organismo compie ogni giornoampliando o rinforzando il nostro scheletro,seguendo un codice genetico che informa dove ein che modo bisogna agire. Rivestimenti e impalca-ture minerali, gusci grandi e piccoli. Gusci così pic-coli che mettendone insieme qualche miliardo sipotrebbe ottenere solo una minuscola pallina difango. E nessuno, guardandola, sospetterebbe cheper formarla ci sono voluti tanti organismi quantiesseri umani sono attualmente ospitati dal pianetaTerra. Eppure, sedimenti di questo tipo possonoformare successioni spesse centinaia di metri!

L’importanza delle algheAlghe marine (ma ne esistono anche di acqua

dolce), certamente varicolori e rigorosamentemolli. A foglia d’insalata o sotto le sembianze diflessuosi rametti colorati. Questa è la concezioneche molti si sono fatti sull’aspetto e le caratteristi-che delle alghe, piante acquatiche che tra i propriprogenitori annoverano generi già diffusi nei maribassi parecchie centinaia di milioni d’anni or sono.Alghe concepite come organismi a corpo molle,dunque destinate a putrefarsi e a non lasciare trac-ce dirette della loro esistenza.

Sembrerebbe proprio così, invece in molti casi letestimonianze del passato - i sedimenti trasforma-ti in rocce - ci offrono abbondanti e inconfutabiliprove che le alghe, con le loro innumerevoli spe-cie, sono state, e lo sono tuttora, una parte moltoattiva nella costruzione di potenti successioni roc-ciose. Tali prove sono perfettamente conservate inmolte successioni rocciose, sia calcaree che dolo-mitiche.

Le alghe possono sostanzialmente contribuirealla formazione di uno strato in due diversi modiche differiscono tra loro in funzione dei generi edelle specie coinvolte.

Contrariamente a quanto si creda esistono alcu-ni tipi di alghe che, come fanno i coralli, assimila-no dalle acque il carbonato di calcio e se ne servo-no per costruirsi una sorta di esoscheletro rigidoche avvolge e delimita gli individui di una stessacolonia dando origine a cespi di forma irregolare.

In altri casi invece, alcune famiglie di alghehanno la capacità di sintetizzare o raccogliere sullapropria superficie il carbonato di calcio discioltonelle acque in cui proliferano. Una tale caratteristi-ca può favorire la formazione di accumuli parti-colarmente interessanti: gli oncoidi algali (daoncos=volume, massa) e le stromatoliti.

L’elemento base è rappresentato da una infini-tesima lamina sub-millimetrica di fango calcareosintetizzato da un’alga. Decine e decine di lamineconcentriche in ogni oncoide algale, centinaia o per-sino migliaia di lamine sovrapposte e affiancateuna all’altra nelle stromatoliti. Centinaia, migliaia,milioni di alghe che, generazione dopo generazio-ne, proliferano producendo lamine di fango cal-careo nelle tranquille zone lagunari e di marebasso, crescendo o accatastandosi una sull’altra,fino a formare potenti cattedrali di roccia.

Fig. 52 - Questa è una porzione di uno strato calcareo risa-lente a 280 milioni di anni fa (Carbonifero sup.). Una fittaserie di tubuli cilindrici - anch’essi di natura calcarea - èdisposta regolarmente al centro dello strato, la cui sommitàè costellata da tanti piccoli cerchi scuri. Sono le sezioni tra-sversali degli stessi tubuli che, internamente allo strato, sisviluppano verticalmente. Rappresentano i resti di partico-lari alghe marine, le Dasycladacee, capaci di costruire dei cespiramificati. Gli interstizi tra i tubuli si riempirono di fanghi-glie calcaree e di microscopici frammenti di altri generi dialghe e d’organismi tra i più disparati. In seguito il livelloalgale, ormai seppellito sotto nuovi sedimenti, si è cementa-to diventando strato compatto e coerente. Il suo spessorenon supera il mezzo metro, ma si estende su un’area di moltichilometri quadrati, lungo il confine italo-austriaco. Inoltre,è il solo livello calcareo della Formazione del Corona, spes-sa quasi 300 m. Permo-Carbonifero Pontebbano, MonteCorona (Pramollo), Alpi Carniche (UD).

Fig. 51 - Anche questa roccia è… un calcare! Un calcare ter-rigeno. Tutti i suoi elementi sono frammenti smantellati daun retrostante rilievo fatto di antichi calcari.

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Se cerchiamo gli oncoidi algali in un affioramentoroccioso li possiamo trovare radunati in singolibanchi spessi fino a parecchi metri. Ogni bancopuò essere formato da milioni di corpuscoli sub-tondeggianti della grandezza di una nocciola finoa quella di una noce o di un pugno (Fig. 54). Inogni oncoide algale possiamo riconoscere unnucleo rigido, spesso costituito da un fram-mento minerale appartenuto a qualcheorganismo (gusci interi di piccola taglia oframmenti di gusci maggiori), e un rivesti-mento algale che lo ricopre, tipicamenteorganizzato in lamine millimetriche che sidispongono concentricamente attorno aquel frammento che ne costituisce ilnucleo. L’ambiente che ospita e favorisce losviluppo degli oncoidi algali è quello dimare basso, lagunare, con occasionali pul-sazioni di energia sufficienti a consentireperiodici limitati spostamenti sul fondale.

Quelle degli oncoidi sono alghe partico-lari. Non si fissano al fondale fangoso né siattaccano agli eventuali blocchi rigidi di una sco-gliera corallina o si abbarbicano a tronchi galleg-gianti. Sono invece alghe che fissano i propri tallie proliferano sopra alle superfici più ampie, menoirregolari, in una parola più invitanti e vivibili, traquelle presenti nell’ambiente che le ospita. Ognioncoide poi, aumentando le proprie dimensioni,continua ad essere, a maggior ragione, la sede piùidonea e il richiamo preferito per ulteriori genera-zioni di alghe.

Cercando invece di riconoscere nelle successio-ni rocciose del passato le stromatoliti, intese comelivelli di alghe deposti orizzontalmente, affiancatee sovrapposte una alle altre, in sottili pacchetti opotenti insiemi, occorre distinguere le stromatoli-ti globose da quelle piatte di fondale.

Fig. 53 (sotto) - Oncoidi algali cheaffiorano lungo il confine italo-austriaco a circa 1800 m di quota.L’ambiente di origine poteva esse-re un fondale sottomarino le cuiacque, profonde qualche decina dimetri, periodicamente venivanoagitate da onde di tempesta chefavorivano lo spostamento perrotolio degli oncoidi.

Fig. 54 (sopra) - Ingrandendo un particolare della foto prece-dente si possono scorgere i nuclei rigidi attorno ai qualihanno cominciato ad attecchire le alghe, avvolgendoli e gene-rando in tal modo gli oncoidi. In questa immagine i nucleiche compaiono sono di due tipi: gusci di Pseudoschwagerina,organismi unicellulari del gruppo dei Fusulinidi, caratterizza-ti da forme tondeggianti (diametro 1 cm), e frammenti calca-rei algali rigidi, stretti e allungati.

Fig. 55 - Attuali stromatoliti algali,globose, Shark Bay (Australia occi-dentale). (Foto P. Harrison).

Le prime danno origine acorpi a forma di fungo, altioltre un metro e caratteristicidi certe zone di laguna bassa,ben ossigenata e protetta,dove numerosi si elevano daifondali fangosi (Fig. 55).

Le seconde invece, appaio-no come livelli sub-centime-trici formati da più lamine

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algali sovrapposte; alghe a forma di foglio che siappoggiano sul basso fondale protetto e sonoperiodicamente ricoperte da sottili depositi fango-si coi quali generano alternanze ben visibili nellasuccessione rocciosa (Fig. 56).

Una caratteristica di questi depositi algali è laloro ampia estensione areale contrapposta al sot-tile spessore dei singoli livelli. Nel passato si sonosviluppati in mari con acque sottili e condizionilagunari con fondali fangosi bassi e uniformi,estesi per migliaia di chilometri quadrati.

La nota Dolomia Principale, molto frequentenegli affioramenti triassici superiori (Norico,circa 210 milioni di anni fa) di gran partedell’Europa meridionale, rappresenta concreta-mente la trasformazione in successione rocciosacompatta di antichi sedimenti per buona partestromatolitici.

Fig. 57 - Questo è un banco a oncoidi algali (a) dal caratteristico “effetto profi-terole”. Affiora lungo la costa settentrionale della Corsica, nel golfo di St.Florent. I ciottoli (1-5 cm) si originavano per erosione dei vicini rilievi meta-morfici che, nel Miocene inf. (circa 20 milioni di anni fa), già bordavano un’in-senatura marina simile all’attuale. Nelle zone più protette, dove il rotolio deiciottoli portati dai fiumi in mare diventava occasionale e decisamente... mor-bido, le alghe ne colonizzavano la superficie rivestendoli in più riprese consottili pellicole calcaree che finivano per formare un involucro calcareo irre-golarmente concentrico. Col passare del tempo nuovi ciottoli erano aggiuntie, accomunati dalla stessa sorte, seppellivano i precedenti.Il nucleo di questi oncoidi (b) non è costituito da gusci di organismi, come neidepositi di Fig. 54, ma da ciottoli ben arrotondati.

Fig. 56 - In questa successione di sedi-menti calcarei di mare basso si ricono-scono delle lamine stromatolitiche alga-li intercalate a semplici fanghiglie calca-ree. Le lamine stromatolitiche hannogenerali assetti sub-orizzontali ma,osservate in dettaglio, mostrano fre-quenti irregolarità, simulando inarca-menti, arricciamenti e piccole convolu-zioni. Dolomia Principale, Triassicosuperiore (Norico), strada Bordano-Interneppo (UD), Prealpi Carniche.

a

b

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Fig. 58 - Questo sedimento si può definire sabbia terrigena.Lo definiamo sabbia perché le particelle sono comprese tra2 mm e 1/16 di mm. Ma lo chiamiamo sabbia anche perchéè incoerente (non cementato, altrimenti sarebbe un’arenite,detta più comunemente “arenaria”). Guardiamo la compo-sizione: la gran parte dei granuli è quarzosa: è dunque vero-simile che derivi dall’erosione di lontani massicci magmati-ci emersi e l’aggettivo terrigena riassume il concetto.

Fig. 59 - Arenite terrigena (ingr. x5). Così appare al microsco-pio una sabbia cementata (arenite). Questa roccia è defini-ta terrigena in quanto formata da elementi che non si gene-ravano nella zona di accumulo, ma vi provenivano per ero-sione di antichi massicci esterni ad essa. È formata in parteda granuli quarzosi (bianchi o grigi) e da granuli di roccia(frammenti litici). Questo è un deposito che ha circa 300milioni di anni.

Fig. 61 - Sabbia ibrida (ingr. x2). È definito così un deposi-to formato da elementi (in questo caso granuli) di naturaorganogena (i frammenti dei gusci d’organismi) e terrigena (iminuscoli granuli bianchi, quarzosi). Questi ultimi sonolegati all’erosione di più antichi massicci rocciosi emersi,esterni alla zona di accumulo. Ribadisco (e concludo) che isedimenti organogeni sono prodotti “in loco”, mentre quelliterrigeni sono “d’importazione”.

Fig. 60 - Arenite organogena (ingr. x20). Si può definire anchecome calcarenite, termine che tiene conto non solo dellagranulometria della roccia ma anche della sua composizio-ne calcarea. È evidente la natura organogena del deposito,formato da frammenti di gusci ed alghe accumulati da ondee correnti marine. Le plaghe bianche che riempiono gliinterstizi sono il cosiddetto cemento, che qui è di naturacarbonatica.

A13 - Sabbie e spiagge

Nell’immaginario collettivo, la sabbia è semprestata direttamente collegata al concetto di spiaggia,tanto da costituire con quest’ultima un’immagineunica e sovrapponibile. La presunta equivalenzatra i due termini porta con sé alcuni possibili erro-ri di valutazione. A volte si è portati a credere chele spiagge possano essere formate solo ed esclusi-vamente da sabbie (sono frequenti invece anche lespiagge ghiaiose!) oppure che le sabbie si accumu-lino soltanto lungo le spiagge. Considerando l’ul-tima delle due affermazioni proviamo a rifletteresull’origine dei sedimenti sabbiosi.

Innanzitutto bisogna ricordare che esistono duedistinti gruppi di sabbie.a) Quelle formate internamente a un bacino mari-no e dovute ad una elevata produzione di gusci eimpalcature scheletriche da parte di organismicapaci di fissare il carbonato di calcio (o altresostanze minerali) e che i moti ondosi frammenta-no e rielaborano prima di abbandonare sottoforma di sedimenti; sono queste le sabbie organoge-ne, ossia quelle che esistono grazie all’attività diorganismi capaci di fissare sostanze minerali percostruire gusci, esoscheletri, impalcature…b) Quelle generate per erosione e smantellamentodi antiche rocce affioranti, che l’alterazione fisico-chimica prima e l’abrasione meccanica poi, hannoridotto in granuli e particelle; sono queste le sabbieterrigene, ossia quelle che si generano per smantel-lamento di terre emerse.

In entrambi i casi sono classificabili come “sab-bie” sulla base della dimensione dei rispettivi gra-nuli (inferiore a 2 mm e superiore ad 1/16 mm) (v.Sez. “Si Forma”, SF). È nelle fasce intertropicaliche risultano frequenti le sabbie cosiddette orga-nogene, ossia formate da granuli che un tempo

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Mentre la maggior parte delle sabbie terrigenenon riserva particolari soddisfazioni... estetiche achi ne osserva la composizione e la forma dei sin-goli granuli al microscopio, lo stesso non si puòaffermare nel caso di molte delle sabbie organo-gene (Fig. 62).

In queste ultime si nota la massiccia presenza diframmenti dei più svariati organismi: foraminife-ri, alghe, gasteropodi e lamellibranchi, brachiopo-

menti di roccia (anch’essi della grandezza dei gra-nuli) formati da pezzetti infinitesimi di rocce vul-caniche, frammenti di selce o di rocce metamor-fiche o ancora di antiche rocce dolomitiche o cal-caree.

I granuli di una sabbia e del suo corrispondentecementato, l’arenite (detta comunemente arenaria),sono osservabili con cura solo attraverso l’uso delmicroscopio (Figg. 59 e 60). I risultati migliori siottengono sezionando la sabbia cementata conl’uso di un’apposita sega diamantata (v. Cap. “Lostrato è una valigia piena”, A10).

erano stati parti di gusci o rivestimenti o impalca-ture scheletriche di organismi invertebrati (mollu-schi, alghe, celenterati,...).

Le sabbie di questo gruppo (a) si accumulano ingran parte nelle fasce di mare basso e lungo le rela-tive coste. Si generano e si depositano all’internodella stessa zona nella quale si formano.

Le sabbie del secondo gruppo (b) hanno inve-ce la loro origine esternamente alle zone nellequali si depositano. I granuli delle sabbie terrige-ne sono in gran parte costituiti da minerali qualiquarzo, feldspati e plagioclasi, e inoltre da fram-

Fig. 62 - Camminando lungo la riva dei nostri mari è fre-quente imbattersi in depositi di burrasca accumulati lungola battigia. Eccone uno, ingrandito 4 volte: come lo classi-fichereste?

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di, echinoidi, briozoi, celenterati, tabulati, e tantiancora, coerentemente con l’età del deposito, inun eccezionale tripudio di forme.

Le sabbie organogene a composizione calcareaoltre ai frammenti di gusci e di impalcature - icosiddetti bioclasti - possono essere formate daaltri costituenti particolari che, per le loro geome-trie perfettamente sferiche, sono definiti ooidi.

Sono corpuscoli che si generano a profonditàmassime di pochi metri, in acque calde intertropi-cali prossime alla linea di costa e agitate dalle cor-renti di marea.

La perfetta struttura concentrica è dovuta alladeposizione di successive lamine di fango carbona-tico (micrite), dove ognuna avvolge la precedente.

Il continuo rotolio ne favorisce una omogeneadistribuzione. Ogni corpuscolo oolitico ha nel suocentro un nucleo rigido costituito da un frammen-to di guscio oppure, in altri casi, da un granulosabbioso portato dal vento (origine eolica), spessodi quarzo, che funge da supporto per lo sviluppodella prima lamina (Fig. 63).

La dimensione dei singoli corpuscoli ooliticipuò variare da sub-millimetrica fino a raggiungere

Fig. 63 - Antico calcare (a) formato da un’infinità di corpuscolisferici. Sono gli ooidi, il cui diametro non supera mai i 2 mm. Laroccia che formano è detta oolite e si genera solo in ambiente lagu-nare, con flussi e riflussi di marea e acque calde (condizioni chedefiniremmo tropicali). In (b) la stessa roccia è vista in sezione sot-tile (ingr. x20). In (c) un singolo ooide è stato ingrandito 50 volte(foto F. Ricci Lucchi). Negli ooidi della sezione sottile (d) si nota unevanescente andamento concentrico: sono le originarie lamine difango calcareo (micrite) che col tempo, dopo il seppellimentodello strato sotto nuovi sedimenti, hanno subito una ricristalliz-zazione. Come conseguenza, la micrite che formava le lamine siè riorganizzata in cristalli di calcite (spatite) ad andamento radiale.

a

b

c

d

diametri di 2 mm. Non esistono ooidi superiori aquest’ultimo valore dato che le correnti di marea,responsabili del loro sviluppo, non riescono a tra-scinare particelle di diametro maggiore. Gli ooidiche raggiungono questo valore critico subisconoun abbandono forzato sul basso fondale marino.

All’interno delle successioni rocciose gli ooidi sitrovano concentrati in livelli o bancate che posso-no superare il metro di spessore. Una roccia car-bonatica oolitica è riconoscibile con il sempliceuso della lente (da 8-10 ingrandimenti può giàbastare) che mette in evidenza la perfetta sfericitàdi tutte le particelle che formano questo particola-re tipo di sedimento (Fig. 63a).

Ci siamo progressivamente allontanati dall’argo-mento iniziale, sabbie e spiagge, anche se sonostate appurate due cose fondamentali: 1) esistonosabbie che si formano semplicemente attraverso ilcostante accumulo di spoglie di organismi vissuti,morti e rielaborati nel medesimo luogo dalle cor-renti marine e dai moti ondosi (sabbie organogene);2) esistono sabbie che per generarsi hanno biso-gno della presenza, esternamente alla zona ove sidepositano, di rocce più antiche emerse e sottopo-ste ad alterazione ed erosione (sabbie terrigene).

Sapendo questo ora possiamo tornare alla spiag-gia e guardare, anche solo con l’uso della lente, isuoi granuli di sabbia. Minuti cristalli arrotondati,

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Fig. 64 - Lungo le nostre coste temperate le maree non possono produrre ooidi. Si limitano a trasportare avanti e indietro i gra-nuli di sabbia creando piccoli solchi di riflusso mareale. Spiaggia di Viserba (RN).

microscopici foglietti argentati di mica biancaassieme a minuscoli frammenti di roccia opaca gri-giastra o scura ci racconterebbero una storia difiumi che, scendendo dai rilievi, sfociano in maretrasportando e abbandonando nei delta tonnellategiornaliere di granuli asportati alle montagne.

Il moto ondoso e le correnti di marea diventanoil veicolo di ridistribuzione delle sabbie dai deltaalle coste laterali ad essi. Coste intese non solocome spiagge e battige ma anche come fasce dimare basso parallele e prospicienti alle linee di riva,spesso estese per chilometri verso il mare apertoe… ricchissime di sabbie che rivestono i fondali.

Al contrario, se osservando i granuli sabbiosiriconoscessimo solo infinitesime schegge di guscimadreperlacei, abbondanza di frammenti calcareisui quali non è difficile leggere la presenza dimicroscopiche ornamentazioni quali solchi o cre-ste di indubbia origine organogena, oppureminuscole sferule oolitiche (queste ultime però siformano solo nelle calde acque dei mari intertro-picali), ecco che saremmo in grado di dedurreche queste sabbie, diversamente dalle precedenti,non avrebbero potuto avere un’origine esterna almare basso che abbiamo di fronte. Il mare (e lasua costa) in tal caso diventa al tempo stesso la

causa della loro presenza, il mezzo della lorodistribuzione, operata sempre attraverso i motiondosi e mareali, e il serbatoio del loro definitivoaccumulo.

Riassumendo, si può affermare che, osservandodi volta in volta il tipo di sabbia che si ferma trale dita mentre siamo tranquillamente sdraiati sullaspiaggia o chinati sulla battigia, o ancora duranteun tuffo in mare a raggiungere i fondali a parec-chi metri di profondità, siamo in grado di defini-re il luogo d’origine di quei granuli.

O si sono formati per erosione di antiche rocceche affiorano esternamente al bacino marino cheora li ospita e in esso sono stati trasportati da tor-renti e fiumi, oppure si sono generati in quellostesso mare che abbiamo di fronte o intorno anoi, con il concorso di milioni di organismi appar-tenenti a specie, generi, famiglie, classi, ordini ephyla differenti, ma che in comune hanno la carat-teristica di fissare le sostanze minerali (in granparte carbonato di calcio, ma potrebbe anche trat-tarsi di silice) disciolte nelle acque, formandogusci e impalcature che le onde e le correnti mari-ne incessantemente rielaborano e ridistribuisconodai fondali alla battigia, dalle coste alle spiaggeemerse.

Non manca, infine, il caso in cui la soluzione stanel mezzo. Sono le sabbie cosiddette “ibride”,ossia formate da cristalli erosi e arrotondati assie-me a schegge infinitesime di roccia (granuli terri-geni), mescolati a spoglie di organismi, spessorappresentate da frammenti di gusci (granuli orga-nogeni).

Nell’insieme esse suggeriscono una miscela didetriti erosi dalle montagne circostanti, portati almare attraverso le acque fluviali, e lì mescolaticon quelli generati direttamente nell’ambientemarino.