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Editoriale SGUARDI POSITIVI Un tempo varare un settimanale era impresa che richiedeva capitali ingenti, un enorme rischio d’impresa, un’équipe di decine o centinaia di giornalisti, un’idea. Oggi la rivoluzione digitale ci permette di non aver più bisogno di grandi capitali, il rischio d’impresa è ridotto, l’équipe di giornalisti è quella collaudata della rivista quindicinale e del quotidiano online. Ma l’idea serve ancora; anzi, serve ancor di più. Dicono gli esperti che i prodotti mediatici che risulteranno vincitori in futuro saranno quelli che riusciranno ad avere un’idea vincente. La nostra è semplice, e non è nuova, perché è alla base di tutti i prodotti del Gruppo editoriale Città Nuova: nella crisi, nel caos e nell’insicurezza, il mondo ha bisogno di uno sguardo positivo, che si declina in mille modi diversi. Ha bisogno di uno sguardo che ci fa porre dinanzi all’altro, ogni mattina, come se fosse una persona nuova. Che ci fa guardare a ogni avvenimento come se, al di là della cronaca bella o brutta, ci volesse dire qualcosa di positivo, di costruttivo. Dietro richiesta di tanti nostri lettori, che non volevano perdere il meglio di quanto pubblicato sul web, ecco CN7, il vostro settimanale online, che raccoglie i pezzi pubblicati su cittanuova.it. Fateci avere i vostri commenti, cari 100 mila lettori! Michele Zanzucchi La settimana di cittanuova.it Direttore responsabile - Michele Zanzucchi Mail - [email protected] ANNO I - N. 0 - APRILE 2012 ANNO I - N. 1 - MAGGIO 2012 - La settimana di cittanuova.it - Direttore responsabile Michele Zanzucchi - Mail [email protected] SOMMARIO Sguardi positivi di Michele Zanzucchi pag 1 Il risveglio della comunità internazionale? di Chiara Andreola » 2 Parolisi chattava con i trans Anzi no di Sara Fornaro » 3 Editori dell'anima di Michele Zanzucchi » 6 Pep Guardiola lascia da vincitore di Cesare Cielo » 8 Il Cyrano di Preziosi chiede amore di Pasquale Lubrano » 9 Genfest al via di Rachele Marini » 11 Imu, semplificazione cercasi di Adriano Pischetola » 12 Il ritorno di Luca Signorelli di Mario Dal Bello » 13

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Editoriale

SGUARDI POSITIVIUn tempo varare un settimanale era impresa che richiedeva capitali ingenti, un enorme rischio d’impresa, un’équipe di decine o centinaia di giornalisti, un’idea. Oggi la rivoluzione digitale ci permette di non aver più bisogno di grandi capitali, il rischio d’impresa è ridotto, l’équipe di giornalisti è quella collaudata della rivista quindicinale e del quotidiano online.

Ma l’idea serve ancora; anzi, serve ancor di più. Dicono gli esperti che i prodotti mediatici che risulteranno vincitori in futuro saranno quelli che riusciranno ad avere un’idea vincente.

La nostra è semplice, e non è nuova, perché è alla base di tutti i prodotti del Gruppo editoriale Città Nuova: nella crisi, nel caos e nell’insicurezza, il mondo ha bisogno di uno sguardo positivo, che si declina in mille modi diversi. Ha bisogno di

uno sguardo che ci fa porre dinanzi all’altro, ogni mattina, come se fosse una persona nuova. Che ci fa guardare a ogni avvenimento come se, al di là della cronaca bella o brutta, ci volesse dire qualcosa di positivo, di costruttivo. Dietro richiesta di tanti nostri lettori, che non volevano perdere il meglio di quanto pubblicato sul web, ecco CN7, il vostro settimanale online, che raccoglie i pezzi pubblicati su cittanuova.it. Fateci avere i vostri commenti, cari 100 mila lettori!

Michele Zanzucchi

La settimana di cittanuova.it

Direttore responsabile - Michele Zanzucchi

Mail - [email protected]

ANNO I - N. 0 - APRILE 2012

ANNO I - N. 1 - MAGGIO 2012 - La settimana di cittanuova.it - Direttore responsabile Michele Zanzucchi - Mail [email protected]

SOMMARIO

Sguardi positivi di Michele Zanzucchi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag . 1Il risveglio della comunità internazionale? di Chiara Andreola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 2Parolisi chattava con i trans . Anzi no di Sara Fornaro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 3Editori dell'anima di Michele Zanzucchi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 6Pep Guardiola lascia da vincitore di Cesare Cielo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 8Il Cyrano di Preziosi chiede amore di Pasquale Lubrano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 9Genfest al via di Rachele Marini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 11Imu, semplificazione cercasi di Adriano Pischetola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 12Il ritorno di Luca Signorelli di Mario Dal Bello . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 13

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Sudan

IL RISVEGLIO DELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE?Gli ultimi scontri tra Nord e Sud hanno contribuito a far sì che il conflitto non venisse più ignorato dalle grandi potenze: a colloquio con padre Giulio Albanese

di Chiara Andreola

Anche l'Unione africana si è fatta sentire: nel documento uscito dall'incontro del Consiglio per la pace e la sicurezza, lo scorso 24 aprile, viene dato un ultimatum di tre mesi a Sudan e Sud Sudan per «accordarsi sul petrolio e i relativi pagamenti, lo status dei cittadini di uno dei due Paesi residenti nell'altro, la demarcazione dei confini e lo status di Abiey».

In caso contrario, «il Consiglio prenderà le misure appropriate, richiedendo anche il sostegno delle Nazioni Unite». Parole che potrebbero purtroppo sembrare vuote visto che, a oltre un anno dal referendum che ha portato all'indipendenza del Sud Sudan, i nodi principali di cui sopra rimangono irrisolti. La zona di Heglig, teatro degli ultimi scontri, è infatti uno dei tanti territori contesi, davanti a una frontiera che – pur formalmente sancita nel trattato del 2005 – è ancora “liquida”.

Intanto, la situazione sul campo rimane critica. Contattare gente in loco, come "Città Nuova" aveva fatto in passato, risulta difficile: i telefoni non squillano e dal Kenya ci viene riferito che «nemmeno noi ci riusciamo da qualche tempo: siamo preoccupati». Notizie dirette ci arrivano tramite padre Giulio Albanese, fondatore dell'agenzia Misna e direttore di "Popoli e missione".

Padre Albanese, che notizie ha avuto dal Sud Sudan?«La situazione è drammatica, perché sta venendo fuori il nervo scoperto: è stata fatta la pace, ma sono rimaste nel cassetto le questioni su cui bisognava davvero negoziare, ossia i confini e il petrolio. Si contava di affrontarle nel lasso di tempo tra il referendum e l'indipendenza, ma sono state sempre rinviate. Le relazioni tra i due Sudan sono incandescenti: se c'è stato qualche gesto di buona volontà, come la restituzione di alcuni prigionieri, è perché la comunità internazionale sta uscendo dal letargo. Uno sviluppo interessante si è avuto con la visita a Pechino di Salva Kiir, il presidente del Sud Sudan: la Cina, che aveva sempre foraggiato Khartoum, si è detta disposta a finanziare un oleodotto che porti il greggio fino in Kenya, evitando il Nord. Certo, ci vorrà almeno un anno per costruirlo, e si pone il problema di cosa fare nel frattempo: però questo fa capire come la soluzione della questione sudanese dipenda in buona parte dalle grandi potenze, soprattutto Cina e Usa». Dal Kenya ci è stato riferito che, per ora, non ci si attende l'arrivo di profughi: che cosa ci può dire delle condizioni della popolazione?«In realtà due giorni fa le Nazioni Unite hanno dato il via libera, a scopo cautelare, alla riapertura dei campi profughi in Kenya, quindi è possibile che ciò accada. È vero comunque che, per quanto il vero problema sia il petrolio,

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esiste anche una questione etnico-religiosa: c'è il rischio che i cristiani che vivono al Nord, musulmano, vengano “immolati” sull'altare di questo conflitto. Anche al Sud, a fare le regole del gioco sono sempre stati i Dinka, l'etnia maggioritaria: lì è morta più gente nelle guerre interetniche che in quelle con il Nord. L'unico vero perdente in questo conflitto è il popolo sudanese». A proposito del Sud, si è spesso osservato come questo nuovo Stato sia privo di un vero potere, e come la Chiesa si trovi a sopperire a molte delle carenze delle istituzioni: è ancora così?«Intanto non dimentichiamo che il Sud è a maggioranza animista: i cattolici sono tra il 3 e il 4 per cento della popolazione, mentre i cristiani l'11-12 per cento. Detto ciò, a dettare legge è sempre stato l'Spla (l'Esercito popolare

di liberazione del Sudan, ndr), nato come movimento di ispirazione marxista – e non cristiana, come spesso si è fatto credere – durante la guerra fredda: per questo, personalmente, ho sempre raccomandato che la Chiesa usasse verso di esso la massima prudenza, per quanto si sia egregiamente “riciclato” dopo la caduta del muro. Rimangono comunque ex guerriglieri, e forse li abbiamo sovrastimati: anche ora, pur essendo l'Mpla (il partito di maggioranza nato dall'Spla, ndr) l'unico vero collante che tiene assieme lo Stato, non c'è un vero processo democratico in atto, né reale partecipazione della società civile. Il rischio che la classe dirigente diventi un'oligarchia è concreto, tanto è vero che i vescovi hanno fatto sentire la loro voce a questo proposito. Ma la Chiesa, che è sempre stata in prima fila nel processo di pace, non è tenuta molto in considerazione».

Attualità

PAROLISI CHATTAVA CON I TRANS. ANZI NO Diritto alla privacy o diritto di cronaca? Chi è imputato in un processo, anche per un crimine efferato, può preservare la propria dignità? Intervista al giornalista Rai Gianni Bianco

di Sara Fornaro La notizia, qualche tempo fa, ha destato molto clamore. Salvatore Parolisi chattava con i trans: dall’analisi del suo computer sembrava certo. Un dato importante per chi porta avanti le indagini sull'omicidio di Melania Rea, moglie fedele e mamma amorevole, uccisa ormai più di un anno fa nel bosco delle Casermette di Ripe di Civitella, in provincia di Teramo. Assassino ancora ignoto, unico indagato il marito Salvatore, appunto. Poi, dopo qualche giorno, la marcia indietro. La perizia della difesa del marito di Melania sembra sconfessare quanto era stato diffuso in precedenza. Peccato,

però, che la smentita non abbia eguagliato la risonanza avuta dalla notizia.

Al di là della colpevolezza o dell’innocenza (sempre presunta fino alla sentenza definitiva) di Parolisi, resta una domanda: chi è imputato in un processo ha diritto alla privacy o tutto, indistintamente, può essere dato in pasto all’opinione pubblica? Vita privata, gusti sessuali, eventuali amanti: sono indubbiamente informazioni importanti per chi indaga su un presunto uxoricidio, ma è necessario che vengano conosciute da tutti?

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Ogni cosa, nel circo mediatico, deve finire in tivù o sui giornali? La questione è importante, anche perché spesso non c’è riguardo neppure per le vittime di abusi o reati. Una ragazzina del Sud ha subìto, qualche mese fa, molestie dal nonno. Un sito Internet di informazione locale ha pubblicato nome e cognome dell’uomo, nonché l’indirizzo di casa. Difficile non risalire all’identità della vittima, in barba a ogni codice deontologico dei giornalisti.

Cambia scenario, un grande tg nazionale trasmette un servizio sulle rapine in villa, questa volta al Nord. Della coppia depredata e picchiata si dicono le generalità, i possedimenti, le abitudini intime. E la privacy? Esiste ancora un diritto alla dignità? Ne parliamo con Gianni Bianco, giornalista Rai, ogni giorno alle prese con fatti e misfatti della cronaca italiana. I mass media tendono ad approfondire sempre di più le notizie che maggiormente colpiscono l’opinione pubblica, come l’omicidio di Melania Rea. Esiste un confine tra le informazioni utili alle indagini e quelle di interesse pubblico?«Il confine tra dovere di cronaca e diritto alla privacy dovrebbe essere sempre chiaro. E non mancano anche le norme deontologiche che spiegano fin dove ci si può spingere nel raccontare le vite altrui. Nella stragrande maggioranza dei casi queste norme vengono scrupolosamente seguite dagli operatori dell’informazione. Da qualche tempo però le regole sembrano improvvisamente saltare e le garanzie essere sospese, quando ci si trova di fronte a particolari fatti di cronaca. Cogne, Garlasco, Avetrana, Parolisi, Yara, come anni fa Novi Ligure.

«Insomma quei delitti eclatanti che tanto appassionano lettori e spettatori e che in breve diventano argomenti di dibattito prima al bar e poi in ore e ore di chiacchiere in tivù al pari del “tempo che fa” e della Juventus che vince. Nascono i partiti (colpevolisti o innocentisti), nei salotti televisivi irrompe la commedia dell’arte in cui ciascuno deve interpretare la propria parte prescindendo dalle convinzioni personali (c’è il comprensivo, l’avvocato

del diavolo, la donna sensibile, il maschio aggressivo) e alla fine si parla di vittime certe e presunti carnefici, come se le sentenze fossero state già scritte. Soprattutto dimenticando di cosa si stia parlando. Di storie tragiche in cui c’è chi ancora piange la scomparsa di una persona cara, e chi prova a difendersi dall’accusa d’essere un mostro».

Da cosa dipende questa leggerezza? «Visto che tutti ne parlano e che gli ascolti tivù ne godono, sembra cadere ogni cautela. Tutti i dettagli, anche il meno essenziale, possono essere dati senza remore in pasto all’opinione pubblica, affamata di novità, continuando così a parlare di vittime e carnefici, con la stessa leggerezza con la quale un tempo si faceva per le avventure delle teste coronate e degli aspiranti principi. In questi casi, sia chi l’informazione la fa, che chi la riceve, sembra perdere il senso della realtà. Si scivola pericolosamente insieme in una dimensione parallela nella quale si può parlare liberamente di cose tanto drammatiche quasi senza esserne coinvolti emotivamente, con distacco rispetto a chi le ha vissute.

«E così mentre tanti giornalisti continuano a fare sempre i conti con la propria coscienza, alcuni, magari meno avveduti, rischiano di dimenticare il rispetto che sempre ci vuole nel trattare vicende tanto delicate, legittimati in questo anche dall’attteggiamento generale, il fatto che la cosa non sembra scandalizzare più nessuno». Come preservare la dignità di una persona quando si scrive di cronaca, pur realizzando un servizio completo dal punto di vista professionale?«Il segreto a mio parere è racchiuso dentro una parola che non compare nei codici deontologici, ma che è scritto nella coscienza di chi fa informazione con uno spirito di servizio. Parlo dell’empatia, la capacità di entrare in sintonia con chi è oggetto dell’informazione, di mettersi nei suoi panni, di comprendere il suo stato d’animo. È un esercizio sempre utile per provare a capire più profondamente cosa senta chi ci sta di fronte, assassino o santo che sia. Questo

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viaggio verso l’altro non confligge con il dovere di informare, senza censure, dicendo fino in fondo la verità. Non presuppone uno sconto sulle responsabilità di chi è oggetto di indagine e magari si è macchiato di colpe molto gravi. Ma provare a spostare da sé il baricentro della notizia, sforzarsi di intuire l’uomo nascosto dietro l’imputato, può aiutare a volte a rispettarlo nella sua umanità, riferendo della sua vita solo ciò che è necessario e buttando via quanto serve solo a distruggerne inutilmente l’immagine». Il giornalista è libero di agire come crede o è vincolato dalla linea editoriale e dai propri superiori?«Se il giornalista è un "freelance" (uno che lavora da libero professionista e vende i suoi servizi a scatola chiusa al miglior offerente) può confezionare il proprio pezzo come meglio crede, senza ascoltare indicazioni che gli vengano dall’alto. Se il giornalista è un dipendente deve adeguarsi a quanto gli viene chiesto dal suo direttore, che decide quale sia la linea editoriale del giornale e come alcuni fatti debbano essere trattati.

«Questo non significa immaginare un Grande fratello o un oscuro burattinaio che manovra come marionette i cronisti. Intanto perché anche il direttore è un giornalista con una coscienza a cui dover rendere conto, e poi perché il cronista incaricato del pezzo, soprattutto se autorevole e stimato, concorda con i suoi superiori la linea del servizio, offrendo la sua sensibilità e proponendo il suo punto di vista. Se poi è inviato sul posto in cui il fatto è avvenuto, può fornire l’elemento che al direttore manca: l’esperienza sul campo, l’aver visto e sentito con i propri occhi quello di cui si parla sulle agenzie di stampa. Posizione privilegiata che può pesare molto sulla confezione definitiva del servizio. Condizionamenti ce ne sono, i gruppi di potere

fanno da sempre il loro lavoro. Ma anche quando un pezzo è stato imposto, al giornalista bravo restano sempre dei margini anche minimi, per provare a inserire elementi che bilancino eventuali indicazioni ritenute troppo pressanti e non appieno condivise». Hanno ancora un senso il codice deontologico e le carte dei diritti varate dall'ordine dei giornalisti? Come può difendersi un telespettatore (o un lettore)? «Codici e carte dei diritti hanno sempre un senso. Anche quando c’è chi pensa che nessuno li tenga in conto e li applichi. Il fatto che ci siano ricorda sempre a tutti gli operatori dell’informazione quello che si deve essere, uomini chiamati a fornire informazioni senza passare sopra le persone. Quando però ciò non accade, lettori e telespettatori possono farsi sentire. Un tempo si invitava a inviare lettere scritte, cosa piuttosto farraginosa che pochi facevano se non a seguito di campagne di sensibilizzazione su larga scala. Oggi è tutto più facile. Ci sono gli indirizzi mail, le testate hanno tutte una pagina Facebook e sono presenti su Twitter, i servizi girano su YouTube un secondo dopo la messa in onda. Basta un secondo e un giudizio negativo arriva direttamente nelle redazioni. Non ci si può più nascondere.

«Per di più, rispetto al passato, quando quella critica restava chiusa in busta nello spazio ristretto della stanza del direttore, oggi invece diventa in un attimo di dominio pubblico, condiviso da altri utenti, inoltrato ad altri spettatori e capace in pochi minuti di diventare protesta (o apprezzamento) di popolo. E non è vero che chi è fatto oggetto di critiche (o complimenti) di questo tipo scrolli le spalle. Se è un professionista in gamba prenderà in seria considerazione quanto gli viene suggerito, soprattutto se questo gli verrà espresso in maniera costruttiva».

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Media

EDITORI DELL'ANIMAChiude la veneranda “Encyclopaedia Britannica” . Anzi, non viene più stampata, ma rimane digitale . È la morte del libro di carta? Città Nuova dice di no

di Michele Zanzucchi

Una morte annunciata da tempo, da quando i marketing delle case editrici di mezzo mondo avevano visto arrivare sul mercato mostri informi e inconsistenti, libri senza carta, non scherziamo s’il vous plaît! Come hanno reagito i bibliofili, gli amanti della stampa, i patiti dell’odore di inchiostro, della ruvidezza o della morbidezza dei volumi, dipendenti dai gusti e dai polpastrelli? Hanno scritto libri di carta per protestare, per dire no, basta, giammai la carta andrà in soffitta (anche perché le soffitte non ci sono più). Tanti intellettuali hanno scritto, mai rassegnati alla scomparsa della carta, amata quasi come un feticcio. Di recente ne parlavo con un’amica giornalista di lungo corso, venuta a sapere che un anziano professore di filosofia aveva deciso di devolvere la tappezzeria della sua abitazione (cioè circa 400 metri lineari di libri allineati sulle scansie) a un istituto universitario. Il quale ha rifiutato il lascito, perché impossibilitato a ospitare nei suoi locali altre quintalate di volumi. Disperazione! La moglie preferisce infatti viaggiare e sfogliare riviste leggere, i figli si sono dati al marketing e alla ristorazione, i nipoti sono nativi digitali, allergici alla polvere delle biblioteche.

Non mi è dato sapere se il professore conta nella sua magione, tappezzata di sapienza, una qualsiasi delle 34 edizioni della Britannica. Ma so che l’annuncio della chiusura dell’edizione cartacea dell’enciclopedia più famosa del mondo ripete su larga scala il dramma del professore di filosofia. Un mondo se ne va. Ma quale altro mondo arriva?

Anche la nostra, e vostra, amata e rispettata editrice Città Nuova vive i tempi della Britannica. Proprio l’altro giorno è stata in effetti presentata a Milano, agli addetti ai lavori, l’edizione “digitale” dell’"Opera Omnia" di Sant’Agostino (meritoria impresa editoriale che ha prodotto 57 volumi per 30 mila pagine). "Primi secoli" è infatti una piattaforma digitale di ricerca intelligente, in cui tutta l’immensa produzione agostiniana è stata “taggata” (orrido neologismo, mi si perdoni!), cioè punteggiata di segnalibri digitali, che permettono all’utente di eseguire con facilità ricerche sofisticate, vedendo apparire miracolosamente in pochi secondi sullo schermo del computer risultati che senza il digitale avrebbero richiesto mesi di lavoro!

Tale piattaforma è un “motore” che in futuro non conterrà solo Agostino, ma Tertulliano, l’"Opera Omnia" di Ambrogio, Gregorio, o ancora l’"Opera Omnia ineunte" della nostra amatissima fondatrice… Domanda da cento punti: sarà ancora possibile tenere tra le mani il libro di carta, le "Confessioni" di Agostino o l’ultimo ficcante "paperback" di Luigino Bruni, o ancora il ponderoso tomo "Dalla Trinità" del magnifico rettore Piero Coda? Oppure, che ne so, il prezioso volume di Igino Giordani "Il pensiero sociale della Chiesa", 800 pagine di carta india che lessi in quattro giorni di ospedale (operazione di poco conto) nei miei fruttuosissimi 24 anni?

Niente paura, la stampa digitale permette ora di ristampare, a tiratura ridotta, ogni tipo di volume, e quindi anche il catalogo di Città

29-04-2012

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Nuova, passato e presente, potrà essere riportato in vita, risuscitato. Anzi, c’è di più: ben presto ognuno di noi, "aficionados" della vecchia e gloriosa Città Nuova – quella del marchio rotondo con tanti triangolini che riproduce una decorazione dell’abbazia di Pomposa, per un’arguta intuizione di Giuseppe Garagnani (allora grafico dell’editrice per i suoi trascorsi d’architetto, poi tenace e rigoroso direttore della nostra rivista cartacea) –, potrà stampare a un prezzo competitivo il proprio libro con il nuovo marchio che Città Nuova offre ai suoi affezionati lettori, per libri che non entrerebbero nelle collane attuali: CNx, leggi “CN per”. Un marchio, tiburtino come Giordani, che si affiancherà a quello pomposiano, per la nuova avventura editoriale. Tutte queste parole (digitali e cartacee!) le ho scritte per rassicurarvi: il digitale non soppianterà la carta. La vostra amata Città Nuova ha infatti l’ambizione di coniugare la carta ai byte, l’inchiostro all’olografia digitale. «È così che va il mondo», canterebbe Franco Battiato. Ed è così che potremo leggere lo stesso testo su carta o su schermo, ognuno come preferisce. Senza litigare in famiglia! Ma c’è di più. Città Nuova, intesa come gruppo editoriale – riviste, libri, web, CD e altro ancora –, è sempre stata una fucina di idee, una grande impresa editoriale al servizio di una delle massime intuizioni mistiche e concrete

del secolo XX, il carisma dell’unità di Chiara Lubich. Siamo stati sin dall’inizio degli “editori di contenuti”, più che degli stampatori o degli editori classici. Interessati all’eccellenza, come voleva Pasquale Foresi, cofondatore dei Focolari e padre della nostra editoria, ma a un’eccellenza che vuol comunicare qualcosa di grande. Che non si accontenta di poco.

Siamo cioè stati ante litteram dei "content publisher", come si dice oggi, cioè editori interessati ai contenuti così come alla forma delle singole pubblicazioni. Ante litteram, ma ancor oggi tali. Le grandi prospettive dell’editoria oggi parlano proprio di "content publisher" che di volta in volta diventano "magazine publisher", cioè editori di riviste, "book publisher", cioè editori di libri, "digital publisher", cioè editori con supporti digitali… Mi si permetta: abbiamo la pretesa di essere addirittura mind publisher, editori d’anima. L’anima del mondo, l’anima di ciascuno. L’anima non è di carta, né di lettere digitali. Ma si serve di carta e di lettere digitali. Chiara Lubich ha venduto milioni di libri (di carta e digitali), ma all’inizio della sua avventura, quando nella Sala Massaia di Trento doveva preparare dei discorsi sul Vangelo e sul Vangelo vissuto, li scriveva diligentemente su fogli di carta con la sua calligrafia arrotondata e ricca di sorprese; fogli che poi bruciava o strappava, perché «bisognava lasciar parlare solo lo Spirito Santo». Il miglior editore che esista.

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Sport

PEP GUARDIOLA LASCIA DA VINCITOREL’allenatore del Barcellona ha vinto 13 trofei in quattro anni e non ha ceduto alla provocazione dei colleghi o alle pressioni dell’ambiente . Ora torna alla vita semplice delle sue radici mai dimenticate

di Cesare Cielo

«Ho vissuto nel mondo del calcio per tanti anni, da calciatore e da allenatore, ma nella vita non c’è soltanto il pallone: la vita offre tante altre cose». La forza di Josep “Pep” Guardiola, allenatore simbolo della squadra simbolo del Barça, sta anche in questo: saper rinunciare alla gloria del pallone per “chiamare time-out” e tornare per un po’ alla vita normale. Perché lui, il tecnico da record del Barcellona dei record, è una persona normale. Uno di noi, verrebbe da dire, se non fosse per il suo stipendio (10 milioni di euro lordi a stagione), non certo nella norma. Lui, però, è rimasto fedele ai suoi princìpi e alle sue radici. «Non ho bisogno di andare ad allenare all’estero per mettermi alla prova – ha risposto a chi gli chiedeva se fosse pronto a una nuova avventura lontano dalla Spagna –: per una persona che, come me, è nata a sessanta chilometri da qui, non c’è prova più grande che quella di allenare il Barcellona». Prova superata a pieni voti. In quattro anni, infatti, il Barça di Guardiola ha vinto tutto quello che c’era da vincere, in Spagna (tre campionati di Primera División, una Coppa del Re e tre edizioni della Supercoppa) e all’estero (due Champions League, due edizioni della Coppa del mondo per club e altrettante della Supercoppa europea): tredici trofei in totale, che potranno diventare quattordici se, il prossimo 25 maggio, Messi e compagni batteranno l’Athletic Bilbao nella finale di Coppa del Re. Un bottino impensabile, se si considera che in precedenza Guardiola aveva

allenato solamente il Barcellona B, la seconda squadra del club catalano. «Certo – sottolineano i suoi detrattori (categoria che purtroppo non manca mai) –, facile vincere quando in squadra hai gente come Messi, Iniesta, Xavi, Fabregas, Dani Alves e chi più ne ha più ne metta». Verissimo, ma oltre alle qualità tecniche dei singoli, questo Barça ha incantato anche per organizzazione di gioco, impronta fornitagli in primo luogo dal suo tecnico.

Un’avventura, quella di Guardiola sulla panchina dei blugrana, che si concluderà proprio il 25 maggio. Lo ha comunicato ufficialmente lo stesso tecnico catalano nel corso di una conferenza stampa, alla quale hanno partecipato anche i massimi vertici del Barcellona e diversi suoi giocatori (ma non Messi, dettosi «troppo emozionato» per essere presente), convocata tre giorni dopo la cocente (e clamorosa) eliminazione dalla Champions League ad opera del Chelsea. La decisione, però, era maturata già da tempo. «Quattro anni qui sono un’eternità», ha rimarcato “Pep”, evidentemente stanco di sottoporsi alle continue pressioni che quel ruolo richiede. Pressioni che, va detto, ha saputo gestire con grande stile. Educato, gentile, colto (parla correttamente quattro lingue: spagnolo, catalano, inglese e italiano), Guardiola non ha mai ceduto alle provocazioni

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del collega José Mourinho (giunto due anni fa sulla panchina del Real Madrid), rispondendogli il più delle volte sul campo. Quel campo sul quale si era esibito da protagonista, leader della linea mediana del Barça campione d'Europa '92 (Guardiola è uno dei sei professionisti del pallone ad aver vinto la massima competizione continentale sia da giocatore che da allenatore) e anche di quella del Brescia, con Roberto Baggio davanti

e Carletto Mazzone in panchina. L’esperienza con la maglia delle Rondinelle fu una delle ultime come giocatore e, forse, una delle prime come tecnico: a quei tempi, infatti, “Pep” era già un allenatore in campo. Così, quando nel 2009 il Barça conquistò (e vinse) la finale di Champions League in programma a Roma, Guardiola si ricordò del vecchio maestro Mazzone, invitandolo all’Olimpico ad assistere alla partita. Proprio vero: “Pep” non dimentica mai le sue radici.

L'intervista

IL CYRANO DI PREZIOSI CHIEDE AMOREIntervista all'attore italiano che si sperimenta anche regista e, con il celebre personaggio di Rostand, mette in scena la voglia di sacro e di libertà degli uomini d'oggi

di Pasquale Lubrano

Alessandro Preziosi, uno degli attori più amati dal pubblico italiano, ha da pochi mesi assunto la direzione artistica del Teatro Stabile d’Abruzzo e ha terminato la sua lunga tournée italiana proprio nel capoluogo abruzzese il 26 e 27 aprile 2012, più che mai convinto che l’Abruzzo abbia bisogno di arte e di arte teatrale, ancor più oggi in cui anche gli edifici sono crollati. «È necessario – dice – organizzare iniziative artistiche nella città, anche a cielo aperto, e poter incontrare i cittadini, i giovani, e offrire loro il soffio vitale della vera creazione artistica di cui il teatro è ricco». Porterà agli abruzzesi l’ultima sua produzione, il "Cyrano de Bergerac" di Edmond Rostand, che lo ha visto impegnato in questi mesi in tutti i teatri italiani da protagonista e regista. Perché questa scelta classica, oggi?«Perché non sono stati più scritti testi che hanno la stessa forza prorompente e

drammaturgica, la stessa freschezza che ha il "Cyrano". E questo penso valga un po’ per tutti i classici. Trovo che la caratteristica del meccanismo drammaturgico del "Cyrano" sia la grande umanità del personaggio e della storia che viene raccontata. Forse negli anni è stata troppo concettualizzata, a volte resa troppo semplicemente. Ho cercato come regista di far emergere soprattutto la grande forza umana dei personaggi e del protagonista». Ogni uomo cerca il suo Dio. Qual è il Dio di Cyrano?«Credo che Cyrano abbia un suo Dio, un Dio legato al contrappunto di chi tra gli uomini non è riuscito a trovare qualcuno di cui venerare le caratteristiche. Cyrano esplicita la sua venerazione per il Don Chisciotte, e a livello interiore contrappone situazioni e personaggi nel tentativo di armonizzarli. Il Dio di Cyrano è il Dio della dignità, della fierezza».

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Ma Cyrano è anche colui che dona il suo amore gratuitamente. “Gratuitamente”, una parola che sembra essere scomparsa in giorni come i nostri in cui prevale spesso l’affare, la corsa ad avere più che a dare.«È vero, l’amore che Cyrano dà gratuitamente non prevede neanche la possibilità di essere contraccambiato. Un amore che colora ogni sua situazione esistenziale: la messa in atto di un sotterfugio, il meccanismo della sostituzione affidando ad altri la parola – Cyrano è una figura molto complessa –, un amore assoluto, tanto che qualcuno ha anche supposto che non sia vero. Un amore che fino all’ultimo viene taciuto all’amata, e Cyrano, attraverso la poesia, prende le distanze dalla realtà, la distanza da quella possibilità di vivere un amore secondo modalità normali… Forse il Dio di Cyrano è questo amore assoluto e “impossibile”». Una sorta di provocazione quindi questo tuo Cyrano. Una provocazione in un tempo in cui sembra prevalere il “dio usa e consuma”?«Nonostante tutto, oggi più che mai c’è un grande bisogno d’amore, amore dato e ricevuto. Purtroppo i tempi in cui questo amore viene vissuto, consumato e liquidato sono molto rapidi. L’amore come sentimento e passione credo non manchi oggi come ieri. Manca la progettualità dell’amore, di un amore assoluto, manca l’amore fatto di sentimenti eterni e non solo di parole. Pensiamo che Cyrano per 14 anni continua a visitare la donna amata senza dirle che l’ama. Questo tipo di amore certamente manca oggi nella nostra società. Il romanzo di Rostand è epico-sentimentale, e in esso i sentimenti raggiungono un livello altissimo di epicità.

Nel contesto di oggi l’uomo possiede gli strumenti, la libertà, la dignità per vivere un amore così?». Sono stato colpito dalla visionarietà della tua regia, dalle scenografie geometriche e multispaziali, dalla composizione sfolgorante della dimensione fantastica con la realtà dalle mille sfaccettature, dalla forza espressiva del personaggio che dona alla platea il suo dolore, ma anche la sua ardimentosa libertà. Ci sono state difficoltà in questa direzione della messa in scena del "Cyrano"?«La parola direzione non è la più adatta a definire la regia di questo spettacolo, in quanto c’è stata una direzione artistica a stampo collaborativo e corale, con Tommaso Mattei che ha tradotto e adattato il testo, con i movimenti scenici di Nikolaj Karpov, con il costumista, con i giovani attori. La difficoltà è nata nell’allestimento di un progetto che nasceva da zero, in quanto non ci siamo rifatti alle precedenti rappresentazioni: come scegliere e creare i costumi, le scenografie, gli attori giusti. Come pure non è stato facile portare in scena un Cyrano senza naso, un Cyrano in prosa e in versi, un Cyrano che al posto della spada usa la parola. La direzione drammaturgica è stata invece quella più facile nel senso che la facilità veniva dalla passione. Se hai passione per il teatro questa ti permette di alimentare ogni scelta, ogni momento e non smetti neanche a spettacolo finito. È stata la grande passione per il teatro che ci ha permesso di raggiungere e conquistare il pubblico di tante città italiane e che si attualizza oggi all’Aquila, per aprire subito dopo una nuova stagione».

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1-05-2012

Giovani

GENFEST AL VIACon il primo maggio si apre ufficialmente l’anno che vedrà i giovani dei Focolari impegnati nel costruire ponti di fraternità . In settembre a Budapest il meeting mondiale

di Rachele Marini

Se il primo maggio è ricordato per la festa dei lavoratori e in Italia per il concertone di Roma, i giovani del Movimento dei focolari, nella cittadella di Loppiano, hanno aperto un altro cantiere: qui si costruiscono relazioni, si elaborano progetti, si sogna in grande, non solo per il Paese ma per l’umanità.

Da oltre trent’anni a questa data si associa un meeting internazionale che quest’anno dà lo start al Genfest, un laboratorio insolito, che ha il sapore della sfida, e che a Budapest, a fine agosto, vedrà il suo apice. Eppure questi giovani vogliono lavorare sul serio per i prossimi 365 giorni nel costruire ponti di fraternità, relazioni autentiche e vere con il compagno di studio e con il vicino, con la famiglia e con chi ha altri riferimenti culturali o religiosi. Anche chi ha ferito la loro vita e la loro gente non è escluso da questa sinergia positiva. "Volume zero" è il titolo dell’edizione 2012 di questo 1° maggio, ma i suoni sono tutt’altro che bassi o sommessi, anzi, è uno scatenatissimo techno pop e un deejay ad accogliere i tremila presenti. L’aria di festa è garantita, ma non c’è meno ascolto o attenzione quando sul palco dell’Auditorium si susseguono motti e programmi di vita di scrittori, scienziati, politici e mistici del passato e del presente: la fraternità ha interrogato tanti uomini a tutte le latitudini e li ha ingaggiati in questo cantiere simbolo che coinvolge anche migliaia di altri giovani che, alle 12.00, in collegamento telefonico si raccontano quali mattoni hanno cominciato ad impilare. Ci sono quelli impastati di terra ungherese.

Qui da mesi ci si prepara al Genfest, con appuntamenti nazionali e meeting locali, perché tanti coetanei scoprano il valore di un impegno a favore dei tanti che pacificamente invaderanno la capitale a fine agosto. Poi c’è la terra dolente della Siria a fornire nuova materia: i giovani collegati non ci nascondono la crudezza della guerra, ma non scartano le sfide della riconciliazione e dell’amore proposte dal Vangelo. La città, la famiglia, la politica, le scelte della vita sono i temi su cui si confrontano attraverso le testimonianze, i workshop e le originali interviste. Si intrecciano i progetti di cambiamento personale con i progetti di futuro: famiglia e consacrazione, ma anche progetti sociali che li vedono protagonisti a scuola e nel Paese, come le scuole di partecipazione. La danza e la musica sono il linguaggio giovane per eccellenza che sa unire spettacolo a impegno, come è successo a centinaia di ragazzi che hanno aderito a un progetto contro il bullismo, “Forti senza violenza”, ideato dal complesso Gen Rosso e che da quattro anni gira le scuole di mezza Europa. Degli effetti a Genova, ad esempio, ne hanno parlato due testimoni diretti, che non solo hanno cambiato il loro atteggiamento verso la vita, ma hanno costituito un gruppo che attraverso il musical vuole portare testimonianza di valori positivi in tournée.

«Un’anima che ama è un piccolo sole nel mondo», ha ricordato Chiara Lubich attraverso una lettera che è stata letta ai presenti. E questo sole sfida le nuvole del cielo toscano e sfida anche quelle metaforiche che la crisi ha

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Tasse

IMU, SEMPLIFICAZIONE CERCASIL’applicazione della nuova imposta sugli immobili non appare agevole e alla portata di ogni cittadino: serve un raccordo tra fisco e contribuenti

di Adriano Pischetola

Ora è la legge dello Stato n.44/2012. L’Imu (Imposta municipale propria), già introdotta da un decreto legge qualche mese fa, è ora disciplinata “a regime” (cioè senza prevedibili o immediate modifiche sostanziali) rispetto alla legge di conversione in vigore dallo scorso 29 aprile.

Ma il punto è: siamo di fronte a un tributo di agevole applicazione pratica?La risposta è ovvia, e ognuno se n’è accorto grazie ai titoli dei quotidiani e ai ripetuti (forse fin troppo) annunci dei mass media: è tutt’altro che facile, e certamente si tratta di un balzello nient’affatto ben accetto alla maggioranza dei cittadini, avvezzi, come erano, a non corrispondere alcuna imposta sulla casa, se adibita ad abitazione principale. Vademecum del contribuente Cerchiamo di districare la matassa e, sia pure a grandi linee, di stilare una sorta di vademecum del contribuente. Innanzitutto va chiarito che – almeno per questa prima fase di applicazione del nuovo tributo – le aliquote base sono solo essenzialmente due: quella dello 0,4 per cento (per la "prima casa", anzi sarebbe più corretto dire per l’ “abitazione principale”) e quella dello 0,76 per cento (per gli altri immobili). Ma il primo problema è determinare

l’ammontare del valore tassabile (la "base imponibile" in gergo). Per farlo, occorre sapere qual è la rendita catastale dell’immobile in questione (che si desume dall’atto di acquisto, se aggiornato con i dati attuali, o consultando gli uffici dell’Agenzia del territorio, anche in via telematica mediante accesso al sito www.agenziaterritorio.it), rivalutarla del 5 per cento e infine utilizzare i moltiplicatori fissi stabiliti dalla legge (per le abitazioni e le pertinenze – cantine, fondini soffitte, garage, ecc… – il moltiplicatore è 160; per gli altri immobili i moltiplicatori sono più bassi). Quanto si paga A questo punto, se si tratta di abitazione principale (e per tale s’intende quell’unica unità immobiliare in cui il contribuente possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente) dall’imposta così calcolata si potrà detrarre un importo di 200 euro e un ulteriore importo di 50 euro per ogni figlio convivente (dimorante e residente) di età non superiore a 26 anni, con un tetto massimo di riduzione pari a 400 euro. Da sottolineare che, in tal caso, non potranno invece fruire dell’aliquota ridotta (pari allo 0,4 per cento), e delle detrazioni ora dette, altra o altre abitazioni che dovessero, per ipotesi, appartenere ad altri componenti del medesimo nucleo familiare

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addensato cupamente nella vita di tanti degli intervenuti: loro però scommettono ancora sulla fraternità e propongono persino un

Osservatorio all’Onu che la misuri. L’anima del mondo in fondo ha bisogno anche di questo ossigeno di speranza under 30.

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e ove gli stessi dimorino abitualmente o risiedano anagraficamente, se poste nello stesso comune, anche se concesse a prestito a favore del coniuge o di parenti. C’è da dire che un’ampia discrezionalità è lasciata alle amministrazioni dei comuni ove sono situati gli immobili: essi infatti in talune ipotesi potranno aumentare o diminuire le aliquote di qualche punto percentuale e prevedere che l’imposta venga applicata con più o meno rigore (per immobili locati o posseduti da un anziano o un disabile costretto a trasferirsi in un istituto di ricovero o sanitario per ricevere assistenza, così come quelli posseduti in Italia da un cittadino emigrato all’estero, purché non locata a terzi). Le rate Circa il pagamento dell’imposta per il 2012 è ora finalmente chiaro che per l’ abitazione principale si potrà versare l’imposta in due rate (entro il 18 giugno la prima, e entro il 17 dicembre la seconda) o in tre (oltre quelle citate, la terza scadrebbe il 17 settembre) a discrezione del contribuente. Se si sceglie la prima opzione si verserà il 50 per cento dell’imposta con la prima rata, e il saldo e il relativo conguaglio con la seconda. Se si sceglie l’opzione in tre rate,

il primo versamento corrisponde a un terzo dell’imposta, il secondo conterrà l’altro terzo e il conguaglio sarà la terza rata. Tale facoltà di scelta non è invece concessa a chi assolve l’imposta su immobili diversi dall’abitazione principale: dovrà necessariamente optare per il pagamento in sole due rate (entro il 18 giugno e il 17 dicembre, rispettivamente). Il pagamento dovrà avvenire tramite delega bancaria e, a partire da dicembre, anche tramite apposito bollettino postale. Questi i principi-base dell’imposta in questione e delle modalità per assolverla: necessitano peraltro ulteriori chiarimenti da parte dell’Agenzia delle entrate su problemi di non facile e immediata soluzione (una per tutte quella relativa alla seconda o ulteriori pertinenze che risultino censite al catasto insieme con l’abitazione principale e che pare non possano fruire del regime agevolato).Bisognerà sforzarsi, poi, di creare un raccordo più diretto tra l’Amministrazione finanziaria e i cittadini per consentire soprattutto a quelli meno abbienti e con meno confidenza con questioni tributarie di calcolare l’imposta senza eccessivi affanni e senza dover ricorrere a consulenze esterne: uno sportello telematico per il cittadino sul sito dell’Agenzia delle entrate potrebbe essere una prima risposta.

2-05-2012

Grandi mostre

IL RITORNO DI LUCA SIGNORELLIDopo quasi sessant'anni torna il pittore "pelegrino" conterraneo del Perugino e maestro di Michelangelo

di Mario Dal Bello

È dal 1953 che il pittore “pelegrino”, come lo si definiva (cioè ricercato, originale, geniale), non si metteva in mostra. O meglio, non lo mettevamo in mostra, attorniato dai conterranei Perugino, Pintoricchio, Piero della

Francesca, Pollaiolo e Ghirlandaio, per dire di un numero di colleghi che si contendevano e si contendono la palma della vittoria in un immaginario concorso per il “miglior artista”. Hanno anche lavorato insieme, nella Cappella

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Direttore responsabile: Michele Zanzucchi - Redazione: Maddalena Maltese, Sara Fornaro, Roberta Ruggeri

Progetto Grafico: Umberto Paciarelli

Gruppo editoriale Città Nuova. Autorizzazione tribunale di Roma n. 339/2009 del 06/10/2009

Sistina, Signorelli con Ghirlandaio e Perugino, fianco a fianco. Lo stile di Luca, asciutto, plastico, dinamico, lo si intravede subito accanto alle partiture armoniche di Ghirlandaio e alle dolcezze elastiche di Perugino.

Luca ama il corpo umano, è indubbio: gliel’hanno insegnato i Pollaiolo e lui lo insegnerà anche a Michelangelo (anche se quest’ultimo dirà di non aver mai avuto alcun maestro, ma è uno dei suoi spropositi). Luca dunque, cortonese che viaggia tra Umbria, Firenze e Roma, esordisce con ricordi pierfrancescani ("Madonna col bambino", di Oxford, 1475 circa), ma trova presto la sua strada. Che è quella della monumentalità, ampia e forte. Per Signorelli, l’arte va pensata in grande. La Pala nel duomo di Perugia vede una Madonna-matrona classica accanto a un gruppo di santi, ognuno chiuso nella sua fortezza plastica e nel colore bronzeo: sculture dipinte. Nulla di grazioso, anzi, tutto è ferrigno, con una luce chiarissima, pierfrancescana: razionale, come gli spazi.

L’angelo che accorda il liuto è un ragazzo asprigno, nervoso. Il mirabile vaso di fiori di campo, stilizzati come un Cézanne, è una figura geometrica battuta dalla luce del sole. Si sente il silenzio ma ha qualcosa di drammatico. Nelle diverse Madonne o Sacre Famiglie questo dramma cerca di placarsi, ma lo si avverte. La celebre Madonna Medici degli Uffizi (1485-90) è una scultura metallica dipinta: la madre gioca col figlio sul prato, circondata da giovani atleti bronzei in una commistione tra classicità e cristianità tipica dell’epoca e di Luca in particolare.

Un’arte virile, libera. Quando a fine secolo Luca riprende gli affreschi incompiuti dell’Angelico ad Orvieto nella cappella di san Brizio, la

sua poetica è giunta alla piena maturità. Le scene tremende dell’Apocalisse, della fine del mondo sono un fuoco di corpi che lottano tra vita e morte, di battaglie fra cielo e terra, di toni sulfurei e di colori acidi. Un finimondo plastico su cui torreggia la vittoria del Cielo. È il Signorelli visionario, un Tintoretto umbro-toscano che fa del corpo uno strumento della passione umana. Michelangelo da lui imparerà moltissimo e lo citerà spesso. Perchè per lui, come per Luca, i corpi sono voci dell’anima. A differenza di oggi, dove sovente sono solo esibizioni di carne.

Qualche volta anche Signorelli comunque si riposa, a modo suo. Negli angeli della Sagrestia di Loreto o nelle "Storie di san Benedetto" all’abbazia di Monteoliveto maggiore, dove appaiono squarci naturali ampi e, ovviamente, robusti. Invecchiando, Luca si ritira dai grandi centri e lascia fare molto alla bottega, come anche fa il Perugino. Si sente fuori moda nell’epoca di Raffaello e Michelangelo? Possibile. Ma il graffio della sua arte leonina ritorna in certi luoghi fuori dal giro come gli affreschi a Camprena, dove lascia una Crocifissione che è un saggio di regia cinematografica acutissimo. L’ho scoperta anni fa per caso. Un capolavoro ignoto ai più.

Val la pena percorrere l’Umbria tra Perugia, Orvieto e Città di Castello – ma anche Monteoliveto e Camprena, oltre che Firenze e Roma – per incontrare Luca, un grande del rinascimento. Un’arte bella ed energica, finalmente sicura di sé e asciutta. Quello che oggi ci vorrebbe. Luca Signorelli. Fino al 26/8 (cat. Silvana editoriale)