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Il Vangelo secondo Marco NOZIONI GENERALI 1. Il Vangelo secondo Marco è il più breve dei tre Sinottici; ed è il più antico dei tre (scritto tra il 65 e il 70 d.C.); è il Vangelo che servì a Matteo e Luca per la composizione del loro Vangelo (infatti il Vangelo di Marco si ritrova per 3/4 nel Vangelo di Matteo e in quello di Luca). Marco ha il merito di essere stato il primo a dare una organizzazione e una sistemazione (col taglio dell'"annuncio") a quanto Gesù aveva detto e aveva fatto. 2. Marco ne è l'autore. Gli studiosi pensano di poter identificare Marco col figlio di una certa Maria, donna benestante di Gerusalemme, nella cui casa si radunavano i primi cristiani (At 12,12-17) e con quel giovanetto che durante la cattura di Gesù nel Getsemani fuggì lasciando il lenzuolo, di cui era coperto, nelle mani dei soldati che lo volevano afferrare (solo Marco parla di questo giovanetto in Mc 14,51-52). Marco quindi era probabilmente di Gerusalemme, e conobbe Gesù, lo sentì predicare, ma non fu uno dei dodici apostoli, né uno dei suoi discepoli (doveva essere troppo giovane per poter essere accolto tra i discepoli di Gesù). Con tutta probabilità fu compagno di apostolato di Paolo nel primo suo viaggio apostolico in Asia Minore (verso il 47 d.C.), ma si staccò dall'apostolo a un certo punto del viaggio (At 13, 13; 15,36-38). Sarà di nuovo a fianco di Paolo verso la fine della vita di quest'ultimo (verso il 62 d.C.), a Roma. mentre Paolo è lì prigioniero (Col 4,10).

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Il Vangelo secondo Marco

NOZIONI GENERALI1. Il Vangelo secondo Marco è il più breve dei tre Sinottici; ed è il più antico

dei tre (scritto tra il 65 e il 70 d.C.); è il Vangelo che servì a Matteo e Luca per la composizione del loro Vangelo (infatti il Vangelo di Marco si ritrova per 3/4 nel Vangelo di Matteo e in quello di Luca).

Marco ha il merito di essere stato il primo a dare una organizzazione e una si-stemazione (col taglio dell'"annuncio") a quanto Gesù aveva detto e aveva fatto.

2. Marco ne è l'autore. Gli studiosi pensano di poter identificare Marco col figlio di una certa Maria, donna benestante di Gerusalemme, nella cui casa si raduna-vano i primi cristiani (At 12,12-17) e con quel giovanetto che durante la cattura di Gesù nel Getsemani fuggì lasciando il lenzuolo, di cui era coperto, nelle mani dei soldati che lo volevano afferrare (solo Marco parla di questo giovanetto in Mc 14,51-52). Marco quindi era probabilmente di Gerusalemme, e conobbe Gesù, lo sentì predicare, ma non fu uno dei dodici apostoli, né uno dei suoi discepoli (doveva essere troppo giovane per poter essere accolto tra i discepoli di Gesù). Con tutta probabilità fu compagno di apostolato di Paolo nel primo suo viaggio apostolico in Asia Minore (verso il 47 d.C.), ma si staccò dall'apostolo a un certo punto del viaggio (At 13, 13; 15,36-38). Sarà di nuovo a fianco di Paolo verso la fine della vita di quest'ultimo (verso il 62 d.C.), a Roma. mentre Paolo è lì prigioniero (Col 4,10).

Ma Marco fu soprattutto compagno di apostolato di Pietro, ne ascoltò la predi-cazione e compose il suo vangelo tenendo molto presente la predicazione di Pietro.

Che Marco nel suo vangelo abbia raccolto l'insegnamento di Pietro ci è attestato fin dai primi tempi della Chiesa. Ricordiamo tre antiche e importanti testimonianze:-Papia, vescovo di Gerapoli (circa 120 d.C.), afferma: "Questo soleva dire il presbitero Giovanni (= l'apostolo S.Giovanni): Marco, diventato interprete di Pietro, scrisse accuratamente, sebbene non in ordine, le cose dette e fatte dal Signore".-S. Giustino (verso il 150 d.C.) parla di Gesù che diede ai due apostoli Giacomo e Giovanni il soprannome di "Boanerghès" (=figli del tuono), e dice che ciò "sta scritto nelle memorie di Pietro". Ora l'unico Vangelo in cui si dice che Giacomo e Giovanni furono chiamati "Boanerghès" da Gesù è il Vangelo di Marco; quindi per S.Giustino il Vangelo di Marco coincide con le "memorie di Pietro".-S. Ireneo (morto nel 202) scrive: "Marco, seguace e interprete di Pietro, scrisse al principio del suo vangelo: Inizio del Vangelo di Gesù Cristo Figlio di Dio." Questo è esattamente l'inizio del Vangelo di Marco.

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Inoltre, che Marco evangelista sia stato discepolo di Pietro può essere dedotto anche dal fatto che egli tace nel suo Vangelo quanto negli altri due Sinottici suona a lode di Pietro (ad esempio Marco non ha l'episodio di Pietro che cammina sulle acque e l'episodio della promessa a lui del primato, episodi riportati invece da Matteo). Ciò si spiega con il fatto che l'apostolo Pietro, per senso di umiltà, rifuggiva da ogni esaltazione della propria persona.

3. I destinatari del Vangelo di Marco. Anche su questo punto la tradizione è tutta uniforme: il Vangelo di Marco fu scritto per i cristiani di Roma, prevalentemente per lettori provenienti dal paganesimo.

Infatti i richiami all'Antico Testamento non sono abbondanti (appena 18); i riferimenti alla legge mosaica sono omessi (per esempio tutto quello che si legge in Mt 5,17-48); usi e costumi ebraici, nomi e parole aramaiche sono sempre spiegate (cfr Mc 3,17; 5,41; 7,1-23. 34, ecc.); espressioni proprie della religiosità ebraica sono evitate (come: Figlio di Davide, segno di Giona, ecc.). Evitate sono pure quelle parole che potevano suonare male per i pagani, come la missione degli apostoli ai soli Giudei (cfr Mt 10, 5-6; 15, 24), mentre è messo in risalto ciò che a loro si riferisce (cfr Mc 11,17; 13,10).

Nella lingua usata si notano parole e locuzioni prettamente latine (legione, denaro, censo, flagellare, piegare le ginocchia), e termini greci di cui si sente il bisogno di fornire il corrispondente latino ("due spiccioli, che sono l'equivalente di un quadrante"; "nel cortile, cioè nel pretorio"). Marco quindi scrive a cristiani venuti dal paganesimo, e prevalentemente dall'area latina.

4. Lo stile del Vangelo di Marco. Lo stile è molto semplice, poco curato, con ripetizioni, anacoluti, cambio frequente di tempi dei verbi, anche quando ne risulta qualcosa di stridente. Però ha il pregio della vivacità, della freschezza, dell'immediatezza delle immagini, dell'abbondanza dei particolari, per cui gli episodi si vedono, per così dire, nell'atto di svolgersi e non come in un ricordo lontano.

In Marco è detto che Gesù dormiva sul cuscino della barca (4,38); che il paralitico era portato da quattro uomini (2,3); che la figlia del capo della sinagoga, Giairo, risuscitata da Gesù, aveva 12 anni (5,42); che Bartimeo, cieco, gettò via il mantello quando si sentì chiamare da Gesù e balzò in piedi per andargli incontro (10,50); che l'asino portato a Gesù per l'ingresso a Gerusalemme era legato vicino a una porta, fuori sulla strada (11,4), ecc : tutti particolari che negli altri evangelisti si perdono.

Marco nel raccontare ama la concretezza, privilegia i racconti e non i discorsi (come invece Matteo).

5. La struttura del Vangelo di Marco. Marco divide il suo Vangelo in due parti ben caratterizzate e distinte tra loro (inframmezzate da un episodio-cerniera: la guarigione di un cieco):

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La prima parte, dall'inizio a Mc.8,21, è caratterizzata dall'incapacità dei di-scepoli di riconoscere e capire chi veramente sia Gesù, la sua persona, la sua mis-sione, la sua opera, i suoi insegnamenti (cfr. Mc. 4,13; 6,52; 7,17s; 8,14-21).

C'è una domanda che percorre tutta la prima parte del vangelo: chi è costui? Se la pongono le folle (1,27), gli scribi (2,6-7), gli apostoli (4,41).

Gesù parla, insegna, opera prodigi, ma ciò non è sufficiente perché la gente e gli apostoli stessi capiscano chi sia Gesù.

Marco tiene come velata questa rivelazione, e ciò per due motivi:a) per un motivo di aderenza storica ai fatti: egli sa bene quanto gli apostoli e gli

altri uditori di Gesù abbiano faticato a capire la sua persona prima della Pasqua.Per questo Marco limita al massimo nella prima parte del suo vangelo il titolo di

"Figlio di Dio" applicato a Gesù. Tale titolo ritorna solo sulla bocca dei demoni in Mc.3,11 e 5,7 e sulle labbra di Dio nel momento del battesimo di Gesù (Mc.1,11). Ma mai in bocca ai discepoli o alle folle.

Di solito Gesù viene chiamato nel vangelo di Mc. col suo nome proprio Gesù (81 volte), oppure "il profeta", il "figlio di Davide", il "maestro", il "figlio dell'uomo".

In questo senso Mc. è fedele alla situazione prepasquale.

b) per un motivo teologico: Mc. vuole evitare che di Gesù-Messia ci si faccia una errata comprensione. Egli è il Messia sofferente, il Messia che ha dovuto patire e morire, e non un Messia trionfatore e operatore di prodigi, venuto per cambiare le cose dal punto di vista politico, sociale, economico, come al tempo di Gesù ci si aspettava (e come rischiano di aspettarsi sempre gli uomini).

Infatti nel Vangelo di Marco troviamo, più che negli altri due Sinottici, il comando di Gesù ai demoni (1,25. 34; 3,12), ai malati guariti (1,44; 5,43; 7,36; 8,26), ai discepoli (8,30; 9,9) di non dire che egli è il Messia. Perché la gente avrebbe potuto pensare ad un Messia trionfatore e vittorioso senza la croce e la passione.

La seconda parte del Vangelo (Mc 8,27 - 16,20), invece, è la rivelazione chiara che Gesù è il Cristo, il Messia, il Figlio di Dio.

Si vedano i testi di:-Mc.8,29: Pietro dice: "Tu sei il Cristo";-Mc.9,7: Dio sul Tabor proclama: "Questi è il Figlio mio prediletto";-Mc.14,61-64: Gesù davanti al sinedrio afferma: "Io sono il Figlio del Dio be-

nedetto";-Mc.15,39: il centurione romano sotto la croce esclama: "Veramente quest'uomo

era Figlio di Dio!". (Un pagano afferma la divinità di Cristo! Questo era lo scopo di tutto il Vangelo di Marco, rivolto in particolare ai pagani).

Ma va notato che il contesto in cui tutte queste affermazioni della messianicità e della divinità di Gesù vengono fatte, è sempre un contesto di passione e di sofferenza:

-dopo la professione di fede di Pietro segue subito la prima predizione della passione: "E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell'uomo doveva molto soffrire ed essere riprovato dagli anziani..."(Mc.8,31);

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-Alla voce del Padre che proclama Gesù suo Figlio sul Tabor, Gesù fa seguire l'ordine "di non raccontare a nessuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell'uomo fosse risuscitato dai morti" (Mc.9,9):

-l'autoproclamazione di Gesù a Figlio di Dio davanti al sinedrio avviene in un contesto di passione.

-la professione di fede del centurione avviene sotto la croce, dopo che Gesù è spirato.

Con ciò Marco vuole dire: la vera e autentica caratteristica di Gesù-Messia è stata quella di essere un Messia crocifisso, un Messia Servo sofferente di JHWH.

Ciò è messo in rilievo anche dalla grande proporzione che la Passione ha nel suo vangelo: tre capitoli su sedici. Se poi notiamo che si comincia a parlare di passione già dal capitolo 8,31, il suo Vangelo può essere definito, come alcuni esegeti hanno fatto, "un vangelo della passione con un'ampia introduzione".

Notiamo ora l'importanza e il significato simbolico dell'episodio di Mc.8,22-26 (l'episodio-cerniera tra la prima e la seconda parte del Vangelo): la guarigione del cieco di Betsaida. Esso è posto proprio in mezzo alle due parti, e all'inizio della seconda. Gesù guarisce un cieco e gli ridà la vista. Con questa "illuminazione" del cieco, Marco vuole dire che per capire e riconoscere in Gesù crocifisso e morto in croce il vero e autentico Messia, Servo sofferente di JHWH, anche noi abbiamo bisogno di una illuminazione spirituale, che ci dia occhi nuovi per "vedere".

Concludendo: il vero discepolo di Gesù è colui che si mette sulla stessa strada del Messia crocifisso e risorto, accettando anche lui la propria passione, nella fede e nell'attesa della propria risurrezione.

GESU’ E LA SUA VOCAZIONE( Mc 1,1-13 )

Siamo nell’anno 27 d.C., probabilmente nella primavera di quell’anno. Gesù ha circa 34 anni, e da Nazaret di Galilea va al Giordano dove Giovanni il Battista battezzava (un po’ a nord di Gerico). Verso Giovanni il Battista si era formato da un certo tempo un consistente movimento di gente, che dalla Giudea, da Gerusalemme e anche dalla Galilea andava a lui per ascoltarlo e per farsi battezzare col battesimo che egli proponeva. Giovanni il Battista aveva iniziato un nuovo movimento spirituale, che puntava a un forte impegno religioso e ad una seria conversione di vita secondo lo spirito e l’ardore dell’antico profeta Elia, il grande difensore del primato di Dio sulla vita dell’uomo. La situazione religiosa a quel tempo era composita.

1. LA SITUAZIONE RELIGIOSA AL TEMPO DI GESU’

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a) C’era in Israele la corrente dei Sadducei. I Sadducei erano i sacerdoti che gestivano il culto e i riti al tempio di Gerusalemme. Vigilavano che al tempio tutto si svolgesse regolarmente, che i sacrifici fossero celebrati secondo le norme, che le offerte venissero devolute come la Legge e le tradizioni prescrivevano. Non si curavano molto che al culto si accompagnasse uno sforzo autentico di impegno morale nella vita quotidiana; a loro bastava che la gente venisse e celebrasse il culto. L’alleanza con Dio -per loro- era fondamentalmente rito.

Poiché erano anche gli amministratori delle offerte e delle entrate economiche del tempio, erano ricchi e facoltosi; sapevano ricavare un utile personale dalla loro posizione di prestigio religioso e di potere; e per questo erano piuttosto invisi al popolo. Erano persone assai importanti ed influenti nella società civile e religiosa del tempo, per cui la carica di Sommo Sacerdote era sempre appannaggio loro. Quando nei Vangeli si parla di “sommi sacerdoti”, di “capi del popolo”, di “anziani” (=persone autorevoli e influenti, di una certa età, non necessariamente però chissà che anziani) si parla di loro.

Non riconoscevano ispirati tutti i libri della Sacra Scrittura, ma solo i primi cinque (il Pentateuco), e rifiutavano categoricamente ogni commento, ogni riflessione, ogni approfondimento del testo sacro, fatto dai farisei e dai rabbini in Israele, attenendosi rigidamente alla sola lettera del testo. Non credevano negli angeli, nel mondo spirituale, nella risurrezione dei morti (perché il Pentateuco non ne parlava), né nella presenza di Dio nella storia; avevano cioè una concezione materialistica della vita.

A partire dal 130 circa a.C., per avere più forza e potere, si erano appoggiati alla classe politica dominante ( che al tempo di Gesù erano i Romani, pagani!), e in cambio di tale appoggio avevano dovuto accettare vari compromessi nel modo di gestire le cose al tempio (addirittura celebravano ogni giorno un sacrifico per l’Autorità romana!); per cui il culto era degenerato e si era corrotto. Essi erano favorevoli a un ampio processo di integrazione del mondo giudaico con il mondo greco-ellenista, accettando un profondo sincretismo.

Costituivano una gran parte del Sinedrio, il supremo tribunale ebraico; e furono essi soprattutto a condannare Gesù (insieme ai farisei), per il fatto che Gesù poco prima della Pasqua della sua morte attaccò il tempio e l'impostazione dell'attività all'interno di esso (Mc 11,15-18), e si era dichiarato più grande del tempio stesso (Mt 12,6). Va ricordato che l'accusa portata in Sinedrio da vari testimoni contro Gesù riguardò proprio questo punto (Mc 14,55-60). Gesù era andato direttamente contro la loro autorità, contro il loro potere, e contro i loro interessi anche economici.

b) C’era poi la corrente dei Farisei. I farisei (da "perushìm", i separati) erano coloro che accettavano per intero la S.Scrittura (non solo il Pentaeuco, ma anche gli altri libri sacri) e accanto ad essa accettavano tutta una serie di interpretazioni, di commenti, di deduzioni, di applicazioni alla vita quotidiana che arrivava fino ad avere il sopravvento sulla S.Scrittura stessa, e fino, spesse volte, a stravolgerne addirittura il contenuto e il senso. Gesù dirà: ”Voi annullate la parola di Dio con la tradizione che avete tramandato voi” (Mc 7,13).

Per loro era più importante tutto questo castello di interpretazioni e tradizioni umane messe insieme da scuole di rabbini lungo i secoli, che non la S.Scrittura stessa. Per esempio dicevano che non era lecito mangiare insieme ai pubblicani e ai pubblici peccatori, pena il diventare impuri davanti alla legge (Mc 2,15-17); elencavano 39 azioni che di sabato non si potevano fare tra cui mietere (Mc 2,23-28); dicevano che di sabato non era lecito curare le malattie non mortali (Mc 3,1-6); proclamavano

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necessaria tutta una serie di abluzioni prima di mettersi a tavola (Mc 7,1-7); si astenevano dal mangiare certi cibi, perché "impuri", e dicevano che tutti dovevano fare altrettanto (Mc 7,14-23); proclamavano che ciò che era stato stabilito come "korbàn" (=offerto al tempio) non poteva più essere usato per aiutare i genitori vecchi in necessità (Mc 7,8-13).

Gesù contestò fortemente questo modo di pensare e di vivere, per cui i farisei gli furono profondamente ostili. Anch'essi facevano parte del Sinedrio, con i Sadducei, e insieme ad essi decretarono la sua morte.

I farisei erano nella stragrande maggioranza "laici", cioè non sacerdoti: com-mercianti, operai, artigiani, agricoltori. Pochi erano i sacerdoti. Chi tra di loro si de-dicava a studi particolari sulla Legge, nelle apposite scuole, diventava "dottore della Legge", e se imparava anche a scrivere diventava "scriba". Al gruppo dei farisei si ri -feriscono i Vangeli quando nominano i dottori della Legge e gli scribi.

c) C’era poi il Movimento nazionalista di liberazione della Palestina dall’occupazione romana, movimento che oltre ad avere una connotazione politica aveva anche una connotazione profondamente religiosa. Infatti esso si fondava sull'idea che Dio era l'unico vero Re di Israele, e che voleva la Palestina liberata da qualsiasi potenza straniera nemica. Liberare la Palestina dai Romani era per loro un dovere morale, era un far venire sulla terra il Regno di Dio. Questo Movimento vegliava in armi clandestinamente, sempre pronto a mettersi dietro a chi Dio avesse improvvisamente suscitato per una tale opera di liberazione. Ogni tanto sorgeva qualcuno che si faceva interprete e capo di queste aspirazioni ed attese, e allora scoppiavano insurrezioni e ribellioni, puntualmente domate dai Romani con le armi (cfr le insurrezioni capeggiate da Teuda e da Giuda il Galileo ricordate in At 5, 34-39). Anche Barabba fu probabilmente uno di questi leaders.

Facevano parte di tale linea politico-religiosa vari gruppi: gli Zeloti, i Sicari, i Cananei. Anche Simone il cananeo, uno dei dodici apostoli, era uno di loro; e fu chiamato da Gesù proprio da questo movimento (Mc 3,18).

d) C’era poi la corrente religiosa degli Esseni. Gli Esseni erano dei Sadducei, ma dei Sadducei dissidenti, che verso il 130 a.C. quando gli altri Sadducei avevano cominciato ad appoggiarsi al potere politico e ad accettare compromessi anche a livello religioso e cultuale, si erano separati e ritirati sulle rive del Mar Morto, a Qumran, per celebrare un culto a Dio in assoluta purità e fedeltà.

Il culto celebrato al tempio di Gerusalemme -dicevano- è tutto contaminato, ed è celebrato da sacerdoti indegni (i Sadducei); per cui non può essere seguito e deve, anzi, essere radicalmente contestato. Essi vivevano in povertà e fraternità, in celibato, in preghiera e in purezza rituale (si immergevano più volte al giorno nelle miqwòt (=vasche rituali contenenti acqua piovana) per purificarsi da ogni impurità e poter attendere alla preghiera, alla lettura della S. Scrittura, partecipare al pasto comune con i confratelli.

Avevano una connotazione apocalittica, cioè aspettavano da un momento all'altro l'avvento del Messia e l'instaurazione definitiva del Regno di Dio. Dicevano che per essere salvi ed entrare nel Regno occorreva abbandonare tutto (famiglia, lavoro, città, villaggi) e unirsi a loro in comunità e preghiera; la fine del mondo infatti era ormai vicina, e solo la loro Comunità si sarebbe salvata…!

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e) C’era anche la corrente religiosa dei Battisti. I Battisti erano persone che a cominciare da circa un secolo prima di Cristo si erano stabilite nella valle del Giordano dandosi ad una vita di preghiera e di rinnovamento spirituale. Anch'essi contestavano il tempio di Gerusalemme e il culto celebrato lì (per gli stessi motivi, più o meno, degli Esseni di Qumran).

Queste persone si richiamavano idealmente all'antico profeta Elia, che era nato in quella zona (a Tisbe, vicino al Giordano), lì per un certo tempo era vissuto in una grotta, e lì era stato rapito in cielo su di un carro di fuoco (2Re 2,11-12). Elia era stato il grande profeta dell'A.T.. degno di stare accanto a Mosè (lo ritroviamo con Mosè nella scena della trasfigurazione di Gesù). Egli aveva difeso i diritti di Dio conculcati dal paganesimo al tempo di Acab re di Israele (874-853 a.C.), ed ora i diritti di Dio non erano riconosciuti al tempio di Gerusalemme! Questi diritti di Dio i Battisti volevano difendere.

Il Giordano era per loro un fiume particolarmente significativo e importante, perché nel Giordano si era immerso il generale siro Naaman, su invito del profeta successore di Elia, Eliseo, ed era stato guarito dalla lebbra (2Re, 5). Ora i Battisti si immergevano nel Giordano, più volte e di continuo, per purificarsi davanti a Dio dei loro peccati.

Anche i farisei praticavano vari tipi di abluzioni, ma solo per liberarsi dal con-tatto avuto col profano e per poter accedere alla zona del sacro (la preghiera, il tempio, Dio), e non per purificarsi dei propri peccati. Al tempio di Gerusalemme il perdono dei peccati era chiesto mediante l'offerta di sacrifici di animali, mediante la celebrazione del "kippùr" (il grande giorno dell'espiazione), e mediante elemosine fatte ai poveri; ma tutto quel rituale restava, purtroppo, qualcosa di formalistico e di esteriore. Per cui i Battisti proponevano altri riti ed altri gesti.

2. LA FIGURA E L’OPERA DI GIOVANNI IL BATTISTA

Ai Battisti si unì a un certo punto Giovanni il Battista, che era di famiglia sacerdotale (Zaccaria suo padre era sacerdote: Lc 1,5-8). Giovanni il Battista, però, pur sacerdote e destinato quindi a celebrare il culto al tempio di Gerusalemme, contestò tale culto, e si ritirò nel deserto di Giuda; forse fu in un primo tempo simpatizzante della comunità di Qumran e forse ne divenne anche membro "in prova", ma poi se ne distaccò e si avvicinò al Movimento dei Battisti.

Ad un certo punto però egli si distaccò anche da costoro, e cominciò a vivere da solo nel deserto (che richiamava idealmente il luogo dell’alleanza di Dio col popolo di Israele al Sinai), e ad esprimere una sua propria e particolare originalità, un suo proprio Movimento spirituale. Egli propose un battesimo unico, da ricevere una volta sola in vita, accompagnato da un impegno molto preciso e forte, più radicale e più assoluto di quello richiesto dai Battisti: un impegno di piena e profonda conversione a Dio, una rinuncia per sempre al peccato e una scelta del Signore al di sopra di tutto. Il suo battesimo era un battesimo di “confessione dei peccati”, e un orientamento radicale -e non più ritrattabile- verso Dio.

Giovanni prese e conservò il riferimento ideale al profeta Elia proprio dei Battisti, e lo portò alle ultime conseguenze, lo elevò ad altezze ed esigenze molto maggiori. Egli imitò l’antico grande profeta anche nel vestito (pelle di cammello e

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cintura ai fianchi), oltre che nell’austerità della vita e nel cibo. Come il profeta Elia, andava predicando l’assoluto primato di Dio, e il dovere di onorarlo e servirlo con tutto il cuore. La radicalità e la decisione della sua predicazione ci è indicata in Mt 3,7-12 e in Lc 3,7-18.

3. IL BATTESIMO DI GESU’

Gesù di Nazareth, dunque, all'età di circa 34 anni, andò da Giovanni il Battista per farsi battezzare da lui. Farsi battezzare dal Battista significava entrare a far parte del suo Movimento, condividerne l’orientamento e il tipo di spiritualità, mettersi dentro quel solco. Gesù, dopo gli anni passati a Nazaret, sentiva di dover iniziare ora una tappa nuova della sua vita e di dover fare la sua scelta.

Non scelse la linea dei Sadducei: non diventò un fedele cultore di Dio secondo i moduli proposti dai Sadducei al tempio di Gerusalemme, secondo i loro riti e le loro cerimonie. Non scelse la linea dei Farisei, andando a studiare nelle scuole loro proprie e diventando un dottore della Legge, inserendosi nella pratica di tutte le loro prescrizioni e tradizioni, quasi che così facendo si desse il vero culto a Dio. Non scelse la linea degli Zeloti, dei Sicari e dei Cananei, che avevano una concezione terrenistica del Regno di Dio e che non esitavano ad impugnare le armi e a ricorrere alla violenza per realizzare il loro disegno. Non scelse neppure la linea degli Esseni di Qumran, troppo chiusi e fuori della vita normale a cui tutti erano chiamati; ma scelse la linea dei Battisti e precisamente quella di Giovanni il Battista. Si avvicinò a quel Movimento di spiritualità a carattere profetico, che mirava al cuore e a una vita profondamente in ac-cordo con Dio, vissuta secondo la volontà del Signore. Era il tipo di spiritualità che più si avvicinava al suo desiderio di amare Dio con tutto il cuore e con tutta la vita.

Ma ecco che proprio mentre Gesù stava inserendosi in quella linea di spiritualità, egli ricevette dal Padre una rivelazione che gli svelò in modo nuovo e significativo la sua vera vocazione e missione, il modo autentico in cui egli avrebbe dovuto servire il Padre e portare avanti il disegno della salvezza nel mondo.

L’evangelista Marco dice che Gesù, appena battezzato, vide aprirsi i cieli, vide scendere su di sé lo Spirito Santo sotto forma di colomba, e udì una voce, la voce del Padre, che gli diceva dal cielo: “Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto”. Queste parole esprimono l’esperienza di Gesù in quel giorno, il senso profondo della rivelazione che il Padre, tramite lo Spirito Santo, quel giorno gli concesse. Quelle parole sono prese dall’A.T., e precisamente da Is 42,1, il primo Carme del Servo di JHWH. Con quelle parole il Padre rivelò e fece capire a Gesù che egli non avrebbe dovuto essere solamente un fedele ed impegnato rappresentante della spiritualità proposta da Giovanni il Battista, per quanto pio, generoso e santo, ma che egli avrebbe dovuto portare avanti una missione nuova, unica e straordinaria, quella profetizzata nelle antiche Scritture per il Servo di JHWH; anzi che egli stesso era il Servo di JHWH profetizzato, e che avrebbe dovuto portare avanti la sua missione sulla linea e con lo stile, appunto, del Servo di JHWH descritto dal libro di Isaia.

I testi di Is 42,1-9; 49,1-7; 50,4-9; 52,13 – 53,12 tratteggiano la figura e la missione del Servo di JHWH presentandolo come l’inviato di Dio a tutte le nazioni (e non solo al popolo di Israele); come colui che sarebbe dovuto andare in cerca degli uomini (e non attendere che essi venissero a lui); come colui che avrebbe dovuto

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prendere su di sé le colpe e i peccati di tutto il mondo ed essere ucciso in espiazione di essi, per essere poi glorificato da Dio. Missione ben diversa da quella di Giovanni il Battista e di ogni altro membro del suo Movimento di spiritualità! missione altamente impegnativa e difficile! missione che avrebbe portato Gesù alla morte e a una morte violenta e crudele: Gesù ben conosceva il drammatico testo di Is 52,13 – 53,12 (il quarto Carme del Servo di JHWH), e non potè non sentirne paura…

Il battesimo di Gesù nel Giordano fu per lui il momento di una comprensione nuova e "terribile" della sua missione. A Gesù fu chiesto dal Padre di cominciare la sua opera con sullo sfondo il destino del Servo di JHWH sofferente, cioè il dolore e la morte.

4. LE TENTAZIONI DI GESU’ NEL DESERTO

Comprendiamo allora, a questo punto, il significato e la portata di quanto Gesù fece subito dopo il battesimo: il suo ritirarsi per un certo tempo, “quaranta giorni”, da solo, nel deserto. L’esperienza fatta e la rivelazione ricevuta dovettero essere realtà così forti e dirompenti nel suo spirito, che egli sentì il bisogno di immergersi in una intensa, profonda e prolungata preghiera. Chi gli avrebbe dato la forza di dire di sì a una proposta così dura e così dolorosa che il Padre gli faceva? Solo Dio, solo il Padre! solo lo Spirito Santo! L’umanità di Gesù rifuggiva istintivamente dal dolore e dalla sofferenza (si veda il Getsemani), e Gesù in quanto uomo aveva bisogno dell’aiuto di Dio per accettare e accogliere la sofferenza e la morte. Ecco che lo Spirito Santo allora, dice Marco, “lo sospinse nel deserto”, per aiutarlo con una intensa esperienza di preghiera e di digiuno a ricevere la forza di Dio, così da poter pronunciare il suo grande “sì” generoso. Fu, quello, un terribile combattimento tra la sua libera volontà e la Volontà del Padre; un combattimento in cui il nemico, Satana, non potè essere assente, perché troppo importante; un momento in cui Satana mise in atto tutte le sue arti e tentò in tutti i modi di distogliere Gesù dall’obbedienza al Padre e dall’aderire al suo disegno.

Mt 4,1-11 e Lc 4,1-13 si diffondono più di Marco nel descrivere questo terribile momento di tentazione e di prova. Addirittura Lc 4,13 dice che Satana si allontanò da Gesù “dopo aver esaurito ogni specie di tentazione”. Dunque Satana mise in quella occasione tutto il suo sforzo!

Ma Gesù scelse Dio e si offrì volontariamente al suo compito di Messia – Servo sofferente di JHWH, come il Padre voleva. In tal modo Gesù divenne il “nuovo Adamo”, l’iniziatore di una nuova umanità, colui che con la sua obbedienza (riparatrice della disobbedienza di Adamo) riapriva all’uomo le porte del paradiso terrestre, e riportava il paradiso sulla terra: infatti Marco conclude il racconto delle tentazioni di Gesù dicendo che egli “stava con le fiere” (cioè aveva un rapporto tranquillo e di pace con gli animali, come Adamo nel paradiso terrestre), e che “gli angeli lo servivano” (cioè Gesù aveva una relazione di amicizia e di unione con Dio, come Adamo nel paradiso terrestre prima del peccato).

Per la riflessione

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1. Gesù fece le sue scelte nella vita. Anch’egli le compì progressivamente, ascoltando la voce del Padre. Non ebbe tutto chiaro fin da subito, fin dall’inizio della vita… Ascoltò di volta in volta le indicazioni di Dio; e le seguì. E’ il compito e il cammino che siamo chiamati a fare anche tutti noi: ascoltare passo passo la voce di Dio, e obbedirle.

2. Gesù fu fedele ed obbediente; non si lasciò fermare dalla sofferenza che gli avrebbe domandato la sua missione. Egli decise di bere il calice del dolore fino alla fine. Ma riuscì ad accettare tutto ciò nella preghiera, con molta preghiera. Così sarebbe riuscito a fare anche più tardi, nell’Orto degli Ulivi. La preghiera è anche per noi l’arma spirituale più potente e più forte. Essa ci manterrà obbedienti e fedeli a Dio e al nostro compito nella vita, anche se faticoso e duro.

3. Giovanni il Battista era un uomo austero, viveva nel deserto, desiderava dare a Dio un culto vero, serio, fatto con la vita.Il cristiano dev’essere una persona impegnata, autentica, mortificata, aperta all’assoluto di Dio, capace di scelte radicali.

4. Giovanni il Battista era un profeta, chiamava a conversione.Essere profeti significa “parlare a nome di Dio”, “pronunciare le parole di Dio”. Come sono le nostre parole? Sono parole “profetiche”, o parole solo umane, vuote, inutili, sciocche, che non dicono nulla?

L'INIZIO DEL MINISTERO DI GESU'IN GALILEA(Mc 1,14-15)

Gesù, dopo essere stato da Giovanni il Battista ed essersi fatto battezzare da lui; dopo aver ricevuto la rivelazione del Padre che lo voleva suo servo nella linea del Servo sofferente di JHWH; dopo aver sostenuto le tentazioni di Satana che lo voleva distogliere dal "sì" al disegno doloroso del Padre, fece ritorno in Galilea e diede inizio alla sua predicazione e al suo ministero.

Lo iniziò con una frase programmatica e importante, che è come la sintesi del suo appello offerto agli uomini: "Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; con-vertitevi e credete al vangelo" (Mc 1,15).

Consideriamo il significato profondo di questa frase:

"Il tempo è compiuto": Letteralmente l'espressione significa: Il tempo favore-vole(il tempo che contiene la salvezza, “kairòs” nel testo greco, e non "chrònos") è stato

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riempito, Dio lo ha reso colmo, e lo ha fatto giungere alla sua misura massima. Con Gesù che comincia a predicare in Galilea, il tempo di salvezza che era già iniziato in antico (con la chiamata di Abramo, col dono della liberazione dall'Egitto, con i Profeti, con tanti altri momenti di salvezza donati da Dio al suo popolo) ora è arrivato alla sua pienezza, e contiene il suo dono più completo. Non ci sarà più, in futuro, un altro tempo donato al mondo più ricco di grazia e di salvezza di questo, perché Dio Padre non ha un altro dono più grande da fare agli uomini del suo Figlio Gesù. Con Gesù, quindi, sta davanti agli uomini il dono massimo e supremo del Padre; il dono definitivo.

Ed ora questo dono è qui! "Il regno di Dio è vicino". Letteralmente l'espressione greca dice: Il regno di Dio si è fatto vicino; così vicino che è qui e sta davanti a voi; così vicino che è qui alle porte del vostro cuore e vi interpella; vi chiede di essere accolto. (Si veda Lc 11,20; Lc 17,21; Apoc 3,20). Ormai l'uomo non può più rimandare la scelta, perché il regno di Dio gli sta proprio davanti, di fronte! Egli deve prendere posizione e decidersi: ora, adesso, in questo momento!

Ma che cos'è questo "regno di Dio"? E' l'iniziativa regale di Dio che vuole essere il re e il Signore dell'uomo e della sua vita; non un re e signore dispotico, bensì un re che è disposto a donare all'uomo tutti i suoi beni regali e infiniti di salvezza (in particolare Gesù, che è la somma di ogni bene salvifico di Dio!).

"Convertitevi": Letteralmente: cambiate mentalità, cambiate modo di pensare. Non pensate più come pensa il mondo, come pensa l'uomo terreno di quaggiù; ma cominciate a pensare come pensa Dio, come giudica lui le cose, assumendo i suoi criteri di giudizio e di valutazione, i criteri di giudizio e di valutazione del Vangelo. ( Si veda Is 55,8-9; Mt 16,23; 1Cor 2,14-16; Rom 12,1; Fil 2,5). Il discepolo di Cristo pensa come pensa Cristo.

Il “convertitevi” nel testo greco è un imperativo presente, che significa continuate a convertirvi, cioè mettete il vostro impegno (per cambiare mentalità) ogni giorno della vostra vita, in ogni istante del vostro vivere; non basta farlo una volta sola!...

"E credete al vangelo": apritevi al buon annuncio, l'annuncio che io vi porto; accettatelo nella vostra mente e nel vostro cuore; accoglietelo dentro di voi, così che il Vangelo si stabilisca nella vostra vita e dia forma a tutte le vostre azioni (Rom 13,14).

Anche il credete è, nel testo greco, un imperativo presente: indica uno sforzo continuo di aprirsi al vangelo.

Per la riflessione

1. Il tempo, anche per noi, è tempo di salvezza. Occorre che lo riscattiamo da quella banalità e povertà di senso in cui spesso lo confiniamo. Ogni giorno della nostra vita è il momento opportuno e favorevole per incontrare Dio, per lasciarci incontrare da lui, ed essere introdotti nella salvezza piena e completa. Nulla è di poco conto e di

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piccolo valore nelle nostre giornate e nella nostra vita. Tutto chiede l’eternità! (2Cor 6,1-2). Nel “frammento” di ogni istante ci può essere il “tutto” dell’eternità: l’amore a Dio e ai fratelli.

2. Gesù chiama a conversione anche oggi, mediante la Parola della Bibbia, mediante quanto sentiamo in un’omelia, mediante il richiamo di una persona che ci fa un’osservazione, mediante un rimorso che ci nasce nell’animo, mediante una buona ispirazione dello Spirito Santo, mediante un fatto che succede a noi o che succede ad altri… Importante è essere e rimanere nella disposizione d’animo di volerci convertire; decisivo è desiderare veramente di convertirsi; altrimenti … non c’è più sordo di chi non vuol sentire, e ogni invito e richiamo diventa inutile…

3. Il cristiano è un uomo dalla mentalità nuova, un uomo che non ragiona con i criteri di giudizio del mondo ma che ha assunto il modo di pensare di Gesù e del Vangelo ( Rom 12,2; 1Cor 2,16; Fil 2,5). Questo domanda una continua meditazione della Parola di Dio e un ascolto fedele e obbediente della voce del Magistero della Chiesa (alla Chiesa Gesù ha promesso un’assistenza particolare che la renda “colonna e sostegno della verità” nel mondo (1Tim 1,14).

IL MINISTERO DI GESU’ IN GALILEA

( Mc 1,15 – 7,23 )

Marco racconta -da 1,15 a 7,23- il ministero di Gesù in Galilea, ministero che durò circa un anno e mezzo. E incomincia col raccontare la chiamata dei primi quattro discepoli sul lago di Genezaret.

1. LA CHIAMATA DEI PRIMI QUATTRO DISCEPOLI (Mc 1,16-20)

Secondo Marco, Gesù, appena ritornato in Galilea, avrebbe chiamato a sé i primi quattro suoi discepoli incontrandoli sulle rive del lago di Genezaret dove stavano pescando, e quei discepoli avrebbero lasciato tutto (barche, lavoro, padre, famiglia) al primo incontro con Gesù. Ma è difficile pensare che Gesù li abbia chiamati proprio al primo incontro chiedendo loro di lasciare tutto e in modo definitivo per seguire lui, e che quei pescatori lo abbiano seguito così radicalmente al primo incontro. La cosa sembra un po’ strana, e anche disumana…

Infatti dal Vangelo di Giovanni (Gv 1,35-42) sappiamo che Gesù aveva già incontrato Andrea, Giovanni e Pietro lungo le rive del Giordano, all’interno del

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movimento del Battista. Giovanni e Andrea (e probabilmente anche Pietro) erano andati da Giovanni il Battista, si erano fatti battezzare da lui ed erano diventati suoi discepoli. Poi, a un certo punto, si erano avvicinati a Gesù ed avevano parlato con lui, avevano cominciato a conoscerlo e ad apprezzare la sua dottrina e la sua proposta di vita. Possiamo ipotizzare che la loro scelta di lasciare tutto e di seguire Gesù in modo radicale e pieno sia maturata dopo un certo periodo di familiarità col rabbì di Nazareth tornato in Galilea, e dopo vari momenti di dialogo con lui (quindi non proprio all’inizio del ministero di Gesù in Galilea, ma verso la fine di esso).

Marco però pone la scena di vocazione dei primi quattro discepoli all’inizio del ministero di Gesù in Galilea, proprio a ridosso del proclama con cui Gesù inaugurò la sua predicazione: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo” (Mc 1,15). Tale proclama contiene la sintesi e il cuore del messaggio che Gesù andò proclamando durante il suo ministero in Galilea, e cioè l’invito ad accogliere la signoria di Dio e il suo regno sulla propria vita. Marco ha collocato in questo preciso punto il racconto di vocazione dei primi discepoli per indicare che ci furono delle persone in Galilea che accolsero tale annuncio del primato di Dio, e lo accolsero in modo totale e radicale. In tal modo Marco offre ai suoi lettori un preciso invito: quando Dio chiama, occorre rispondere prontamente e generosamente, come hanno fatto questi quattro discepoli; davanti a Dio che chiede di esercitare la sua signoria sulla vita, bisogna dire subito e in pienezza di sì, come Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni.

Per la riflessione

1. Gesù chiama Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni a seguirlo. Solitamente, a quel tempo, erano le persone che si sceglievano il proprio maestro e rabbì che volevano seguire. Così avevano fatto anche Andrea e Giovanni, che avevano scelto di seguire il Battista. Qui invece è Gesù che sceglie, che chiama e che invita. E Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni lo ascoltano e lo seguono, gli consegnano la vita. Accettare il primato di Dio sulla propria vita significa obbedirgli come vuole lui, e non servirlo come decidiamo noi.

2. Quei quattro discepoli si convertirono da una spiritualità e da un movimento religioso a cui già appartenevano (i Battisti) alla nuova proposta di vita di Gesù. Diventarono da “persone impegnate”, persone “ancora più impegnate”. Il cammino di impegno e di crescita spirituale è sempre aperto per ciascuno. Nessuno può mai dire: sono arrivato….

3. Gesù passa… vede… dice: Seguimi. Gesù passa ancora oggi accanto all’uomo, ad ogni uomo, e vede, e chiama. E’ il mistero della vocazione di ciascuno. Ogni uomo e ogni donna ha una sua vocazione pensata da Dio! Ogni giorno Dio ci chiama a qualcosa…

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4. Il progetto di Dio sull’uomo è più grande del progetto stesso dell’uomo su di sé: “Vi farò pescatori di uomini”. Probabilmente quei pescatori avevano pensato di rimanere per tutta la vita solo pescatori di pesci, e invece Gesù svela loro che nel disegno di Dio sono destinati a diventare apostoli, diffusori della parola di salvezza nel mondo. A che altezze chiamerà me il Signore?

5. I chiamati rispondono con generosità e prontezza. Lasciano, abbandonano (le reti, il padre, il lavoro, la vita vissuta fino allora…). Come Abramo… C’è qualcosa a cui mi sento attaccato e che non vorrei proprio lasciare?

6. Ma quei discepoli non fanno una scelta irragionevole: hanno intuito e intravisto in Gesù qualcosa di grande: un tesoro nascosto, la perla preziosa (Mt 13,44-45). Occorre “conoscere” Gesù; in base a quanto lo si conosce e in proporzione che si entra in familiarità e in amicizia con lui, si riesce ad affidarsi e a donarsi a lui.

2. LA GIORNATA DI GESU’ A CAFARNAO ( Mc 1,21-39 )

In 1,21-39 Marco racconta una giornata di Gesù a Cafarnao, in giorno di sabato. La racconta in modo stilizzato, ma sufficientemente chiaro per darci il quadro complessivo. Anche in questa descrizione Marco presenta Gesù che proclama il primato e la signoria di Dio sulla vita dell’uomo.

Gesù, ritornato dal Giordano e dal deserto, fissò la sua residenza a Cafarnao (l’evangelista Matteo 9,1 chiama Cafarnao “la sua città”, la città di Gesù), e ne fece il centro di irradiazione della sua predicazione e della sua attività nella zona del lago di Genezaret e nei dintorni. Gesù scelse Cafarnao come suo “piede-a-terre” perché Cafarnao, a differenza di Nazareth, si trovava in una zona di grande passaggio (su uno dei bracci della “via maris”) e quindi lì avrebbe avuto la possibilità di incontrare tanta gente; e anche perché a Cafarnao abitavano Pietro con la famiglia, e Andrea, e Giacomo e Giovanni, gli amici che egli aveva conosciuto al Giordano e con cui era entrato in amicizia. Dai Vangeli infatti veniamo a sapere che tante volte Gesù mangiò e dormì nella casa di Pietro (cfr ad es. Mc 1,29-37).

a) La mattinata in sinagoga (Mc 1,21-28). Gesù, quel sabato, andò in sinagoga come tutti gli altri pii Ebrei. Si trovava a Cafarnao già da qualche giorno o vi era giunto la sera prima, al calar del sole, quando iniziava il sabato (perché di sabato non si poteva fare viaggio più di 880 metri, e Gesù era rispettoso delle leggi religiose finché non andavano contro i veri voleri di Dio). Passò la notte a Cafarnao e alle 9.00 circa del mattino andò in sinagoga insieme a Simone, Andrea, Giacomo e Giovanni che abitavano a Cafarnao, . Questi lo presentarono al capo-sinagoga, come si usava fare per uno che non era del luogo, e Gesù venne invitato dal capo-sinagoga, com'era costume, a dire qualcosa, a fare un po' di commento alle letture della Legge di Mosè e dei Profeti che erano state proclamate. E Gesù prese la parola e cominciò a insegnare.

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L'accento di Marco è proprio sull'insegnamento di Gesù (cfr l'insistenza su insegnare, insegnamento, dottrina, autorevolezza di tale insegnamento ai versetti 21-22.27). L'insegnamento di Gesù fu quel giorno diverso da quello degli scribi e dei farisei: gli scribi e i farisei avevano lasciato in ombra l'annuncio e le esigenze del primato di Dio sulla vita, per mettere in primo piano le esigenze del loro insegnamento; con tutte le loro analisi, riflessioni, osservazioni, deduzioni e controdeduzioni sulla Legge di Mosè (la Toràh) avevano stravolto le Scritture e avevano preso loro stessi il sopravvento sulla Bibbia: non la lasciavano più "parlare", ma le facevano invece dire quello che pensavano loro

Gesù invece proclamò e propose il suo messaggio, la proclamazione del primato di Dio, e la gente sentì che il suo insegnamento era diverso, nuovo.

C'era in sinagoga un uomo posseduto da uno "spirito immondo". Quest'uomo andava regolarmente in sinagoga il sabato, ma sentendo l'insegnamento degli scribi e dei farisei non si sentiva scosso dentro di sé: quell'insegnamento lo lasciava del tutto indifferente e nel suo quieto vivere. Ma quando quell'uomo udì l'insegnamento di Gesù che proclamava e chiedeva il primato di Dio sulla vita dell'uomo, sentì dentro di sé qualcosa che si muoveva e si agitava, qualcosa che lo scuoteva e vi si opponeva: era lo "spirito immondo" (=spirito contrario a Dio), che rifiutava il primato di Dio, che lo scuoteva e lo straziava fino a farlo gridare (v 24); era lo spirito di chiusura a Dio e di sordità spirituale, di ribellione al Signore. Quest'uomo è il simbolo del popolo ebraico tante volte indicato dall'Antico Testamento come un popolo sordo, che non ascolta la voce di Dio (Ger 7,21-28; Is 42,18-20); un popolo ostinato nelle sue vie e ribelle (Ez 2,3-5). Quest'uomo è il simbolo di ogni uomo nelle sue ribellioni al Signore. Si può vivere nell'ambito del sacro, e non ascoltare la voce di Dio.

Ma Gesù liberò quell'uomo; vinse il suo male interiore!

b) Il pranzo in casa di Pietro (Mc 1,29-31). Venuto mezzogiorno, Gesù andò a casa di Pietro, poco lontana dalla sinagoga, invitato a pranzo da lui. Ci andò con Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni. Lì guarì la suocera di Pietro che era stesa a terra su una stuoia, febbricitante. Gli parlarono di lei: Pietro, Andrea e gli altri fecero da intermediari e da intercessori; e Gesù la guarì.

La guarì prendendola per mano. Gesù non era schiavo delle regole dei farisei secondo le quali non si poteva toccare di sabato una donna ammalata, pena il violare il sabato stesso e rendersi immondi, e quindi non poter più mangiare il pranzo rituale del sabato. Gesù toccò la donna, la guarì, e poi si mise a tavola tranquillo. I suoi discepoli non si scandalizzarono perché neppure essi seguivano le tradizioni dei farisei. E i farisei non c’erano lì in casa di Pietro, per cui tutto procedette tranquillo.

Gesù però in tal modo si dimostra uomo libero, che proclama il primato di Dio anche sulle interpretazioni farisaiche del riposo sabbatico (Dio vuole il riposo sabbatico, sì, ma non quando esso va contro il bene dell'uomo).

E' interessante il verbo greco che Marco usa quando dice che Gesù sollevò la suocera di Pietro (1,31): nel testo greco è il verbo eghèiro, il verbo che il Nuovo Te-stamento adopera per indicare la risurrezione di Gesù. Gesù operò sulla donna quindi, guarendola, una specie di risurrezione; le donò una salvezza che era nell'ordine della ri-surrezione finale, della salvezza piena e completa, come un anticipo di quella salvezza.

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Ecco perché la donna, guarita (risuscitata) da Gesù, si mise subito a servire. Chi è risu-scitato da Gesù, cioè chi è guarito profondante da lui con quella guarigione che sarà piena nella risurrezione, è capace di servizio e di dono d'amore agli altri. Così, di ri-scontro, chi è capace di vero servizio e di dono d'amore agli altri, mostra con evidenza di essere stato guarito da Gesù.

Gesù rimase in casa di Pietro tutto il pomeriggio, colloquiando e dialogando fino al tramonto del sole, verso le ore 17.00.

c) Dopo il tramonto del sole, dopo le 17.00 (Mc 1,32-34). Avvenuto il tramonto e calata la sera, il sabato terminava, e quindi anche l'obbligo del riposo cessava. Di sabato non si potevano portare pesi, e quindi i malati non potevano essere portati su portantine e lettucci da Gesù perché li guarisse. Ma ora che l'obbligo del riposo era cessato, una grande moltitudine di malati venne portata da lui, ed egli ne guarì molti. Alla porta della città Gesù proclamò con le opere il primato di Dio: Dio è il signore e il vincitore del male, sia fisico che morale (egli infatti guarì molti malati e scacciò molti demoni). Il Regno di Dio è una realtà di vittoria e di liberazione da ogni malattia e da ogni insidia di Satana. Gesù già lo lasciò intravvedere e ne fece sperimentare gli inizi.

d) La preghiera mattutina di Gesù al mattino seguente (Mc 1,35-39). Terminata la giornata di attività a Cafarnao e passata la notte in casa di Pietro, prima che spuntasse l'alba e quand’era ancora buio, mentre ancora tutti dormivano, Gesù lasciò in silenzio la casa di Pietro e si ritirò in un luogo solitario a pregare. Egli sentiva il bisogno di intrattenersi col Padre e di fermarsi in colloquio con lui. Questo pregare di Gesù è il chiaro segno che egli riconosceva il primato di Dio sulla propria vita e sulla sua attività di annunciatore del Regno. La preghiera è soprattutto questo: riconoscere e accettare il primato di Dio su di sè. Gesù era l'autentico annunciatore del Regno proprio perché accettava e accoglieva prima di tutti, e in pienezza, il Regno di Dio sulla propria vita, accettando il primato del Padre fino in fondo sul proprio essere.

A Pietro e agli altri che si misero a cercarlo, e lo trovarono, egli disse: "Andiamocene altrove per i villeggi vicini, perché io predichi anche là; per questo in-fatti sono venuto!". Era dalla preghiera al Padre che Gesù ricavava la forza per continuare ad annunciare a tutti il primato di Dio.

Per la riflessione

1. La gente andava in sinagoga il sabato. Come ci andava quel tale che fu li-berato da Gesù dallo spirito immondo (vv 23-26)? Non è automatico andare in chiesa "bene"...

2. Gesù insegnava con autorità (v 22). Quali sono i maestri che hanno autorità oggi presso la gente? Gesù ha autorità su di me? E io come so insegnare?

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3. La suocera di Simone era a letto con la febbre (v 30). Il cuore dell'uomo ha tante febbri...; la temperatura del suo cuore si altera facilmente... Come fare? Come guarire? Fare l'antiinfluenzale? Chiamare il medico?

4. Simone e Andrea parlano a Gesù dell'ammalata ed egli li ascolta (v 30). La Chiesa è intermediaria tra noi e Gesù... La preghiera di intercessione per altre persone ha efficacia...

5. La donna guarita ("risuscitata) si mette a servire (v 31). Il servizio è segno di buona salute spirituale. Con quale riconoscenza a Gesù avrà servito...

6. Gesù è medico. Medico di ogni malattia. Medico del corpo e dello spirito (vv 32-34). Andiamo a lui! Ma come? E poi, siamo proprio stanchi delle nostre malattie spirituali?

7. Gesù si alza al mattino presto e va a pregare. Gesù è esempio di preghiera. Gesù prega in solitudine. Gesù cerca quieti momenti di preghiera. Gesù non vi rinuncia, anche se ha molto da fare...

8. La missione di Gesù è quella di predicare (vv 38-39). Gesù resta fedele alla sua missione. Ognuno di noi ha la propria missione. Dobbiamo rimanervi fedeli.

3. La guarigione di un LEBBROSO (MC 1,40-45)

Marco racconta poi la guarigione di un lebbroso. Gesù guarì un lebbroso toccandolo con la sua mano. Toccare un lebbroso con la mano era cosa proibita per il pericolo di contagio; era una cosa che rendeva impuri di fronte alla Legge. Il lebbroso a sua volta era considerato un “impuro”, un emarginato dalla vita sociale, impedito di entrare nei villaggi e anche di andare al tempio; era un escluso dal consorzio umano e dall’ambito del culto (Lev 13,45-46). In questo modo si cercava di difendersi dal contagio. Ma Gesù non mostrò nessun timore di contrarre la lebbra, e nemmeno ebbe paura di diventare impuro davanti alla Legge di Mosè, così come veniva interpretata dagli scribi e dai farisei. Egli si manifestò anche in quest’occasione il proclamatore del primato di Dio sui mali degli uomini e sulle prescrizioni umane dei farisei.

Guarito il lebbroso, Gesù lo inviò dal sacerdote perché si sottoponesse al controllo e alla visita di rito che doveva verificarne la guarigione, secondo quanto prescriveva la Legge di Mosè (Lev 14,1). Era infatti compito del sacerdote, quando un lebbroso guariva, verificarne l’avvenuta guarigione e riammettere il malato guarito in società. Su questo punto Gesù si mostrò rispettoso della Legge (la Legge aveva, qui, un senso autentico e giusto, ed era a servizio del bene comune).

Gesù diede ordine al lebbroso guarito di non raccontare a nessuno quanto gli era accaduto, ma questi andò dappertutto nei dintorni a proclamare il miracolo che Gesù gli aveva fatto. Gesù temeva che la gente si facesse un’idea sbagliata della sua messianicità, e lo considerasse un Messia glorioso, miracolista e trionfante (che non sarebbe dovuto invece passare per la passione e la morte).

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Per la riflessione

1. La lebbra fisica simboleggia ciò che contamina l'uomo nel suo spirito, lo rovina e lo tiene separato dagli altri, gli impedisce una vera comunione con i fratelli (odio, risentimento, giudizio, mancanza di perdono, orgoglio, autosufficienza, offese arrecate di cui non si è ancora chiesto perdono...).

2. Gesù non ha paura della lebbra dell'uomo: si lascia avvicinare; anzi tocca lui stesso il malato. Il suo tocco è risanatore. Gesù è più forte di ogni lebbra fisica e spirituale che ci potesse affliggere.

Quando Gesù tocca l'uomo, lo guarisce (cfr Mc 1,31; 3,9-10; 5,41; Lc 4,40). Nei momenti di preghiera chiederò a Gesù e gli rinnoverò il desiderio che egli mi tocchi, mi raggiunga con la sua mano potente e mi guarisca.

3. Gesù prova compassione per il povero lebbroso. La compassione è il primo sentimento di Gesù che Marco nota nel Vangelo. Più avanti Marco parlerà dell'ira di Gesù, della sua insofferenza, della sua paura, ecc. La compassione è il primo tratto del volto di Dio; e qui, in Mc 1,41, si tratta di compassione materna, perché il verbo greco "splanchnistèis" indica il commuoversi delle viscere della madre, il fremere del suo grembo. Gesù, icona di Dio, ama con amore di madre.

4. Gesù invia il lebbroso al sacerdote perché ne constati la guarigione e riammetta il malato, guarito, in società. Gesù vuole che l'uomo resti in rapporto con la comunità di fede, e ne riconosca su di sé l'autorità. Anche il cristiano deve restare inserito nella Chiesa e riconoscere su di sé l’autorità della Chiesa. Non può pensarsi un membro indipendente dalla Chiesa.

5. Gesù dopo aver guarito il lebbroso non può più entrare nei villaggi, ma è costretto a restare fuori, in luoghi deserti. Ciò che prima era proibito al lebbroso, ora è proibito a Gesù! Il motivo è diverso nei due casi, tuttavia ciò ci spinge a pensare al fatto che Gesù guarisce i mali e i peccati degli uomini prendendoli su di sé, facendoli propri e portandone lui le conseguenze (Is 53,4-5). Tale è la solidarietà di Cristo nei nostri riguardi! Una solidarietà di infinito amore!

6. Gesù invita il lebbroso guarito a non raccontare il prodigio che gli è accaduto, perché ha paura che la gente capisca male la sua identità e la sua missione: lo pensi un Messia guaritore anziché un Messia che dovrà morire in croce. E' sempre facile per l'uomo capire male Dio, e farsi un'immagine sbagliata di lui.

4. LE CONTROVERSIE DI GESU’ IN GALILEA (Mc 2,1 – 3,6)

L'evangelista Marco non scrive il suo Vangelo seguendo la vita di Gesù per ordine (non ne fa una cronaca precisa), ma raggruppa le notizie circa la vita pubblica di Gesù attorno a dei temi, e procede "a blocchi". In Mc 1,21-39 egli ci ha descritto una giornata-tipo di Gesù a Cafarnao, di sabato; ed ora in Mc 2,1 - 3,6, egli ci presenta, in un secondo "blocco", cinque controversie tra Gesù e i suoi contestatori, cioè cinque

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discussioni che Gesù dovette sostenere contro i farisei e i discepoli di Giovanni il Battista, che lo attaccavano e contestavano il suo operato.

Non è da pensare che tali controversie siano avvenute tutte lo stesso giorno, una dopo l'altra. Saranno avvenute nel corso dell'anno e mezzo di apostolato di Gesù in Galilea; ma Marco le unisce insieme, per darci un quadro unitario e completo in se stesso. In tal modo egli contrappone alla giornata serena e positiva di Cafarnao (in cui Gesù fu accolto, ascoltato e cercato da tutti), questo altro quadro che unisce insieme vari momenti difficili e drammatici, in cui Gesù venne contestato, osteggiato e rifiutato.

In seguito, dopo questi due "blocchi" , Marco ci darà un terzo "blocco" (Mc 3,7-33) in cui riferirà di alcune adesioni entusiastiche a Gesù e di alcuni rifiuti duri e netti alla sua persona. Questo terzo blocco sarà come la logica continuazione e lo sviluppo dei primi due.

Al blocco delle cinque controversie Marco dà una struttura precisa: egli lo compone di cinque controversie disposte in un ordine particolare: nelle prime due egli fa risaltare il vero volto di Dio (un Dio di misericordia); nelle ultime due egli fa risaltare il vero volto dell'uomo (un uomo libero, realtà importante e preziosa per Dio). E nella controversia di centro (quella che per la sua posizione particolare -di centro, appunto- fa da spartiacque tra le prime due e le ultime due), Marco presenta Gesù come lo sposo dell'umanità: Gesù si proclama lo sposo della sua comunità e di tutti coloro che aderiranno a lui. In quanto “sposo” dell’umanità Gesù dona all’uomo peccatore la misericordia di Dio, e libera l’uomo da qualsiasi situazione e legge oppressiva che potesse mortificare la sua originaria e fondamentale dignità.

Le cinque controversie hanno il seguente contenuto:

a) Gesù perdona i peccati di un paralitico e lo guarisce ( 2,1-12) (Misericordia di Dio).b) Gesù chiama tra i suoi discepoli un pubblicano e mangia con i peccatori (2,13-17) (Misericordia di Dio).

c) Gesù si proclama lo sposo dell'umanità (2 18-22)d) Gesù difende i suoi discepoli dall'accusa di violare il riposo del sabato ( 2,23-28) (Proclamazione della dignità dell'uomo, che vale più delle prescrizioni cultuali pensate dai farisei).e) Gesù guarisce un uomo dalla mano rattrappita, in giorno di sabato (3,1-6) (Proclamazione della dignità dell'uomo, che Dio vuole guarito e sano).

Ciascuna di queste controversie culmina e mette in risalto una dichiarazione solenne e chiara di Gesù (detta con termine tecnico "apoftègma" = "risposta chiara e precisa, sentenza, massima"), che raccoglie in modo sintetico e forte il punto di vista di Gesù e la rivelazione che egli vuole fare su Dio e sull'uomo; di conseguenza essa contiene il messaggio fondamentale della controversia e ne è il punto più alto e significativo.

Nella prima controversia tale affermazione chiara e precisa è contenuta ai versetti 2,9-11; nella seconda controversia è contenuta al versetto 2,17; nella terza controversia al versetto 2,19; nella quarta al versetto 2,27; e nella quinta al versetto 3, 4.

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a) La guarigione del paralitico e il perdono dei suoi peccati (Mc 2,1-12).

A Gesù portano un paralitico perché egli lo guarisca, ed egli come prima cosa gli dona il perdono dei peccati. Glielo dona senza essere richiesto. Gesù è lo sposo dell’umanità che ama gli uomini, e che vuole portare ad essi la pienezza della salvezza di Dio.Questo gesto attira immediatamente le critiche dei farisei presenti, i quali accusano Gesù di bestemmia. Arrogandosi il potere di perdonare i peccati, Gesù si proclama Dio e si fa uguale a lui, in quanto solo Dio può perdonare i peccati. E inoltre, per ottenere il perdono dei peccati occorreva –secondo i farisei- rispettare un preciso rituale fissato dalla Legge, fatto di preghiere, di gesti sacri e di sacrifici offerti al tempio… Ora Gesù “salta” a piè pari tutto quel rituale e sconvolge ogni cosa!Gesù conferma di avere il potere di perdonare i peccati, guarendo il paralitico. Tutta la gente lodò quel giorno il Signore, per quella cosa mai vista prima di allora, per quella misericordia così gratuita e così piena. Gesù rivela il vero volto di Dio, che è un Dio di misericordia.

b) La vocazione di Levi e il pranzo in casa sua con pubblicani e peccatori (Mc 2,13-17).

Gesù un giorno, lungo il lago di Genezaret, vicino a Cafarnao, chiamò Levi e lo annoverò tra i suoi discepoli. Nei pressi di Cafarnao passava un braccio della grande e frequentata “Via maris”, e Cafarnao si trovava in zona di confine per cui lì c’era l’obbligo di pagare un pedaggio, e a Cafarnao c’erano molti pubblicani addetti a questo compito. Levi (Matteo) era un pubblicano, una persona ritenuta un pubblico peccatore, un escluso dal Regno di Dio.

Gesù, chiamando Levi tra i suoi discepoli, diede un segnale molto forte: mostrò che la sua comunità non doveva essere formata solo da persone “pure” e sante, ma poteva accogliere in sé anche peccatori che si fossero convertiti. Lo stesso segnale Gesù lo diede anche subito dopo andando in casa di Levi a pranzo, e mangiando in compagnia di pubblicani e peccatori. Gli scribi e i farisei lo criticarono aspramente perché secondo loro non era lecito a un ebreo fedele entrare in casa di un pubblicano ed avere contatti con i peccatori: tali persone erano escluse dal Regno di Dio e dalla comunione col popolo della salvezza. Gesù invece è lo sposo dell’umanità che annuncia e porta all’uomo la misericordia di Dio e la guarigione da ogni malattia spirituale. Egli è venuto a chiamare i peccatori e a guarire i malati; a questo il Padre lo ha mandato.

c) Gesù lo sposo dell’umanità (Mc 2,18-22).

I discepoli di Giovanni Battista e i farisei facevano frequenti digiuni. In tal modo intendevano purificarsi ed affrettare con le loro buone opere la venuta del Regno di Dio. Avevano buone intenzioni, ma erano attaccati a un sistema religioso costruito da uomini, e, osservato quello, pensavano di essere a posto. La loro spiritualità era ancora molto legata a pratiche, a prescrizioni, a regole e a leggi che rischiavano più di tener lontano il cuore da un vero e autentico rapporto personale con Dio che non unire l’uomo a Dio.

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Gesù si proclama lo sposo della sua comunità, e propone una forma di spiritualità che è fondamentalmente rapporto d’amore con lui. La presenza di Gesù-sposo fa sì che i suoi discepoli non possano e non debbano digiunare; avranno il loro momento di digiuno quando Gesù sarà loro tolto con la passione e la morte.

Il tipo di spiritualità che Gesù propone è un qualcosa di profondamente nuovo rispetto alla religiosità farisaica e anche a quella dello stesso Giovanni il Battista, per cui non sarà sufficiente apportare a quelle solo qualche parziale modifica e qualche secondario ritocco, ma bisognerà “cambiare proprio vestito” e “avere otri nuovi” per metterci il vino nuovo che è la nuova proposta di vita di Gesù. Occorrerà instaurare un nuovo personale, profondo rapporto con Cristo.

d) La discussione tra Gesù e i farisei circa le spighe strappate dagli apostoli in giorno di sabato (Mc 2,23-28).

Gli apostoli in un giorno di sabato, passando tra i campi di spighe, cominciarono a strapparne alcune e a mangiarne i chicchi. Furono fortemente criticati dai farisei come trasgressori del riposo del sabato, perché secondo le loro prescrizioni uno dei trentanove lavori proibiti in giorno di sabato era il mietere (e quel gesto degli apostoli aveva tutto l’aspetto di una mietitura). Gesù prese le difese degli apostoli, e richiamandosi a un episodio dell’Antico Testamento (1 Sam 21,2-7), proclamò che non è l’uomo fatto per il sabato, ma è il sabato fatto per l’uomo. Dio vuole, cioè, il bene dell’uomo fino al punto che lo stesso giorno di sabato, sacro a Dio, è al servizio dell’uomo e deve concorrere al suo bene. In tal modo Gesù proclamò la dignità dell’uomo al di sopra di ogni regola e prescrizione ritualistica che potesse essere contro l’uomo. L’uomo per Dio è il massimo valore e tesoro, e Dio vuole l’uomo libero da tutto ciò che volesse ingiustamente soggiogarlo.

In quella occasione Gesù si proclamò anche “signore del sabato”, cioè affermò la sua uguaglianza con Dio, perché era Dio il signore del sabato!

e) La guarigione di un malato in giorno di sabato (Mc 3,1-6).

Gesù in un giorno di sabato, mentre era in sinagoga, guarì un uomo che aveva una mano rattrappita, attirandosi le ire dei farisei presenti. Non era lecito, secondo loro, curare in giorno di sabato una malattia che non fosse grave (e c’era tutta una casistica circa le malattie ritenute gravi e non gravi). Anche con quel gesto Gesù proclamò la dignità dell’uomo al di sopra di ogni ingiusto e arbitrario ritualismo. Dio vuole il bene dell’uomo e la sua salute. “Gloria di Dio è l’uomo vivente”, dice S.Ireneo.

E’ da notare l’osservazione finale che Marco pone a conclusione del blocco delle cinque controversie: “I farisei e gli erodiani tennero consiglio contro di lui per farlo morire”. Dopo un anno e mezzo di apostolato in Galilea Gesù, a causa dei numerosi e forti contrasti con i farisei e gli erodiani (i sostenitori di Erode), fu un ricercato a morte, si trovò in pericolo di vita; e per questo lasciò la Galilea ritirandosi in volontario esilio nella zona pagana di Tiro, Sidone e della Decapoli.

Per la riflessione

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1. Gesù è colui che ci annuncia e ci porta la misericordia di Dio. Dio è sempre pronto a perdonare, e desidera fortemente perdonare. Dio ha inviato il suo Figlio Gesù nel mondo perché egli cerchi i peccatori, li raggiunga e li porti a salvezza. Si veda il capitolo 15 del Vangelo di Luca.

2. Gesù si propone agli uomini come lo sposo, come colui che intende offrire agli uomini un rapporto sponsale d’amore fatto di profonda comunione di vita. L’uomo è invitato a concepire e ad impostare la propria vita spirituale in termine di nozze con lui.

3. Gesù proclama la dignità dell’uomo davanti a Dio come valore sommo e supremo. Questo ci deve dare gioia e fiducia, e deve aiutarci a sentirci importanti ai suoi occhi (Is 43, 1-4), meno dipendenti dunque dal bisogno di essere considerati dagli uomini. E deve aiutarci a riconoscere al sommo grado la dignità di ogni persona umana, a qualsiasi popolo, razza, cultura, religione appartenga.

5. Entusiastiche adesioni e netti rifiuti nei confronti di Gesù (Mc 3,7-30).

Ai due blocchi della “giornata di Cafarnao” e delle “cinque controversie in Galilea”, Marco fa seguire un terzo blocco, che è in qualche modo la continuazione e la ripresa di quelli, presentandoci alcune adesioni entusiastiche nei confronti di Gesù ed alcuni forti rifiuti nei suoi confronti. L’apostolato di Gesù in Galilea fu segnato da gente che lo seguì con generosità e con tutto il cuore, e insieme da persone che gli si opposero totalmente e in modo radicale. Questo duplice esito dell’apostolato di Gesù in Galilea viene presentato dall’evangelista in Mc 3,7-30 con alcuni episodi e notizie.

a) Le adesioni entusiastiche a Gesù (Mc 3,7-12)

Gesù nella sua predicazione fu accolto da molte persone. Marco dice che molta folla lo seguiva, proveniente da tutte le parti della Palestina (dalla Galilea, dalla Giudea, da Gerusalemme), e anche da oltre la Palestina, dalle zone pagane di Tiro, di Sidone e della regione ad est del Giordano.

Tutti venivano a lui con grande entusiasmo, volendo ascoltare la sua parola e attendendosi da lui qualche miracolo. Giungevano al punto di gettarsi su di lui fino quasi a schiacciarlo, tanto che una volta (e forse più volte?) egli dovette chiedere che gli fosse messa a disposizione una barca per ammaestrare la gente dalla barca, e in tal modo sottrarsi alla pressione della folla.

Tra tutta la gente che lo cercava egli ebbe la gioia di vedersi cercato in modo particolare da alcune persone, che aderirono a lui con più forte dedizione e con maggiore impegno; tra di esse egli si scelse dodici uomini che stessero particolarmente con lui. Con questo gruppo di dodici, data la loro grande disponibilità, egli potè

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instaurare un’amicizia più stretta e una consuetudine di vita più profonda, fino ad averli attorno a sé come gruppo fisso e stabile, cui trasmettere i propri poteri di predicare e di cacciare i demoni.

Gesù con questo gruppo si impegnò moltissimo; egli lo aveva formato chiamando persone tra di loro molto diverse e lontane, e dovette quindi lavorare profondamente per la loro fusione e unità.I dodici

-erano diversi per temperamento: Pietro era entusiasta ed emotivo (è lui che solitamente reagisce per primo a ciò che succede e a ciò che Gesù dice: Gv 6,67-69; Mc 8,29-32; Mc 9,5; Mc 14,17-21; Gv 21,7-8); Tommaso era un ragionatore che andava piano prima di sbilanciarsi (Gv 20,24-25); Giacomo e Giovanni erano focosi e facilmente irritabili (Lc 9,51-55; Mc 3,17);

-erano diversi per luogo di origine: Bartolomeo era di un piccolo paese dell’interno della Galilea, Cana (Gv 21,2); Matteo era di Cafarnao, la importante e frequentata città sul lago (Mc 2,13-14); Pietro, Andrea e Filippo erano di Betsaida, città fuori della Galilea e in territorio esposto agli influssi della cultura pagano-ellenista (Gv 1,44), i nomi stessi Andrea e Filippo erano nomi greci; Giuda era di Kariot, un villaggio della Giudea, quindi del sud;

-erano diversi per professione: Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni erano pescatori, con una azienda in proprio (Mc 1,16-20); Matteo era un esattore delle tasse, impiegato cioè nel pubblico impiego (Mc 2,14);

-erano diversi per censo: Pietro e Andrea avevano una attività modesta, in cui lavoravano essi soli (Mc 1,16); Giacomo e Giovanni avevano una azienda a carattere familiare più grossa e consistente, in cui lavorava anche il padre e in cui c’erano anche degli operai (Mc 1,20 );

-erano diversi per formazione e cultura: Pietro, Andrea, Giacomo erano pescatori senza particolari studi; così pure senza particolare cultura dovevano essere Bartolomeo, Simone, Giuda e gli altri; Giovanni invece conosceva il Sommo Sacerdote e gli ambienti importanti di Gerusalemme (Gv 18,15); poteva aver studiato;

-erano diversi per orientamento religioso e politico: Andrea, Giovanni e Pietro si erano inseriti nel movimento di Giovanni il Battista (Gv 1,35-42); Matteo era un pubblicano (Mt 10,3), un collaborazionista col potere di Roma, un suo sostenitore; Simone lo Zelota era invece un appartenente al movimento armato per la liberazione della Palestina, nemico dichiarato di Roma (Lc 6,15).

Gesù si sforzò di vivere con questo gruppo, cercando di aiutare i singoli a sapersi accettare tra di loro e portandoli ad unità attorno alla propria persona. La costituzione di questo gruppo fu uno dei frutti più importanti dell’anno e mezzo di ministero di Gesù in Galilea.

b) I forti rifiuti a Gesù (Mc 3,20-30)

Gesù subì però anche forti rifiuti e ostinate chiusure contro di sé. I suoi parenti non seppero riconoscere la sua messianicità e la novità che egli portava; anzi lo sentirono come un violatore della Legge, un trasgressore delle buone norme religiose e di vita, un contestatore e una persona di cui vergognarsi, un insano di mente (dicevano: “E’ fuori di sé”, è matto), tanto che cercarono di andare a prenderlo per riportarlo a casa

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e tenerlo al chiuso, togliendolo dalla scena pubblica. Come era possibile lasciar circolare in pubblico un parente di tal genere?

Né più teneri furono con lui gli scribi e i farisei, i quali giunsero al punto di accusarlo di essere un indemoniato, un posseduto da satana che operava prodigi e scacciava i demoni col potere del capo dei demoni, Beelzebùl; uno cioè che agiva nel mondo con arti sataniche! Non ci poteva essere accusa più pesante e più grave di questa, meritevole – era evidente- di condanna a morte!

Gesù si difese con tutte le sue forze da un tale stravolgimento della verità, e cercò di far capire ai suoi avversari l’assoluta assurdità delle loro accuse. Come era possibile che egli scacciasse i demoni con la potenza dei demoni? Ciò avrebbe significato che i demoni combattevano contro se stessi! Invece gli scribi e i farisei erano dei ciechi che chiudevano volontariamente gli occhi di fronte alla verità più chiara e all’evidenza più assoluta, cioè di fronte alle opere di guarigione e di salvezza che Gesù andava compiendo e che non potevano essere compiute altro che con la potenza di Dio (Lc 11,20); e pur di difendere se stessi, accusavano Gesù di peccato e di satanismo, cadendo nella falsità più profonda e più completa. Il loro atteggiamento era un “bestemmiare lo Spirito Santo”, cioè un andare contro lo Spirito di Dio che è Spirito di verità; un tale atteggiamento li poneva automaticamente e senza remissione fuori di Dio e fuori della salvezza, perché Dio e il suo Spirito sono Verità. Finchè i farisei fossero rimasti in quell’atteggiamento di menzogna non avrebbero potuto ottenere perdono in eterno! Ogni altro peccato può essere rimesso, se il peccatore riconoscendo la verità del proprio peccato si pente; ma finchè l’uomo resta nella negazione volontaria della verità che gli si presenta e nella menzogna più assoluta non può avere perdono e salvezza!

A conclusione di questo blocco Marco pone l’episodio di una visita di Maria e di altri parenti di Gesù a lui che stava insegnando (Mc 3,31-35). Forse Gesù si era recato, in uno dei suoi giri apostolici, in un villaggio vicino a Nazareth; o forse Maria e gli altri parenti vennero da lui a Cafarnao. Questa visita fu una visita di amicizia e di fraternità, data la presenza di Maria, la madre di Gesù, fra i parenti; fu una visita ben diversa da quella in cui i parenti erano venuti per prenderlo e riportarlo a casa perché considerato pazzo (Mc 3,21).

Questo episodio, che contiene la affermazione solenne di Gesù: “Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli? Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre”, mette in evidenza quale sia ormai la vera famiglia di Gesù, quella che egli si era costruito durante il ministero in Galilea. Alla fine dell’anno e mezzo di apostolato in Galilea Gesù si era formato una nuova famiglia, una famiglia non più basata su legami di carne e di sangue, ma basata su un legame prettamente spirituale, quello del fare la volontà di Dio. “Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre”.

Non è, così, rifiutata la famiglia di carne e di sangue, ma la famiglia di carne e di sangue entra nella nuova famiglia di Gesù in proporzione che fa la volontà di Dio; e, d’altra parte, chi non appartiene alla famiglia di carne e di sangue di Gesù può entrare a far parte della sua nuova famiglia a pieno titolo, se compie la volontà di Dio.

Con Gesù la vecchia realtà è superata dalla nuova che egli ha portato. Ora la sua vera famiglia è formata dagli apostoli e dai discepoli che lo seguono (anche da Maria, in quanto sua discepola, e in quanto obbediente alla volontà del Signore).

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Per la riflessione

1. Con le persone a lui più aperte e disponibili Gesù instaurò un rapporto più stretto e personale. Tra queste egli scelse anche i suoi dodici apostoli. Dipende molto da noi, dalla nostra apertura di cuore e dalla nostra capacità di seguirlo, il grado di intimità e di comunione che è possibile stabilire con lui. A noi egli può concedersi in proporzione che ci apriamo a lui.

2. Gli apostoli tra loro erano molto diversi per temperamento, per estrazione sociale, per orientamento di vita, e Gesù cercò di unirli tra di loro. E’ necessario lavorare con perseveranza per l’unità di tutti, e sapersi comporre con le differenze e con le diversità altrui.

3. Gesù seppe sopportare le ostilità di certi suoi parenti e le accuse più assurde dei suoi avversari; ciononostante perseverò nella sua missione. Nulla deve fermare neanche noi nell’adempimento del nostro compito affidatoci da Dio.

4. La chiusura volontaria di fronte alla verità è il peccato più grave che si possa commettere, ed è il più deleterio. Esso pone automaticamente e completamente fuori di strada e fuori di Dio. Che il Signore ci faccia sempre ricercatori attenti, assidui e decisi della verità! A tutti i costi!

5. Il fare la volontà di Dio ci fa membri della famiglia di Gesù. Appartenere alla famiglia di Gesù è la parentela più nobile, più alta e più salutare che possiamo desiderare e che possiamo acquistarci. Nessun’altra parentela è importante e vale tanto questa!

6. LE PARABOLE (Mc 4,1-34)

Durante il suo apostolato in Galilea Gesù fece uso, nel suo insegnamento, di un modo particolare di esprimersi e di parlare: la parabola. Nel corso dell’anno e mezzo che rimase in Galilea egli raccontò molte parabole alla gente e ai suoi apostoli, partendo dalle situazioni concrete e comuni che la gente viveva.

Gesù si rivelò un ottimo parabolista, capace di usare un modo espressivo che era già presente nell’Antico Testamento (vedi ad esempio 2Sam 12,1-12), ma che egli adoperò con grande abbondanza, quasi facendolo il suo modo usuale di insegnare e di parlare. I Vangeli riportano ben 42 parabole raccontate da Gesù durante la sua vita pubblica.

L’evangelista Marco, al capitolo quarto del suo Vangelo, riunisce insieme un gruppo di parabole che Gesù raccontò con tutta probabilità in luoghi e in momenti diversi nel corso del suo apostolato in Galilea; ma che Marco riunisce in un unico

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“blocco”, come già ha fatto per altri “blocchi” (per la “giornata di Cafarnao”, per le cinque controversie galilaiche, per le reazioni della gente all’apostolato di Gesù).

Domandiamoci che cosa sia una parabola.La parabola anzitutto non è una similitudine, un paragone, in cui due realtà

vengono semplicemente messe a confronto l'una con l'altra; ad esempio: "Come un fiore profuma una stanza, così la tua bontà profuma la casa in cui vivi"; oppure: "Come un uragano devasta la terra su cui si abbatte, così l'ira e la violenza dell'uomo portano rovina e distruzione nelle persone che ne sono colpite". Queste sono similitudini, paragoni; non sono parabole.

La parabola non è neppure un'allegoria. Nell'allegoria tutti e singoli gli aspetti e i particolari del racconto hanno un corrispondente nella realtà. Ad esempio nell’allegoria della vite e i tralci, raccontata da Gesù in Gv 15,1-8, l'agricoltore è Dio; la vite è Cristo; i tralci siamo noi; se i tralci restano uniti alla vite vivono, così noi se restiamo uniti a Cristo viviamo della vita di Dio; l'agricoltore pota i tralci che portano frutto perché portino più frutto, così Dio agisce su di noi in modo anche doloroso, alle volte, perché portiamo maggiori frutti di bene; ecc.

La parabola invece è un racconto che parte da un fatto di esperienza (un fatto di esperienza noto generalmente anche agli ascoltatori), ma che viene presentato con un aspetto nuovo e singolare, con un aspetto inverosimile e in un certo senso strano che sorprende l’ascoltatore o il lettore, e gli fa dire: "No, non succede così; di solito nella realtà non succede così come dice la parabola!"Sì, è vero, nella realtà di solito le cose non succedono come dice la parabola, anzi succedono proprio diversamente; ma Gesù, con le parabole, vuole appunto annunciare e insegnare la novità di Dio, il modo nuovo e singolare, sorprendente e inedito dell’agire di Dio, il suo farsi presente nella storia del mondo in modo inusitato; Gesù con le parabole vuole rivelare il volto sorprendente di Dio, quel volto e quello stile di agire che l’uomo non si sarebbe mai aspettato e immaginato di lui. Per cui, proprio mediante gli aspetti singolari e originali che Gesù aggiunge ai fatti che racconta nelle parabole, egli insegna il “mistero” di Dio e annuncia le “sorprese” del Signore. Dio è novità; Dio è realtà che “spiazza” l’uomo! C'è dunque un aspetto di enigma e di stranezza nella para-bola, un aspetto inatteso che lascia perplessi e stupiti, e che va quindi "ascoltato"; e che potrebbe anche -per la sua inverosimiglianza- essere disatteso e rifiutato. Gesù dirà più volte, alla fine delle parabole: “Chi ha orecchi per intendere, intenda”.

Facciamo qualche esempio. Il seminatore della parabola esce a seminare e semina su ogni tipo di terreno, anche sulla strada, tra i sassi e tra le spine. Ma il seminatore di Galilea non fa così! anzi, egli è ben attento a dove getta il seme per non sprecarlo inutilmente. Ma se il seminatore di Galilea non fa così, Dio fa proprio così! Egli semina e offre la sua parola a tutti, senza selezionare le persone e senza escludere nessuno “a priori” (Mt 13,3-9).

Il pastore della parabola lascia le novantanove pecore sui monti e va in cerca di quella perduta. Ma il pastore di Galilea non fa così; egli non abbandonerebbe mai il suo gregge, lasciandolo esposto al pericolo dell’aggressione dei lupi, per mettersi alla ricerca di una sola pecora perduta! E' vero, il pastore di Galilea non fa così; ma Dio fa così! Egli è talmente appassionato della sua pecora perduta da commettere una tale imprudenza (Lc 15,4-7).

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Una donna che fa il pane non mette solo un pugno di lievito in tre staia di farina, come fa la donna della parabola. Un pugno di levito infatti non è capace di far fermentare tre staia di farina (86 chili)! Ma Dio sì! Il suo Regno, pur essendo una pic-cola realtà, è capace di fermentare e rinnovare tutta la storia umana (Lc 13,20-21).

Una donna che perde una dramma e poi la ritrova non chiama tutte le amiche a far festa con lei, e non mette in subbuglio tutto il vicinato. Sarebbe una cosa eccessiva ed esagerata. Ma Dio fa proprio così quando ritrova un peccatore perduto: mette in movimento e in subbuglio tutto il paradiso, da quanto felice è! Per lui una festa infinita non è cosa eccessiva, quando un peccatore viene ritrovato (Lc 15,8-10).

Un creditore che ha due debitori, uno dei quali gli deve una piccola somma e l’altro una grande somma, non condona -di solito- il debito; ma attende, sollecita, insiste, chiede e continua ad esigere da tutti e due il pagamento di quanto gli spetta e di quanto gli è dovuto. Ma Dio non fa così. Dio condona il debito a tutti; Dio condona il debito a tutti i suoi creditori! Per cui, per paradosso, chi gli era più debitore viene da lui ad essere più favorito, e viene a ricevere da lui un trattamento di maggiore vantaggio! Per cui costui lo amerà anche particolarmente, e di più dell’altro (Lc 7,36-50).

Il padrone di una vigna non dà, generalmente, a tutti gli operai lo stesso compenso, ma proporziona il compenso alla quantità di lavoro svolto da ciascuno di essi. Invece il padrone della vigna della parabola dà un denaro di paga sia agli operai che hanno lavorato tutta la giornata sia a quelli che hanno lavorato un’ora soltanto; e Dio fa così, dona a tutti la piena salvezza, sia a quelli che lo hanno servito per tutta la vita, sia a quelli che si sono convertiti all’ultima ora; perché la salvezza è, per tutti, un dono assolutamente gratuito! (Mt 20,1-16).

Gesù dunque, che aveva da rivelare il volto inedito di Dio e il suo modo sorprendente d’agire, fece ricorso alle parabole, racconti presi da situazioni familiari e vicine agli ascoltatori, ma con l’aggiunta di elementi particolari e originali, per far capire il “mistero” che andava annunciando.

All’inizio del discorso sulle parabole Marco nota che Gesù stava insegnando lungo le rive del lago di Genezaret e si rivolgeva alle folle (Mc4,1-2). Le rive del lago di Genezaret erano il luogo dove poteva riunirsi tutta la gente, anche la gente semplice e popolana, compresi i pellegrini di passaggio che proprio di là, lungo uno dei due bracci della “via maris”, si recavano a Gerusalemme e in Egitto, o da Gerusalemme e dall’Egitto ritornavano in patria. Alle folle, alla gente in genere, Gesù amava parlare in parabole (cfr Mc 4,33-34), perché quello era il linguaggio più semplice e per loro più comprensibile. Agli scribi e ai farisei invece Gesù sapeva parlare in termini di disputa, di controversia, con numerosi richiami alle Sacre Scritture secondo i metodi rabbinici più raffinati (cfr Mt 19,1-9; Mc 12,24-27; Mc 12,35-37).

Gesù, nel suo anno e mezzo di apostolato in Galilea, predicò e insegnò a tutti: ai farisei in sinagoga e nelle controversie; ai battisti, fino al punto da convertirne alcuni di loro a sé (Andrea, Giovanni, Pietro); agli zeloti, fino a far diventare uno di loro suo apostolo (Simone); ai pubblicani e ai peccatori, andando a pranzo nelle loro case; ai discepoli, in casa e in disparte; alla gente in genere, lungo le rive del lago di Genezaret.

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Le tre parabole di Gesù raccolte nel capitolo 4 di Marco.Al capitolo quarto del suo Vangelo, Marco racconta tre parabole di Gesù: la

parabola del seminatore che getta il seme su tutti i tipi di terreno, la parabola del seme che cresce e matura per una sua vitalità propria che possiede in se stesso, e la parabola del seme di senapa che è il più piccolo tra tutti i semi ma che cresce fino a dare origine a un grande arbusto. Marco fa una scelta particolare fra tutte le parabole che Gesù raccontò in Galilea(cfr Mc 4,33), volendo darci con esse un particolare messaggio circa la persona di Gesù e la sua opera in quell’anno e mezzo. E’ interessante che all’inizio di tutto il discorso sulle parabole Marco ponga sulle labbra di Gesù la parola “ascoltate” (Mc 4,3). Questo per dire che occorre “ascoltare”, cioè aprire il cuore e voler accogliere il messaggio, per capire le parabole.

La parabola del seminatore che getta la semente su tutti i tipi di terreno (Mc 4,3-9) esprime una specie di bilancio sull’attività apostolica di Gesù in Galilea. Gesù nell’anno e mezzo del suo apostolato aveva seminato la Parola di Dio in tutti i tipi di terreno, aveva predicato a tutte le persone appartenenti a qualsiasi gruppo sociale, religioso o politico, senza esclusione alcuna e senza preclusione di sorta; e molta della sua parola non aveva trovato terreno buono, cioè non era stata accolta dalla gran parte dei farisei, dei battisti, degli zeloti, degli erodiani, dei pubblicani…; ma nel cuore di alcuni la sua parola aveva invece trovato posto ed era stata accolta. Gesù poteva contare su un gruppetto, i dodici apostoli che avevano accolto nel proprio cuore la sua parola e l’avevano fatta fruttare al cento per uno (si erano infatti decisi totalmente per lui e per il Regno di Dio!); Gesù aveva attorno a sé dei discepoli, che lo seguivano con disponibilità e con attenzione (costoro avevano fatto fruttare nella propria vita la parola di Gesù, e di Dio, al sessanta per uno); e Gesù aveva attorno a sé anche un gruppo di simpatizzanti che lo ascoltavano volentieri e lo cercavano (costoro avevano fatto fruttare in se stessi la ptoposta di Gesù al trenta per uno). L’opera apostolica di Gesù affidatagli dal Padre, dunque, non era andata fallita, non era andata perduta, anzi aveva ottenuto il suo risultato; il Regno di Dio era stato realmente piantato sulla terra e la storia del mondo aveva ormai dentro di sé il germe fecondo e vivo dell’opera di Dio. Dio aveva mandato il suo Figlio nel mondo perché egli piantasse il suo Regno sulla terra, e tale Regno era stato piantato, benché i seguaci di Gesù fossero ancora molto pochi…

Ma quel Regno di Dio, costituito da Gesù, e dai pochi suoi seguaci, era in realtà il piccolo seme di cui parla la seconda parabola (Mc 4,26-29); era qualcosa di forte e di vivo, che aveva in se stesso la potenza addirittura di Dio; per cui quel seme, quel piccolo gruppo e comunità si sarebbe sicuramente sviluppata e sarebbe sicuramente giunta a maturazione, anche se il “seminatore”, Gesù e i suoi discepoli, si fossero concessi con tranquillità il necessario riposo…; il Regno di Dio sarebbe venuto avanti e si sarebbe sviluppato per una spinta intrinseca contenuta in sé, e per la potenza stessa di Dio che la permeava.

Anzi, quel seme, quella comunità, avrebbe raggiunto proporzioni inaspettate e inattese, straordinarie, così come un granello di senapa, che pur essendo il più piccolo fra tutti i semi, giunge fino a diventare un grande arbusto e a dare ospitalità e rifugio agli uccelli del cielo che si posano sui suoi rami (è il senso della terza parabola raccontata da Marco: Mc 4,30-32).

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Questa visione delle cose, questa fiducia e ottimismo Gesù lo attingeva dal Padre, nelle sue lunghe ore di preghiera e di colloquio con lui; ed egli lo voleva trasmettere ai suoi apostoli, ai suoi discepoli, e a tutta la gente.

Per la riflessione

1. Gesù, con le parabole, rivelava cose nuove e straordinarie; occorreva avere orecchi ben aperti e cuore disponibile per accogliere il suo messaggio. Spesso Dio si presenta anche a noi, nella nostra vita, con novità e sorprese che ci prendono alla sprovvista e ci mettono in difficoltà. E’ necessario accogliere con cuore docile e con fiducia le sorprese di Dio e i suoi cenni inattesi; essi ci obbligano forse a cambiare, ma ci spingono certamente su vie più buone e migliori.

2. Con la parabola del seminatore che getta il seme su tutti i terreni Gesù voleva insegnare che Dio ha un cuore largo, un cuore che non fa distinzione di persone e che estende generosamente a tutti gli uomini i suoi doni. Così deve diventare anche il nostro cuore: un cuore aperto e buono, dalle dimensioni planetarie, che non seleziona e non giudica, che non esclude e che non scarta nessuno, ma che è pieno di fiducia nelle possibilità e nelle potenzialità di bene e di conversione di ogni persona.

3. Con la parabola del seme che, una volta seminato, cresce e si sviluppa fino a maturazione per una vitalità e forza che possiede in se stesso, Gesù voleva insegnare ad aver fiducia anche nelle situazioni che sembrano più rovinate e senza futuro.In ogni persona c’è un germe di verità e di bene che Dio ha posto e seminato; un germe vivo che egli è capace di far germogliare e portare a maturazione. Forse egli non lo fa maturare subito, lo farà maturare a suo tempo. Forse a noi non sarà dato mai di vedere tale maturazione (o perché resterà il segreto di Dio e di quella persona, o perché essa si realizzerà solo dopo che noi saremo morti e la vedremo solo nell’aldilà). Ma dentro ogni cuore umano c’è un germe divino di vita e una presenza forte del Regno di Dio. Dobbiamo avere questa speranza. Dio è il Padre onnipotente che ama ogni uomo, e al quale sta immensamente a cuore il destino di ciascuno dei suoi figli. Egli saprà come fare…Del resto, già abbiamo visto qualche persona che è cambiata profondamente nella sua vita. Forse anche noi siamo diversi (in bene) rispetto a una volta…

In ogni situazione, anche la più tragica, c’è una forza di salvezza: ce lo assicura la vicenda di Gesù crocifisso, nella quale (ed era l’azione più malvagia e più sbagliata che gli uomini potessero compiere!) Dio ha nascosto il bene di tutta l’umanità, la nostra stessa salvezza. Per cui in tutto, anche in una difficoltà, in un problema, in una malattia, in una morte…è nascosto dentro un bene.

In ogni difficoltà e problema, nostro o altrui, noi possiamo mettere dentro preghiera; quella preghiera sarà un germe divino che certamente germoglierà a suo tempo, e trasformerà positivamente quella situazione. Nessuna situazione è più la stessa dopo che ci abbiamo messo dentro della preghiera. Essa cambierà, secondo il vero bene (Giac 5,16-20).

4. Con la parabola del granello di senapa, che è il più piccolo di tutti i semi ma che cresce fino a diventare un arbusto, Gesù voleva insegnare che la salvezza, anche se

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affidata spesso a mezzi e a strumenti, umanamente parlando, insufficienti e inadeguati, verrà portata da Dio a piena e completa realizzazione.

Tante volte la S.Scrittura ci mostra come Dio abbia superato la assoluta sproporzione tra il dato d’inizio e il risultato finale: Abramo e Sara “ridono” davanti a un futuro impossibile e irrealizzabile, ma Dio farà nascere da loro Isacco (Gen 17,15-19; Gen 18,9-15; Gen 21,1-7; Rom 4,18-22); Gedeone non si ritiene capace di operare la liberazione di Israele perché troppo debole e incapace, ma il Signore provvederà lui stesso a sostenerlo (Giud 6,11-16); Maria domanda all’angelo come sia possibile che si realizzino le sue parole che parlano di una maternità verginale, ma “nulla è impossibile a Dio!” (Lc 1,34-38); gli apostoli dicono a Gesù: “C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci, ma che cos’è questo per tanta gente?” (Gv 6,9), non bastano! e invece Gesù li moltiplica e li fa bastare.

Mettiamo anche noi nelle mani di Gesù quel poco che siamo e che abbiamo, ed egli lo moltiplicherà per il Regno dei cieli! Il Signore è capace, pur con le nostre deboli forze, di renderci bravi padri e madri di famiglia, di farci vivere in modo straordinario la nostra vocazione, di farci arrivare alle vette più alte della santità, di renderci suoi coraggiosi testimoni davanti agli uomini nel mondo.

Rilettura della parabola del seminatore fatta dalla Chiesa primitiva (Mc 4,13-20).

La prima delle tre parabole, quella del seminatore che semina su tutti i terreni, è stata, in un secondo momento, reinterpretata dalla Chiesa primitiva (Mc 4,13-20). La Chiesa primitiva, dopo la morte e la risurrezione di Gesù, ha riflettuto su questa parabola raccontata dal Signore, e da essa ha tratto nuovi insegnamenti adatti e consoni alla sua nuova situazione in cui si trovava.

La Chiesa dei primi tempi cominciò ad avere all’interno di sé, accanto a persone entusiaste e generosissime, anche dei cristiani tiepidi e poco impegnati che, dopo aver accolto con prontezza il Vangelo, si erano raffreddati nel loro entusiasmo; cristiani fragili e deboli che venivano meno di fronte alle persecuzioni; cristiani che si lasciavano risucchiare dalle lusinghe del mondo, dal richiamo delle ricchezze, dal vivere immersi nelle cose della terra, presi e catturati dalle preoccupazioni della vita. Per cui non avevano più spazio nel loro cuore per la Parola di Gesù.Ecco allora che la Chiesa dei primi tempi si servì della parabola del seminatore raccontata da Gesù per sviluppare una riflessione sui vari terreni in cui il seme della Parola di Dio poteva cadere, al fine di invitare i cristiani ad essere “terreno buono”. La riflessione della Chiesa si fermò e si concentrò proprio sull’esame dei terreni, istituendo un preciso parallelo tra ciascuno di essi e le singole situazioni dei cristiani di allora.

Il primo terreno, indicato dalla parabola come “strada”, su cui il seme cade ma resta in superficie tanto che gli uccelli vengono a beccarlo e a portarlo via, sono quei cristiani che non permettono alla Parola di Dio, udita, di entrare nella loro mente e di scendere nel loro cuore; gli uccelli che la beccano e la portano via sono il simbolo di Satana, che ha facile gioco e possibilità di rubare la Parola dalla mente di tali cristiani. Satana cerca in tutti i modi di portare via la Parola, perché egli sa che l’uomo finchè conserva in sé la Parola di Dio è impeccabile (1Gv 3,9); mentre, una volta privato della Parola di Dio, diventa attaccabile da tutte le parti. Il cristiano che ode la Parola di Dio deve offrirle profondità di accoglienza e saperla conservare a lungo nel cuore.

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Il secondo terreno è il terreno sassoso, che accoglie il seme ma non ha profondità sufficiente perché le radici del seme possano affondare quanto occorre, per cui al sopraggiungere del sole e del caldo la semente si secca e resta bruciata. Tale terreno è simbolo dei cristiani che inizialmente accolgono con gioia la Parola di Dio, ma sono deboli e incostanti, e al sopraggiungere di qualche tribolazione o delle persecuzioni a causa del Vangelo cedono e vengono meno. Nei primi tempi della Chiesa c’era forte la persecuzione violenta, e anche oggi in varie parti della terra è ancora in atto il tentativo di bloccare la fede cristiana arrivando fino ad uccidere; nelle nostre terre la persecuzione si presenta in maniera più sottile e più subdola, ma non per questo meno pericolosa: col tentativo della mentalità pagana del mondo di infiltrarsi e penetrare nel modo di pensare e di agire dei cristiani, così che vengano meno ai principi del Vangelo. E’ facile per i cristiani che vogliono rimanere fedeli a Cristo sentirsi derisi, compassionati, considerati dei diversi, ed emarginati dalla società; è difficile rimanere fedeli a Cristo e resistere a tale persecuzione. Richiede fortezza d’animo e profondo radicamento nella Parola di Dio.

Il terzo terreno è il terreno pieno di spine, che accoglie il seme ma che poi lo soffoca con le sue spine. Le spine, secondo la parabola, sono di tre tipi: ci sono le spine che sono le preoccupazioni della vita (le preoccupazioni possono diventare così forti e così invadenti l’animo umano da assorbire del tutto le forze interiori fino a far dimenticare completamente la parola); spine possono essere il desiderio delle ricchezze, che legano e occupano pienamente il cuore fino a renderlo insensibile a Dio e ai fratelli; spine possono essere le varie bramosie e passioni disordinate che devastano l’animo e soffocano la parola del Signore.

Infine il quarto terreno è il terreno buono, che fa fruttare con grande abbondanza il seme della parola di Dio. Tale terreno simboleggia i cuori generosi, dotati di tre qualità: essi ascoltano la parola di Dio, la accolgono con desiderio e con grande ardore, la compiono di fatto ponendo gesti concreti corrispondenti ad essa.

Per la riflessione1. Tutti siamo nel pericolo di essere terreno-strada nei confronti della parola di

Dio, cioè persone superficiali e leggere, che non prendono sul serio le cose del Signore; terreno sassoso che non permette alla parola di Dio di creare in noi profonde convinzioni e uno stile di vita preciso e deciso; terreno pieno di spine con mille desideri, mille gusti e mille interessi più o meno buoni, che soffocano dentro di noi la parola e la voce del Signore.

2. Terreno buono è chi, come Maria, conserva in sé con attenzione e cura la Parola di Dio (Lc 2,51), e cerca di metterla in pratica nella vita (Mt 7,21; Lc 11,28).

Due detti parabolici (Mc 4, 21-25)Dopo la spiegazione della parabola del seminatore Marco riporta due detti

parabolici di Gesù con cui egli insegna altri due atteggiamenti da avere nei confronti della parola di Dio: il detto della lampada e il detto della misura.

Il detto della lampada (v 21-23). Con questo detto Gesù vuole richiamare i suoi discepoli alla responsabilità che essi hanno di annunciare e far conoscere la parola di Dio udita.

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Nelle case ebree c’erano delle piccole lucerne ad olio in terracotta che si accendevano la sera per illuminare l’ambiente e per vederci. Le si poneva sopra un mobile o sopra un candelabro, in posizione elevata, in modo che potessero spandere il più possibile la loro luce nella casa. Non le si poneva sotto il moggio (il moggio era un recipiente di legno usato per conservare il grano e l’orzo; del volume di quasi mezzo metro cubo): non si prendeva questo recipiente, questo vaso, lo si capovolgeva e vi si poneva sotto la lucerna, se no la lucerna si spegneva per mancanza di aria. Né si poneva la lucerna sotto il letto, altrimenti non avrebbe fatto luce a nessuno. Ma la si poneva sul candelabro perché tutti la vedessero.

Così dev’ essere fatto con l’insegnamento di Gesù: deve essere fatto brillare e deve essere messo bene in vista; deve cioè essere annunciato e proclamato, testimoniato. Tutti lo devono poter vedere.

Era ciò che Gesù andava facendo in Galilea (e ciò che avrebbe poi fatto in modo ancora più grande e straordinario sulla croce. La croce sarà il grande candelabro posto sul mondo da cui Gesù proclamerà a tutti il supremo insegnamento: l’amore di Dio per gli uomini; l’amore di lui, Cristo, per gli uomini; l’amore che deve regnare fra gli uomini tra loro). Il compito di far brillare l’insegnamento di Gesù spetta oggi ai suoi discepoli, a noi cristiani. E’ nostra grande responsabilità.

Il versetto 22 è con tutta probabilità un proverbio del tempo di Gesù che viene applicato a quanto si sta dicendo. Il proverbio doveva voler dire così: “Non illudetevi che quello che viene detto e fatto di nascosto resti nascosto. Quante cose vengono dette e fatte di nascosto, pensando che nessuno mai verrà a saperle, e poi invece tutti le vengono a sapere! Ciò che è nascosto viene prima o poi alla luce!” Inserito qui, questo proverbio vuole dire: l’insegnamento di Gesù, dato da lui a quei pochi che egli ha intorno a sé, deve essere fatto conoscere a tutti, deve essere partecipato al mondo intero. In Mt 10,27 Gesù dice: “Quello che vi dico nelle tenebre ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio predicatelo sui tetti”.

Il detto della misura ( Mc 4,24-25). Con questo detto Gesù invita i suoi discepoli a fare tesoro del suo insegnamento. L’insegnamento di Gesù non va trascurato, non va snobbato. Occorre fare attenzione a non essere chiusi davanti ad esso, bensì ad avere una larga misura di accoglienza nei suoi confronti, perché da questa nostra misura di accoglienza dell’insegnamento di Gesù (accoglienza che può essere grande o piccola, totale o parziale) dipende il dono che riceveremo da Dio, dipende il “come noi saremo misurati”.

Dio misurerà la nostra apertura al suo insegnamento e ci darà un dono di conseguenza: grande se sarà stata grande la nostra apertura, piccolo se essa sarà stata piccola. Questo non perché Dio sia avaro nel donare, ma perché egli non può far passare più dono di quanto noi gli permettiamo che passi. Dio anzi è generoso, e dà di più di quanto noi meriteremmo; dice infatti il v 24: “Con la stessa misura con la quale misurate, sarete misurati anche voi; anzi vi sarà dato di più”; Dio è generoso nel donare, dona di più di quanto noi meriteremmo, ma pur sempre tenendo a base la nostra misura di disponibilità a lui.

Chi è aperto a Dio verrà grandemente arricchito; per cui si verificherà ciò che è detto al v 25: “a chi ha (apertura verso di lui e verso il suo insegnamento) sarà dato (un grande dono, e sarà nell’abbondanza); e a chi non ha (nessuna apertura) sarà tolto anche quello che ha (cioè costui verrà a perdere anche quel poco di bene che aveva).

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Per la riflessione1. Il discepolo di Gesù deve far sì che la parola di Gesù sia una lampada che

illumina la sua vita; deve fare in modo che essa brilli convenientemente e sufficientemente in ogni angolo della sua mente e del suo cuore, così da orientare tutte le scelte e le azioni. Per questo egli deve alimentare di continuo questa lampada, con la preghiera e la meditazione (Sal 119,105).

2. Il discepolo di Gesù deve sentire il dovere e la responsabilità di tenere alta nel mondo la parola di Gesù, di diffonderla e di farla conoscere in famiglia, al lavoro, nel tempo libero, nell’incontro con le persone, nell’ambiente in cui vive. Così che la fede si diffonda e si rigeneri, passi alle nuove generazioni e attraversi i tempi e i secoli (At 1,8).

3. Il discepolo di Gesù deve offrire alla parola di Gesù un cuore aperto e generoso, perché in base alla sua apertura di cuore egli riceverà da Dio un dono più o meno grande. Tale apertura di cuore è importante anche perché da essa dipende il progredire o il regredire della sua vita spirituale. Non si sta mai fermi nella vita spirituale; o si avanza o si regredisce.

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Delle 42 parabole dei Vangeli:

-quattro sono comuni a tutti e tre i Sinottici (il seminatore, il granello di senape, i vignaioli omicidi, il fico);

-nove sono comuni a Matteo e Luca soltanto (andando dal giudice, i fanciulli sulla piazza, il ritorno offensivo dello spirito immondo, il lievito, la pecorella smarrita, il banchetto nuziale, il ladro di notte, il maggiordomo, i talenti/le mine);

-nove sono del solo Matteo (la zizzania, il tesoro, la perla, la rete, il servo spietato, gli operai mandati nella vigna, i due figli, le dieci vergini, il giudizio finale);

-due sono del solo Marco (il seme che spunta da solo, il portiere);-diciotto sono del solo Luca (i due debitori, il buon samaritano, l'amico importuno, il ricco stolto,

il ritorno del padrone, il fico sterile, la porta chiusa, la scelta dei posti, la scelta degli invitati, la costruzione della torre, la partenza per la guerra, la dramma perduta, il figliol prodigo, l'amministratore infedele, il ricco epulone, il servo inutile, il giudice iniquo, il fariseo e il pubblicano).

7. I miracoli (Mc 4,35 – 5,43)

L’evangelista Marco, dopo aver riportato alcune parabole raccontate da Gesù nell’anno e mezzo del suo apostolato in Galilea, riporta alcuni miracoli compiuti da lui in quello stesso periodo. Anche qui l’evangelista procede “a blocchi”, e riunisce insieme tre miracoli e un esorcismo che Gesù probabilmente compì in momenti e in tempi diversi, ma che Marco riunisce insieme in un’unica composizione per presentarci Gesù nella sua opera di taumaturgo e di esorcista.

a) La tempesta sedata (Mc 4,35-41)

Il lago di Genezaret è un lago che si trova in una profonda depressione geografica, a 210 metri sotto il livello del mare. E’ uno specchio d’acqua solitamente tranquillo, ma che è soggetto a improvvise e violente tempeste a causa dei venti forti

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