S&F_n. 1 (2009)
description
Transcript of S&F_n. 1 (2009)
S&F_n. 1 (2009)
145
S. Pollo, La morale della natura Laterza, Roma‐Bari 2008, pp. 170, € 12
Il testo di Pollo si presenta scorrevole, ricco di argomenti
e rimandi (curate la Bibliografia e gli indici, nonché
l’accorta Bibliografia ragionata per temi, presente in
appendice all’ultimo capitolo), capace di mostrare con
chiarezza le contraddizioni interne all’utilizzo
spropositato e autoreferenziale del concetto di “natura”.
A quanti promuovono le proprie teorie favorevoli o
contrarie al matrimonio di coppie gay, all’eutanasia o ad
argomenti analoghi utilizzando la definizione di
“naturale”, Simone Pollo oppone una «genealogia
naturalizzata della morale». Solo con uno studio che si
insinui nel concetto è possibile, in effetti, individuare le
motivazioni che sottendono all’auto‐attribuzione di autorità: definire una pratica o un
comportamento come “morale” ha l’indebito scopo di non sottoporlo ulteriormente ad
indagine o critica.
Attraverso un serrato percorso concettuale in otto capitoli più un epilogo prettamente
bioetico, Simone Pollo smonta questo uso di parte del termine natura, evidenziandone
invece la poliedricità e tridimensionalità, riuscendo così a spezzare i legami interpretativi
tra «caratteri di realtà, oggettività, autenticità ed indipendenza» e il significato di
«autorevolezza» per «ragionare sulla dimensione normativa dell’idea di Natura» (p. 34).
L’attribuzione di autorità al “naturale” è dovuta a un transito, di cui già Hume era
cosciente, da ciò che è a ciò che deve essere: la trasformazione della normalità da dato
statistico in moralità etica, considerando la natura come un orizzonte stabile, «reale ed
identica nel tempo e nello spazio» (p. 40), nettamente distinta dal piano dell’umano,
fallibile per definizione: la datità saggia della natura è «regolarità», in cui le singolarità
sono lette come «tracce di un piano più generale» (p. 61).
Pollo rompe il principio di causa che lega necessariamente “orologio” e “orologiaio”
grazie alla teoria darwiniana, sebbene il carattere divulgativo e poco specialistico
dell'opera comporti inevitabilmente qualche imprecisione: così non ci è possibile
RECENSIONI&REPORTS recensione
146
affermare con l’autore che «di fatto l’evoluzione darwiniana è un processo che tende a
premiare gli organismi che presentano vantaggi per la sopravvivenza», poiché in effetti il
darwinismo non è un “processo”, ma una lettura teorica, narrativa e storica di evidenze
naturali, che ‐ in quanto lettura/interpretazione ‐ non assegna premi o punizioni ma
“legge/interpreta” i premiati, coloro che sopravvivono. Correttamente, invece, individua
nella teoria darwiniana la categoria nel “non finito” come la più propriamente applicabile
al concetto di “naturale”, nell’uomo e nell’ambiente. La natura è subottimalità per
eccellenza e come sottolinea l’autore «il fatto di essere emersi dal processo di selezione
naturale non è una patente di ottimalità in senso assoluto» (p.72). Se privata del suo
carattere fondamentalmente storico la natura umana si presenta a una lettura
disvelativa tipica delle scatole cinesi, in cui la legge naturale individua «una lista
completa di obblighi, diritti e doveri morali validi in modo assoluto e per tutti gli esseri
umani, semplicemente, guardando appunto alla natura umana o allo stato delle cose»
(Lecaldano, 1995, qui a p. 75). Scrive Pollo: «l’autorevolezza dell’ordine dato al quale gli
esseri umani devono conformare la loro razionalità pratica dipende direttamente dal
fatto che l’autore di questo presunto ordine sarebbe direttamente la divinità» (p. 80).
L’autorevolezza di quest’ordine è però conoscibile attraverso la ragione, ragione però
umiliata entro l’osservazione di ciò che è dato. La dottrina cattolica, acme di questa
concezione della legge naturale, suffraga, grazie a ciò, una concezione prudenziale di
salvaguardia della vita dal concepimento fino alla morte completa dell’organismo, per la
manifesta incapacità di individuare l’esatto momento in cui l’anima entra nel corpo.
Infatti, prosegue il nostro autore, «la condanna da parte del magistero cattolico di forme
di riproduzione o di modi di morire “non naturali” si fonda sull’idea di una legge naturale
che risponde all’ordine stabilito dalla divinità per la natura umana e dato agli esseri
umani come “dono”, sul quale tuttavia l’umanità stessa ha una sovranità limitata» (p.
84). Possiamo a ragione parlare di «umiliazione» dal momento che «non abbiamo alcuna
prova a sostegno di una convergenza degli esseri umani su queste presunte verità.
L’esperienza, semmai, testimonia un’incredibile pluralità di concezioni circa la natura
umana» (p. 85). Il problema si sposta, dunque, sul significato da attribuire alla «natura
umana»; ma se abbandoniamo l’idea che ve ne sia una «che è oltre l’esperienza comune
(e che prende la forma dell’anima spirituale, ad esempio), possiamo solo fare
affidamento su resoconti empirici della natura umana. Spiegare la vita morale ricorrendo
S&F_n. 1 (2009)
147
unicamente a quest’ultimo tipo di ricostruzioni è il nocciolo teorico dell’impresa che va
sotto il nome di “naturalizzazione dell’etica”» (p. 93). Pollo ci mette in guardia come non
sia solo la dottrina cattolica a fornire interpretazioni delle teorie morali, tra le quali è
possibile ritenere inattendibili tutte quelle che considerano immutabili i presupposti
della moralità: il velo d’ignoranza rawlsiano o la razionalità kantiana, ad esempio,
fondano teorie “false” in quanto empiricamente inverificabili, a differenza degli approcci
sociobiologici i quali, nonostante oggettive esagerazioni (non è possibile, né auspicabile
asservire l’etica a un punto di vista meramente biologico), costituiscono basi osservative
stabili volte a fondare il concetto di “umanità”. Per un’effettiva “genealogia naturalizzata
della moralità” sono necessari tutti gli approcci limitrofi alla biologia, all'interno delle
“scienze della vita” (etologia, neuroscienze, paleoantropologia, ecc.), il cui contributo è
fondamentale nell’individuare la nostra determinazione biologica «dal momento che noi
siamo e non possiamo essere altro che organismi biologici, il cui cervello ‐ fra l’altro ‐ è
capace di pensare e sentire moralmente» (p. 105). L’applicazione delle neuroscienze
all’etica può ben indirizzarci circa lo sviluppo dei comportamenti morali, sviandoli dalle
storiche direzioni del sacrificio e della mortificazione. Attraverso una prospettiva
darwiniana individuiamo la corporeità di comportamenti ed emozioni, mentre attraverso
una ricostruzione storica delle origini della moralità è possibile «rinforzare la fiducia nella
capacità degli appartenenti alla specie Homo sapiens di interrogarsi in prima persona sul
bene e sul giusto e di agire di conseguenza» (p. 121). È proprio il concetto storicizzato
della natura umana che conduce il nostro autore alla distinzione, nel pubblico e nel
sociale, tra “offesa” e “danno”, potendo così porre a fondamento delle regole sociali
criteri pubblici, essoterici: «se si tratta di dare riconoscimento ai diritti delle persone, ciò
che conta non è la rispondenza di quel riconoscimento a parametri naturali (per quanto
naturalizzati)» (p. 132). Il problema del richiamo al concetto di natura per corroborare
tesi diverse e in contrasto tra di loro, viene considerato, giustamente, un errore: per
prima cosa perché questo concetto va a sua volta naturalizzato, cioè considerato
empiricamente (se non anche storicamente) e in secondo luogo dal momento che per
tutti gli argomenti e le questioni discusse in una realtà sociale “liberale” il richiamarsi alla
natura «non è rilevante», in quanto, come afferma ancora l'autore, «nel contesto
liberale, ciò che è meritevole di protezione e tutela sono gli interessi e le scelte degli
RECENSIONI&REPORTS recensione
148
individui. Il fatto che questi siano in accordo o in contrasto con la natura non è rilevante
per una società liberale e bene ordinata» (p. 132).
Probabilmente, vista la “natura” dell’argomento, che si centra su temi e dibattiti di
cocente attualità, come i modi e le modalità della procreazione, lo statuto delle coppie
omosessuali, l’eutanasia, l’intreccio manifesto e nefasto – soprattutto nel nostro Paese –
di religione e politica, di culto e credo, il carattere divulgativo dell’opera potrà
permetterne la lettura a un pubblico più vasto dei soli specialisti, siano essi filosofi o
bioetici, poiché i rimandi filosofici o saggistici non costituiscono mai né un orpello
letterario né, tantomeno, un ostacolo all’esposizione. Le citazioni, sono invece parte
integrante dell’esposizione, piattaforma per ulteriori riflessioni, conclusioni e
arricchimenti.
LAURA DESIRÈE DI PAOLO