SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE … · Lovato Luigi Paolo, nato l’11 marzo 1953 a...
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
VENETO SENTENZA 133 2015 RESPONSABILITA' 22/09/2015
Repubblica Italiana
In Nome del Popolo Italiano
La Corte dei Conti
Sezione Giurisdizionale Regionale per il Veneto
Composta dai Sigg.ri Magistrati
Guido Carlino Presidente
Giovanni Comite Giudice relatore
Giuseppina Mignemi Giudice
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Nel giudizio di responsabilità, iscritto al n. 29898 del registro di segreteria, promosso dalla Procura
regionale della Corte dei conti per il Veneto nei confronti dei sigg.ri:
1. Zanini Giuseppe, nato il 20 dicembre 1966 a San Bonifacio (VR), residente a Lazise (VR), in
via Gardesana n. 56, int. 2, C.F. ZNN GPP 66T20 H783B, rappresentato e difeso, nel
presente giudizio e in ogni sua fase e grado, anche disgiuntamente, dagli Avv.ti Poggi
Laura, Misino Michele, del Foro di Verona, e Bianchini d’Alberigo Aurelio, del Foro di
Venezia, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, a Venezia (VE), Ponte dei
Squartai, Santa Croce n. 269: al tempo dei fatti componente la Commissione di gara per
l’affidamento di incarico professionale per la realizzazione del Piano di Assetto del
Territorio (P.A.T.) del comune di Lazise (VR);
2. Antonelli Mauro, nato il 1° luglio 1961 a Verona (VR), residente a Lazise (VR), in Vicolo
Croce Papale n. 7, int. 6, C.F. NTN MRA 61L01 L781F, rappresentato e difeso, nel presente
giudizio e in ogni sua fase e grado, anche disgiuntamente, dagli Avv.ti Poggi Laura, Misino
Michele, del Foro di Verona, e Bianchini Aurelio d’Alberigo, del Foro di Venezia, con
domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, a Venezia (VE), Ponte dei Squartai, Santa
Croce n. 269: all’epoca dei fatti contestati componente la Commissione di gara;
3. Lovato Luigi Paolo, nato l’11 marzo 1953 a Bovolone (VR), ivi residente, in via G. Garibaldi
n. 93, C.F. LVT LPL 53C11 B107A, rappresentato e difeso, in questo procedimento, anche
disgiuntamente, dagli Avv.ti Gortenuti Giuseppe, del Foro di Verona, e Sartori Antonio,
del Foro di Venezia, elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo, a Venezia
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(VE), San Polo n. 2988: al tempo Responsabile del Servizio Edilizia Privata – Urbanistica del
comune di Lazise (VR);
4. Franceschini Renzo, nato il 14 aprile 1965 a Bussolengo (VR), residente a Castelnuovo del
Garda (VR), in via S. Antonio n. 38, C.F. FRN RNZ 65D14 B296X, rappresentato e difeso, in
ogni fase e grado del presente procedimento, anche disgiuntamente, dagli Avv.ti Biondaro
Luigi, del Foro di Verona, e Sartori Antonio, del Foro di Venezia, con domicilio eletto
presso lo studio di quest’ultimo, a Venezia (VE), San Polo n.2988: all’epoca dei fatti
Sindaco, con delega all’Urbanistica e all’Edilizia, del comune di Lazise (VR);
5. Tommasini Flavio, nato il 27 giugno 1966 a Verona (VR), residente a Lazise (VR), in via
Tende n. 25, C.F. TMM FLV 66H27 L781L, rappresentato e difeso, a mente dell’art. 86 c.p.c.,
da se stesso, elettivamente domiciliato presso il proprio studio, a Verona, Lungadige
Cangrande n. 6: al tempo Assessore alla Sicurezza ed alle Infrastrutture Turistiche del
municipio di Lazise (VR).
Visto l’atto introduttivo del giudizio, le memorie di costituzione prodotte, gli atti e documenti tutti
di causa;
uditi nella pubblica udienza dell’8 luglio 2015, con l’assistenza del segretario dott. Mizgur Stefano,
il Giudice relatore dott. Comite Giovanni, il Pubblico Ministero, nella persona del Vice Procuratore
Generale dott. Di Maio Giancarlo, l’Avv. Poggi Laura, in rappresentanza e difesa di Zanini
Giuseppe e Antonelli Mauro, l’Avv. Gortenuti Giuseppe, in difesa di Lovato Luigi Paolo, l’Avv.
Biondaro Luigi, in rappresentanza di Franceschini Renzo, e l’Avv. Tommasini Flavio, in
rappresentanza e difesa di se medesimo.
Svolgimento del processo
Con atto di citazione del 06 novembre 2014 la Procura regionale della Corte dei conti per il Veneto
evocava, dinanzi questa Sezione giurisdizionale, i Signori in epigrafe generalizzati per sentirli
condannare al pagamento, in favore del comune di Lazise, delle seguenti somme: dell’importo di €
18.508,52, di cui € 09.254,26, da porre a carico del Geom. Zanini Giuseppe, ed € 09.254,26, da
addebitare al Rag. Antonelli Mauro, e della somma di € 10.737,00, da imputare, nella misura di €
03.579,00 cadauno, all’Ing. Lovato Luigi Paolo, al Sindaco Franceschini Renzo e all’Assessore
Tommasini Flavio, ovvero al pagamento di quella somma, maggiore o minore, che risulterà
dovuta, oltre rivalutazione monetaria, secondo gli indici ISTAT, interessi di legge e spese di
giudizio.
A – La segnalazione.
All’origine della vertenza è la segnalazione/esposto, prodotta in data 08 aprile 2011, con la
quale l’Arch. Virgilio Munari, dello “Studio di Ingegneria e di Architettura”, componente del
raggruppamento temporaneo di imprese partecipante alla gara di appalto per l’affidamento
dell’incarico di redazione del Piano di Assetto del Territorio (P.A.T.) del comune di Lazise (VR),
era a segnalare, tra l’altro, un presunto danno erariale correlato alla condanna del predetto Ente
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committente, ad opera del T.A.R. Veneto, al risarcimento di danni in proprio favore. Dalla
documentazione dimessa in allegato emergeva che con determina n. 28, in data 12 luglio 2007,
adottata dal Responsabile del Servizio Edilizia Privata – Urbanistica, Arch. Parolini Arturo, veniva
approvato l’avviso pubblico, dal medesimo approntato, per l’affidamento dell’incarico
professionale per la “Redazione del Piano di Assetto Territoriale” (P.A.T.) del comune di Lazise
(VR). A seguito della scadenza dei termini (13 agosto 2007) per l’inoltro delle domande di
partecipazione, la Giunta comunale con deliberazione n. 117, del 24 agosto 2007, incaricava
l’Ufficio tecnico di tutti i provvedimenti inerenti la nomina della Commissione giudicatrice per
l’affidamento dell’incarico professionale, dando atto che la stessa doveva essere composta da
numero tre esperti. Di tal ché, con determinazione n. 36, del 04 settembre 2007, l’addetto all’Area
Tecnica – Settore Edilizia Privata, Geom. Bizzocoli Alberto, con funzioni “Vicarie” del
Responsabile del Servizio, Arch. Parolini Arturo (assente per ferie), dopo aver ritenuto di doversi
avvalere, “...nella scelta dei componenti, ...di funzionari interni, data la loro esperienza quali componenti di
commissioni concorsuali”, determinava di costituire la Commissione giudicatrice, composta e
presieduta dal Responsabile del Servizio di Edilizia Privata (in carica), dal Geom. Zanini Giuseppe,
“Responsabile del Servizio Lavori Pubblici – Esperto in gare di appalto”, e dal Rag. Antonelli Mauro,
“Responsabile del Servizio Ragioneria – Esperto in contratti”. Alle formalità e all’esame delle offerte
pervenute, la Commissione giudicatrice procedeva in tre sedute: nel corso della prima, del 05
settembre 2007, presieduta dal Geom. Bizzocoli Alberto, la Commissione, oltre a stabilire i criteri e
i parametri di valutazione, procedeva “...all’apertura dei nove plichi pervenuti entro il termine previsto”.
Nelle successive adunanze procedeva alla verifica e alla valutazione dei “Curricula” professionali
dei partecipanti, del c.d. documento preliminare, ossia dell’elaborato, con valore di indirizzo
progettuale, di competenza della G.M. e che una volta approvato doveva trasferirsi al
professionista estensore del Piano: in breve il P.A.T. doveva risultare coerente con il c.d.
documento preliminare. Di fatti, le riunioni dell’Organo valutativo proseguivano, con la presenza
del Presidente Arch. Parolini Arturo (nella qualità di Responsabile del Servizio Edilizia Privata del
comune di Lazise), nelle giornate del 12 e del 19 settembre 2007, data in cui, all’esito del riepilogo
dei punteggi assegnati, si valutava come più aderente alle necessità dell’Amministrazione
comunale la proposta avanzata dal n. 3 “Studio Arch. Tombolan Piergiorgio”. Cosicché, con
determinazione n. 37, del 24 settembre 2007, il responsabile del Servizio “Area Tecnica – Settore
Edilizia privata”, Arch. Parolini Arturo, conferiva al predetto “Studio” l’incarico professionale per
la redazione del P.A.T. del municipio di Lazise. Avverso gli atti di gara veniva promosso, in data
03 dicembre 2007, ricorso al Tar del Veneto da parte dell’Arch. Sbrogiò Roberto, capogruppo
dell’Associazione Temporanea di Imprese (A.T.I.), di cui faceva parte l’esponente Arch. Munari
Virgilio, che aveva partecipato alla selezione. Tra i motivi, a base della domanda giudiziale, vi era
la violazione degli artt. 2, della Direttiva 2004/18/CE sugli appalti, e 2, del d.lgs. n. 163/2006, vale
a dire la vulnerazione del principio di trasparenza ed imparzialità dell’azione amministrativa,
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atteso che la Commissione giudicatrice nella seduta del 05 settembre 2007, senza darne preventiva
comunicazione ai partecipanti, aveva proceduto alla verifica dell’integrità dei plichi pervenuti, alla
loro apertura, con dichiarazione di conformità alla lex di gara della documentazione ivi racchiusa,
quindi in seduta segreta, mentre i suddetti principi avrebbero imposto la pubblicità, a tutela
della par condicio, delle sedute iniziali delle commissioni siccome dedicate all’apertura dei plichi
contenenti le offerte. A seguito della costituzione in giudizio del comune di Lazise, rappresentato
dagli Avv.ti Domenichelli Vittorio e Zambelli Franco, e del controinteressato vincitore della gara,
Arch. Tombolan Piergiorgio, capogruppo di altra A.T.I., il Tar Veneto con sent. n. 402, dell’11
marzo 2011, dopo aver respinto il ricorso incidentale del controinteressato, tendente a far
dichiarare che il ricorrente principale non avrebbe neppure dovuto essere ammesso alla gara, in
accoglimento della domanda annullava l’intera procedura senza, tuttavia, disporne la ripetizione,
atteso che l’incarico oggetto di gara risultava, all’atto della proposizione del ricorso, in dicembre
2007, e di rigetto dell’istanza cautelare (di cui all’ordinanza n. 20/2008), già ampiamente espletato,
mentre alla data della sentenza il P.A.T. era stato completamente elaborato dall’aggiudicatario
studio Tombolan e definitivamente approvato dalla Regione con D.G.R. del 23 marzo 2010, e
condannava il predetto comune a corrispondere all’ATI, rappresentata dall’Arch. Sbrogiò, un
risarcimento danni per equivalente nella misura di € 08.000,00 (a fronte di una richiesta di €
34.920,00), da maggiorare degli interessi di legge, oltre alle spese di giudizio pari ad € 03.000,00,
I.V.A. e C.P.A. da aggiungere. Nel considerato in diritto la sentenza poneva in risalto che
l’apertura delle buste senza la partecipazione dei concorrenti costituiva una palese violazione dei
principi di trasparenza ed imparzialità, che imponevano, invece, la pubblicità delle sedute nella
fase iniziale. E ciò, indipendentemente dal tipo di procedura prescelta, come affermato dalla
consolidata giurisprudenza.
B – L’apertura della vertenza e l’attività istruttoria disposta dal Requirente.
A seguito del succitato esposto la Procura regionale apriva la vertenza n. V2011/01126/DIM e
spiegava attività istruttoria. In specie, dal seguito dell’attività di accertamento predisposta dal
Requirente, avente epilogo nella produzione documentale avvenuta in esecuzione della nota
istruttoria n. 3239, del 09 maggio 2013, emergeva altresì che il municipio di Lazise, su proposta del
Responsabile del Servizio Edilizia Privata e Urbanistica, Ing. Lovato Luigi Paolo, con deliberazione
n. 65, del 26 aprile 2011, disponeva di gravarsi della decisione di prime cure, sulla quale si
pronunciava il Consiglio di Stato con sent. n. 8, del 07 gennaio 2013, che, nel validare le ragioni
giuridiche esposte dal TAR Veneto, respingeva sia l’atto principale di appello, spiegato dall’Ente
committente, sia l’impugnativa incidentale, tesa ad ottenere un maggior risarcimento per
equivalente, formulata dall’A.T.I. costituenda tra l’Arch. Sbrogiò Roberto e l’Arch. Munari Virgilio,
e condannava il comune di Lazise al pagamento delle spese processuali del 2° grado determinate
in € 03.000,00, oltre accessori.
C - Invito a dedurre.
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I fatti siccome descritti, poiché ritenuti causa del danno erariale di € 18.508,52, di cui €
08.374,26, per esborsi risarcitori ed interessi di legge, ed € 10.134,26, per spese legali, con riguardo
al giudizio di primo grado dinanzi al TAR Veneto, e di € 10.737,00, per le spese legali del giudizio
innanzi al Consiglio di Stato, inducevano il P.M. a notificare invito (congiunto), recante la data del
19 maggio 2014, a produrre deduzioni ed eventuali documenti (entro trenta giorni), con facoltà di
essere auditi nello stesso termine, a soggetti in rapporto di servizio (lato sensuinteso) con il comune
di Lazise, ritenuti, a vario titolo, responsabili del pregiudizio in essere. Il suddetto atto preliminare
ravvisava che degli esborsi derivanti dal giudizio davanti al T.A.R., pari ad € 18.508,52, dovessero
rispondere, in parti uguali, i componenti la Commissione di gara che il 05 settembre 2007 avevano
proceduto all’apertura dei plichi senza la presenza dei concorrenti, in violazione delle disposizioni
disciplinanti la materia e di un consolidato indirizzo giurisprudenziale. In specie venivano
invitati: 1) Bizzocoli Alberto, che riceveva l’atto in data 25 giugno 2014, 2) Zanini Giuseppe e 3)
Antonelli Mauro, che ne accusavano ricevuta il 24 giugno 2014. Riguardo, invece, alle spese legali
di € 10.737,00, da collegarsi al giudizio dinanzi al Consiglio di Stato, l’invito era notificato ai
componenti la Giunta municipale votanti la delibera n. 65, del 26 aprile 2011, siccome proposta dal
Responsabile del Servizio Edilizia privata – Urbanistica. Pertanto, l’atto pre processuale
attingeva: 4) Franceschini Renzo (Sindaco), in data 29 luglio 2014, 5) Tommasini Flavio, per
compiuta giacenza a far tempo dal 25 luglio 2014 di compimento delle formalità prescritte dall’art.
143 c.p.c., 6) Carattoni Agostino, 7) Zanetti Diego, 8) Marinoni Fabio, 9) Bertoldi Claudio e 10)
Adami Diego, in data 24 giugno 2014. Il proponente la deliberazione, Ing. Lovato Luigi Paolo, era
attinto dall’atto pre processuale in pari data, ossia il 24 giugno 2014.
Tutti i convenibili, tranne Antonelli e Zanini, producevano difese preliminari, integrate per
taluni da audizione, che con diverse motivazioni, rimarcanti, tra l’altro, l’acquisizione del parere
del Prof. Domenichelli Vittorio preliminarmente all’assunzione della delibera n. 65, del 26 aprile
2011, instavano per l’archiviazione della vertenza nei loro confronti.
D - Evocazione in giudizio.
Le argomentazioni riportate nelle controdeduzioni dei componenti la giunta e dei dipendenti del
comune di Lazise erano ritenute dalla Procura regionale dirimenti al fine di archiviare le posizioni
del 1) Geom. Bizzocoli Alberto e degli Assessori 2) Carattoni Agostino, 3) Zanetti Diego, 4)
Marinoni Fabio, 5) Bertoldi Claudio e 6) Adami Diego, non persuasive, invece, per disporre
l’archiviazione della vertenza nei confronti del 7) Geom. Zanini Giuseppe, del 8) Rag. Antonelli
Mauro, 9) dell’Ing. Lovato Luigi Paolo, del 10) Sindaco Franceschini Renzo e 11) dell’Assessore
Tommasini Flavio: onde l’evocazione dei predetti ultimi cinque deducenti, che ha incardinato il
presente processo. In specie, l’atto introduttivo attingeva il Sindaco Franceschini Renzo, in data 19
dicembre 2014, l’Ing. Lovato Luigi Paolo, il 13 gennaio 2015, il Geom. Zanini Giuseppe e il Rag.
Antonelli Mauro, il 10 dicembre 2014, l’Assessore Tommasini Flavio, il 12 marzo 2015. Nel libello il
Requirente era, quindi, a confermare la ricorrenza di condotte violative di precisi obblighi di
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servizio, causa di un asserito ingiusto danno per le casse del municipio di Lazise. Infatti, riguardo
alla prima fattispecie di pregiudizio, riteneva che la Commissione di gara, composta oltre che dal
Geom. Bizzocoli, non evocato, dal Geom. Zanini, esperto in gare di appalto, e dal Rag. Antonelli,
esperto in contratti, aveva dato corso, nella seduta del 05 settembre 2007, all’apertura delle buste
con le offerte in seduta non pubblica, in palese violazione dell’art.2, della Direttiva 2004/18/CE
sugli appalti, e dell’art.2, del d.lgs. 163/2006 (c.d. Codice degli appalti pubblici), che imponevano
che gli affidamenti di opere, servizi e forniture dovevano avvenire nel rispetto, tra l’altro, dei
principi di “parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza”, principi, chiari, ovvi, sui quali si è
ripetutamente espresso, in termini di formare un consolidato orientamento, il Giudice
amministrativo. Di tal ché, dell’esborso di € 18.508,52, conseguente al giudizio innanzi al T.A.R.
Veneto, dovevano rispondere in egual misura, ossia nell’importo di € 09.254,26 cadauno, il Geom.
Zanini, Responsabile del Servizio Lavori Pubblici, e il Rag. Antonelli, Responsabile del Servizio di
Ragioneria.
Anche con riguardo alla seconda ipotesi di ingiusto danno il P.M. era a confermare
l’impianto accusatorio, giacché dalla sentenza del TAR Veneto emergeva senza alcuna riserva,
attesa la consolidata giurisprudenza ivi richiamata, la perpetrata violazione dei principi di
trasparenza ed imparzialità, in quanto l’apertura dei plichi non era avvenuta alla presenza dei
concorrenti.
In breve, il Tar sottolineava il mancato rispetto di “norme cogenti e non derogabili”, come reso
evidente anche dalla “granitica giurisprudenza” formatasi a tal riguardo. E al cospetto di una
decisione di prime cure del tutto consequenziale a tale macroscopica devianza, il gravame in
appello appariva privo di ogni ragionevolezza, mentre gli atti, attraverso i quali si è pervenuti a
tale determinazione, si presentavano con motivazioni incoerenti e del tutto inadeguate. In primo
luogo, era da ritenersi del tutto irragionevole la proposta di delibera e l’annesso parere favorevole
di regolarità tecnica, in data 20 aprile 2011, in ordine alla proposta di autorizzare il Sindaco a
ricorrere in appello, ambedue rilasciati dal Responsabile del Servizio Urbanistica, Ing. Lovato
Luigi Paolo, attesa la chiarezza delle norme prevedente i principi di trasparenza e imparzialità e la
univocità della giurisprudenza che ne faceva applicazione. Ma la illogicità e incoerenza emergeva
dalle stesse giustificazioni recate dalla proposta, ove l’Ing. Lovato precisava di avanzarne
l’approvazione “...su disposizioni impartitemi direttamente dal sig. Sindaco”, salvo poi motivarla
con “...l’evolversi della normativa riguardante le procedure oggetto di ricorso che risultano spesso di difficile
e complicata interpretazione e applicazione” e al “...fine di tutelare il proprio operato”. Di tal che, da una
parte si lasciava intendere che si trattava di un atto necessitato in esecuzione di un ordine,
dall’altra, invece, non si forniva alcuna concreta motivazione per giustificare l’atto di appello,
tranne difficoltà interpretative in materia di procedure, insussistenti nel caso specifico, ovvero il
fine di tutelare il proprio operato, che non era certamente una ragione di fatto o di diritto che
poteva fondare il ricorso e sovvertire la sentenza che si intendeva gravare. Per ciò, alla condotta
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dell’Ing. Lovato va attribuito un contributo causale nella determinazione del danno e va ascritta
una parte di responsabilità, per avere formulato la proposta con l’aggiunto parere favorevole.
Quanto all’aspetto della colpa grave, l’evidente vizio connesso all’apertura dei plichi in seduta non
pubblica e le ripetute e univoche sentenze sul punto, tra l’altro richiamate nella sentenza del TAR
Veneto, non potevano non essere noti, poiché deducibili dalla stessa sentenza di primo grado, al
predetto funzionario, che tra l’altro, come dichiarato in sede di controdeduzioni, aveva avuto
esperienza di sindaco per otto anni. In ogni caso, anche ove non risultassero conosciuti principi e
giurisprudenza, dovere minimo di chi avanza una proposta era quello di informarsi
adeguatamente. Ma illogica era anche la delibera n. 65, del 26 aprile 2011, giacché la manifesta
evidenza della violazione posta in essere dalla Commissione di gara e la costante e puntuale
giurisprudenza sul punto, erano fattori che rendevano facilmente prevedibile la conferma in
appello della decisione di prime cure. In essa poi non era dato rinvenire alcuna motivazione se non
per rinvio alla motivazione recata dalla proposta formulata dall’Ing. Lovato che, tuttavia, tali
ragioni giuridiche non riportava. Di tal ché, la delibera in questione è l’altro fattore causale
determinativo delle spese del secondo grado del giudizio, di cui veniva chiamato a rispondere il
Sindaco Franceschini Renzo, per averla trattata direttamente con il legale che doveva tutelare gli
interessi del Comune, e l’Assessore Tommasini Flavio, “...in grado...di adeguatamente valutare la
controversia e la ragionevolezza di un appello, indipendentemente da eventuali fattori suscettibili, in astratta
ipotesi, di condizionamento” (pag. 24 – 25 della citazione). In breve, la vicenda dell’impugnazione,
secondo la ricostruzione del P.M. condizionata dagli atti, venne gestita in prima persona dal
Sindaco in contatto con il legale, mentre la lettera di quest’ultimo, che asseritamente consigliava di
proporre appello, veniva solo menzionata nella seduta della Giunta tesa all’approvazione della
delibera n. 65/2011. Per ciò, il Sindaco si era attribuito il compito di valutare e gestire la vicenda. E
in tale evenienza aveva il dovere di effettuare un’attenta valutazione prima di adottare la propria
determinazione. Ora, il primo cittadino di Lazise, nelle difese preliminari, sosteneva di aver agito
dopo aver sentito il Prof. Vittorio Domenichelli e il Segretario comunale dell’Ente. Il Requirente,
quanto a quest’ultimo, chiariva che dagli atti non risultava alcunché di scritto, mentre con riguardo
ai rapporti con il predetto legale, risultava la corrispondenza del 7 aprile 2011, prodotta dal
Sindaco in sede di audizione. Orbene, in tale scritto, sosteneva la Procura regionale, lungi dal
consigliare di proporre appello, trasparivano richiami alla sentenza e considerazioni che andavano
nella direzione opposta al gravame. In esso, infatti, si richiamavano ampi stralci della decisione del
TAR Veneto, che evidenziavano l’esistenza di una giurisprudenza prevalente, anche in appello, in
ordine alla pubblicità delle sedute della Commissione di gara senza alcuna distinzione in base al
tipo di procedura posta in essere. Quanto poi alla valutazione dell’opportunità di spiegare il
suddetto appello, erano da tenersi in conto le concrete possibilità di vittoria, escluse da due aspetti.
Il primo, è costituito dalla “...giurisprudenza - prevalente anche del Consiglio di Stato – richiamata dal
TAR a sostegno della propria decisione, che afferma la generale necessità della pubblicità delle sedute di gara
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che potrebbe rendere difficile l’accoglimento dell’appello”; il secondo, è rappresentato dalla
quantificazione del danno operata dal TAR (8.000,00 € oltre alle spese di lite quantificate
in 3.000,00 €), “...di gran lunga inferiore rispetto alla cifra richiesta dal ricorrente (€ 34.000), da comparare
con i costi di un eventuale giudizio in Consiglio di Stato”. Appariva, per ciò, evidente che il legale non
consigliava l’atto di appello, rendendo ciò ancora più riprovevole la condotta tenuta dal Capo
dell’amministrazione municipale. Quanto, infine, al ruolo dell’Assessore Tommasini, era da
considerare che, pur potendo valere, per detto amministratore, la circostanza di una gestione in
prima persona da parte del Sindaco, tuttavia nel caso rileva il fatto che trattasi di un legale,
professionista, in grado, quindi, di adeguatamente valutare la controversia e la ragionevolezza di
un appello, indipendentemente da eventuali fattori suscettibili, in astratta ipotesi, di
condizionamento. A ciò, poi, era da aggiungere che l’Avv. Tommasini aveva avuto conoscenza del
parere dell’Avv. Domenichelli, considerato “...che egli stesso dichiara, in sede di audizione, che la
decisione di impugnare è stata peraltro operata facendo anche riferimento ad un parere legale
preventivamente richiesto allo studio specialistico dell’Avv. Prof. Domenichelli di Padova, parere ottenuto il
7 aprile 2011, il quale non escludeva a priori la possibilità di un esito favorevole del giudizio di appello”.
Di tal ché, sulla base di quanto esposto, il P.M. era dell’avviso che le spese del giudizio dinanzi al
Consiglio di Stato, pari ad € 10.737,00 complessivi, fossero da ascrivere, nella misura di €
03.579,00 cadauno, alla responsabilità dell’Ing. Lovato, del Sindaco Franceschini e dell’Assessore
Tommasini.
E - Scritti a difesa.
Con memoria congiunta a documenti, in atti al 18 giugno 2015, si costituivano in
giudizio Zanini Giuseppe e Antonelli Mauro (generalizzati in epigrafe), rappresentati e difesi,
anche disgiuntamente, in virtù di mandato a margine della stessa, dagli Avv.ti Poggi Laura, C.F.
PGG LRA 64C57 L781V, p.e.c. [email protected], fax n. 045/590055, Misino Michele, C.F.
MSN MHL 65H21 L781P, p.e.c. [email protected], fax 045/590055, del Foro di Verona, e
Bianchini Aurelio d’Alberigo, C.F. BNC RLA 58E19 L424S, p.e.c. [email protected], elettivamente
domiciliati presso lo studio di quest’ultimo, a Venezia (VE), Ponte dei Squartai, Santa Croce n. 269,
che concludevano, in via principale, per il rigetto della domanda attorea, siccome infondata per le
ragioni tutte di cui al considerato in diritto, con conseguente proscioglimento dei loro assistiti da
ogni addebito per difetto dell’elemento soggettivo; in via subordinata, ove dovesse essere accertato
un danno imputabile a ciascuno dei due convenuti, per la riduzione del quantum nella misura che
verrà riconosciuta dal Giudice, il tutto con competenze di causa rifuse oltre al rimborso forfetario
del 15%, I.V.A. e C.P.A. come per legge.
I patroni, in primo luogo, erano a porre in risalto il ruolo tenuto nella vicenda di causa
dall’Arch. Parolini Arturo, Responsabile del Servizio Edilizia Privata – Urbanistica, e dal Geom.
Bizzocoli Alberto, addetto al Servizio medesimo con funzioni vicarie. A tal riguardo, osservavano
che nella determinazione n. 36, del 04 settembre 2007, a firma di quest’ultimo, mentre erano
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indicate le generalità dei componenti la Commissione di gara, relativamente al Presidente era
indicato solo per il ruolo, ossia di Responsabile del predetto servizio di edilizia privata, con ciò
volendo segnalare la perfetta intercambiabilità dei ruoli tra il Geom. Bizzocoli e l’Arch. Parolini.
Tale ultimo, in specie l’Ufficio dal medesimo diretto, veniva incaricato dalla Giunta municipale,
con delibera n. 78, del 24 maggio 2007, di “...dare avvio a tutte le procedure necessarie per addivenire ad
un programma organizzativo...” finalizzato alla costituzione di un gruppo di lavoro per redigere il
nuovo strumento urbanistico, da individuare attraverso le procedure di cui alla normativa
specifica in materia. Di tal ché, l’Arch. Parolini approvava l’Avviso pubblico per l’affidamento
dell’incarico professionale, “...che nulla diceva sulla presenza delle ditte all’apertura delle buste” (pag. 9
della memoria); lo stesso, presiedeva due dei tre incontri, al termine dei quali ha aggiudicato la
gara. Ora, rilevavano i difensori, se è pur vero che l’apertura dei plichi è avvenuta nel corso della
prima riunione, in data 05 settembre 2007, in cui l’Arch. Parolini era assente, cionondimeno lo
stesso era comunque responsabile del corretto espletamento della procedura e una tale
responsabilità non poteva dirsi venuta meno per il semplice fatto di non aver partecipato alla
prima riunione della Commissione, posto che egli ha partecipato alle sedute in cui è stata
approvata la graduatoria finale e, quindi, prima di procedere all’aggiudicazione ben avrebbe
potuto verificare la correttezza del procedimento, nel senso che riscontrando il vizio procedurale,
poi censurato dal TAR, avrebbe potuto non provvedere all’aggiudicazione ma ad una riedizione
della gara. Per ciò, la condotta dell’Arch. Parolini, ad avviso dei patroni, “...ha concorso insieme a
quella degli altri componenti della commissione nel causare il danno contestato” (pag. 9 della memoria),
atteso che “...il danno erariale non deriva...dall’illegittima apertura delle buste in seduta segreta, bensì dal
provvedimento di aggiudicazione, poi annullato dal TAR”. Non diversamente, proseguivano i patroni,
era da dirsi per il Geom. Bizzocoli, la cui posizione era stata archiviata dal Requirente per difetto
della colpa grave. Tuttavia, a loro dire, lo stralcio di tale posizione discendeva <<...dalla
rappresentazione dei fatti, non corrispondente alla realtà, che lo stesso ha fornito in sede di
controdeduzioni>> (pag. 10 della memoria). In breve, il Geom. Bizzocoli non risultava essere stato
chiamato all’ultimo momento, senza una investitura formale, a sostituire il Presidente, suo capo
ufficio, anche in ragione della circostanza che in data 04 settembre 2007, provvedeva con
determina n. 36 e nella qualità di “Responsabile del Servizio” a costituire la Commissione
giudicatrice, nominando il responsabile del servizio edilizia privata, in quel momento egli
medesimo, quale presidente della Commissione e il Geom. Zanini e il Rag. Antonelli, quali
componenti della stessa. Per ciò, utilizzando i poteri che aveva come vicario dell’Arch. Parolini ha
nominato la Commissione di gara, in data 04 settembre 2007, e ne ha fissato la prima riunione per
il giorno successivo, ben sapendo che sarebbe stato lui a presiederla perché il Responsabile del
Servizio era in ferie. Inoltre, non rispondeva al vero che il geom. Bizzocoli fosse un funzionario
privo di esperienza, per essere un semplice geometra con funzioni di istruttore tecnico, atteso che
egli “...ha partecipato costantemente all’individuazione degli obiettivi con attività istruttoria, di analisi e di
10
proposta, e che inoltre ha tenuto la titolarità per molti periodi dell’attività di gestione dell’ente e di direzione
della struttura organizzativa, secondo il principio della distinzione tra compiti di indirizzo, controllo e
governo degli organi elettivi e compiti di gestione amministrativa dei dirigenti”. Di conseguenza, i
difensori rinvenivano un contributo, nella causazione del danno, anche nella condotta del Geom.
Bizzocoli, atteso che i convenuti Zanini e Antonelli “...hanno confidato in piena buona fede sulle
affermazioni del medesimo, che i partecipanti alla gara erano stati informati della seduta...”. In conclusione,
“...avendo la Commissione con composizione Bizzocoli, Zanini e Antonelli deciso all’unanimità l’apertura
delle buste alla prima riunione...”, e la Commissione con composizione Parolini, Zanini e Antonelli,
effettuato i lavori di valutazione della documentazione ed elaborazione della graduatoria, mentre
l’Arch. Parolini, responsabile dell’Ufficio tecnico, della procedura di appalto e presidente della
Commissione, aveva emesso il provvedimento di aggiudicazione (determina n. 37, del 24
settembre 2007) impugnato dinanzi al TAR, la responsabilità nella causazione del danno, ad avviso
dei predetti difensori, andava imputata “...non solo agli attuali convenuti Zanini e Antonelli, ma anche
al Geom. Alberto Bizzocoli e all’Arch. Arturo Parolini, nei confronti dei quali si chiede che venga disposta
iussu iudicis l’integrazione del contraddittorio” (pag. 15 della memoria). Ciò premesso, i legali, quanto
alle condotte tenute dai loro assistiti, escludevano in specie la ricorrenza della colpa grave, poiché
informati di essere stati nominati componenti della commissione dal medesimo Geom. Bizzocoli,
che li aveva designati il giorno antecedente alla prima riunione, presieduta dallo stesso Bizzocoli e
convocata per la fissazione dei criteri di valutazione e l’apertura delle buste. Ora, posto che erano
stati nominati e convocati il giorno prima per il giorno dopo, essi “...non potevano che ritenere che
l’attività informativa della seduta nei confronti dei partecipanti alla gara, fosse stata già espletata dal
responsabile del procedimento di appalto, presidente della commissione che aveva convocato la riunione,
geom. Bizzocoli”. A volere abbondare, erano a sottolineare che l’invocata colpa grave doveva
escludersi anche in considerazione del fatto che l’avviso pubblico, lex specialis di gara redatto dal
responsabile dell’Ufficio edilizia privata, “...non conteneva alcuna indicazione in ordine a specifiche
regole da rispettare in sede di apertura delle buste”. Riguardo, infine, al quantum,, i predetti difensori,
primariamente e in ragione dell’apporto causale del Geom. Bizzocoli e dell’Arch. Parolini dianzi
descritto, ritenevano che esso andava rideterminato nella misura di un quarto, cadauno, dell’intera
posta di € 18.508,52 oggi contestata. In secondo luogo il danno, in tali limiti determinato, era da
ulteriormente ridurre in applicazione del potere riduttivo, attese le condizioni di luogo e di tempo
in cui i loro assistiti si sono trovati ad operare.
Con memoria congiunta a documenti, in atti al 18 giugno 2015, si costituiva in
giudizio Lovato Luigi Paolo (generalizzato in epigrafe), rappresentato e difeso, anche
disgiuntamente, giusta procura a margine della stessa, dagli Avv.ti Gortenuti Giuseppe, C.F. GRT
GPP 77L11 L781F, p.e.c. [email protected], fax n. 045/8008802, del Foro di Verona, e
Sartori Antonio, C.F. SRT NTN 61M01 L736H, p.e.c. [email protected], fax
041/5241633, del Foro di Venezia, elettivamente domiciliato nello studio di quest’ultimo, a
11
Venezia (VE), S. Polo 2988, che concludevano, in via principale, per il rigetto della domanda
attorea, siccome infondata, con diritto alla rifusione delle spese di difesa; in via subordinata, in
ipotesi di ritenuta responsabilità, per il più ampio uso del potere di riduzione. Nel considerato in
diritto le difese erano primariamente ad eccepire la nullità degli atti istruttori, a mente dell’art. 17,
comma 30 ter, del d.l. n. 78 del 2009, convertito dalla legge n. 102 del 2009, nel testo modificato dal
d.l. n. 103/2009, atteso che in specie “...manca(va) del tutto una notitia damni relativa al comportamento
contestato all’Ing. Lovato”. In breve, atteso che l’esposto era del 05 aprile 2011, mentre il
comportamento del loro difeso, che avrebbe causato il pregiudizio, risaliva al 26 aprile 2011, la
relativa notitia damni, come statuito dalle Sezioni Riunite nella sentenza n. 12//2011/QM, del 03
agosto 2011, “...non poteva dunque riguardare gli atti e i comportamenti che al momento dell’esposto non si
erano ancora verificati” (pag. 8 della memoria). Per ciò, poiché l’esposto segnalava “...la vicenda
relativa all’affidamento di un incarico professionale conferito dal comune di Lazise, oggetto di ricorso al TAR
Veneto con conseguente condanna dell’Amministrazione al risarcimento dei danni al ricorrente” l’indagine
erariale “...doveva aver ad oggetto i fatti ivi descritti non quelli successivi accaduti...”, pena la
legittimazione di “...un improprio potere di controllo generalizzato e permanente sull’attività
amministrativa (Corte Cost. sent. n. 209/1994)”.
In secondo luogo, i patroni opponevano l’insussistenza del danno erariale in contestazione,
poiché la decisione di proporre appello era tutt’altro che irragionevole per l’esistenza di un
indirizzo giurisprudenziale minoritario (Cons. di Stato, Sez. V, 17 dicembre 2001, n. 6250). In
breve, i difensori non disconoscevano <<...che la maggior parte della giurisprudenza ha ritenuto
doveroso che anche nelle procedure ristrette le sedute debbano essere pubbliche. Tuttavia (...) “Quanto al
rilievo secondo cui la verifica dei requisiti di ammissione avrebbe dovuto aver luogo in seduta pubblica e non
in forma riservata,..., nel caso in cui la lex specialis del concorso preveda espressamente, con formulazione
chiara e non equivoca, l’esclusione dalla procedura a sanzione della sua inosservanza anche solo formale,
l’amministrazione è obbligata al rispetto della normativa cui si è autovincolata e che essa stessa ha emanato,
evidentemente sulla base di un giudizio ex ante circa l’idoneità della prescrizione a conseguire le finalità
insite nella gara”>>. Inoltre, il Procuratore regionale aveva omesso nella propria ricostruzione di
considerare un aspetto fondamentale che ha spinto l’amministrazione, correttamente, ad appellare:
l’esistenza del ricorso incidentale proposto dal controinteressato. Di fatti, il controinteressato in
primo grado ha sostenuto che il ricorrente principale doveva essere escluso dalla gara, aspetto che
se in prime cure non poteva essere sostenuto dall’Ente committente, una tale argomentazione
poteva essere validamente fatta propria in secondo grado. Per ciò, rilevavano i patroni, poteva
discutersi se potesse giustificarsi l’appello in merito al rilievo che le buste erano state aperte in
seduta non pubblica, “...ma non poteva certo dirsi in ordine al ricorso incidentale che l’appello fosse sotto
questo profilo del tutto irragionevole” (pagg. 10 e 11 della memoria), atteso che il Consiglio di Stato ha
osservato, <<...in relazione al primo motivo di appello proposto dal Comune, che il curriculum dell’Arch.
Sbrogiò non fosse “completamente chiaro” e che “c’era stata da parte sua una dichiarazione un po’
12
perplessa”>>. In terzo luogo, erano ad affermare ”...l’insindacabilità nel merito della scelta discrezionale
operata, con violazione dell’art.1 della legge n. 20 del 1994”, atteso che il giudice contabile,
nell’accertare e valutare gli atti e fatti posti in essere dagli amministratori e dai dipendenti delle
pubbliche amministrazioni, non poteva sostituirsi agli stessi e ripercorrere l’iter argomentativo
seguito nelle scelte discrezionali operate dai medesimi, dovendo in ogni caso rispettare la sfera di
autonomia decisionale riservata all’Amministrazione. Di tal ché, i suddetti legali, ritenevano
esistente un “...ormai consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui la scelta fatta da un Comune
– nell’intendimento, come nel caso, di curare i propri interessi – di intraprendere un’azione giudiziale ovvero
di resistere a quella intentata da altri, attiene alla sfera di discrezionalità, e quindi, di per sé, non conduce a
perseguire, indipendentemente dall’esito della lite, gli autori della scelta sotto il profilo della responsabilità
amministrativa, tenuto anche conto che una ragionevole soglia di rischio è comunque implicita in ogni difesa
legale (fra le tante Corte dei conti, Sez, 2^ centr. di app., n. 303, del 03 novembre 2003)”.
I difensori contestavano, altresì, la sussistenza del nesso causale, avendo l’Ing. Lovato espresso
solo il parere tecnico, obbligatorio ma non affatto vincolante, che riguardava peraltro solo la
verifica della positiva sussistenza dei presupposti legittimanti l’adozione della delibera, non
avendo curato la precedente istruttoria e i rapporti con il legale. Alla seduta della Giunta aveva, tra
l’altro, partecipato il Segretario comunale, al quale spetta la specifica funzione ausiliaria di
garantire la legalità e correttezza amministrativa dell’azione dell’ente locale, che non aveva
sollevato alcun dubbio in ordine alla legittimità della delibera. Da ultimo, contestavano la
ricorrenza della colpa grave in capo al loro rappresentato in quanto, appena nominato
responsabile dell’Ufficio Edilizia Privata, ha preso servizio part time solo poco prima dell’evento
che avrebbe in astratto cagionato il danno. In ogni caso, si era attenuto alle prescrizioni impartitegli
dal Sindaco e in particolare a quanto a questi riferito dal legale di fiducia. Da ultimo, in via del
tutto subordinata al pieno proscioglimento del loro assistito, instavano per l’applicazione “...del
potere riduttivo di cui sussisterebbero...tutti i presupposti”.
Con memoria congiunta a documenti, in atti al 18 giugno 2015, si costituiva in
giudizio Franceschini Renzo (generalizzato in epigrafe), rappresentato e difeso, anche
disgiuntamente, in virtù di mandato a margine della stessa, dagli Avv.ti Biondaro Luigi, C.F. BND
LGU 55T09 H540O, p.e.c. [email protected], fax n. 045/8026937, del Foro di Verona, e
Sartori Antonio, C.F. SRT NTN 61M01 L736H, p.e.c. [email protected], fax
041/5241633, del Foro di Venezia, elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo, a
Venezia (VE), S. Polo 2988, che concludevano per il rigetto della domanda attorea con ogni
ulteriore statuizione e con il favore delle spese.
I patroni erano ad opporre l’infondatezza della domanda della Procura regionale per
carenza dell’elemento soggettivo della colpa grave e per la divisione di ruoli e competenze tra
organi politici e organi tecnici. In breve, rilevavano che “...il modello organizzativo dell’ente locale non
è più basato su un rapporto di subordinazione gerarchica della dirigenza rispetto all’organo politico, bensì di
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autonomia e distinzione delle funzioni, in virtù del quale all’Organo politico competono le sole scelte di
indirizzo mentre le altre funzioni (ed in particolare quelle di controllo in ordine al legittimo funzionamento
dell’attività amministrativa) competono agli uffici e, in particolare, ai responsabili dei servizi ed al Segretario
comunale posto in posizione gerarchicamente sopra ordinata con funzioni di supervisione e controllo della
legittimità degli atti”. Orbene, come emergente dagli atti e dalle varie audizioni disposte, la delibera
n. 65/2007 è stata sottoposta all’attenzione della Giunta corredata di tutti gli elementi e i pareri,
nessuno escluso, che all’epoca inducevano a non metterne in discussione la sua approvazione.
Infatti, la proposta di deliberazione formulata dall’Ufficio si presumeva essere stata
preventivamente valutata ed adeguatamente ponderata dall’Ufficio medesimo deputato a fornire il
parere di regolarità che gli compete. E nello specifico la predetta proposta è stata formulata
dall’Ing. Luigi Lovato, dirigente dell’Ufficio Tecnico, munito di specifiche competenze e con
indubbia esperienza come responsabile tecnico presso altri comuni, che ha pure, come dovuto,
regolarmente sottoscritto il parere di regolarità tecnica. Ma vi era di più, atteso che i suddetti
difensori rilevavano che la medesima proposta risultava sottoscritta anche dal Segretario
comunale, dott. Abram Paolo, “...il quale, ciò facendo, ha avallato la legittimità del provvedimento e,
quindi, l’approvazione da parte della G.C. senza muovere alcuna obiezione” (pagg. 5 e 6 della memoria).
In sostanza, la presenza del Segretario comunale all’adunanza della Giunta assumeva per le difese,
in assenza di qualsivoglia obiezione, “...di fatto parere di legittimità dell’atto e, sopra tutto, induce(va) a
ritenere, da parte dei componenti dell’organo politico che la approva, che il provvedimento sia perfetto, valido
ed efficace e quindi in quanto tale esente da censure”. E a ciò non ostava “l’incipit” con il quale veniva
introdotta la “proposta di delibera” da parte del Responsabile dell’U.T.C. che specificava (di agire)
“...su disposizioni impartitemi dal Sindaco”, in quanto “...ciò altro non può significare che il Sindaco ha
richiesto che venga formulata la ‘proposta’ di delibera perché sul punto era necessario assumere la decisione;
necessità di assumere la decisione che ovviamente non postulava che si dovesse assumere quella decisione con
quel dato contenuto perché ciò avrebbe rappresentato una inammissibile, quanto indebita, interferenza nei
compiti e funzioni attribuite dalla legge che il dirigente legittimamente avrebbe non solo potuto, ma
dovuto, disattendere>>. Ma, proseguivano i difensori, la colpa grave era insussistente anche con
riferimento al “parere” del 07 aprile 2011 del Prof. Vittorio Domenichelli, che “...in realtà né
consigliava né sconsigliava alcunché”. Il contenuto della lettera, debitamente compulsato, non
sconsigliava affatto l’appello che quindi poi è stato interposto con argomentazioni nient’affatto di
scarso rilievo se si ha cura di considerarne il contenuto, che non si era certamente limitato a
censurare la “quaestio” della seduta “riservata” o “pubblica” della gara ufficiosa indetta dal
Comune di Lazise, ma mirava, più radicalmente, ad una pronuncia di “carenza di interesse
all’impugnativa” da parte del ricorrente di prime cure (Arch. Sbrogiò) <<...perché, a prescindere dalla
pubblicità o meno della seduta di apertura dei plichi contenenti le offerte, egli doveva essere escluso dalla gara
avendo dichiarato di possedere requisiti non corrispondenti a quanto dichiarato>> (pag. 9 della memoria).
Pertanto, non risultava vero che il Prof. Domenichelli abbia reso un parere che sconsigliava
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l’appello perché, oltre alla giurisprudenza prevalente non favorevole alla tesi del Comune sulla
pubblicità delle sedute anche nella gara ufficiosa, altri sono stati i profili valutati che hanno portato
l’Ing. Lovato a proporre la delibera, poi assunta non dal Sindaco e/o dall’assessore Tommasini ma
dalla Giunta municipale senza che nulla sia stato opposto dagli altri presenti, neppure dal
Segretario comunale. Da ultimo, il solo fatto che fosse astrattamente ottenibile, perché vi era un
indirizzo minoritario, un rovesciamento della pronuncia del TAR Veneto escludeva il configurarsi
di qualsiasi forma di colpa grave avuto riguardo alla decisione cui il Sindaco ha partecipato di
conferire incarico al legale per ricorrere avanti il Consiglio di Stato.
Con memoria congiunta a documenti, in atti al 18 giugno 2015, si costituiva in
giudizio Tommasini Flavio (generalizzato in epigrafe), iscritto all’Albo degli Avvocati presso il
Tribunale di Verona, che stava in giudizio senza il ministero di altro difensore, a mente dell’art. 86
c.p.c., e che dichiarava di volere ricevere eventuali comunicazioni al fax n. 045/8019021 o
all’indirizzo di p.e.c. [email protected], elettivamente domiciliato presso
il proprio studio, a Verona (VR), Lungadige Cangrande n. 6, che concludeva, in via principale, per
il rigetto della domanda della Procura attrice, siccome infondata in fatto e in diritto e, in ogni caso,
per carenza dell’elemento soggettivo della colpa grave; in via subordinata, in denegata ipotesi che
fossero ravvisati profili di colpa grave in capo al deducente, per la riduzione dell’addebito a
ragione del comportamento tenuto, della buona fede dimostrata e dell’importo delle spese legali
originariamente impegnato dall’Ente sulla base delle indicazioni e del preventivo fornito dal Prof.
Domenichelli. Il tutto con vittoria di spese, diritti ed onorari. In sede istruttoria, chiedeva
l’escussione testimoniale - su capitoli di prova che provvedeva a formulare e inerenti, in sintesi, la
circostanza che il parere del Prof. Domenichelli, recante la data del 07 aprile 2011, non era stato
materialmente portato e disaminato nella seduta della Giunta municipale del 26 aprile seguente,
mentre in tale sede erano semplicemente riportati, dal Sindaco e dall’Ing. Lovato Luigi Paolo, i
contenuti dello stesso con riguardo all’opportunità di proporre appello al Consiglio di Stato - degli
Assessori componenti la Giunta, di cui il Requirente, dopo averne acquisito l’audizione, archiviava
la relativa posizione. Veniva, tra l’altro, richiesto l’esame testimoniale del Segretario comunale del
tempo, dott. Abram Paolo, al fine di farsi confermare la presenza dello stesso alla seduta di giunta
incriminata, in cui non aveva rilevato obiezioni di sorta. Nel merito, il difensore era ad opporre
l’infondatezza della domanda della Procura regionale per carenza dell’elemento soggettivo della
colpa grave e per la divisione di ruoli e competenze tra organi politici e organi tecnici. In breve,
rilevava che “...il modello organizzativo dell’ente locale non è più basato su un rapporto di subordinazione
gerarchica della Dirigenza rispetto all’Organo politico, bensì di perfetto parallelismo, in virtù del quale
all’Organo politico competono le sole scelte di indirizzo mentre le altre funzioni ed in particolare quelle di
controllo in ordine al legittimo funzionamento dell’attività amministrativa competono agli uffici e, in
particolare, ai responsabili dei servizi ed al Segretario comunale ad essi posto in posizione gerarchicamente
sopra ordinata con funzioni di supervisione e controllo della legittimità degli atti”. Orbene, alla luce di tale
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premessa evidenziava, in primo luogo, di essere un professionista non disponente di alcuna
specifica competenza nell’ambito del diritto amministrativo atteso che la propria specialità legale
riguardava principalmente il diritto del lavoro, il diritto condominiale e, in generale, le
problematiche correlate al diritto civile; in secondo luogo, che al pari di tutti gli altri assessori, la
cui posizione è stata archiviata dal Requirente, all’epoca dei fatti rivestiva il ruolo di assessore “alla
Sicurezza ed alle Infrastrutture Turistiche”, ambito di competenza che ovviamente nulla aveva a che
vedere con i settori dell’urbanistica e degli appalti pubblici, questi ultimi rimasti nella gestione
diretta ed esclusiva del Sindaco. Ora, come emergente dagli atti e dalle varie audizioni disposte, la
delibera n. 65/2007 è stata sottoposta all’attenzione della Giunta corredata di tutti gli elementi e i
pareri, nessuno escluso, che all’epoca hanno indotto a non metterne in discussione la sua
approvazione. Infatti, la proposta di deliberazione formulata dall’Ufficio tecnico si presumeva
essere stata preventivamente valutata ed adeguatamente ponderata dall’Ufficio medesimo
deputato a fornire il parere di regolarità che gli compete. E nello specifico la predetta proposta è
stata formulata dall’Ing. Luigi Lovato, dirigente dell’Ufficio Tecnico, munito di specifiche
competenze e con indubbia esperienza come responsabile tecnico presso altri comuni, che ha pure,
come dovuto, regolarmente sottoscritto il parere di regolarità tecnica. Ma vi era di più, atteso che il
predetto rilevava che la medesima proposta risultava sottoscritta anche dal Segretario comunale,
dott. Abram Paolo, “...il quale, ciò facendo, ha sostanzialmente avallato la legittimità del provvedimento e,
quindi, l’approvazione da parte della G.C. senza muovere alcuna obiezione” (pagg. 6 e 7 della memoria).
In sostanza, la presenza del Segretario comunale all’adunanza della Giunta assumeva per la difesa,
in assenza di qualsivoglia obiezione, “...di fatto parere di legittimità dell’atto e, sopra tutto, induce(va) a
ritenere, da parte dei componenti dell’organo politico che la approva, che il provvedimento sia perfetto, valido
ed efficace e quindi in quanto tale esente da censure” (pag. 7 della memoria). E la proposta medesima
<<...è stata formulata dall’Ufficio su disposizione impartite dal Sindaco e, quindi, la valutazione collegiale
che ne è conseguita da parte del Responsabile del Servizio Edilizia Privata Urbanistica, del Segretario
comunale e del Sindaco, induceva evidentemente chicchessia a ritenere che sulla bontà e legittimità del
provvedimento non potessero esservi riserve, tantomeno da parte di chi – come il sottoscritto – risulta essere
privo di specifiche competenze in materia>>. A ciò doveva aggiungersi, a comprova della propria
buona fede, l’esistenza del parere legale del Prof. Domenichelli, datato 07 aprile 2011, protocollato
quindi venti giorni prima dell’assunzione della delibera, indirizzato direttamente al Sindaco, che
poi si era confrontato, successivamente ed autonomamente, con gli Uffici interni sul contenuto del
parere medesimo, facendo seguire ulteriori incontri direttamente con il Prof. Domenichelli, in vista
dell’assunzione della delibera stessa, parere, che come risultante dalle audizioni eseguite, non
faceva parte del fascicolo relativo alla suddetta determinazione di Giunta. In sostanza, dei
contenuti di tale parere si era fatto solamente cenno in occasione della seduta di Giunta
municipale, riportandosi al fatto che il Prof. Domenichelli, a detta del Sindaco e dell’Ing. Lovato,
aveva indicato come percorribile l’ipotesi dell’appello al Consiglio di Stato nell’auspicio di una
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revisione della sentenza di prime cure. Per ciò, il deducente, al pari di tutti gli altri assessori,
estromessi dal presente giudizio a ragione dell’archiviazione disposta dal PM., faceva legittimo
affidamento sulle indicazioni offerte da tutti i soggetti, Sindaco, Ing. Lovato e Segretario comunale,
che si erano direttamente occupati della vicenda. Pertanto, l’insieme di tali circostanze
escludeva ictu oculi qualsiasi forma di responsabilità aggravata in capo all’assessore Tommasini.
Inoltre, se si va ad esaminare, chiaramente a posteriori, il parere del Prof. Domenichelli ci si avvede
che da esso non scaturiva un veto assoluto ed inconfutabile alla proposizione dell’appello stesso,
atteso che il professionista faceva riferimento ad una giurisprudenza prevalente, che non
escludeva l’esistenza di una giurisprudenza minoritaria di segno contrario, “...che per l’appunto nel
caso di specie evidentemente il legale di concerto con il Sindaco e con i Dirigenti del comune di Lazise si
suppone avessero inteso formare nell’ambito del giudizio avanti al Consiglio di Stato” (pagg. 10 e 11 della
memoria). Da ultimo, l’Avv. Tommasini poneva in risalto che le spese preventivate per il ricorso al
Consiglio di Stato erano approvate nell’importo di € 07.000,00, I.V.A. ed accessori compresi: di tal
ché il maggiore importo determinato a consuntivo, in oltre € 10.000,00, non poteva certo
addebitarsi all’esponente, “...trattandosi evidentemente di circostanza alla quale...” riteneva
essere “...rimasto del tutto estraneo”.
F - Udienza dibattimentale.
Alla pubblica udienza odierna le parti processuali concludevano come da verbale. In breve, il Vice
Procuratore Generale, dott. Di Maio Giancarlo, previo deposito, su richiesta del Collegio, della
nota istruttoria di acquisizione documentale del 09 maggio 2013, indirizzata al comune di Lazise,
più volte richiamata in atti e non allegata, era a confermare il contenuto della citazione e le
conclusioni, in esso rassegnate, in termini di condanna, opponendosi alla prova per testi spiegata
dal convenuto Tommasini, a ragione dell’esaustività dei documenti prodotti sui fatti di causa.
L’Avv. Poggi Laura, in rappresentanza di Zanini Giuseppe e Antonelli Mauro, insisteva, tra l’altro,
sull’integrazione del contraddittorio nei confronti del Geom. Bizzocoli e dell’Arch. Parolini atteso
il loro asserito apporto causale nella vicenda a giudizio. L’Avv. Gortenuti Giuseppe, per Lovato
Luigi Paolo, era ad insistere sulla nullità degli atti istruttori e sulla insindacabilità delle scelte
discrezionali, quali espresse dalla Giunta municipale con l’approvazione della deliberazione di
autorizzazione del ricorso in appello. L’Avv. Biondaro Luigi, in rappresentanza di Franceschini
Renzo, nel ribadire la richiesta di proscioglimento del proprio assistito, si associava all’istanza di
nullità degli atti istruttori sollevata dal collega Avv. Gortenuti. Da ultimo, l’Avv. Tommasini
Flavio, in difesa di se stesso, rinviava alle conclusioni di cui alla memoria di costituzione,
confermando, come richiesto dal Collegio, la propria iscrizione all’Ordine degli Avvocati di
Verona e il domicilio eletto presso lo studio di Verona, Lungadige Cangrande n. 6.
Al termine del dibattimento la causa è stata trattenuta in decisione.
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Motivi della decisione
[1] In limine, attese le questioni pregiudiziali sollevate dai patroni dei presunti responsabili,
secondo l’ordine dai medesimi ritenuto più consono e in subordine o non alle aspettative di
proscioglimento pieno (aspetto ricorrente nel rapporto tra conclusioni e motivazioni di talune delle
memorie difensive), l’art. 276, 2° comma c.p.c., al quale rinvia dinamicamente l’art. 26 del R.D. 13
agosto 1933, n. 1038 (recante il Regolamento di procedura per i giudizi innanzi alla Corte dei
conti), non fornisce indicazioni sull’ordine della loro disamina ma prevede solo che il
Giudice<<...decide gradatamente le questioni...>> nel rispetto, in ogni caso, della progressione logica
stabilita dal Legislatore per la trattazione delle questioni di rito rispetto a quelle di merito (cfr.
Corte di Cass. S.U., 22 aprile 2013 n. 9693). Cosicché, l’ordine “procedendi” è rimesso al prudente
apprezzamento del Collegio secondo motivate ragioni di logica giuridica, di coerenza e
ragionevolezza (cfr. Corte di Cass., 9 settembre 2008, n.23113, Corte dei conti SS.RR., 02 ottobre
1991, n. 727). A mente di tali considerazioni, si ritiene di dover procedere nella disamina delle
questioni che costituiscono presupposto (logico) delle altre e il cui accoglimento potrebbe rendere
ultronea la disamina delle restanti e del merito.
[2] Ciò premesso, i difensori dei convenuti Zanini Giuseppe e Antonelli Mauro hanno formulato
richiesta di integrazione del contraddittorio nei confronti dell’Arch. Parolini Arturo e del Geom.
Bizzocoli Alberto, rispettivamente, responsabile dell’Area Tecnica – Settore Edilizia Privata -
Urbanistica, del comune di Lazise, e addetto allo stesso Ufficio con funzioni di “Vicario
Responsabile”, che avrebbero concorso alla causazione del danno per avere, il secondo, presieduto
la Commissione di gara che il 05 settembre 2007 decideva, all’unanimità, l’apertura dei plichi
recanti le offerte in assenza dei concorrenti, e, il primo, per avere partecipato, in qualità di
Presidente, alle altre due sedute della Commissione, all’esito delle quali, con determina n. 37, del
24 settembre 2007, emetteva il provvedimento di aggiudicazione, malgrado l’illegittimità
consumata dalla Commissione.
A latere di tale esplicita rivendica si collocava quanto diffusamente opinato, nelle memorie
degli altri convenuti e senza tuttavia pervenire a una specifica domanda integrativa, sul ruolo del
segretario comunale (dott. Abram Paolo), che aveva assistito alla seduta di G.C. del 26 aprile 2011,
con funzioni di verbalizzante, senza sollevare dubbio alcuno in ordine alla legittimità della
delibera di autorizzazione a ricorrere al Consiglio di Stato.
Il Requirente, da parte sua, nel rimettersi al Collegio riguardo alla valutazione e alle
conseguenti statuizioni sulle predette istanze, era a negare qualsivoglia significativo apporto
causale nelle condotte serbate dai predetti funzionari, di cui aveva escluso il loro coinvolgimento,
anche per difetto della colpa grave, sin dalla fase preliminare.
[2.1] La rivendica, tesa all’estensione del contraddittorio a soggetti che a vario titolo avrebbero
concorso alla causazione del (presunto) danno, non è meritevole di accoglimento poiché non
ricorrente una ipotesi di litisconsorzio necessario. Sul punto, si ricorda che l’intervento dei terzi,
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nel giudizio di responsabilità innanzi alla Corte dei conti, trova la propria disciplina nell’art. 47 del
R.D. 13 agosto 1933, n. 1038, che conferisce al Collegio un potere di tipo “sindacatorio – ordinatorio”,
il cui esercizio determina una variazione – integrazione del rapporto soggettivo processuale.
Quest’ultimo, infatti, in esito all’ordine d’integrazione, su istanza di parti convenute, come nel caso
di specie, ovvero attivato motu proprio dal Giudice, risulterà caratterizzato dalla presenza di uno o
più soggetti ulteriori, ma estranei all’originaria citazione disposta dal Pubblico requirente, titolare
del potere di azione. Fattispecie normativa, quest’ultima, perfettamente in linea con l’omologo
istituto disciplinato dall’art.107 cod. proc. civ., che in un processo di tipo dispositivo prevede che
“Il Giudice, quando ritiene opportuno che il processo si svolga in confronto di un terzo al quale la
causa è comune, ne ordina l’intervento”. Onde, la richiesta di integrazione del contraddittorio
formulata dai difensori dei componenti la Commissione di gara, non tenuti ad esternare una
specifica domanda nei confronti dei terzi, atteso che è l’ordine di integrazione del Giudice che deve
indicare specificamente i soggetti da convenire e le ragioni che rendono quanto meno
funzionalmente opportuno il litisconsorzio, è da intendere come sollecitazione dei poteri officiosi
del Giudice medesimo di ordinarne la chiamata in causa, a mente del disposto normativo dianzi
invocato, al fine di pervenire alla piena definizione del giudizio in una con il perseguimento di
finalità di economia processuale e con l’intento di evitare i rischi di giudicati contraddittori in
relazione a cause caratterizzate da elementi comuni ma decise separatamente (cfr. Corte dei conti,
Sez. 1^, 22 settembre 2008, n. 407, id. Sez. 2^ d’App., 07 novembre 2011, n. 590). E in una tale
evenienza, la natura sindacatoria del processo contabile era a rendere ancora più fondato
l’esercizio della suddetta prerogativa processuale con gli unici limiti rappresentati dalla mutatio
libelli, ostativa per variazione della causa petendi alla predetta integrazione, e dalla intangibilità del
diritto di difesa. Un tale orientamento interpretativo (cfr. ex multis Corte dei conti, Sezione I,
sentenza 5 gennaio 2005, n.1, Sezione II, sent. 9 febbraio 2005, n.78 e Sezione III, sent.14 febbraio
2005, n.75), al quale il Collegio intende prestare adesione, anche dopo la modifica dell’art. 111 della
Carta Fondamentale (introdotta dalla legge costituzionale 23 novembre 1999, n.2), è da ritenere in
linea con i principi del giusto processo da esso promananti, per come delineati dalla Corte
Costituzionale, che da sempre ha dato rilievo “...all’ampia discrezionalità spettante al legislatore in
tema di disciplina del processo e di conformazione degli istituti processuali, con il solo limite della manifesta
irragionevolezza delle scelte compiute” (cfr. Corte Cost. n. 229/2010, 50/2010, n. 221/2008 e ord. n. 67
del 2007), e con la posizione di terzietà e imparzialità del Giudice (cfr. Corte dei conti, Sez. 1^ di
app., 06 maggio 2004, n. 153). In specie, il potere di evocare in giudizio soggetti terzi non solo non
è irragionevole ma non inficia la posizione di terzietà del Giudice, poiché volto a garantire la piena
espansione del diritto di difesa, con funzione di valvola di garanzia a un sistema che non esclude
eventuali carenze soggettive della domanda e di riflesso carenze in ordine alla possibilità di
reintegrare il patrimonio pubblico, a tutela del quale è prevista un’azione obbligatoria, e fermi
restando i precitati limiti. In conclusione, l’Istituto in esame, lungi dal minare i richiamati principi,
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risponde all’esigenza, anch’essa costituzionalmente garantita, di una più efficace difesa del/dei
convenuti, che devono poter eccepire e dimostrare, nel processo, attraverso un atto di
intermediazione del Giudice, che altri sono responsabili o corresponsabili del/dei fatti dannosi ad
esso/essi imputabili, in questo fornendo dei fatti una valutazione diversa di quella allegata dal
Procuratore regionale che è, comunque, compito del Giudice giuridicamente configurare.
Ciò premesso, rileva il Collegio, in ordine all’estensione della causa ad altri pretesi
corresponsabili (Presidente e facente funzioni di Presidente della Commissione di gara, in termini
espliciti, Segretario comunale, in termini impliciti) dell’asserito danno, che la predetta richiesta di
integrazione è sempre subordinata alla preliminare valutazione della sussistenza di una ipotesi di
litisconsorzio necessario e tale caso, come confermato dal consolidato orientamento
giurisprudenziale (cfr. ex multis Sez. 1° d’appello, sent. n.137/2009/A, del 05 marzo 2009, Sez.
Lazio, sent. n.93, del 24 agosto 1998), ricorre quando la condotta addebitabile a ciascuno sia
definibile come illecita solo in stretto collegamento con la valutazione della condotta degli altri.
Infatti, è stato ormai da tempo chiarito che <<...si ha litisconsorzio necessario, oltre che nei casi
espressamente previsti dalla legge, solo quando, per la particolare natura o configurazione del rapporto
giuridico dedotto in giudizio e per la situazione strutturalmente comune ad una pluralità di soggetti, la
decisione non può conseguire il proprio scopo se non è resa nei confronti di tutti>> (cfr. Corte di Cass. n.
121/2005, n. 19004/2004, n. 1940/2004 e n. 12330/2003). Ora, “...una tale inutilità non sussiste certo
nel caso in cui solo alcuni dei corresponsabili siano condannati al risarcimento (di una sola parte) di un
danno erariale, per cui la giurisprudenza di questa Corte giustamente esclude un litisconsorzio necessario tra
più corresponsabili dello stesso danno erariale” (così, in termini puntuali, Corte dei conti, Sez. 2^ di
app., 25 luglio 2013, n. 489, id. Sez. 3^, n. 479/2005, Sez. 2^, n. 287/2004, Sez. 3^, n. 128/2003,
Sezioni Riunite, n. 13/QM/2003). Ma vi è di più, giacché la consolidata giurisprudenza della Corte
di legittimità, ma anche della Corte dei conti, ravvisa l’insussistenza di un litisconsorzio necessario
anche nelle ipotesi di c.d. responsabilità solidale: “...si tratta infatti di una responsabilità caratterizzata
proprio dalla possibilità di condannare all’adempimento dell’intera obbligazione (risarcitoria) solo uno o solo
una parte di corresponsabili di uno stesso danno” (così Corte dei conti, Sez. 2^ di app., 25 luglio 2013, n.
489). Un tanto chiarito, nella fattispecie tratta a giudizio l’asserito pregiudizio conseguiva a
condotte gravemente colpose tenute dai commissari di gara (Bizzocoli Alberto, con funzioni di
Presidente, e Zanini Giuseppe e Antonelli Mauro, con funzioni di componenti, questi ultimi due
evocati in causa) che in occasione della prima seduta della Commissione, in data 05 settembre
2007, hanno dato corso all’apertura dei plichi recanti le offerte in seduta segreta, ossia in assenza
dei concorrenti, illegittimità che è stata motivo di un ricorso al Tar del Veneto esitato nella
condanna del comune di Lazise al risarcimento, in favore del ricorrente principale, delle spese da
esso sostenute per la redazione e presentazione dell’offerta pertinente il Piano di Assetto
Territoriale (P.A.T.), liquidate nella misura di € 08.000,00 (a fronte di una richiesta attorea di €
34.920,00), oltre interessi di legge e spese di quel giudizio. In breve, la sommatoria di tale prima
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presunta posta di danno era pari ad € 18.508,52 (di cui € 08.374,26, per risarcimento danni ed
interessi, ed € 10.134,26, per le complessive spese legali sostenute a ragione del giudizio dinanzi al
TAR del Veneto). A tali importi erano da aggiungere gli esborsi ulteriori sostenuti dal predetto
Ente territoriale, pari a complessivi € 10.737,00, originanti dal ricorso dinanzi al Consiglio di Stato,
avviato a seguito della deliberazione n. 65, del 26 aprile 2011, della G.C., di cui facevano parte, tra
gli altri, il Sindaco Franceschini e l’Assessore (alla Sicurezza e alle Infrastrutture Turistiche)
Tommasini, atto assunto alla presenza del Segretario comunale dott. Abram Paolo, partecipante
all’adunanza in veste di verbalizzante, su proposta dell’Ing. Lovato Luigi Paolo, che aveva anche
dato il proprio parere di regolarità tecnica, in cui il comune di Lazise restava soccombemte. Di tal
ché, versandosi in materia di asserite condotte illecite solo gravemente colpose, in cui la decisione
può, nella ricorrenza dei presupposti di legge, conseguire il proprio scopo, in applicazione
dell’art.1, comma 1 quater, della legge n. 20 del 1994, per il quale “...se il fatto dannoso è causato da
più persone, la Corte dei conti, valutate le singole responsabilità, condanna ciascuno per la parte che vi ha
preso”, è da escludere, salvo quanto precisato di seguito in ordine al c.d. quantum addebitabile ai
convenuti, una responsabilità cumulativa unitaria e per conseguenza un litisconsorzio necessario.
E ciò si attagliava anche alle decisioni assunte in sede deliberativo collegiale, che potevano destare
qualche riserva in merito, poiché l’aspetto unitario di tale ultimo atto si riverbera esclusivamente
verso l’esterno, mentre nella sua struttura interna esso è il risultato del concorso di una pluralità di
atti (voto e decisione dei singoli componenti la Commissione di gara) collegati nell’ambito di un
procedimento amministrativo teso, in specie, al risultato finale dell’aggiudicazione. Per ciò,
ognuno dei componenti la Commissione di gara con il proprio intervento concorre a formare l’atto
collegiale, unitario verso l’esterno, poiché integrante la volontà della Commissione e diretto
all’Amministrazione appaltante, che, tuttavia, conserva la propria autonomia strutturale, dovendo
essere apprezzato nella sua individualità ai fini della responsabilità gestoria: quest’ultima <<(...)
anche nelle deliberazioni si fonda sull’individuazione delle singole condotte causative del danno, a
prescindere dalla natura collegiale degli atti in cui confluiscono>> (cfr. Corte dei conti, SS.RR. n.
15/QM/1999, del 27 maggio 1999). Cosicché, la posizione degli odierni convenuti non è affatto
influenzata dalla partecipazione in giudizio di terzi di cui si affermi l’esclusiva o concorrente
responsabilità, ben potendo il Giudice (che abbia ravvisato di non dover integrare il
contraddittorio nei confronti di eventuali soggetti concorrenti, a fronte dei quali il Procuratore
regionale conserva la prerogativa di agire anche in seguito e salva ogni ipotesi prescrittiva)
valutare il contributo causale, qualora emergente nella competente fase di merito, al danno
apportato da costoro, escludendo o decurtando, corrispondentemente, l’addebito a carico dei
soggetti convenuti in giudizio (cfr. Corte dei conti, Sez. Basilicata n.128, del 27 aprile 2006, Sez.
Sardegna, sent. 1834/2008, e Sezione Veneto n.34, del 17 marzo 2015). Per ciò, resta ferma, attesa la
parziarietà della responsabilità erariale, la possibilità per il Collegio giudicante di valutare
incidentalmente il contributo causale di eventuali ulteriori soggetti concorrenti alla causazione del
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pregiudizio pubblico “...piuttosto che disponendone la chiamata in causa (ove sussistente il relativo potere
cognitorio) anche al fine di non pregiudicare la ragionevole durata del processo” (così Corte dei conti, Sez.
1^ di app., 09 maggio 2014, n. 639/2014/A). Per tali ragioni la domanda di estensione del
contraddittorio non merita accoglimento.
[3] Così statuito riguardo all’ambito soggettivo, i patroni dell’Ing. Lovato Luigi Paolo erano
ad eccepire nella memoria di costituzione la nullità dell’istruttoria preliminare e dell’atto
introduttivo con ogni conseguente statuizione. A tal riguardo, previo richiamo dell’art. 17, comma
30 ter, del d.l. 1° luglio 2009, n. 78, e s.m.i., osservavano che, in specie, “...manca(va) del tutto una
notitia damni relativa al comportamento contestato all’Ing. Lovato”. In breve, atteso che l’esposto era del
05 aprile 2011 (pervenuto l’8 aprile seguente), mentre il comportamento del loro assistito, che
avrebbe causato il (una parte del) pregiudizio, risaliva al 26 aprile 2011, la relativa notitia damni,
come (avrebbero) statuito le Sezioni Riunite nella sentenza n. 12//2011/QM, del 03 agosto 2011,
“...non poteva dunque riguardare gli atti e i comportamenti che al momento dell’esposto non si erano ancora
verificati” (pag. 8 della memoria). Per ciò, poiché l’esposto segnalava “...la vicenda relativa
all’affidamento di un incarico professionale conferito dal comune di Lazise, oggetto di ricorso al TAR Veneto
con conseguente condanna dell’Amministrazione al risarcimento dei danni al ricorrente” l’indagine
erariale “...doveva avere ad oggetto i fatti ivi descritti non quelli successivi accaduti...”, pena la
legittimazione di “...un improprio potere di controllo generalizzato e permanente sull’attività
amministrativa (Corte Cost. sent. n. 209/1994)”.
La doglianza della nullità veniva fatta propria, nel corso della discussione, anche dai patroni del
convenuto Franceschini.
Di tutt’altro avviso il Procuratore regionale che, nel corso della requisitoria dibattimentale,
ha confermato di aver aperto legittimamente la vertenza sulla base della relazione/esposto
prodotta l’8 aprile 2011 dall’Arch. Virgilio Munari, segnalante una ipotesi specifica e concreta di
danno alle finanze del comune di Lazise, che gli accertamenti e le acquisizioni istruttorie
successivamente disposti, protesi alla corretta valutazione delle posizioni delle parti e alla
completezza documentale, integravano con l’emersione di una ulteriore posta di pregiudizio,
siccome correlata alle spese legali sostenute dall’Ente territoriale all’esito del ricorso al Consiglio di
Stato.
[3.1] L’eccezione non incontra il favore della Sezione e deve, pertanto, essere disattesa.
Ai sensi dell’art. 17, comma 30 ter, del d.l. n. 78 del 2009, convertito dalla legge 03 agosto
2009, n. 102, nel testo risultante dalle disposizioni correttive introdotte dal d.l. 3 agosto 2009, n. 103,
convertito dalla legge 03 ottobre 2009, n. 141 <<Le Procure della Corte dei contipossono iniziare
l’attività istruttoria ai fini dell’esercizio dell’azione di danno erariale a fronte di specifica e concreta
notizia di danno, fatte salve le fattispecie direttamente sanzionate dalla legge...Qualunque atto istruttorio o
processuale posto in essere in violazione delle disposizioni di cui al presente comma, salvo che sia stata
pronunciata sentenza anche non definitiva alla data di entrata in vigore della legge di conversione del
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presente decreto, è nullo e la relativa nullità può essere fatta valere in ogni momento, da chiunque vi abbia
interesse, innanzi alla competente sezione giurisdizionale della Corte dei conti, che decide nel termine
perentorio di trenta giorni dal deposito della richiesta>>.
La richiamata disposizione subordina l’avvio dell’attività istruttoria alla sussistenza di una notizia,
comunque acquisita, di una fattispecie di danno, chiaramente individuabile come tale, seppur
necessitante di essere più dettagliatamente vagliata, lasciando integro il potere istruttorio del
Pubblico Ministero di accertare la fondatezza della <<notitia damnum>>, la sua ascrivibilità e
l’effettività del segnalato pregiudizio. Essa, quindi, indica solo il presupposto legittimante l’avvio
dell’indagine erariale, senza imporre vincoli con riguardo alle successive modalità istruttorie,
integranti una discrezionalità propria del Requirente, regolata dalle leggi 19 e 20 del 1994 oltre che
dalla normativa pregressa, quali le acquisizioni documentali successive ai fatti denunciati e
inerenti, in specie, la sussistenza di sentenze di secondo grado intervenute a seguito di gravame
del comune di Lazise. Per ciò, la “ratio” di essa non è quella di far pervenire alla Procura regionale
una notizia di danno completa di tutti gli elementi oggettivi e soggettivi integranti la
responsabilità amministrativa, pena l’inutilità del potere istruttorio riconosciuto in capo al
requirente, bensì quella di evitare che quest’ultimo possa compiere attività di sostanziale controllo
della Pubblica amministrazione, ponendo in essere indagini generalizzate sulla scorta di notizie
estremamente labili e incerte e dunque non idonee a dar conto della presumibile sussistenza di una
determinata fattispecie di danno erariale (c.d. profilo teleologico della norma). E ciò sulla falsariga
di quanto enunciato dal Giudice delle Leggi in termini d’inesistenza in capo alle Procure presso la
Corte dei conti, di un potere di controllo generalizzato e diffuso sulla P.A., cosicché gli atti
istruttori che si distinguono per una genericità “soggettiva e oggettiva” sono sintomatici di
<<...attribuzioni esercitate in modo eccedente, rispetto ai confini necessariamente tipizzati
dall’ordinamento...>> sì da produrre <<...una menomazione nella sfera presidiata dalle garanzie di
autonomia...>> (cfr. Corte Costituzionale n. 337/2005), mentre rientra nel potere di tale Organo
requirente richiedere atti singolarmente precisati e necessari all’accertamento di responsabilità in
relazione all’eventuale produzione di danni erariali (cfr. Corte Cost. n.100/1995). In breve, l’ampio
potere d’indagine che le norme imputano alla Procura contabile <<...deve essere ispirato a un criterio
di obiettività, d’imparzialità e neutralità, specie perché ha un fondamento di discrezionalità...diretta a un
interesse giurisdizionale>> e deve essere <<...determinato da elementi specifici e concreti e non da mere
supposizioni>> (cfr. Corte Costituzionale, sent. n. 104/1989). Il Legislatore ha tradotto, per ciò, tali
principi in previsione positiva, la cui violazione produce la nullità degli atti posti in essere.
Ora, le premesse in questione fondano il convincimento della Sezione che per dare corso a
un’attività istruttoria conforme al diritto vigente è necessario che essa rinvenga la sua fonte, il suo
impulso legittimo, in una notizia o denuncia di danno erariale afferente fatti anche indiziari ma
oggettivamente individuati, dai quali possa dedursi un non apparente comportamento illecito e un
ingiusto pregiudizio per un’Amministrazione pubblica. La notizia è da considerare idonea a far
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partire le indagini purché precisa e concreta, nel senso che essa deve fondarsi su elementi
circostanziati, ma non esaurienti (attesa la diversità tra notizia, attività istruttoria e invito, atto
introduttivo del giudizio e decisione nel merito della domanda), attendibili e verosimili al punto
da indirizzare le indagini in una determinata direzione e ambito operativo. Sul punto il Collegio
segue, condividendone le ragioni logico – giuridiche che ne stanno alla base, il principio fissato
dalle Sezioni Riunite di questa Corte che, con sentenza n. 12/2011/QM, del 09 giugno – 03 agosto
2011, hanno affermato, tra l’altro, la seguente statuizione nomofilattica: <<..il termine notizia,
comunque non equiparabile a quello di denunzia, è da intendersi, secondo la comune accezione, come dato
cognitivo derivante da apposita comunicazione, oppure percepibile da strumenti d’informazione di pubblico
dominio; l’aggettivo specifica è da intendersi come informazione che abbia una sua peculiarità e individualità
e che non sia riferibile ad una pluralità indifferenziata di fatti, tale da non apparire generica, bensì
ragionevolmente circostanziata; l’aggettivo concreta è da intendersi come obiettivamente attinente alla realtà
e non a mere ipotesi o supposizioni. L’espressione nel suo complesso deve, pertanto, intendersi riferita non
già ad una pluralità indifferenziata di fatti, ma ad uno o più fatti, ragionevolmente individuati nei loro tratti
essenziali e non meramente ipotetici, con verosimile pregiudizio per gli interessi finanziari pubblici, onde
evitar che l’indagine del PM contabile sia assolutamente libera nel suo oggetto, assurgendo ad un non
consentito controllo generalizzato. Di conseguenza, sono idonei ad integrare gli estremi di una “specifica e
concreta notizia di danno”: a) l’esposto anonimo, se riveste i caratteri di specificità e concretezza innanzi
precisati; b) i fatti conosciuti nel corso della fase dell’invito a dedurre, anche per soggetti diversi dall’invitato,
nei medesimi termini; c) i fatti conosciuti a seguito di delega alle indagini, attribuita dalla Procura regionale
ad organismi quali la Guardia di Finanza; d) da ultimo, non possono considerarsi specifiche e concrete,
secondo quanto innanzi precisato, le notizie relative alla mera condotta, in carenza d’ipotesi di danno, quale
presupposto oggettivo della responsabilità amministrativa: ciò a differenza delle ipotesi di fattispecie
direttamente sanzionate dalla legge...>>. Nella sentenza delle Sezioni Riunite n. 13/2011/QM, del 03
agosto 2011, sono invece precisati, tra gli altri, i seguenti principi di diritto: <<1) deve escludersi la
rilevabilità d’ufficio della questione di nullità nel giudizio di responsabilità (...). 2) In ipotesi di giudizio di
responsabilità già instaurato con pluralità di convenuti, non sussistono fattispecie di litisconsorzio
necessario, inscindibilità di cause o litisconsorzio processuale, non essendovi comunanza di causa ai fini della
pronunzia sulla nullità...>>: in breve si tratta di un’eccezione in senso proprio e personale al singolo
convenuto, per la quale non può ipotizzarsi alcuna efficacia riflessa del relativo giudicato con
riguardo a soggetti che non abbiano rilevato la nullità.
Orbene, rileva il Collegio che le Sezioni Riunite, nella sent. n. 12/2011/QM, del 03 agosto
2011, contrariamente a quanto opinato nella memoria di costituzione dell’Ing. Lovato (pag.8),
hanno fornito, sulla base della pacifica giurisprudenza formatasi sin da allora, positivo riscontro
sulla non applicabilità della sanzione della nullità degli atti istruttori al procedimento avviato,
come in specie, in base ad un esposto/denuncia di danno al pubblico erario, siccome integrato da
elementi specifici e concreti (come riconosciuto dalle stesse difese del Lovato), che le successive
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acquisizioni probatorie rendevano più completo, costituendo occasione per il Requirente
medesimo di conoscenza diretta di altri fatti, anche successivi alla precedente ipotesi di
pregiudizio, riferibili a persone diverse dagli originari indagati, fatti produttivi a loro volta di
danno erariale <<...e per i quali dare corso ad un’azione risarcitoria che, è bene non dimenticarlo, ha natura
doverosa e non disponibile>> (cfr. Corte dei conti, Sez. Umbria, ord. n. 019, del 02 novembre 2009,
Sez. Friuli. Venezia Giulia, ord. n. 82, del 18 dicembre 2009). A tal riguardo il Giudice della
nomofilachia ha infatti legittimato l’ipotesi ricorrente delle citazioni in giudizio originate da fatti
conosciuti a seguito di delega alle indagini, attribuita dalla Procura regionale ad organismi quale la
Guardia di Finanza, l’Arma dei Carabinieri, Uffici ispettivi di varie amministrazioni, a seguito di
acquisizioni documentali istruttorie ovvero nel corso della fase dell’invito a dedurre, anche per
soggetti diversi dall’invitato. In tali ipotesi, hanno sostenuto i predetti Giudici, <<...deve ritenersi
che una relazione da parte dei suddetti organi possa anch’essa costituire fonte di conoscenza qualificata, nel
senso richiesto dalla legge, con riferimento a fatti riguardanti episodi e soggetti anche non interessati
dall’originaria delega alle indagini: sempre che, naturalmente, quell’attività istruttoria fosse stata a sua volta
iniziata dalla Procura legittimamente, per verificare cioè l’attendibilità di segnalazioni di danno specifiche e
concrete, e all’esito di tali indagini siano poi emerse ulteriori ipotesi dannose, anch’esse specifiche e
concrete>> (cfr. SS.RR. n. 12/2011/QM, del 03 agosto 2011, e la giurisprudenza in essa richiamata).
E ciò è quanto occorso nell’ipotesi tratta a giudizio, in cui la Procura regionale riceveva, in data 08
aprile 2011, una segnalazione esposto afferente un presunto danno alle finanze del comune di
Lazise, per somme dovute e poi pagate, all’esito di un giudizio amministrativo di primo grado, a
titolo risarcitorio e per spese legali, la verifica della cui attendibilità e l’accertamento delle relative
responsabilità, come indotte dalle acquisizioni istruttorie disposte dal Requirente, facevano
emergere una ulteriore ipotesi dannosa, per spese legali conseguenti a un ricorso al Consiglio di
Stato, anch’essa specifica e concreta. Pertanto, era da ritenersi assolutamente doveroso l’avvio, a
seguito della relazione/esposto, di una istruttoria da parte del Procuratore regionale, per
raccogliere ulteriori dati ed elementi di giudizio volti a confermare, od anche eventualmente ad
escludere, il danno patrimoniale ivi segnalato all’Ente comunale e possibili personali
responsabilità amministrative. E ove nel corso della suddetta attività di indagine, perfettamente
legittima, avviene che l’Organo inquirente prenda conoscenza di atti e fatti che già in prima
delibazione appaiono costituire una autonoma ipotesi di illecito erariale, ancorché diversa rispetto
a quella oggetto dell’indagine istruttoria che sta conducendo, lo stesso non potrà e non dovrà
ritenersi impedito ad agire, per tale diversa fattispecie, dall’art. 17, comma 30 ter, del d.l. n.
78/2009 e ss.mm.ii e, quindi, dispensato dall’obbligo di procedere. In conclusione, non vi è chi non
veda come sia estremamente difficile negare che siano stati soddisfatti quei requisiti che le Sezioni
Riunite hanno indicato come legittimanti l’azione erariale, con ineludibile rigetto della relativa
eccezione.
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[4] Un tanto deciso, deve ora il Collegio scrutinare il denunciato sconfinamento delle attribuzioni
giurisdizionali, da parte del Requirente e, quindi, del Giudice adìto, quale eccezione formulata
espressamente dalle difese dell’Ing. Lovato Luigi Paolo, ma incidente, poiché rilevabile ancheex
officio, sull’ammissibilità della domanda nella sua intierezza, che verrebbe ad essere travolta
qualora dovesse ravvisarsi la fondatezza di censure involgenti il merito delle scelte operate. In
breve, le suddette difese affermavano, con riguardo alla scelta operata dalla Giunta municipale, su
proposta del Responsabile in carica dell’Ufficio Tecnico (Ing. Lovato), di autorizzare il Sindaco a
ricorrere in appello, ”...l’insindacabilità nel merito della scelta discrezionale operata, con violazione
dell’art.1 della legge n. 20 del 1994”, atteso che il giudice contabile, nell’accertare e valutare gli atti e i
fatti posti in essere dagli amministratori e dai dipendenti delle pubbliche amministrazioni, non
poteva sostituirsi ad essi e ripercorrere l’iter argomentativo seguito nelle scelte discrezionali
operate, dovendo in ogni caso rispettare la sfera di autonomia decisionale riservata
all’Amministrazione. Di tal ché, i suddetti legali, ritenevano esistente un “...ormai consolidato
orientamento giurisprudenziale secondo cui la scelta fatta da un comune – nell’intendimento, come nel caso,
di curare i propri interessi – di intraprendere un’azione giudiziale ovvero di resistere a quella intentata da
altri, attiene alla sfera di discrezionalità, e quindi, di per sé, non conduce a perseguire, indipendentemente
dall’esito della lite, gli autori della scelta sotto il profilo della responsabilità amministrativa, tenuto anche
conto che una ragionevole soglia di rischio è comunque implicita in ogni difesa legale (fra le tante Corte dei
conti, Sez, 2^ centr. di app., n. 303, del 03 novembre 2003)”.
L’Ufficio del P.M. era, invece, ad avversare tali conclusioni, atteso che il sindacato della Corte dei
conti impingeva sulla verifica delle ragioni indicate a base della scelta operata.
[4.1] La ricostruzione interpretativa operata dalle predette difese appare al Collegio fuor di segno,
atteso che in specie non si discorre della scelta discrezionale di gravare o non in appello una
sentenza di prime cure non favorevole all’Ente locale, bensì della veridicità dei motivi addotti a
fondamento di una tale scelta e che ove riscontrati come non attendibili e non ricorrenti rendevano
il gravame di per sé irragionevole. In ipotesi, per ciò si trascura l’aspetto prodromico alle scelte
operate, ossia il rispetto delle procedure legislative e regolamentari ad effetto conformativo
dell’azione esitante nelle stesse, che impongono di motivare ex ante gli atti aventi dei costi per la
collettività e la cui violazione, a prescindere dalla valutazione della fondatezza delle indicate
ragioni che appartiene al merito, è oggetto di denuncia nell’atto introduttivo e, quindi,
perfettamente sindacabile in questa sede.
Mette conto rilevare, infatti, che il rispetto della c.d. riserva di amministrazione si traduce,
in ragione dell’interazione tra giurisdizione e merito, in un limite alla responsabilità
amministrativa: in tale evenienza l’interferenza sulla scelta di merito operata potrebbe tradursi in
un travalicamento dei limiti, obbligante l’adita Corte a una declaratoria dì inammissibilità
del libello, poiché la materia sarebbe coperta da una riserva in favore dell’amministrazione, che
potrebbe meglio descriversi come difetto di attribuzione, non appartenendo la conoscibilità del
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merito stesso ad alcun ambito giurisdizionale, incluso quello contabile. Detto diversamente, la
riserva amministrativa prevede che solo la P.A. può valutare il modo in cui curare concretamente
l’interesse pubblico e, quindi, il giudice non può sostituirsi ad essa nel valutare quali siano le
migliori scelte gestionali e i migliori strumenti da utilizzare per perseguire i fini istituzionali. A tal
riguardo, l’art. 1, comma 1, della legge n. 20, del 14 gennaio 1994, come modificato dall’art.3, della
legge 23 ottobre 1996, n. 543, ha previsto che la responsabilità dei soggetti sottoposti alla
giurisdizione della Corte dei conti è personale e limitata ai fatti e alle omissioni commessi con dolo
o colpa grave, <<…ferma restando l’insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali…>>.
L’innovazione legislativa in predicato è stata introdotta nell’ottica di evitare che il magistrato,
attraverso il sindacato delle scelte discrezionali, realizzi una valutazione nel merito e si trasformi in
amministratore, seppure giusto e ponderato, travalicando così lo spazio di azione definibile come
riserva di amministrazione (così Atti seduta della Camera dei Deputati 18 dicembre 1996, n. 109,
nonché Corte dei conti, Sezione 1^, sent. n. 292/A, del 23 settembre 2005, Cass. SS.UU. 29 gennaio
2001, n. 33). Sostanzialmente, quindi, l’agire libero degli amministratori e dipendenti pubblici [in
cui rientrano anche gli odierni convenuti, quali dipendenti e amministratori (funzionari onorari) di
Ente locale], entro gli spazi normativamente assentiti, si traduce in una condotta giuridicamente
consentita o per lo meno non vietata dalle norme, quindi in una sorta di requisito positivo del
comportamento, finalizzato a tradurre una scelta, tra più opzioni di merito tutte ugualmente lecite
e legittime, in un provvedimento decisorio destinato all’attuazione di un determinato fine di
pubblico interesse, rispondente alla causa del potere esercitato. Ciò, tuttavia, non ha comportato la
creazione di un’area di sostanziale deresponsabilizzazione erariale nell’adozione di atti e
provvedimenti, conseguenti alla <<scelta>> operata, specialmente per le ipotesi in cui la stessa
poteva apparire, <<ab initio>>, portatrice di possibili conseguenze perniciose per l’Ente pubblico
per l’errata valutazione comparativa degli interessi protetti ovvero per l’indicazione a supporto di
motivazioni contraddittorie ed inattendibili, frutto ad es. di macroscopica negligenza. Prova ne era
che i limiti al sindacato della Corte dei conti, ma sarebbe meglio dire al sindacato di qualunque
giudice, sulle scelte discrezionali, esistevano già in via d’interpretazione (diritto vivente) in quanto
immanenti nella Carta Fondamentale e fondati sul principio di legalità dell’amministrazione e sul
controllo di quest’ultima (controllo che non poteva, comunque, trasformare il Giudice in
amministrazione attiva nelle scelte da operare), limiti che la novella del 1996 ha provveduto a
esplicitare senza, quindi, soluzione di continuità nel dispiegarsi della giurisdizione contabile sulle
scelte discrezionali, con l’intento d’impedire effetti dirompenti e lesivi dei principi d’imparzialità e
di buon andamento dell’azione amministrativa. Ora, la giurisprudenza consolidata ritiene che il
Magistrato contabile possa sindacare la legittimità dell’operato amministrativo non solo alla luce
di regole giuridiche ben individuate ma anche in ragione di parametri non giuridici permeabili il
divenire dell’azione (cfr. ex plurimis Corte dei conti, sez. 1° d’app. sent. n.292/2005/A, del 23
settembre 2005, Sezione Lazio sent. n.1726, del 12 settembre 2005, Sezione Veneto, sent. n. 166
27
del 18 febbraio 2009). Onde, l’esame della scelta effettuata deve essere condotto alla stregua di
taluni<<…parametri obiettivi valutabili ex ante e rilevabili anche dalla comune esperienza>> (cfr.
Corte dei conti, Sez. III, 21 gennaio 2004, n. 30/A, Sez. Lazio, 12 ottobre 2006, n. 1791),
quali l’incongruità, l’illogicità, l’irrazionalità, l’inefficacia, l’antieconomicità, la ragionevolezza e la
non proporzionalità, tutte espressioni della non coerenza della scelta rispetto ai fini di pubblico
interesse imposti. E tale maggiore penetrazione del sindacato di questa Corte ha trovato avallo
giuridico interpretativo nella decisione n.7024, del 28 marzo 2006, delle Sezioni Unite della
Cassazione, il cui orientamento è stato ribadito da Cassazione SS. UU. n. 4283, del 21 febbraio 2013,
e n. 10416, del 14 maggio 2014. La precedente e pluriennale impostazione della Corte Regolatrice
limitava, infatti, l’area della discrezionalità al rispetto dei fini istituzionali dell’Ente (ossia alla cura
degli specifici interessi pubblici ad esso affidati), senza possibilità, per il Giudice contabile, di
estendere il controllo alle concrete articolazioni dell’agire amministrativo (cfr. Cass. SS.UU. 29
gennaio 2001 n. 33 e 06 maggio 2003 n. 6851). In seguito, la Corte di legittimità (cfr. Cass, sent. n.29
settembre 2003, sent. n. 14488), ha abbandonato tale indirizzo osservando come <<…la nozione di
discrezionalità è unitaria, e non può subire allargamenti nel caso specifico del giudizio di responsabilità, nel
quale il controllo della conformità a legge dell’azione amministrativa deve riguardare anche l’aspetto
funzionale di quest’ultima, vale a dire con riguardo alla congruenza dei singoli atti rispetto ai fini imposti, in
via generale o in modo specifico, dal Legislatore>>. La Corte, in sintesi, ha ritenuto che la disposizione
dell’art. 1, della legge n.20/1994, doveva essere posta in correlazione con l’art.1, della la legge 7
agosto 1990, n. 241, ossia con i criteri di economicità ed efficacia (ma anche con gli altri principi ivi
indicati), quali criteri che assumevano, nel divenire dell’azione amministrativa, rilevanza sul piano
della legittimità e non della mera opportunità. Il primo, quale diretta attuazione del canone
costituzionale e comunitario di buona amministrazione, vincola la P.A. all’uso accorto, immune da
sprechi, delle proprie risorse (in definitiva di pertinenza della collettività in senso ampio),
traducendosi nell’obbligo di perseguire i propri obiettivi con il minor dispendio di mezzi
personali, finanziari, procedimentali. Analogamente, il principio di efficacia indica il rapporto tra
risultati ottenuti e obiettivi prestabiliti ed esprime l’esigenza che l’amministrazione adotti tutte le
misure che appaiono più idonee a conseguire i propri obiettivi. I suddetti principi, a loro volta,
costituiscono corollario del canone consacrato nell’art. 97 della Costituzione, che impone alle
Amministrazioni Pubbliche il conseguimento degli obiettivi legislativamente prefissati, agendo
con il minor dispendio di mezzi, come buona amministrazione. La decisione n.7024/2006, nel far
proprio tale ultimo indirizzo, è andata oltre, rilevando che non era <<…imposto da alcuna ragione di
ordine sistematico che il controllo di legalità nel giudizio di responsabilità amministrativa dinanzi al giudice
contabile debba avere un contenuto meno ampio e debba essere meno penetrante di quanto avviene nel
giudizio di legittimità sugli atti amministrativi, affidato al giudice amministrativo e, in via incidentale, al
giudice ordinario…>>. Soggiungeva, la Corte di legittimità, come il<<…sindacato della Corte dei
conti in sede di giudizio di responsabilità (ma anche in sede di giurisdizione di conto) non deve
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limitarsi a verificare se l’agente abbia compiuto l’attività per il perseguimento di finalità
istituzionali, ma deve estendersi alle singole articolazioni dell’agire amministrativo, escludendone
soltanto quelle in relazione alle quali la legge attribuisce all’amministrazione una scelta elettiva tra diversi
comportamenti, negli stretti limiti di tale attribuzione>>. Pertanto, le scelte elettive degli
amministratori e dipendenti, dovendosi conformare ai suddetti criteri di legalità e a quelli normati
di economicità, di efficacia, di ragionevolezza e di buon andamento <<...sono soggette al controllo
della Corte dei conti perché assumono rilevanza sul piano della legittimità e non della mera opportunità
dell’azione amministrativa. Per ciò, non eccede la giurisdizione contabile non solo la verifica se
l’amministrazione abbia compiuto l’attività per il perseguimento di finalità istituzionali
dell’ente, ma anche se nell’agire amministrativo ha rispettato dette norme e principi giuridici e
dunque la Corte dei conti non viola il limite giuridico della “riserva di amministrazione” – da
intendere come preferenza tra alternative, nell’ambito della ragionevolezza, per il
soddisfacimento dell’interesse pubblico – sancito dall’art.1, comma 1, della legge n. 20 del 1994 ...-
nel controllare anche la giuridicità sostanziale – e cioè l’osservanza dei criteri di razionalità, nel
senso di correttezza e adeguatezza dell’agire, logicità e proporzionalità tra costi affrontati e
obiettivi perseguiti, costituenti al contempo indici di misura del potere amministrativo e confini
del sindaco giurisdizionale – dell’esercizio del potere discrezionale>> (così Corte di Cass. SS.UU.
n. 4283, del 21 febbraio 2013). Di tal ché, il principio enunciato nell’art. 1, comma 1 cit. esclude che
la Corte dei conti possa conoscere condotte discrezionali che violano regole non scritte di
opportunità e convenienza, mentre dalla stessa sono conosciute condotte discrezionali che si
pongono in contrasto con norme espresse o principi giuridicizzati, nei quali devono
ricomprendersi, come detto, i principi di buon andamento dell’azione amministrativa, di efficacia,
efficienza della stessa, di razionalità, di ragionevolezza e di proporzionalità, quali connotanti la
buona amministrazione siccome prevista dall’art.97 della Carta Fondamentale. Ragion per cui il
sindacato giudiziale contabile, che si esercita nei confronti dei pubblici poteri e della
discrezionalità amministrativa, si esprime anche nella direzione di un controllo sull’eccesso,
dell’abuso e dello sviamento di potere, giacché ogni potere, va esercitato in maniera funzionale,
corretta, coerente con i principi generali dell’ordinamento giuridico e con quelli speciali della
singola disciplina per potersi dire non destinatario di censure. In estrema sintesi, il Giudice
contabile è chiamato a verificare la pratica compatibilità dell’agire amministrativo non solo rispetto
ai limiti c.d. “espliciti” posti dalle singole disposizioni ma anche ai limiti c.d. “impliciti” o
“interni”, tesi a far sì che l’azione si svolga in maniera corretta, equilibrata (c.d. proporzionalità),
funzionale o altrimenti detto secondo buona fede e correttezza. E tali premesse giuridiche
escludono che possa costituire una scelta discrezionale insindacabile l’operato della Giunta
municipale che, in forza di proposta del responsabile del settore, ha deliberato di autorizzare il
gravame di una sentenza di primo grado facendo proprie motivazioni apparenti, non attendibili,
poiché non ricorrenti in concreto, che hanno reso la stessa impugnativa del tutto irragionevole. In
29
sostanza, in questo anticipando il merito, a fronte della decisione del TAR del Veneto, supportata
da una univoca giurisprudenza, anche di appello, la determinazione di proporre gravame
appariva sfornita di qualsivoglia appiglio giuridico ragionevole. Di fatti la proposta di delibera e
l’annesso parere favorevole di regolarità tecnica del 20 aprile 2011, provenienti dal Responsabile
del Servizio Urbanistica, confluiti e annessi alla deliberazione della G.C., n. 65, del 26 aprile 2011,
riportano delle motivazioni inverosimili, che nulla avevano a che vedere con delle reali e credibili
ragioni di gravame, giacché afferenti ad un <<...evolversi della normativa riguardante le procedure
oggetto di ricorso che risultano spesso di difficile e complicata interpretazione e applicazione>>, che non
trovavano alcun riscontro nella sentenza di prime cure e nella copiosa giurisprudenza in essa
richiamata. Di tal ché, al cospetto di una tale deliberazione, non compete alla Corte dei conti
andare a sindacare la scelta dell’Ente locale di spiegare o non l’atto di appello, ma spetta alla stessa
il potere di verifica delle ragioni addotte a fondamento della scelta operata, sopra tutto in ipotesi di
atti amministrativi ingiustificati e irrazionali (cfr. Corte di Cass. S.U. civili, 14 maggio 2014,
n.10416). Pertanto, il limite della insindacabilità non sussiste, e dunque non può essere invocato
dai presunti responsabili del danno, allorché le scelte discrezionali, dalle quali sia derivato il
presunto nocumento patrimoniale, siano contrarie alla legge o si rivelino gravemente illogiche,
arbitrarie, irrazionali, irragionevoli o contraddittorie, atteso altresì che la predetta insindacabilità
concerne la valutazione delle scelte tra più comportamenti legittimi attuati per il soddisfacimento
dell’interesse pubblico perseguito e non ricomprende, al contrario, le scelte funzionalmente
deviate rispetto al superiore e fondamentale principio del buon andamento (cfr. ex aliis Corte di
conti, Sez. 1^ di app., n. 346/2008, Sez. Abruzzo n. 67/2005, Sez. Veneto n. 938/2004, Cons. di
Stato, Sez. IV, n. 4409/2003). Più in generale, la giurisprudenza (Ordinaria di legittimità e della
Corte dei conti) ha affermato che <<...il comportamento contra legem del pubblico amministratore non è
mai al riparo dalla valutazione giurisdizionale non potendo esso costituire esercizio di scelta discrezionale
insindacabile>> (cfr. Corte di Cass. S.U. civili, 27 febbraio 2008, n. 5083, id. 28 marzo 2006, n. 7024, e
Corte dei conti, Sez. 2^ centr. di app., 08 giugno 2015, n. 296). E ciò in quanto, nel merito
amministrativo insindacabile, confluiscono solo quelle possibilità decisionali compatibili con “...i
principi di ragionevolezza che devono sempre innervare la scelta discrezionale, criteri che se non rispettati, la
rendono un dannoso arbitrio” (così Corte dei conti, Sez. Molise, 15 dicembre 2008, n. 178). A tali
premesse consegue il rigetto della questione sollevata.
[5] Respinte le questioni pregiudiziali, nel merito il libello, per il Collegio, integra, con le
precisazioni e nei termini di seguito esposti, i presupposti di legge per far luogo a una pronuncia
di condanna per responsabilità amministrativa a carico dei prevenuti, con l’eccezione dell’Avv.
Tommasini Flavio, la cui posizione non raggiunge il minimo di colpa grave previsto dalla legge a
tali fini.
La Sezione, preliminarmente, non ritiene di dovere ammettere la prova per testi chiesta da
quest’ultimo, giacché la documentazione agli atti del fascicolo processuale, comprensiva delle
30
audizioni dei presunti responsabili e di altri soggetti coinvolti nella vicenda e non evocati, è da
ritenersi idonea a chiarire anche gli aspetti denunciati dal predetto, in ordine alla conoscibilità,
integrale o non, da parte dei componenti la Giunta, del parere formulato dal Prof. Domenichelli
Vittorio con lettera del 07 aprile 2011, indirizzata al Sindaco Franceschini, e alla partecipazione del
Segretario comunale all’adunanza del 26 aprile 2011, di approvazione della delibera n. 65. Di tal
ché, si ravvisa di non dover ammettere altri mezzi di prova, per essere quelli acquisiti al processo -
di natura documentale - già sufficienti ai fini della sua definizione (Cass. SS.UU. 19704, del 13
novembre 2012).
Ciò posto, rileva il Collegio la ricorrenza in ipotesi di un duplice ingiusto danno a carico del
comune di Lazise a ragione di condotte gravemente colpose, violative degli obblighi di servizio,
poste in essere dai componenti la Commissione di gara, e dal Sindaco Franceschini che, in qualità
di assessore del ramo, nel gestire in proprio l’affare del ricorso in appello, ha dismesso lo
svolgimento di ogni attività di indirizzo politico, per spiegare in concreto, unitamente all’Ing.
Lovato, una funzione amministrativa con tutte le inevitabili conseguenze per le scelte operate.
La prima fattispecie di pregiudizio, in termini materiali, è la risultante della condotta, atteso
che diversamente da quanto opinato nelle difese di taluni dei convenuti la Corte non conosce in
via principale di atti amministrativi, ma di fatti e comportamenti, tenuta dai Commissari di gara,
Geom. Bizzocoli Alberto, nella veste di Presidente, Geom. Zanini Giuseppe e Rag. Antonelli
Mauro nella veste di componenti, i quali, nella prima seduta del 05 settembre 2007, incorrevano in
una palese illegittimità per il fatto di avere aperto le buste delle offerte pervenute in seduta segreta.
Un tale comportamento era a porsi in contrasto con i principi di trasparenza e imparzialità che
impongono la pubblicità, a tutela della par condicio, delle sedute iniziali delle commissioni
dedicate per l’appunto all’apertura dei plichi contenenti le offerte, siccome previsti sia dall’art. 2
della Direttiva 2004/18/CE, del 31 marzo 2004: <<Le amministrazioni aggiudicatrici trattano gli
operatori economici su un piano di parità, in modo non discriminatorio e agiscono con trasparenza>>, sia
dall’art. 2, comma 1, del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163:<<L’affidamento...di opere e lavori pubblici...deve
altresì rispettare i principi di...parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza,
proporzionalità...>>. Quello della trasparenza è un principio diverso dalla pubblicità, che ha un
contenuto per cosi dire statico volendosi con esso comunicare l’azione del potere pubblico, mentre
il primo denota un contenuto dinamico, di interazione tra il pubblico e il privato, esprimente la
possibilità di quest’ultimo di comprendere l’azione dell’amministrazione al fine di poterne
verificare la legittimità, la correttezza e l’imparzialità. In specie, la pubblicità delle sedute di gara si
consegue garantendo ai concorrenti la possibilità di partecipare materialmente alle operazioni di
verifica e di valutazione, obbligo che con riguardo alle sedute delle Commissioni afferisce
esclusivamente alla fase di apertura dei plichi contenenti la documentazione e l’offerta economica
dei partecipanti, stadio che può implicare l’adozione di decisioni suscettibili di riverberarsi sulla
partecipazione dei concorrenti alla gara stessa. Ipotesi che, in concreto, poteva verificarsi, atteso
31
che la Commissione, in data 05 settembre 2007, ha riscontrato che il plico n. 2, presentato dallo
“Studio R.T.I. e P. dott. Endri Orlandini – Igeam s.r.l” di Roma, risultava essere stato aperto
erroneamente dall’Ufficio protocollo e protocollata la busta contenente l’offerta economica: in tale
circostanza il Collegio di gara ha proceduto all’ammissione del predetto concorrente. E in ragione
di tali eventuali ripercussioni, il principio di pubblicità delle sedute di gara per la scelta del
contraente, da parte della Stazione appaltante, è stato ritenuto dalla Giurisprudenza
amministrativa uniforme (cfr. Cons. di Stato, Sez. VI, 30 settembre 2008, n. 4699, Tar Piemonte, Sez.
II, 18 febbraio 2010, n. 990, Tar Molise, 28 gennaio 2010, n. 102, Tar Basilicata – Potenza, Sez. I, 06
aprile 2011, n. 162, Tar Campania – Salerno, Sez. I, 29 aprile 2011, n. 805, Cons. di Stato, Sez. V, 20
aprile 2011, n. 2447, id. Sez. IV, 07 febbraio 2011, n. 821) inderogabile per ogni tipo di gara, almeno
per quanto riguarda la fase di verifica dell’integrità dei plichi contenenti la documentazione
amministrativa e l’offerta economica e di apertura dei plichi stessi. E ciò risponde all’esigenza di
tutela non solo della parità di trattamento dei concorrenti, ai quali deve essere permesso di
effettuare gli opportuni riscontri sulla regolarità formale degli atti prodotti e di avere così la
garanzia che non siano successivamente intervenute indebite alterazioni, ma anche dell’interesse
pubblico alla trasparenza ed all’imparzialità dell’azione amministrativa, le cui conseguenze
negative sono difficilmente apprezzabili ex post una volta rotti i sigilli ed aperti i plichi, in
mancanza di un riscontro immediato (prova ne era quanto avvenuto nell’ipotesi a giudizio). Di
fatti la violazione del principio di pubblicità della gara reca quale inevitabile conseguenza, come
affermato dalla consolidata giurisprudenza amministrativa, l’invalidità derivata di tutti gli atti
della stessa, compreso l’atto di aggiudicazione, e il loro conseguente annullamento (in tale senso
Tar Piemonte, Sez. III, 10 aprile 2003, n. 532, Tar Lazio, Sez. II bis, 10 ottobre 2006, n. 10239, Cons.
di Stato, Sez. IV, 14 maggio 2007, n. 2426, id. Sez. V, 18 marzo 2004, n. 1428, Tar Latina, 27 febbraio
2008, n. 125). Ora, la condotta omissiva dei componenti la Commissione di gara, integrante una
violazione di legge, quand’anche soggettivamente integrata dalla colpa grave, non è di per sé fonte
di danno giustiziabile, salvo che non si dimostri che da tale infrazione siano discesi effetti lesivi
degli interessi patrimoniali dell’Ente, come nell’ipotesi dell’insorgenza di ingiusti oneri riflessi o
diretti incidenti sul bilancio dello stesso, a ragione dell’insussistenza di un interesse pubblico alla
erogazione disposta (cfr. Corte dei conti, Sez. 2^ centr. di app., 24 gennaio 1997, n.11). E così è
stato, dappoiché dalla violazione del fondamentale obbligo di pubblicità e trasparenza nella seduta
del 05 settembre 2007, dedicata all’apertura dei plichi contenenti la documentazione e l’offerta
economica dei partecipanti, sono derivati il ricorso al Tar del Veneto dell’A.T.I., rappresentata
dall’Arch. Sbrogiò Roberto, e la sentenza n. 402, dell’11 marzo 2011, che dopo aver respinto il
ricorso incidentale, prodotto dall’aggiudicataria A.T.I. rappresentata dallo Studio Arch. Tombolan
Piergiorgio, tendente a far dichiarare che il ricorrente principale non avrebbe neppure dovuto
essere ammesso alla gara, in accoglimento della domanda principale annullava l’intera procedura
senza, tuttavia, disporne la ripetizione, atteso che l’incarico oggetto di gara risultava già all’atto
32
della proposizione del ricorso, in dicembre 2007, ampiamente espletato, e condannava il comune
di Lazise al risarcimento, in favore del ricorrente, delle spese da esso sostenute per la redazione e
presentazione dell’offerta afferente il Piano di Assetto Territoriale (P.A.T.), liquidate nella misura
di € 08.000,00 (a fronte di una richiesta attorea di € 34.920,00), oltre interessi di legge e spese di
giudizio. Nella sentenza del Tar del Veneto da una parte si dava conto della violazione del
principio di trasparenza ed imparzialità che impone la pubblicità, a tutela della par condicio, delle
sedute iniziali delle commissioni dedicate alla apertura dei plichi contenti le offerte, dall’altra si
richiamava la <<...granitica giurisprudenza che si è nel tempo consolidata sul punto, senza alcuna
distinzione a seconda del tipo di procedura posta in essere, e cioè senza che sia consentito ritenere che per le
procedure negoziate, come nella specie, e cioè caratterizzate da una certa informalità e da una particolare
snellezza, non via sia il suddetto obbligo di trasparenza e imparzialità al momento iniziale di apertura dei
plichi..., salva comunque, in ogni caso di procedure con il criterio dell’offerta più vantaggiosa, la legittimità
delle sedute segrete per l’esame delle offerte tecniche (si richiamano, tra le tante, Cons. di Stato V, 7470/10,
45/07; VI, 1856/08; Tar Piemonte, II, 3937/10, e infine, di questo Tar, la recentissima pronuncia n.
5525/10)>>. Quanto, invece, alla circostanza che sul punto nulla fosse previsto dalla legge di gara,
censura ribadita nella memoria di costituzione degli odierni convenuti, Zanini e Antonelli, nel
senso che l’avviso pubblico, lex specialis di gara redatto dal responsabile dell’Ufficio edilizia
privata, “...non conteneva alcuna indicazione in ordine a specifiche regole da rispettare in sede di apertura
delle buste” (pag. 9), il Tar del Veneto affermava, con motivazione ampiamente condivisibile da
parte del Collegio, che <<...in presenza di un obbligo sancito in via generale dalla normativa di legge e dai
principi cui questa fa capo (cfr. art. 2 del codice appalti) la commissione era comunque tenuta a rispettare
l’obbligo in questione, alla luce del criterio generale in base al quale, in caso di norme cogenti e non
derogabili, queste vanno applicate indipendentemente dal loro richiamo o meno nella lex specialis (principio
cosiddetto di eterointegrazione), senza, naturalmente, che sia necessario impugnare il mancato richiamo delle
stesse nella suddetta lex specialis (cfr. di questo Tar, in termini, I, n. 619/06)>>. In sintesi, la valenza
cogente del suddetto canone di pubblicità delle sedute conseguiva al carattere inderogabile dei
principi di cui lo stesso costituiva espressione, non rilevando che “...né la lettera di invito né il
capitolato speciale di appalto abbiano stabilito alcunché circa la pubblicità o non delle sedute della
commissione, trattandosi di principio generale direttamente applicabile...” (così Cons. di Stato, Sez. V, 04
marzo 2008, n. 901). Ne conseguiva, pertanto, che la costituzione degli esborsi, seguiti al giudizio
dinanzi al Tar del Veneto, non poteva che essere ricondotta ai componenti la commissione di gara,
oggi evocati, che il 05 settembre 2007, hanno consumato l’illegittimità di aprire in seduta segreta le
buste delle offerte dei concorrenti: il danno erariale, infatti, è derivato da tale violazione di legge,
riverberatasi poi sul provvedimento di aggiudicazione della gara annullato dal Tar del Veneto. In
sostanza, le regole dianzi richiamate vincolavano rigidamente l’operato della Commissione di
gara, nel senso che questa doveva limitarsi all’applicazione di quelle, senza che residuasse in capo
alla stessa alcun margine di discrezionalità nella loro interpretazione, segnatamente quando il
33
significato delle clausole e dei principi in esse trasfusi è chiaro ed insuscettibile di diverse opzioni
ermeneutiche, e nella loro attuazione, al fine principale della tutela della par condicio dei
concorrenti. Per ciò, in base al c.d. principio della causalità adeguata, agli odierni convenuti,
dipendenti del comune di Lazise e componenti della Commissione di gara, sono imputabili gli
effetti pregiudizievoli del comportamento materiale omissivo tenuto, che si realizzano,
normalmente, secondo “l’id quod plaerunque accidit”, in quanto prevedibili ex ante nelle condizioni
di effettivo svolgimento della vicenda di gara, senza l’incidenza di fattori eccezionali (cfr. Corte dei
conti, Sez. 1^, 09 ottobre 1991, n. 303, id. Corte di Cass., Sez. II civile, 24 aprile 2012, n. 6474). Il
comportamento tenuto dai prevenuti, in cui i tempi contrassegnati dall’urgenza, di nomina della
Commissione in data 04 settembre 2007 e di indizione della prima seduta per il 05 settembre
seguente, non possono assurgere, pur incidendo sulquantum da addebitare (e di cui in seguito), a
scriminante delle conseguenti responsabilità, era da considerarsi causa dell’evento (ricorso al Tar e
conseguente ingiusto esborso di somme a carico delle comune di Lazise) giacché quest’ultimo al
momento in cui la Commissione di gara ha aperto i plichi contenenti le offerte in seduta segreta,
poteva considerarsi prevedibile come conseguenza verosimile di esso secondo il quadro
conoscitivo (id est: i parametri di scienza ed esperienza) ex ante disponibili. I convenuti Zanini e
Antonelli erano per ciò tenuti a verificare l’avvenuta comunicazione di data ed ora della prima
seduta della Commissione ai partecipanti alla gara, sopra tutto una volta resisi conto che alla
seduta c.d. pubblica non assisteva alcuno dei concorrenti, mentre non risultava documentalmente
provato che il Geom. Bizzocoli, nella veste di Presidente della Commissione in tale prima seduta,
avesse loro dato assicurazione che i partecipanti alla gara fossero stati debitamente informati. Di
tal ché, il comportamento degli stessi risultava caratterizzato da un grado di diligenza, prudenza e
perizia decisamente inferiore allo “standard” minimo professionale e tale da rendere prevedibile o
probabile il concreto verificarsi dell’evento dannoso per cui è causa. Vieppiù alla luce della
considerazione che l’agire come portatore di un determinato ruolo sociale o professionale (in
specie l’essere investiti del ruolo di componente di una Commissione di gara) comporta
l’assunzione della responsabilità di saper riconoscere ed affrontare le situazioni ed i problemi –
anche di interpretazione delle norme giuridiche di riferimento – inerenti a quel ruolo secondo lo
“standard” di diligenza, di capacità e di conoscenze richiesto per il corretto svolgimento di quel
ruolo medesimo. Con l’inevitabile corollario che se le capacità dell’autore concreto, per ragioni di
tempo, di luogo, di perizia professionale (come invocato dai patroni dei suddetti che ad es.
escludevano che Zanini avesse la qualifica di esperto in gare di appalto e Antonelli in quella di
contratti), fossero state inferiori a quelle dell’agente modello, la regola della diligenza avrebbe
imposto di astenersi dallo svolgimento dell’attività e il mancato rispetto di tale regola di diligenza
non poteva che tradursi in una contestazione in sede erariale, determinando la c.d. colpa per
assunzione. Quindi, in specie, è dato rinvenire il profilo soggettivo della colpa grave nella condotta
tenuta dai due componenti la Commissione di gara, che si realizza “...secondo la consolidata
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giurisprudenza di questa Corte, quando sia posto in essere un atteggiamento di grave negligenza
nell’espletamento delle proprie funzioni e di deviazione dal modello di condotta connesso ai propri profili” (ex
multis, Sez. 1^ di app., 11 luglio 2013, n. 513, id. Sez. 3^ centr. di app., 03 agosto 2011, n. 596, con la
copiosa giurisprudenza ivi richiamata). A tal riguardo la distinzione tra colpa lieve e colpa grave
(così come elaborata, quindi sovrapponibile all’azione compiuta), si ottiene rapportando il
comportamento in concreto osservato dall’agente, in specie l’apertura delle buste delle offerte
senza avere avvertito i partecipanti, con quello che sarebbe stato necessario in ossequio alle
specifiche prescrizioni normative, ovvero desumibili da comuni regole di cautela o da principi di
buona amministrazione. E in ipotesi la macroscopica contraddizione tra il comportamento tenuto
nella specifica circostanza dai componenti della Commissione di gara, oggi evocati, e quello
imposto, quale minimum, dalle norme giuridiche comunitarie e interne inderogabili dianzi
richiamate, non poteva dirsi scriminato dal c.d. errore scusabile, atteso che il concetto di scusabilità
di massima è invocabile al cospetto di norme non chiare sulle quali si è formata giurisprudenza di
segno contrastante, oscillante sul tema (cfr. Corte dei conti, Sez. 2^ di app., 02 giugno 1997, n.
64/A, id. Sez. Lazio, n. 957/2009). In breve, i presupposti per il riconoscimento dell’errore
scusabile, da interpretare in ogni caso con estremo rigore, pena l’affievolimento dell’azione di
responsabilità erariale, sono individuabili esclusivamente nella oscurità del quadro normativo,
nelle oscillazioni della giurisprudenza, in comportamenti ambigui dell’amministrazione,
nell’ordine del giudice di compiere un determinato adempimento processuale in violazione di
principi, disposizioni e termini effettivamente previsti dalla legge, nel caso fortuito e nella forza
maggiore, tutte ipotesi che non è dato rinvenire nella fattispecie a giudizio.
In conclusione, il Geom. Zanini e il Rag. Antonelli non hanno posto in essere quella diligenza
minima, ovvero quello sforzo possibile, e da loro oggettivamente pretendibile, che avrebbe
impedito il verificarsi dell’evento di danno, non intendendo quello che tutti normalmente
intendono:<<Nimia negligentia, id est non intelligere quod omnes intelligunt” (brocardo ulpianeo). Il
danno erariale conseguente, non avversato dalle parti nel quantum allegato dal P.M. e sul quale il
Collegio non nutre riserve, risultava dalla documentazione versata in atti pari ad € 18.508,52, di
cui € 08.374,26, per risarcimento danni ed interessi dall’11 marzo 2011, di deposito della sentenza
n. 402/2011, ed € 10.134,26, per le complessive spese legali sostenute nel giudizio di prime cure.
Purtuttavia lo stesso, giacché la responsabilità a titolo di colpa grave è parziaria, nel senso che
ognuno risponde nei termini e nella misura in cui ha contribuito a causare il danno, non può
interamente imputarsi ai due convenuti. Com’è noto l’art. 1, comma 1 bis, della legge n. 20/1994,
ha riconfermato l’esistenza del potere riduttivo, oggi invocato dai componenti la Commissione, in
capo alla Corte dei conti, già disciplinato dall’art. 52, del Testo Unico n. 1214/1934 (ma anche
dall’art. 83, 2^ comma, del R.D. 28 novembre 1923, n. 2440), ed ha previsto che il Giudice contabile:
<<...valutate le singole responsabilità può porre a carico dei responsabili tutto o parte del danno accertato o
del valore perduto>>. Il fondamento di tale potere presenta alcune analogie con quello riconosciuto
35
al Giudice penale nella fase di quantificazione della pena, ai sensi degli artt. 132 e 133 del codice
penale, flettenti le circostanze oggettive e soggettive (quali le modalità dell’azione, le motivazioni
della condotta, l’assenza di precedenti, le condizioni individuali), e trova la sua ratio nella
particolare natura della responsabilità amministrativa, in cui convergono profili risarcitori, di
deterrenza e sanzionatori. Sull’esercizio di tale potere, il Giudice delle Leggi, nella sentenza n.
340/2000, ha affermato che <<...l’attenuazione della responsabilità amministrativa, nei singoli casi, è
rimessa al potere riduttivo affidato al giudice che può anche tener conto delle capacità economiche del
soggetto responsabile, oltre che del comportamento, del livello della responsabilità, del danno effettivamente
cagionato>>. L’istituto trova oggi il suo fondamento nel rischio oggettivamente riconducibile
all’attività dell’Amministrazione (cfr. Corte dei conti, Sezione II, sent. n.134/A, del 10 aprile 2001),
in ordine ad aspetti organizzativi generali e/o specifici, che pongano il soggetto legato ad essa da
rapporto di servizio in una situazione di maggiore probabilità di determinare una situazione
dannosa. Pertanto se, come detto, le circostanze in cui si è svolto l’evento dannoso non possono
rilevare ai fini dell’esclusione della colpa grave dei convenuti, componenti la Commissione di gara,
le stesse possono essere, tuttavia, valorizzate in sede di applicazione del potere riduttivo.
Esso va ancorato a circostanze oggettive, che riflettono la situazione nella quale i convenuti
si sono trovati a dover operare, e soggettive, che attengono all’attività sia di terzi che dei medesimi
responsabili.
Quanto alle prime sono da ricordare le circostanze di tempo, di luogo, le difficoltà inerenti
all’esercizio delle funzioni o di qualsiasi altra attività, la rilevante mole e la complessità del lavoro,
l’insufficienza numerica e l’impreparazione professionale del personale, l’urgenza del servizio,
l’eccessiva gravosità dei compiti disimpegnati, la deficienza del modulo organizzativo, la
disorganizzazione dell’Ufficio ove il dipendente presta servizio, etc. Riguardo alle
seconde, meritano di essere richiamate le ipotesi di conformità del comportamento del dipendente
ad una prassi consolidata, gli ottimi precedenti di carriera, la giovane età dell’autore del danno, le
particolari condizioni personali ed economiche del responsabile del danno, il fatto colposo di altri
soggetti non coinvolti in giudizio, la mancanza di esperienza personale.
Il Collegio ravvisa di dover valorizzare, a tal riguardo, sia le circostanze di tempo e di luogo,
determinanti l’urgenza, in cui i convenuti si sono trovati ad operare, sia l’apporto causale
all’evento fornito dal Geom. Bizzocoli, ma non dall’Arch. Parolini, in relazione a una valutazione
meramente delibativa della responsabilità degli stessi. Quanto al primo aspetto, emerge, in tutta la
sua evidenza, che la nomina dei componenti la Commissione è avvenuta con determina n. 36, del
04 settembre 2007, a firma del Geom. Bizzocoli Alberto, nella qualità di responsabile dell’Area
Tecnica – Settore Edilizia Privata, mentre la prima seduta si è svolta l’indomani 05 settembre 2007.
Ora, non vi è chi non veda come l’urgenza della prestazione abbia comportato delle difficoltà
organizzative, addebitabili all’Amministrazione comunale, nelle quali si sono imbattuti i soggetti
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agenti nell’esercizio della loro attività di componenti della Commissione di gara, poi rivelatasi
produttiva di danno.
Riguardo, invece, alle eventuali responsabilità di terzi, non evocati, ravvisa il Collegio di
dover comunque formulare delle considerazioni nel merito delle suddette chiamate di
corresponsabilità, da rendere come “obiter dicta” e, quindi, nella consapevolezza del carattere non
vincolante per eventuali futuri giudizi atteso l’aspetto meramente delibativo delle stesse. In ipotesi,
la Sezione giudicante ravvisa ricorrente un concorso di responsabilità del Geom. Bizzocoli, la cui
asserita (da parte del Requirente) inesperienza nei procedimenti di gara non gli ha impedito né di
provvedere alla nomina della Commissione, con determina n. 36, del 04 settembre 2007, né
tampoco di presiederne la prima seduta in data 05 settembre 2007, in cui, all’unanimità, si
disponeva, con grave e noncurante negligenza, l’apertura delle buste delle offerte pervenute in
seduta segreta. In sostanza, il dipendente comunale Bizzocoli Alberto, Istruttore geometra cat. “D”,
atteso che “...nel corso di questi anni ha avuto l’occasione di sostituire il responsabile dell’Area Tecnica
Settori Edilizia privata ed Urbanistica, in caso di assenza o di suo impedimento, dimostrando capacità di
proporre, programmare e utilizzare in modo coordinato gli strumenti e le risorse necessarie per il
conseguimento degli obiettivi determinati dagli organi di governo..., di rilevare e prospettare
tempestivamente le esigenze cui il comune di Lazise è chiamato a rispondere; rilevato che...ha tenuto la
titolarità per molti periodi dell’attività di gestione dell’ente e di direzione della struttura organizzativa...”,
con decreto n. 588, dell’8 gennaio 2007, veniva nominato “Vicario responsabile dell’Area Tecnica
Settori Edilizia privata ed Urbanistica”, in caso di assenza, impedimento o su richiesta del
Responsabile titolare Arch. Parolini Arturo, con conferimento di <<...posizioni di lavoro caratterizzate
da elevate autonomie ed esperienza che comportano attività di staff e di studio, ricerca, ispezione e
controllo...>>, attività per le quali veniva riconosciuto allo stesso un ben preciso valore economico
annuale. Di tal ché, non appariva affatto credibile che il Bizzocoli non sapesse che nelle procedure
negoziate, ristrette o aperte, occorreva convocare i concorrenti per aprire i plichi recanti le offerte,
sia perché una tale ipotesi mal si coniuga con il ruolo rivestito di Presidente della Commissione, sia
perché (come dianzi evidenziato) l’agire come portatore di un determinato ruolo sociale o
professionale (in specie l’essere investito del ruolo di Presidente di una Commissione di gara)
comporta l’assunzione della responsabilità di saper riconoscere ed affrontare le situazioni ed i
problemi – anche di interpretazione delle norme giuridiche di riferimento – inerenti a quel ruolo
secondo lo “standard” di diligenza, di capacità e di conoscenze richiesto per il corretto svolgimento
di quel ruolo medesimo. In conclusione, i componenti la Commissione di gara devono essere tutti
in possesso di “adeguate professionalità” e, quindi, competenti in ipotesi nello specifico settore cui
si riferisce l’affidamento dell’incarico professionale per la realizzazione del Piano di Assetto
Territoriale (P.A.T.), dovendo essere in grado di effettuare idonee valutazioni in relazione
all’oggetto dell’appalto (cfr. Cons. di Stato n. 7353/2009), con l’inevitabile corollario che una
illegittima composizione della commissione, in quanto mancante della specifica qualificazione
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professionale, renderebbe invalida, travolgendola, l’intera procedura di gara. Riguardo, invece,
all’Arch. Parolini Arturo, la Sezione è del parere di doverne escludere un proprio significativo
apporto causale alla vicenda a giudizio. Primariamente quest’ultimo non ha contribuito a
determinare l’illegittimità consumata dalla Commissione nella prima seduta del 05 settembre 2007,
in quanto materialmente assente per legittima fruizione di un periodo di ferie. La sua chiamata di
correità deriverebbe allora dalla circostanza di non aver riparato, alla violazione di legge da altri
commessa, nelle successive due sedute della Commissione, dal medesimo presiedute, e di aver
dato corso, con determinazione n. 37, del 24 settembre 2007 (provvedimento definitivo di
aggiudicazione), all’affidamento dell’incarico professionale per la redazione del P.A.T. Ora, non
sfugge al Collegio che la Commissione di gara è organo temporaneo e straordinario
dell’amministrazione aggiudicatrice, con compiti essenzialmente tecnici, e la cui attività acquisisce
rilevanza esterna in quanto recepita ed approvata dai competenti organi dell’amministrazione
stessa. Per ciò la sua funzione si esaurisce con l’approvazione del proprio operato da parte di
quest’ultima e, quindi, con il provvedimento di aggiudicazione definitiva, in specie emanato
dall’Arch. Parolini non in quanto presidente della stessa ma in quanto Responsabile (titolare)
dell’Area Tecnica - Settore Edilizia Privata ed Urbanistica. E sino a tale momento (fase) è in facoltà
della Commissione (non del Presidente) di poter riesaminare il proprio operato nell’esercizio del
potere di autotutela, anche riaprendo il procedimento per emendarlo da errori commessi e da
illegittimità verificatesi (così Cons. di Stato n. 7042/2009, n.1628/2011). In specie, la mancata
rilevazione (da parte dei componenti la Commissione e, quindi, anche da parte del Presidente),
dell’illegittimità consumata nella prima seduta del 05 settembre 2007, è da ricollegare,
verosimilmente, alle conseguenze che ciò poteva comportare sia in termini di oneri ulteriori, per il
rinnovo della gara, delle offerte e, quindi, per l’apertura di un probabile contenzioso, sia in punto
di protrazione per un tempo incerto del procedimento di adozione del P.A.T.. Aspetti, questi,
certamente influenti sul contegno psicologico dell’Arch. Parolini, che non poteva dirsi connotato
da colpa grave, con valutazione da eseguire ex ante, ossia senza considerare il contenzioso
successivamente indotto dall’apertura delle buste in seduta segreta. Per tutte le ragioni dianzi
esposte ravvisa il Collegio che l’entità del pregiudizio da porre a carico dei convenuti Zanini
Giuseppe e Antonelli Mauro, che i medesimi sono tenuti a risarcire nei confronti del comune di
Lazise, può ragionevolmente determinarsi in € 03.500,00cadauno, oltre rivalutazione monetaria,
secondo gli indici ISTAT, a far tempo dal 1° aprile 2008, data del primo mandato di pagamento in
favore dell’Avv. Domenichelli Vittorio, e sino alla data di deposito della presente sentenza, e
interessi di legge da tale ultima data al soddisfo.
La seconda ipotesi di ingiusto danno, pari ad € 10.737,00, è la risultante delle spese legali e
di giustizia, di cui è stato onerato il comune di Lazise, risultato soccombente nel gravame della
sentenza n. 402/2011, deliberato in data 26 aprile 2011 dalla Giunta comunale, di cui facevano
parte, tra gli altri, il Sindaco Franceschini Renzo, con delega all’Urbanistica e all’Edilizia, e
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l’Assessore alla Sicurezza ed alle Infrastrutture Turistiche Tommasini Flavio, su proposta del
Responsabile del servizio, Ing. Lovato Luigi Paolo.
Sul punto, il Collegio non ignora che un consolidato orientamento della giurisprudenza
erariale (ex aliis, Corte dei conti Sez. 2^ centr. di app., 03 novembre 2003, n. 303) ravvisa che la
scelta fatta da un comune - nell’intendimento di curare i propri interessi – di intraprendere
un’azione giudiziale ovvero di resistere alla stessa, intentata da altri, attenga alla sfera della
discrezionalità, e, quindi, di per sé, non conduce a perseguire, indipendentemente dall’esito della
lite, gli autori della scelta sotto il profilo della responsabilità amministrativa, tenuto anche conto
che una ragionevole soglia di rischio è comunque implicita in ogni difesa legale, pur tuttavia la
insindacabilità delle scelte operate diventa recessiva e permeabile al controllo di questo Giudice
ove presenti, come in specie, palesi errori di fatto, aspetti di manifesta irrazionalità ed
irragionevolezza ovvero evidenti contraddizioni logiche (tra le tante Cons. di Stato, Sez. IV, 30
luglio 2003, n. 4409, id. Sez. V, 08 agosto 2005, n. 4207). Di tal ché, atteso “...che la discrezionalità
amministrativa non può diventare uno strumento di legittimazione per scelte arbitrarie o irragionevoli” (cfr.
Corte dei conti, Sez. II centr. di app., 08 giugno 2015, n. 296), si rende necessario verificare se i
comportamenti dei convenuti, per tale posta di pregiudizio, siano stati caratterizzati da tale
avventatezza da travalicare qualsiasi limite di normale prudenza, proseguendo in un contenzioso
assolutamente velleitario, pretestuoso e destituito di qualsiasi fondamento. Ora, una tale
irragionevolezza non consegue, quale mero automatismo, alla soccombenza nel giudizio di prime
cure, proprio perché essa va accertata attraverso un’indagine ex ante, dovendo fare riferimento alla
situazione di fatto e di diritto esistente al momento in cui venne adottata la deliberazione di
autorizzazione a ricorrere in appello e tenuto conto del margine di aleatorietà sempre insito in ogni
contesa giudiziaria. In ragione di tanto, il Collegio ravvisa ricorrere i connotati della palese
irragionevolezza e della mera pretestuosità nelle condizioni (dagli stessi create) in cui il dirigente
dell’Ufficio tecnico e gli amministratori, oggi convenuti, approntarono e adottarono ogni decisione
relativa al gravame al Consiglio di Stato. Al riguardo, poiché i principi di trasparenza e
imparzialità, come dianzi esposto, imponevano l’obbligatoria apertura delle buste delle offerte in
seduta pubblica, e che i suddetti e le norme in cui erano trasfusi (art.2 della Direttiva 2004/18/CE
sugli appalti, e art. 2 del Codice degli appalti pubblici) avevano carattere cogente ed inderogabile,
operante anche nel silenzio della legge di gara sul punto, poiché questa avrebbe dovuto in ogni
caso ritenersene integrata, e senza distinzione a seconda del tipo di procedura in corso, e quindi
anche alle procedure negoziate, attesa la “...granitica giurisprudenza che si è nel tempo consolidata sul
punto...” (così sentenza di prime cure del Tar del Veneto, n. 402/2011), non smentita da alcun
minoritario orientamento giurisprudenziale (in quanto la sent. n. 6250, del 17 dicembre 2001, del
Consiglio di Stato, riguardava argomento diverso dall’apertura dei plichi delle offerte in seduta
segreta, come di seguito), non vi è chi non veda come la decisione di ricorrere in appello fosse del
tutto speciosa ed irragionevole. E ciò traspariva, innanzi tutto, dagli atti attraverso i quali si è
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pervenuti a una tale determinazione. In primo luogo, l’Ing. Lovato, Responsabile del relativo
servizio, dopo aver precisato in preambolo che “...su disposizioni impartitemi direttamente dal Sig.
Sindaco, avanza la proposta di deliberazione in oggetto indicata:...”, proponeva alla Giunta comunale di
autorizzare il Sindaco a ricorrere in appello contro la sentenza del Tar del Veneto n. 402/2011,
visto <<l’evolversi della normativa riguardante le procedure oggetto di ricorso che risultano spesso di
difficile e complicata interpretazione e applicazione>> e <<...al fine di tutelare il proprio operato attraverso
la corretta interpretazione della procedura da parte della struttura comunale>>. Tale proposta recava
altresì il parere favorevole di regolarità tecnica a firma dello stesso Responsabile del servizio
nonché il visto del Segretario comunale in quanto trattavasi di allegato della deliberazione di
Giunta. Ora, dovendo fare una valutazione a monte della scelta, ossia ex ante, una simile
motivazione, oltre ad essere smentita da quanto sinora detto in ordine ai principi di trasparenza e
pubblicità aventi quale inderogabile corollario quello dell’apertura dei plichi contenenti le offerte
al cospetto dei partecipanti alla gara, non integrava, neanche in apparenza, alcuna ragione
plausibile a supportare l’appello al Consiglio di Stato. La proposta di delibera, almeno per quanto
è dato rilevare da essa in termini letterali, recava una motivazione inattendibile e inveritiera, che
palesava come la stessa non fosse stata preceduta da un’adeguata istruttoria procedimentale
comportante una valutazione comparativa di tutti gli interessi in gioco atta a consentire che la
scelta finale potesse costituire il coerente epilogo di un percorso logico ed argomentativo
ampiamente ponderato. A tal riguardo l’art. 49, del d.lgs. n. 267, del 18 agosto 2000, ha previsto
che “Su ogni proposta di deliberazione sottoposta alla giunta o al consiglio che non sia mero atto di indirizzo
deve essere richiesto il parere, in ordine alla sola regolarità tecnica, del responsabile del servizio interessato e,
qualora comporti riflessi diretti e indiretti sulla situazione economica – finanziaria o sul patrimonio
dell’ente, del responsabile di ragioneria in ordine alla regolarità contabile...” (comma 1°). Di tal ché, tali
soggetti “...rispondono in via amministrativa e contabile dei pareri espressi” (comma 3^). Ora, mentre
deve ritenersi del tutto ininfluente sul pregiudizio odierno la condotta di Antonelli Mauro,
Responsabile del Servizio finanziario, che ha fornito il parere di regolarità contabile, in quanto
chiamato a verificare la legittimità della spesa (in questo caso della spesa a ricorrere in appello,
indicativamente determinata in € 07.000,00) con riferimento alla pertinenza della stessa
all’esercizio delle funzioni istituzionali espletate, non spettando al responsabile dell’area
economico – finanziaria valutazioni di legittimità generale ma valutazioni solo riferite alla
regolarità contabile qualora la deliberazione proposta comporti impegno di spesa, come in ipotesi,
o diminuzione di entrata, al contrario ciò non è possibile sostenere per il Responsabile del Servizio
Urbanistica, Ing. Lovato Luigi Paolo, che oltre ad aver formulato la proposta di deliberazione ha
supportato favorevolmente la stessa con il proprio parere di regolarità tecnica, certificante la
regolarità dell’atto sotto il profilo del corretto svolgimento dell’istruttoria e dell’idoneità dello
stesso a conseguire gli obiettivi dell’azione amministrativa dell’Ente. Di tal ché, il funzionario
comunale che rende tale parere deve considerarsi pienamente partecipe al procedimento di
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formazione della deliberazione considerata. Ora, il suddetto parere benché, come risultante dalla
formulazione letterale del comma 1, dell’art. 49 cit., obbligatorio, e in quanto tale la sua omissione
determina l’illegittimità dell’atto sotto il profilo della violazione di legge, riguardo al suo
contenuto non assumeva carattere vincolante, non ponendo alcun limite alla potestà deliberante
della Giunta, che ben poteva liberamente disporre del contenuto della deliberazione (così tra le
tante Tar della Campania, Sez. I, 09 marzo 2009, n. 1320). In specie, ciò non accadeva, in quanto la
Giunta Municipale, considerato “...che i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche addotte quale
motivazione sono idonei a determinare l’emanazione di siffatto provvedimento...”, ritenuto “...di far propria
la motivazione della proposta di deliberazione ritenendola meritevole di approvazione...”, approvava la
deliberazione n. 65, del 26 aprile 2011, secondo il testo integrale della proposta. In sostanza, si
ravvisavano presenti in quest’ultima adeguate ragioni giuridiche a supporto del promovimento
dell’atto di appello, che l’atto stesso invece non riportava. Cosicché, poiché la Giunta non risultava
vincolata da una tale proposta, ben potendo disporre del contenuto della deliberazione, nel
momento in cui ha fatto propria una tale motivazione, fittizia e destituita di qualsivoglia
fondamento, ed ha approvato, da parte dei suoi componenti presenti, la deliberazione nel suo testo
integrale, non poteva invocare alcuna esimente politica a propria discolpa, dappoiché l’atto di
autorizzazione a resistere o ad agire in giudizio, anche in sede di gravame, era da considerarsi di
propria competenza, a meno che lo statuto non riservasse ai soli dirigenti il rilascio al Sindaco
dell’autorizzazione (ex aliis, Cons. di Stato, Sez. IV, 05 luglio 1999, n. 1164). In specie, l’art. 20 dello
Statuto del comune di Lazise (approvato con deliberazioni del Consiglio comunale 06 luglio 1991,
n. 42 e 17 dicembre 1991, n. 100, modificato con delibere del Consiglio n. 58, del 06 agosto 2009 e n.
12, del 18 marzo 2015), richiamato altresì nella proposta di deliberazione formulata dall’Ing.
Lovato, ha previsto che <<(...). La Giunta, in particolare, nell’esercizio di attribuzioni di governo: (...); l)
autorizza il Sindaco a stare in giudizio come attore o convenuto>>. Di tal ché, “...Quando deliberino
nell’ambito delle proprie competenze, gli organi collegiali di natura politica non possono andare esenti da
responsabilità amministrativo – contabile, ai sensi della speciale esimente prevista dall’art.1, comma 1 ter,
della legge 14 gennaio 1994, n. 20, che invero opera esclusivamente in riferimento a deliberazioni di ratifica o
approvazione di atti e provvedimenti di competenza degli uffici amministrativi e tecnici dell’Ente” (così
Corte dei conti, Sez. II centr. di app., 03 novembre 2003, n. 303), ipotesi, queste ultime, non
ricorrenti in fattispecie. In conclusione, la scriminante politica della responsabilità erariale, prevista
dalla disposizione positiva dianzi richiamata, in favore dei titolari di organi politici che abbiano
approvato o fatto eseguire in buona fede atti ricompresi nelle competenze di uffici tecnici o
amministrativi, operava soltanto in tale ipotesi, non al cospetto di deliberazioni rientranti nelle
competenze proprie dell’organo collegiale Giunta, e in presenza di atti afferenti materie di
particolare difficoltà tecnica o giuridica, “...dovendosi altrimenti ritenere che l’evidenza dell’erroneità
dell’atto sia tale da escludere la stessa buona fede dei titolari dell’organo politico” (così Sez. II, n. 303/2003
cit.). Di tutta evidenza, per ciò, che in specie non può invocarsi il principio di separazione tra
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funzioni di indirizzo politico e funzioni gestorie per farne discendere una sostanziale
deresponsabilizzazione dei componenti la Giunta del comune di Lazise, che con deliberazione n.
65, del 26 aprile 2011, hanno autorizzato il Sindaco a ricorrere al Consiglio di Stato, sulla base di
una proposta recante una motivazione apparente, e la cui palese erroneità escludeva la buona fede
dei votanti favorevolmente. Pertanto, risultava, allo stato degli atti, di palmare evidenza il
contributo causale della G.M. nella seconda posta di danno, siccome integrata dalle spese legali e
di giustizia sostenute dal comune di Lazise in conseguenza dell’esperito ricorso al Consiglio di
Stato, in cui l’Ente è risultato soccombente. Ciò malgrado, gli odierni convenuti erano a sostenere,
pur non dandosene atto né nella proposta né nella relativa delibera, che quest’ultima rinvenisse
motivazione fondante in un parere del Prof. Domenichelli Vittorio (legale del comune nel giudizio
di prime cure), che le acquisizioni istruttorie disposte dal Requirente in una con le audizioni dei
componenti la Giunta e dei funzionari comunali agli atti comprovavano essere stato nella integrale
disponibilità conoscitiva del Sindaco Franceschini e dell’Ing. Lovato, motivo del perché
quest’ultimo abbia fatto una proposta su diretta richiesta del primo di quel tipo e non
diversamente. Di fatti, la lettera dell’Avv. Domenichelli, del 07 aprile 2011 (anticipata via fax in
pari data), veniva depositata dal Sindaco Franceschini in occasione della sua audizione. A tal
riguardo, nelle controdeduzioni preliminari a firma di quest’ultimo e dell’assessore Tommasini,
prodotte il 25 agosto 2014, è precisato che il ricorso al Consiglio di Stato <<...è stato promosso con il
fine esclusivo di difendere e tutelare in qualità di amministratori comunali l’Ente rappresentato e ciò anche
sulla base di un parere legale ottenuto preliminarmente all’assunzione della delibera n. 65, del 26 aprile
2011, da parte dello Studio degli Avv. Domenichelli di Padova>>. Dalle espressioni usate non era ad
emergere tuttavia se il suddetto parere fosse stato esibito ai componenti della giunta e quindi fosse
stato oggetto di lettura, di valutazione e di discussione al suo interno, ovvero semplicemente
richiamato come esistente e tradotto, da chi ne era a conoscenza, in termini favorevoli alla
proposizione del gravame. E anche nell’audizione dell’11 settembre 2014, il Capo
dell’amministrazione di Lazise confermava, previa produzione del parere, che il ricorso in appello
era stato deciso “...dopo aver sentito il parere del legale e quello del segretario comunale”. Tuttavia, dalle
audizioni dei componenti la Giunta, partecipanti alla seduta del 26 aprile 2011, di adozione della
delibera n. 65, Carattoni Agostino (Vice sindaco), Marinoni Fabio (Assessore), Bertoldi Claudio
(Assessore), Adami Diego (Assessore), emergeva il ruolo determinante che il Sindaco, Assessore
all’Urbanistica e all’Edilizia privata, aveva avuto nella vicenda, dappoiché era <<...l’assessore
competente che ha predisposto la delibera e che aveva preventivamente sentito l’Avv. Domenichelli incaricato
della difesa, il quale a suo dire aveva espresso parere favorevole all’impugnazione della sentenza del
Tar>> (così audizione dell’Assessore Adami e degli altri amministratori). In breve, l’Assessore del
ramo predisponeva la delibera e prendeva contatti con i tecnici interessati, mentre in Giunta
esponeva le questioni relative prima di sottoporre la delibera al voto. Di tal ché, i suddetti
amministratori affermavano di non avere <<...avuto modo di vedere l’incartamento ed in particolare la
42
lettera inviata dallo studio Domenichelli all’indomani della sentenza del Tar...>>, di cui venivano a
conoscenza solo dopo la notifica dell’invito a dedurre. L’Avv. Tommasini, nell’audizione del 22
settembre 2014, pur non ricordando (dato il tempo decorso) se materialmente il parere sia stato
esibito in occasione della seduta e se facesse parte del fascicolo contenente la delibera, era a
ribadire che <<Il Sindaco ci accennò sia al contenuto del parere che alle ragioni a base delle quali si riteneva
di proporre appello e ciò all’esito di una riunione che il sindaco stesso aveva avuto con l’Avv. Domenichelli...,
parere che venne acquisito dall’Ufficio tecnico che propose la delibera...>>: in sostanza, il suddetto parere
non faceva parte del fascicolo relativo alla deliberazione di Giunta oggi contestata. Cosicché, non
possono sorgere dubbi che l’intera vicenda sia stata gestita, con assunzione della correlata
responsabilità, dal Sindaco Franceschini Renzo, in qualità di Assessore della relativa area, diretto
destinatario della corrispondenza dello studio Domenichelli e presente agli incontri svoltisi con il
medesimo, con il concorso dell’Ing. Lovato, Responsabile dell’Ufficio tecnico, a conoscenza della
lettera pervenuta dal legale, sulla quale “...prima della votazione era stato chiamato il tecnico, che aveva
a sua volta espresso parere favorevole...” (così audizione degli assessori Marinoni Fabio e Carattoni
Agostino del 15 settembre 2014), e della sentenza del TAR, per la quale ha “...ritenuto giusto
esprimere un parere favorevole alla proposta di delibera” (così audizione dell’11 settembre 2014 dell’Ing.
Lovato). A tal riguardo, e fermo quanto già detto sulla mancanza di qualsivoglia richiamo, nella
delibera n. 65, del 26 aprile 2011, alla corrispondenza fatta pervenire dal legale, ravvisa il Collegio
che neanche dal predetto parere emergevano elementi favorevoli all’esperimento di una
impugnativa, neanche a carattere residuale e minimale. E invero lo scritto fatto pervenire il 07
aprile 2011 (20 giorni prima di adottare la delibera e 15 giorni prima del confezionamento della
proposta di delibera da parte del Servizio Edilizia Privata ed Urbanistica), nel richiamare passi
della sentenza e nel formulare le relative considerazioni giuridiche, non era per niente a
consigliare, né a indicare come percorribile, l’esperimento di un gravame, atteso che le predette
considerazioni andavano nella direzione contraria ad esso. Di fatti, il Prof. Domenichelli nella
prima parte dell’informativa, indirizzata al Sindaco del comune di Lazise, era a richiamare le
ragioni giuridiche che hanno portato il Tar a rigettare il ricorso incidentale (formulato dal
controinteressato) e ad accogliere il ricorso principale, con il quale l’associazione d’imprese
ricorrente aveva censurato l’operato della Commissione sotto il profilo della violazione del
principio di pubblicità delle sedute di gara, con particolare riferimento alla seduta in cui erano
state aperte le buste delle offerte pervenute. Onde, rilevava che il Tar <<...a sostegno della pronuncia
ha richiamato i principi di trasparenza e imparzialità oltre che la giurisprudenza prevalente che impone la
pubblicità delle sedute senza alcuna distinzione...e cioè “senza che sia consentito ritenere che per le procedure
negoziate non via sia il suddetto obbligo di trasparenza e imparzialità al momento iniziale di apertura dei
plichi contenenti le offerte”...>> (il virgolettato in corsivo è così riportato nella lettera). Cosicché, una
tale evenienza avrebbe dovuto far comprendere, al titolare dell’Ufficio tecnico e ai componenti
della Giunta, in specie al Sindaco Franceschini, che conosceva integralmente il parere in questione,
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come il deciso in sentenza, “...di fronte all’evidenza dell’errore commesso dalla Commissione...” (così
sent. n. 402/2011), non poteva che essere consequenziale, in termini di annullamento dell’intera
procedura di gara, senza tuttavia addivenire al rinnovo della stessa, poiché l’incarico di redazione
del P.A.T. risultava già ampiamente espletato al momento di proposizione del ricorso, con
riconoscimento del c.d. risarcimento per equivalente delle spese inutilmente sostenute dal
ricorrente principale per la redazione e presentazione della propria offerta. Cosicché, rilevava il
Prof. Domenichelli, il Tar <<...si limita, dunque, a riconoscere al ricorrente il risarcimento del danno “sia
pure con qualificazione e misura diversi da quanto voluto”, condannando il Comune al ristoro del danno per
equivalente nella misura onnicomprensiva di € 08.000,00 oltre alle spese di giudizio pari ad €
03.000,00>>. Ciò posto, il legale riteneva di dover valutare “...l’opportunità di appellare la presente
pronuncia, tenendo conto delle concrete possibilità di vittoria...”. In particolare evidenziava due aspetti
che comunque, in termini eloquentemente descrittivi, sconsigliavano il gravame. Di
fatti, <<Va...considerata, da un lato, la giurisprudenza – prevalente anche al Cons. di Stato – richiamata dal
TAR a sostegno della propria decisione, che afferma la generale necessità della pubblicità delle sedute di
gara che potrebbe rendere difficile l’accoglimento dell’appello; e dall’altro, la quantificazione del
danno operata dal TAR (08.000 € oltre alle spese di lite quantificate in € 03.000), di gran lunga
inferiore alla cifra richiesta dal ricorrente (34.000,00 €), da comparare con i costi di un eventuale
giudizio in Cons. di Stato>> (neretto Nostro). Alla luce di tali considerazioni, le conclusioni del
professionista erano quelle ovvie di restare “...in attesa di disposizioni per valutare l’opportunità di
procedere all’impugnazione della sentenza o chiudere la partita pagando il danno riconosciuto dal TAR”. Per
ciò, nel documento l’Avv. Domenichelli nel lasciare all’Amministrazione la facoltà di scelta, come
d’obbligo, indicava tutta una serie di argomentazioni giuridiche che di fatto sconsigliavano
l’opzione dell’impugnativa, senza indicarne alcuna a favore della stessa. Il che, di tutto punto,
rendeva ancora più riprovevole la condotta del Sindaco Franceschini e del tecnico Ing. Lovato, che,
avendo piena ed integrale conoscenza del parere, non prodotto nel corso della seduta ma
semplicemente richiamato, hanno avallato una interpretazione dello stesso legittimante
l’impugnativa ma che l’atto non lasciava affatto trasparire. E la vicenda censurata dinanzi al Tar
del Veneto, ossia l’illegittimità consumata dalla Commissione di gara per il fatto di aver aperto le
buste delle offerte in seduta segreta, non conosceva neanche un indirizzo minoritario
giurisprudenziale di segno contrario, atteso che la sent. n. 6250, del 17 dicembre 2001, del
Consiglio di Stato, richiamata dai patroni dell’Ing. Lovato, riguardava le prescrizioni del bando di
gara o della lettera di invito che prevedevano espressamente, con formulazione chiara e non
equivoca, l’esclusione dalla procedura a sanzione della loro inosservanza anche soltanto formale,
con conseguente obbligo dell’Amministrazione al rispetto della normativa alla quale si era
autovincolata e che essa stessa ha emanato, evidentemente sulla base di un giudizio “ex ante”
dell’idoneità della singola prescrizione a conseguire le finalità sopra indicate. Nel caso di specie,
tuttavia, la clausola denunciata non riguardava, e non poteva riguardare, attesa la natura
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inderogabile della normativa primaria, interna ed europea, prevedente lo stesso, il principio di
pubblicità e trasparenza delle sedute di gara, la cui cogenza era da ritenersi operante anche nel
silenzio della lex specialis sul punto. Ma anche ove si fosse trattato di decisione riguardante il
suindicato tema non vi è chi non veda come la stessa, per la sua datazione risalente (dicembre
2001) e per il carattere isolato che comunque costituiva, poiché superata dalla “...giurisprudenza –
prevalente anche al Consiglio di Stato – richiamata dal Tar a sostegno della propria decisione, sulla generale
necessità della pubblicità delle sedute di gara che poterebbe rendere difficile l’accoglimento del
gravame...”, avrebbe dovuto indurre il rappresentante dell’Amministrazione comunale e il titolare
dell’Ufficio tecnico a un uso più ponderato della discrezionalità nella scelta di appellare. Prova ne
era l’esito, a monte ampiamente prevedibile, della decisione del Consiglio di Stato, che con sent. n.
8, del 07 gennaio 2013, dichiarava l’infondatezza sia dell’appello principale, formulato dal comune
di Lazise che, tra l’altro, lamentava la reiezione di un motivo di ricorso incidentale altrui, aspetto
questo ripreso nella memoria difensiva odierna del Sindaco Franceschini nel tentativo di dar conto
della plausibilità del gravame, sia dell’appello incidentale formulato dalla parte vincitrice dinanzi
al Tar. L’alto Consesso giurisdizionale poiché riteneva del tutto destituito di fondamento l’appello
principale, prescindeva dal valutare l’ammissibilità di quella parte di esso in cui l’Ente territoriale
lamentava la reiezione del ricorso incidentale di prime cure formulato dal controinteressato che
non aveva, invece, proposto impugnativa alcuna (e sulle cui doglianze non poteva che essersi
formato il giudicato). In breve, l’Amministrazione comunale insisteva sul punto che le
dichiarazioni contenute nel curriculum dell’Arch. Sbrogiò e le esperienze professionali indicatevi
sarebbero state non rispondenti al vero, deduzioni non condivise dal Consiglio di Stato posto che
l’esame degli atti di causa, e segnatamente del curriculum in discussione, rivelava che il
dichiarante, <<...pur in un contesto testuale non completamente chiaro, in relazione alle prestazioni d’opera
professionale formanti preciso oggetto di contestazione ex adverso aveva sempre specificato...che la sua
attività era stata resa “all’interno del P.A.T.I.”, con indicazione degli altri Comuni da questo di volta in
volta interessati. Da qui la non addebitabilità all’originario ricorrente di alcun mendacio” (sottolineato
Nostro). In sostanza, poteva ravvisarsi nel curriculum una dichiarazione un pò perplessa di
quest’ultimo, “...che avrebbe potuto magari dare adito ad una richiesta di chiarimenti: ma di per sé mai
avrebbe potuto giustificare un’esclusione per difetto di veridicità, atteso che la circostanza che le sue
prestazioni fossero avvenute “all’interno” di altrettanti P.A.T.I., lungi dall’essere stata celata alla Stazione
appaltante, dal professionista era stata esplicitamente ammessa”. Di tal ché, veniva
disattesa “...l’immotivata critica al T.A.R. di aver respinto l’assunto del ricorso incidentale per cui
l’appellata avrebbe dovuto comunque essere esclusa dalla gara in ragione della supposta inadeguatezza dello
stesso professionista all’incarico, atteso che qui viene in rilievo solo una critica di merito del tutto
arbitraria...”. Riguardo, invece, al secondo motivo dell’appello principale, il Consiglio di Stato era a
confermare la decisione del Tar in ragione del consolidato insegnamento giurisprudenziale,
“...nella cui scia si è posto il primo Giudice...”, che da ultimo ha trovato il <<...definitivo suggello
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dell’Adunanza Plenaria di questo Consiglio n. 31, del 31 luglio 2012 proprio nel segno, appunto, della
massima latitudine applicativa del canone di pubblicità delle operazioni di gara, quale corollario del più
generale principio di trasparenza>>, mentre con la decisione n. 13, del 28 luglio 2011, della stessa
Adunanza, era stata nuovamente ribadita la “...necessità che l’apertura delle buste contenenti le offerte
tecniche avvenga in seduta pubblica...”. Da ultimo la sentenza del Consiglio di Stato era a rigettare
l’appello incidentale, flettente doglianze in ordine all’importo del risarcimento per equivalente,
giacché la parte non aveva argomentato in maniera puntuale al fine di dimostrare
l’irragionevolezza della liquidazione equitativa operata in prime cure. In ragione delle premesse
tutte avanzate, del predetto danno, da documentazione in atti assommante ad € 10.737,00, deve
essere chiamato a rispondere l’Ing. Lovato Luigi Paolo, per avere formulato la proposta, con
l’annesso parere favorevole, nella quale risultava di palmare evidenza l’irragionevolezza della
motivazione e, comunque, la mancanza in essa di elementi concreti idonei a sostenere un atto di
appello, con grave scostamento della condotta dal modello medio da seguire in specie, in quanto a
conoscenza sia della sentenza del Tar del Veneto, che ha riconosciuto l’illegittimità consumata
dalla Commissione di gara, sia del contenuto del parere formulato dal Prof. Domenichelli, senza
trascurare che laddove tali atti non fossero rientrati nelle disponibilità conoscitive del predetto la
regola della diligenza, da conformare al ruolo rivestito dall’Ing. Lovato, imponeva comunque
l’espletamento di una minima attività istruttoria tesa a rendere conoscibili norme e decisioni dei
giudici in proposito; corresponsabile del danno è da ritenersi il Sindaco Franceschini Renzo, che, in
qualità di Assessore del ramo, ha gestito in proprio l’intera vicenda, incontrando il legale, avendo
conoscenza, nella sua integrità, del parere dallo stesso fornito, che provvedeva a valutare e ad
interpretare avventatamente in sede di delibera di autorizzazione a ricorrere in appello (e ancor
prima). Le medesime conclusioni non è dato sostenere, a giudizio della Sezione, in ordine alla
posizione dell’Avv. Tommasini Flavio, che, al pari degli altri componenti la Giunta (non evocati
dal Requirente), deve mandarsi assolto giacché la condotta tenuta non raggiunge il minimo della
colpa grave. Di fatti, la responsabilità del predetto Assessore non può farsi discendere dalla
circostanza, mera, di essere un “Avvocato”, dappoiché, se è pur vero che la colpa grave va valutata
in base al grado di diligenza richiedibile dal soggetto agente, in specie le condizioni in cui lo stesso
si è trovato ad agire erano le medesime degli altri componenti la Giunta, come dal predetto
prevenuto evidenziate: <<...il Sindaco ci accennò sia al contenuto del parere che alle ragioni sulla base
delle quali si riteneva di proporre appello e ciò all’esito di una riunione che il Sindaco stesso aveva avuto con
l’Avv. Domenichelli...Non ricordo se materialmente il parere ci sia stato esibito in occasione della seduta di
Giunta e se facesse parte del fascicolo contenente la delibera” (così audizione dell’Avv. Tommasini del 22
settembre 2014). In sostanza, il periodo del verbale in cui il convenuto Tommasini era a precisare
che “La decisione è stata peraltro operata facendo anche riferimento ad un parere legale preventivamente
richiesto...parere ottenuto in data 07 aprile 2011, il quale non escludeva a priori la possibilità di un esito
favorevole del giudizio di appello...” non poteva, ad avviso del Collegio, interpretarsi nel senso che il
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medesimo aveva avuto integrale conoscenza del parere, ma che dello stesso era venuto a
conoscenza, negli stessi termini degli altri assessori, nella seduta del 26 aprile 2011. Quindi,
anch’egli, non coinvolto nella vicenda, aveva fatto affidamento, come riconosciuto dal PM per gli
altri componenti la Giunta, sulla trattazione della vicenda ad opera del Sindaco e sul parere legale
favorevole dal medesimo richiamato senza produrlo. A tanto consegue il proscioglimento, dagli
addebiti in contestazione, del convenuto Tommasini Flavio, con il favore delle spese (e di cui in
seguito).
Quanto al Sindaco Franceschini e al Responsabile dell’Area tecnica, Ing. Lovato, il Collegio
è del parere che se le circostanze in cui si è svolto l’evento dannoso non possono rilevare ai fini
dell’esclusione della colpa grave dei predetti convenuti, le stesse possono essere, tuttavia,
valorizzate in sede di applicazione del potere riduttivo. Come in precedenza già rilevato, esso va
ancorato a circostanze oggettive, che riflettono la situazione nella quale i convenuti si sono trovati
a dover operare, e soggettive, che attengono all’attività sia di terzi che dei medesimi responsabili.
In specie, l’urgenza nell’operare la scelta può ritenersi valorizzabile ai fini della riduzione
del quantum addebitabile, mentre è da escludere rilevanza concausale all’evento nella condotta
serbata dal Segretario comunale, in relazione a una valutazione meramente delibativa della
responsabilità dello stesso. E invero un tale profilo di responsabilità non si attagliava al dott.
Abram Paolo, che ha partecipato alla seduta di Giunta, del 26 aprile 2011, nella qualità di
verbalizzante e che, non essendo più tenuto a rendere il parere preventivo di legittimità sulle
deliberazioni della stessa, non risultava essere stato investito di alcuna specifica richiesta in merito
alla decisione di ricorrere in appello. Il Collegio è ben consapevole che l’intervenuta soppressione
del parere di legittimità del segretario non esclude in capo al medesimo, a mente dell’art.97, del
d.lgs. n. 267, del 18 agosto 2000, tutta una serie di compiti e adempimenti, quali quelli di
consulenza giuridico – amministrativa, in base ai quali possa – e, ove richiesto, debba – comunque
rendere in proprio parere in ordine alla conformità dell’azione amministrativa alle leggi, agli
statuti ed ai regolamenti e <<...che del parere reso debba rispondere in via amministrativa, in adesione ad
un principio generale, operante a prescindere dalla natura obbligatoria o facoltativa del parere
espresso>> (così Corte dei conti, Sez. 1° centr. di app., 17 aprile 2008, n. 154, id. Sez. 2^ centr. di
app., 17 marzo 2004, n. 88/A, id. 23 giugno 2004 n. 197/A, Sez. Lombardia, 09 luglio 2009, n. 473, e
Sez. Puglia, 08 luglio 2003, n. 594). Per ciò, al Segretario comunale compete oggi un ruolo di
garanzia, affinché l’attività dell’Ente possa dispiegarsi nell’interesse del buon andamento,
svolgendo, tra l’altro, compiti di collaborazione e funzioni di assistenza giuridico – amministrativa
degli organi dell’Ente, in ordine alla conformità dell’azione amministrativa alle leggi, allo statuto e
ai regolamenti, <<...e il cui esercizio non può considerarsi eventuale o esercitabile solo su richiesta, ma deve
essere considerato come necessario e indispensabile, apparendo anche evidente che esso si riferisce alla intera
attività svolta dall’Ente, imponendo una valutazione sulla scelta degli strumenti giuridici e procedurali
dell’attività stessa>> (così Corte di Cass. Sez. Lav. 23 agosto 2003, n. 12403). In tale nuovo contesto
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non sono tuttavia (più) ravvisabili responsabilità tipizzate correlate a funzioni proprie specifiche,
ma è solo ipotizzabile una responsabilità di tipo generico se e quando sia ravvisabile un nesso di
causalità con un’attività consultiva e collaborativa caratterizzata da superficialità e grave
negligenza (cfr. Corte dei conti, Sez. Puglia, 08 luglio 2003, n. 594). In specie, il Collegio, non
risultando comprovata dagli atti l’affermazione del convenuto Franceschini di aver agito sentendo
anche il Segretario comunale sulla opportunità/necessità di formulare appello, ravvisa che la
conoscenza della vicenda di causa, da parte del predetto funzionario, possa essere avvenuta negli
stessi termini dei componenti la Giunta, ossia facendo affidamento sul parere legale richiamato
puramente e semplicemente in sede di adunanza, senza cioè che ne sia avvenuta la sua ostensione,
con esclusione, quindi, della colpa grave. In ragione di tanto i convenuti Franceschini Renzo e
Lovato Luigi Paolo devono condannarsi a risarcire, in favore del comune di Lazise, l’importo di €
03.000,00 cadauno, oltre rivalutazione monetaria, secondo gli indici ISTAT, dal 14 maggio 2014
(data dell’atto di liquidazione delle spese di secondo grado in favore dell’Avv. Domenichelli) e
sino alla data di deposito della sentenza, e interessi di legge da tale ultima data al soddisfo. Le
spese di giudizio seguono la regola della soccombenza e si liquidano in via solidale tra i convenuti
tutti, oggi condannati (in parti uguali nel rapporto interno), come da dispositivo.
In ragione, invece, dell’assoluzione nel merito del convenuto Tommasini Flavio, attesa la natura di
parte solo in senso formale della Procura regionale della Corte dei conti, che promuove e partecipa
ai giudizi di responsabilità erariale dei pubblici amministratori, dipendenti e soggetti legati da
rapporto di servizio (in senso lato) alle Pubbliche Amministrazioni, quale portatore non
dell’interesse particolare delle stesse ma di quello generale dell’Ordinamento giuridico (così Corte
di Cassazione SS.UU. civili, 02 marzo 1982, n.1282, 02 ottobre 1998, n.9780, 02 aprile 2003, n.5105,
15 gennaio 2010, n.519/10), le spese ed onorari di lite, ove spettanti, devono gravare (ex art. 91
c.p.c.) sul comune di Lazise, nel cui interesse, comunque, ha agito in giudizio il Procuratore
contabile, quale suo rappresentante processuale ex lege, giacché esso è il soggetto che si assumeva
leso e a cui vantaggio è stato chiesto di devolvere gli importi da risarcire nel caso di mancato
proscioglimento dei convenuti. La materia si presenta come non omogenea, atteso che per i giudizi
civili, penali e amministrativi, la normativa alla quale fare riferimento è diversa a seconda che si
tratti di dipendenti di amministrazioni dello Stato – art. 18, 1^ comma, del d.l. 25 marzo 1997, n.
67, convertito dalla legge 23 maggio 1997, n. 135, a mente del quale “Le spese legali relative a giudizi
per responsabilità civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti dei dipendenti di
amministrazioni statali in conseguenza di fatti ed atti connessi con l’espletamento del servizio o con
l’assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro
responsabilità, sono rimborsate dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui
dall’Avvocatura dello stato...”, – ovvero di dipendenti e/o amministratori degli enti locali e delle
autonomie territoriali – art. 67 del d.P.R., del 13 maggio 1987, n. 268, secondo il quale “L’ente, anche
a tutela dei propri diritti ed interessi, ove si verifichi l’apertura di un procedimento di responsabilità
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civile o penale nei confronti di un suo dipendente per fatti o atti direttamente connessi all’espletamento del
servizio e all’adempimento dei compiti di ufficio, assumerà a proprio carico, a condizione che non sussista
conflitto di interessi, ogni onere di difesa sin dall’apertura del procedimento facendo assistere il dipendente
da un legale di comune gradimento”. Tale seconda disposizione, è stata poi abrogata, a far tempo dal
06 giugno 2012, dall’art. 62, comma 1 e dalla tabella A allegata al d.l. 09 febbraio 2012, n. 5,
convertito con modificazioni, dalla legge 04 aprile 2012, n. 35, e per ciò da tale data la materia è
rimessa esclusivamente alla normativa contrattuale, in specie all’art. 28, commi 1 e 2, del C.C.N.L.
del personale del comparto delle regioni e delle autonomie locali, riproducente sostanzialmente il
testo del citato art. 67. Da ultimo, la disciplina è ulteriormente diversa qualora si tratti di spese
legali sostenute da dipendenti e/o amministratori pubblici nei giudizi dinanzi alla Corte dei conti,
poiché è da fare riferimento all’art.3, comma 2 – bis, della legge n. 20 del 1994, siccome modificato
dal d.l. n. 543 del 1996, convertito dalla legge n. 639 del 1996, recante (come di seguito) condizioni
oggettive e soggettive non sovrapponibili al rimborso delle spese sostenute in altri giudizi. Ora,
poiché il “Giudice”, a mente dell’art. 91 c.p.c., <<...con la sentenza che chiude il processo davanti a lui,
condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell’altra parte e ne liquida l’ammontare
insieme con gli onorari di difesa...>>, quale fase consequenziale ed accessoria rispetto alla definizione
del giudizio, la presenza nell’ordinamento di norme varie, volte ad assicurare al pubblico
dipendente l’assistenza in sede processuale o il rimborso delle spese legali sostenute, <<...non
incide sul giudizio contabile devoluto alla Corte dei conti, in quanto norme sganciate da questo, perché volte
ad assicurare ai soggetti interessati il beneficio aggiuntivo di non dover sopportare il costo incontrato nella
loro difesa>> (così Corte di Cass. SS.UU. civili, 12 novembre 2003, n. 17014). Di tal ché, il rapporto
sostanziale che si instaura tra il soggetto prosciolto e l’amministrazione di appartenenza (in senso
stretto) non ha nulla a che vedere con quello che ha ad oggetto il giudizio di responsabilità
contabile. Un tanto chiarito, dalle prime disposizioni richiamate risulta di piana evidenza che
<<...la particolare forma di tutela di cui si controverte è contemplata unicamente per i “dipendenti”, ossia
per coloro che sono legati da un rapporto di pubblico impiego con l’amministrazione che, in difetto di diversa
previsione, non può essere estesa a quei soggetti che pur operando nell’ambito dell’amministrazione pubblica,
svolgano le proprie funzioni in base ad altro titolo, segnatamente di amministratore comunale>> (così Corte
di Cass. Sez. lav., 1° dicembre 2011, n. 25690, id. 3^ Sez. civ., 25 settembre 2014, n. 20193, Sez. 1^
civile, 17 marzo 2015, n. 5264, nonché S.U. civili, 13 gennaio 2006, n. 478, id. n. 3413 e 9160 del
2008). Per ciò, “...in difetto di una diversa previsione...” le suddette norme sono ritenute
insuscettibili di interpretazione analogica, né tampoco estensiva ad ipotesi soggettive non previste.
E questo in quanto l’assunzione dell’onere della spesa per l’assistenza legale ai dipendenti degli
Enti locali non consegue all’affermazione di un principio generale dell’ordinamento a prescindere
dalla fonte normativa settoriale e a prescindere dai limiti in cui il diritto viene conformato, essendo
invece la conseguenza di alcuni presupposti che devono sussistere e di rigorose valutazioni che
l’ente è tenuto ad effettuare, anche ai fini di una economica e trasparente gestione delle pubbliche
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finanze. Ora la disciplina, normativa e contrattuale (con quest’ultima che, come detto, dopo le
recenti abrogazioni, è rimasta unica a regolare la materia di pertinenza delle Amministrazioni
territoriali), si rivolge al dipendente pubblico, mentre nessuna norma o disposizione faceva e fa
riferimento all’amministratore pubblico. Di tal ché, è legittimo domandarsi se, al pari del
dipendente, anche l’amministratore (Sindaco, Assessore, ecc.) possa essere ammesso al patrocinio
o al rimborso delle spese legali, ovviamente laddove sussistenti i requisiti che, in analoga
situazione, consentirebbero il patrocinio o il rimborso in favore del dipendente. Da tempo la
giurisprudenza, con riguardo alla materia in esame, ha operato una netta distinzione tra la figura
dei dipendenti e quella degli amministratori, riconoscendo la rimborsabilità ai primi e negandola
ai secondi, non legati all’Amministrazione da un rapporto di subordinazione, quale elemento
differenziale <<...sul quale è ben possibile al legislatore, senza superare i limiti della sua discrezionalità,
costruire una disciplina diversificata in materia di indennizzabilità degli oneri di difesa sopportati dai
dipendenti, per il caso in cui si trovino sottoposti ad un procedimento all’esito del quale siano dichiarati
esenti da responsabilità>> (così Corte Cost. n. 197 del 2000, che pur se riferita alla legislazione a
Statuto speciale della Regione Siciliana, ha indubbiamente un valore di carattere generale, essendo
l’art. 39 della Legge Regionale Siciliana 29 dicembre 1980, n. 145, del tutto equivalente all’art. 67
del d.P.R. n. 26871987). Sul punto, anche la giurisprudenza delle Sezioni Unite della Cassazione ha
costantemente affermato che <<...il rapporto tra la P.A. ed il funzionario onorario, connesso
all’attribuzione di funzioni pubbliche, si distingue sia dai rapporti di pubblico impiego, sia dai rapporti di
parasubordinazione o di collaborazione continuativa e coordinata, visto che il funzionario onorario non è
esterno all’Ente pubblico, ma si identifica funzionalmente con l’ente medesimo ed agisce per esso e il
compenso allo stesso dovuto non ha carattere sinallagmatico-retributivo, ma indennitario>> (cfr. Corte di
Cass. S.U. civ. n. 3413 e 9160 del 2008). In ragione di ciò, la Corte di Cassazione ha dato risposta
negativa all’applicabilità dell’art. 67, del d.P.R. n. 268 del 1987, ora art. 28 del C.C.N.L. del 14
settembre 2000, atteso che <<...il diritto al rimborso delle spese legali relative ai giudizi di responsabilità
civile, penale o amministrativa a carico di dipendenti di amministrazioni statali o di enti locali per fatti
connessi all’espletamento del servizio o comunque all’assolvimento di obblighi istituzionali, conclusi con
l’accertamento dell’esclusione della loro responsabilità, non compete all’assessore comunale, né al consigliere
comunale o al sindaco, non essendo configurabile tra costoro (i quali operano nell’amministrazione pubblica
ad altro titolo) e l’ente un rapporto di lavoro dipendente, non potendo estendersi nei loro confronti la tutela
prevista per i dipendenti, né trovare applicazione la disciplina privatistica in tema di mandato>> (così
Corte di Cass., 1° Sez. civ., 17 marzo 2015, n. 5264, Sez. 3°, 25 settembre 2014, n. 20193, id. Sez. lav.,
1° dicembre 2011, n. 25690, id. n. 10052 del 2008, n. 9363 del 2007, n. 16845 del 2004, id. Cass. pen.
n. 41145 del 2002 e Cons. di Stato Sez. V, 14 aprile 2000, n. 2242, nonché parere n. 792, del 16 marzo
2004). In altri termini, la giurisprudenza di legittimità (anche se non del tutto uniforme) ravvisa
che per le normative dianzi citate, nelle quali l’Amministratore dell’ente locale non è menzionato
come destinatario dei loro effetti, in conformità <<...ai criteri interpretativi generali (“ubi voluit dixit,
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ubi noluit tacuit”)...>>, non si era di fronte <<...ad una vera e propria lacuna...suscettibile di essere
colmata in via di interpretazione analogica, bensì di una diversa disciplina prevista e voluta come tale dal
legislatore. E tale diversa disciplina trova giustificazione proprio nella specificità insita nella mancanza – nel
caso dell’assessore comunale – di un rapporto di lavoro dipendente con l’ente locale e, in particolare, nella
natura onoraria di tale rapporto>> (cfr. Corte di Cass. 3° Sez. civ., n. 20193, del 25 settembre 2014, id.
S.U. n. 478, del 13 gennaio 2006, e n. 12645 del 2010). La relativa questione è stata affrontata,
quanto al rimborso delle spese legali in favore di un amministratore coinvolto in un procedimento
penale, anche in seno alla Corte dei conti, la quale, a Sezioni Riunite, perveniva a una soluzione
diversa da quella in seguito sostenuta dal Giudice ordinario e, in particolare, dalla Corte di
legittimità, avendo modo di affermare che<<...l’assunzione di spese per l’assistenza, in un giudizio
penale, di taluni amministratori (equiparabili ai dipendenti), poi assolti perché il fatto non sussiste, non
costituisce danno risarcibile per l’ente locale>> (così Corte dei conti, SS.RR., n. 501, del 18 giugno 1986),
pervenendo, “apertis verbis”, ad una equiparazione tra gli amministratori e i dipendenti, ritendo
così estensibile anche ai primi la specifica normativa prevista per i secondi. Un tale indirizzo
favorevole ha trovato anche in seguito successive conferme e smentite. In specie, si è detto che
“Anche nel campo del diritto pubblico, coloro che sono investiti di una carica (anche onoraria) agiscono per
un interesse non proprio in quanto legittimamente investiti (mandato pubblico) del compito di realizzare
interessi di altri centri di imputazione giuridica (enti, collettività o altri organismi pubblici), con la
conseguenza che i pubblici amministratori non devono sopportare nella propria sfera personale gli effetti
svantaggiosi o dannosi della propria attività” (cfr. Corte dei conti SS.RR. 05 aprile 1991, n. 707, id.
Sezione Abruzzo, 29 novembre 1999, n. 1122, Sez. Lombardia, 19 ottobre 2005, n. 641, Sez. Puglia,
sent. n. 787, del 14 giugno 2012, contra Sezione Basilicata, n. 165, del 15 ottobre 2012). Un risalente
orientamento della Corte di Cassazione (cfr. Cass. Civ. Sez. 1°, 13 dicembre 2000, n. 15724, id. 03
gennaio 2001, n. 54) statuiva analogamente, nel senso che “...perché sorga il diritto del dipendente o
dell’amministratore dell’Ente pubblico all’assistenza processuale..., debbono ricorrere due condizioni: 1)
l’assoluzione del dipendente o dell’amministratore dell’Ente pubblico, che si trovi implicato, in conseguenza
di atti o fatti connessi all’espletamento del servizio o all’adempimento di compiti d’ufficio, in un
procedimento penale; 2) la mancanza di conflitto d’interesse con l’ente...”.
Orientamento questo condiviso anche dal Consiglio di Stato che, al riguardo, ha opportunamente
precisato: <<...la disciplina civilistica del contratto di mandato...è applicabile...ai rapporti tra ente pubblico
e amministratori onorari che...non devono sopportare nella propria sfera personale gli effetti sfavorevoli o
dannosi dell’attività imputabile solo agli enti...>>; di tal ché, è da applicarsi l’art. 1720 c.c.
che <<...stabilisce con sufficiente chiarezza la misura dei diritti patrimoniali vantati dal mandatario nei
riguardi del mandante, individuando, nei rapporti interni, il punto di equilibrio tra le contrapposte pretese
delle parti>> (così Cons. di Stato, Sez. V, 14 aprile 2000, n. 2242, id. Cass. civ. Sez. 1^, 16 aprile 2008,
n. 10052). Ora, fermo quanto detto per il rimborso delle spese legali, all’esito del giudizio, ovvero
per il patrocinio fin dall’inizio del procedimento, con onere a carico del bilancio dell’Ente locale,
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per i dipendenti di quest’ultimo, con riguardo ai giudizi civili e penali promossi nei loro confronti,
e per i diversi orientamenti giurisprudenziali (erariale e di legittimità) che si sono susseguiti in
ordine all’estensione anche agli amministratori della regola dell’ammissione al patrocinio o al
rimborso delle spese legali, una sostanziale differenza è dato invece scorgere nella materia dei
rimborsi delle spese legali per i giudizi dinanzi alla Corte dei conti. La materia, come detto, è
disciplinata dall’art. 3, comma 2 -bis, del d.l. 23 ottobre 1996, n.543, convertito con modificazioni,
dalla legge 20 dicembre 1996, n.639, che ha statuito, per il caso di definitivo proscioglimento,
che <<…le spese legali sostenute dai soggetti sottoposti al giudizio della Corte dei conti sono
rimborsate dall’Amministrazione di appartenenza...>>. Tale articolo è stato oggetto d’interpretazione
autentica ad opera dell’art. 10 bis, comma 10, del d.l. 30 settembre 2005, n.203, convertito, con
modificazioni, dalla legge 02 dicembre 2005, n.248, nel senso che il giudice contabile, in caso di
proscioglimento nel merito e con la sentenza che definisce il giudizio, <<…ai sensi e con le modalità
di cui all’art. 91 del codice di procedura civile, liquida l’ammontare degli onorari e diritti spettanti alla difesa
del prosciolto…>>. Da ultimo, poiché il Giudice erariale aveva interpretato la predetta disciplina nel
senso di non escludere una statuizione, anche in caso di proscioglimento nel merito, sull’an delle
spese processuali, pervenendo alla loro compensazione, il Legislatore con altra interpretazione
autentica integrativa della precedente, recata dal comma 30quinquies dell’art. 17, del d.l. 01 luglio
2009, n.78, nel testo integrato dalla legge di conversione 03 agosto 2009, n.102, ha previsto che il
Giudice <<…non può disporre la compensazione delle spese di giudizio…>>, inserendo tale periodo tra
le parole <<…procedura civile…>> e <<…liquida l’ammontare…>>, formula, quindi, di esclusione
inderogabile dell’istituto della compensazione. Di tal ché, la condizione normativamente stabilita
(art. 3, comma 2-bis, l. n. 639 del 1996) per il rimborso delle spese legali da parte
dell’Amministrazione è costituita dalla pronuncia di proscioglimento nel merito, ovvero
completamente assolutoria, nei confronti del convenuto in un giudizio di responsabilità
amministrativa, atteso che la citata disposizione, limitatamente ai giudizi dinanzi alla Corte dei
conti, non distingue tra dipendenti ed amministratori diversamente da quanto previsto dall’art. 67
del d.P.R. 13 maggio 1987, n. 268, dianzi richiamato, ora art. 28, commi 1 e 2, del C.C.N.L. degli
Enti locali e delle Autonomie territoriali, in particolare CCNL integrativo del 14 settembre 2000. Al
riguardo, ci si trova al cospetto di una diversa previsione che affida, incontrovertibilmente, al
Giudice contabile la decisione – in base al combinato disposto degli artt. 91 c.p.c. e 3 comma 2-
bis della legge n. 639 del 1996 - in tema di liquidazione delle spese, di giudizio e legali, che poi
l’interessato dovrà chiedere alla propria Amministrazione, anche nei confronti degli
amministratori dell’Ente, in ragione dell’espressione contenuta nell’art.3, comma 2-bis: <<...spese
legali sostenute dai soggetti sottoposti al giudizio della Corte dei conti...>>, e in presenza di un
definitivo proscioglimento nel merito del soggetto convenuto. In breve, a seguito
dell’interpretazione autentica fornita dall’art. 10 bis, comma 10, del d.l. n. 203 del 2005, è stato
individuato uno specifico compito del Giudice erariale, al quale è rimessa la liquidazione delle
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spese legali sostenute dal prevenuto assolto nel merito, ipotesi in precedenza di tutta evidenza non
ammessa, delineando una disciplina delle stesse diversa da quella contrattuale (art. 67, d.P.R. 13
maggio 1987, n. 268, ora art. 28 del C.C.N.L. 14 settembre 2000), non direttamente applicabile ai
giudizi di responsabilità amministrativa dappoiché riferita ai soli “...giudizi di responsabilità civile o
penale...”. Per ciò, nell’ipotesi di causa, non sussistendo una diversa disciplina prevista e voluta
come tale dal legislatore, volendo seguire i criteri ermeneutici ragionati dal Giudice della
legittimità (e di cui infra), il favore delle spese, di giudizio e legali, deve riguardare anche
l’Assessore Tommasini Flavio (per il quale, in quanto amministratore, non è comunque
contemplato il caso dell’ammissione al patrocinio a carico dell’Ente), prosciolto nel merito per
insussistenza della colpa grave, con la condizione che l’Ente territoriale, non potendo fare
riferimento alle specifiche norme di settore previste per i dipendenti, può rimborsare tali oneri solo
nei limiti di quanto liquidato in sentenza (cfr. Corte dei conti, Sez. Toscana, 16 ottobre 2013, n. 310).
Da ultimo, mette conto rilevare che il potere – dovere del Giudice, a mente dell’art. 91 e segg. c.p.c.,
di statuire sulle spese sussiste anche nei confronti del convenuto che ha esercitato la facoltà di
difesa personale, assentita dall’art. 86 del codice di rito civile, dappoiché l’esercizio di una tale
facoltà “...non tocca la natura professionale dell’attività processuale svolta dall’avvocato in proprio favore,
né quindi incide sulla qualificabilità come spese del giudizio dei diritti e degli onorari previsti per tale
attività” (cfr. ex multis, Corte di Cass, Sez. 2^ civile, 30 gennaio 2008, n. 2193, id. 24 gennaio 1994, n.
691), chiaramente a condizione che il predetto precisi a che titolo partecipi al processo: in specie
l’Avv. Tommasini, a mente dell’art. 86 c.p.c., ha esercitato il ministero di difensore di se medesimo.
Ciò premesso, rileva il Collegio che il compenso dell’avvocato, rapportato alla natura,
durata, complessità e importanza dell’opera prestata, e il rimborso delle spese forfetarie nella
misura del 15% sul totale della prestazione, deve avvenire secondo i parametri di cui al recente
D.M. n. 55, del 10 marzo 2014 - in Gazzetta Ufficiale n. 77, del 2 aprile 2014 - (artt. 2 e 4), recante la
specifica tabella n. 11 per le spese inerenti i giudizi dinanzi alla Corte dei conti, vigente dal 3 aprile
seguente e applicabile alle liquidazioni successive alla sua entrata in vigore. Quanto alla
determinazione del valore della controversia, l’art.5, comma 3, dispone che “Nelle cause davanti agli
organi di giustizia...nella liquidazione a carico del soccombente si ha riguardo all’entità economica
dell’interesse sostanziale che riceve tutela attraverso la decisione...”: in specie, l’entità economica
dell’interesse sostanziale ricevente tutela dall’attivazione del giudizio è costituita, per il convenuto,
con adattamento della predetta norma al giudizio contabile, in cui è presente il P.M. richiedente
per conto dell’Amministrazione importi a titolo di danno, dal quantum che lo stesso pretendeva ab
origine dal medesimo, giacché ogni singola attività difensiva era da parametrare ad esso. Per ciò, il
Collegio, considerato che le spese di lite devono liquidarsi in favore del convenuto Tommasini
Flavio, attese le fasi d’interesse per il giudizio contabile (fase di studio, introduttiva, istruttoria e di
trattazione, nonché decisionale), l’attività effettivamente svolta dallo stesso nonché la non
particolare complessità della fattispecie in denuncia, considerato quanto previsto dalla tabella 11,
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allegata al citato D.M. n. 55/2014, esaminati gli scaglioni di riferimento con riguardo alla posizione
dello stesso, al quale il P.M. chiedeva, a titolo risarcitorio, l’importo di € 03.579,00, in applicazione
dell’art. 4, comma 1, prevedente che i valori medi corrispondenti allo scaglione possono essere
aumentati, di regola, fino all’80 per cento, o diminuiti fino al 50%, per la fase istruttoria sino al 70
per cento, liquida, in favore di Tommasini Flavio, nella qualità di difensore di se stesso, l’importo
complessivo di € 01.035,00 (di cui € 900,00, per compenso, ed € 135,00, per spese nella misura del
15% dell’importo della prestazione), somme da maggiorare di I.V.A., qualora dovuta, del
contributo integrativo a titolo di Cassa Previdenza Avvocati e da porre a carico del comune di
Lazise.
P.Q.M.
La Corte dei conti, Sezione giurisdizionale regionale per il Veneto, disattesa ogni contraria istanza,
deduzione od eccezione, definitivamente pronunciando:
1) in rito, rigetta la richiesta di integrazione del contraddittorio come formulata dalle difese di
Zanini Giuseppe e Antonelli Mauro, nonché l’eccezione di nullità degli atti istruttori e della
citazione e di violazione della riserva di amministrazione, siccome opposte dai patroni di
Lovato Luigi Paolo.
2) Nel merito, condanna i convenuti Zanini Giuseppe e Antonelli Mauro a risarcire, in favore
del comune di Lazise (VR), l’importo di € 03.500,00 (euro tremilacinquecento) cadauno.
3) Sulle predette somme compete la rivalutazione monetaria, secondo gli indici ISTAT, a far
tempo dal 1° aprile 2008 e sino alla data di deposito della presente sentenza, nonché gli
interessi di legge da tale ultima data al soddisfo.
4) Sempre nel merito, condanna Franceschini Renzo e Lovato Luigi Paolo a ristorare, in
favore del municipio di Lazise, la somma di € 03.000,00 (euro tremila) ognuno, oltre
rivalutazione monetaria, secondo gli indici ISTAT, dal 14 maggio 2014 e sino alla data di
deposito della presente decisione, e interessi come per legge da tale ultima data al soddisfo.
5) Le spese di giudizio, che seguono in via solidale la soccombenza e nel rapporto interno
sono da imputarsi in parti uguali tra tutti i predetti prevenuti, si liquidano in
€ 01.768,62 (euro millesettecentosessantotto/,62) complessive.
6) Da ultimo, nel merito, proscioglie dalle imputazioni erariali in contestazione Tommasini
Flavio.
7) Liquida in favore del medesimo, in qualità di difensore di se stesso, il compenso e le spese
forfetarie del 15%, da porre a carico del comune di Lazise (VR), nella misura di € 01.035,00,
oltre I.V.A. (se dovuta) e C.P.A nella misura spettante.
Manda alla segreteria della Sezione per gli adempimenti di competenza.