SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE … · Lovato Luigi Paolo, nato l’11 marzo 1953 a...

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1 SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE VENETO SENTENZA 133 2015 RESPONSABILITA' 22/09/2015 Repubblica Italiana In Nome del Popolo Italiano La Corte dei Conti Sezione Giurisdizionale Regionale per il Veneto Composta dai Sigg.ri Magistrati Guido Carlino Presidente Giovanni Comite Giudice relatore Giuseppina Mignemi Giudice ha pronunciato la seguente SENTENZA Nel giudizio di responsabilità, iscritto al n. 29898 del registro di segreteria, promosso dalla Procura regionale della Corte dei conti per il Veneto nei confronti dei sigg.ri: 1. Zanini Giuseppe, nato il 20 dicembre 1966 a San Bonifacio (VR), residente a Lazise (VR), in via Gardesana n. 56, int. 2, C.F. ZNN GPP 66T20 H783B, rappresentato e difeso, nel presente giudizio e in ogni sua fase e grado, anche disgiuntamente, dagli Avv.ti Poggi Laura, Misino Michele, del Foro di Verona, e Bianchini d’Alberigo Aurelio, del Foro di Venezia, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, a Venezia (VE), Ponte dei Squartai, Santa Croce n. 269: al tempo dei fatti componente la Commissione di gara per l’affidamento di incarico professionale per la realizzazione del Piano di Assetto del Territorio (P.A.T.) del comune di Lazise (VR); 2. Antonelli Mauro, nato il 1° luglio 1961 a Verona (VR), residente a Lazise (VR), in Vicolo Croce Papale n. 7, int. 6, C.F. NTN MRA 61L01 L781F, rappresentato e difeso, nel presente giudizio e in ogni sua fase e grado, anche disgiuntamente, dagli Avv.ti Poggi Laura, Misino Michele, del Foro di Verona, e Bianchini Aurelio d’Alberigo, del Foro di Venezia, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, a Venezia (VE), Ponte dei Squartai, Santa Croce n. 269: all’epoca dei fatti contestati componente la Commissione di gara; 3. Lovato Luigi Paolo, nato l’11 marzo 1953 a Bovolone (VR), ivi residente, in via G. Garibaldi n. 93, C.F. LVT LPL 53C11 B107A, rappresentato e difeso, in questo procedimento, anche disgiuntamente, dagli Avv.ti Gortenuti Giuseppe, del Foro di Verona, e Sartori Antonio, del Foro di Venezia, elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo, a Venezia

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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE

VENETO SENTENZA 133 2015 RESPONSABILITA' 22/09/2015

Repubblica Italiana

In Nome del Popolo Italiano

La Corte dei Conti

Sezione Giurisdizionale Regionale per il Veneto

Composta dai Sigg.ri Magistrati

Guido Carlino Presidente

Giovanni Comite Giudice relatore

Giuseppina Mignemi Giudice

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Nel giudizio di responsabilità, iscritto al n. 29898 del registro di segreteria, promosso dalla Procura

regionale della Corte dei conti per il Veneto nei confronti dei sigg.ri:

1. Zanini Giuseppe, nato il 20 dicembre 1966 a San Bonifacio (VR), residente a Lazise (VR), in

via Gardesana n. 56, int. 2, C.F. ZNN GPP 66T20 H783B, rappresentato e difeso, nel

presente giudizio e in ogni sua fase e grado, anche disgiuntamente, dagli Avv.ti Poggi

Laura, Misino Michele, del Foro di Verona, e Bianchini d’Alberigo Aurelio, del Foro di

Venezia, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, a Venezia (VE), Ponte dei

Squartai, Santa Croce n. 269: al tempo dei fatti componente la Commissione di gara per

l’affidamento di incarico professionale per la realizzazione del Piano di Assetto del

Territorio (P.A.T.) del comune di Lazise (VR);

2. Antonelli Mauro, nato il 1° luglio 1961 a Verona (VR), residente a Lazise (VR), in Vicolo

Croce Papale n. 7, int. 6, C.F. NTN MRA 61L01 L781F, rappresentato e difeso, nel presente

giudizio e in ogni sua fase e grado, anche disgiuntamente, dagli Avv.ti Poggi Laura, Misino

Michele, del Foro di Verona, e Bianchini Aurelio d’Alberigo, del Foro di Venezia, con

domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, a Venezia (VE), Ponte dei Squartai, Santa

Croce n. 269: all’epoca dei fatti contestati componente la Commissione di gara;

3. Lovato Luigi Paolo, nato l’11 marzo 1953 a Bovolone (VR), ivi residente, in via G. Garibaldi

n. 93, C.F. LVT LPL 53C11 B107A, rappresentato e difeso, in questo procedimento, anche

disgiuntamente, dagli Avv.ti Gortenuti Giuseppe, del Foro di Verona, e Sartori Antonio,

del Foro di Venezia, elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo, a Venezia

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(VE), San Polo n. 2988: al tempo Responsabile del Servizio Edilizia Privata – Urbanistica del

comune di Lazise (VR);

4. Franceschini Renzo, nato il 14 aprile 1965 a Bussolengo (VR), residente a Castelnuovo del

Garda (VR), in via S. Antonio n. 38, C.F. FRN RNZ 65D14 B296X, rappresentato e difeso, in

ogni fase e grado del presente procedimento, anche disgiuntamente, dagli Avv.ti Biondaro

Luigi, del Foro di Verona, e Sartori Antonio, del Foro di Venezia, con domicilio eletto

presso lo studio di quest’ultimo, a Venezia (VE), San Polo n.2988: all’epoca dei fatti

Sindaco, con delega all’Urbanistica e all’Edilizia, del comune di Lazise (VR);

5. Tommasini Flavio, nato il 27 giugno 1966 a Verona (VR), residente a Lazise (VR), in via

Tende n. 25, C.F. TMM FLV 66H27 L781L, rappresentato e difeso, a mente dell’art. 86 c.p.c.,

da se stesso, elettivamente domiciliato presso il proprio studio, a Verona, Lungadige

Cangrande n. 6: al tempo Assessore alla Sicurezza ed alle Infrastrutture Turistiche del

municipio di Lazise (VR).

Visto l’atto introduttivo del giudizio, le memorie di costituzione prodotte, gli atti e documenti tutti

di causa;

uditi nella pubblica udienza dell’8 luglio 2015, con l’assistenza del segretario dott. Mizgur Stefano,

il Giudice relatore dott. Comite Giovanni, il Pubblico Ministero, nella persona del Vice Procuratore

Generale dott. Di Maio Giancarlo, l’Avv. Poggi Laura, in rappresentanza e difesa di Zanini

Giuseppe e Antonelli Mauro, l’Avv. Gortenuti Giuseppe, in difesa di Lovato Luigi Paolo, l’Avv.

Biondaro Luigi, in rappresentanza di Franceschini Renzo, e l’Avv. Tommasini Flavio, in

rappresentanza e difesa di se medesimo.

Svolgimento del processo

Con atto di citazione del 06 novembre 2014 la Procura regionale della Corte dei conti per il Veneto

evocava, dinanzi questa Sezione giurisdizionale, i Signori in epigrafe generalizzati per sentirli

condannare al pagamento, in favore del comune di Lazise, delle seguenti somme: dell’importo di €

18.508,52, di cui € 09.254,26, da porre a carico del Geom. Zanini Giuseppe, ed € 09.254,26, da

addebitare al Rag. Antonelli Mauro, e della somma di € 10.737,00, da imputare, nella misura di €

03.579,00 cadauno, all’Ing. Lovato Luigi Paolo, al Sindaco Franceschini Renzo e all’Assessore

Tommasini Flavio, ovvero al pagamento di quella somma, maggiore o minore, che risulterà

dovuta, oltre rivalutazione monetaria, secondo gli indici ISTAT, interessi di legge e spese di

giudizio.

A – La segnalazione.

All’origine della vertenza è la segnalazione/esposto, prodotta in data 08 aprile 2011, con la

quale l’Arch. Virgilio Munari, dello “Studio di Ingegneria e di Architettura”, componente del

raggruppamento temporaneo di imprese partecipante alla gara di appalto per l’affidamento

dell’incarico di redazione del Piano di Assetto del Territorio (P.A.T.) del comune di Lazise (VR),

era a segnalare, tra l’altro, un presunto danno erariale correlato alla condanna del predetto Ente

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committente, ad opera del T.A.R. Veneto, al risarcimento di danni in proprio favore. Dalla

documentazione dimessa in allegato emergeva che con determina n. 28, in data 12 luglio 2007,

adottata dal Responsabile del Servizio Edilizia Privata – Urbanistica, Arch. Parolini Arturo, veniva

approvato l’avviso pubblico, dal medesimo approntato, per l’affidamento dell’incarico

professionale per la “Redazione del Piano di Assetto Territoriale” (P.A.T.) del comune di Lazise

(VR). A seguito della scadenza dei termini (13 agosto 2007) per l’inoltro delle domande di

partecipazione, la Giunta comunale con deliberazione n. 117, del 24 agosto 2007, incaricava

l’Ufficio tecnico di tutti i provvedimenti inerenti la nomina della Commissione giudicatrice per

l’affidamento dell’incarico professionale, dando atto che la stessa doveva essere composta da

numero tre esperti. Di tal ché, con determinazione n. 36, del 04 settembre 2007, l’addetto all’Area

Tecnica – Settore Edilizia Privata, Geom. Bizzocoli Alberto, con funzioni “Vicarie” del

Responsabile del Servizio, Arch. Parolini Arturo (assente per ferie), dopo aver ritenuto di doversi

avvalere, “...nella scelta dei componenti, ...di funzionari interni, data la loro esperienza quali componenti di

commissioni concorsuali”, determinava di costituire la Commissione giudicatrice, composta e

presieduta dal Responsabile del Servizio di Edilizia Privata (in carica), dal Geom. Zanini Giuseppe,

“Responsabile del Servizio Lavori Pubblici – Esperto in gare di appalto”, e dal Rag. Antonelli Mauro,

“Responsabile del Servizio Ragioneria – Esperto in contratti”. Alle formalità e all’esame delle offerte

pervenute, la Commissione giudicatrice procedeva in tre sedute: nel corso della prima, del 05

settembre 2007, presieduta dal Geom. Bizzocoli Alberto, la Commissione, oltre a stabilire i criteri e

i parametri di valutazione, procedeva “...all’apertura dei nove plichi pervenuti entro il termine previsto”.

Nelle successive adunanze procedeva alla verifica e alla valutazione dei “Curricula” professionali

dei partecipanti, del c.d. documento preliminare, ossia dell’elaborato, con valore di indirizzo

progettuale, di competenza della G.M. e che una volta approvato doveva trasferirsi al

professionista estensore del Piano: in breve il P.A.T. doveva risultare coerente con il c.d.

documento preliminare. Di fatti, le riunioni dell’Organo valutativo proseguivano, con la presenza

del Presidente Arch. Parolini Arturo (nella qualità di Responsabile del Servizio Edilizia Privata del

comune di Lazise), nelle giornate del 12 e del 19 settembre 2007, data in cui, all’esito del riepilogo

dei punteggi assegnati, si valutava come più aderente alle necessità dell’Amministrazione

comunale la proposta avanzata dal n. 3 “Studio Arch. Tombolan Piergiorgio”. Cosicché, con

determinazione n. 37, del 24 settembre 2007, il responsabile del Servizio “Area Tecnica – Settore

Edilizia privata”, Arch. Parolini Arturo, conferiva al predetto “Studio” l’incarico professionale per

la redazione del P.A.T. del municipio di Lazise. Avverso gli atti di gara veniva promosso, in data

03 dicembre 2007, ricorso al Tar del Veneto da parte dell’Arch. Sbrogiò Roberto, capogruppo

dell’Associazione Temporanea di Imprese (A.T.I.), di cui faceva parte l’esponente Arch. Munari

Virgilio, che aveva partecipato alla selezione. Tra i motivi, a base della domanda giudiziale, vi era

la violazione degli artt. 2, della Direttiva 2004/18/CE sugli appalti, e 2, del d.lgs. n. 163/2006, vale

a dire la vulnerazione del principio di trasparenza ed imparzialità dell’azione amministrativa,

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atteso che la Commissione giudicatrice nella seduta del 05 settembre 2007, senza darne preventiva

comunicazione ai partecipanti, aveva proceduto alla verifica dell’integrità dei plichi pervenuti, alla

loro apertura, con dichiarazione di conformità alla lex di gara della documentazione ivi racchiusa,

quindi in seduta segreta, mentre i suddetti principi avrebbero imposto la pubblicità, a tutela

della par condicio, delle sedute iniziali delle commissioni siccome dedicate all’apertura dei plichi

contenenti le offerte. A seguito della costituzione in giudizio del comune di Lazise, rappresentato

dagli Avv.ti Domenichelli Vittorio e Zambelli Franco, e del controinteressato vincitore della gara,

Arch. Tombolan Piergiorgio, capogruppo di altra A.T.I., il Tar Veneto con sent. n. 402, dell’11

marzo 2011, dopo aver respinto il ricorso incidentale del controinteressato, tendente a far

dichiarare che il ricorrente principale non avrebbe neppure dovuto essere ammesso alla gara, in

accoglimento della domanda annullava l’intera procedura senza, tuttavia, disporne la ripetizione,

atteso che l’incarico oggetto di gara risultava, all’atto della proposizione del ricorso, in dicembre

2007, e di rigetto dell’istanza cautelare (di cui all’ordinanza n. 20/2008), già ampiamente espletato,

mentre alla data della sentenza il P.A.T. era stato completamente elaborato dall’aggiudicatario

studio Tombolan e definitivamente approvato dalla Regione con D.G.R. del 23 marzo 2010, e

condannava il predetto comune a corrispondere all’ATI, rappresentata dall’Arch. Sbrogiò, un

risarcimento danni per equivalente nella misura di € 08.000,00 (a fronte di una richiesta di €

34.920,00), da maggiorare degli interessi di legge, oltre alle spese di giudizio pari ad € 03.000,00,

I.V.A. e C.P.A. da aggiungere. Nel considerato in diritto la sentenza poneva in risalto che

l’apertura delle buste senza la partecipazione dei concorrenti costituiva una palese violazione dei

principi di trasparenza ed imparzialità, che imponevano, invece, la pubblicità delle sedute nella

fase iniziale. E ciò, indipendentemente dal tipo di procedura prescelta, come affermato dalla

consolidata giurisprudenza.

B – L’apertura della vertenza e l’attività istruttoria disposta dal Requirente.

A seguito del succitato esposto la Procura regionale apriva la vertenza n. V2011/01126/DIM e

spiegava attività istruttoria. In specie, dal seguito dell’attività di accertamento predisposta dal

Requirente, avente epilogo nella produzione documentale avvenuta in esecuzione della nota

istruttoria n. 3239, del 09 maggio 2013, emergeva altresì che il municipio di Lazise, su proposta del

Responsabile del Servizio Edilizia Privata e Urbanistica, Ing. Lovato Luigi Paolo, con deliberazione

n. 65, del 26 aprile 2011, disponeva di gravarsi della decisione di prime cure, sulla quale si

pronunciava il Consiglio di Stato con sent. n. 8, del 07 gennaio 2013, che, nel validare le ragioni

giuridiche esposte dal TAR Veneto, respingeva sia l’atto principale di appello, spiegato dall’Ente

committente, sia l’impugnativa incidentale, tesa ad ottenere un maggior risarcimento per

equivalente, formulata dall’A.T.I. costituenda tra l’Arch. Sbrogiò Roberto e l’Arch. Munari Virgilio,

e condannava il comune di Lazise al pagamento delle spese processuali del 2° grado determinate

in € 03.000,00, oltre accessori.

C - Invito a dedurre.

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I fatti siccome descritti, poiché ritenuti causa del danno erariale di € 18.508,52, di cui €

08.374,26, per esborsi risarcitori ed interessi di legge, ed € 10.134,26, per spese legali, con riguardo

al giudizio di primo grado dinanzi al TAR Veneto, e di € 10.737,00, per le spese legali del giudizio

innanzi al Consiglio di Stato, inducevano il P.M. a notificare invito (congiunto), recante la data del

19 maggio 2014, a produrre deduzioni ed eventuali documenti (entro trenta giorni), con facoltà di

essere auditi nello stesso termine, a soggetti in rapporto di servizio (lato sensuinteso) con il comune

di Lazise, ritenuti, a vario titolo, responsabili del pregiudizio in essere. Il suddetto atto preliminare

ravvisava che degli esborsi derivanti dal giudizio davanti al T.A.R., pari ad € 18.508,52, dovessero

rispondere, in parti uguali, i componenti la Commissione di gara che il 05 settembre 2007 avevano

proceduto all’apertura dei plichi senza la presenza dei concorrenti, in violazione delle disposizioni

disciplinanti la materia e di un consolidato indirizzo giurisprudenziale. In specie venivano

invitati: 1) Bizzocoli Alberto, che riceveva l’atto in data 25 giugno 2014, 2) Zanini Giuseppe e 3)

Antonelli Mauro, che ne accusavano ricevuta il 24 giugno 2014. Riguardo, invece, alle spese legali

di € 10.737,00, da collegarsi al giudizio dinanzi al Consiglio di Stato, l’invito era notificato ai

componenti la Giunta municipale votanti la delibera n. 65, del 26 aprile 2011, siccome proposta dal

Responsabile del Servizio Edilizia privata – Urbanistica. Pertanto, l’atto pre processuale

attingeva: 4) Franceschini Renzo (Sindaco), in data 29 luglio 2014, 5) Tommasini Flavio, per

compiuta giacenza a far tempo dal 25 luglio 2014 di compimento delle formalità prescritte dall’art.

143 c.p.c., 6) Carattoni Agostino, 7) Zanetti Diego, 8) Marinoni Fabio, 9) Bertoldi Claudio e 10)

Adami Diego, in data 24 giugno 2014. Il proponente la deliberazione, Ing. Lovato Luigi Paolo, era

attinto dall’atto pre processuale in pari data, ossia il 24 giugno 2014.

Tutti i convenibili, tranne Antonelli e Zanini, producevano difese preliminari, integrate per

taluni da audizione, che con diverse motivazioni, rimarcanti, tra l’altro, l’acquisizione del parere

del Prof. Domenichelli Vittorio preliminarmente all’assunzione della delibera n. 65, del 26 aprile

2011, instavano per l’archiviazione della vertenza nei loro confronti.

D - Evocazione in giudizio.

Le argomentazioni riportate nelle controdeduzioni dei componenti la giunta e dei dipendenti del

comune di Lazise erano ritenute dalla Procura regionale dirimenti al fine di archiviare le posizioni

del 1) Geom. Bizzocoli Alberto e degli Assessori 2) Carattoni Agostino, 3) Zanetti Diego, 4)

Marinoni Fabio, 5) Bertoldi Claudio e 6) Adami Diego, non persuasive, invece, per disporre

l’archiviazione della vertenza nei confronti del 7) Geom. Zanini Giuseppe, del 8) Rag. Antonelli

Mauro, 9) dell’Ing. Lovato Luigi Paolo, del 10) Sindaco Franceschini Renzo e 11) dell’Assessore

Tommasini Flavio: onde l’evocazione dei predetti ultimi cinque deducenti, che ha incardinato il

presente processo. In specie, l’atto introduttivo attingeva il Sindaco Franceschini Renzo, in data 19

dicembre 2014, l’Ing. Lovato Luigi Paolo, il 13 gennaio 2015, il Geom. Zanini Giuseppe e il Rag.

Antonelli Mauro, il 10 dicembre 2014, l’Assessore Tommasini Flavio, il 12 marzo 2015. Nel libello il

Requirente era, quindi, a confermare la ricorrenza di condotte violative di precisi obblighi di

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servizio, causa di un asserito ingiusto danno per le casse del municipio di Lazise. Infatti, riguardo

alla prima fattispecie di pregiudizio, riteneva che la Commissione di gara, composta oltre che dal

Geom. Bizzocoli, non evocato, dal Geom. Zanini, esperto in gare di appalto, e dal Rag. Antonelli,

esperto in contratti, aveva dato corso, nella seduta del 05 settembre 2007, all’apertura delle buste

con le offerte in seduta non pubblica, in palese violazione dell’art.2, della Direttiva 2004/18/CE

sugli appalti, e dell’art.2, del d.lgs. 163/2006 (c.d. Codice degli appalti pubblici), che imponevano

che gli affidamenti di opere, servizi e forniture dovevano avvenire nel rispetto, tra l’altro, dei

principi di “parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza”, principi, chiari, ovvi, sui quali si è

ripetutamente espresso, in termini di formare un consolidato orientamento, il Giudice

amministrativo. Di tal ché, dell’esborso di € 18.508,52, conseguente al giudizio innanzi al T.A.R.

Veneto, dovevano rispondere in egual misura, ossia nell’importo di € 09.254,26 cadauno, il Geom.

Zanini, Responsabile del Servizio Lavori Pubblici, e il Rag. Antonelli, Responsabile del Servizio di

Ragioneria.

Anche con riguardo alla seconda ipotesi di ingiusto danno il P.M. era a confermare

l’impianto accusatorio, giacché dalla sentenza del TAR Veneto emergeva senza alcuna riserva,

attesa la consolidata giurisprudenza ivi richiamata, la perpetrata violazione dei principi di

trasparenza ed imparzialità, in quanto l’apertura dei plichi non era avvenuta alla presenza dei

concorrenti.

In breve, il Tar sottolineava il mancato rispetto di “norme cogenti e non derogabili”, come reso

evidente anche dalla “granitica giurisprudenza” formatasi a tal riguardo. E al cospetto di una

decisione di prime cure del tutto consequenziale a tale macroscopica devianza, il gravame in

appello appariva privo di ogni ragionevolezza, mentre gli atti, attraverso i quali si è pervenuti a

tale determinazione, si presentavano con motivazioni incoerenti e del tutto inadeguate. In primo

luogo, era da ritenersi del tutto irragionevole la proposta di delibera e l’annesso parere favorevole

di regolarità tecnica, in data 20 aprile 2011, in ordine alla proposta di autorizzare il Sindaco a

ricorrere in appello, ambedue rilasciati dal Responsabile del Servizio Urbanistica, Ing. Lovato

Luigi Paolo, attesa la chiarezza delle norme prevedente i principi di trasparenza e imparzialità e la

univocità della giurisprudenza che ne faceva applicazione. Ma la illogicità e incoerenza emergeva

dalle stesse giustificazioni recate dalla proposta, ove l’Ing. Lovato precisava di avanzarne

l’approvazione “...su disposizioni impartitemi direttamente dal sig. Sindaco”, salvo poi motivarla

con “...l’evolversi della normativa riguardante le procedure oggetto di ricorso che risultano spesso di difficile

e complicata interpretazione e applicazione” e al “...fine di tutelare il proprio operato”. Di tal che, da una

parte si lasciava intendere che si trattava di un atto necessitato in esecuzione di un ordine,

dall’altra, invece, non si forniva alcuna concreta motivazione per giustificare l’atto di appello,

tranne difficoltà interpretative in materia di procedure, insussistenti nel caso specifico, ovvero il

fine di tutelare il proprio operato, che non era certamente una ragione di fatto o di diritto che

poteva fondare il ricorso e sovvertire la sentenza che si intendeva gravare. Per ciò, alla condotta

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dell’Ing. Lovato va attribuito un contributo causale nella determinazione del danno e va ascritta

una parte di responsabilità, per avere formulato la proposta con l’aggiunto parere favorevole.

Quanto all’aspetto della colpa grave, l’evidente vizio connesso all’apertura dei plichi in seduta non

pubblica e le ripetute e univoche sentenze sul punto, tra l’altro richiamate nella sentenza del TAR

Veneto, non potevano non essere noti, poiché deducibili dalla stessa sentenza di primo grado, al

predetto funzionario, che tra l’altro, come dichiarato in sede di controdeduzioni, aveva avuto

esperienza di sindaco per otto anni. In ogni caso, anche ove non risultassero conosciuti principi e

giurisprudenza, dovere minimo di chi avanza una proposta era quello di informarsi

adeguatamente. Ma illogica era anche la delibera n. 65, del 26 aprile 2011, giacché la manifesta

evidenza della violazione posta in essere dalla Commissione di gara e la costante e puntuale

giurisprudenza sul punto, erano fattori che rendevano facilmente prevedibile la conferma in

appello della decisione di prime cure. In essa poi non era dato rinvenire alcuna motivazione se non

per rinvio alla motivazione recata dalla proposta formulata dall’Ing. Lovato che, tuttavia, tali

ragioni giuridiche non riportava. Di tal ché, la delibera in questione è l’altro fattore causale

determinativo delle spese del secondo grado del giudizio, di cui veniva chiamato a rispondere il

Sindaco Franceschini Renzo, per averla trattata direttamente con il legale che doveva tutelare gli

interessi del Comune, e l’Assessore Tommasini Flavio, “...in grado...di adeguatamente valutare la

controversia e la ragionevolezza di un appello, indipendentemente da eventuali fattori suscettibili, in astratta

ipotesi, di condizionamento” (pag. 24 – 25 della citazione). In breve, la vicenda dell’impugnazione,

secondo la ricostruzione del P.M. condizionata dagli atti, venne gestita in prima persona dal

Sindaco in contatto con il legale, mentre la lettera di quest’ultimo, che asseritamente consigliava di

proporre appello, veniva solo menzionata nella seduta della Giunta tesa all’approvazione della

delibera n. 65/2011. Per ciò, il Sindaco si era attribuito il compito di valutare e gestire la vicenda. E

in tale evenienza aveva il dovere di effettuare un’attenta valutazione prima di adottare la propria

determinazione. Ora, il primo cittadino di Lazise, nelle difese preliminari, sosteneva di aver agito

dopo aver sentito il Prof. Vittorio Domenichelli e il Segretario comunale dell’Ente. Il Requirente,

quanto a quest’ultimo, chiariva che dagli atti non risultava alcunché di scritto, mentre con riguardo

ai rapporti con il predetto legale, risultava la corrispondenza del 7 aprile 2011, prodotta dal

Sindaco in sede di audizione. Orbene, in tale scritto, sosteneva la Procura regionale, lungi dal

consigliare di proporre appello, trasparivano richiami alla sentenza e considerazioni che andavano

nella direzione opposta al gravame. In esso, infatti, si richiamavano ampi stralci della decisione del

TAR Veneto, che evidenziavano l’esistenza di una giurisprudenza prevalente, anche in appello, in

ordine alla pubblicità delle sedute della Commissione di gara senza alcuna distinzione in base al

tipo di procedura posta in essere. Quanto poi alla valutazione dell’opportunità di spiegare il

suddetto appello, erano da tenersi in conto le concrete possibilità di vittoria, escluse da due aspetti.

Il primo, è costituito dalla “...giurisprudenza - prevalente anche del Consiglio di Stato – richiamata dal

TAR a sostegno della propria decisione, che afferma la generale necessità della pubblicità delle sedute di gara

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che potrebbe rendere difficile l’accoglimento dell’appello”; il secondo, è rappresentato dalla

quantificazione del danno operata dal TAR (8.000,00 € oltre alle spese di lite quantificate

in 3.000,00 €), “...di gran lunga inferiore rispetto alla cifra richiesta dal ricorrente (€ 34.000), da comparare

con i costi di un eventuale giudizio in Consiglio di Stato”. Appariva, per ciò, evidente che il legale non

consigliava l’atto di appello, rendendo ciò ancora più riprovevole la condotta tenuta dal Capo

dell’amministrazione municipale. Quanto, infine, al ruolo dell’Assessore Tommasini, era da

considerare che, pur potendo valere, per detto amministratore, la circostanza di una gestione in

prima persona da parte del Sindaco, tuttavia nel caso rileva il fatto che trattasi di un legale,

professionista, in grado, quindi, di adeguatamente valutare la controversia e la ragionevolezza di

un appello, indipendentemente da eventuali fattori suscettibili, in astratta ipotesi, di

condizionamento. A ciò, poi, era da aggiungere che l’Avv. Tommasini aveva avuto conoscenza del

parere dell’Avv. Domenichelli, considerato “...che egli stesso dichiara, in sede di audizione, che la

decisione di impugnare è stata peraltro operata facendo anche riferimento ad un parere legale

preventivamente richiesto allo studio specialistico dell’Avv. Prof. Domenichelli di Padova, parere ottenuto il

7 aprile 2011, il quale non escludeva a priori la possibilità di un esito favorevole del giudizio di appello”.

Di tal ché, sulla base di quanto esposto, il P.M. era dell’avviso che le spese del giudizio dinanzi al

Consiglio di Stato, pari ad € 10.737,00 complessivi, fossero da ascrivere, nella misura di €

03.579,00 cadauno, alla responsabilità dell’Ing. Lovato, del Sindaco Franceschini e dell’Assessore

Tommasini.

E - Scritti a difesa.

Con memoria congiunta a documenti, in atti al 18 giugno 2015, si costituivano in

giudizio Zanini Giuseppe e Antonelli Mauro (generalizzati in epigrafe), rappresentati e difesi,

anche disgiuntamente, in virtù di mandato a margine della stessa, dagli Avv.ti Poggi Laura, C.F.

PGG LRA 64C57 L781V, p.e.c. [email protected], fax n. 045/590055, Misino Michele, C.F.

MSN MHL 65H21 L781P, p.e.c. [email protected], fax 045/590055, del Foro di Verona, e

Bianchini Aurelio d’Alberigo, C.F. BNC RLA 58E19 L424S, p.e.c. [email protected], elettivamente

domiciliati presso lo studio di quest’ultimo, a Venezia (VE), Ponte dei Squartai, Santa Croce n. 269,

che concludevano, in via principale, per il rigetto della domanda attorea, siccome infondata per le

ragioni tutte di cui al considerato in diritto, con conseguente proscioglimento dei loro assistiti da

ogni addebito per difetto dell’elemento soggettivo; in via subordinata, ove dovesse essere accertato

un danno imputabile a ciascuno dei due convenuti, per la riduzione del quantum nella misura che

verrà riconosciuta dal Giudice, il tutto con competenze di causa rifuse oltre al rimborso forfetario

del 15%, I.V.A. e C.P.A. come per legge.

I patroni, in primo luogo, erano a porre in risalto il ruolo tenuto nella vicenda di causa

dall’Arch. Parolini Arturo, Responsabile del Servizio Edilizia Privata – Urbanistica, e dal Geom.

Bizzocoli Alberto, addetto al Servizio medesimo con funzioni vicarie. A tal riguardo, osservavano

che nella determinazione n. 36, del 04 settembre 2007, a firma di quest’ultimo, mentre erano

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indicate le generalità dei componenti la Commissione di gara, relativamente al Presidente era

indicato solo per il ruolo, ossia di Responsabile del predetto servizio di edilizia privata, con ciò

volendo segnalare la perfetta intercambiabilità dei ruoli tra il Geom. Bizzocoli e l’Arch. Parolini.

Tale ultimo, in specie l’Ufficio dal medesimo diretto, veniva incaricato dalla Giunta municipale,

con delibera n. 78, del 24 maggio 2007, di “...dare avvio a tutte le procedure necessarie per addivenire ad

un programma organizzativo...” finalizzato alla costituzione di un gruppo di lavoro per redigere il

nuovo strumento urbanistico, da individuare attraverso le procedure di cui alla normativa

specifica in materia. Di tal ché, l’Arch. Parolini approvava l’Avviso pubblico per l’affidamento

dell’incarico professionale, “...che nulla diceva sulla presenza delle ditte all’apertura delle buste” (pag. 9

della memoria); lo stesso, presiedeva due dei tre incontri, al termine dei quali ha aggiudicato la

gara. Ora, rilevavano i difensori, se è pur vero che l’apertura dei plichi è avvenuta nel corso della

prima riunione, in data 05 settembre 2007, in cui l’Arch. Parolini era assente, cionondimeno lo

stesso era comunque responsabile del corretto espletamento della procedura e una tale

responsabilità non poteva dirsi venuta meno per il semplice fatto di non aver partecipato alla

prima riunione della Commissione, posto che egli ha partecipato alle sedute in cui è stata

approvata la graduatoria finale e, quindi, prima di procedere all’aggiudicazione ben avrebbe

potuto verificare la correttezza del procedimento, nel senso che riscontrando il vizio procedurale,

poi censurato dal TAR, avrebbe potuto non provvedere all’aggiudicazione ma ad una riedizione

della gara. Per ciò, la condotta dell’Arch. Parolini, ad avviso dei patroni, “...ha concorso insieme a

quella degli altri componenti della commissione nel causare il danno contestato” (pag. 9 della memoria),

atteso che “...il danno erariale non deriva...dall’illegittima apertura delle buste in seduta segreta, bensì dal

provvedimento di aggiudicazione, poi annullato dal TAR”. Non diversamente, proseguivano i patroni,

era da dirsi per il Geom. Bizzocoli, la cui posizione era stata archiviata dal Requirente per difetto

della colpa grave. Tuttavia, a loro dire, lo stralcio di tale posizione discendeva <<...dalla

rappresentazione dei fatti, non corrispondente alla realtà, che lo stesso ha fornito in sede di

controdeduzioni>> (pag. 10 della memoria). In breve, il Geom. Bizzocoli non risultava essere stato

chiamato all’ultimo momento, senza una investitura formale, a sostituire il Presidente, suo capo

ufficio, anche in ragione della circostanza che in data 04 settembre 2007, provvedeva con

determina n. 36 e nella qualità di “Responsabile del Servizio” a costituire la Commissione

giudicatrice, nominando il responsabile del servizio edilizia privata, in quel momento egli

medesimo, quale presidente della Commissione e il Geom. Zanini e il Rag. Antonelli, quali

componenti della stessa. Per ciò, utilizzando i poteri che aveva come vicario dell’Arch. Parolini ha

nominato la Commissione di gara, in data 04 settembre 2007, e ne ha fissato la prima riunione per

il giorno successivo, ben sapendo che sarebbe stato lui a presiederla perché il Responsabile del

Servizio era in ferie. Inoltre, non rispondeva al vero che il geom. Bizzocoli fosse un funzionario

privo di esperienza, per essere un semplice geometra con funzioni di istruttore tecnico, atteso che

egli “...ha partecipato costantemente all’individuazione degli obiettivi con attività istruttoria, di analisi e di

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proposta, e che inoltre ha tenuto la titolarità per molti periodi dell’attività di gestione dell’ente e di direzione

della struttura organizzativa, secondo il principio della distinzione tra compiti di indirizzo, controllo e

governo degli organi elettivi e compiti di gestione amministrativa dei dirigenti”. Di conseguenza, i

difensori rinvenivano un contributo, nella causazione del danno, anche nella condotta del Geom.

Bizzocoli, atteso che i convenuti Zanini e Antonelli “...hanno confidato in piena buona fede sulle

affermazioni del medesimo, che i partecipanti alla gara erano stati informati della seduta...”. In conclusione,

“...avendo la Commissione con composizione Bizzocoli, Zanini e Antonelli deciso all’unanimità l’apertura

delle buste alla prima riunione...”, e la Commissione con composizione Parolini, Zanini e Antonelli,

effettuato i lavori di valutazione della documentazione ed elaborazione della graduatoria, mentre

l’Arch. Parolini, responsabile dell’Ufficio tecnico, della procedura di appalto e presidente della

Commissione, aveva emesso il provvedimento di aggiudicazione (determina n. 37, del 24

settembre 2007) impugnato dinanzi al TAR, la responsabilità nella causazione del danno, ad avviso

dei predetti difensori, andava imputata “...non solo agli attuali convenuti Zanini e Antonelli, ma anche

al Geom. Alberto Bizzocoli e all’Arch. Arturo Parolini, nei confronti dei quali si chiede che venga disposta

iussu iudicis l’integrazione del contraddittorio” (pag. 15 della memoria). Ciò premesso, i legali, quanto

alle condotte tenute dai loro assistiti, escludevano in specie la ricorrenza della colpa grave, poiché

informati di essere stati nominati componenti della commissione dal medesimo Geom. Bizzocoli,

che li aveva designati il giorno antecedente alla prima riunione, presieduta dallo stesso Bizzocoli e

convocata per la fissazione dei criteri di valutazione e l’apertura delle buste. Ora, posto che erano

stati nominati e convocati il giorno prima per il giorno dopo, essi “...non potevano che ritenere che

l’attività informativa della seduta nei confronti dei partecipanti alla gara, fosse stata già espletata dal

responsabile del procedimento di appalto, presidente della commissione che aveva convocato la riunione,

geom. Bizzocoli”. A volere abbondare, erano a sottolineare che l’invocata colpa grave doveva

escludersi anche in considerazione del fatto che l’avviso pubblico, lex specialis di gara redatto dal

responsabile dell’Ufficio edilizia privata, “...non conteneva alcuna indicazione in ordine a specifiche

regole da rispettare in sede di apertura delle buste”. Riguardo, infine, al quantum,, i predetti difensori,

primariamente e in ragione dell’apporto causale del Geom. Bizzocoli e dell’Arch. Parolini dianzi

descritto, ritenevano che esso andava rideterminato nella misura di un quarto, cadauno, dell’intera

posta di € 18.508,52 oggi contestata. In secondo luogo il danno, in tali limiti determinato, era da

ulteriormente ridurre in applicazione del potere riduttivo, attese le condizioni di luogo e di tempo

in cui i loro assistiti si sono trovati ad operare.

Con memoria congiunta a documenti, in atti al 18 giugno 2015, si costituiva in

giudizio Lovato Luigi Paolo (generalizzato in epigrafe), rappresentato e difeso, anche

disgiuntamente, giusta procura a margine della stessa, dagli Avv.ti Gortenuti Giuseppe, C.F. GRT

GPP 77L11 L781F, p.e.c. [email protected], fax n. 045/8008802, del Foro di Verona, e

Sartori Antonio, C.F. SRT NTN 61M01 L736H, p.e.c. [email protected], fax

041/5241633, del Foro di Venezia, elettivamente domiciliato nello studio di quest’ultimo, a

11

Venezia (VE), S. Polo 2988, che concludevano, in via principale, per il rigetto della domanda

attorea, siccome infondata, con diritto alla rifusione delle spese di difesa; in via subordinata, in

ipotesi di ritenuta responsabilità, per il più ampio uso del potere di riduzione. Nel considerato in

diritto le difese erano primariamente ad eccepire la nullità degli atti istruttori, a mente dell’art. 17,

comma 30 ter, del d.l. n. 78 del 2009, convertito dalla legge n. 102 del 2009, nel testo modificato dal

d.l. n. 103/2009, atteso che in specie “...manca(va) del tutto una notitia damni relativa al comportamento

contestato all’Ing. Lovato”. In breve, atteso che l’esposto era del 05 aprile 2011, mentre il

comportamento del loro difeso, che avrebbe causato il pregiudizio, risaliva al 26 aprile 2011, la

relativa notitia damni, come statuito dalle Sezioni Riunite nella sentenza n. 12//2011/QM, del 03

agosto 2011, “...non poteva dunque riguardare gli atti e i comportamenti che al momento dell’esposto non si

erano ancora verificati” (pag. 8 della memoria). Per ciò, poiché l’esposto segnalava “...la vicenda

relativa all’affidamento di un incarico professionale conferito dal comune di Lazise, oggetto di ricorso al TAR

Veneto con conseguente condanna dell’Amministrazione al risarcimento dei danni al ricorrente” l’indagine

erariale “...doveva aver ad oggetto i fatti ivi descritti non quelli successivi accaduti...”, pena la

legittimazione di “...un improprio potere di controllo generalizzato e permanente sull’attività

amministrativa (Corte Cost. sent. n. 209/1994)”.

In secondo luogo, i patroni opponevano l’insussistenza del danno erariale in contestazione,

poiché la decisione di proporre appello era tutt’altro che irragionevole per l’esistenza di un

indirizzo giurisprudenziale minoritario (Cons. di Stato, Sez. V, 17 dicembre 2001, n. 6250). In

breve, i difensori non disconoscevano <<...che la maggior parte della giurisprudenza ha ritenuto

doveroso che anche nelle procedure ristrette le sedute debbano essere pubbliche. Tuttavia (...) “Quanto al

rilievo secondo cui la verifica dei requisiti di ammissione avrebbe dovuto aver luogo in seduta pubblica e non

in forma riservata,..., nel caso in cui la lex specialis del concorso preveda espressamente, con formulazione

chiara e non equivoca, l’esclusione dalla procedura a sanzione della sua inosservanza anche solo formale,

l’amministrazione è obbligata al rispetto della normativa cui si è autovincolata e che essa stessa ha emanato,

evidentemente sulla base di un giudizio ex ante circa l’idoneità della prescrizione a conseguire le finalità

insite nella gara”>>. Inoltre, il Procuratore regionale aveva omesso nella propria ricostruzione di

considerare un aspetto fondamentale che ha spinto l’amministrazione, correttamente, ad appellare:

l’esistenza del ricorso incidentale proposto dal controinteressato. Di fatti, il controinteressato in

primo grado ha sostenuto che il ricorrente principale doveva essere escluso dalla gara, aspetto che

se in prime cure non poteva essere sostenuto dall’Ente committente, una tale argomentazione

poteva essere validamente fatta propria in secondo grado. Per ciò, rilevavano i patroni, poteva

discutersi se potesse giustificarsi l’appello in merito al rilievo che le buste erano state aperte in

seduta non pubblica, “...ma non poteva certo dirsi in ordine al ricorso incidentale che l’appello fosse sotto

questo profilo del tutto irragionevole” (pagg. 10 e 11 della memoria), atteso che il Consiglio di Stato ha

osservato, <<...in relazione al primo motivo di appello proposto dal Comune, che il curriculum dell’Arch.

Sbrogiò non fosse “completamente chiaro” e che “c’era stata da parte sua una dichiarazione un po’

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perplessa”>>. In terzo luogo, erano ad affermare ”...l’insindacabilità nel merito della scelta discrezionale

operata, con violazione dell’art.1 della legge n. 20 del 1994”, atteso che il giudice contabile,

nell’accertare e valutare gli atti e fatti posti in essere dagli amministratori e dai dipendenti delle

pubbliche amministrazioni, non poteva sostituirsi agli stessi e ripercorrere l’iter argomentativo

seguito nelle scelte discrezionali operate dai medesimi, dovendo in ogni caso rispettare la sfera di

autonomia decisionale riservata all’Amministrazione. Di tal ché, i suddetti legali, ritenevano

esistente un “...ormai consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui la scelta fatta da un Comune

– nell’intendimento, come nel caso, di curare i propri interessi – di intraprendere un’azione giudiziale ovvero

di resistere a quella intentata da altri, attiene alla sfera di discrezionalità, e quindi, di per sé, non conduce a

perseguire, indipendentemente dall’esito della lite, gli autori della scelta sotto il profilo della responsabilità

amministrativa, tenuto anche conto che una ragionevole soglia di rischio è comunque implicita in ogni difesa

legale (fra le tante Corte dei conti, Sez, 2^ centr. di app., n. 303, del 03 novembre 2003)”.

I difensori contestavano, altresì, la sussistenza del nesso causale, avendo l’Ing. Lovato espresso

solo il parere tecnico, obbligatorio ma non affatto vincolante, che riguardava peraltro solo la

verifica della positiva sussistenza dei presupposti legittimanti l’adozione della delibera, non

avendo curato la precedente istruttoria e i rapporti con il legale. Alla seduta della Giunta aveva, tra

l’altro, partecipato il Segretario comunale, al quale spetta la specifica funzione ausiliaria di

garantire la legalità e correttezza amministrativa dell’azione dell’ente locale, che non aveva

sollevato alcun dubbio in ordine alla legittimità della delibera. Da ultimo, contestavano la

ricorrenza della colpa grave in capo al loro rappresentato in quanto, appena nominato

responsabile dell’Ufficio Edilizia Privata, ha preso servizio part time solo poco prima dell’evento

che avrebbe in astratto cagionato il danno. In ogni caso, si era attenuto alle prescrizioni impartitegli

dal Sindaco e in particolare a quanto a questi riferito dal legale di fiducia. Da ultimo, in via del

tutto subordinata al pieno proscioglimento del loro assistito, instavano per l’applicazione “...del

potere riduttivo di cui sussisterebbero...tutti i presupposti”.

Con memoria congiunta a documenti, in atti al 18 giugno 2015, si costituiva in

giudizio Franceschini Renzo (generalizzato in epigrafe), rappresentato e difeso, anche

disgiuntamente, in virtù di mandato a margine della stessa, dagli Avv.ti Biondaro Luigi, C.F. BND

LGU 55T09 H540O, p.e.c. [email protected], fax n. 045/8026937, del Foro di Verona, e

Sartori Antonio, C.F. SRT NTN 61M01 L736H, p.e.c. [email protected], fax

041/5241633, del Foro di Venezia, elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo, a

Venezia (VE), S. Polo 2988, che concludevano per il rigetto della domanda attorea con ogni

ulteriore statuizione e con il favore delle spese.

I patroni erano ad opporre l’infondatezza della domanda della Procura regionale per

carenza dell’elemento soggettivo della colpa grave e per la divisione di ruoli e competenze tra

organi politici e organi tecnici. In breve, rilevavano che “...il modello organizzativo dell’ente locale non

è più basato su un rapporto di subordinazione gerarchica della dirigenza rispetto all’organo politico, bensì di

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autonomia e distinzione delle funzioni, in virtù del quale all’Organo politico competono le sole scelte di

indirizzo mentre le altre funzioni (ed in particolare quelle di controllo in ordine al legittimo funzionamento

dell’attività amministrativa) competono agli uffici e, in particolare, ai responsabili dei servizi ed al Segretario

comunale posto in posizione gerarchicamente sopra ordinata con funzioni di supervisione e controllo della

legittimità degli atti”. Orbene, come emergente dagli atti e dalle varie audizioni disposte, la delibera

n. 65/2007 è stata sottoposta all’attenzione della Giunta corredata di tutti gli elementi e i pareri,

nessuno escluso, che all’epoca inducevano a non metterne in discussione la sua approvazione.

Infatti, la proposta di deliberazione formulata dall’Ufficio si presumeva essere stata

preventivamente valutata ed adeguatamente ponderata dall’Ufficio medesimo deputato a fornire il

parere di regolarità che gli compete. E nello specifico la predetta proposta è stata formulata

dall’Ing. Luigi Lovato, dirigente dell’Ufficio Tecnico, munito di specifiche competenze e con

indubbia esperienza come responsabile tecnico presso altri comuni, che ha pure, come dovuto,

regolarmente sottoscritto il parere di regolarità tecnica. Ma vi era di più, atteso che i suddetti

difensori rilevavano che la medesima proposta risultava sottoscritta anche dal Segretario

comunale, dott. Abram Paolo, “...il quale, ciò facendo, ha avallato la legittimità del provvedimento e,

quindi, l’approvazione da parte della G.C. senza muovere alcuna obiezione” (pagg. 5 e 6 della memoria).

In sostanza, la presenza del Segretario comunale all’adunanza della Giunta assumeva per le difese,

in assenza di qualsivoglia obiezione, “...di fatto parere di legittimità dell’atto e, sopra tutto, induce(va) a

ritenere, da parte dei componenti dell’organo politico che la approva, che il provvedimento sia perfetto, valido

ed efficace e quindi in quanto tale esente da censure”. E a ciò non ostava “l’incipit” con il quale veniva

introdotta la “proposta di delibera” da parte del Responsabile dell’U.T.C. che specificava (di agire)

“...su disposizioni impartitemi dal Sindaco”, in quanto “...ciò altro non può significare che il Sindaco ha

richiesto che venga formulata la ‘proposta’ di delibera perché sul punto era necessario assumere la decisione;

necessità di assumere la decisione che ovviamente non postulava che si dovesse assumere quella decisione con

quel dato contenuto perché ciò avrebbe rappresentato una inammissibile, quanto indebita, interferenza nei

compiti e funzioni attribuite dalla legge che il dirigente legittimamente avrebbe non solo potuto, ma

dovuto, disattendere>>. Ma, proseguivano i difensori, la colpa grave era insussistente anche con

riferimento al “parere” del 07 aprile 2011 del Prof. Vittorio Domenichelli, che “...in realtà né

consigliava né sconsigliava alcunché”. Il contenuto della lettera, debitamente compulsato, non

sconsigliava affatto l’appello che quindi poi è stato interposto con argomentazioni nient’affatto di

scarso rilievo se si ha cura di considerarne il contenuto, che non si era certamente limitato a

censurare la “quaestio” della seduta “riservata” o “pubblica” della gara ufficiosa indetta dal

Comune di Lazise, ma mirava, più radicalmente, ad una pronuncia di “carenza di interesse

all’impugnativa” da parte del ricorrente di prime cure (Arch. Sbrogiò) <<...perché, a prescindere dalla

pubblicità o meno della seduta di apertura dei plichi contenenti le offerte, egli doveva essere escluso dalla gara

avendo dichiarato di possedere requisiti non corrispondenti a quanto dichiarato>> (pag. 9 della memoria).

Pertanto, non risultava vero che il Prof. Domenichelli abbia reso un parere che sconsigliava

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l’appello perché, oltre alla giurisprudenza prevalente non favorevole alla tesi del Comune sulla

pubblicità delle sedute anche nella gara ufficiosa, altri sono stati i profili valutati che hanno portato

l’Ing. Lovato a proporre la delibera, poi assunta non dal Sindaco e/o dall’assessore Tommasini ma

dalla Giunta municipale senza che nulla sia stato opposto dagli altri presenti, neppure dal

Segretario comunale. Da ultimo, il solo fatto che fosse astrattamente ottenibile, perché vi era un

indirizzo minoritario, un rovesciamento della pronuncia del TAR Veneto escludeva il configurarsi

di qualsiasi forma di colpa grave avuto riguardo alla decisione cui il Sindaco ha partecipato di

conferire incarico al legale per ricorrere avanti il Consiglio di Stato.

Con memoria congiunta a documenti, in atti al 18 giugno 2015, si costituiva in

giudizio Tommasini Flavio (generalizzato in epigrafe), iscritto all’Albo degli Avvocati presso il

Tribunale di Verona, che stava in giudizio senza il ministero di altro difensore, a mente dell’art. 86

c.p.c., e che dichiarava di volere ricevere eventuali comunicazioni al fax n. 045/8019021 o

all’indirizzo di p.e.c. [email protected], elettivamente domiciliato presso

il proprio studio, a Verona (VR), Lungadige Cangrande n. 6, che concludeva, in via principale, per

il rigetto della domanda della Procura attrice, siccome infondata in fatto e in diritto e, in ogni caso,

per carenza dell’elemento soggettivo della colpa grave; in via subordinata, in denegata ipotesi che

fossero ravvisati profili di colpa grave in capo al deducente, per la riduzione dell’addebito a

ragione del comportamento tenuto, della buona fede dimostrata e dell’importo delle spese legali

originariamente impegnato dall’Ente sulla base delle indicazioni e del preventivo fornito dal Prof.

Domenichelli. Il tutto con vittoria di spese, diritti ed onorari. In sede istruttoria, chiedeva

l’escussione testimoniale - su capitoli di prova che provvedeva a formulare e inerenti, in sintesi, la

circostanza che il parere del Prof. Domenichelli, recante la data del 07 aprile 2011, non era stato

materialmente portato e disaminato nella seduta della Giunta municipale del 26 aprile seguente,

mentre in tale sede erano semplicemente riportati, dal Sindaco e dall’Ing. Lovato Luigi Paolo, i

contenuti dello stesso con riguardo all’opportunità di proporre appello al Consiglio di Stato - degli

Assessori componenti la Giunta, di cui il Requirente, dopo averne acquisito l’audizione, archiviava

la relativa posizione. Veniva, tra l’altro, richiesto l’esame testimoniale del Segretario comunale del

tempo, dott. Abram Paolo, al fine di farsi confermare la presenza dello stesso alla seduta di giunta

incriminata, in cui non aveva rilevato obiezioni di sorta. Nel merito, il difensore era ad opporre

l’infondatezza della domanda della Procura regionale per carenza dell’elemento soggettivo della

colpa grave e per la divisione di ruoli e competenze tra organi politici e organi tecnici. In breve,

rilevava che “...il modello organizzativo dell’ente locale non è più basato su un rapporto di subordinazione

gerarchica della Dirigenza rispetto all’Organo politico, bensì di perfetto parallelismo, in virtù del quale

all’Organo politico competono le sole scelte di indirizzo mentre le altre funzioni ed in particolare quelle di

controllo in ordine al legittimo funzionamento dell’attività amministrativa competono agli uffici e, in

particolare, ai responsabili dei servizi ed al Segretario comunale ad essi posto in posizione gerarchicamente

sopra ordinata con funzioni di supervisione e controllo della legittimità degli atti”. Orbene, alla luce di tale

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premessa evidenziava, in primo luogo, di essere un professionista non disponente di alcuna

specifica competenza nell’ambito del diritto amministrativo atteso che la propria specialità legale

riguardava principalmente il diritto del lavoro, il diritto condominiale e, in generale, le

problematiche correlate al diritto civile; in secondo luogo, che al pari di tutti gli altri assessori, la

cui posizione è stata archiviata dal Requirente, all’epoca dei fatti rivestiva il ruolo di assessore “alla

Sicurezza ed alle Infrastrutture Turistiche”, ambito di competenza che ovviamente nulla aveva a che

vedere con i settori dell’urbanistica e degli appalti pubblici, questi ultimi rimasti nella gestione

diretta ed esclusiva del Sindaco. Ora, come emergente dagli atti e dalle varie audizioni disposte, la

delibera n. 65/2007 è stata sottoposta all’attenzione della Giunta corredata di tutti gli elementi e i

pareri, nessuno escluso, che all’epoca hanno indotto a non metterne in discussione la sua

approvazione. Infatti, la proposta di deliberazione formulata dall’Ufficio tecnico si presumeva

essere stata preventivamente valutata ed adeguatamente ponderata dall’Ufficio medesimo

deputato a fornire il parere di regolarità che gli compete. E nello specifico la predetta proposta è

stata formulata dall’Ing. Luigi Lovato, dirigente dell’Ufficio Tecnico, munito di specifiche

competenze e con indubbia esperienza come responsabile tecnico presso altri comuni, che ha pure,

come dovuto, regolarmente sottoscritto il parere di regolarità tecnica. Ma vi era di più, atteso che il

predetto rilevava che la medesima proposta risultava sottoscritta anche dal Segretario comunale,

dott. Abram Paolo, “...il quale, ciò facendo, ha sostanzialmente avallato la legittimità del provvedimento e,

quindi, l’approvazione da parte della G.C. senza muovere alcuna obiezione” (pagg. 6 e 7 della memoria).

In sostanza, la presenza del Segretario comunale all’adunanza della Giunta assumeva per la difesa,

in assenza di qualsivoglia obiezione, “...di fatto parere di legittimità dell’atto e, sopra tutto, induce(va) a

ritenere, da parte dei componenti dell’organo politico che la approva, che il provvedimento sia perfetto, valido

ed efficace e quindi in quanto tale esente da censure” (pag. 7 della memoria). E la proposta medesima

<<...è stata formulata dall’Ufficio su disposizione impartite dal Sindaco e, quindi, la valutazione collegiale

che ne è conseguita da parte del Responsabile del Servizio Edilizia Privata Urbanistica, del Segretario

comunale e del Sindaco, induceva evidentemente chicchessia a ritenere che sulla bontà e legittimità del

provvedimento non potessero esservi riserve, tantomeno da parte di chi – come il sottoscritto – risulta essere

privo di specifiche competenze in materia>>. A ciò doveva aggiungersi, a comprova della propria

buona fede, l’esistenza del parere legale del Prof. Domenichelli, datato 07 aprile 2011, protocollato

quindi venti giorni prima dell’assunzione della delibera, indirizzato direttamente al Sindaco, che

poi si era confrontato, successivamente ed autonomamente, con gli Uffici interni sul contenuto del

parere medesimo, facendo seguire ulteriori incontri direttamente con il Prof. Domenichelli, in vista

dell’assunzione della delibera stessa, parere, che come risultante dalle audizioni eseguite, non

faceva parte del fascicolo relativo alla suddetta determinazione di Giunta. In sostanza, dei

contenuti di tale parere si era fatto solamente cenno in occasione della seduta di Giunta

municipale, riportandosi al fatto che il Prof. Domenichelli, a detta del Sindaco e dell’Ing. Lovato,

aveva indicato come percorribile l’ipotesi dell’appello al Consiglio di Stato nell’auspicio di una

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revisione della sentenza di prime cure. Per ciò, il deducente, al pari di tutti gli altri assessori,

estromessi dal presente giudizio a ragione dell’archiviazione disposta dal PM., faceva legittimo

affidamento sulle indicazioni offerte da tutti i soggetti, Sindaco, Ing. Lovato e Segretario comunale,

che si erano direttamente occupati della vicenda. Pertanto, l’insieme di tali circostanze

escludeva ictu oculi qualsiasi forma di responsabilità aggravata in capo all’assessore Tommasini.

Inoltre, se si va ad esaminare, chiaramente a posteriori, il parere del Prof. Domenichelli ci si avvede

che da esso non scaturiva un veto assoluto ed inconfutabile alla proposizione dell’appello stesso,

atteso che il professionista faceva riferimento ad una giurisprudenza prevalente, che non

escludeva l’esistenza di una giurisprudenza minoritaria di segno contrario, “...che per l’appunto nel

caso di specie evidentemente il legale di concerto con il Sindaco e con i Dirigenti del comune di Lazise si

suppone avessero inteso formare nell’ambito del giudizio avanti al Consiglio di Stato” (pagg. 10 e 11 della

memoria). Da ultimo, l’Avv. Tommasini poneva in risalto che le spese preventivate per il ricorso al

Consiglio di Stato erano approvate nell’importo di € 07.000,00, I.V.A. ed accessori compresi: di tal

ché il maggiore importo determinato a consuntivo, in oltre € 10.000,00, non poteva certo

addebitarsi all’esponente, “...trattandosi evidentemente di circostanza alla quale...” riteneva

essere “...rimasto del tutto estraneo”.

F - Udienza dibattimentale.

Alla pubblica udienza odierna le parti processuali concludevano come da verbale. In breve, il Vice

Procuratore Generale, dott. Di Maio Giancarlo, previo deposito, su richiesta del Collegio, della

nota istruttoria di acquisizione documentale del 09 maggio 2013, indirizzata al comune di Lazise,

più volte richiamata in atti e non allegata, era a confermare il contenuto della citazione e le

conclusioni, in esso rassegnate, in termini di condanna, opponendosi alla prova per testi spiegata

dal convenuto Tommasini, a ragione dell’esaustività dei documenti prodotti sui fatti di causa.

L’Avv. Poggi Laura, in rappresentanza di Zanini Giuseppe e Antonelli Mauro, insisteva, tra l’altro,

sull’integrazione del contraddittorio nei confronti del Geom. Bizzocoli e dell’Arch. Parolini atteso

il loro asserito apporto causale nella vicenda a giudizio. L’Avv. Gortenuti Giuseppe, per Lovato

Luigi Paolo, era ad insistere sulla nullità degli atti istruttori e sulla insindacabilità delle scelte

discrezionali, quali espresse dalla Giunta municipale con l’approvazione della deliberazione di

autorizzazione del ricorso in appello. L’Avv. Biondaro Luigi, in rappresentanza di Franceschini

Renzo, nel ribadire la richiesta di proscioglimento del proprio assistito, si associava all’istanza di

nullità degli atti istruttori sollevata dal collega Avv. Gortenuti. Da ultimo, l’Avv. Tommasini

Flavio, in difesa di se stesso, rinviava alle conclusioni di cui alla memoria di costituzione,

confermando, come richiesto dal Collegio, la propria iscrizione all’Ordine degli Avvocati di

Verona e il domicilio eletto presso lo studio di Verona, Lungadige Cangrande n. 6.

Al termine del dibattimento la causa è stata trattenuta in decisione.

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Motivi della decisione

[1] In limine, attese le questioni pregiudiziali sollevate dai patroni dei presunti responsabili,

secondo l’ordine dai medesimi ritenuto più consono e in subordine o non alle aspettative di

proscioglimento pieno (aspetto ricorrente nel rapporto tra conclusioni e motivazioni di talune delle

memorie difensive), l’art. 276, 2° comma c.p.c., al quale rinvia dinamicamente l’art. 26 del R.D. 13

agosto 1933, n. 1038 (recante il Regolamento di procedura per i giudizi innanzi alla Corte dei

conti), non fornisce indicazioni sull’ordine della loro disamina ma prevede solo che il

Giudice<<...decide gradatamente le questioni...>> nel rispetto, in ogni caso, della progressione logica

stabilita dal Legislatore per la trattazione delle questioni di rito rispetto a quelle di merito (cfr.

Corte di Cass. S.U., 22 aprile 2013 n. 9693). Cosicché, l’ordine “procedendi” è rimesso al prudente

apprezzamento del Collegio secondo motivate ragioni di logica giuridica, di coerenza e

ragionevolezza (cfr. Corte di Cass., 9 settembre 2008, n.23113, Corte dei conti SS.RR., 02 ottobre

1991, n. 727). A mente di tali considerazioni, si ritiene di dover procedere nella disamina delle

questioni che costituiscono presupposto (logico) delle altre e il cui accoglimento potrebbe rendere

ultronea la disamina delle restanti e del merito.

[2] Ciò premesso, i difensori dei convenuti Zanini Giuseppe e Antonelli Mauro hanno formulato

richiesta di integrazione del contraddittorio nei confronti dell’Arch. Parolini Arturo e del Geom.

Bizzocoli Alberto, rispettivamente, responsabile dell’Area Tecnica – Settore Edilizia Privata -

Urbanistica, del comune di Lazise, e addetto allo stesso Ufficio con funzioni di “Vicario

Responsabile”, che avrebbero concorso alla causazione del danno per avere, il secondo, presieduto

la Commissione di gara che il 05 settembre 2007 decideva, all’unanimità, l’apertura dei plichi

recanti le offerte in assenza dei concorrenti, e, il primo, per avere partecipato, in qualità di

Presidente, alle altre due sedute della Commissione, all’esito delle quali, con determina n. 37, del

24 settembre 2007, emetteva il provvedimento di aggiudicazione, malgrado l’illegittimità

consumata dalla Commissione.

A latere di tale esplicita rivendica si collocava quanto diffusamente opinato, nelle memorie

degli altri convenuti e senza tuttavia pervenire a una specifica domanda integrativa, sul ruolo del

segretario comunale (dott. Abram Paolo), che aveva assistito alla seduta di G.C. del 26 aprile 2011,

con funzioni di verbalizzante, senza sollevare dubbio alcuno in ordine alla legittimità della

delibera di autorizzazione a ricorrere al Consiglio di Stato.

Il Requirente, da parte sua, nel rimettersi al Collegio riguardo alla valutazione e alle

conseguenti statuizioni sulle predette istanze, era a negare qualsivoglia significativo apporto

causale nelle condotte serbate dai predetti funzionari, di cui aveva escluso il loro coinvolgimento,

anche per difetto della colpa grave, sin dalla fase preliminare.

[2.1] La rivendica, tesa all’estensione del contraddittorio a soggetti che a vario titolo avrebbero

concorso alla causazione del (presunto) danno, non è meritevole di accoglimento poiché non

ricorrente una ipotesi di litisconsorzio necessario. Sul punto, si ricorda che l’intervento dei terzi,

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nel giudizio di responsabilità innanzi alla Corte dei conti, trova la propria disciplina nell’art. 47 del

R.D. 13 agosto 1933, n. 1038, che conferisce al Collegio un potere di tipo “sindacatorio – ordinatorio”,

il cui esercizio determina una variazione – integrazione del rapporto soggettivo processuale.

Quest’ultimo, infatti, in esito all’ordine d’integrazione, su istanza di parti convenute, come nel caso

di specie, ovvero attivato motu proprio dal Giudice, risulterà caratterizzato dalla presenza di uno o

più soggetti ulteriori, ma estranei all’originaria citazione disposta dal Pubblico requirente, titolare

del potere di azione. Fattispecie normativa, quest’ultima, perfettamente in linea con l’omologo

istituto disciplinato dall’art.107 cod. proc. civ., che in un processo di tipo dispositivo prevede che

“Il Giudice, quando ritiene opportuno che il processo si svolga in confronto di un terzo al quale la

causa è comune, ne ordina l’intervento”. Onde, la richiesta di integrazione del contraddittorio

formulata dai difensori dei componenti la Commissione di gara, non tenuti ad esternare una

specifica domanda nei confronti dei terzi, atteso che è l’ordine di integrazione del Giudice che deve

indicare specificamente i soggetti da convenire e le ragioni che rendono quanto meno

funzionalmente opportuno il litisconsorzio, è da intendere come sollecitazione dei poteri officiosi

del Giudice medesimo di ordinarne la chiamata in causa, a mente del disposto normativo dianzi

invocato, al fine di pervenire alla piena definizione del giudizio in una con il perseguimento di

finalità di economia processuale e con l’intento di evitare i rischi di giudicati contraddittori in

relazione a cause caratterizzate da elementi comuni ma decise separatamente (cfr. Corte dei conti,

Sez. 1^, 22 settembre 2008, n. 407, id. Sez. 2^ d’App., 07 novembre 2011, n. 590). E in una tale

evenienza, la natura sindacatoria del processo contabile era a rendere ancora più fondato

l’esercizio della suddetta prerogativa processuale con gli unici limiti rappresentati dalla mutatio

libelli, ostativa per variazione della causa petendi alla predetta integrazione, e dalla intangibilità del

diritto di difesa. Un tale orientamento interpretativo (cfr. ex multis Corte dei conti, Sezione I,

sentenza 5 gennaio 2005, n.1, Sezione II, sent. 9 febbraio 2005, n.78 e Sezione III, sent.14 febbraio

2005, n.75), al quale il Collegio intende prestare adesione, anche dopo la modifica dell’art. 111 della

Carta Fondamentale (introdotta dalla legge costituzionale 23 novembre 1999, n.2), è da ritenere in

linea con i principi del giusto processo da esso promananti, per come delineati dalla Corte

Costituzionale, che da sempre ha dato rilievo “...all’ampia discrezionalità spettante al legislatore in

tema di disciplina del processo e di conformazione degli istituti processuali, con il solo limite della manifesta

irragionevolezza delle scelte compiute” (cfr. Corte Cost. n. 229/2010, 50/2010, n. 221/2008 e ord. n. 67

del 2007), e con la posizione di terzietà e imparzialità del Giudice (cfr. Corte dei conti, Sez. 1^ di

app., 06 maggio 2004, n. 153). In specie, il potere di evocare in giudizio soggetti terzi non solo non

è irragionevole ma non inficia la posizione di terzietà del Giudice, poiché volto a garantire la piena

espansione del diritto di difesa, con funzione di valvola di garanzia a un sistema che non esclude

eventuali carenze soggettive della domanda e di riflesso carenze in ordine alla possibilità di

reintegrare il patrimonio pubblico, a tutela del quale è prevista un’azione obbligatoria, e fermi

restando i precitati limiti. In conclusione, l’Istituto in esame, lungi dal minare i richiamati principi,

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risponde all’esigenza, anch’essa costituzionalmente garantita, di una più efficace difesa del/dei

convenuti, che devono poter eccepire e dimostrare, nel processo, attraverso un atto di

intermediazione del Giudice, che altri sono responsabili o corresponsabili del/dei fatti dannosi ad

esso/essi imputabili, in questo fornendo dei fatti una valutazione diversa di quella allegata dal

Procuratore regionale che è, comunque, compito del Giudice giuridicamente configurare.

Ciò premesso, rileva il Collegio, in ordine all’estensione della causa ad altri pretesi

corresponsabili (Presidente e facente funzioni di Presidente della Commissione di gara, in termini

espliciti, Segretario comunale, in termini impliciti) dell’asserito danno, che la predetta richiesta di

integrazione è sempre subordinata alla preliminare valutazione della sussistenza di una ipotesi di

litisconsorzio necessario e tale caso, come confermato dal consolidato orientamento

giurisprudenziale (cfr. ex multis Sez. 1° d’appello, sent. n.137/2009/A, del 05 marzo 2009, Sez.

Lazio, sent. n.93, del 24 agosto 1998), ricorre quando la condotta addebitabile a ciascuno sia

definibile come illecita solo in stretto collegamento con la valutazione della condotta degli altri.

Infatti, è stato ormai da tempo chiarito che <<...si ha litisconsorzio necessario, oltre che nei casi

espressamente previsti dalla legge, solo quando, per la particolare natura o configurazione del rapporto

giuridico dedotto in giudizio e per la situazione strutturalmente comune ad una pluralità di soggetti, la

decisione non può conseguire il proprio scopo se non è resa nei confronti di tutti>> (cfr. Corte di Cass. n.

121/2005, n. 19004/2004, n. 1940/2004 e n. 12330/2003). Ora, “...una tale inutilità non sussiste certo

nel caso in cui solo alcuni dei corresponsabili siano condannati al risarcimento (di una sola parte) di un

danno erariale, per cui la giurisprudenza di questa Corte giustamente esclude un litisconsorzio necessario tra

più corresponsabili dello stesso danno erariale” (così, in termini puntuali, Corte dei conti, Sez. 2^ di

app., 25 luglio 2013, n. 489, id. Sez. 3^, n. 479/2005, Sez. 2^, n. 287/2004, Sez. 3^, n. 128/2003,

Sezioni Riunite, n. 13/QM/2003). Ma vi è di più, giacché la consolidata giurisprudenza della Corte

di legittimità, ma anche della Corte dei conti, ravvisa l’insussistenza di un litisconsorzio necessario

anche nelle ipotesi di c.d. responsabilità solidale: “...si tratta infatti di una responsabilità caratterizzata

proprio dalla possibilità di condannare all’adempimento dell’intera obbligazione (risarcitoria) solo uno o solo

una parte di corresponsabili di uno stesso danno” (così Corte dei conti, Sez. 2^ di app., 25 luglio 2013, n.

489). Un tanto chiarito, nella fattispecie tratta a giudizio l’asserito pregiudizio conseguiva a

condotte gravemente colpose tenute dai commissari di gara (Bizzocoli Alberto, con funzioni di

Presidente, e Zanini Giuseppe e Antonelli Mauro, con funzioni di componenti, questi ultimi due

evocati in causa) che in occasione della prima seduta della Commissione, in data 05 settembre

2007, hanno dato corso all’apertura dei plichi recanti le offerte in seduta segreta, ossia in assenza

dei concorrenti, illegittimità che è stata motivo di un ricorso al Tar del Veneto esitato nella

condanna del comune di Lazise al risarcimento, in favore del ricorrente principale, delle spese da

esso sostenute per la redazione e presentazione dell’offerta pertinente il Piano di Assetto

Territoriale (P.A.T.), liquidate nella misura di € 08.000,00 (a fronte di una richiesta attorea di €

34.920,00), oltre interessi di legge e spese di quel giudizio. In breve, la sommatoria di tale prima

20

presunta posta di danno era pari ad € 18.508,52 (di cui € 08.374,26, per risarcimento danni ed

interessi, ed € 10.134,26, per le complessive spese legali sostenute a ragione del giudizio dinanzi al

TAR del Veneto). A tali importi erano da aggiungere gli esborsi ulteriori sostenuti dal predetto

Ente territoriale, pari a complessivi € 10.737,00, originanti dal ricorso dinanzi al Consiglio di Stato,

avviato a seguito della deliberazione n. 65, del 26 aprile 2011, della G.C., di cui facevano parte, tra

gli altri, il Sindaco Franceschini e l’Assessore (alla Sicurezza e alle Infrastrutture Turistiche)

Tommasini, atto assunto alla presenza del Segretario comunale dott. Abram Paolo, partecipante

all’adunanza in veste di verbalizzante, su proposta dell’Ing. Lovato Luigi Paolo, che aveva anche

dato il proprio parere di regolarità tecnica, in cui il comune di Lazise restava soccombemte. Di tal

ché, versandosi in materia di asserite condotte illecite solo gravemente colpose, in cui la decisione

può, nella ricorrenza dei presupposti di legge, conseguire il proprio scopo, in applicazione

dell’art.1, comma 1 quater, della legge n. 20 del 1994, per il quale “...se il fatto dannoso è causato da

più persone, la Corte dei conti, valutate le singole responsabilità, condanna ciascuno per la parte che vi ha

preso”, è da escludere, salvo quanto precisato di seguito in ordine al c.d. quantum addebitabile ai

convenuti, una responsabilità cumulativa unitaria e per conseguenza un litisconsorzio necessario.

E ciò si attagliava anche alle decisioni assunte in sede deliberativo collegiale, che potevano destare

qualche riserva in merito, poiché l’aspetto unitario di tale ultimo atto si riverbera esclusivamente

verso l’esterno, mentre nella sua struttura interna esso è il risultato del concorso di una pluralità di

atti (voto e decisione dei singoli componenti la Commissione di gara) collegati nell’ambito di un

procedimento amministrativo teso, in specie, al risultato finale dell’aggiudicazione. Per ciò,

ognuno dei componenti la Commissione di gara con il proprio intervento concorre a formare l’atto

collegiale, unitario verso l’esterno, poiché integrante la volontà della Commissione e diretto

all’Amministrazione appaltante, che, tuttavia, conserva la propria autonomia strutturale, dovendo

essere apprezzato nella sua individualità ai fini della responsabilità gestoria: quest’ultima <<(...)

anche nelle deliberazioni si fonda sull’individuazione delle singole condotte causative del danno, a

prescindere dalla natura collegiale degli atti in cui confluiscono>> (cfr. Corte dei conti, SS.RR. n.

15/QM/1999, del 27 maggio 1999). Cosicché, la posizione degli odierni convenuti non è affatto

influenzata dalla partecipazione in giudizio di terzi di cui si affermi l’esclusiva o concorrente

responsabilità, ben potendo il Giudice (che abbia ravvisato di non dover integrare il

contraddittorio nei confronti di eventuali soggetti concorrenti, a fronte dei quali il Procuratore

regionale conserva la prerogativa di agire anche in seguito e salva ogni ipotesi prescrittiva)

valutare il contributo causale, qualora emergente nella competente fase di merito, al danno

apportato da costoro, escludendo o decurtando, corrispondentemente, l’addebito a carico dei

soggetti convenuti in giudizio (cfr. Corte dei conti, Sez. Basilicata n.128, del 27 aprile 2006, Sez.

Sardegna, sent. 1834/2008, e Sezione Veneto n.34, del 17 marzo 2015). Per ciò, resta ferma, attesa la

parziarietà della responsabilità erariale, la possibilità per il Collegio giudicante di valutare

incidentalmente il contributo causale di eventuali ulteriori soggetti concorrenti alla causazione del

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pregiudizio pubblico “...piuttosto che disponendone la chiamata in causa (ove sussistente il relativo potere

cognitorio) anche al fine di non pregiudicare la ragionevole durata del processo” (così Corte dei conti, Sez.

1^ di app., 09 maggio 2014, n. 639/2014/A). Per tali ragioni la domanda di estensione del

contraddittorio non merita accoglimento.

[3] Così statuito riguardo all’ambito soggettivo, i patroni dell’Ing. Lovato Luigi Paolo erano

ad eccepire nella memoria di costituzione la nullità dell’istruttoria preliminare e dell’atto

introduttivo con ogni conseguente statuizione. A tal riguardo, previo richiamo dell’art. 17, comma

30 ter, del d.l. 1° luglio 2009, n. 78, e s.m.i., osservavano che, in specie, “...manca(va) del tutto una

notitia damni relativa al comportamento contestato all’Ing. Lovato”. In breve, atteso che l’esposto era del

05 aprile 2011 (pervenuto l’8 aprile seguente), mentre il comportamento del loro assistito, che

avrebbe causato il (una parte del) pregiudizio, risaliva al 26 aprile 2011, la relativa notitia damni,

come (avrebbero) statuito le Sezioni Riunite nella sentenza n. 12//2011/QM, del 03 agosto 2011,

“...non poteva dunque riguardare gli atti e i comportamenti che al momento dell’esposto non si erano ancora

verificati” (pag. 8 della memoria). Per ciò, poiché l’esposto segnalava “...la vicenda relativa

all’affidamento di un incarico professionale conferito dal comune di Lazise, oggetto di ricorso al TAR Veneto

con conseguente condanna dell’Amministrazione al risarcimento dei danni al ricorrente” l’indagine

erariale “...doveva avere ad oggetto i fatti ivi descritti non quelli successivi accaduti...”, pena la

legittimazione di “...un improprio potere di controllo generalizzato e permanente sull’attività

amministrativa (Corte Cost. sent. n. 209/1994)”.

La doglianza della nullità veniva fatta propria, nel corso della discussione, anche dai patroni del

convenuto Franceschini.

Di tutt’altro avviso il Procuratore regionale che, nel corso della requisitoria dibattimentale,

ha confermato di aver aperto legittimamente la vertenza sulla base della relazione/esposto

prodotta l’8 aprile 2011 dall’Arch. Virgilio Munari, segnalante una ipotesi specifica e concreta di

danno alle finanze del comune di Lazise, che gli accertamenti e le acquisizioni istruttorie

successivamente disposti, protesi alla corretta valutazione delle posizioni delle parti e alla

completezza documentale, integravano con l’emersione di una ulteriore posta di pregiudizio,

siccome correlata alle spese legali sostenute dall’Ente territoriale all’esito del ricorso al Consiglio di

Stato.

[3.1] L’eccezione non incontra il favore della Sezione e deve, pertanto, essere disattesa.

Ai sensi dell’art. 17, comma 30 ter, del d.l. n. 78 del 2009, convertito dalla legge 03 agosto

2009, n. 102, nel testo risultante dalle disposizioni correttive introdotte dal d.l. 3 agosto 2009, n. 103,

convertito dalla legge 03 ottobre 2009, n. 141 <<Le Procure della Corte dei contipossono iniziare

l’attività istruttoria ai fini dell’esercizio dell’azione di danno erariale a fronte di specifica e concreta

notizia di danno, fatte salve le fattispecie direttamente sanzionate dalla legge...Qualunque atto istruttorio o

processuale posto in essere in violazione delle disposizioni di cui al presente comma, salvo che sia stata

pronunciata sentenza anche non definitiva alla data di entrata in vigore della legge di conversione del

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presente decreto, è nullo e la relativa nullità può essere fatta valere in ogni momento, da chiunque vi abbia

interesse, innanzi alla competente sezione giurisdizionale della Corte dei conti, che decide nel termine

perentorio di trenta giorni dal deposito della richiesta>>.

La richiamata disposizione subordina l’avvio dell’attività istruttoria alla sussistenza di una notizia,

comunque acquisita, di una fattispecie di danno, chiaramente individuabile come tale, seppur

necessitante di essere più dettagliatamente vagliata, lasciando integro il potere istruttorio del

Pubblico Ministero di accertare la fondatezza della <<notitia damnum>>, la sua ascrivibilità e

l’effettività del segnalato pregiudizio. Essa, quindi, indica solo il presupposto legittimante l’avvio

dell’indagine erariale, senza imporre vincoli con riguardo alle successive modalità istruttorie,

integranti una discrezionalità propria del Requirente, regolata dalle leggi 19 e 20 del 1994 oltre che

dalla normativa pregressa, quali le acquisizioni documentali successive ai fatti denunciati e

inerenti, in specie, la sussistenza di sentenze di secondo grado intervenute a seguito di gravame

del comune di Lazise. Per ciò, la “ratio” di essa non è quella di far pervenire alla Procura regionale

una notizia di danno completa di tutti gli elementi oggettivi e soggettivi integranti la

responsabilità amministrativa, pena l’inutilità del potere istruttorio riconosciuto in capo al

requirente, bensì quella di evitare che quest’ultimo possa compiere attività di sostanziale controllo

della Pubblica amministrazione, ponendo in essere indagini generalizzate sulla scorta di notizie

estremamente labili e incerte e dunque non idonee a dar conto della presumibile sussistenza di una

determinata fattispecie di danno erariale (c.d. profilo teleologico della norma). E ciò sulla falsariga

di quanto enunciato dal Giudice delle Leggi in termini d’inesistenza in capo alle Procure presso la

Corte dei conti, di un potere di controllo generalizzato e diffuso sulla P.A., cosicché gli atti

istruttori che si distinguono per una genericità “soggettiva e oggettiva” sono sintomatici di

<<...attribuzioni esercitate in modo eccedente, rispetto ai confini necessariamente tipizzati

dall’ordinamento...>> sì da produrre <<...una menomazione nella sfera presidiata dalle garanzie di

autonomia...>> (cfr. Corte Costituzionale n. 337/2005), mentre rientra nel potere di tale Organo

requirente richiedere atti singolarmente precisati e necessari all’accertamento di responsabilità in

relazione all’eventuale produzione di danni erariali (cfr. Corte Cost. n.100/1995). In breve, l’ampio

potere d’indagine che le norme imputano alla Procura contabile <<...deve essere ispirato a un criterio

di obiettività, d’imparzialità e neutralità, specie perché ha un fondamento di discrezionalità...diretta a un

interesse giurisdizionale>> e deve essere <<...determinato da elementi specifici e concreti e non da mere

supposizioni>> (cfr. Corte Costituzionale, sent. n. 104/1989). Il Legislatore ha tradotto, per ciò, tali

principi in previsione positiva, la cui violazione produce la nullità degli atti posti in essere.

Ora, le premesse in questione fondano il convincimento della Sezione che per dare corso a

un’attività istruttoria conforme al diritto vigente è necessario che essa rinvenga la sua fonte, il suo

impulso legittimo, in una notizia o denuncia di danno erariale afferente fatti anche indiziari ma

oggettivamente individuati, dai quali possa dedursi un non apparente comportamento illecito e un

ingiusto pregiudizio per un’Amministrazione pubblica. La notizia è da considerare idonea a far

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partire le indagini purché precisa e concreta, nel senso che essa deve fondarsi su elementi

circostanziati, ma non esaurienti (attesa la diversità tra notizia, attività istruttoria e invito, atto

introduttivo del giudizio e decisione nel merito della domanda), attendibili e verosimili al punto

da indirizzare le indagini in una determinata direzione e ambito operativo. Sul punto il Collegio

segue, condividendone le ragioni logico – giuridiche che ne stanno alla base, il principio fissato

dalle Sezioni Riunite di questa Corte che, con sentenza n. 12/2011/QM, del 09 giugno – 03 agosto

2011, hanno affermato, tra l’altro, la seguente statuizione nomofilattica: <<..il termine notizia,

comunque non equiparabile a quello di denunzia, è da intendersi, secondo la comune accezione, come dato

cognitivo derivante da apposita comunicazione, oppure percepibile da strumenti d’informazione di pubblico

dominio; l’aggettivo specifica è da intendersi come informazione che abbia una sua peculiarità e individualità

e che non sia riferibile ad una pluralità indifferenziata di fatti, tale da non apparire generica, bensì

ragionevolmente circostanziata; l’aggettivo concreta è da intendersi come obiettivamente attinente alla realtà

e non a mere ipotesi o supposizioni. L’espressione nel suo complesso deve, pertanto, intendersi riferita non

già ad una pluralità indifferenziata di fatti, ma ad uno o più fatti, ragionevolmente individuati nei loro tratti

essenziali e non meramente ipotetici, con verosimile pregiudizio per gli interessi finanziari pubblici, onde

evitar che l’indagine del PM contabile sia assolutamente libera nel suo oggetto, assurgendo ad un non

consentito controllo generalizzato. Di conseguenza, sono idonei ad integrare gli estremi di una “specifica e

concreta notizia di danno”: a) l’esposto anonimo, se riveste i caratteri di specificità e concretezza innanzi

precisati; b) i fatti conosciuti nel corso della fase dell’invito a dedurre, anche per soggetti diversi dall’invitato,

nei medesimi termini; c) i fatti conosciuti a seguito di delega alle indagini, attribuita dalla Procura regionale

ad organismi quali la Guardia di Finanza; d) da ultimo, non possono considerarsi specifiche e concrete,

secondo quanto innanzi precisato, le notizie relative alla mera condotta, in carenza d’ipotesi di danno, quale

presupposto oggettivo della responsabilità amministrativa: ciò a differenza delle ipotesi di fattispecie

direttamente sanzionate dalla legge...>>. Nella sentenza delle Sezioni Riunite n. 13/2011/QM, del 03

agosto 2011, sono invece precisati, tra gli altri, i seguenti principi di diritto: <<1) deve escludersi la

rilevabilità d’ufficio della questione di nullità nel giudizio di responsabilità (...). 2) In ipotesi di giudizio di

responsabilità già instaurato con pluralità di convenuti, non sussistono fattispecie di litisconsorzio

necessario, inscindibilità di cause o litisconsorzio processuale, non essendovi comunanza di causa ai fini della

pronunzia sulla nullità...>>: in breve si tratta di un’eccezione in senso proprio e personale al singolo

convenuto, per la quale non può ipotizzarsi alcuna efficacia riflessa del relativo giudicato con

riguardo a soggetti che non abbiano rilevato la nullità.

Orbene, rileva il Collegio che le Sezioni Riunite, nella sent. n. 12/2011/QM, del 03 agosto

2011, contrariamente a quanto opinato nella memoria di costituzione dell’Ing. Lovato (pag.8),

hanno fornito, sulla base della pacifica giurisprudenza formatasi sin da allora, positivo riscontro

sulla non applicabilità della sanzione della nullità degli atti istruttori al procedimento avviato,

come in specie, in base ad un esposto/denuncia di danno al pubblico erario, siccome integrato da

elementi specifici e concreti (come riconosciuto dalle stesse difese del Lovato), che le successive

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acquisizioni probatorie rendevano più completo, costituendo occasione per il Requirente

medesimo di conoscenza diretta di altri fatti, anche successivi alla precedente ipotesi di

pregiudizio, riferibili a persone diverse dagli originari indagati, fatti produttivi a loro volta di

danno erariale <<...e per i quali dare corso ad un’azione risarcitoria che, è bene non dimenticarlo, ha natura

doverosa e non disponibile>> (cfr. Corte dei conti, Sez. Umbria, ord. n. 019, del 02 novembre 2009,

Sez. Friuli. Venezia Giulia, ord. n. 82, del 18 dicembre 2009). A tal riguardo il Giudice della

nomofilachia ha infatti legittimato l’ipotesi ricorrente delle citazioni in giudizio originate da fatti

conosciuti a seguito di delega alle indagini, attribuita dalla Procura regionale ad organismi quale la

Guardia di Finanza, l’Arma dei Carabinieri, Uffici ispettivi di varie amministrazioni, a seguito di

acquisizioni documentali istruttorie ovvero nel corso della fase dell’invito a dedurre, anche per

soggetti diversi dall’invitato. In tali ipotesi, hanno sostenuto i predetti Giudici, <<...deve ritenersi

che una relazione da parte dei suddetti organi possa anch’essa costituire fonte di conoscenza qualificata, nel

senso richiesto dalla legge, con riferimento a fatti riguardanti episodi e soggetti anche non interessati

dall’originaria delega alle indagini: sempre che, naturalmente, quell’attività istruttoria fosse stata a sua volta

iniziata dalla Procura legittimamente, per verificare cioè l’attendibilità di segnalazioni di danno specifiche e

concrete, e all’esito di tali indagini siano poi emerse ulteriori ipotesi dannose, anch’esse specifiche e

concrete>> (cfr. SS.RR. n. 12/2011/QM, del 03 agosto 2011, e la giurisprudenza in essa richiamata).

E ciò è quanto occorso nell’ipotesi tratta a giudizio, in cui la Procura regionale riceveva, in data 08

aprile 2011, una segnalazione esposto afferente un presunto danno alle finanze del comune di

Lazise, per somme dovute e poi pagate, all’esito di un giudizio amministrativo di primo grado, a

titolo risarcitorio e per spese legali, la verifica della cui attendibilità e l’accertamento delle relative

responsabilità, come indotte dalle acquisizioni istruttorie disposte dal Requirente, facevano

emergere una ulteriore ipotesi dannosa, per spese legali conseguenti a un ricorso al Consiglio di

Stato, anch’essa specifica e concreta. Pertanto, era da ritenersi assolutamente doveroso l’avvio, a

seguito della relazione/esposto, di una istruttoria da parte del Procuratore regionale, per

raccogliere ulteriori dati ed elementi di giudizio volti a confermare, od anche eventualmente ad

escludere, il danno patrimoniale ivi segnalato all’Ente comunale e possibili personali

responsabilità amministrative. E ove nel corso della suddetta attività di indagine, perfettamente

legittima, avviene che l’Organo inquirente prenda conoscenza di atti e fatti che già in prima

delibazione appaiono costituire una autonoma ipotesi di illecito erariale, ancorché diversa rispetto

a quella oggetto dell’indagine istruttoria che sta conducendo, lo stesso non potrà e non dovrà

ritenersi impedito ad agire, per tale diversa fattispecie, dall’art. 17, comma 30 ter, del d.l. n.

78/2009 e ss.mm.ii e, quindi, dispensato dall’obbligo di procedere. In conclusione, non vi è chi non

veda come sia estremamente difficile negare che siano stati soddisfatti quei requisiti che le Sezioni

Riunite hanno indicato come legittimanti l’azione erariale, con ineludibile rigetto della relativa

eccezione.

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[4] Un tanto deciso, deve ora il Collegio scrutinare il denunciato sconfinamento delle attribuzioni

giurisdizionali, da parte del Requirente e, quindi, del Giudice adìto, quale eccezione formulata

espressamente dalle difese dell’Ing. Lovato Luigi Paolo, ma incidente, poiché rilevabile ancheex

officio, sull’ammissibilità della domanda nella sua intierezza, che verrebbe ad essere travolta

qualora dovesse ravvisarsi la fondatezza di censure involgenti il merito delle scelte operate. In

breve, le suddette difese affermavano, con riguardo alla scelta operata dalla Giunta municipale, su

proposta del Responsabile in carica dell’Ufficio Tecnico (Ing. Lovato), di autorizzare il Sindaco a

ricorrere in appello, ”...l’insindacabilità nel merito della scelta discrezionale operata, con violazione

dell’art.1 della legge n. 20 del 1994”, atteso che il giudice contabile, nell’accertare e valutare gli atti e i

fatti posti in essere dagli amministratori e dai dipendenti delle pubbliche amministrazioni, non

poteva sostituirsi ad essi e ripercorrere l’iter argomentativo seguito nelle scelte discrezionali

operate, dovendo in ogni caso rispettare la sfera di autonomia decisionale riservata

all’Amministrazione. Di tal ché, i suddetti legali, ritenevano esistente un “...ormai consolidato

orientamento giurisprudenziale secondo cui la scelta fatta da un comune – nell’intendimento, come nel caso,

di curare i propri interessi – di intraprendere un’azione giudiziale ovvero di resistere a quella intentata da

altri, attiene alla sfera di discrezionalità, e quindi, di per sé, non conduce a perseguire, indipendentemente

dall’esito della lite, gli autori della scelta sotto il profilo della responsabilità amministrativa, tenuto anche

conto che una ragionevole soglia di rischio è comunque implicita in ogni difesa legale (fra le tante Corte dei

conti, Sez, 2^ centr. di app., n. 303, del 03 novembre 2003)”.

L’Ufficio del P.M. era, invece, ad avversare tali conclusioni, atteso che il sindacato della Corte dei

conti impingeva sulla verifica delle ragioni indicate a base della scelta operata.

[4.1] La ricostruzione interpretativa operata dalle predette difese appare al Collegio fuor di segno,

atteso che in specie non si discorre della scelta discrezionale di gravare o non in appello una

sentenza di prime cure non favorevole all’Ente locale, bensì della veridicità dei motivi addotti a

fondamento di una tale scelta e che ove riscontrati come non attendibili e non ricorrenti rendevano

il gravame di per sé irragionevole. In ipotesi, per ciò si trascura l’aspetto prodromico alle scelte

operate, ossia il rispetto delle procedure legislative e regolamentari ad effetto conformativo

dell’azione esitante nelle stesse, che impongono di motivare ex ante gli atti aventi dei costi per la

collettività e la cui violazione, a prescindere dalla valutazione della fondatezza delle indicate

ragioni che appartiene al merito, è oggetto di denuncia nell’atto introduttivo e, quindi,

perfettamente sindacabile in questa sede.

Mette conto rilevare, infatti, che il rispetto della c.d. riserva di amministrazione si traduce,

in ragione dell’interazione tra giurisdizione e merito, in un limite alla responsabilità

amministrativa: in tale evenienza l’interferenza sulla scelta di merito operata potrebbe tradursi in

un travalicamento dei limiti, obbligante l’adita Corte a una declaratoria dì inammissibilità

del libello, poiché la materia sarebbe coperta da una riserva in favore dell’amministrazione, che

potrebbe meglio descriversi come difetto di attribuzione, non appartenendo la conoscibilità del

26

merito stesso ad alcun ambito giurisdizionale, incluso quello contabile. Detto diversamente, la

riserva amministrativa prevede che solo la P.A. può valutare il modo in cui curare concretamente

l’interesse pubblico e, quindi, il giudice non può sostituirsi ad essa nel valutare quali siano le

migliori scelte gestionali e i migliori strumenti da utilizzare per perseguire i fini istituzionali. A tal

riguardo, l’art. 1, comma 1, della legge n. 20, del 14 gennaio 1994, come modificato dall’art.3, della

legge 23 ottobre 1996, n. 543, ha previsto che la responsabilità dei soggetti sottoposti alla

giurisdizione della Corte dei conti è personale e limitata ai fatti e alle omissioni commessi con dolo

o colpa grave, <<…ferma restando l’insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali…>>.

L’innovazione legislativa in predicato è stata introdotta nell’ottica di evitare che il magistrato,

attraverso il sindacato delle scelte discrezionali, realizzi una valutazione nel merito e si trasformi in

amministratore, seppure giusto e ponderato, travalicando così lo spazio di azione definibile come

riserva di amministrazione (così Atti seduta della Camera dei Deputati 18 dicembre 1996, n. 109,

nonché Corte dei conti, Sezione 1^, sent. n. 292/A, del 23 settembre 2005, Cass. SS.UU. 29 gennaio

2001, n. 33). Sostanzialmente, quindi, l’agire libero degli amministratori e dipendenti pubblici [in

cui rientrano anche gli odierni convenuti, quali dipendenti e amministratori (funzionari onorari) di

Ente locale], entro gli spazi normativamente assentiti, si traduce in una condotta giuridicamente

consentita o per lo meno non vietata dalle norme, quindi in una sorta di requisito positivo del

comportamento, finalizzato a tradurre una scelta, tra più opzioni di merito tutte ugualmente lecite

e legittime, in un provvedimento decisorio destinato all’attuazione di un determinato fine di

pubblico interesse, rispondente alla causa del potere esercitato. Ciò, tuttavia, non ha comportato la

creazione di un’area di sostanziale deresponsabilizzazione erariale nell’adozione di atti e

provvedimenti, conseguenti alla <<scelta>> operata, specialmente per le ipotesi in cui la stessa

poteva apparire, <<ab initio>>, portatrice di possibili conseguenze perniciose per l’Ente pubblico

per l’errata valutazione comparativa degli interessi protetti ovvero per l’indicazione a supporto di

motivazioni contraddittorie ed inattendibili, frutto ad es. di macroscopica negligenza. Prova ne era

che i limiti al sindacato della Corte dei conti, ma sarebbe meglio dire al sindacato di qualunque

giudice, sulle scelte discrezionali, esistevano già in via d’interpretazione (diritto vivente) in quanto

immanenti nella Carta Fondamentale e fondati sul principio di legalità dell’amministrazione e sul

controllo di quest’ultima (controllo che non poteva, comunque, trasformare il Giudice in

amministrazione attiva nelle scelte da operare), limiti che la novella del 1996 ha provveduto a

esplicitare senza, quindi, soluzione di continuità nel dispiegarsi della giurisdizione contabile sulle

scelte discrezionali, con l’intento d’impedire effetti dirompenti e lesivi dei principi d’imparzialità e

di buon andamento dell’azione amministrativa. Ora, la giurisprudenza consolidata ritiene che il

Magistrato contabile possa sindacare la legittimità dell’operato amministrativo non solo alla luce

di regole giuridiche ben individuate ma anche in ragione di parametri non giuridici permeabili il

divenire dell’azione (cfr. ex plurimis Corte dei conti, sez. 1° d’app. sent. n.292/2005/A, del 23

settembre 2005, Sezione Lazio sent. n.1726, del 12 settembre 2005, Sezione Veneto, sent. n. 166

27

del 18 febbraio 2009). Onde, l’esame della scelta effettuata deve essere condotto alla stregua di

taluni<<…parametri obiettivi valutabili ex ante e rilevabili anche dalla comune esperienza>> (cfr.

Corte dei conti, Sez. III, 21 gennaio 2004, n. 30/A, Sez. Lazio, 12 ottobre 2006, n. 1791),

quali l’incongruità, l’illogicità, l’irrazionalità, l’inefficacia, l’antieconomicità, la ragionevolezza e la

non proporzionalità, tutte espressioni della non coerenza della scelta rispetto ai fini di pubblico

interesse imposti. E tale maggiore penetrazione del sindacato di questa Corte ha trovato avallo

giuridico interpretativo nella decisione n.7024, del 28 marzo 2006, delle Sezioni Unite della

Cassazione, il cui orientamento è stato ribadito da Cassazione SS. UU. n. 4283, del 21 febbraio 2013,

e n. 10416, del 14 maggio 2014. La precedente e pluriennale impostazione della Corte Regolatrice

limitava, infatti, l’area della discrezionalità al rispetto dei fini istituzionali dell’Ente (ossia alla cura

degli specifici interessi pubblici ad esso affidati), senza possibilità, per il Giudice contabile, di

estendere il controllo alle concrete articolazioni dell’agire amministrativo (cfr. Cass. SS.UU. 29

gennaio 2001 n. 33 e 06 maggio 2003 n. 6851). In seguito, la Corte di legittimità (cfr. Cass, sent. n.29

settembre 2003, sent. n. 14488), ha abbandonato tale indirizzo osservando come <<…la nozione di

discrezionalità è unitaria, e non può subire allargamenti nel caso specifico del giudizio di responsabilità, nel

quale il controllo della conformità a legge dell’azione amministrativa deve riguardare anche l’aspetto

funzionale di quest’ultima, vale a dire con riguardo alla congruenza dei singoli atti rispetto ai fini imposti, in

via generale o in modo specifico, dal Legislatore>>. La Corte, in sintesi, ha ritenuto che la disposizione

dell’art. 1, della legge n.20/1994, doveva essere posta in correlazione con l’art.1, della la legge 7

agosto 1990, n. 241, ossia con i criteri di economicità ed efficacia (ma anche con gli altri principi ivi

indicati), quali criteri che assumevano, nel divenire dell’azione amministrativa, rilevanza sul piano

della legittimità e non della mera opportunità. Il primo, quale diretta attuazione del canone

costituzionale e comunitario di buona amministrazione, vincola la P.A. all’uso accorto, immune da

sprechi, delle proprie risorse (in definitiva di pertinenza della collettività in senso ampio),

traducendosi nell’obbligo di perseguire i propri obiettivi con il minor dispendio di mezzi

personali, finanziari, procedimentali. Analogamente, il principio di efficacia indica il rapporto tra

risultati ottenuti e obiettivi prestabiliti ed esprime l’esigenza che l’amministrazione adotti tutte le

misure che appaiono più idonee a conseguire i propri obiettivi. I suddetti principi, a loro volta,

costituiscono corollario del canone consacrato nell’art. 97 della Costituzione, che impone alle

Amministrazioni Pubbliche il conseguimento degli obiettivi legislativamente prefissati, agendo

con il minor dispendio di mezzi, come buona amministrazione. La decisione n.7024/2006, nel far

proprio tale ultimo indirizzo, è andata oltre, rilevando che non era <<…imposto da alcuna ragione di

ordine sistematico che il controllo di legalità nel giudizio di responsabilità amministrativa dinanzi al giudice

contabile debba avere un contenuto meno ampio e debba essere meno penetrante di quanto avviene nel

giudizio di legittimità sugli atti amministrativi, affidato al giudice amministrativo e, in via incidentale, al

giudice ordinario…>>. Soggiungeva, la Corte di legittimità, come il<<…sindacato della Corte dei

conti in sede di giudizio di responsabilità (ma anche in sede di giurisdizione di conto) non deve

28

limitarsi a verificare se l’agente abbia compiuto l’attività per il perseguimento di finalità

istituzionali, ma deve estendersi alle singole articolazioni dell’agire amministrativo, escludendone

soltanto quelle in relazione alle quali la legge attribuisce all’amministrazione una scelta elettiva tra diversi

comportamenti, negli stretti limiti di tale attribuzione>>. Pertanto, le scelte elettive degli

amministratori e dipendenti, dovendosi conformare ai suddetti criteri di legalità e a quelli normati

di economicità, di efficacia, di ragionevolezza e di buon andamento <<...sono soggette al controllo

della Corte dei conti perché assumono rilevanza sul piano della legittimità e non della mera opportunità

dell’azione amministrativa. Per ciò, non eccede la giurisdizione contabile non solo la verifica se

l’amministrazione abbia compiuto l’attività per il perseguimento di finalità istituzionali

dell’ente, ma anche se nell’agire amministrativo ha rispettato dette norme e principi giuridici e

dunque la Corte dei conti non viola il limite giuridico della “riserva di amministrazione” – da

intendere come preferenza tra alternative, nell’ambito della ragionevolezza, per il

soddisfacimento dell’interesse pubblico – sancito dall’art.1, comma 1, della legge n. 20 del 1994 ...-

nel controllare anche la giuridicità sostanziale – e cioè l’osservanza dei criteri di razionalità, nel

senso di correttezza e adeguatezza dell’agire, logicità e proporzionalità tra costi affrontati e

obiettivi perseguiti, costituenti al contempo indici di misura del potere amministrativo e confini

del sindaco giurisdizionale – dell’esercizio del potere discrezionale>> (così Corte di Cass. SS.UU.

n. 4283, del 21 febbraio 2013). Di tal ché, il principio enunciato nell’art. 1, comma 1 cit. esclude che

la Corte dei conti possa conoscere condotte discrezionali che violano regole non scritte di

opportunità e convenienza, mentre dalla stessa sono conosciute condotte discrezionali che si

pongono in contrasto con norme espresse o principi giuridicizzati, nei quali devono

ricomprendersi, come detto, i principi di buon andamento dell’azione amministrativa, di efficacia,

efficienza della stessa, di razionalità, di ragionevolezza e di proporzionalità, quali connotanti la

buona amministrazione siccome prevista dall’art.97 della Carta Fondamentale. Ragion per cui il

sindacato giudiziale contabile, che si esercita nei confronti dei pubblici poteri e della

discrezionalità amministrativa, si esprime anche nella direzione di un controllo sull’eccesso,

dell’abuso e dello sviamento di potere, giacché ogni potere, va esercitato in maniera funzionale,

corretta, coerente con i principi generali dell’ordinamento giuridico e con quelli speciali della

singola disciplina per potersi dire non destinatario di censure. In estrema sintesi, il Giudice

contabile è chiamato a verificare la pratica compatibilità dell’agire amministrativo non solo rispetto

ai limiti c.d. “espliciti” posti dalle singole disposizioni ma anche ai limiti c.d. “impliciti” o

“interni”, tesi a far sì che l’azione si svolga in maniera corretta, equilibrata (c.d. proporzionalità),

funzionale o altrimenti detto secondo buona fede e correttezza. E tali premesse giuridiche

escludono che possa costituire una scelta discrezionale insindacabile l’operato della Giunta

municipale che, in forza di proposta del responsabile del settore, ha deliberato di autorizzare il

gravame di una sentenza di primo grado facendo proprie motivazioni apparenti, non attendibili,

poiché non ricorrenti in concreto, che hanno reso la stessa impugnativa del tutto irragionevole. In

29

sostanza, in questo anticipando il merito, a fronte della decisione del TAR del Veneto, supportata

da una univoca giurisprudenza, anche di appello, la determinazione di proporre gravame

appariva sfornita di qualsivoglia appiglio giuridico ragionevole. Di fatti la proposta di delibera e

l’annesso parere favorevole di regolarità tecnica del 20 aprile 2011, provenienti dal Responsabile

del Servizio Urbanistica, confluiti e annessi alla deliberazione della G.C., n. 65, del 26 aprile 2011,

riportano delle motivazioni inverosimili, che nulla avevano a che vedere con delle reali e credibili

ragioni di gravame, giacché afferenti ad un <<...evolversi della normativa riguardante le procedure

oggetto di ricorso che risultano spesso di difficile e complicata interpretazione e applicazione>>, che non

trovavano alcun riscontro nella sentenza di prime cure e nella copiosa giurisprudenza in essa

richiamata. Di tal ché, al cospetto di una tale deliberazione, non compete alla Corte dei conti

andare a sindacare la scelta dell’Ente locale di spiegare o non l’atto di appello, ma spetta alla stessa

il potere di verifica delle ragioni addotte a fondamento della scelta operata, sopra tutto in ipotesi di

atti amministrativi ingiustificati e irrazionali (cfr. Corte di Cass. S.U. civili, 14 maggio 2014,

n.10416). Pertanto, il limite della insindacabilità non sussiste, e dunque non può essere invocato

dai presunti responsabili del danno, allorché le scelte discrezionali, dalle quali sia derivato il

presunto nocumento patrimoniale, siano contrarie alla legge o si rivelino gravemente illogiche,

arbitrarie, irrazionali, irragionevoli o contraddittorie, atteso altresì che la predetta insindacabilità

concerne la valutazione delle scelte tra più comportamenti legittimi attuati per il soddisfacimento

dell’interesse pubblico perseguito e non ricomprende, al contrario, le scelte funzionalmente

deviate rispetto al superiore e fondamentale principio del buon andamento (cfr. ex aliis Corte di

conti, Sez. 1^ di app., n. 346/2008, Sez. Abruzzo n. 67/2005, Sez. Veneto n. 938/2004, Cons. di

Stato, Sez. IV, n. 4409/2003). Più in generale, la giurisprudenza (Ordinaria di legittimità e della

Corte dei conti) ha affermato che <<...il comportamento contra legem del pubblico amministratore non è

mai al riparo dalla valutazione giurisdizionale non potendo esso costituire esercizio di scelta discrezionale

insindacabile>> (cfr. Corte di Cass. S.U. civili, 27 febbraio 2008, n. 5083, id. 28 marzo 2006, n. 7024, e

Corte dei conti, Sez. 2^ centr. di app., 08 giugno 2015, n. 296). E ciò in quanto, nel merito

amministrativo insindacabile, confluiscono solo quelle possibilità decisionali compatibili con “...i

principi di ragionevolezza che devono sempre innervare la scelta discrezionale, criteri che se non rispettati, la

rendono un dannoso arbitrio” (così Corte dei conti, Sez. Molise, 15 dicembre 2008, n. 178). A tali

premesse consegue il rigetto della questione sollevata.

[5] Respinte le questioni pregiudiziali, nel merito il libello, per il Collegio, integra, con le

precisazioni e nei termini di seguito esposti, i presupposti di legge per far luogo a una pronuncia

di condanna per responsabilità amministrativa a carico dei prevenuti, con l’eccezione dell’Avv.

Tommasini Flavio, la cui posizione non raggiunge il minimo di colpa grave previsto dalla legge a

tali fini.

La Sezione, preliminarmente, non ritiene di dovere ammettere la prova per testi chiesta da

quest’ultimo, giacché la documentazione agli atti del fascicolo processuale, comprensiva delle

30

audizioni dei presunti responsabili e di altri soggetti coinvolti nella vicenda e non evocati, è da

ritenersi idonea a chiarire anche gli aspetti denunciati dal predetto, in ordine alla conoscibilità,

integrale o non, da parte dei componenti la Giunta, del parere formulato dal Prof. Domenichelli

Vittorio con lettera del 07 aprile 2011, indirizzata al Sindaco Franceschini, e alla partecipazione del

Segretario comunale all’adunanza del 26 aprile 2011, di approvazione della delibera n. 65. Di tal

ché, si ravvisa di non dover ammettere altri mezzi di prova, per essere quelli acquisiti al processo -

di natura documentale - già sufficienti ai fini della sua definizione (Cass. SS.UU. 19704, del 13

novembre 2012).

Ciò posto, rileva il Collegio la ricorrenza in ipotesi di un duplice ingiusto danno a carico del

comune di Lazise a ragione di condotte gravemente colpose, violative degli obblighi di servizio,

poste in essere dai componenti la Commissione di gara, e dal Sindaco Franceschini che, in qualità

di assessore del ramo, nel gestire in proprio l’affare del ricorso in appello, ha dismesso lo

svolgimento di ogni attività di indirizzo politico, per spiegare in concreto, unitamente all’Ing.

Lovato, una funzione amministrativa con tutte le inevitabili conseguenze per le scelte operate.

La prima fattispecie di pregiudizio, in termini materiali, è la risultante della condotta, atteso

che diversamente da quanto opinato nelle difese di taluni dei convenuti la Corte non conosce in

via principale di atti amministrativi, ma di fatti e comportamenti, tenuta dai Commissari di gara,

Geom. Bizzocoli Alberto, nella veste di Presidente, Geom. Zanini Giuseppe e Rag. Antonelli

Mauro nella veste di componenti, i quali, nella prima seduta del 05 settembre 2007, incorrevano in

una palese illegittimità per il fatto di avere aperto le buste delle offerte pervenute in seduta segreta.

Un tale comportamento era a porsi in contrasto con i principi di trasparenza e imparzialità che

impongono la pubblicità, a tutela della par condicio, delle sedute iniziali delle commissioni

dedicate per l’appunto all’apertura dei plichi contenenti le offerte, siccome previsti sia dall’art. 2

della Direttiva 2004/18/CE, del 31 marzo 2004: <<Le amministrazioni aggiudicatrici trattano gli

operatori economici su un piano di parità, in modo non discriminatorio e agiscono con trasparenza>>, sia

dall’art. 2, comma 1, del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163:<<L’affidamento...di opere e lavori pubblici...deve

altresì rispettare i principi di...parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza,

proporzionalità...>>. Quello della trasparenza è un principio diverso dalla pubblicità, che ha un

contenuto per cosi dire statico volendosi con esso comunicare l’azione del potere pubblico, mentre

il primo denota un contenuto dinamico, di interazione tra il pubblico e il privato, esprimente la

possibilità di quest’ultimo di comprendere l’azione dell’amministrazione al fine di poterne

verificare la legittimità, la correttezza e l’imparzialità. In specie, la pubblicità delle sedute di gara si

consegue garantendo ai concorrenti la possibilità di partecipare materialmente alle operazioni di

verifica e di valutazione, obbligo che con riguardo alle sedute delle Commissioni afferisce

esclusivamente alla fase di apertura dei plichi contenenti la documentazione e l’offerta economica

dei partecipanti, stadio che può implicare l’adozione di decisioni suscettibili di riverberarsi sulla

partecipazione dei concorrenti alla gara stessa. Ipotesi che, in concreto, poteva verificarsi, atteso

31

che la Commissione, in data 05 settembre 2007, ha riscontrato che il plico n. 2, presentato dallo

“Studio R.T.I. e P. dott. Endri Orlandini – Igeam s.r.l” di Roma, risultava essere stato aperto

erroneamente dall’Ufficio protocollo e protocollata la busta contenente l’offerta economica: in tale

circostanza il Collegio di gara ha proceduto all’ammissione del predetto concorrente. E in ragione

di tali eventuali ripercussioni, il principio di pubblicità delle sedute di gara per la scelta del

contraente, da parte della Stazione appaltante, è stato ritenuto dalla Giurisprudenza

amministrativa uniforme (cfr. Cons. di Stato, Sez. VI, 30 settembre 2008, n. 4699, Tar Piemonte, Sez.

II, 18 febbraio 2010, n. 990, Tar Molise, 28 gennaio 2010, n. 102, Tar Basilicata – Potenza, Sez. I, 06

aprile 2011, n. 162, Tar Campania – Salerno, Sez. I, 29 aprile 2011, n. 805, Cons. di Stato, Sez. V, 20

aprile 2011, n. 2447, id. Sez. IV, 07 febbraio 2011, n. 821) inderogabile per ogni tipo di gara, almeno

per quanto riguarda la fase di verifica dell’integrità dei plichi contenenti la documentazione

amministrativa e l’offerta economica e di apertura dei plichi stessi. E ciò risponde all’esigenza di

tutela non solo della parità di trattamento dei concorrenti, ai quali deve essere permesso di

effettuare gli opportuni riscontri sulla regolarità formale degli atti prodotti e di avere così la

garanzia che non siano successivamente intervenute indebite alterazioni, ma anche dell’interesse

pubblico alla trasparenza ed all’imparzialità dell’azione amministrativa, le cui conseguenze

negative sono difficilmente apprezzabili ex post una volta rotti i sigilli ed aperti i plichi, in

mancanza di un riscontro immediato (prova ne era quanto avvenuto nell’ipotesi a giudizio). Di

fatti la violazione del principio di pubblicità della gara reca quale inevitabile conseguenza, come

affermato dalla consolidata giurisprudenza amministrativa, l’invalidità derivata di tutti gli atti

della stessa, compreso l’atto di aggiudicazione, e il loro conseguente annullamento (in tale senso

Tar Piemonte, Sez. III, 10 aprile 2003, n. 532, Tar Lazio, Sez. II bis, 10 ottobre 2006, n. 10239, Cons.

di Stato, Sez. IV, 14 maggio 2007, n. 2426, id. Sez. V, 18 marzo 2004, n. 1428, Tar Latina, 27 febbraio

2008, n. 125). Ora, la condotta omissiva dei componenti la Commissione di gara, integrante una

violazione di legge, quand’anche soggettivamente integrata dalla colpa grave, non è di per sé fonte

di danno giustiziabile, salvo che non si dimostri che da tale infrazione siano discesi effetti lesivi

degli interessi patrimoniali dell’Ente, come nell’ipotesi dell’insorgenza di ingiusti oneri riflessi o

diretti incidenti sul bilancio dello stesso, a ragione dell’insussistenza di un interesse pubblico alla

erogazione disposta (cfr. Corte dei conti, Sez. 2^ centr. di app., 24 gennaio 1997, n.11). E così è

stato, dappoiché dalla violazione del fondamentale obbligo di pubblicità e trasparenza nella seduta

del 05 settembre 2007, dedicata all’apertura dei plichi contenenti la documentazione e l’offerta

economica dei partecipanti, sono derivati il ricorso al Tar del Veneto dell’A.T.I., rappresentata

dall’Arch. Sbrogiò Roberto, e la sentenza n. 402, dell’11 marzo 2011, che dopo aver respinto il

ricorso incidentale, prodotto dall’aggiudicataria A.T.I. rappresentata dallo Studio Arch. Tombolan

Piergiorgio, tendente a far dichiarare che il ricorrente principale non avrebbe neppure dovuto

essere ammesso alla gara, in accoglimento della domanda principale annullava l’intera procedura

senza, tuttavia, disporne la ripetizione, atteso che l’incarico oggetto di gara risultava già all’atto

32

della proposizione del ricorso, in dicembre 2007, ampiamente espletato, e condannava il comune

di Lazise al risarcimento, in favore del ricorrente, delle spese da esso sostenute per la redazione e

presentazione dell’offerta afferente il Piano di Assetto Territoriale (P.A.T.), liquidate nella misura

di € 08.000,00 (a fronte di una richiesta attorea di € 34.920,00), oltre interessi di legge e spese di

giudizio. Nella sentenza del Tar del Veneto da una parte si dava conto della violazione del

principio di trasparenza ed imparzialità che impone la pubblicità, a tutela della par condicio, delle

sedute iniziali delle commissioni dedicate alla apertura dei plichi contenti le offerte, dall’altra si

richiamava la <<...granitica giurisprudenza che si è nel tempo consolidata sul punto, senza alcuna

distinzione a seconda del tipo di procedura posta in essere, e cioè senza che sia consentito ritenere che per le

procedure negoziate, come nella specie, e cioè caratterizzate da una certa informalità e da una particolare

snellezza, non via sia il suddetto obbligo di trasparenza e imparzialità al momento iniziale di apertura dei

plichi..., salva comunque, in ogni caso di procedure con il criterio dell’offerta più vantaggiosa, la legittimità

delle sedute segrete per l’esame delle offerte tecniche (si richiamano, tra le tante, Cons. di Stato V, 7470/10,

45/07; VI, 1856/08; Tar Piemonte, II, 3937/10, e infine, di questo Tar, la recentissima pronuncia n.

5525/10)>>. Quanto, invece, alla circostanza che sul punto nulla fosse previsto dalla legge di gara,

censura ribadita nella memoria di costituzione degli odierni convenuti, Zanini e Antonelli, nel

senso che l’avviso pubblico, lex specialis di gara redatto dal responsabile dell’Ufficio edilizia

privata, “...non conteneva alcuna indicazione in ordine a specifiche regole da rispettare in sede di apertura

delle buste” (pag. 9), il Tar del Veneto affermava, con motivazione ampiamente condivisibile da

parte del Collegio, che <<...in presenza di un obbligo sancito in via generale dalla normativa di legge e dai

principi cui questa fa capo (cfr. art. 2 del codice appalti) la commissione era comunque tenuta a rispettare

l’obbligo in questione, alla luce del criterio generale in base al quale, in caso di norme cogenti e non

derogabili, queste vanno applicate indipendentemente dal loro richiamo o meno nella lex specialis (principio

cosiddetto di eterointegrazione), senza, naturalmente, che sia necessario impugnare il mancato richiamo delle

stesse nella suddetta lex specialis (cfr. di questo Tar, in termini, I, n. 619/06)>>. In sintesi, la valenza

cogente del suddetto canone di pubblicità delle sedute conseguiva al carattere inderogabile dei

principi di cui lo stesso costituiva espressione, non rilevando che “...né la lettera di invito né il

capitolato speciale di appalto abbiano stabilito alcunché circa la pubblicità o non delle sedute della

commissione, trattandosi di principio generale direttamente applicabile...” (così Cons. di Stato, Sez. V, 04

marzo 2008, n. 901). Ne conseguiva, pertanto, che la costituzione degli esborsi, seguiti al giudizio

dinanzi al Tar del Veneto, non poteva che essere ricondotta ai componenti la commissione di gara,

oggi evocati, che il 05 settembre 2007, hanno consumato l’illegittimità di aprire in seduta segreta le

buste delle offerte dei concorrenti: il danno erariale, infatti, è derivato da tale violazione di legge,

riverberatasi poi sul provvedimento di aggiudicazione della gara annullato dal Tar del Veneto. In

sostanza, le regole dianzi richiamate vincolavano rigidamente l’operato della Commissione di

gara, nel senso che questa doveva limitarsi all’applicazione di quelle, senza che residuasse in capo

alla stessa alcun margine di discrezionalità nella loro interpretazione, segnatamente quando il

33

significato delle clausole e dei principi in esse trasfusi è chiaro ed insuscettibile di diverse opzioni

ermeneutiche, e nella loro attuazione, al fine principale della tutela della par condicio dei

concorrenti. Per ciò, in base al c.d. principio della causalità adeguata, agli odierni convenuti,

dipendenti del comune di Lazise e componenti della Commissione di gara, sono imputabili gli

effetti pregiudizievoli del comportamento materiale omissivo tenuto, che si realizzano,

normalmente, secondo “l’id quod plaerunque accidit”, in quanto prevedibili ex ante nelle condizioni

di effettivo svolgimento della vicenda di gara, senza l’incidenza di fattori eccezionali (cfr. Corte dei

conti, Sez. 1^, 09 ottobre 1991, n. 303, id. Corte di Cass., Sez. II civile, 24 aprile 2012, n. 6474). Il

comportamento tenuto dai prevenuti, in cui i tempi contrassegnati dall’urgenza, di nomina della

Commissione in data 04 settembre 2007 e di indizione della prima seduta per il 05 settembre

seguente, non possono assurgere, pur incidendo sulquantum da addebitare (e di cui in seguito), a

scriminante delle conseguenti responsabilità, era da considerarsi causa dell’evento (ricorso al Tar e

conseguente ingiusto esborso di somme a carico delle comune di Lazise) giacché quest’ultimo al

momento in cui la Commissione di gara ha aperto i plichi contenenti le offerte in seduta segreta,

poteva considerarsi prevedibile come conseguenza verosimile di esso secondo il quadro

conoscitivo (id est: i parametri di scienza ed esperienza) ex ante disponibili. I convenuti Zanini e

Antonelli erano per ciò tenuti a verificare l’avvenuta comunicazione di data ed ora della prima

seduta della Commissione ai partecipanti alla gara, sopra tutto una volta resisi conto che alla

seduta c.d. pubblica non assisteva alcuno dei concorrenti, mentre non risultava documentalmente

provato che il Geom. Bizzocoli, nella veste di Presidente della Commissione in tale prima seduta,

avesse loro dato assicurazione che i partecipanti alla gara fossero stati debitamente informati. Di

tal ché, il comportamento degli stessi risultava caratterizzato da un grado di diligenza, prudenza e

perizia decisamente inferiore allo “standard” minimo professionale e tale da rendere prevedibile o

probabile il concreto verificarsi dell’evento dannoso per cui è causa. Vieppiù alla luce della

considerazione che l’agire come portatore di un determinato ruolo sociale o professionale (in

specie l’essere investiti del ruolo di componente di una Commissione di gara) comporta

l’assunzione della responsabilità di saper riconoscere ed affrontare le situazioni ed i problemi –

anche di interpretazione delle norme giuridiche di riferimento – inerenti a quel ruolo secondo lo

“standard” di diligenza, di capacità e di conoscenze richiesto per il corretto svolgimento di quel

ruolo medesimo. Con l’inevitabile corollario che se le capacità dell’autore concreto, per ragioni di

tempo, di luogo, di perizia professionale (come invocato dai patroni dei suddetti che ad es.

escludevano che Zanini avesse la qualifica di esperto in gare di appalto e Antonelli in quella di

contratti), fossero state inferiori a quelle dell’agente modello, la regola della diligenza avrebbe

imposto di astenersi dallo svolgimento dell’attività e il mancato rispetto di tale regola di diligenza

non poteva che tradursi in una contestazione in sede erariale, determinando la c.d. colpa per

assunzione. Quindi, in specie, è dato rinvenire il profilo soggettivo della colpa grave nella condotta

tenuta dai due componenti la Commissione di gara, che si realizza “...secondo la consolidata

34

giurisprudenza di questa Corte, quando sia posto in essere un atteggiamento di grave negligenza

nell’espletamento delle proprie funzioni e di deviazione dal modello di condotta connesso ai propri profili” (ex

multis, Sez. 1^ di app., 11 luglio 2013, n. 513, id. Sez. 3^ centr. di app., 03 agosto 2011, n. 596, con la

copiosa giurisprudenza ivi richiamata). A tal riguardo la distinzione tra colpa lieve e colpa grave

(così come elaborata, quindi sovrapponibile all’azione compiuta), si ottiene rapportando il

comportamento in concreto osservato dall’agente, in specie l’apertura delle buste delle offerte

senza avere avvertito i partecipanti, con quello che sarebbe stato necessario in ossequio alle

specifiche prescrizioni normative, ovvero desumibili da comuni regole di cautela o da principi di

buona amministrazione. E in ipotesi la macroscopica contraddizione tra il comportamento tenuto

nella specifica circostanza dai componenti della Commissione di gara, oggi evocati, e quello

imposto, quale minimum, dalle norme giuridiche comunitarie e interne inderogabili dianzi

richiamate, non poteva dirsi scriminato dal c.d. errore scusabile, atteso che il concetto di scusabilità

di massima è invocabile al cospetto di norme non chiare sulle quali si è formata giurisprudenza di

segno contrastante, oscillante sul tema (cfr. Corte dei conti, Sez. 2^ di app., 02 giugno 1997, n.

64/A, id. Sez. Lazio, n. 957/2009). In breve, i presupposti per il riconoscimento dell’errore

scusabile, da interpretare in ogni caso con estremo rigore, pena l’affievolimento dell’azione di

responsabilità erariale, sono individuabili esclusivamente nella oscurità del quadro normativo,

nelle oscillazioni della giurisprudenza, in comportamenti ambigui dell’amministrazione,

nell’ordine del giudice di compiere un determinato adempimento processuale in violazione di

principi, disposizioni e termini effettivamente previsti dalla legge, nel caso fortuito e nella forza

maggiore, tutte ipotesi che non è dato rinvenire nella fattispecie a giudizio.

In conclusione, il Geom. Zanini e il Rag. Antonelli non hanno posto in essere quella diligenza

minima, ovvero quello sforzo possibile, e da loro oggettivamente pretendibile, che avrebbe

impedito il verificarsi dell’evento di danno, non intendendo quello che tutti normalmente

intendono:<<Nimia negligentia, id est non intelligere quod omnes intelligunt” (brocardo ulpianeo). Il

danno erariale conseguente, non avversato dalle parti nel quantum allegato dal P.M. e sul quale il

Collegio non nutre riserve, risultava dalla documentazione versata in atti pari ad € 18.508,52, di

cui € 08.374,26, per risarcimento danni ed interessi dall’11 marzo 2011, di deposito della sentenza

n. 402/2011, ed € 10.134,26, per le complessive spese legali sostenute nel giudizio di prime cure.

Purtuttavia lo stesso, giacché la responsabilità a titolo di colpa grave è parziaria, nel senso che

ognuno risponde nei termini e nella misura in cui ha contribuito a causare il danno, non può

interamente imputarsi ai due convenuti. Com’è noto l’art. 1, comma 1 bis, della legge n. 20/1994,

ha riconfermato l’esistenza del potere riduttivo, oggi invocato dai componenti la Commissione, in

capo alla Corte dei conti, già disciplinato dall’art. 52, del Testo Unico n. 1214/1934 (ma anche

dall’art. 83, 2^ comma, del R.D. 28 novembre 1923, n. 2440), ed ha previsto che il Giudice contabile:

<<...valutate le singole responsabilità può porre a carico dei responsabili tutto o parte del danno accertato o

del valore perduto>>. Il fondamento di tale potere presenta alcune analogie con quello riconosciuto

35

al Giudice penale nella fase di quantificazione della pena, ai sensi degli artt. 132 e 133 del codice

penale, flettenti le circostanze oggettive e soggettive (quali le modalità dell’azione, le motivazioni

della condotta, l’assenza di precedenti, le condizioni individuali), e trova la sua ratio nella

particolare natura della responsabilità amministrativa, in cui convergono profili risarcitori, di

deterrenza e sanzionatori. Sull’esercizio di tale potere, il Giudice delle Leggi, nella sentenza n.

340/2000, ha affermato che <<...l’attenuazione della responsabilità amministrativa, nei singoli casi, è

rimessa al potere riduttivo affidato al giudice che può anche tener conto delle capacità economiche del

soggetto responsabile, oltre che del comportamento, del livello della responsabilità, del danno effettivamente

cagionato>>. L’istituto trova oggi il suo fondamento nel rischio oggettivamente riconducibile

all’attività dell’Amministrazione (cfr. Corte dei conti, Sezione II, sent. n.134/A, del 10 aprile 2001),

in ordine ad aspetti organizzativi generali e/o specifici, che pongano il soggetto legato ad essa da

rapporto di servizio in una situazione di maggiore probabilità di determinare una situazione

dannosa. Pertanto se, come detto, le circostanze in cui si è svolto l’evento dannoso non possono

rilevare ai fini dell’esclusione della colpa grave dei convenuti, componenti la Commissione di gara,

le stesse possono essere, tuttavia, valorizzate in sede di applicazione del potere riduttivo.

Esso va ancorato a circostanze oggettive, che riflettono la situazione nella quale i convenuti

si sono trovati a dover operare, e soggettive, che attengono all’attività sia di terzi che dei medesimi

responsabili.

Quanto alle prime sono da ricordare le circostanze di tempo, di luogo, le difficoltà inerenti

all’esercizio delle funzioni o di qualsiasi altra attività, la rilevante mole e la complessità del lavoro,

l’insufficienza numerica e l’impreparazione professionale del personale, l’urgenza del servizio,

l’eccessiva gravosità dei compiti disimpegnati, la deficienza del modulo organizzativo, la

disorganizzazione dell’Ufficio ove il dipendente presta servizio, etc. Riguardo alle

seconde, meritano di essere richiamate le ipotesi di conformità del comportamento del dipendente

ad una prassi consolidata, gli ottimi precedenti di carriera, la giovane età dell’autore del danno, le

particolari condizioni personali ed economiche del responsabile del danno, il fatto colposo di altri

soggetti non coinvolti in giudizio, la mancanza di esperienza personale.

Il Collegio ravvisa di dover valorizzare, a tal riguardo, sia le circostanze di tempo e di luogo,

determinanti l’urgenza, in cui i convenuti si sono trovati ad operare, sia l’apporto causale

all’evento fornito dal Geom. Bizzocoli, ma non dall’Arch. Parolini, in relazione a una valutazione

meramente delibativa della responsabilità degli stessi. Quanto al primo aspetto, emerge, in tutta la

sua evidenza, che la nomina dei componenti la Commissione è avvenuta con determina n. 36, del

04 settembre 2007, a firma del Geom. Bizzocoli Alberto, nella qualità di responsabile dell’Area

Tecnica – Settore Edilizia Privata, mentre la prima seduta si è svolta l’indomani 05 settembre 2007.

Ora, non vi è chi non veda come l’urgenza della prestazione abbia comportato delle difficoltà

organizzative, addebitabili all’Amministrazione comunale, nelle quali si sono imbattuti i soggetti

36

agenti nell’esercizio della loro attività di componenti della Commissione di gara, poi rivelatasi

produttiva di danno.

Riguardo, invece, alle eventuali responsabilità di terzi, non evocati, ravvisa il Collegio di

dover comunque formulare delle considerazioni nel merito delle suddette chiamate di

corresponsabilità, da rendere come “obiter dicta” e, quindi, nella consapevolezza del carattere non

vincolante per eventuali futuri giudizi atteso l’aspetto meramente delibativo delle stesse. In ipotesi,

la Sezione giudicante ravvisa ricorrente un concorso di responsabilità del Geom. Bizzocoli, la cui

asserita (da parte del Requirente) inesperienza nei procedimenti di gara non gli ha impedito né di

provvedere alla nomina della Commissione, con determina n. 36, del 04 settembre 2007, né

tampoco di presiederne la prima seduta in data 05 settembre 2007, in cui, all’unanimità, si

disponeva, con grave e noncurante negligenza, l’apertura delle buste delle offerte pervenute in

seduta segreta. In sostanza, il dipendente comunale Bizzocoli Alberto, Istruttore geometra cat. “D”,

atteso che “...nel corso di questi anni ha avuto l’occasione di sostituire il responsabile dell’Area Tecnica

Settori Edilizia privata ed Urbanistica, in caso di assenza o di suo impedimento, dimostrando capacità di

proporre, programmare e utilizzare in modo coordinato gli strumenti e le risorse necessarie per il

conseguimento degli obiettivi determinati dagli organi di governo..., di rilevare e prospettare

tempestivamente le esigenze cui il comune di Lazise è chiamato a rispondere; rilevato che...ha tenuto la

titolarità per molti periodi dell’attività di gestione dell’ente e di direzione della struttura organizzativa...”,

con decreto n. 588, dell’8 gennaio 2007, veniva nominato “Vicario responsabile dell’Area Tecnica

Settori Edilizia privata ed Urbanistica”, in caso di assenza, impedimento o su richiesta del

Responsabile titolare Arch. Parolini Arturo, con conferimento di <<...posizioni di lavoro caratterizzate

da elevate autonomie ed esperienza che comportano attività di staff e di studio, ricerca, ispezione e

controllo...>>, attività per le quali veniva riconosciuto allo stesso un ben preciso valore economico

annuale. Di tal ché, non appariva affatto credibile che il Bizzocoli non sapesse che nelle procedure

negoziate, ristrette o aperte, occorreva convocare i concorrenti per aprire i plichi recanti le offerte,

sia perché una tale ipotesi mal si coniuga con il ruolo rivestito di Presidente della Commissione, sia

perché (come dianzi evidenziato) l’agire come portatore di un determinato ruolo sociale o

professionale (in specie l’essere investito del ruolo di Presidente di una Commissione di gara)

comporta l’assunzione della responsabilità di saper riconoscere ed affrontare le situazioni ed i

problemi – anche di interpretazione delle norme giuridiche di riferimento – inerenti a quel ruolo

secondo lo “standard” di diligenza, di capacità e di conoscenze richiesto per il corretto svolgimento

di quel ruolo medesimo. In conclusione, i componenti la Commissione di gara devono essere tutti

in possesso di “adeguate professionalità” e, quindi, competenti in ipotesi nello specifico settore cui

si riferisce l’affidamento dell’incarico professionale per la realizzazione del Piano di Assetto

Territoriale (P.A.T.), dovendo essere in grado di effettuare idonee valutazioni in relazione

all’oggetto dell’appalto (cfr. Cons. di Stato n. 7353/2009), con l’inevitabile corollario che una

illegittima composizione della commissione, in quanto mancante della specifica qualificazione

37

professionale, renderebbe invalida, travolgendola, l’intera procedura di gara. Riguardo, invece,

all’Arch. Parolini Arturo, la Sezione è del parere di doverne escludere un proprio significativo

apporto causale alla vicenda a giudizio. Primariamente quest’ultimo non ha contribuito a

determinare l’illegittimità consumata dalla Commissione nella prima seduta del 05 settembre 2007,

in quanto materialmente assente per legittima fruizione di un periodo di ferie. La sua chiamata di

correità deriverebbe allora dalla circostanza di non aver riparato, alla violazione di legge da altri

commessa, nelle successive due sedute della Commissione, dal medesimo presiedute, e di aver

dato corso, con determinazione n. 37, del 24 settembre 2007 (provvedimento definitivo di

aggiudicazione), all’affidamento dell’incarico professionale per la redazione del P.A.T. Ora, non

sfugge al Collegio che la Commissione di gara è organo temporaneo e straordinario

dell’amministrazione aggiudicatrice, con compiti essenzialmente tecnici, e la cui attività acquisisce

rilevanza esterna in quanto recepita ed approvata dai competenti organi dell’amministrazione

stessa. Per ciò la sua funzione si esaurisce con l’approvazione del proprio operato da parte di

quest’ultima e, quindi, con il provvedimento di aggiudicazione definitiva, in specie emanato

dall’Arch. Parolini non in quanto presidente della stessa ma in quanto Responsabile (titolare)

dell’Area Tecnica - Settore Edilizia Privata ed Urbanistica. E sino a tale momento (fase) è in facoltà

della Commissione (non del Presidente) di poter riesaminare il proprio operato nell’esercizio del

potere di autotutela, anche riaprendo il procedimento per emendarlo da errori commessi e da

illegittimità verificatesi (così Cons. di Stato n. 7042/2009, n.1628/2011). In specie, la mancata

rilevazione (da parte dei componenti la Commissione e, quindi, anche da parte del Presidente),

dell’illegittimità consumata nella prima seduta del 05 settembre 2007, è da ricollegare,

verosimilmente, alle conseguenze che ciò poteva comportare sia in termini di oneri ulteriori, per il

rinnovo della gara, delle offerte e, quindi, per l’apertura di un probabile contenzioso, sia in punto

di protrazione per un tempo incerto del procedimento di adozione del P.A.T.. Aspetti, questi,

certamente influenti sul contegno psicologico dell’Arch. Parolini, che non poteva dirsi connotato

da colpa grave, con valutazione da eseguire ex ante, ossia senza considerare il contenzioso

successivamente indotto dall’apertura delle buste in seduta segreta. Per tutte le ragioni dianzi

esposte ravvisa il Collegio che l’entità del pregiudizio da porre a carico dei convenuti Zanini

Giuseppe e Antonelli Mauro, che i medesimi sono tenuti a risarcire nei confronti del comune di

Lazise, può ragionevolmente determinarsi in € 03.500,00cadauno, oltre rivalutazione monetaria,

secondo gli indici ISTAT, a far tempo dal 1° aprile 2008, data del primo mandato di pagamento in

favore dell’Avv. Domenichelli Vittorio, e sino alla data di deposito della presente sentenza, e

interessi di legge da tale ultima data al soddisfo.

La seconda ipotesi di ingiusto danno, pari ad € 10.737,00, è la risultante delle spese legali e

di giustizia, di cui è stato onerato il comune di Lazise, risultato soccombente nel gravame della

sentenza n. 402/2011, deliberato in data 26 aprile 2011 dalla Giunta comunale, di cui facevano

parte, tra gli altri, il Sindaco Franceschini Renzo, con delega all’Urbanistica e all’Edilizia, e

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l’Assessore alla Sicurezza ed alle Infrastrutture Turistiche Tommasini Flavio, su proposta del

Responsabile del servizio, Ing. Lovato Luigi Paolo.

Sul punto, il Collegio non ignora che un consolidato orientamento della giurisprudenza

erariale (ex aliis, Corte dei conti Sez. 2^ centr. di app., 03 novembre 2003, n. 303) ravvisa che la

scelta fatta da un comune - nell’intendimento di curare i propri interessi – di intraprendere

un’azione giudiziale ovvero di resistere alla stessa, intentata da altri, attenga alla sfera della

discrezionalità, e, quindi, di per sé, non conduce a perseguire, indipendentemente dall’esito della

lite, gli autori della scelta sotto il profilo della responsabilità amministrativa, tenuto anche conto

che una ragionevole soglia di rischio è comunque implicita in ogni difesa legale, pur tuttavia la

insindacabilità delle scelte operate diventa recessiva e permeabile al controllo di questo Giudice

ove presenti, come in specie, palesi errori di fatto, aspetti di manifesta irrazionalità ed

irragionevolezza ovvero evidenti contraddizioni logiche (tra le tante Cons. di Stato, Sez. IV, 30

luglio 2003, n. 4409, id. Sez. V, 08 agosto 2005, n. 4207). Di tal ché, atteso “...che la discrezionalità

amministrativa non può diventare uno strumento di legittimazione per scelte arbitrarie o irragionevoli” (cfr.

Corte dei conti, Sez. II centr. di app., 08 giugno 2015, n. 296), si rende necessario verificare se i

comportamenti dei convenuti, per tale posta di pregiudizio, siano stati caratterizzati da tale

avventatezza da travalicare qualsiasi limite di normale prudenza, proseguendo in un contenzioso

assolutamente velleitario, pretestuoso e destituito di qualsiasi fondamento. Ora, una tale

irragionevolezza non consegue, quale mero automatismo, alla soccombenza nel giudizio di prime

cure, proprio perché essa va accertata attraverso un’indagine ex ante, dovendo fare riferimento alla

situazione di fatto e di diritto esistente al momento in cui venne adottata la deliberazione di

autorizzazione a ricorrere in appello e tenuto conto del margine di aleatorietà sempre insito in ogni

contesa giudiziaria. In ragione di tanto, il Collegio ravvisa ricorrere i connotati della palese

irragionevolezza e della mera pretestuosità nelle condizioni (dagli stessi create) in cui il dirigente

dell’Ufficio tecnico e gli amministratori, oggi convenuti, approntarono e adottarono ogni decisione

relativa al gravame al Consiglio di Stato. Al riguardo, poiché i principi di trasparenza e

imparzialità, come dianzi esposto, imponevano l’obbligatoria apertura delle buste delle offerte in

seduta pubblica, e che i suddetti e le norme in cui erano trasfusi (art.2 della Direttiva 2004/18/CE

sugli appalti, e art. 2 del Codice degli appalti pubblici) avevano carattere cogente ed inderogabile,

operante anche nel silenzio della legge di gara sul punto, poiché questa avrebbe dovuto in ogni

caso ritenersene integrata, e senza distinzione a seconda del tipo di procedura in corso, e quindi

anche alle procedure negoziate, attesa la “...granitica giurisprudenza che si è nel tempo consolidata sul

punto...” (così sentenza di prime cure del Tar del Veneto, n. 402/2011), non smentita da alcun

minoritario orientamento giurisprudenziale (in quanto la sent. n. 6250, del 17 dicembre 2001, del

Consiglio di Stato, riguardava argomento diverso dall’apertura dei plichi delle offerte in seduta

segreta, come di seguito), non vi è chi non veda come la decisione di ricorrere in appello fosse del

tutto speciosa ed irragionevole. E ciò traspariva, innanzi tutto, dagli atti attraverso i quali si è

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pervenuti a una tale determinazione. In primo luogo, l’Ing. Lovato, Responsabile del relativo

servizio, dopo aver precisato in preambolo che “...su disposizioni impartitemi direttamente dal Sig.

Sindaco, avanza la proposta di deliberazione in oggetto indicata:...”, proponeva alla Giunta comunale di

autorizzare il Sindaco a ricorrere in appello contro la sentenza del Tar del Veneto n. 402/2011,

visto <<l’evolversi della normativa riguardante le procedure oggetto di ricorso che risultano spesso di

difficile e complicata interpretazione e applicazione>> e <<...al fine di tutelare il proprio operato attraverso

la corretta interpretazione della procedura da parte della struttura comunale>>. Tale proposta recava

altresì il parere favorevole di regolarità tecnica a firma dello stesso Responsabile del servizio

nonché il visto del Segretario comunale in quanto trattavasi di allegato della deliberazione di

Giunta. Ora, dovendo fare una valutazione a monte della scelta, ossia ex ante, una simile

motivazione, oltre ad essere smentita da quanto sinora detto in ordine ai principi di trasparenza e

pubblicità aventi quale inderogabile corollario quello dell’apertura dei plichi contenenti le offerte

al cospetto dei partecipanti alla gara, non integrava, neanche in apparenza, alcuna ragione

plausibile a supportare l’appello al Consiglio di Stato. La proposta di delibera, almeno per quanto

è dato rilevare da essa in termini letterali, recava una motivazione inattendibile e inveritiera, che

palesava come la stessa non fosse stata preceduta da un’adeguata istruttoria procedimentale

comportante una valutazione comparativa di tutti gli interessi in gioco atta a consentire che la

scelta finale potesse costituire il coerente epilogo di un percorso logico ed argomentativo

ampiamente ponderato. A tal riguardo l’art. 49, del d.lgs. n. 267, del 18 agosto 2000, ha previsto

che “Su ogni proposta di deliberazione sottoposta alla giunta o al consiglio che non sia mero atto di indirizzo

deve essere richiesto il parere, in ordine alla sola regolarità tecnica, del responsabile del servizio interessato e,

qualora comporti riflessi diretti e indiretti sulla situazione economica – finanziaria o sul patrimonio

dell’ente, del responsabile di ragioneria in ordine alla regolarità contabile...” (comma 1°). Di tal ché, tali

soggetti “...rispondono in via amministrativa e contabile dei pareri espressi” (comma 3^). Ora, mentre

deve ritenersi del tutto ininfluente sul pregiudizio odierno la condotta di Antonelli Mauro,

Responsabile del Servizio finanziario, che ha fornito il parere di regolarità contabile, in quanto

chiamato a verificare la legittimità della spesa (in questo caso della spesa a ricorrere in appello,

indicativamente determinata in € 07.000,00) con riferimento alla pertinenza della stessa

all’esercizio delle funzioni istituzionali espletate, non spettando al responsabile dell’area

economico – finanziaria valutazioni di legittimità generale ma valutazioni solo riferite alla

regolarità contabile qualora la deliberazione proposta comporti impegno di spesa, come in ipotesi,

o diminuzione di entrata, al contrario ciò non è possibile sostenere per il Responsabile del Servizio

Urbanistica, Ing. Lovato Luigi Paolo, che oltre ad aver formulato la proposta di deliberazione ha

supportato favorevolmente la stessa con il proprio parere di regolarità tecnica, certificante la

regolarità dell’atto sotto il profilo del corretto svolgimento dell’istruttoria e dell’idoneità dello

stesso a conseguire gli obiettivi dell’azione amministrativa dell’Ente. Di tal ché, il funzionario

comunale che rende tale parere deve considerarsi pienamente partecipe al procedimento di

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formazione della deliberazione considerata. Ora, il suddetto parere benché, come risultante dalla

formulazione letterale del comma 1, dell’art. 49 cit., obbligatorio, e in quanto tale la sua omissione

determina l’illegittimità dell’atto sotto il profilo della violazione di legge, riguardo al suo

contenuto non assumeva carattere vincolante, non ponendo alcun limite alla potestà deliberante

della Giunta, che ben poteva liberamente disporre del contenuto della deliberazione (così tra le

tante Tar della Campania, Sez. I, 09 marzo 2009, n. 1320). In specie, ciò non accadeva, in quanto la

Giunta Municipale, considerato “...che i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche addotte quale

motivazione sono idonei a determinare l’emanazione di siffatto provvedimento...”, ritenuto “...di far propria

la motivazione della proposta di deliberazione ritenendola meritevole di approvazione...”, approvava la

deliberazione n. 65, del 26 aprile 2011, secondo il testo integrale della proposta. In sostanza, si

ravvisavano presenti in quest’ultima adeguate ragioni giuridiche a supporto del promovimento

dell’atto di appello, che l’atto stesso invece non riportava. Cosicché, poiché la Giunta non risultava

vincolata da una tale proposta, ben potendo disporre del contenuto della deliberazione, nel

momento in cui ha fatto propria una tale motivazione, fittizia e destituita di qualsivoglia

fondamento, ed ha approvato, da parte dei suoi componenti presenti, la deliberazione nel suo testo

integrale, non poteva invocare alcuna esimente politica a propria discolpa, dappoiché l’atto di

autorizzazione a resistere o ad agire in giudizio, anche in sede di gravame, era da considerarsi di

propria competenza, a meno che lo statuto non riservasse ai soli dirigenti il rilascio al Sindaco

dell’autorizzazione (ex aliis, Cons. di Stato, Sez. IV, 05 luglio 1999, n. 1164). In specie, l’art. 20 dello

Statuto del comune di Lazise (approvato con deliberazioni del Consiglio comunale 06 luglio 1991,

n. 42 e 17 dicembre 1991, n. 100, modificato con delibere del Consiglio n. 58, del 06 agosto 2009 e n.

12, del 18 marzo 2015), richiamato altresì nella proposta di deliberazione formulata dall’Ing.

Lovato, ha previsto che <<(...). La Giunta, in particolare, nell’esercizio di attribuzioni di governo: (...); l)

autorizza il Sindaco a stare in giudizio come attore o convenuto>>. Di tal ché, “...Quando deliberino

nell’ambito delle proprie competenze, gli organi collegiali di natura politica non possono andare esenti da

responsabilità amministrativo – contabile, ai sensi della speciale esimente prevista dall’art.1, comma 1 ter,

della legge 14 gennaio 1994, n. 20, che invero opera esclusivamente in riferimento a deliberazioni di ratifica o

approvazione di atti e provvedimenti di competenza degli uffici amministrativi e tecnici dell’Ente” (così

Corte dei conti, Sez. II centr. di app., 03 novembre 2003, n. 303), ipotesi, queste ultime, non

ricorrenti in fattispecie. In conclusione, la scriminante politica della responsabilità erariale, prevista

dalla disposizione positiva dianzi richiamata, in favore dei titolari di organi politici che abbiano

approvato o fatto eseguire in buona fede atti ricompresi nelle competenze di uffici tecnici o

amministrativi, operava soltanto in tale ipotesi, non al cospetto di deliberazioni rientranti nelle

competenze proprie dell’organo collegiale Giunta, e in presenza di atti afferenti materie di

particolare difficoltà tecnica o giuridica, “...dovendosi altrimenti ritenere che l’evidenza dell’erroneità

dell’atto sia tale da escludere la stessa buona fede dei titolari dell’organo politico” (così Sez. II, n. 303/2003

cit.). Di tutta evidenza, per ciò, che in specie non può invocarsi il principio di separazione tra

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funzioni di indirizzo politico e funzioni gestorie per farne discendere una sostanziale

deresponsabilizzazione dei componenti la Giunta del comune di Lazise, che con deliberazione n.

65, del 26 aprile 2011, hanno autorizzato il Sindaco a ricorrere al Consiglio di Stato, sulla base di

una proposta recante una motivazione apparente, e la cui palese erroneità escludeva la buona fede

dei votanti favorevolmente. Pertanto, risultava, allo stato degli atti, di palmare evidenza il

contributo causale della G.M. nella seconda posta di danno, siccome integrata dalle spese legali e

di giustizia sostenute dal comune di Lazise in conseguenza dell’esperito ricorso al Consiglio di

Stato, in cui l’Ente è risultato soccombente. Ciò malgrado, gli odierni convenuti erano a sostenere,

pur non dandosene atto né nella proposta né nella relativa delibera, che quest’ultima rinvenisse

motivazione fondante in un parere del Prof. Domenichelli Vittorio (legale del comune nel giudizio

di prime cure), che le acquisizioni istruttorie disposte dal Requirente in una con le audizioni dei

componenti la Giunta e dei funzionari comunali agli atti comprovavano essere stato nella integrale

disponibilità conoscitiva del Sindaco Franceschini e dell’Ing. Lovato, motivo del perché

quest’ultimo abbia fatto una proposta su diretta richiesta del primo di quel tipo e non

diversamente. Di fatti, la lettera dell’Avv. Domenichelli, del 07 aprile 2011 (anticipata via fax in

pari data), veniva depositata dal Sindaco Franceschini in occasione della sua audizione. A tal

riguardo, nelle controdeduzioni preliminari a firma di quest’ultimo e dell’assessore Tommasini,

prodotte il 25 agosto 2014, è precisato che il ricorso al Consiglio di Stato <<...è stato promosso con il

fine esclusivo di difendere e tutelare in qualità di amministratori comunali l’Ente rappresentato e ciò anche

sulla base di un parere legale ottenuto preliminarmente all’assunzione della delibera n. 65, del 26 aprile

2011, da parte dello Studio degli Avv. Domenichelli di Padova>>. Dalle espressioni usate non era ad

emergere tuttavia se il suddetto parere fosse stato esibito ai componenti della giunta e quindi fosse

stato oggetto di lettura, di valutazione e di discussione al suo interno, ovvero semplicemente

richiamato come esistente e tradotto, da chi ne era a conoscenza, in termini favorevoli alla

proposizione del gravame. E anche nell’audizione dell’11 settembre 2014, il Capo

dell’amministrazione di Lazise confermava, previa produzione del parere, che il ricorso in appello

era stato deciso “...dopo aver sentito il parere del legale e quello del segretario comunale”. Tuttavia, dalle

audizioni dei componenti la Giunta, partecipanti alla seduta del 26 aprile 2011, di adozione della

delibera n. 65, Carattoni Agostino (Vice sindaco), Marinoni Fabio (Assessore), Bertoldi Claudio

(Assessore), Adami Diego (Assessore), emergeva il ruolo determinante che il Sindaco, Assessore

all’Urbanistica e all’Edilizia privata, aveva avuto nella vicenda, dappoiché era <<...l’assessore

competente che ha predisposto la delibera e che aveva preventivamente sentito l’Avv. Domenichelli incaricato

della difesa, il quale a suo dire aveva espresso parere favorevole all’impugnazione della sentenza del

Tar>> (così audizione dell’Assessore Adami e degli altri amministratori). In breve, l’Assessore del

ramo predisponeva la delibera e prendeva contatti con i tecnici interessati, mentre in Giunta

esponeva le questioni relative prima di sottoporre la delibera al voto. Di tal ché, i suddetti

amministratori affermavano di non avere <<...avuto modo di vedere l’incartamento ed in particolare la

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lettera inviata dallo studio Domenichelli all’indomani della sentenza del Tar...>>, di cui venivano a

conoscenza solo dopo la notifica dell’invito a dedurre. L’Avv. Tommasini, nell’audizione del 22

settembre 2014, pur non ricordando (dato il tempo decorso) se materialmente il parere sia stato

esibito in occasione della seduta e se facesse parte del fascicolo contenente la delibera, era a

ribadire che <<Il Sindaco ci accennò sia al contenuto del parere che alle ragioni a base delle quali si riteneva

di proporre appello e ciò all’esito di una riunione che il sindaco stesso aveva avuto con l’Avv. Domenichelli...,

parere che venne acquisito dall’Ufficio tecnico che propose la delibera...>>: in sostanza, il suddetto parere

non faceva parte del fascicolo relativo alla deliberazione di Giunta oggi contestata. Cosicché, non

possono sorgere dubbi che l’intera vicenda sia stata gestita, con assunzione della correlata

responsabilità, dal Sindaco Franceschini Renzo, in qualità di Assessore della relativa area, diretto

destinatario della corrispondenza dello studio Domenichelli e presente agli incontri svoltisi con il

medesimo, con il concorso dell’Ing. Lovato, Responsabile dell’Ufficio tecnico, a conoscenza della

lettera pervenuta dal legale, sulla quale “...prima della votazione era stato chiamato il tecnico, che aveva

a sua volta espresso parere favorevole...” (così audizione degli assessori Marinoni Fabio e Carattoni

Agostino del 15 settembre 2014), e della sentenza del TAR, per la quale ha “...ritenuto giusto

esprimere un parere favorevole alla proposta di delibera” (così audizione dell’11 settembre 2014 dell’Ing.

Lovato). A tal riguardo, e fermo quanto già detto sulla mancanza di qualsivoglia richiamo, nella

delibera n. 65, del 26 aprile 2011, alla corrispondenza fatta pervenire dal legale, ravvisa il Collegio

che neanche dal predetto parere emergevano elementi favorevoli all’esperimento di una

impugnativa, neanche a carattere residuale e minimale. E invero lo scritto fatto pervenire il 07

aprile 2011 (20 giorni prima di adottare la delibera e 15 giorni prima del confezionamento della

proposta di delibera da parte del Servizio Edilizia Privata ed Urbanistica), nel richiamare passi

della sentenza e nel formulare le relative considerazioni giuridiche, non era per niente a

consigliare, né a indicare come percorribile, l’esperimento di un gravame, atteso che le predette

considerazioni andavano nella direzione contraria ad esso. Di fatti, il Prof. Domenichelli nella

prima parte dell’informativa, indirizzata al Sindaco del comune di Lazise, era a richiamare le

ragioni giuridiche che hanno portato il Tar a rigettare il ricorso incidentale (formulato dal

controinteressato) e ad accogliere il ricorso principale, con il quale l’associazione d’imprese

ricorrente aveva censurato l’operato della Commissione sotto il profilo della violazione del

principio di pubblicità delle sedute di gara, con particolare riferimento alla seduta in cui erano

state aperte le buste delle offerte pervenute. Onde, rilevava che il Tar <<...a sostegno della pronuncia

ha richiamato i principi di trasparenza e imparzialità oltre che la giurisprudenza prevalente che impone la

pubblicità delle sedute senza alcuna distinzione...e cioè “senza che sia consentito ritenere che per le procedure

negoziate non via sia il suddetto obbligo di trasparenza e imparzialità al momento iniziale di apertura dei

plichi contenenti le offerte”...>> (il virgolettato in corsivo è così riportato nella lettera). Cosicché, una

tale evenienza avrebbe dovuto far comprendere, al titolare dell’Ufficio tecnico e ai componenti

della Giunta, in specie al Sindaco Franceschini, che conosceva integralmente il parere in questione,

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come il deciso in sentenza, “...di fronte all’evidenza dell’errore commesso dalla Commissione...” (così

sent. n. 402/2011), non poteva che essere consequenziale, in termini di annullamento dell’intera

procedura di gara, senza tuttavia addivenire al rinnovo della stessa, poiché l’incarico di redazione

del P.A.T. risultava già ampiamente espletato al momento di proposizione del ricorso, con

riconoscimento del c.d. risarcimento per equivalente delle spese inutilmente sostenute dal

ricorrente principale per la redazione e presentazione della propria offerta. Cosicché, rilevava il

Prof. Domenichelli, il Tar <<...si limita, dunque, a riconoscere al ricorrente il risarcimento del danno “sia

pure con qualificazione e misura diversi da quanto voluto”, condannando il Comune al ristoro del danno per

equivalente nella misura onnicomprensiva di € 08.000,00 oltre alle spese di giudizio pari ad €

03.000,00>>. Ciò posto, il legale riteneva di dover valutare “...l’opportunità di appellare la presente

pronuncia, tenendo conto delle concrete possibilità di vittoria...”. In particolare evidenziava due aspetti

che comunque, in termini eloquentemente descrittivi, sconsigliavano il gravame. Di

fatti, <<Va...considerata, da un lato, la giurisprudenza – prevalente anche al Cons. di Stato – richiamata dal

TAR a sostegno della propria decisione, che afferma la generale necessità della pubblicità delle sedute di

gara che potrebbe rendere difficile l’accoglimento dell’appello; e dall’altro, la quantificazione del

danno operata dal TAR (08.000 € oltre alle spese di lite quantificate in € 03.000), di gran lunga

inferiore alla cifra richiesta dal ricorrente (34.000,00 €), da comparare con i costi di un eventuale

giudizio in Cons. di Stato>> (neretto Nostro). Alla luce di tali considerazioni, le conclusioni del

professionista erano quelle ovvie di restare “...in attesa di disposizioni per valutare l’opportunità di

procedere all’impugnazione della sentenza o chiudere la partita pagando il danno riconosciuto dal TAR”. Per

ciò, nel documento l’Avv. Domenichelli nel lasciare all’Amministrazione la facoltà di scelta, come

d’obbligo, indicava tutta una serie di argomentazioni giuridiche che di fatto sconsigliavano

l’opzione dell’impugnativa, senza indicarne alcuna a favore della stessa. Il che, di tutto punto,

rendeva ancora più riprovevole la condotta del Sindaco Franceschini e del tecnico Ing. Lovato, che,

avendo piena ed integrale conoscenza del parere, non prodotto nel corso della seduta ma

semplicemente richiamato, hanno avallato una interpretazione dello stesso legittimante

l’impugnativa ma che l’atto non lasciava affatto trasparire. E la vicenda censurata dinanzi al Tar

del Veneto, ossia l’illegittimità consumata dalla Commissione di gara per il fatto di aver aperto le

buste delle offerte in seduta segreta, non conosceva neanche un indirizzo minoritario

giurisprudenziale di segno contrario, atteso che la sent. n. 6250, del 17 dicembre 2001, del

Consiglio di Stato, richiamata dai patroni dell’Ing. Lovato, riguardava le prescrizioni del bando di

gara o della lettera di invito che prevedevano espressamente, con formulazione chiara e non

equivoca, l’esclusione dalla procedura a sanzione della loro inosservanza anche soltanto formale,

con conseguente obbligo dell’Amministrazione al rispetto della normativa alla quale si era

autovincolata e che essa stessa ha emanato, evidentemente sulla base di un giudizio “ex ante”

dell’idoneità della singola prescrizione a conseguire le finalità sopra indicate. Nel caso di specie,

tuttavia, la clausola denunciata non riguardava, e non poteva riguardare, attesa la natura

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inderogabile della normativa primaria, interna ed europea, prevedente lo stesso, il principio di

pubblicità e trasparenza delle sedute di gara, la cui cogenza era da ritenersi operante anche nel

silenzio della lex specialis sul punto. Ma anche ove si fosse trattato di decisione riguardante il

suindicato tema non vi è chi non veda come la stessa, per la sua datazione risalente (dicembre

2001) e per il carattere isolato che comunque costituiva, poiché superata dalla “...giurisprudenza –

prevalente anche al Consiglio di Stato – richiamata dal Tar a sostegno della propria decisione, sulla generale

necessità della pubblicità delle sedute di gara che poterebbe rendere difficile l’accoglimento del

gravame...”, avrebbe dovuto indurre il rappresentante dell’Amministrazione comunale e il titolare

dell’Ufficio tecnico a un uso più ponderato della discrezionalità nella scelta di appellare. Prova ne

era l’esito, a monte ampiamente prevedibile, della decisione del Consiglio di Stato, che con sent. n.

8, del 07 gennaio 2013, dichiarava l’infondatezza sia dell’appello principale, formulato dal comune

di Lazise che, tra l’altro, lamentava la reiezione di un motivo di ricorso incidentale altrui, aspetto

questo ripreso nella memoria difensiva odierna del Sindaco Franceschini nel tentativo di dar conto

della plausibilità del gravame, sia dell’appello incidentale formulato dalla parte vincitrice dinanzi

al Tar. L’alto Consesso giurisdizionale poiché riteneva del tutto destituito di fondamento l’appello

principale, prescindeva dal valutare l’ammissibilità di quella parte di esso in cui l’Ente territoriale

lamentava la reiezione del ricorso incidentale di prime cure formulato dal controinteressato che

non aveva, invece, proposto impugnativa alcuna (e sulle cui doglianze non poteva che essersi

formato il giudicato). In breve, l’Amministrazione comunale insisteva sul punto che le

dichiarazioni contenute nel curriculum dell’Arch. Sbrogiò e le esperienze professionali indicatevi

sarebbero state non rispondenti al vero, deduzioni non condivise dal Consiglio di Stato posto che

l’esame degli atti di causa, e segnatamente del curriculum in discussione, rivelava che il

dichiarante, <<...pur in un contesto testuale non completamente chiaro, in relazione alle prestazioni d’opera

professionale formanti preciso oggetto di contestazione ex adverso aveva sempre specificato...che la sua

attività era stata resa “all’interno del P.A.T.I.”, con indicazione degli altri Comuni da questo di volta in

volta interessati. Da qui la non addebitabilità all’originario ricorrente di alcun mendacio” (sottolineato

Nostro). In sostanza, poteva ravvisarsi nel curriculum una dichiarazione un pò perplessa di

quest’ultimo, “...che avrebbe potuto magari dare adito ad una richiesta di chiarimenti: ma di per sé mai

avrebbe potuto giustificare un’esclusione per difetto di veridicità, atteso che la circostanza che le sue

prestazioni fossero avvenute “all’interno” di altrettanti P.A.T.I., lungi dall’essere stata celata alla Stazione

appaltante, dal professionista era stata esplicitamente ammessa”. Di tal ché, veniva

disattesa “...l’immotivata critica al T.A.R. di aver respinto l’assunto del ricorso incidentale per cui

l’appellata avrebbe dovuto comunque essere esclusa dalla gara in ragione della supposta inadeguatezza dello

stesso professionista all’incarico, atteso che qui viene in rilievo solo una critica di merito del tutto

arbitraria...”. Riguardo, invece, al secondo motivo dell’appello principale, il Consiglio di Stato era a

confermare la decisione del Tar in ragione del consolidato insegnamento giurisprudenziale,

“...nella cui scia si è posto il primo Giudice...”, che da ultimo ha trovato il <<...definitivo suggello

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dell’Adunanza Plenaria di questo Consiglio n. 31, del 31 luglio 2012 proprio nel segno, appunto, della

massima latitudine applicativa del canone di pubblicità delle operazioni di gara, quale corollario del più

generale principio di trasparenza>>, mentre con la decisione n. 13, del 28 luglio 2011, della stessa

Adunanza, era stata nuovamente ribadita la “...necessità che l’apertura delle buste contenenti le offerte

tecniche avvenga in seduta pubblica...”. Da ultimo la sentenza del Consiglio di Stato era a rigettare

l’appello incidentale, flettente doglianze in ordine all’importo del risarcimento per equivalente,

giacché la parte non aveva argomentato in maniera puntuale al fine di dimostrare

l’irragionevolezza della liquidazione equitativa operata in prime cure. In ragione delle premesse

tutte avanzate, del predetto danno, da documentazione in atti assommante ad € 10.737,00, deve

essere chiamato a rispondere l’Ing. Lovato Luigi Paolo, per avere formulato la proposta, con

l’annesso parere favorevole, nella quale risultava di palmare evidenza l’irragionevolezza della

motivazione e, comunque, la mancanza in essa di elementi concreti idonei a sostenere un atto di

appello, con grave scostamento della condotta dal modello medio da seguire in specie, in quanto a

conoscenza sia della sentenza del Tar del Veneto, che ha riconosciuto l’illegittimità consumata

dalla Commissione di gara, sia del contenuto del parere formulato dal Prof. Domenichelli, senza

trascurare che laddove tali atti non fossero rientrati nelle disponibilità conoscitive del predetto la

regola della diligenza, da conformare al ruolo rivestito dall’Ing. Lovato, imponeva comunque

l’espletamento di una minima attività istruttoria tesa a rendere conoscibili norme e decisioni dei

giudici in proposito; corresponsabile del danno è da ritenersi il Sindaco Franceschini Renzo, che, in

qualità di Assessore del ramo, ha gestito in proprio l’intera vicenda, incontrando il legale, avendo

conoscenza, nella sua integrità, del parere dallo stesso fornito, che provvedeva a valutare e ad

interpretare avventatamente in sede di delibera di autorizzazione a ricorrere in appello (e ancor

prima). Le medesime conclusioni non è dato sostenere, a giudizio della Sezione, in ordine alla

posizione dell’Avv. Tommasini Flavio, che, al pari degli altri componenti la Giunta (non evocati

dal Requirente), deve mandarsi assolto giacché la condotta tenuta non raggiunge il minimo della

colpa grave. Di fatti, la responsabilità del predetto Assessore non può farsi discendere dalla

circostanza, mera, di essere un “Avvocato”, dappoiché, se è pur vero che la colpa grave va valutata

in base al grado di diligenza richiedibile dal soggetto agente, in specie le condizioni in cui lo stesso

si è trovato ad agire erano le medesime degli altri componenti la Giunta, come dal predetto

prevenuto evidenziate: <<...il Sindaco ci accennò sia al contenuto del parere che alle ragioni sulla base

delle quali si riteneva di proporre appello e ciò all’esito di una riunione che il Sindaco stesso aveva avuto con

l’Avv. Domenichelli...Non ricordo se materialmente il parere ci sia stato esibito in occasione della seduta di

Giunta e se facesse parte del fascicolo contenente la delibera” (così audizione dell’Avv. Tommasini del 22

settembre 2014). In sostanza, il periodo del verbale in cui il convenuto Tommasini era a precisare

che “La decisione è stata peraltro operata facendo anche riferimento ad un parere legale preventivamente

richiesto...parere ottenuto in data 07 aprile 2011, il quale non escludeva a priori la possibilità di un esito

favorevole del giudizio di appello...” non poteva, ad avviso del Collegio, interpretarsi nel senso che il

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medesimo aveva avuto integrale conoscenza del parere, ma che dello stesso era venuto a

conoscenza, negli stessi termini degli altri assessori, nella seduta del 26 aprile 2011. Quindi,

anch’egli, non coinvolto nella vicenda, aveva fatto affidamento, come riconosciuto dal PM per gli

altri componenti la Giunta, sulla trattazione della vicenda ad opera del Sindaco e sul parere legale

favorevole dal medesimo richiamato senza produrlo. A tanto consegue il proscioglimento, dagli

addebiti in contestazione, del convenuto Tommasini Flavio, con il favore delle spese (e di cui in

seguito).

Quanto al Sindaco Franceschini e al Responsabile dell’Area tecnica, Ing. Lovato, il Collegio

è del parere che se le circostanze in cui si è svolto l’evento dannoso non possono rilevare ai fini

dell’esclusione della colpa grave dei predetti convenuti, le stesse possono essere, tuttavia,

valorizzate in sede di applicazione del potere riduttivo. Come in precedenza già rilevato, esso va

ancorato a circostanze oggettive, che riflettono la situazione nella quale i convenuti si sono trovati

a dover operare, e soggettive, che attengono all’attività sia di terzi che dei medesimi responsabili.

In specie, l’urgenza nell’operare la scelta può ritenersi valorizzabile ai fini della riduzione

del quantum addebitabile, mentre è da escludere rilevanza concausale all’evento nella condotta

serbata dal Segretario comunale, in relazione a una valutazione meramente delibativa della

responsabilità dello stesso. E invero un tale profilo di responsabilità non si attagliava al dott.

Abram Paolo, che ha partecipato alla seduta di Giunta, del 26 aprile 2011, nella qualità di

verbalizzante e che, non essendo più tenuto a rendere il parere preventivo di legittimità sulle

deliberazioni della stessa, non risultava essere stato investito di alcuna specifica richiesta in merito

alla decisione di ricorrere in appello. Il Collegio è ben consapevole che l’intervenuta soppressione

del parere di legittimità del segretario non esclude in capo al medesimo, a mente dell’art.97, del

d.lgs. n. 267, del 18 agosto 2000, tutta una serie di compiti e adempimenti, quali quelli di

consulenza giuridico – amministrativa, in base ai quali possa – e, ove richiesto, debba – comunque

rendere in proprio parere in ordine alla conformità dell’azione amministrativa alle leggi, agli

statuti ed ai regolamenti e <<...che del parere reso debba rispondere in via amministrativa, in adesione ad

un principio generale, operante a prescindere dalla natura obbligatoria o facoltativa del parere

espresso>> (così Corte dei conti, Sez. 1° centr. di app., 17 aprile 2008, n. 154, id. Sez. 2^ centr. di

app., 17 marzo 2004, n. 88/A, id. 23 giugno 2004 n. 197/A, Sez. Lombardia, 09 luglio 2009, n. 473, e

Sez. Puglia, 08 luglio 2003, n. 594). Per ciò, al Segretario comunale compete oggi un ruolo di

garanzia, affinché l’attività dell’Ente possa dispiegarsi nell’interesse del buon andamento,

svolgendo, tra l’altro, compiti di collaborazione e funzioni di assistenza giuridico – amministrativa

degli organi dell’Ente, in ordine alla conformità dell’azione amministrativa alle leggi, allo statuto e

ai regolamenti, <<...e il cui esercizio non può considerarsi eventuale o esercitabile solo su richiesta, ma deve

essere considerato come necessario e indispensabile, apparendo anche evidente che esso si riferisce alla intera

attività svolta dall’Ente, imponendo una valutazione sulla scelta degli strumenti giuridici e procedurali

dell’attività stessa>> (così Corte di Cass. Sez. Lav. 23 agosto 2003, n. 12403). In tale nuovo contesto

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non sono tuttavia (più) ravvisabili responsabilità tipizzate correlate a funzioni proprie specifiche,

ma è solo ipotizzabile una responsabilità di tipo generico se e quando sia ravvisabile un nesso di

causalità con un’attività consultiva e collaborativa caratterizzata da superficialità e grave

negligenza (cfr. Corte dei conti, Sez. Puglia, 08 luglio 2003, n. 594). In specie, il Collegio, non

risultando comprovata dagli atti l’affermazione del convenuto Franceschini di aver agito sentendo

anche il Segretario comunale sulla opportunità/necessità di formulare appello, ravvisa che la

conoscenza della vicenda di causa, da parte del predetto funzionario, possa essere avvenuta negli

stessi termini dei componenti la Giunta, ossia facendo affidamento sul parere legale richiamato

puramente e semplicemente in sede di adunanza, senza cioè che ne sia avvenuta la sua ostensione,

con esclusione, quindi, della colpa grave. In ragione di tanto i convenuti Franceschini Renzo e

Lovato Luigi Paolo devono condannarsi a risarcire, in favore del comune di Lazise, l’importo di €

03.000,00 cadauno, oltre rivalutazione monetaria, secondo gli indici ISTAT, dal 14 maggio 2014

(data dell’atto di liquidazione delle spese di secondo grado in favore dell’Avv. Domenichelli) e

sino alla data di deposito della sentenza, e interessi di legge da tale ultima data al soddisfo. Le

spese di giudizio seguono la regola della soccombenza e si liquidano in via solidale tra i convenuti

tutti, oggi condannati (in parti uguali nel rapporto interno), come da dispositivo.

In ragione, invece, dell’assoluzione nel merito del convenuto Tommasini Flavio, attesa la natura di

parte solo in senso formale della Procura regionale della Corte dei conti, che promuove e partecipa

ai giudizi di responsabilità erariale dei pubblici amministratori, dipendenti e soggetti legati da

rapporto di servizio (in senso lato) alle Pubbliche Amministrazioni, quale portatore non

dell’interesse particolare delle stesse ma di quello generale dell’Ordinamento giuridico (così Corte

di Cassazione SS.UU. civili, 02 marzo 1982, n.1282, 02 ottobre 1998, n.9780, 02 aprile 2003, n.5105,

15 gennaio 2010, n.519/10), le spese ed onorari di lite, ove spettanti, devono gravare (ex art. 91

c.p.c.) sul comune di Lazise, nel cui interesse, comunque, ha agito in giudizio il Procuratore

contabile, quale suo rappresentante processuale ex lege, giacché esso è il soggetto che si assumeva

leso e a cui vantaggio è stato chiesto di devolvere gli importi da risarcire nel caso di mancato

proscioglimento dei convenuti. La materia si presenta come non omogenea, atteso che per i giudizi

civili, penali e amministrativi, la normativa alla quale fare riferimento è diversa a seconda che si

tratti di dipendenti di amministrazioni dello Stato – art. 18, 1^ comma, del d.l. 25 marzo 1997, n.

67, convertito dalla legge 23 maggio 1997, n. 135, a mente del quale “Le spese legali relative a giudizi

per responsabilità civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti dei dipendenti di

amministrazioni statali in conseguenza di fatti ed atti connessi con l’espletamento del servizio o con

l’assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro

responsabilità, sono rimborsate dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui

dall’Avvocatura dello stato...”, – ovvero di dipendenti e/o amministratori degli enti locali e delle

autonomie territoriali – art. 67 del d.P.R., del 13 maggio 1987, n. 268, secondo il quale “L’ente, anche

a tutela dei propri diritti ed interessi, ove si verifichi l’apertura di un procedimento di responsabilità

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civile o penale nei confronti di un suo dipendente per fatti o atti direttamente connessi all’espletamento del

servizio e all’adempimento dei compiti di ufficio, assumerà a proprio carico, a condizione che non sussista

conflitto di interessi, ogni onere di difesa sin dall’apertura del procedimento facendo assistere il dipendente

da un legale di comune gradimento”. Tale seconda disposizione, è stata poi abrogata, a far tempo dal

06 giugno 2012, dall’art. 62, comma 1 e dalla tabella A allegata al d.l. 09 febbraio 2012, n. 5,

convertito con modificazioni, dalla legge 04 aprile 2012, n. 35, e per ciò da tale data la materia è

rimessa esclusivamente alla normativa contrattuale, in specie all’art. 28, commi 1 e 2, del C.C.N.L.

del personale del comparto delle regioni e delle autonomie locali, riproducente sostanzialmente il

testo del citato art. 67. Da ultimo, la disciplina è ulteriormente diversa qualora si tratti di spese

legali sostenute da dipendenti e/o amministratori pubblici nei giudizi dinanzi alla Corte dei conti,

poiché è da fare riferimento all’art.3, comma 2 – bis, della legge n. 20 del 1994, siccome modificato

dal d.l. n. 543 del 1996, convertito dalla legge n. 639 del 1996, recante (come di seguito) condizioni

oggettive e soggettive non sovrapponibili al rimborso delle spese sostenute in altri giudizi. Ora,

poiché il “Giudice”, a mente dell’art. 91 c.p.c., <<...con la sentenza che chiude il processo davanti a lui,

condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell’altra parte e ne liquida l’ammontare

insieme con gli onorari di difesa...>>, quale fase consequenziale ed accessoria rispetto alla definizione

del giudizio, la presenza nell’ordinamento di norme varie, volte ad assicurare al pubblico

dipendente l’assistenza in sede processuale o il rimborso delle spese legali sostenute, <<...non

incide sul giudizio contabile devoluto alla Corte dei conti, in quanto norme sganciate da questo, perché volte

ad assicurare ai soggetti interessati il beneficio aggiuntivo di non dover sopportare il costo incontrato nella

loro difesa>> (così Corte di Cass. SS.UU. civili, 12 novembre 2003, n. 17014). Di tal ché, il rapporto

sostanziale che si instaura tra il soggetto prosciolto e l’amministrazione di appartenenza (in senso

stretto) non ha nulla a che vedere con quello che ha ad oggetto il giudizio di responsabilità

contabile. Un tanto chiarito, dalle prime disposizioni richiamate risulta di piana evidenza che

<<...la particolare forma di tutela di cui si controverte è contemplata unicamente per i “dipendenti”, ossia

per coloro che sono legati da un rapporto di pubblico impiego con l’amministrazione che, in difetto di diversa

previsione, non può essere estesa a quei soggetti che pur operando nell’ambito dell’amministrazione pubblica,

svolgano le proprie funzioni in base ad altro titolo, segnatamente di amministratore comunale>> (così Corte

di Cass. Sez. lav., 1° dicembre 2011, n. 25690, id. 3^ Sez. civ., 25 settembre 2014, n. 20193, Sez. 1^

civile, 17 marzo 2015, n. 5264, nonché S.U. civili, 13 gennaio 2006, n. 478, id. n. 3413 e 9160 del

2008). Per ciò, “...in difetto di una diversa previsione...” le suddette norme sono ritenute

insuscettibili di interpretazione analogica, né tampoco estensiva ad ipotesi soggettive non previste.

E questo in quanto l’assunzione dell’onere della spesa per l’assistenza legale ai dipendenti degli

Enti locali non consegue all’affermazione di un principio generale dell’ordinamento a prescindere

dalla fonte normativa settoriale e a prescindere dai limiti in cui il diritto viene conformato, essendo

invece la conseguenza di alcuni presupposti che devono sussistere e di rigorose valutazioni che

l’ente è tenuto ad effettuare, anche ai fini di una economica e trasparente gestione delle pubbliche

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finanze. Ora la disciplina, normativa e contrattuale (con quest’ultima che, come detto, dopo le

recenti abrogazioni, è rimasta unica a regolare la materia di pertinenza delle Amministrazioni

territoriali), si rivolge al dipendente pubblico, mentre nessuna norma o disposizione faceva e fa

riferimento all’amministratore pubblico. Di tal ché, è legittimo domandarsi se, al pari del

dipendente, anche l’amministratore (Sindaco, Assessore, ecc.) possa essere ammesso al patrocinio

o al rimborso delle spese legali, ovviamente laddove sussistenti i requisiti che, in analoga

situazione, consentirebbero il patrocinio o il rimborso in favore del dipendente. Da tempo la

giurisprudenza, con riguardo alla materia in esame, ha operato una netta distinzione tra la figura

dei dipendenti e quella degli amministratori, riconoscendo la rimborsabilità ai primi e negandola

ai secondi, non legati all’Amministrazione da un rapporto di subordinazione, quale elemento

differenziale <<...sul quale è ben possibile al legislatore, senza superare i limiti della sua discrezionalità,

costruire una disciplina diversificata in materia di indennizzabilità degli oneri di difesa sopportati dai

dipendenti, per il caso in cui si trovino sottoposti ad un procedimento all’esito del quale siano dichiarati

esenti da responsabilità>> (così Corte Cost. n. 197 del 2000, che pur se riferita alla legislazione a

Statuto speciale della Regione Siciliana, ha indubbiamente un valore di carattere generale, essendo

l’art. 39 della Legge Regionale Siciliana 29 dicembre 1980, n. 145, del tutto equivalente all’art. 67

del d.P.R. n. 26871987). Sul punto, anche la giurisprudenza delle Sezioni Unite della Cassazione ha

costantemente affermato che <<...il rapporto tra la P.A. ed il funzionario onorario, connesso

all’attribuzione di funzioni pubbliche, si distingue sia dai rapporti di pubblico impiego, sia dai rapporti di

parasubordinazione o di collaborazione continuativa e coordinata, visto che il funzionario onorario non è

esterno all’Ente pubblico, ma si identifica funzionalmente con l’ente medesimo ed agisce per esso e il

compenso allo stesso dovuto non ha carattere sinallagmatico-retributivo, ma indennitario>> (cfr. Corte di

Cass. S.U. civ. n. 3413 e 9160 del 2008). In ragione di ciò, la Corte di Cassazione ha dato risposta

negativa all’applicabilità dell’art. 67, del d.P.R. n. 268 del 1987, ora art. 28 del C.C.N.L. del 14

settembre 2000, atteso che <<...il diritto al rimborso delle spese legali relative ai giudizi di responsabilità

civile, penale o amministrativa a carico di dipendenti di amministrazioni statali o di enti locali per fatti

connessi all’espletamento del servizio o comunque all’assolvimento di obblighi istituzionali, conclusi con

l’accertamento dell’esclusione della loro responsabilità, non compete all’assessore comunale, né al consigliere

comunale o al sindaco, non essendo configurabile tra costoro (i quali operano nell’amministrazione pubblica

ad altro titolo) e l’ente un rapporto di lavoro dipendente, non potendo estendersi nei loro confronti la tutela

prevista per i dipendenti, né trovare applicazione la disciplina privatistica in tema di mandato>> (così

Corte di Cass., 1° Sez. civ., 17 marzo 2015, n. 5264, Sez. 3°, 25 settembre 2014, n. 20193, id. Sez. lav.,

1° dicembre 2011, n. 25690, id. n. 10052 del 2008, n. 9363 del 2007, n. 16845 del 2004, id. Cass. pen.

n. 41145 del 2002 e Cons. di Stato Sez. V, 14 aprile 2000, n. 2242, nonché parere n. 792, del 16 marzo

2004). In altri termini, la giurisprudenza di legittimità (anche se non del tutto uniforme) ravvisa

che per le normative dianzi citate, nelle quali l’Amministratore dell’ente locale non è menzionato

come destinatario dei loro effetti, in conformità <<...ai criteri interpretativi generali (“ubi voluit dixit,

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ubi noluit tacuit”)...>>, non si era di fronte <<...ad una vera e propria lacuna...suscettibile di essere

colmata in via di interpretazione analogica, bensì di una diversa disciplina prevista e voluta come tale dal

legislatore. E tale diversa disciplina trova giustificazione proprio nella specificità insita nella mancanza – nel

caso dell’assessore comunale – di un rapporto di lavoro dipendente con l’ente locale e, in particolare, nella

natura onoraria di tale rapporto>> (cfr. Corte di Cass. 3° Sez. civ., n. 20193, del 25 settembre 2014, id.

S.U. n. 478, del 13 gennaio 2006, e n. 12645 del 2010). La relativa questione è stata affrontata,

quanto al rimborso delle spese legali in favore di un amministratore coinvolto in un procedimento

penale, anche in seno alla Corte dei conti, la quale, a Sezioni Riunite, perveniva a una soluzione

diversa da quella in seguito sostenuta dal Giudice ordinario e, in particolare, dalla Corte di

legittimità, avendo modo di affermare che<<...l’assunzione di spese per l’assistenza, in un giudizio

penale, di taluni amministratori (equiparabili ai dipendenti), poi assolti perché il fatto non sussiste, non

costituisce danno risarcibile per l’ente locale>> (così Corte dei conti, SS.RR., n. 501, del 18 giugno 1986),

pervenendo, “apertis verbis”, ad una equiparazione tra gli amministratori e i dipendenti, ritendo

così estensibile anche ai primi la specifica normativa prevista per i secondi. Un tale indirizzo

favorevole ha trovato anche in seguito successive conferme e smentite. In specie, si è detto che

“Anche nel campo del diritto pubblico, coloro che sono investiti di una carica (anche onoraria) agiscono per

un interesse non proprio in quanto legittimamente investiti (mandato pubblico) del compito di realizzare

interessi di altri centri di imputazione giuridica (enti, collettività o altri organismi pubblici), con la

conseguenza che i pubblici amministratori non devono sopportare nella propria sfera personale gli effetti

svantaggiosi o dannosi della propria attività” (cfr. Corte dei conti SS.RR. 05 aprile 1991, n. 707, id.

Sezione Abruzzo, 29 novembre 1999, n. 1122, Sez. Lombardia, 19 ottobre 2005, n. 641, Sez. Puglia,

sent. n. 787, del 14 giugno 2012, contra Sezione Basilicata, n. 165, del 15 ottobre 2012). Un risalente

orientamento della Corte di Cassazione (cfr. Cass. Civ. Sez. 1°, 13 dicembre 2000, n. 15724, id. 03

gennaio 2001, n. 54) statuiva analogamente, nel senso che “...perché sorga il diritto del dipendente o

dell’amministratore dell’Ente pubblico all’assistenza processuale..., debbono ricorrere due condizioni: 1)

l’assoluzione del dipendente o dell’amministratore dell’Ente pubblico, che si trovi implicato, in conseguenza

di atti o fatti connessi all’espletamento del servizio o all’adempimento di compiti d’ufficio, in un

procedimento penale; 2) la mancanza di conflitto d’interesse con l’ente...”.

Orientamento questo condiviso anche dal Consiglio di Stato che, al riguardo, ha opportunamente

precisato: <<...la disciplina civilistica del contratto di mandato...è applicabile...ai rapporti tra ente pubblico

e amministratori onorari che...non devono sopportare nella propria sfera personale gli effetti sfavorevoli o

dannosi dell’attività imputabile solo agli enti...>>; di tal ché, è da applicarsi l’art. 1720 c.c.

che <<...stabilisce con sufficiente chiarezza la misura dei diritti patrimoniali vantati dal mandatario nei

riguardi del mandante, individuando, nei rapporti interni, il punto di equilibrio tra le contrapposte pretese

delle parti>> (così Cons. di Stato, Sez. V, 14 aprile 2000, n. 2242, id. Cass. civ. Sez. 1^, 16 aprile 2008,

n. 10052). Ora, fermo quanto detto per il rimborso delle spese legali, all’esito del giudizio, ovvero

per il patrocinio fin dall’inizio del procedimento, con onere a carico del bilancio dell’Ente locale,

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per i dipendenti di quest’ultimo, con riguardo ai giudizi civili e penali promossi nei loro confronti,

e per i diversi orientamenti giurisprudenziali (erariale e di legittimità) che si sono susseguiti in

ordine all’estensione anche agli amministratori della regola dell’ammissione al patrocinio o al

rimborso delle spese legali, una sostanziale differenza è dato invece scorgere nella materia dei

rimborsi delle spese legali per i giudizi dinanzi alla Corte dei conti. La materia, come detto, è

disciplinata dall’art. 3, comma 2 -bis, del d.l. 23 ottobre 1996, n.543, convertito con modificazioni,

dalla legge 20 dicembre 1996, n.639, che ha statuito, per il caso di definitivo proscioglimento,

che <<…le spese legali sostenute dai soggetti sottoposti al giudizio della Corte dei conti sono

rimborsate dall’Amministrazione di appartenenza...>>. Tale articolo è stato oggetto d’interpretazione

autentica ad opera dell’art. 10 bis, comma 10, del d.l. 30 settembre 2005, n.203, convertito, con

modificazioni, dalla legge 02 dicembre 2005, n.248, nel senso che il giudice contabile, in caso di

proscioglimento nel merito e con la sentenza che definisce il giudizio, <<…ai sensi e con le modalità

di cui all’art. 91 del codice di procedura civile, liquida l’ammontare degli onorari e diritti spettanti alla difesa

del prosciolto…>>. Da ultimo, poiché il Giudice erariale aveva interpretato la predetta disciplina nel

senso di non escludere una statuizione, anche in caso di proscioglimento nel merito, sull’an delle

spese processuali, pervenendo alla loro compensazione, il Legislatore con altra interpretazione

autentica integrativa della precedente, recata dal comma 30quinquies dell’art. 17, del d.l. 01 luglio

2009, n.78, nel testo integrato dalla legge di conversione 03 agosto 2009, n.102, ha previsto che il

Giudice <<…non può disporre la compensazione delle spese di giudizio…>>, inserendo tale periodo tra

le parole <<…procedura civile…>> e <<…liquida l’ammontare…>>, formula, quindi, di esclusione

inderogabile dell’istituto della compensazione. Di tal ché, la condizione normativamente stabilita

(art. 3, comma 2-bis, l. n. 639 del 1996) per il rimborso delle spese legali da parte

dell’Amministrazione è costituita dalla pronuncia di proscioglimento nel merito, ovvero

completamente assolutoria, nei confronti del convenuto in un giudizio di responsabilità

amministrativa, atteso che la citata disposizione, limitatamente ai giudizi dinanzi alla Corte dei

conti, non distingue tra dipendenti ed amministratori diversamente da quanto previsto dall’art. 67

del d.P.R. 13 maggio 1987, n. 268, dianzi richiamato, ora art. 28, commi 1 e 2, del C.C.N.L. degli

Enti locali e delle Autonomie territoriali, in particolare CCNL integrativo del 14 settembre 2000. Al

riguardo, ci si trova al cospetto di una diversa previsione che affida, incontrovertibilmente, al

Giudice contabile la decisione – in base al combinato disposto degli artt. 91 c.p.c. e 3 comma 2-

bis della legge n. 639 del 1996 - in tema di liquidazione delle spese, di giudizio e legali, che poi

l’interessato dovrà chiedere alla propria Amministrazione, anche nei confronti degli

amministratori dell’Ente, in ragione dell’espressione contenuta nell’art.3, comma 2-bis: <<...spese

legali sostenute dai soggetti sottoposti al giudizio della Corte dei conti...>>, e in presenza di un

definitivo proscioglimento nel merito del soggetto convenuto. In breve, a seguito

dell’interpretazione autentica fornita dall’art. 10 bis, comma 10, del d.l. n. 203 del 2005, è stato

individuato uno specifico compito del Giudice erariale, al quale è rimessa la liquidazione delle

52

spese legali sostenute dal prevenuto assolto nel merito, ipotesi in precedenza di tutta evidenza non

ammessa, delineando una disciplina delle stesse diversa da quella contrattuale (art. 67, d.P.R. 13

maggio 1987, n. 268, ora art. 28 del C.C.N.L. 14 settembre 2000), non direttamente applicabile ai

giudizi di responsabilità amministrativa dappoiché riferita ai soli “...giudizi di responsabilità civile o

penale...”. Per ciò, nell’ipotesi di causa, non sussistendo una diversa disciplina prevista e voluta

come tale dal legislatore, volendo seguire i criteri ermeneutici ragionati dal Giudice della

legittimità (e di cui infra), il favore delle spese, di giudizio e legali, deve riguardare anche

l’Assessore Tommasini Flavio (per il quale, in quanto amministratore, non è comunque

contemplato il caso dell’ammissione al patrocinio a carico dell’Ente), prosciolto nel merito per

insussistenza della colpa grave, con la condizione che l’Ente territoriale, non potendo fare

riferimento alle specifiche norme di settore previste per i dipendenti, può rimborsare tali oneri solo

nei limiti di quanto liquidato in sentenza (cfr. Corte dei conti, Sez. Toscana, 16 ottobre 2013, n. 310).

Da ultimo, mette conto rilevare che il potere – dovere del Giudice, a mente dell’art. 91 e segg. c.p.c.,

di statuire sulle spese sussiste anche nei confronti del convenuto che ha esercitato la facoltà di

difesa personale, assentita dall’art. 86 del codice di rito civile, dappoiché l’esercizio di una tale

facoltà “...non tocca la natura professionale dell’attività processuale svolta dall’avvocato in proprio favore,

né quindi incide sulla qualificabilità come spese del giudizio dei diritti e degli onorari previsti per tale

attività” (cfr. ex multis, Corte di Cass, Sez. 2^ civile, 30 gennaio 2008, n. 2193, id. 24 gennaio 1994, n.

691), chiaramente a condizione che il predetto precisi a che titolo partecipi al processo: in specie

l’Avv. Tommasini, a mente dell’art. 86 c.p.c., ha esercitato il ministero di difensore di se medesimo.

Ciò premesso, rileva il Collegio che il compenso dell’avvocato, rapportato alla natura,

durata, complessità e importanza dell’opera prestata, e il rimborso delle spese forfetarie nella

misura del 15% sul totale della prestazione, deve avvenire secondo i parametri di cui al recente

D.M. n. 55, del 10 marzo 2014 - in Gazzetta Ufficiale n. 77, del 2 aprile 2014 - (artt. 2 e 4), recante la

specifica tabella n. 11 per le spese inerenti i giudizi dinanzi alla Corte dei conti, vigente dal 3 aprile

seguente e applicabile alle liquidazioni successive alla sua entrata in vigore. Quanto alla

determinazione del valore della controversia, l’art.5, comma 3, dispone che “Nelle cause davanti agli

organi di giustizia...nella liquidazione a carico del soccombente si ha riguardo all’entità economica

dell’interesse sostanziale che riceve tutela attraverso la decisione...”: in specie, l’entità economica

dell’interesse sostanziale ricevente tutela dall’attivazione del giudizio è costituita, per il convenuto,

con adattamento della predetta norma al giudizio contabile, in cui è presente il P.M. richiedente

per conto dell’Amministrazione importi a titolo di danno, dal quantum che lo stesso pretendeva ab

origine dal medesimo, giacché ogni singola attività difensiva era da parametrare ad esso. Per ciò, il

Collegio, considerato che le spese di lite devono liquidarsi in favore del convenuto Tommasini

Flavio, attese le fasi d’interesse per il giudizio contabile (fase di studio, introduttiva, istruttoria e di

trattazione, nonché decisionale), l’attività effettivamente svolta dallo stesso nonché la non

particolare complessità della fattispecie in denuncia, considerato quanto previsto dalla tabella 11,

53

allegata al citato D.M. n. 55/2014, esaminati gli scaglioni di riferimento con riguardo alla posizione

dello stesso, al quale il P.M. chiedeva, a titolo risarcitorio, l’importo di € 03.579,00, in applicazione

dell’art. 4, comma 1, prevedente che i valori medi corrispondenti allo scaglione possono essere

aumentati, di regola, fino all’80 per cento, o diminuiti fino al 50%, per la fase istruttoria sino al 70

per cento, liquida, in favore di Tommasini Flavio, nella qualità di difensore di se stesso, l’importo

complessivo di € 01.035,00 (di cui € 900,00, per compenso, ed € 135,00, per spese nella misura del

15% dell’importo della prestazione), somme da maggiorare di I.V.A., qualora dovuta, del

contributo integrativo a titolo di Cassa Previdenza Avvocati e da porre a carico del comune di

Lazise.

P.Q.M.

La Corte dei conti, Sezione giurisdizionale regionale per il Veneto, disattesa ogni contraria istanza,

deduzione od eccezione, definitivamente pronunciando:

1) in rito, rigetta la richiesta di integrazione del contraddittorio come formulata dalle difese di

Zanini Giuseppe e Antonelli Mauro, nonché l’eccezione di nullità degli atti istruttori e della

citazione e di violazione della riserva di amministrazione, siccome opposte dai patroni di

Lovato Luigi Paolo.

2) Nel merito, condanna i convenuti Zanini Giuseppe e Antonelli Mauro a risarcire, in favore

del comune di Lazise (VR), l’importo di € 03.500,00 (euro tremilacinquecento) cadauno.

3) Sulle predette somme compete la rivalutazione monetaria, secondo gli indici ISTAT, a far

tempo dal 1° aprile 2008 e sino alla data di deposito della presente sentenza, nonché gli

interessi di legge da tale ultima data al soddisfo.

4) Sempre nel merito, condanna Franceschini Renzo e Lovato Luigi Paolo a ristorare, in

favore del municipio di Lazise, la somma di € 03.000,00 (euro tremila) ognuno, oltre

rivalutazione monetaria, secondo gli indici ISTAT, dal 14 maggio 2014 e sino alla data di

deposito della presente decisione, e interessi come per legge da tale ultima data al soddisfo.

5) Le spese di giudizio, che seguono in via solidale la soccombenza e nel rapporto interno

sono da imputarsi in parti uguali tra tutti i predetti prevenuti, si liquidano in

€ 01.768,62 (euro millesettecentosessantotto/,62) complessive.

6) Da ultimo, nel merito, proscioglie dalle imputazioni erariali in contestazione Tommasini

Flavio.

7) Liquida in favore del medesimo, in qualità di difensore di se stesso, il compenso e le spese

forfetarie del 15%, da porre a carico del comune di Lazise (VR), nella misura di € 01.035,00,

oltre I.V.A. (se dovuta) e C.P.A nella misura spettante.

Manda alla segreteria della Sezione per gli adempimenti di competenza.

54

Così deciso in Venezia, nella camera di consiglio, all’esito della pubblica udienza dell’8 luglio 2015.

Il Giudice Redattore Il Presidente

f.to(Dott. Giovanni Comite) f.to(Dott. Guido Carlino)

Depositata in Segreteria il 22/09/2015

p.Il Funzionario preposto

f.to Cristina Guarino