settembre 2013 La voce dell’ordine di Pistoia ... · II decreto 19/03/2013 istituisce, ai sensi...

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Quadrimestrale - Anno VIII - n° 25 - settembre 2013 Tariffa R.O.C.: “Poste Italiane Spa sped. abb. post. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art.1, comma 1, DCB/PO” La voce dell’ordine di Pistoia Rivista di informazione medica n. 25 settembre 2013 Ordine Provinciale dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Pistoia

Transcript of settembre 2013 La voce dell’ordine di Pistoia ... · II decreto 19/03/2013 istituisce, ai sensi...

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C O M U N I C A Z I O N IIMPORTANTE

INDIRIZZO PEC (POSTA ELETTRONICA CERTIFICATA)II decreto 19/03/2013 istituisce, ai sensi dell’art. 5, comma 3, del decreto-legge 179/12 convertito con modificazioni dalla legge 221/12, presso il Ministero dello sviluppo economico il pubblico elen-co denominato “Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata delle imprese e dei professionisti (INI-PEC)”.Si rileva che l’art. 5, comma 3. del D.L. 179112 prevede:1)al fine di favorire la presentazione di istanze, dichiarazioni e dati, nonché lo scambio di infor-mazioni e documenti tra la pubblica amministrazione e le imprese e i professionisti in modalità telematica, è istituito, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente disposizione e con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, il pubblico elenco de-nominato Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata (INI-PEC) delle imprese e dei professionisti, presso il Ministero per lo sviluppo economico. 2)L’Indice nazionale di cui al comma 1 è realizzato a partire dagli elenchi di indirizzi PEC costituiti presso il registro delle imprese e gli ordini o collegi professionali, in attuazione di quanto previsto dall’articolo 16 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2.Pertanto è obbligo del professionista iscritto all’Ordine comunicare, in tempi rapidi, il proprio in-dirizzo pec.

INDIRIZZO MAILChi ancora non avesse provveduto è invitato a comunicare il proprio indirizzo mail per favorire i contatti tra l’Ordine e l’iscritto.Si ricorda che è obbligo del professionista comunicare all’Ordine eventuali variazioni di indirizzo, telefono e mail.

Announcement2nd Florence International Training Course – FIT2

Impact of the economic crisis on the determinants of health and response strategies in Europe This course will be held in Florence from 17-22 November 2013 and organized by the Tuscany Re-gion in collaboration with the WHO European Office for Investment for Health and Development in Venice. This is the second of a series of training events supporting the implementation of the new policy for health in Europe – Health 2020.The course is one of the initiatives of the newly established “International Training Centre for Health, Development and Sustainable Societies”.Course participants will discuss ways to counteract negative consequences by improving equity, solidarity and community resilience.Ten bursaries are also available; criteria for assigning these are listed in the website.Kindly note that the deadline for submission of application is 30th August. I would highly appreciate if you could consider this announcement worth of further circulation among your networks.Thank you very much for your attention and consideration.With best regards,

Guido Benedetti Consultant

WHO European Office for Investment for Health and Development, Castello 3253l -30122 Venice, Italy, TEL.+39 041 279 3867

UN MOMENTO DELICATO PER LA SANITÀ

In un momento cosi delicato per i cambia-menti in atto nella sanità per una crisi sen-za precedenti, gli Ordini dei Medici vengono bersagliati da una serie infinita di adempi-menti burocratici che vengono imposti per decreto. Dall’inizio di questo anno l’aumento è stato esponenziale, in nome della semplificazio-ne. Gli Ordini oggi lavorano a tempo pie-no per interpretare le norme, molte volte incomprensibili, ed in seconda battuta per applicarle. La legge sulla trasparenza e anticorruzione e la spending review, da sole, comportano un aggravio di lavoro notevole ed un au-mento dei costi di gestione. Tutti noi voglia-mo essere trasparenti e risparmiosi nella no-stra amministrazione, in primis, per ragioni etiche e, secondariamente, perché dobbiamo far quadrare i conti con le esigue risorse a disposizione; ed infine per rispetto dei nostri iscritti. Dallo stato non riceviamo un centesimo, ma ugualmente dobbiamo richiedere cinque preventivi anche per spese esigue e banali; ed allo stesso tempo dobbiamo mettere sul nostro sito i bilanci con le spese dettagliate affrontando un costo non indifferente. In questo contesto ed in questo clima dob-biamo affrontare i tanti problemi reali ed importanti come la responsabilità profes-sionale che non trova copertura assicurati-va. In Italia vi sono i risarcimenti più alti di Europa, in campo sanitario. Gli orientamenti della giurisprudenza, dif-formi e discordanti, generano insicurezza negli operatori. Per alcune branche chirur-giche, per la ginecologia ed ostetricia non si trova una copertura assicurativa se non a prezzi esorbitanti. La giustizia civile ha tempi biblici che scoraggiano tutte le grandi Assicurazioni europee ad offrire i loro pro-dotti in Italia.

EDITORIALE

Egisto Bagnoni Presidente dell’Ordine di Pistoia

La voce dell’ordine di PistoiaBollettino ufficiale quadrimestrale dell’Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri di Pistoia; anno VIII n. 25 – settembre 2013Dir. resp. Dott. Gianluca Taliani – Comitato di redazione: Egisto Bagnoni, Pierluigi Benedetti, Gianna Mannori, Ione NiccolaiReg. Trib. Pistoia n. 8 del 9/07/04 – Stampa: GF Press, Masotti

Copertina: Convento di GiaccherinoQuarta di copertina: Chiesa di San Michele in Groppoli

Sommario1 editoriale• Un momento delicato per la sanità

3 attUalitÀ• Nuovo Ospedale San Iacopo• Il territorio è nudo

6 aGGiorNaMeNto SCieNtiFiCo• Valutazione preoperatoria emostasi

8 MeMorie• Tempio votivo dei medici d'Italia a Duno (Va)

11 livello MiNiMo N. 18• Breve nota antropologica sul linguaggio (II) Quando iniziarono a parlare gli uomini?

15 Storie di MediCi• Francesco Colzi e Lorenzo Bardelli.

19 Med-news dalla letteratura internazionale• Le origini genetiche del dolore

24 odoNtoiatria• Una professione che cambia

25 MediCiNa di tUtti – MediCiNa per tUtti• A.I.L. – Associazione Italiana contro le Leucemie

27 paSSato e preSeNte• La città immaginata. "Il prato di San Francesco" (seconda parte)

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LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA

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Con la scadenza del 13 agosto 2013, con l’en-trata in vigore dell’assicurazione obbligato-ria per tutti gli iscritti all’Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri, la situazione diver-rà ancora più difficile per i paventati aumen-ti delle polizze. A rimedio di questo è stato prospettato un rinvio di un anno di questa legge, metodica tutta italiana che rimanda al 2014 la patata bollente. Nel 2014 saremo nel-la stessa situazione ed i provvedimenti strut-turali si rimandano di anno in anno. Il medico è diventato il bersaglio in una so-cietà che non riesce a trovare soluzione a nessuno dei tanti problemi della sanità. Non esistono definizioni giuridiche che definisca-no la colpa grave e quella lieve. Vi era sta-to un tentativo con la legge Balduzzi (legge 189/ 2012) con la quale si prevedeva la non rilevanza penale nei casi in cui il medico si era attenuto alle linee guida internazionali ed alle buone pratiche. Anche questo tentativo è fallito perché vi sono state sentenze difformi da parte delle varie sezioni della Corte di Cassazione ed

anzi alcune procure hanno fatto ricorso per presunta incostituzionalità della stessa legge 1899/2012. Certamente anche la classe me-dica non è esente da colpe ed in particolare le istituzioni come gli ordini e i sindacati si sono limitati a rincorrere la politica che si è dimostrata inconcludente e non ha dato solu-zioni a questi problemi. La magistratura nella grande maggioranza si è dimostrata insensibile alle denuncie dei medici. La reazione dei medici è stata molto timida ed in alcuni casi non vi è stata per le troppe divisioni all’interno della catego-ria. Come argine alla deriva punitiva della Magistratura verso la classe medica è stata attuata quella che viene definita ‘medicina difensiva’. Risultati non ve ne sono stati ed anzi questa pratica oltre a non avere dato una migliore tutela giuridica al medico ha causato un notevole aumento della spesa sa-nitaria per avere messo in campo una serie di accertamenti che si sono dimostrati anche inutili ai fini della tutela della salute dei cit-tadini.

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Fiume Ombrone, Pontelungo (Pistoia)

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ATTUALITÀ

Con l’inaugurazione del nuovo ospedale S. Iacopo, avvenuta il 13 luglio 2013, la sanità Pistoiese ha fatto un notevole passo in avanti verso la modernizzazione.Il nuovo ospedale è dotato delle tecniche più avanzate non solo nel campo strettamente clinico ma anche in quello assistenziale, or-ganizzativo e gestionale.È progettato per applicare a pieno la nuova filosofia della Regione Toscana che prevede ospedali organizzati per intensità di cure con un numero di posti letto in linea con i para-metri previsti.È in grado di accogliere le innovazioni che verranno nei prossimi decenni senza la ne-cessità di sostanziali modifiche.In sintesi è stato realizzato il primo pilastro della nuova sanità, ma in tempi brevi dovrà essere realizzato il secondo pilastro rappre-sentato dal territorio che dovrà rispondere ai malati cronici che non dovranno occupare i letti dell’ospedale se non per eventi di emer-genza.Il progetto toscano per il territorio è pron-to nelle sue linee generali con la previsione delle AFT (Aggregazioni Funzionali Terri-toriali)che daranno un coordinamento all’at-tività dei medici di famiglia ed alla guardia medica per la gestione dell’assistenza per se-dici ore nella giornata.

Nuovo Ospedale S. IacopoEgisto Bagnoni

Sono previste anche le UCCP (Unità Com-plesse Cure Primarie) dove sarà data ri-sposta ai malati cronici nelle fasi di riacu-tizzazione della loro malattia ed a tutti quei malati che vengono dimessi dall’ospedale non ancora completamente stabilizzati.Un discreto passo avanti nella organizza-zione del territorio è stato fatto con la intro-duzione del modello assistenziale ‘chronic care model’ che ha raggiunto una copertura del 40% della popolazione dei portatori di malattie croniche.Nel territorio c’è ancora molto da fare per rispondere alle esigenze crescenti di una po-polazione con un numero di anziani che au-menta a ritmo elevato.Dobbiamo essere fiduciosi perchè le com-petenze e la disponibilità dei professionisti della sanità ci sono, ma rimangono lo stes-so moltissime perplessità per i tanti nodi da sciogliere in merito ai posti letto delle strut-ture intermedie e la copertura dei servizi spe-cialistici sul territorio.Con l’attuale carenza di personale medico ed infermieristico per le note vicende econo-miche viene spontaneo domandarsi come i dipendenti della nostra ASL potranno farsi carico dell’Ospedale e del territorio: ad oggi sembra mancare una efficace comunicazione fra queste due entità.

Pistoia, Ospedale S. Iacopo

Pistoia, Ospedale S. Iacopo

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Con uno straordinario e spettacolare dispie-gamento di forze è avvenuto, alla data pre-fissata e senza imprevisti, il trasferimento delle attività sanitarie dal vecchio storico Ospedale del Ceppo all’ipertecnologico Polo Ospedaliero di S. Jacopo. Pertanto il futuro della assistenza ospedaliera a Pistoia par-rebbe dispiegarsi verso un radioso avvenire. Utilizzando una similitudine a me cara, sa-rebbe come se, in una imbarcazione a vela, ci fossimo preoccupati di dotarla di uno stra-ordinario apparato velico (vele di materiali all’avanguardia, rinvii e manovre automatiz-zate, alberi in fibra di carbonio, ecc.), senza preoccuparsi della carena e della deriva, che non a caso in gergo marinaresco viene defi-nita come “opera viva”, in contrapposizione all’“opera morta” che è tutto ciò che sta so-pra la linea di galleggiamento.Nella storia esiste a tal proposito la vicenda del grande veliero svedese Vasa, che per un errore nel calcolo del rapporto fra potenza velica e peso della deriva e della zavorra, cal-colata a pieno carico, naufragò il giorno del varo in mare, quando il carico non era stato

ancora imbarcato.Ritornando alla nostra similitudine, l’“opera viva” può identificarsi nel cosiddetto “ter-ritorio”, cioè l’insieme dei servizi socio-sa-nitari operanti sul territorio di riferimento dell’ospedale ed anche a domicilio dei pa-zienti. Proprio quando l’ospedale nasce con moderne concezioni progettuali per accoglie-re nuove modalità assistenziali (assistenza per fasce di intensità di cura, elevato indi-ce di utilizzazione dei posti letto, degenze brevi), è indispensabile che il territorio sia in grado di filtrare i ricoveri e di accogliere pazienti dimessi in tempi più brevi, i quali, quindi, richiedano ancora cure ed assistenza che in passato ricevevano da ricoverati.Allora il problema è molto semplice: il terri-torio inteso come insieme di persone e servi-zi dedicati al sistema delle cosiddette “cure primarie” è in grado di rispondere celermen-te a tali bisogni assistenziali? Sarà capace di controbilanciare la spinta che l’evoluzione tecnologica dei nostri ospedali (Pistoia è il primo ad essere inaugurato dei quattro pro-grammati in Toscana) produrrà con rilevanti riflessi sul sistema territoriale delle cure pri-marie, ma anche con pericolose conseguenze sull’assistenza ospedaliera in caso di inade-guatezza in risposta assistenziale da parte del territorio?Tentiamo di esaminare il territorio secondo alcuni parametri valutativi:a) Omogeneità dei servizi. Il tentativo di tra-sformare la cosiddetta “medicina di attesa”, caratteristica storica del Medico di Medicina Generale (MMG) del passato, in “medicina di iniziativa”, tipica del necessario associa-zionismo medico sancito da molti accordi re-gionali e integrativi aziendali, si è sviluppato a macchia di leopardo e non ha interessato la totalità della popolazione assistita. Questo perché l’esperienza del Chronic Care Model (CCM) ha interessato, per motivi di bilancio, solo selezionati gruppi di medici e quindi non la totalità degli assistiti (circa il 50% a

Il territorio è nudoDott. Beppino Montalti, Medico di Medicina Generale

ATTUALITÀ

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livello regionale con punte dal 40 % al 60% a secon-da delle singole ASL).b) Valutazione dei risul-tati. Gli indicatori scelti per la valutazione dei ri-sultati sono di processo e di risultato e sono finaliz-zati al riconoscimento de-gli incentivi economici ai medici aderenti (peraltro assai modesti ed influen-zati da parametri – ad es. la percentuale dei pazienti vaccinati contro l’influen-za – legati più a vicende nazionali e mediatiche che all’impegno personale del singolo medico). Mancano al momento i cosiddetti outcome di salute, gli unici dati che rendano ragione dell’efficacia di tutto il sistema delle cure primarie.Sono disponibili esclusivamente dati che si riferiscono all’andamento dei valori medi delle emoglobine glicate (in diminuzione), i quali possono far bene sperare sul reale mi-glioramento dei parametri assistenziali dei pazienti diabetici e alcuni parziali dati sulla diminuzione dei ricoveri dei pazienti affetti da scompenso assistiti a livello di CCM, ma che attendono sostanziali conferme.Anche il parametro della integrazione fra operatori infermieristici e MMG nella espe-rienza del CCM, pur considerando la diversi-tà dei modelli operativi – vedi Siena e Massa – attende solide e uniformi conferme affin-ché, in caso positivo, tale esperienza abbia modo di diffondersi ulteriormente fino a di-venire una modalità operativa di routine e non sporadica.c)Valutazione dei costi. È limitata alla valu-tazione della spesa farmaceutica e al numero delle ricette senza che sia possibile parame-trare il miglioramento della qualità assisten-ziale con l’atteso risparmio farmaceutico. Già la valutazione bruta della spesa farmaceutica è soggetta a innumerevoli parametri di ca-rattere contabile ed organizzativo (distribu-zione diretta dei farmaci, esperienze locali in accordo con i farmacisti), figuriamoci se può essere considerato corretto astrarla da modelli assistenziali, da dati epidemiologici,

da modalità di audit interno ai singoli gruppi di MMG.In sostanza, quindi, il territorio, nonostan-te i timidi tentativi di cambiamento attuati e quelli annunciati Associazioni Funzionali Territoriali e Unità Complesse di Cure Pri-marie (AFT e UCCP) presenta ancora dati di una sostanziale inadeguatezza rispetto alle necessità future. Non è esaustiva la registra-zione del grado di soddisfazione con il quale gli utenti hanno giudicato il sistema territo-riale assistenziale secondo i dati diffusi dal S. Anna di Pisa: la qualità dei servizi sanitari percepita dagli utenti non sempre corrispon-de alla qualità dei servizi erogati specie se calibrati sulla efficienza e sulla appropriatez-za degli stessi. Il vizietto dei gestori politici di non scontentare il cittadino elettore per non perderne il consenso, genera la scelta di provvedimenti demagogici e che non interes-sano zone di bilancio ove continuano ad an-nidarsi sprechi e inappropriatezze anche se non direttamente correlati alla spesa medico farmaceutica.La capillare rete dei MMG, con i tanti punti-ni neri, i servizi distrettuali con dirigenti ed operatori sempre più demotivati e frastorna-ti, tingono di un grigiore più o meno scuro, a seconda del numero dei puntini neri, il terri-torio. Non bastano i “peana” di Direttori Ge-nerali e di dirigenti sindacali che si incensa-no a vicenda! Il territorio è “nudo”!

ATTUALITÀ

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Valutazione preoperatoria dell’emostasiIone Niccolai

In preparazione a qualsiasi intervento chi-rurgico, sia di elezione che d’urgenza, un’at-tenta valutazione preoperatoria del paziente è fondamentale per prevenire complicanze intra e post operatorie e per il successo della terapia chirurgica.Se questo è vero per qualsiasi atto chirurgi-co, lo è in particolare per gli interventi di chi-rurgia maggiore, ove di per sé l’incidenza di complicanze anche gravi è più probabile.Fra le complicanze più frequenti c’è certa-mente un abnorme sanguinamento intra operatorio, che può rendere molto difficile eseguire l’atto chirurgico in modo corretto, o anche post operatorio, che spesso costringe a riportare il paziente in sala operatoria.Quindi la valutazione preoperatoria dell’emo-stasi è particolarmente importante.Va subito detto, e sottolineato, che una cor-retta, scrupolosa raccolta dell’anamnesi rima-ne la valutazione fondamentale per qualsiasi problema e in particolare per la valutazione dell’emostasi.

Accade spesso, infatti, che pazienti abbiano complicanze emorragiche, pur avendo test di laboratorio assolutamente normali.La storia clinica è fondamentale ma può es-sere raccolta, e purtroppo spesso accade, in modo frettoloso e insufficiente per molti mo-tivi e quindi essere lacunosa.Può dipendere dal medico che non è suffi-cientemente attento, ma spesso è il paziente che dimentica o ritiene scarsamente impor-tanti episodi chirurgici precedenti:ad esempio, estrazioni dentarie, tonsillec-tomia, atti chirurgici apparentemente poco rilevanti, che possono essere dimenticati, in quanto molto di frequente si verificano nell’infanzia (tonsillectomia) o sottovalutati.Si tratta invece di situazioni che, per mol-ti motivi, possono provocare sanguinamenti anche imponenti e segnalare un problema. Va per esempio ricordato che il cavo orale è molto ricco di sostanze fibrinolitiche.Bisogna anche fare molta attenzione al fatto che, anche se non vi è stato alcun precedente

AGGIORNAMENTO SCIENTIFICO

Pistoia, Convento di Giaccherino

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intervento chirurgico, o alcun fatto trombo-tico, il paziente potrebbe anche essere por-tatore di una malattia emorragica congenita che non si è mai palesata.Ci possono essere anche pazienti con patolo-gie come la malattia di Von Willebrand che non hanno mai avuto storie di sanguinamen-to.Quindi il medico deve essere estremamente attento e scrupoloso nel raccogliere la storia clinica del paziente.Per ottenere una corretta valutazione, mol-tissimi autori propongono di utilizzare que-stionari da sottoporre al paziente. Questi questionari devono essere semplici, com-prensibili ed esaurienti. Importanti da far venire alla luce sono fatti come frequenti epistassi, emartri, abbondan-ti sanguinamenti mestruali, emorragie dopo estrazioni dentarie, interventi pregressi a cui è stato sottoposto il paziente.Altri importanti problemi da far emergere, se presenti, sono precedenti malattie epatiche e renali, eventuali trasfusioni, terapie farma-cologiche croniche come aspirinetta, terapie anticoagulanti.Grande attenzione va posta anche nell’esa-me obiettivo del paziente. Ricercare la presenza di petecchie o ecchi-mosi che possono far supporre alterazioni pi-striniche oppure teleangectasie che possono suggerire una patologia epatica, o infine an-che pregresse deformità articolari che sono la spia di esiti di emartri anche non traumatici.Numerosissimi autori, soprattutto anglosas-soni, non ritengono i test di laboratorio di routine necessari (Eisemberg e altri Arch.Surg1982, Segal JB e altri 1985, Chee YL e coll 2008).Io credo comunque che siano molto impor-tanti, anzi imprescindibili anche per proble-mi medicolegali, il Tempo di Protrombina (PT), il Tempo di Tromboplastina Parziale attivata (aPTT) e la conta piastrinica.In parecchi studi retrospettivi di pazienti sot-toposti a chirurgia maggiore che hanno avu-to complicanze emorragiche peri operatorie è stato visto che questi parametri non sugge-rivano alcun valore predittivo.Anche il tempo di sanguinamento è stato am-piamente utilizzato tuttavia, pur essendo un test attendibile per valutare la funzione pi-

strinica, non è adeguato per suggerire rischio di sanguinamento intra e perioperatorio. Un vecchio studio di Lind pubblicato su Blood nel 1991 titola addirittura “Il tempo di sangui-namento non predice il sanguinamento chi-rurgico”.Particolare importanza va attribuita anche alla tipologia della procedura chirurgica.Infatti, ci sono interventi che di per sé hanno più grave rischio di sanguinamento.Tra questi, la tonsillectomia, la chirurgia della prostata, la chirurgia ginecologica e il bypass coronarico.Anche in tutti questi interventi però la mag-gior parte degli studi, per altro molto nume-rosi, concludono che il valore predittivo dei test di laboratorio è abbastanza trascurabile.Quindi, concludendo, ogni paziente deve es-sere valutato sulla storia clinica, su un esame fisico più scrupoloso possibile, e in rapporto alla procedura chirurgica da effettuare.Comunque uno screening di laboratorio ade-guato deve essere comunque eseguito routi-nariamente, anche per motivi medico legali.Le linee guida della Società Italiana di Emo-stasi e Trombosi raccomandano di routine: conta piastrinica, PT, aPTT, rimandando alla storia clinica per ulteriori accertamenti (Co-smi, Alatri e altri Res.Tromb. 2009).

AGGIORNAMENTO SCIENTIFICO

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Il giorno 6 luglio 2013 presso il Tempio Vo-tivo dei Medici d’Italia a Duno, in provincia di Varese, è stata celebrata una cerimonia in ricordo dei Medici caduti in guerra, (mortui Pro Patria) e dei Medici caduti per l’esercizio della loro professione in situazioni di emer-genze ambientali, nel tentativo di salvare la vita di altri, o per malattie causate dalla loro specifica attività di cura e di ricerca per alleviare le sofferenze del prossimo, defini-ti questi nel lessico del Tempio: mortui Pro Humanitate.

Fu il Sacerdote Don Carlo Cambiano che, ne-gli anni che precedettero la Seconda Guerra Mondiale, ebbe l’idea di dedicare un Tempio

Tempio votivo dei medici d’Italia di Duno (Varese)Un giusto riconoscimento alla memoria di un nostro indimenticato collega: Mario RomagnoliEgisto Bagnoni

a questi medici “eroi”, ricordando su lapidi di marmo i loro nomi.In un primo momento pensò di onorare la memoria dei molti medici morti durante la Grande Guerra nell’esercizio della loro pro-fessione sui campi di battaglia e negli ospeda-li militari, comprendendo, pur non essendo medico, i loro sacrifici e la loro abnegazione nel portare aiuto ai feriti. Cominciò racco-gliendo il nome di questi medici, morti per la Patria (“Pro Patria”); ma, presto, a quei nomi gli parve giusto aggiungere quelli dei medici che avevano trovato la morte per l’esercizio specifico della loro professione (morti “Pro Humanitate”), consapevole che questi ulti-mi, non meno degli altri, avevano sofferto la

MEMORIE

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MEMORIE

loro guerra nelle corsie dei Ospedali, accanto al letto dei malati, nei laboratori e nei luoghi più disparati, cadendo martiri per tener fede al mandato del loro Giuramento di Medici: “agirò sempre per il bene del malato”, come intendevano loro, senza alcuna retorica, la lettera del Giuramento Ippocratico.Il tempio di Duno, fu consacrato il 25 ago-sto 1938 dal Vescovo di Como e rimane un monumento unico in Europa, per la caratte-ristica di raccogliere i nomi di questi medici.

Duno, piccolo paese arroccato su una splen-dida montagna, nel verde all’altezza di 500 metri, deve la sua notorietà al turismo ed a questo Tempio, nato dall’idea di Don Cam-biano, che, sensibile ai bisogni della sua gen-te, fondò anche un asilo per l’infanzia.Nel Tempio, in una piccola cappella ottago-nale, che ripete nella forma l’impianto della chiesa, sono alle pareti parecchie lapidi con centinaia di nomi di medici, alcuni seguiti dalla connotazione P.P. (mortui Pro Patria),

altri dalla connotazione P.H. (mortui Pro Hu-manitate).Dopo la morte del fondatore l’istituzione cadde nell’oblio e nell’abbandono, fino ad alcuni anni fa quando, per il benemerito in-teresse dell’Ordine dei Medici di Varese, è stato intrapreso ed effettuato un restauro, che ha reso vita nuova non solo ai muri ed i marmi del passato, ma ha proiettato nel futuro questa opera, inscrivendo nel mar-mo i nomi dei medici caduti nell’esercizio della professione in tempi recenti. A questo fine il Presidente dell’Ordine di Varese chie-se ai Presidenti degli Ordini di tutta l’Italia di segnalare, se ne conoscevano, i nomi di colleghi che avevano perso la vita per cause professionali.

Con la cerimonia del luglio scorso, insieme al nome di altri sette medici, caduti di recente, è stato inciso nel marmo, il nome del collega pistoiese Prof. Mario Romagnoli, deceduto nel 1960 in seguito a malattia professionale,

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provocata da decenni di esposizione ai raggi X, dopo avere subito negli anni precedenti la morte, dolorose lesioni progressive, mal-grado le quali continuò la sua opera e che portarono all’amputazione dell’arto superio-re sinistro.

Nella vita del Prof. Romagnoli non si contano gli atti di eroismo sia in guerra sia nell’eser-cizio professionale. Fu Primario Radiologo dell’Ospedale del Ceppo e dedicò la sua vita al prossimo, lavorando in condizioni di alto rischio, quando ancora non si praticavano sistemi di radioprotezione. Ebbe parecchie volte alti riconoscimenti al valore civile e mi-litare. Per essersi distinto come bersagliere per atti di eroismo e di coraggio nelle Guerre Mondiali ebbe una medaglia di bronzo al va-lor militare, ma particolarmente importante e significativa per il riconoscimento della sua opera fu la medaglia d’oro al valore civile, alla fine degli anni ’50. Animo generoso e nobile, più delle medaglie gli furono cari l’affetto e la riconoscenza dei

sofferenti, che da lui, ebbero, insieme alle cure, sempre calore e solidarietà umana.

Nel mese di giugno scorso arrivò dall’Ordine dei Medici di Varese l’invito per la cerimonia di inserimento del nome di Mario Romagnoli fra i “medici eroi” del Tempio di Duno.Fu nostra premura comunicare alla figlia, Signora Marcella, la notizia ed estenderLe l’invito di partecipazione alla cerimonia in ricordo del padre.Il giorno 6 luglio 2013 partecipai alla bella e toccante cerimonia, accompagnato dal colle-ga Dott. Pierluigi Benedetti, che conosceva in precedenza la figlia ed era stato tramite con lei per la comunicazione.L’ospitalità e l’accoglienza da parte dell’Ordi-ne dei Medici di Varese nella persona del suo Presidente Dott. Roberto Stella è stata squisi-ta; ed a Lui porgo i più vivi ringraziamenti a nome dei consiglieri del nostro Ordine e della figlia del Prof. Romagnoli, che, rammaricata, non poté partecipare alla cerimonia per ra-gioni di salute.

I parenti e alcuni dei medici intervenuti alla cerimonia

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LIVELLO MINIMO

ScheDa DI LIVeLLO MINIMO N° 18Pierluigi Benedetti

BREVE NOTA ANTROPOLOGICA SUL LINGUAGGIO (II)

Quando iniziarono a parlare gli “Uomini”?

Nel Bollettino precedente ricordavamo come la base del cranio del neonato uma-no somigli nel suo profilo, più a quella del cranio delle scimmie antropomorfe, che a quella dell’uomo adulto; e come a questa particolarità sia associata una laringe molto vicina alla base del cranio.

Una conseguenza di questa disposizione anatomica è che l’epiglottide ed il velo del palato possono venire in contatto fra di loro; e il neonato, fino a che questo rapporto si mantiene, può deglutire il latte e respira-re senza soluzione di continuità temporale, dato che la via aerea e la via alimentare, per la presenza di una valvola di deviazione “completa” (velo del palato ed epiglottide), possono essere alternativamente e comple-tamente separate l’una dall’altra.Nei primi due anni di vita del bimbo la si-tuazione anatomica cambia gradualmente ed in maniera sostanziale: la base del cra-nio diviene via via più concava ed il rachide cervicale si allunga, mentre la laringe “di-scende” nel collo e si forma un vero spazio

orofaringeo, cioè una cavità, che permette di modulare i suoni in maniera tale da for-mare un linguaggio articolato. Si consideri che soltanto una piccola parte delle possibilità fonetiche viene utilizzata nelle numerosissime lingue umane e che il cervello si plasma, nelle prime settimane di vita, adeguando alle varie tipologie di lin-guaggio, appropriate vie di riconoscimento sensoriale. Di conseguenza è chiaro quanto sia importante l’apprendimento delle lingue straniere il più precocemente possibile. Ma si noti bene che per una formazione equilibrata degli schemi dell’attività neuro-nale (per la “fioritura” del cervello, come scriveva Ippocrate su questo argomento), più di quante lingue possa imparare a par-lare il bimbo nella sua vita, è basilare per la sua crescita “mentale”la lingua della “ma-dre”, cioè la lingua che apprende da chi lo nutre e si prende cura di lui nelle primissi-me fasi dell’ esistenza. Il discorso sull’apprendimento delle lingue, o meglio su come gli uomini, quando vo-gliono, s’intendono fra loro, ci porterebbe lontano. Riassumendo, quindi, abbiamo visto dal-lo studio dell’anatomia umana e da quello dell’anatomia comparata, che il bambino è in grado di articolare il linguaggio quando la base del cranio acquisisce una flessione tipica del cranio umano adulto, cioè quan-do, con un allungamento del rachide cer-vicale consensuale alla flessione della base del cranio, si è formato uno spazio orofa-ringeo.Durante questo processo di crescita si mo-difica anche la morfologia del distretto cra-

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nio-facciale del bimbo: alla nascita la testa è quasi attaccata alle spalle, a due anni il collo si è allungato e definito in modo più simile a quello dell’adulto.

***Sulla base di quanto detto, studiando la for-ma della base del cranio delle varie “spe-cie” di Ominidi di cui si sono conservati i resti fossili, si possono fare delle interessan-ti considerazioni.Dalla concavità più o meno accentuata del-la base cranica rilevata nelle varie “specie” di Ominidi, possiamo, almeno in via ipote-tica, stabilire quali degli Antenati dell’Uo-mo avessero i mezzi anatomici per poter sviluppare un linguaggio.Gli Antropologi, studiosi di ferree cono-scenze scientifiche e di intuito fantastico, mai considerati nel loro giusto valore, sono andati molto oltre; e studiando i resti fossili dei nostri antenati, hanno trovato, oltre al

grado flessione della base cranica, altri ele-menti importanti per stabilire se un Omini-de avesse o no la possibilità di articolare un linguaggio.Hanno trovato, in altre parole, altre tracce “fossili” del linguaggio nello scheletro dei nostri Antenati, correlate agli organi che permettono la fonazione.

1) Dimensioni del canale dell’ipoglosso (il nervo dei muscoli della lingua).Non è senza significato che con una parola derivata da una stessa radice indoeuropea “dngwa-” (da cui sono derivate: in latino arcaico dingua, in tedesco zunge, in inglese tongue, in gotico tuggo, in rumeno limba, ecc.), molti popoli indichino l’idioma che essi parlano e l’organo anatomico fonda-mentale per la sua formazione.Nell’uomo la lingua è un organo di dimen-sioni relativamente maggiori rispetto alla lingua delle scimmie ed ha possibilità fun-zionali di complessità di gran lunga supe-riore.Gli Antropologi usano il termine “nimble”, cioè capace di muoversi con leggerezza ed abilità, per definire una lingua con caratte-ristiche umane, differenziandola dalla lin-gua delle scimmie antropomorfe. Naturalmente la lingua umana, per muo-versi come si muove nel cavo orale durante l’articolazione delle parole, ha bisogno di una innervazione adeguata, fornitagli da fi-bre che provengono dal XII paio di nervi cranici (ipoglosso).La lingua per quanto riguarda la sensibilità somatica è innervata dal trigemino e per la sensibilità gustativa dal nervo facciale nei due terzi anteriori e dal nervo glossofarin-geo nel terzo posteriore.

Il nervo ipoglosso umano è di conseguen-za notevolmente più grosso di quello del-le scimmie ed anche il canale, per il quale esce dal cranio (canale dell’ipoglosso del condilo dell’osso occipitale), è di dimensio-ni adeguatamente più grandi.Quindi il ritrovamento di un cranio di Omi-nide con un foro di dimensioni tipiche del

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cranio umano, ci dice che esso doveva ap-partenere ad un essere in grado di poter muovere la lingua in maniera tale da poter articolare un linguaggio.

2) Dimensioni dei forami intervertebrali dei nervi intercostali ed incisure costali.Analogo discorso si può fare per quanto ri-guarda le dimensioni dei nervi intercostali.Durante l’articolazione delle parole si ri-chiede una particolare abilità per control-lare con precisione l’emissione dell’aria necessaria alla produzione del suono nella fase espiratoria del ciclo respiratorio. Cioè parlare e respirare, per non dire del canto, richiedono un’integrazione neu-ronale assai complessa; ed a questo fine, nell’uomo, i nervi che comandano i muscoli respiratori sono adeguatamente sviluppati, cioè di dimensioni relativamente maggiori rispetto a quelli delle Scimmie, anche delle più evolute. Delle dimensioni di questi nervi si tro-va traccia nello scheletro considerando le misure dei fori intervertebrali, attraverso i quali essi passano, e la profondità delle in-cisure costali, nella faccia interna delle co-ste, in cui sono alloggiati.

3) Dimensioni e forma dell’osso ioide.Anche quest’osso fornisce indicazioni utili per stabilire se un Ominide potesse parlare o no; anzi sembra sia il fattore discriminate più importante per risolvere questo proble-ma.Infatti l’osso ioide è situato alla base del-la lingua e su di esso prendono inserzione molti muscoli linguali; nell’uomo è posizio-nato più in alto e molto più indietro rispetto ai Primati, e per le sue maggiori dimensioni e la sua forma permette un’ampia ed effica-ce motilità linguale.La storia del significato dell’osso ioide per stabilire la possibilità di parlare per gli Omi-nidi è di estremo interesse dal punto di vista storico, perché legata a pregiudizi duri a morire, riguardo alla presunta non “umani-tà” dell’Uomo di Neanderthal, per i caratteri poco attraenti del suo volto, ma che studi

sempre più accurati e moderni vedono gene-ticamente e culturalmente più come nostro “fratello”, che come semplice affine.

Considerando quindi questi tre elementi (le dimensioni e la forma del canale dell’ipo-glosso, dei forami intervertebrali e dei sol-chi costali e le caratteristiche dell’osso ioi-de), si possono fare delle ipotesi abbastan-za verosimili sulla possibilità di parlare per le varie specie di Ominidi.Si possono escludere gli Australopitechi , i cui resti fossili risalgono a circa 3,5 milioni di anni fa (Lucy per intendersi). Essi aveva-no una stazione bipede completa e definiti-va molto simile a quella dell’Uomo, ma un cranio tipico delle Scimmie Antropomorfe, per dimensioni e caratteristiche della base. Come gli Australopitechi sono, per motivi analoghi, da escludere tutti gli Ominidi vis-suti fino a circa 1,5 milioni di anni fa.Infatti soltanto nei crani di Ominidi risalenti a quel periodo la flessione inizia ad accen-tuarsi, acquisendo sempre più caratteristi-che “umane”.Questo comincia a verificarsi, in un arco temporale di diverse centinaia di migliaia di anni, nell’Homo Ergaster (o Habilis).Nell’articolo “Due ragazzi sfortunati” del

Volto di un uomo di Neanderthal (ricostruzione)

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Bollettino n. 23 dicembre 2012, si rico-struiva la storia, fantastica, ma verosimile, di Ominide adolescente, vissuto circa un milione e mezzo di anni fa nella savana dell’Africa Orientale sulle rive del Lago Tur-kana, e morto probabilmente per una sepsi secondaria ad un’osteomielite mandibolare originatasi da un dente infetto .Il ragazzo apparteneva alla specie dell’Ho-mo Hergaster (o Habils), che precedette, su questo pianeta, la nostra specie (H. Sapiens Sapiens) e quella dei nostri “cugini” o, più probabilmente “fratelli” neanderthaliani (H. Sapiens Neanderthaliensis).La specie dell’Homo Ergaster sviluppò, per più di un milione di anni, una cultura via via più complessa arrivando fino al control-lo del fuoco. Il loro cervello era più picco-lo del nostro di circa un terzo, ma quasi il doppio del cervello degli Australopitechi. l’Antropologia ci dice con certezza che i loro rapporti sociali cominciavano a evol-vere sempre di più in senso umano.

Avendo caratteristiche anatomiche dello scheletro che cominciavano a definirsi in senso “umano”, come quelle di cui si è par-lato, probabilmente stavano sviluppando un primordiale linguaggio articolato , an-cora ben lontano da quello dell’Homo Sa-piens, ma con il quale potevano scambiare fra di loro informazioni e partecipare l’un l’altro emozioni, ormai non più soltanto fe-rine.Si pensa che quel ragazzo, come i membri della sua specie, non potessero essere dei gran parlatori, per le limitate dimensioni dei nervi intercostali, come si deduce dalla relativa ristrettezza dei forami interverte-brali. Chi fosse interessato all’argomento può leg-gere il libro: “Il Ragazzo del Turkana”, di A. Walker e P Shipman, edito da Piemme Pocket. (Il titolo originale del libro è “The Wisdom of Bones. In serarch of Human Origins “ : un titolo che dice tutto).

Caverna di Lascaux, Francia

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Francesco colzi e Lorenzo BardelliGrandi medici e insigni chirurghiDott. Marco Bardelli, ortopedico

Il giorno 5 maggio 1984 si tenne a Monsum-mano una riunione straordinaria della Socie-tà Tosco Umbra di Chirurgia presieduta dal Prof. Luigi Tonelli in onore di Francesco Col-zi e Lorenzo Bardelli alla presenza dei nipoti Cav. Francesco Colzi e Signora Ines Bardel-li Satti e di tutti i medici di Monsummano. Gli atti della riunione scientifica, che vide la numerosa partecipazione di chirurghi prove-nienti da tutta Italia e una folta rappresen-tanza della Facoltà medica fiorentina guidata dal Preside Prof. Ugo Teodori, furono pubbli-cati in Firenze Chirurgica organo ufficiale del-la Società (1).Francesco Colzi e Lorenzo Bardelli furono sicuramente grandi medici e insignì chirur-ghi che misero il loro ingegno al servizio dell’umanità sofferente vissuta nei primi anni dell’Italia finalmente unita, riuscendo a coniugare l’attaccamento, quasi sacerdota-le, alla loro missione chirurgica e accademica con quella manualità eccelsa che fa diventare l’atto chirurgico arte sublime. Giorgio La Pira affermava che la vera vita è quella di coloro che sanno sognare i più alti ideali e che san-no poi tradurre nella realtà del tempo le cose intraviste nello splendore dell’idea. Anche per questo motivo crediamo fondamentale ri-cordare la vita di Francesco Colzi e Lorenzo Bardelli nel centocinquantesimo anniversario dell’unità d’Italia.

Francesco Colzi nacque a Monsummano il 15 febbraio 1855 e si laureò a Pisa nel 1873 con una laurea di primo grado trasferendo-si a Firenze per i due ultimi corsi all’Istituto Superiore di perfezionamento e ottenendo la laurea nel 1877 all’età di 22 anni. Entrò nella Clinica Chirurgica diretta dal Prof. Giuseppe Corradi dove fu assistente volontario per tre anni e nei successivi due anni, avendo vin-to una borsa di studio, frequentò le Cliniche

Chirurgiche di Parigi, Londra, Vienna e vari centri universitari della Germania. Tornato a Firenze si dedicò intensamente agli studi di Fisiologia nel laboratorio del grande ri-cercatore Luciani e di Anatomia Patologica nell’Isituto di Giorgio Pellizzari, a fianco di Guido Banti collega ed amico affezionato.Nel 1891 consegui la libera docenza in Clini-ca Chirurgica e nel 1893 vinse il concorso per la Regia Clinica Chirurgica di Modena. Nel dicembre dello stesso anno il suo Maestro Prof. Giuseppe Corradi, sentendo la mancan-za dell’allievo prediletto e chirurgicamente più dotato, lo richiamò nella Clinica Chirur-gica di Firenze e nel 1897 gli successe nella direzione. In poco più di tre anni dal suo ri-torno a Firenze Colzi aveva già eseguito oltre 840 interventi (su un totale di 7000) alcuni dei quali importantissimi e nuovi. Dimostrò l’importanza della funzione tiroi-dea e per primo al mondo stabili un dato essenziale per la chirurgia della ghiandola,

STORIE DI MEDICI

Francesco Colzi

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determinandone il quantitativo minimo per le esigenze funzionale. Nel 1896 per primo esegui in un solo tempo l’intervento di co-lecisto-enterostomia, virtuosismo riservato a pochissimi chirurghi di quell’epoca che co-munque lo facevano sempre in due tempi. Diversi interventi di interesse ortopedico-traumatologico furono eseguiti dal Colzi e in particolare un intervento da Lui proposto negli esiti di paralisi ischemica di Volkman, che provoca una contrattura il flessione delle dita e della mano a seguito di un apparec-chio gessato troppo stretto. Ancora oggi le tecniche di correzione di questa deformità consistono o nell’accorciamento delle ossa dell’avambraccio (Colzi) o nell’allungamen-to delle parti muscolari e tendine retratte (Scaglietti) (2).Drammatica fu la sua morte all’età di 48 anni! Essendo un appassionato di tiro al pic-cione, alle Cascine, gli cadde (secondo alcuni lo gettò violentemente a terra avendo man-cato il piccione) il fucile dal quale parti un colpo che raggiunse il suo braccio destro. Fu-rono chiamati al suo capezzale i più grandi chirurghi dell’epoca che decisero di ampu-tarlo tardivamente con l’arto oramai in gan-grena, contro il parere inascoltato del Colzi

che aveva chiesto l’amputazione immediata. Il 5 aprile 1903, a seguito di convulsioni te-taniche, cessava di vivere dopo dieci giorni di agonia sopportata con forza d’animo ecce-zionale in rispetto del vecchio padre Ottavia-no che giornalmente lo assisteva già provato dalla scomparsa, avvenuta alcuni mesi pri-ma, dell’adorata moglie Irene Brunetti.Colzi di carattere severo e un po’ rude (3) ebbe in cura anche il Maestro Giacomo Puc-cini, che il 25 febbraio 1903 riportò la frattu-ra della gamba destra a seguito di incidente stradale occorso mentre in macchina si tra-sferiva da Lucca a Torre del Lago rifiutando il ricovero in ospedale. Il Prof. Colzi comprese lo stato di depressione del grande composi-tore, afflitto da problemi familiari e stressato dal completamento non facile della Madama Butterfly già in programma al teatro regio di Torino, fino a diventarne amico. Il Maestro Puccini dette l’incarico al Cav. Italo Vagnetti di deporre una magnifica ghirlanda sul fere-tro con la seguente scritta: “ Giacomo Pucci-ni col massimo dolore”. Ma il gentile pensie-ro non potè essere esaudito avendo l’estinto vietato che fossero ricevuti i fiori (4). Allora il giorno successivo Puccini mandò all’Ing. Al-berto Colzi, fratello di Francesco, il seguente

STORIE DI MEDICI

Monsummano Terme, Piazza Giuseppe Giusti

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telegramma”Al dolore universale si associa animo mio straziato grande sciagura”(5).

Il Prof. Lorenzo Bardelli nacque a Motevet-tolini il 30 giugno 1869 e si laureò a Siena nel 1893 all’età di 24 anni. Dal 1893 al 1900 fu assistente presso la Clinica Oculistica di Siena per passare poi in qualità di aiuto a Firenze, seguendo così nella nuova sede il Maestro Prof. Luigi Guaita. Conseguita la li-bera docenza nel 1904 fu chiamato,un anno dopo, a dirigere per incarico la Clinica Oculi-stica dell’Università di Siena, incarico tenuto fino al 1907. Tornato a Firenze e trovandosi nell’impossibilità di rientrare nell’ambien-te universitario, fu obbligato, mancando di mezzi economici, essendo figlio di un mo-desto lavoratore della terra, a dedicarsi alla libera professione, raggiungendo nel campo professionale le vette più eccelse. Gli venne affidato in quegli anni la direzione del repar-to oftalmico della Casa di Cura San Giusep-pe e nel 1911 vi fondò l’Istituto di Terapia Oculare a cui accorsero numerosissimi pa-zienti Nel 1922 fondò il Bollettino di Oculi-stica spinto, come scriveva nella prefazione al primo numero, da un amore indicibile per l’Oftalmologia. Nel 1924 fu chiamato dal Prof. Mangiagalli rettore dell’Università di Milano a fondare la nuova Clinica Oculisti-

ca di quell’ateneo. Ma un anno dopo il Prof. Bardelli ebbe l’incarico dalla Facoltà medica fiorentina della direzione della Clinica Ocu-listica e nel primo anno accademico 1925-26 eseguì di propria mano più di 1000 inter-venti. L’ incarico fu mantenuto sino al 1929 quando, per meriti insigni, divenne titolare della stessa cattedra che mantenne fino al 1939, anno in cui fu inaugurata la nuova e grandiosa Clinica Oculistica di Careggi a lui dedicata e anno in cui fu nominato Senatore a vita per meriti scientifici.Importanti furono le ricerche istologiche da Lui compiute su le terminazioni nervose del tratto uveale con una colorazione particolare. Fu abilissimo nella chirurgia della cataratta e del glaucoma ma soprattutto nella chirurgia plastica delle palpebre e sulla faccia praticata in larga scala su i soldati della prima guerra mondiale. Si arruolò infatti come volontario il 24 maggio 1915 prodigandosi come uffi-ciale medico nell’organizzazione dei servizi oftalmici dell’ 8° Corpo d’Armata e contem-poraneamente consulente negli ospedali ter-ritoriali della Croce Rossa Italiana tanto da meritare la medaglia d’argento al merito. A causa di un’arteriopatia diabetica, compli-cata da un infortunio occorso durante una battuta di caccia, subì l’amputazione di una gamba e morì a Firenze l’11 ottobre 1942.Bardelli di carattere scontroso e irascibile (6) ebbe il riconoscimento più ambito nel 1923 allorchè venne prescelto dalla Regina Mar-gherita per essere da Lui operata di cataratta suscitando il risentimento dell’ambiente me-dico romano. E che l’intervento avesse con-seguito il più lusinghiero dei successi si può desumere da come scriveva la Sovrana al suo operatore” ... al Prof. Lorenzo Bardelli con la più viva e costante riconoscenza per avermi colla sua grande scienza ed abilissima mano, reso la luce che avevo perduta,e per avermi dato la grande gioia di rivedere i volti delle persone care, di rileggere i libri che rendono l’anima serena, di riammirare il sole e il mare d’Italia, i fiori e le infinite bellezze della na-tura e dell’arte che formano il fascino della nostra amata Patria”. Così scrisse Giovanni Papini nella sua appassionata rievocazione “... sfruttando la sua fama avrebbe potuto diventare ricchissimo preferì essere generoso

STORIE DI MEDICI

Giacomo Puccini

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e sentirsi amato e non ebbe altro conforto che la gratitudine degli uomini e la benevo-lenza di Dio. Fu medico umano e umanista, come usava ai buoni antichi tempi quando la medicina era filosofia naturale ed arte reli-giosa più che pedanteria in gergo e boriosità redditizia” (7).

Colzi e Bardelli hanno avuto diverse cose in comune: il luogo di nascita nel Comune di Monsummano Terme; la passione per la cac-cia che procurò loro ferite devastanti agli arti; studi universitari in sedi diverse da Firenze; la vittoria di concorsi a cattedra in prestigio-se sedi universitarie del Nord- Italia; la fama di chirurghi eccelsi e instancabili; le cattedre all’Università di Firenze che ha dedicato loro rispettivamente l’aula magna delle Cliniche Chirurgiche e la Clinica Oculistica a Gareggi; l’umiliazione dolorosa dell’amputazione di un arto; la morte in Firenze; la sepoltura nel Comune di Monsummano Terme a conferma del loro attaccamento alla terra di origine; le strade loro dedicate in Monsummano che sono confinanti.Ricordando la loro vita abbiamo avuto la conferma, che la Medicina è un atto di amore e che la Chirurgia diventa arte eccelsa quan-do praticata ad alti livelli per opera dell’inge-gno secondo insegnamenti dettati dall’espe-rienza o a seguito di una grande ispirazione. Colzi e Bardelli furono chirurghi esperti ed ispirati che giova ricordare in questo cento-cinquantesimo anniversario dell’unità d’Ita-lia, una e indivisibile come opportunamente precisato dal Presidente Giorgio Napolitano,

estendendo il nostro ricordo a tutti i medi-ci di Monsummano e a due in particolare: il Dr Enzo Bardelli, nipote del Prof. Lorenzo e figlio del suo fratello Dr Alfonso, disperso nel mare Egeo a seguito dell’affondamento della nave carica di feriti su la quale presta-va servizio come ufficiale medico durante il secondo conflitto mondiale e il Dr Nicola Ce-sario, bravo ed arguto medico, che ha voluto lasciarci proprio in questo anno.

BIBLIOGRAFIA1. Florence Journal Surgery- Firenze Chirur-gica Suppl.3,19842. Stringa G. : L’intervento di Colzi e Sca-glietti nella paralisi ischemica di Volkman. Firenze Chirurgica Suppl 3.1984,21-223. Burci E. :Commemorandosi Francesco Colzi un anno dopo la morte. Firenze Tipo-grafia Luigi Niccolai,19044. La Nazione lunedì 6 aprile 19035. La Nazione martedì 7 aprile 19036. Cavara V. : In memoria del Prof. Loren-zo Bardelli Senatore del Regno. Bollettino d’Oculistica 1942, 699-7207. Venturi G. : In ricordo di Lorenzo Bardelli. Firenze Chirurgica Suppl. 3 1984, 23-26

STORIE DI MEDICI

Montevettolini (Monsummano Terme)

La regina Margherita

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Le origini genetiche del dolore

“Al mattino presto del giorno quattordici del mese primaverile di Nisan, avvolto in un mantello bianco foderato di rosso, con una strascicata andatura da cavaliere, nel porticato tra le due ali del palazzo di Erode il Grande entrò il procuratore della Giudea Ponzio Pilato.Più di qualsiasi cosa al mondo il procuratore odiava l’odore dell’olio di rose, e ora tutto preannunciava una brutta giornata: proprio questo odore aveva cominciato a perseguitare il procuratore fin dall’alba.Gli sembrava che anche i cipressi e le palme del giardino olezzassero di olio di rose, e che all’odore dei finimenti di cuoio e del sudore della scorta si mischiasse quell’effluvio maledetto.Dalle ali posteriori del palazzo, dove si era sistemata la prima coorte della XII Legione Fulminante Romana, giunta a Jerushaljim con il procuratore, nel porticato giungevano volute di fumo attraverso il ripiano superiore del giardino, e al fumo amarognolo, che te-stimoniava che i cuochi delle centurie avevano iniziato a preparare il pranzo, si mescolava quello stesso pesante aroma.‘Oh numi, numi, perché mi punite ? …Sì, non c’è dubbio, è lei, sempre lei, la malattia orrenda, invin-cibile … l’emicrania … da essa non c’è salvezza, non c’è scampo … cercherò di non muovere la testa …’”Così Bulgakov, ne ‘Il Maestro e Margherita’, descri-ve Ponzio Pilato in preda a una crisi di cefalea. E, con uno spirito fantastico e corrosivo senza eguali, l’autore immagina che una risoluzione inaspettata e miracolosa del suo accesso di dolore condizioni le scelte politiche del potente romano in merito alla sorte del condannato Jeshua, comparso dinanzi a lui in giudizio …“Di nuovo udì la voce:-La verità anzitutto è che ti fa male la testa, ti fa talmente male che pavidamente pensi alla morte. Non solo non sei in grado di parlare con me, ma ti è perfino difficile guardarmi. E adesso sono involon-tariamente il tuo torturatore, il che mi amareggia. Non riesci neppure a pensare … Ma il tuo tormento cesserà subito, la testa non ti farà più male ……Ecco, tutto è finito, -diceva l’arrestato guardan-do con benevolenza Pilato,-ne sono molto lieto. Ti consiglierei, egemone, di lasciare temporaneamen-te il palazzo e di farti una passeggiata a piedi nei dintorni, anche solo nei giardini sul monte Elion. Il temporale avrà inizio …… nella testa del procuratore, ridiventata limpida M. Bulgakov, Il Maestro e Margherita, 1967

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e leggera, era nata una formula: l’egemone ha preso in esame la pratica del filosofo vagabondo Jeshua, soprannominato Hanozri, e non vi ha riscontrato gli estremi del reato. In particolare, non ha trovato il menomo legame tra l’attività di Jeshua e i disordini avvenuti da poco a Je-rushaljim. Il filosofo vagabondo è un malato di mente, per cui il procuratore non conferma la condanna a morte di Hanozri emanata dal piccolo Sinedrio. Ma considerando che i pazzeschi discorsi utopistici di Hanozri possono causare disordini a Jerushalajim, il procuratore esilia Jeshua da Jerushalajim e lo fa confinare a Cesarea, sul Mediterraneo, cioè proprio nel luogo di residenza del procuratore …” Molti eventi avrebbero avuto un corso diverso se la fantasia di Bulgakov fosse stata realtà. Ma, al di là dei giochi creativi dei grandi romanzieri, è vero che il dolore può colpire la vita degli uo-mini in modo determinante, infiltrandosi, quando ricorrente, negli anfratti della quotidianità e condizionandone le abitudini e la scansione: e, chissà, forse anche influenzando qualche scelta politica…Non per caso, infatti, è stato detto che il dolore non costituisce tanto una sensazione quanto ‘un’esperienza’: la stessa modalità con cui l’uomo si pone di fronte al senso di dolore è il pro-dotto di tutto il suo vissuto, delle sue esperienze precedenti e della sua emotività e costituisce il precedente su cui fondare le azioni future. È uno dei motivi per cui noi ricordiamo e impariamo.A causa della loro grande complessità biologica, molte delle sindromi dolorose che affliggono l’uomo sono ancora a causa sconosciuta. Tuttavia, un elemento importante di progresso si è compiuto grazie all’avvento delle acquisizioni di genetica molecolare. Infatti, la disponibilità delle sequenze del genoma umano ha inaugurato una fase nuova nella comprensione delle basi molecolari delle malattie e, grazie a questo, si stanno finalmente delineando i meccanismi che sono all’origine delle condizioni di dolore cronico.

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La natura della sensazione dolorosaLa particolare complessità delle sindromi dolorose trova la sua origine nel circuito di trasmissione dell’impulso nocicettivo, vale a dire nel percorso compiuto dallo stimolo al-gico dalla sua sede di insorgenza nei tessuti periferici fino alle sedi superiori del sistema nervoso. Attraverso una via polisinaptica, lo stimolo di dolore prodotto in conseguenza delle va-rie condizioni di danno tissutale viene cap-tato a livello del midollo spinale, intercettato dai centri sottocorticali e infine proiettato alle aree somatosensitive della corteccia. In tutto questo tragitto, l’impulso nervoso che veico-la la sensazione di dolore è sottoposto a una serie numerosa di controlli messi in opera da una varietà di elementi cellulari: sostanzial-mente neuroni, cellule infiammatorie ed ele-menti della glia. L’elemento centrale di questa funzione di con-trollo consiste in un processo di regolazione dell’intensità dello stimolo doloroso per cui questo, prima di raggiungere i centri corticali, viene filtrato in modo tale da risultare ampli-ficato oppure depotenziato rispetto alla sua intensità iniziale. Anche a livello di corteccia cerebrale, fase finale e delicatissima della ca-tena di trasmissione, l’impulso di dolore è sog-getto a una serie particolarmente complessa di controlli, in cui entrano in gioco le funzioni più alte e integrate della funzione cerebrale.In tutti questi passi, il processo di regolazio-ne si realizza su quanto in fisiologia è defi-nito come soglia di trasmissione dell’impulso: laddove la soglia venga abbassata, diventano percepiti come dolorosi stimoli che, altrimen-ti, risulterebbero innocui; in più, con questo meccanismo, gli stimoli di intensità superio-re al limite di soglia vengono potenziati nella loro intensità. Sensazioni esattamente opposte si realizzano quando la trasmissione dell’im-pulso di dolore va incontro a un innalzamento di soglia.Questa fine regolazione della sensazione dolo-rosa è messa in opera da una serie di molecole che si trovano sulla membrana della cellula nervosa e che sono in grado di modificarne la capacità di eccitarsi e di generare potenziali di azione. Per esempio, quando si verifica un danno a livello tissutale, i nocicettori presenti nelle aree immediatamente adiacenti alla sede di danno vanno incontro a una modifica con-

formazionale della loro struttura che li rende più sensibili del normale nei confronti della loro stimolazione. Così, l’impulso di dolore ge-nerato dall’elemento patogeno si estende alle aree vicine, anche se queste non sono state colpite direttamente dall’evento patogeno. Questo fenomeno è noto come iperalgesia se-condaria e costituisce un importante mecca-nismo protettivo nei confronti della capacità dei tessuti di riparare il danno. Simili meccanismi di sensibilizzazione si pos-sono verificare sia a livello di midollo spinale, che costituisce la sede anatomica della pri-ma sinapsi fra la fibra sensitiva periferica e il secondo neurone della via di trasmissione, sia all’altezza dei centri di controllo bulbari o sottocorticali. A qualunque di questi livelli, la regolazione della soglia di dolore consiste invariabilmente in un aumento o in una ridu-zione della reattività di molecole presenti sulle membrane postsinaptiche, per cui il segnale viene trasmesso in modo amplificato o ridotto rispetto alla condizione di normalità. Uno stimolo doloroso particolarmente intenso, oppure protratto nel tempo, produce sempre un abbassamento generale della soglia nella via di trasmissione, così che la sensazione

V. Van Gogh, Vecchio che soffre, 1890, Rijksmuseum, Amsterdam

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dolorosa risulta amplificata sia come intensi-tà che come durata; il significato protettivo di questi meccanismi di abbassamento di soglia sono evidenti, considerando l’importanza del dolore come meccanismo di allerta nei con-fronti di una perdita protratta dell’integrità tis-sutale.Ancora più affascinanti sono i meccanismi con cui il livello di soglia viene modificato al livello dei centri corticali. In questo caso lo stimolo doloroso viene ad integrarsi con affe-renze di tipo emotivo e cognitivo, aumentan-do ulteriormente e la complessità del fenome-no: la ‘sensazione’ diviene ‘esperienza’. In sintesi, i meccanismi di regolazione sono numerosissimi e variano continuamente in dipendenza di una serie di fattori, di natura sia biologica che psichica. E’ proprio questo insieme di elementi che rende la sensibilità al dolore un fatto assolutamente individuale e soggettivo ed è anche questa l’area dove ricer-care l’origine delle alterazioni della percezione dolorosa. Nel caso del dolore neuropatico, per esempio, il tessuto colpito da danno (sia, questo, dovuto a causa meccanica, termica o infiammatoria) è proprio una terminazione nervosa. Poiché il nostro organismo tende a reagire all’insul-to tissutale in senso protettivo, la via nervosa lesionata va incontro a un processo di sensi-

bilizzazione per cui la soglia di trasmissione delle fibre nervose rimaste illese si abbassa. Si realizza così un meccanismo di tipo ripa-rativo che, nel caso che il danno nervoso si mantenga nel tempo, tende a cronicizzarsi e ad automantenersi. Si realizza, così, una delle più temibili fra le sindromi dolorose su base acquisita.

La geneticaMolte forme di dolore cronico tendono a in-sorgere spontaneamente, senza una causa definita né, ad oggi, ancora ben nota. Gli at-tacchi di cefalea, così acutamente collegati da Bulgakov all’indecisione politica di Pilato, af-fliggono ogni anno moltissime persone e nel-la grandissima parte dei casi non è possibile risalire ad alcun motivo etiologico obiettiva-bile. Analoghe considerazioni possono essere fatte per altri quadri algici complessi. Per di più, le sindromi dolorose tendono a presentare un’aggregazione di tipo familiare, suggerendo un’origine congenita e trasmissibile.I più recenti studi sull’origine di queste pa-tologie prendono origine dalla constatazione che la percezione del dolore costituisca un elemento imprescindibile per il mantenimen-to dell’integrità degli organismi viventi: senza questo meccanismo protettivo, infatti, si mette in discussione il concetto stesso di vita negli

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organismi superiori. Considerando la difficol-tà di affrontare un tema tanto complesso come quello del dolore umano, i ricercatori si sono proposti di ricercarne gli elementi essenzia-li in animali inferiori, in cui i circuiti neuro-nali presentano livelli minori di integrazione e, dunque, una maggior facilità di studio. In particolare, è stato utilizzato l’insetto Droso-phila melanogaste, modello classico di studio in genetica molecolare, per indagare quali fos-sero i geni deputati alla trasmissione del dolo-re e quali, fra questi, presentassero omologhi strutturali nel genoma umano.I risultati sono stati sorprendenti. E’ stato pos-sibile identificare in Drosophila una lunga serie di geni coinvolti nella trasmissione do-lorosa, alcuni dei quali erano altamente con-servati nell’uomo e in altre specie animali. Molti di questi erano già noti agli scienziati perché coinvolti in meccanismi biologici fon-damentali in biologia umana, quali il proces-so infiammatorio e la comunicazione intra e intercellulare. La novità emersa, tuttavia, è stata che queste sequenze geniche erano forte-mente implicate nella regolazione della soglia

del dolore. Infatti, certi geni codificavano per proteine presenti sulla membrana del nocicet-tore periferico che, a seguito di stimolazione, aumentava la propria intensità di eccitazione. Altri geni, invece, producevano un aumento della scarica sinaptica del secondo neurone nelle vie algogene del midollo spinale: anche questo effetto era dovuto a un abbassamento della soglia.La fase ulteriore dello studio si è rivolto alla ricerca di questo gruppo di geni nell’ambito di alcune patologie algiche dell’uomo. E’ risulta-to che in coorti di pazienti affetti da sindromi dolorose croniche, fra cui anche la cefalea, i geni del dolore presentavano mutazioni im-portanti, il cui effetto era appunto quello di produrre un abbassamento della soglia dolo-rosa.

ConclusioniLa percezione del dolore è un fenomeno es-senziale per il mantenimento della vita e, per questo, è altamente conservato nella filogene-si. Proprio perché così importante, in tutte le specie animali questo sintomo è sottoposto a

una serie di importanti controlli bio-logici.Questi meccanismi regolativi pos-sono alterarsi, generando degli ac-cessi di trasmissione algogena del tutto anomali che, talvolta, tendono a mantenersi nel tempo divenendo cronici. Sarà forse possibile, in fu-turo, ricostruire tutta la catena di eventi molecolari che regolano la so-glia del dolore nell’uomo, arrivando a correggere le specifiche molecole che sono responsabili di scariche al-gogene eccessive e incontrollate. Considerando quanto, nell’uomo, il sintomo doloroso si integri con va-lenze di tipo affettivo ed emotivo, sarà importante studiare i mecca-nismi per cui la soggettività di cia-scuno di noi riesca a generare espe-rienze dolorose del tutto uniche e irripetibili.

Basbaum e coll. 2009. Cell 139: 267.Sorge R. e coll. 2013. Nat. Med. 18: 595.Segall S. 2012. CNS Neurol. Disord. Drug Targets 11:222.

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Attualmente, dal confronto con i Soci Andi quello che emerge e che accomuna un po’ tutti è la profonda preoccupazione per il de-stino della nostra professione, in equilibrio perfetto con il clima di forte crisi economica del nostro paese, e il non vedere uno spi-raglio risolutorio; è una considerazione di tutti i Soci, più grandi e più giovani, maga-ri spinti da motivazioni e panorami diversi, ma comunque un comune denominatore. I giovani odontoiatri sono consapevoli di es-sere una generazione completamente diversa dai più “anziani”, che hanno cominciato in tempi d’oro ed hanno avuto l’opportunità di lanciarsi in una professione sì impegnativa, ma dai risultati certi e abbondanti.Hanno di fronte un panorama lavorativo peggiore sotto molti aspetti, solo apparente-mente variegato, e non hanno le stesse mo-tivazioni dei predecessori. In sintesi, sono una generazione con prospettive “diverse”.Appartenere a un sindacato la cui funzione primaria è quella di tutelare gli interessi ma-teriali, morali e sindacali della categoria non è certo la soluzione all’ambita realizzazione professionale, che è sempre il risultato di un importante impegno personale e delle oppor-tunità che offre la contingenza temporale, ma può affiancare in questo percorso e snel-lire alcuni passaggi che toccano obbligatoria-mente l’ambito lavorativo. Per questo motivo ritengo opportuno fare un elenco dei principali vantaggi e delle oppor-tunità che offre attualmente l’iscrizione ad ANDI nazionale: Informazioni sindacali, culturali, fiscali, costanti e tempestive;Assicurazione RC professionale attraverso la convenzione nazionale ANDI ASSICURA/CATTOLICA con premi competitivi;RC professionale per i giovani collaborato-ri di Studio. RCP igienista Dentale, Polizza infortuni Odontoiatri, Polizza infortuni Col-laboratori, Polizza Infortuni Familiari, Poliz-za Medico Generico, RC auto;DVR per la valutazione dei rischi;

DPS sulla privacy;Compass Finanziamenti (credito al consu-mo per i nostri pazienti);Corsi D.lgs.81/08 Formazione obbligatoria per tutti i lavoratori a condizioni particolari;PEC andi gratuita (posta elettronica certifi-cata);Progetto Andi YOUNG: serie di agevolazioni per tutti i SOCI UNDER 35;Fidiprof CONFIDI consorzio per l’accesso ai finanziamenti dei professionisti;Convenzione con Banca Sella (POS); Corsi FAD (formazione a distanza) a condi-zioni particolari per i Soci;Sito nazionale www.andi.it e provinciale www.andipistoia.andinet.it;Obiettivo Sorriso: motore di ricerca www.obiettivosorriso.it per il cittadino e paziente;Mese della prevenzione Dentale e Oral Cancer day“Sorrisi d’Agosto”: segnalazione del proprio studio nel mese di AgostoRiviste e pubblicazioni sindacali e cultu-rali“il Tuo Dentista Informa” foglio mensile on line per la sala d’attesa.tuOtempO (sms, e-mail, messaggi vocali personalizzati)Convenzioni regionali con varie ditte per controlli e verifiche periodiche a particolari condizioni.Le attività della sezione Andi Pistoia sono presenti sul sito provinciale suindicato. Il Socio ha, inoltre, come riferimento i com-ponenti del direttivo provinciale a cui può sempre rivolgersi per qualsiasi problematica e questione.

Una professione che cambiaDott.ssa Elena Tropeano, Presidente Andi Pistoia

ODONTOIATRIA

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È con piacere che colgo l’invito del Presidente dell’Ordine dei Medici, Dr. Bagnoni, di presen-tare ai lettori del giornale dell’Ordine dei Medici il libro/guida “ Dirittti e tutela del malato oncolo-gico” della Dr.ssa. Cristina Venturi, biologa che, usufruendo di un Premio A.I.L Sez. di Pistoia e Valdinievole in ricordo del “Dr.Marco Tamburi-ni”, ha raccolto i dati riportati nella guida. L’attiva collaborazione con Marta Porta, Presi-dente dell’Associazione “Voglia di vivere” ed il supporto di CALCIT (Elio Pacini, presidente), ASVALT (Arnoldo Pieri, Presidente) e LILT Pistoia (Dr. Giuseppe Patani, ex-Presidente ed il neo –eletto Presidente Dr. Arturo Pacinotti) han-no permesso di pubblicare questo testo e renderlo semplice e fruibile a chiunque.L’esigenza più volte espressa dai familiari di avere un riferimento giuridico e pratico per cono-scere i diritti del malato oncologico riconosciuti dallo Stato, nonchè le tutele e le previdenze utili a consentire loro un dignitoso stile di vita, ci ha spinto a collaborare per fornire questo supporto conoscitivo ai pazienti e ai loro familiari, aiutan-doli a districarsi nella complessa rete burocratica necessaria ad ottenere le certificazioni ed attesta-zioni richieste per usufruire dei benefici di legge.

In questo testo gli argomenti sono stati raggrup-pati in vari capitoli e in un’appendice con infor-mazioni utili per le categorie più deboli. Ciascu-no dei capitoli è facilmente identificabile perché dotato di un colore diverso:Diritti del malatoDiritti in ambito sanitarioDiritti in ambito assistenzialeTutela in ambito socio-assistenzialeTutela in ambito lavorativo-previdenzialeSono previsti poi sottocapitoli con informazio-ni pratiche su: Di cosa si tratta, Per chi, Come fare, Dove andare e tabelle riassuntive.Visto che le normative e le procedure sono mute-voli e si rivalutano nel tempo, la presente guida è solo indicativa delle varie problematiche, offren-do soluzioni che devono essere verificate con il

passare del tempo. Si rimanda pertanto alla pagi-na web, al link https://sites.google.com/site/dirit-timalatooncologicoailpit/, dove progressivamen-te verranno fatti aggiornamenti inerenti le leggi, le normative e le modalità di accesso ai servizi

Le Associazioni che hanno tra loro collaborato rappresentano ottimi mediatori tra pubblico e pri-vato, e sono in grado di offrire consulenza, orien-tamento e supporto in piena sintonia con le sedi istituzionali (sindacati, enti di categoria, patrona-ti, etc.). Per qualunque ulteriore chiarimento è possibile contattare le varie associazioni: A.I.L. Pistoia Valdinievole; Voglia di Vivere, CAL-CIT, ASVALT e LILT utilizzando i riferimenti indicati nella pagina web sopra riportata.

Consapevoli che questo libretto/ guida possa rap-presentare un valido supporto anche per il me-dico di base e per l’oncologo di riferimento, vi invitiamo a contattarci per una copia digitale o cartacea.

Prof Elisabetta Meacci, Presidente A.I.L. Sez. Pistoia e Valdinievole, [email protected] Bindi 14-16 51100 Pistoia

MEDICINA DI TUTTI – MEDICINA PER TUTTI

A.I.L. – ASSOCIAZIONe ITALIANA CONTRO Le LeUCemIe

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La cITTÀ IMMaGINaTa

“Il prato di San Francesco” (seconda parte)Pierluigi Benedetti

PASSATO E PRESENTE

Sono stato ripreso da amici per la troppa fan-tasia delle piccole storie, che ho raccontato sul passato della nostra città, invitandomi a uno studio attento dei documenti e a essere rispettoso delle fonti; in pratica spingendomi, se lo facessi a un impari confronto, dal quale non potrei uscire che umiliato e costretto al silenzio, con gli studiosi, che hanno scritto e scrivono della storia di Pistoia.Consiglio apprezzato, ma impossibile da re-alizzare, perché la storia, quella vera, la pos-sono raccontare solo coloro, che hanno impa-rato a scuola quel mestiere. E questo non è il mio caso.Le mie sono riflessioni immaginarie sulla vita dei nostri padri, senza alcuna pretesa di ade-

renza storica documentata: sono pensieri che mi vengono in mente, guardando e toccando i muri antichi e lisciando con le mani le pan-che delle antiche chiese; e la Piazza di San Francesco è un buon posto per far correre la fantasia.Ad ogni buon conto ho consigliato a quegli amici di andar a battere con le nocche - si fa per dire - sul tegolo con l’impronta del sandalo di legionario romano che si trova nei sotterranei del Palazzo dei Vescovi, per sentir se quello è cosa vera o fantasia; e li ho invi-tati a darmi una spiegazione “razionale” del perché quel laterizio ci sia stato conservato intero, per duemila anni, come cosa unica e preziosa.

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L’ETA’ DEL FUOCO (secoli V-X d.C.)

Con la sistemazione augustea dei territo-ri dell’Impero Romano, nel primo decennio dopo la nascita di Cristo, Pistoia fu un cen-tro urbano di non trascurabile importanza dell’Etruria, la settima delle Regioni Italiche. La vita dei suoi cittadini, dal momento che le cronache importanti non ne fanno cenno, fu probabilmente abbastanza ordinata e tran-quilla, fino agli inizi del IV secolo, quando per la parte occidentale dell’Impero iniziò un declino, che avrebbe portato alla dissoluzio-ne completa dell’antico ordinamento statale.La pax romana, espressione di un sistema economico basato sul lavoro servile, durò fino al momento in cui ai Romani cominciò a venir meno la possibilità di far nuove con-quiste e procurarsi, in maniera facile, sempre nuove ricchezze e nuovi schiavi; o, per dirlo con altre parole, quando i cacciatori di schia-vi cominciarono a divenire prede essi stessi.La crisi, preconizzata da spiriti lungimiranti e inascoltati, come Tacito, già da almeno due secoli, manifestò nel IV secolo i suoi effetti laceranti nella compagine sociale, conoscen-do, nei cento anni successivi, un’accelerazio-ne inarrestabile fino a quando, per i confini indifesi e le feroci lotte fra eserciti “imperia-li”, le terre d’Italia, furono invase da popoli barbari e divennero il premio conteso delle nuove genti.Nel V secolo la nostra città fu assediata, pre-sa e distrutta: destino comune a quasi tutte le città d’Italia e della parte occidentale dell’Im-pero Romano. Tragica fu la guerra dal 535 al 553, fra i nuo-vi padroni dell’Italia, gli Ostrogoti, e gli eser-citi dell’Imperatore di Bisanzio. In quella cir-costanza per stragi orrende, feroci carestie e tremende pestilenze, le terre italiche, prima popolate e ricche, divennero lande squallide e deserte.“Videres seculum in antiquum redactum si-lentium...”“Il mondo era tornato silenzioso come prima che vi fossero gli uomini ... le case rovinate e deserte, abitate solo dai cani ... Nei campi le messi, passato il tempo del raccolto, attendevano invano i mietitori … le vigne, cadute le foglie sul far dell’inverno, restavano cariche dello loro uve rosseggianti … Nessuno per le strade … i

cadaveri abbandonati non si potevano contare...” (da LA STORIA DEI LONGOBARDI di Paolo Diacono libro secondo, cap. 4)

Furono per Pistoia tempi terribili, in cui, per non esser gli uomini tutti uccisi e le donne prese, i cittadini dovettero trovare rifugio nei boschi. Nascosti, per aver salva la vita, negli anfrat-ti più inaccessibili delle selve, divennero fa-miliari di orsi e lupi, contendendo ad essi le scarsissime prede. Ed in quei boschi impa-rarono a mangiar castagne e ghiande, negli anni in cui non fu possibile, per le scorrerie selvagge di barbari e soldati, seminare il gra-no e raccogliere i frutti dei campi.Inselvatichirono, ma non divennero mai un volgo disperso, senza nome: Pistoia, seppur bruciata e ridotta in rovina, rimase la loro città, alla quale, passata la furia distruttrice, fecero sempre ritorno; e forse alcuni, nasco-sti in cunicoli e cittadine grotte sotterranee, non abbandonarono mai il luogo in cui erano nati.I pochissimi sopravvissuti alle guerre, alle carestie ed alle pestilenze, in quegli anni di desolazione per noi inimmaginabile, si strin-sero intorno al loro Vescovo, che, come i Vescovi di altre città, seppe assicurare, oltre alla cura delle anime, un minimo di organiz-zazione civile, nella dissoluzione completa delle precedenti strutture economiche ed am-ministrative. Sono convinto che, di quel tempo ferino, i Pistoiesi abbiano portato dei segni nei loro

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comportamenti e nel carattere “selvatico e li-tigioso”, come fu ritenuto dagli altri toscani dei secoli successivi; primo fra tutti Dante, che arrivò a definire Pistoia tana degna di bestie. Venne a loro, da quelle fughe e sog-giorni nei boschi, un legame, mai offuscato nel tempo, con i loro monti e le loro selve e la considerazione e il rispetto per gli animali selvatici; e fra di essi per il più forte e feroce in quei tempi: l’orso, che, secoli dopo, scel-sero per segnacolo nello stendardo del loro Comune e in onore del quale, in ossequio al moderno uso di far rivivere le glorie del pas-sato in anacronistiche e patetiche rievocazio-ni in costume, i folcloristici ed improbabili cavalieri pistoiesi del terzo millennio si sfida-no ogni anno in una giostra.

E chi sa, infine, se la morte per fame scampa-ta mangiando castagne, non abbia affinato il gusto dei Pistoiesi per la farina preparata ma-cinando quei frutti seccati, con cui si fanno ancora i più tipici fra i dolci locali (frittelle,

necci e castagnacci) e si preparava la polenta “neccia”, cibo di non facile digestione, ormai caduto quasi nell’oblio, ma che ha sfamato generazioni di “montanini” e di abitanti del piano di Pistoia. Testimonianza della riconoscenza dei Pi-stoiesi alla salvifica pianta del castagno, fu l’opera di Giuseppe Tigri, fratello del più fa-moso Atto, con la stesura del poemetto “Le Selve della montagna pistoiese” (1844), in cui, con il garbato e retorico stile dei tempi in cui fu scritto, si lodava il castagno, ricor-dando l’immane fatica e le piccole gioie della vita degli abitatori dei boschi.

Chi mai leggesse questo piccolo libro potrà aver la sorpresa di trovare suggestioni e ricor-di, specie se da bambino, in una selva ( prato meraviglioso nel bosco, in cui si coltivava-no le piante di castagno) ha udito, sul calar della sera, inaspettato e discreto, il tonfo dei frutti del castagno che cadevano, rari e pesan-ti, rimbalzando a terra; ed ha visto schizza-re dal cardo aperto, fra l’erba, lucidissime e nuove, le castagne).Tornando a parlare di quegli anni feroci, si è già detto che i Pistoiesi, abbarbicati alle

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pietre rovinate delle mura e delle case, man-tennero la loro identità e resistettero; conser-vando gelosamente le memorie, pregando nelle chiese i loro Santi e costruendo nuove chiese per nuovi Santi, di cui riuscirono a procurarsi le reliquie in luoghi anche distanti da Pistoia. Pregarono per la loro salvezza terrena e cele-ste anche sulle tombe pagane, come su quel-la del rivoluzionario romano sconfitto sui loro monti alcuni secoli prima; e addirittura, su quella tomba costruirono una chiesa, de-dicata al Salvatore, secondo l’uso di costrui-re le chiese cristiane nei luoghi già tradizio-nalmente consacrati al culto, anche se di dei pagani, o sulle sedi di memorie precristiane.In recessi segreti conservarono quel che po-terono delle memorie del passato, frammenti di scritture e di codici; copiarono essi stes-si, come altri in altre città ed altri chiusi nei monasteri, documenti antichi, contribuendo, con sacrificio immenso, inconsapevoli, ma istintivamente decisi a salvare le basi della cultura occidentale, dalle quali sarebbe nata, di lì a qualche secolo, la nuova civiltà euro-pea.Nel periodo in cui il territorio fu diviso in feudi e nelle nostre terre sparì quasi del tutto il denaro circolante, i contatti fra le genti fu-rono ridotti al minimo e Pistoia perse molta nella sua importanza dal punto di vista eco-nomico. Tuttavia rimase mercato di prodotti indispensabili come il sale, che veniva dalle saline di Volterra e da lì ridistribuito al conta-do; e fu punto di riferimento religioso e cul-turale per la presenza dell’indiscussa autori-tà del Vescovo, le cui nuove responsabilità amministrative e giuridiche ebbero un ruolo politico fondamentale per la vita cittadina di allora e per i suoi futuri sviluppi.

E del nostro gran prato, in quei anni così tri-sti, che cosa era successo?Non molto, in verità: anche se si era rove-sciato il mondo, era rimasto un prato, quasi come ai tempi di Annibale. Non era più luogo di incontri, di passeggiate fuori porta o di attività commerciali, come al tempo in cui Roma dominava il mondo: era ritornato selvaggio e incolto, erano rinati i giunchi nelle pozze degli acquitrini, la gora

derivata dall’Ombrone si era riempita di ter-ra, e l’acqua aveva ripreso le antiche vie ver-so la Brana.Negli anni terribili che seguirono la fine dell’Impero Romano il prato era stato te-stimone di scorrerie di barbari e di incendi della città, massacri e distruzioni; ma rima-neva sempre un grande spazio verde, aperto verso i monti, frequentato dai pochi abitanti di Pistoia, che vi si riunivano, come in pre-cedenza, per ogni occasione importante; ora però, timorosi e guardinghi, ben attenti a rinchiudersi dentro quel che rimaneva delle mura della città alla minima avvisaglia di pe-ricolo e al calar di ogni sera.Nel VII secolo sotto i Longobardi, signori di Pistoia e di buona parte dell’Italia, le rovine della città romana furono usate per fonda-mento di nuovi edifici e nuove mura furo-no costruite e fortificate sul perimetro anti-co, mentre la vita della città, diminuita nel numero di abitanti ed immiserita rispetto a prima, si era adattata alle nuove forme eco-nomiche e sociali.Dopo la ricostruzione delle mura il prato, ancora integro nella sua estensione, ritornò ad essere più frequentato; l’acqua fu regola-ta di nuovo, come al tempo dei Romani, per portare alimento al fossato e nel prato si ac-colsero, con adeguato apparecchio, quando passarono da Pistoia, importanti personaggi come imperatori e papi con i loro soldati ed i loro corteggi. In quelle occasioni il prato fu pieno di gente, che accorreva a vedere, fra rulli di tamburi e squilli di trombe, le coraz-ze scintillanti al sole dei fanti e dei cavalie-ri, con le lance adorne di nastri, le bandiere multicolori e le orifiamme variopinte.Il prato cominciò ad udire, in quegli anni, le lugubri lamentazioni delle processioni peni-tenziali itineranti; fu percorso da gruppi di vagabondi e banditi, che cantavano ben altre strofe; vide mendicanti e lebbrosi, vaganti di città in città, da ogni luogo respinti; e rari pellegrini, che facevano la via dei monti per andare a Roma o per tornare alle loro città, dopo aver sciolto un voto sulla tomba di San Pietro, precursori intrepidi dei Pellegrini di Sant’Jacopo, che pochi secoli dopo, avrebbe-ro percorso quegli itinerari. Conobbe anche roghi e patiboli, essendo il

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luogo delle esecuzioni capitali, che in quei secoli erano occasione di grandi raduni di gente.E, cosa importantissima fu lo spazio, in cui i Pistoiesi “dispiegavano ed ordinava-no l’oste”, cioè organizzavano i ranghi e le schiere dei soldati, quando si preparavano ad andare in battaglia, sotto le bandiere dei Longobardi o dei Franchi, dopo che Carlo Magno, nel 774, aveva conquistato l’Italia.Le cose, per il prato cominciarono a cambia-re verso la fine del X secolo, quando il pe-ricolo delle invasioni e delle incursioni dei barbari scomparve completamente.Pistoia, ripresa una vita economica più atti-va, vide aumentare i suoi abitanti e fu neces-

sario costruire una seconda cerchia di mura, più ampia della prima.Era il tempo in cui, scrisse un cronista di al-lora, il mondo, rinnovato nella fede di Cristo, si scrollava di dosso la vecchiaia e conosceva una nuova primavera: la terra verde di prati e di boschi si rivestì di un candido mantel-lo di chiese, simile ad un mare popolato di bianche vele.L’Europa aveva stabilizzato i suoi confini in maniera abbastanza sicura e ricominciava a crescere; e Pistoia, come tante altre città dell’antico impero, non rimaneva certo in-dietro.Da quel momento iniziò per il nostro prato una lenta ed inesorabile agonia.

Pistoia, Giostra dell’Orso, anni cinquanta

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La chiesa del convento di Giaccherino

Atto Fabroni e il crocifisso di Sant’Ignazio.Storia restauro e documenti

L’ORDINE DEI MEDICI PER L’ARTE E LA CULTURA

Atto FAbroni e il crociFisso di sAnt’ignA-zio. storiA restAuro e documenti

a cura di A. Agostini e M.Camilla Pa-gninipp.120 ill b/n e colore br.17x24 ISBN

“Il presente volume nasce a corredo del re-stauro del Crocifisso ligneo realizzato da Atto Fabroni nel XVII secolo per la chiesa di Sant’Ignazio di Loyola di Pistoia. Il recupero di questo importante tassello del ricco patri-monio artistico conservato nella chiesa dei Gesuiti, ha offerto lo spunto per un appro-fondimento sulla figura del nobile pistoiese autore dell’opera e ha permesso di compiere una riflessione sul ruolo, ancora da studiare, che la Compagnia di Gesù svolse in città.” Così una delle due curatrici del volume, Anna Agostini, rende ragione della pubbli-cazione da poco in li-breria per i tipi di Po-listampa in Firenze. Molti sono gli inter-venti di restauro, o meglio “erano” visti i tempi di crisi, po-chi sono quelli che possono vantare una pubblicazione che metta a disposizione in modo accessibile i risultati di una com-plessa operazione di restauro quale è sta-ta quella svolta per il recupero del seicen-tesco Crocifisso detto “di sant’Ignazio” dal luogo, la sacrestia dell’omonima chie-sa pistoiese, che lo vide allestito fin dal tempo in cui fu scolpi-to dal suo autore. Il volume costruito a più mani da restauratori, specialisti e storici tra cui: Anna Agostini, Giovanni Cipriani, Silvia Gregori, Maria Camilla Pagnini e Umberto Pi-neschi, riannoda per la prima volta su basi documentarie anche l’opera di uno scultore sui generis il gentiluomo Atto Fabroni (1609-1692), membro di una nobile casata che tra il XVII e il XVIII secolo fu impegnata in rile-vanti azioni di mecenatismo artistico.

Il Fabroni si dette alla scultura dopo la mor-te della moglie e a lui sono ascritti già nella tradizione storiografica ottocentesca quat-tro Crocifissi e la riproduzione della Vergine di Loreto, anch’essa allestita nella chiesa di Sant’Ignazio a Pistoia. Il cuore del volume è costituito dall’inte-ressante altante di restauro che documenta analisi e tappe salienti delle operazioni ef-fettuate, dalla pulitura al consolidamento e

all’integrazione delle piccole parti mancan-ti della scultura fino al completo recupero della cromia super-ficiale costituita da una foglia metallica, finitura che non ha eguali in quest’area e che costituisce quindi un interessante ele-mento di originalità della scultura.L’ambito in cui il Cro-cifisso vide la luce è quello della Compa-gnia del Gesù che a Pistoia ebbe per lungo tempo un ruolo carat-terizzante della vita della città ed espresse personalità di spicco tra cui Giovanni Pie-tro Pinamonti; la pre-senza dei Gesuiti la-sciò anche un segno importante nell’am-bito musicale per la

presenza di Guglielmo Ermanni -organaro fiammingo- che nella chiesa di sant’Ignazio costruì un organo ancor oggi funzionate e utilizzato per attività concertistiche di livello internazionale. Al Rotary Club Pistoia e Montecatini Terme va il grande merito di aver sponsorizzato completamente il restauro del prezioso Cro-cifisso ligneo oggi nuovamente visibile e di aver sostenuto la stampa di questo interes-sante volume che invito a leggere.