Sett cc2013

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Anno 1 numero 1 - 5 Dicembre 2013 www.civiltacristiana.it UN WELFARE PER LA CALABRIA? In un’Italia scossa dalla crisi il “fronte” sociale diventa l’unico scudo efficiente L’industria? In svendita. L’economia? In de- clino. Le politiche sociali? Non pervenute. Il patrimonio? Svalutato e consumato. E’ que- sto lo scenario di un’Italia allo sbando, in cui l’unica preoccupazione sembra quella di fare cassa per ridurre il debito pubblico. Un Paese scosso e incapace di cogliere con immediatezza quei venti del cambiamento che hanno spirato anche in Germania o Francia, con percezioni ed effetti diversi, in cui il con- cetto di sviluppo diventa sempre più rarefatto e distorto del suo autentico significato. Infatti, sviluppo significa efficienza economi- ca ed equità sociale ed in un sistema odierno, in cui il motore della globalizzazione detta le condizioni, queste due componenti non posso- no camminare su binari separati. La parola cambiamento, o se meglio preferite rinnovamento, col “senno di poi”, è sempre apprezzabilmente pronunciata e dibattuta, di concreto però poco se non nulla è stato pro- dotto, se non audaci ma al contempo effimere proposte. E lo stato delle cose qual è? Un’Ita- lia che sprofonda sempre più in sabbie mobili da cui sarà arduo emergere se l’operato segui- rà questo orientamento ed una Calabria che di riflesso annaspa tra una mancanza endemica di energie econo- miche ed una diffi- coltà crescente ad attingere liquidità da fonti alternative per arginare quella emergenza ravvisa- bile in diversi co- muni del territorio, specie se si tratta di intervenire sulle aree a disagio. Il Governo taglia e le regioni subisco- no: è questo oramai il “leit motiv”. In un tale quadro generale appare sin troppo chiaro che impegno e determi- nazione diventano condizioni necessa- rie ma non più sufficienti. Se ti trovi dinanzi uno Stato che ha inibito da tempo qualsiasi transizione di denaro a beneficio, nel caso considerato, della Calabria, ed anzi infierisce ulteriormente sui conti già claudicanti di una come dell’altra Regione, allora comprendi che il percorso da qui al totale disfacimento sociale sarà breve e fatale, con ripercussioni permanenti in tutti i settori. Dunque il banco di prova che attende politi- ci e non è sicuramente ostico e cinico ed in tal senso occorre interrogarsi se gli interventi adottati sino ad oggi siano solo convenziona- li e dettati dal momento o possano avere un effetto domino positivo nel futuro prossimo. La risposta forse appare fin troppo scontata. “La politica dei tagli e delle sovra tasse” sicu- ramente sta giovando a ripianare i deficit sia comunali che statali ma rappresenta una deri- va illiberale, sia sul piano sociologico che ide- ologico, decretando ineffabilmente la scom- parsa delle politiche sociali nel nostro Paese. L’ordine di scuderia era quello di far quadrare i conti. Così è stato. E a farne le spese sono i cittadini, coloro i quali dovrebbe essere tu- telati e non penalizzati e bersagliati dalla tu- multuosa azione politica. Una manovra forse inevitabile, dato il triste epilogo di un’Italia sempre più inginocchiata ai piedi della cri- si, ma al contempo scellerata perché sostan- zialmente non lascia altro che terra bruciata intorno a sé e non pone nessun fondamento per il futuro. Un sistema che possa garantire continuità non è forse l’arma più efficace per evitare collassi di bilancio e avere una propria autonomia e stabilità interna? Tale sistema è possibile, è una pista pratica- bile. E si chiama “Welfare State”. Il Welfare di cui in esame si basa sulla concezione della dignità umana e della responsabilità sociale che non appartengono al sistema economico di avidità e di egoismo che domina ancora la nostra società. Un sistema in cui le istituzioni in primis ma anche il mercato, i sindacati, le imprese, la stessa società civile saranno chiamati ad esse- re compatibili tra di loro, fattive collaboratrici nella concessione di nuovi servizi e non più chiuse e offuscate nelle loro sfere intangibili. Dunque gli interessi delle varie parti in causa dovranno collimare in realtà in un unico in- teresse, il primo, il principale, il “benessere sociale”. L’idea è quella di porre “una società al servizio della società”. L’azione è quella di creare una fitta rete di ser- vizi sociali che diventino disponibili come un diritto assoluto e siano indirizzati ad una società i cui valori si orien- tino non sull’acquisizione sterile di beni, ma sull’equità e sul rispetto dell’individuo. Per cui un modello dinamico ed espansivo, che sia “garantista” dei diritti dell’individuo e che possa sopperire al complicato quanto angusto reperimento di liquidità dalle casse statali tramite forme organizzate di finanzia- mento privato. Il Welfare sociale così pensato e strutturato sarà in grado di fornire una vasta gamma di servizi e benefici dal settore socio sanitario a quello assistenziale e educativo sulla base del bisogno e non di una remunerazione fautrice solo di disparità sociali. Questo non è un siste- ma frammentario e sporadico, né tantomeno assurge ai canoni di una inconcludente spe- culazione, come quella che ormai è diventata un habitué in molti “salotti” politici, ma rap- presenta un piano di sviluppo programmato e continuo nel tempo, che si basa solo ed esclu- sivamente sui bisogni umani. D’altronde, in fondo, è una questione di si- stema….e la Calabria può esserne l’apripista italiana in senso assoluto… In questi ultimi anni, la parola più usata nei telegiornali, nei dibattiti pubblici, nelle piazze è “crisi”. Crisi della politica, crisi dei valori, crisi della democrazia, crescita dell’antipolitica. I Governi cadono, le coalizioni opposte, come anche interne, cercano i motivi delle rivalse, e pochi sono coloro che si muovono per il bene del popolo, che si rendono disponibili a rinunciare ai privilegi della “casta” per il bene della propria Nazione. Forse perché da tempo sono stati mutilati i concetti di Patria, di fede, di famiglia; essi sono stati sostituiti con quelli dell’egoismo, del tornaconto personale, dell’interesse soggettivo, elementi che emergono quando l’etica e la morale diventano relative e non riferite a valori di giustizia condivisi. Ecco che pertanto tutto crolla, tutto appare instabile e così facilmente corruttibile; non vi è nessuna certezza, nessuna garanzia, nessuna speranza, si precipita irreversibilmente verso le tenebre, dove tutto è confusione. Non mancano gli uomini: siamo pieni di professionisti della politica, menti eccelse, ma incapaci di dare un freno ad una crisi sempre più “cinica” e “dissolutrice”. Dunque è d’obbligo chiedersi se è la filosofia della politica e i suoi tecnicismi che vanno cambiati oppure c’è qualcosa di spiri- tualmente forte che è venuta a mancare. Procedendo in questa analisi circostanziata sovvengono altri interrogativi: e se fosse il pensiero di Gesù Cristo a determinare una nuova ideologia po- litica? E se fosse ancora “Lui” a dettare i principi tesi a formare nuovi programmi di governo? Non sarebbe la genesi di un nuovo modo di intendere la sfera pubblica? D’altronde, la situazione è paradossale. Le finalità degli attuali programmi sono carenti di ide- alità, di fondamenti morali, della cosiddetta “matrice sociale”, per cui destinati a decadere nel breve tempo. Una coalizione di schieramenti priva di forti ideologie è come “detenere un potere senza alcun controllore” e restare vincolati solo ad una promessa di programma. Questo modello di politica “senz’anima” ha dimostrato di generare deserto intorno a sé, deter- minando la fine di ogni tipo di costrutto coerente, duraturo e produttivo per il bene comune. Ad oggi, quindi, nello scheletro sempre più esile della politica deve penetrare un’anima cristiana, un’anima destinata a non avere fine ed a rigenerarsi continuamente con la Parola di Dio. Una verità assoluta che discende da quell’unica ideologia che mai è stata sconfitta e che vive e continua a brillare, invitando ancora oggi l’uomo a seguirla: il Cristianesimo. Solo acquisendo una tale “forma mentis”, avranno ancora ragione di esistere in questa società alla deriva le più alte idealità: le sole in grado di dare consiglio e forza al “buon governo”. L’ideologia cristiana, infatti, è in grado di generare un’infinità di progetti finalizzati al governo della giustizia. Se si comprende che la migliore idea di governo è quella proposta da Gesù Cristo da ben duemila anni, l’individuo smetterà di cadere in altre perigliose tentazioni, fallendo mise- ramente, e inizierà a credere finalmente che la guida più valida, più sicura, la vera generatrice di benessere diffuso, anche per il governo del nostro Paese, resta la Parola di Dio. Allora tutto si svolgerà in un naturale corso di giustizia, dove l’errore sarà sempre meno signi- ficativo e gli egoismi totalmente vinti sotto ogni aspetto. Con i principi e la verità di Cristo i programmi saranno socialmente utili e facilmente attuabili, per dare all’Italia un tempo di pace e di prosperità….. LA RIFLESSIONE Quella verità in una politica “senz’anima”... Domenico Condò

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UN WELFARE PER LA CALABRIA?In un’Italia scossa dalla crisi il “fronte” sociale diventa l’unico scudo efficiente

L’industria? In svendita. L’economia? In de-clino. Le politiche sociali? Non pervenute. Il patrimonio? Svalutato e consumato. E’ que-sto lo scenario di un’Italia allo sbando, in cui l’unica preoccupazione sembra quella di fare cassa per ridurre il debito pubblico. Un Paese scosso e incapace di cogliere con immediatezza quei venti del cambiamento che hanno spirato anche in Germania o Francia, con percezioni ed effetti diversi, in cui il con-cetto di sviluppo diventa sempre più rarefatto e distorto del suo autentico significato. Infatti, sviluppo significa efficienza economi-ca ed equità sociale ed in un sistema odierno, in cui il motore della globalizzazione detta le condizioni, queste due componenti non posso-no camminare su binari separati. La parola cambiamento, o se meglio preferite rinnovamento, col “senno di poi”, è sempre apprezzabilmente pronunciata e dibattuta, di concreto però poco se non nulla è stato pro-dotto, se non audaci ma al contempo effimere proposte. E lo stato delle cose qual è? Un’Ita-lia che sprofonda sempre più in sabbie mobili da cui sarà arduo emergere se l’operato segui-rà questo orientamento ed una Calabria che di riflesso annaspa tra una mancanza endemica

di energie econo-miche ed una diffi-coltà crescente ad attingere liquidità da fonti alternative per arginare quella emergenza ravvisa-bile in diversi co-muni del territorio, specie se si tratta di intervenire sulle aree a disagio. Il Governo taglia e le regioni subisco-no: è questo oramai il “leit motiv”. In un tale quadro generale appare sin troppo chiaro che impegno e determi-nazione diventano condizioni necessa-

rie ma non più sufficienti. Se ti trovi dinanzi uno Stato che ha inibito da tempo qualsiasi transizione di denaro a beneficio, nel caso considerato, della Calabria, ed anzi infierisce ulteriormente sui conti già claudicanti di una come dell’altra Regione, allora comprendi che il percorso da qui al totale disfacimento sociale sarà breve e fatale, con ripercussioni permanenti in tutti i settori. Dunque il banco di prova che attende politi-ci e non è sicuramente ostico e cinico ed in tal senso occorre interrogarsi se gli interventi adottati sino ad oggi siano solo convenziona-li e dettati dal momento o possano avere un effetto domino positivo nel futuro prossimo. La risposta forse appare fin troppo scontata. “La politica dei tagli e delle sovra tasse” sicu-ramente sta giovando a ripianare i deficit sia comunali che statali ma rappresenta una deri-va illiberale, sia sul piano sociologico che ide-ologico, decretando ineffabilmente la scom-parsa delle politiche sociali nel nostro Paese. L’ordine di scuderia era quello di far quadrare i conti. Così è stato. E a farne le spese sono i cittadini, coloro i quali dovrebbe essere tu-telati e non penalizzati e bersagliati dalla tu-multuosa azione politica. Una manovra forse

inevitabile, dato il triste epilogo di un’Italia sempre più inginocchiata ai piedi della cri-si, ma al contempo scellerata perché sostan-zialmente non lascia altro che terra bruciata intorno a sé e non pone nessun fondamento per il futuro. Un sistema che possa garantire continuità non è forse l’arma più efficace per evitare collassi di bilancio e avere una propria autonomia e stabilità interna? Tale sistema è possibile, è una pista pratica-bile. E si chiama “Welfare State”. Il Welfare di cui in esame si basa sulla concezione della dignità umana e della responsabilità sociale che non appartengono al sistema economico di avidità e di egoismo che domina ancora la nostra società. Un sistema in cui le istituzioni in primis ma anche il mercato, i sindacati, le imprese, la stessa società civile saranno chiamati ad esse-re compatibili tra di loro, fattive collaboratrici nella concessione di nuovi servizi e non più chiuse e offuscate nelle loro sfere intangibili. Dunque gli interessi delle varie parti in causa dovranno collimare in realtà in un unico in-teresse, il primo, il principale, il “benessere sociale”. L’idea è quella di porre “una società al servizio della società”. L’azione è quella di creare una fitta rete di ser-vizi sociali che diventino

disponibili come un diritto assoluto e siano indirizzati ad una società i cui valori si orien-tino non sull’acquisizione sterile di beni, ma sull’equità e sul rispetto dell’individuo. Per cui un modello dinamico ed espansivo, che sia “garantista” dei diritti dell’individuo e che possa sopperire al complicato quanto angusto reperimento di liquidità dalle casse statali tramite forme organizzate di finanzia-mento privato. Il Welfare sociale così pensato e strutturato sarà in grado di fornire una vasta gamma di servizi e benefici dal settore socio sanitario a quello assistenziale e educativo sulla base del bisogno e non di una remunerazione fautrice solo di disparità sociali. Questo non è un siste-ma frammentario e sporadico, né tantomeno assurge ai canoni di una inconcludente spe-culazione, come quella che ormai è diventata un habitué in molti “salotti” politici, ma rap-presenta un piano di sviluppo programmato e continuo nel tempo, che si basa solo ed esclu-sivamente sui bisogni umani. D’altronde, in fondo, è una questione di si-stema….e la Calabria può esserne l’apripista italiana in senso assoluto…

In questi ultimi anni, la parola più usata nei telegiornali, nei dibattiti pubblici, nelle piazze è “crisi”. Crisi della politica, crisi dei valori, crisi della democrazia, crescita dell’antipolitica. I Governi cadono, le coalizioni opposte, come anche interne, cercano i motivi delle rivalse, e pochi sono coloro che si muovono per il bene del popolo, che si rendono disponibili a rinunciare ai privilegi della “casta” per il bene della propria Nazione. Forse perché da tempo sono stati mutilati i concetti di Patria, di fede, di famiglia; essi sono stati sostituiti con quelli dell’egoismo, del tornaconto personale, dell’interesse soggettivo, elementi che emergono quando l’etica e la morale diventano relative e non riferite a valori di giustizia condivisi. Ecco che pertanto tutto crolla, tutto appare instabile e così facilmente corruttibile; non vi è nessuna certezza, nessuna garanzia, nessuna speranza, si precipita irreversibilmente verso le tenebre, dove tutto è confusione. Non mancano gli uomini: siamo pieni di professionisti della politica, menti eccelse, ma incapaci di dare un freno ad una crisi sempre più “cinica” e “dissolutrice”. Dunque è d’obbligo chiedersi se è la filosofia della politica e i suoi tecnicismi che vanno cambiati oppure c’è qualcosa di spiri-tualmente forte che è venuta a mancare. Procedendo in questa analisi circostanziata sovvengono altri interrogativi: e se fosse il pensiero di Gesù Cristo a determinare una nuova ideologia po-litica? E se fosse ancora “Lui” a dettare i principi tesi a formare nuovi programmi di governo? Non sarebbe la genesi di un nuovo modo di intendere la sfera pubblica? D’altronde, la situazione è paradossale. Le finalità degli attuali programmi sono carenti di ide-alità, di fondamenti morali, della cosiddetta “matrice sociale”, per cui destinati a decadere nel breve tempo. Una coalizione di schieramenti priva di forti ideologie è come “detenere un potere senza alcun controllore” e restare vincolati solo ad una promessa di programma. Questo modello di politica “senz’anima” ha dimostrato di generare deserto intorno a sé, deter-minando la fine di ogni tipo di costrutto coerente, duraturo e produttivo per il bene comune. Ad oggi, quindi, nello scheletro sempre più esile della politica deve penetrare un’anima cristiana, un’anima destinata a non avere fine ed a rigenerarsi continuamente con la Parola di Dio. Una verità assoluta che discende da quell’unica ideologia che mai è stata sconfitta e che vive e continua a brillare, invitando ancora oggi l’uomo a seguirla: il Cristianesimo. Solo acquisendo una tale “forma mentis”, avranno ancora ragione di esistere in questa società alla deriva le più alte idealità: le sole in grado di dare consiglio e forza al “buon governo”. L’ideologia cristiana, infatti, è in grado di generare un’infinità di progetti finalizzati al governo della giustizia. Se si comprende che la migliore idea di governo è quella proposta da Gesù Cristo da ben duemila anni, l’individuo smetterà di cadere in altre perigliose tentazioni, fallendo mise-ramente, e inizierà a credere finalmente che la guida più valida, più sicura, la vera generatrice di benessere diffuso, anche per il governo del nostro Paese, resta la Parola di Dio. Allora tutto si svolgerà in un naturale corso di giustizia, dove l’errore sarà sempre meno signi-ficativo e gli egoismi totalmente vinti sotto ogni aspetto. Con i principi e la verità di Cristo i programmi saranno socialmente utili e facilmente attuabili, per dare all’Italia un tempo di pace e di prosperità…..

LA RIFLESSIONE

Quella verità in una politica “senz’anima”...

Domenico Condò