Serbia Cosi Vicina e Cosi Lontano

11
SERBIA: COSI' VICINA, COSI' LONTANA........ Se per Itaca volgi il tuo viaggio, fa' voti che ti sia lunga la via, e colma di vicende e conoscenze. Kostantin Kavafis Quando qualcuno mi chiede da quanto tempo vivo in Serbia conto, mentalmente, gli anni a partire dal giugno del 1968. Ma non è vero, non vivo da allora a Belgrado, e soprattutto, non ci sono mai vissuta senza interruzioni, che qualche volta sono durate anni. Ma in un giorno di quel giugno io mi trovavo a Venezia, ai Giardini, tra un gruppo di studenti dell'Università di Bologna che si accalcava davanti all'entrata della Mostra per occupare la Biennale del "potere e della polizia". Dopo ore di mani sudate e di gola secca a qualcuno di noi venne l'idea di sgattaiolare all'interno lateralmente dove il cordone dei "custodi della cultura borghese" era meno fitto. Tutto quello che è avvenuto dopo l’ho già raccontato molte volte. Entrai nel Padiglione jugoslavo, uno dei pochi aperti. All’interno due persone, prese di sorpresa dalla situazione, stavano attaccando dei biglietti alle sculture esposte. Avevano scritto delle frasi di dissenso in un italiano scorretto che le rendeva comiche. Mi offrii di correggerle. Parlavano tutti e due un francese stentato e si presentarono: uno era l’autore delle sculture, di Zagabria, l’altro uno storico dell’arte di Belgrado, che diventò mio marito. Forse, poichè quel mio primo gesto volontario di aiuto è stato una prefigurazione di quello che avrei fatto per sempre, è il mio subconscio a ripropormelo ogni volta come l'inizio della mia vita e del mio lavoro in Jugoslavia, leggi ex Jugoslavia, scrivi, per ora, Serbia e Montenegro. Fin da subito la mia esperienza nel Paese in cui avevo deciso di vivere prese la forma di una full immersion nella sua lingua e nella sua cultura. Tutti quelli che mi circondavano se ne occupavano: chi di arte,

description

E' facile scrivere la storia con il senno di poi. A quel tempo la grande illusione jugoslava teneva ancora. Mi capitava di incontrare sul Trieste -Lubiana - Zagabria-Belgrado qualche studente di scienze politiche che andava a raccogliere materiale per una tesi sull'"autogestione, il più riuscito sistema socio-economico d'Europa" da discutere in un' Università italiana di sicuro prestigio. Confrontavamo, durante le lunghe ore di viaggio, i nostri commenti su quella società migliore della nostra. Ora sono propensa a credere che tanto entusiasmo ci derivasse da esperienze più direttamente coinvolgenti con qualche singolo componente di quella società.

Transcript of Serbia Cosi Vicina e Cosi Lontano

SERBIA: COSI' VICINA, COSI' LONTANA

SERBIA: COSI' VICINA, COSI' LONTANA........

Se per Itaca volgi il tuo viaggio,

fa' voti che ti sia lunga la via,

e colma di vicende e conoscenze.

Kostantin Kavafis

Quando qualcuno mi chiede da quanto tempo vivo in Serbia conto, mentalmente, gli anni a partire dal giugno del 1968. Ma non vero, non vivo da allora a Belgrado, e soprattutto, non ci sono mai vissuta senza interruzioni, che qualche volta sono durate anni. Ma in un giorno di quel giugno io mi trovavo a Venezia, ai Giardini, tra un gruppo di studenti dell'Universit di Bologna che si accalcava davanti all'entrata della Mostra per occupare la Biennale del "potere e della polizia". Dopo ore di mani sudate e di gola secca a qualcuno di noi venne l'idea di sgattaiolare all'interno lateralmente dove il cordone dei "custodi della cultura borghese" era meno fitto.

Tutto quello che avvenuto dopo lho gi raccontato molte volte. Entrai nel Padiglione jugoslavo, uno dei pochi aperti. Allinterno due persone, prese di sorpresa dalla situazione, stavano attaccando dei biglietti alle sculture esposte. Avevano scritto delle frasi di dissenso in un italiano scorretto che le rendeva comiche. Mi offrii di correggerle. Parlavano tutti e due un francese stentato e si presentarono: uno era lautore delle sculture, di Zagabria, laltro uno storico dellarte di Belgrado, che divent mio marito. Forse, poich quel mio primo gesto volontario di aiuto stato una prefigurazione di quello che avrei fatto per sempre, il mio subconscio a ripropormelo ogni volta come l'inizio della mia vita e del mio lavoro in Jugoslavia, leggi ex Jugoslavia, scrivi, per ora, Serbia e Montenegro.

Fin da subito la mia esperienza nel Paese in cui avevo deciso di vivere prese la forma di una full immersion nella sua lingua e nella sua cultura. Tutti quelli che mi circondavano se ne occupavano: chi di arte, chi di cinema, di letteratura, di poesia, di teatro, di danza. Il caveau dell'Associazione degli Scrittori, sulla Francuska ulica, era il luogo di culto dove tutti si ritrovano ogni sera. Ai tavoli sul fondo, da cui arrivavano delle nuvole di fumo greve che gi verso le 11 ricordavano le nebbie di Parma a novembre, erano seduti solo quelli che "bevevano" (rakija, birra, vino, ma soprattutto caff turco da intellettuale, come si diceva, tazze da mezzo litro che venivano centellinate per ore). Ai tavoli apparecchiati delle prime due sale contigue, dove "si mangiava", si sedevano invece i papaveri pi famosi e scapigliati del Partito che in quell'occasione vestivano come noi in jeans (le pololari "farmerke" ) a cui si accompagnavano volentieri diplomatici, corrispondenti di giornali stranieri o"intel- lettuali" di fama, quelli che, in modo diverso, o troppo accondiscenti, o clamorosamente "dissidenti", erano congeniali al Partito Unico. Era ancora in vita, a quei tempi, Ivo, il gestore, o piuttosto il regista sapiente di quello spettacolo che si svolgeva puntuale ogni sera. Anche i rari scandali o tumulti avevano scadenze cicliche e la loro scenografia variava in dipendenza dall'evento. Se si trattava di qualche cazzotto tra personaggi internazionali di teatro la scena era meno drammatica poich si sarebbe svolta alla fine di settembre nell'ampio giardino tra celebrate bellezze abbronzate durante il Festival Internazionale di Teatro di Belgrado. Il jet set del cinema si affacciava invece tra il fumo all'interno del Club degli scrittori a met gennaio, per cui un eventuale dramma acquistava toni pi accesi e se ne parlava pi a lungo. Un'insalatiera colma versata sul cranio calvo di Yul Brinner dalla moglie gelosa entrata negli archivi del press clipping del FEST.

Non sarebbe onesto liquidare la scena culturale della capitale jugoslava di quegli anni con questo affresco superficiale del Club degli Scrittori. Quello che avveniva nel parterre al n.7 della Francuska ulica, pu solo suggerire l'atmosfera, in generale priva di preoccupazioni materiali, in cui vivevano gli artisti di allora, organizzati in Associazioni di categoria che assegnavano alloggi, diritto ad esporre, pubblicare e recitare e dispensava assistenza sanitaria e pi tardi pensioni. Ma, era al primo piano che venivano scritti i copioni. Tra gli specchi dorati e le poltrone di velluto rosso i ma(tres penser autorizzati emanavno, in tribune storiche, verdetti estetici e morali che avevano lo stesso peso e le stesse conseguenze di una condanna giudiziaria. Quelli erano gli anni successivi all'abile soffocamento delle rivolte studentesche da parte delle istituzioni titine. Si trattava, per il Grande Vecchio, del secondo round e qualcosa aveva imparato perch il target che era stato preso di mira era lo stesso: quello descritto nella "Nova klasa" dei gerarchi di partito che aveva sostituito quella vecchia nelle ville nazionalizzate dei quartieri alti emulandone i privilegi. I media di tutto il mondo, ancora attenti a tutte le minime incrinature che potessero screditare quell'eccentrica forma di regime totalitario comunista, ma non troppo, ed un'opinione pubblica non ancora stremata da centinaia di canali televisivi avevano decretato a quel libro un successo letterario immeritato in tutte le lingue dell'occidente. A Bologna, in quegli anni, ne era uscita una ristampa che avrei messo personalmente, vent'anni pi tardi, nelle mani del suo autore, Gido, come chiamavano Milovan Djilas i suoi commilitoni. Ma con gli studenti e i professori delle sommosse del '68 la lezione dei media era stata recepita. Tutto il paese era stato testimone commosso davanti agli schermi televisivi della familiarit in diretta con cui Tito aveva ricevuto i capi degli studenti ribelli per ascoltarne le proteste. Non voleva intermediari, e si erano capiti perfettamente, non era stato anche lui rivoluzionario e giovane prima di loro? Ogni problema sarebbe stato appianato, se ne faceva garante lui stesso. Quelli tra loro che accettarono le garanzie sotto forma di posti di lavoro, carriere, alloggi, vennero a formare a loro volta una nuovissimaclasse che fece rinsavire gli altri con una rassicurante riorganizzazione del sistema che avrebbe dato respiro alle giovani generazioni. Il risultato fu una circolazione pi libera delle idee e delle persone provenienti dai Paesi occidentali, ma le meno pericolose, quelle che riguardavano la cultura, per cui Belgrado, la vetrina prediletta del regime, divenne un crocevia internazionale di scambi tra l'Europa occidentale e l'Europa dell'Est. I mostri sacri del jazz, Luois Armstrong, Miles Davis, Ella Fritzgerald, del cinema, da Lattuada a Bertolucci, Sordi, Lollobrigida, Vitti, e tanti altri li vedemmo sfilare sorridenti nelle stesse sale del Club degli Scrittori. Luca Ronconi con il suo Orlando Furioso e Tadeusz Kantor con la sua Classe morta li vidi prima al BITEF e pi tardi al Piccolo Teatro di Milano. Sembrava di essere al centro del mondo: bastava star fermi a Belgrado che tutto sarebbe girato intorno a noi. Ebbe inizio allora la sua fama di citt aperta, piena di vita, estrosa, cosmopolita e insonne. Il minimo (e un po' di pi) sociale garantito, scuole e universit gratuite, libri e spettacoli a buon mercato, viaggi a rate con il passaporto/passepartout EST - OVEST, un sistema di crediti fallimentare (per le banche) davano la sensazione di navigare felici nel mare della guerra fredda come l'isola ubriaca di kusturiciana memoria.

Ma il titolo generale del film era pur sempre UNDERGROUND. Quelli che non credettero alle garanzie e si dissociarono, vennero messi alle strette con metodi ben pi bruschi, anche grazie a delazioni ben compensate, e andarono ad ingrossare le file di chi, gi prima di loro, durante e dopo la guerra, si era permesso il lusso di pensare con la propria testa, ma fuori dal Paese. Verranno seguiti pi tardi da altri. L' onda nera, uno dei pi noti movimenti artistici jugoslavi di quegli anni, che, se vogliamo trovarne i precedenti, ricorda il neorealismo, partendo dal cinema travolse tutte le arti. Anche gli stimoli erano quelli della pi grande corrente cinematografica italiana: presentare la vita quotidiana in toni reali, che erano naturalmente pi neri rispetto a quelli dei telefoni bianchi (o rossi, come gli Iskra sloveni in voga a quei tempi). Quella volta i media furono usati nei due sensi, contro e pro. La televisione segu fedelmente le sedute dei grandi saggi della Francuska ulica e gli atelier e i set dei condannati. Il risultato fu diverso dal momento che ormai la scena culturale jugoslava era stata aperta verso l'esterno. Molti dei grandi fuorusciti trovarono in esilio una fama che l'anatema aveva favorito, come a confermare che anche la Jugoslavia era entrata nel circolo vizioso dei media occidentali.

E' facile scrivere la storia con il senno di poi. A quel tempo la grande illusione jugoslava teneva ancora. Mi capitava di incontrare sul Trieste -Lubiana - Zagabria-Belgrado qualche studente di scienze politiche che andava a raccogliere materiale per una tesi sull'"autogestione, il pi riuscito sistema socio-economico d'Europa" da discutere in un' Universit italiana di sicuro prestigio. Confrontavamo, durante le lunghe ore di viaggio, i nostri commenti su quella societ migliore della nostra. Ora sono propensa a credere che tanto entusiasmo ci derivasse da esperienze pi direttamente coinvolgenti con qualche singolo componente di quella societ.

Allo stesso modo anche dall'Italia di quegli anni, fatta eccezione per le sfilate dei mostri sacri nazionali che ho citato, non veniva esportata la realt sociale che aveva coinvolto la scena culturale. Ognuno dei due Paesi "rappresentava" uno stereotipo edulcorato della propria cultura ed era forse dovuto a quello l'espressione sorpresa dei due artisti incontrati anni prima nel Padiglione jugoslavo e i 110 e lode alle tesi utopiche. Non ebbi occasione di assistere pi a lungo a questo dialogo tra sordi per la necessit di un trasferimento familiare. Ritornai nella mia citt che viveva in quegli anni una corroborante stagione di dissenso. Sembrava di poter introdurre nelle istituzioni le proposte sociali urlate negli slogan di tanti anni prima. Ma le estati a Belgrado continuavano a essere dolci e allegre. Durante una di queste una generosa proposta di mettere a frutto le mie esperienze di quegli anni mi port all'Istituto Italiano di Cultura. Ricordo il piacere di vedere sfilare questa volta i protagonisti di un'Italia in cui mi identificavo, G.C. Argan, Filiberto Menna, Bonito Oliva, Nunzio, Magris, ma anche Castellina, Guattari, Tommasini, Basaglia...che se ne and per sempre tre mesi dopo il suo ultimo soggiorno a Belgrado. Un anno dopo moriva anche Tito e la crisi economica che gi si sentiva nell'aria continuava ad aggravarsi nonostante il macchinoso sistema di successione dei diadochi eletti per diritto etnico. Imparavo che esisteva anche un altro modo di "fare cultura", pi nascosto, ma forse pi utile: la preparazione paziente dei Protocolli di cooperazione, il riconoscimento dei titoli, lo scambio di esperti, il supporto all'insegnamento della lingua, la redazione delle rassegne stampa, l'apertura ai media locali..... che anche nei periodi pi cupi servir a mantenere i rapporti tra i due Paesi. Cambiava, in quegli anni, anche il profilo della diplomazia italiana che operava nei Balcani. Sentivo gli interessi dell'Italia espressi pi distintamente e le analisi del Paese in cui ci trovavamo pi crude e concrete, e, in alcuni casi, cos pessimisticamente lungimiranti che pi tardi, nel ricordo, avrebbero preso i toni di una ispirata profezia. Perch gi da allora era chiaro che era stato imboccato un cammino che portava allinfelicit, ma nessuno riusciva ancora a prevedere che avrebbe portato al sangue.

Anche tra gli amici di sempre circolava un'atmosfera insolita. Le rivelazioni storiche e i verdetti estetici e morali, che ora non provenivano pi dalla Francuska ma vi rimbalza-vano lanciate dal Palazzo dell'Accademia Serba sulla Knez Mihaila, non suscitavano pi quei commenti scherzosi che passando di bocca in bocca rivelavano le frequentazioni. Non era pi cos piacevole fare mattino nelle kafane. Le discussioni violente e liberatorie dellalba che una volta riguardavano lo spettacolo o lultimo libro di uno dei presenti, si attorcigliavano ora intorno ad altri temi che mi separavano da loro. Non che ci fossero discordie tra noi, ma mi sembrava di essere di nuovo straniera, e non pi, come agli inizi, perch ero diversa io e parlavo male la lingua, ma perch diversi lo erano diventati loro.

Il fatto che fossi italiana aiutava a non interrompere il dialogo. Mi veniva suggerito di riflettere a chi appartenessero, di diritto, le terre dellIstria e della Dalmazia? Parlavano italiano, pensavano allItalia come al loro Paese, larchitettura e i nomi dei luoghi erano italiani. Ma io risposte non ne avevo da dare, perch su quel tema non ne sapevo molto, se non per la storia imparata a scuola e DAnnunzio, e se anche avessi voluto intromettermi nella discussione non avrei apportato argomenti validi.

Cominci poi il periodo delle celebrazioni. Ogni repubblica tir fuori qualche fatto storico avvenuto prima dellunificazione. Succede anche da noi, e non me ne stupivo, perch fa bene al turismo. Ma la differenza stava nell'animosit in cui, celebrando il proprio passato, veniva messa in discussione la gloria di quello degli altri. Gli epiteti offensivi che si scambiavano non riguardavano pi le abitudini o il temperamento come succede tra noi e in tutto il mondo dove esiste un nord e un sud. Si forgiavano sul ricordo di episodi del loro passato recente o remoto che con precisione evocavano linevitabile ripetizione di ciechi ricorsi storici.

In Serbia, tra quelle celebrazioni, ve ne fu una che pi delle altre che, o per la forza reale insita nellavvenimento da celebrare, o per la strumentalizzata coincidenza delle date, segn, o forse indirizz, il tempo che doveva venire. Nel giorno di San Vito del 1989, che cade il 28 giugno, si commemorava la battaglia del Kosovo di seicento anni prima sulla stessa verde e fino ad allora dimenticata piana dei merli rievocando il sacrificio estremo della Serbia cristiana dinanzi alla sovrastante armata dei fedeli ad Allah. Il cronista della televisione che trasmetteva in diretta non seppe trattenersi dal commentare che i fiori rossi che la leggenda vuole siano spuntati dal sangue dei martiri serbi fossero, quellanno, pi rigogliosi che mai. Sospinte da queste citazioni poetiche le allusioni venivano facili. Fu forse questa atmosfera cos densa di tragiche coincidenze ad ispirare il duce serbo di ancor fresca nomina : Nessuno deve permettersi di picchiarvi url, tra l'altro, ai serbi osannanti che erano gi entrati nella piena identificazione dei ruoli inevitabili, se si prendeva come motivo di attrito lappartenenza religiosa. Non si pu dire che fu proprio quella la frase che dette l'avvio alla recente storia balcanica, cos tragicamente assurda, anacronistica, e soprattutto piena di tanto inutile dolore e ferocia, che tutti ben conosciamo. Ma invece sicuramente dimostrabile che da quel momento i mezzi di informazione e i politici cominciarono ad introdurre nelluso quotidiano un linguaggio pseudoliturgico in cui il popolo serbo veniva definito celestiale, e descritto con tutte le caratteristiche affini al termine.

Ma erano la crisi economica e linflazione, che avevano superato i livelli della Repubblica di Weimar, spesso citata in quei giorni, e avvilivano allo stesso modo tutti i ceti sociali, a suggerire colpe e a proporre soluzioni aberranti.

Era cominciata una delle guerre pi immotivate della storia : le parti diverse della Jugoslavia che gi si scontravano con incursioni sporadiche oltre i confini dellaltra etnia, erano inevitabilmente arrivate al corpo a corpo l dove le differenze formavano il tessuto connettivo di una stessa citt. Le informazioni ci venivano urlate da telegiornali colorati e sempre accusanti, ma preferivo sentirmelo raccontare, con la televisione spenta, da quegli amici che riprendevano fiato a casa mia dopo aver pagato in valuta pregiata il costo della propria vita agli insensibili capitani di ventura che avevano invaso il Paese. Mi parlavano sottovoce, per stanchezza o per unabitudine nuova, di una citt pacifica che continuava a vivere tutta insieme, ma sotto le vie e le case della citt della violenza. E nel salutarmi per continuare oltre il loro viaggio mi raccomandavano di non dimenticare quei Nenad, quelle Azre, quei Leo che non si erano arresi e volevano credere che Sarajevo fosse ancora la loro citt. Non sapevo se li avrei rivisti, e loro che se ne andavano, e gli altri che rimanevano, e se avrebbero continuato a essere quelli che conoscevo.Intanto tutti gli scambi con l'esterno erano stati sanzionati, anche quelli culturali. Lermetica chiusura a cui era stato costretto il Paese, dando carta libera alle aberrazioni della propaganda interna, si rivelava sempre pi come uninutile e crudele mattanza degli spiriti. AllAmbasciata servivano ora solo addetti bilingui che tenessero in vita gli esili rapporti con la stampa, che potessero rimediare alla mancanza di documenti di studio, di lavoro, di famiglia, andati perduti, travolti da distruzioni o occupazioni abusive di scuole, istituti, ospedali, anagrafi.

LIMES, il suo direttore, me li ricordo da quegli anni a Belgrado. Era ai suoi inizi, ma fu da subito una voce diversa. Analizzava concretamente i processi di disintegrazione della Jugoslavia, soppesava i rischi per l'Europa, per l'Italia, se l'area balcanica fosse stata ulteriormente balcanizzata. Parlava di Euroslavia ... Lo compravo in Italia e lo regalavo agli amici di l, come unica prova che qualcuno poteva anche pensarla diversamente sulla crisi jugoslava, anche se non viveva nei Balcani, e che quella era una crisi anche nostra.

Gli scambi culturali vennero sollevati dalle sanzioni per primi. Forse qualcuno aveva capito. O forse la cultura non ha mai fatto paura a nessuno. Ce la misi tutta: rassegne di cinema italiano che alludessero a crisi attuali, teatro che suscitasse riflessione, rievocazione di movimenti artistici storici comuni ai due Paesi, conferenze di corrispondenti coraggiosi disposti a rischiare il visto, ma non erano che miseri, piccoli graffi a dispensatori di cultura locale che stampavano l'opera omnia del capo regime e della sua signora, e cercavano, come prima della guerra, come adesso, come sempre, ECO, PAVAROTTI e una GRANDE MOSTRA. Il grigio della frustrazione mitigato dalla partecipazione alle grandi, continue marce, dai fischietti, dagli slogan. Grande, commovente, plateale, appassionato, inebriante spettacolo primavera/estate /inverno che, oggi, mi sento di poter intitolare LA GRANDE ILLUSIONE.

Poi, un altro rientro nella mia citt. Se di cultura bisogna vivere, se non si sa fare altro, questa volta dovr essere all'incontrario. Dalla Serbia verso l'Italia. Compiti difficili. Una grande mostra.: Portare Milena Pavlovic Barilli a CASA BARILLI. O.K. Un mostro sacro. O.K. Che, come tutti i mostri sacri, fu di difficile cattura. Non bastava neanche la Serbia a contenerlo, dovetti andare fino a Parigi a convincerlo. Anche le circostanze della preparazione della tourne estiva di Emir Kusturica Film e No Smoking Band furono del tutto speciali. - Come vi bombardano gentilmente a Belgrado - rideva Nele capo dei musici, che quanto a bombe e mitraglie a Sarajevo si era fatto una certa esperienza. E anche questo serv a confermare, se ancora non l'avessi saputo, che organizzare cultura come giocare in borsa. Pi duravano i bombardamenti a Belgrado pi la tourne si allungava: le richieste arrivavano da ogni parte d'Italia, dalla Sardegna, dal Portogallo. Per questo la intitolammo EFFETTI COLLATERALI.

Ma non fu cos facile allora come nel ricordo di oggi. Anche se nessuno a Belgrado aveva realmente paura dei bombardamenti (di notte, sui tetti, incoscienti ispirati dall'alcool che in quei giorni scorreva a fiumi, sfidavano le bombe che illuminavano la citt come male- fici fuochi d'artificio) la sovrastante percezione che qualcuno, volando liberamente sul cielo della citt, volesse colpirne proprio gli abitanti, suscitava sgomento. E confusione. Perch chi colpiva era considerato amico, e da lui ci si aspettava quell'aiuto che convalidasse le inutili marce e riconoscesse alla fine come simili quelli che venivano gi definiti traditori al suo soldo.

Fu proprio durante i giorni di preparazione della lunga tourne, alla fine di quel maggio troppo caldo a Belgrado, quando il fischio delle sirene dell'inizio e della cessazione dell'allarme si susseguivano senza tregua impedendo anche il minimo funzionamento, che ebbi la sensazione, mentre affrettavo il passo per le strade ingombre di macerie, di sentirmi schiacciata tra due follie, una urlante e minacciosa sopra il mio capo, pronta a colpire, e l'altra, sotto ai miei piedi, degradata a bersaglio eppure ancora dispensatrice di tronfie false sicurezze. Follie perfettamente e inconciliabilmente parallele, ambedue localizzate in uno stesso pezzo di mondo tanto ricco di storia e di passata saggezza. Schizofrenica sentivo in quel momento quell'Europa a due facce, da ognuna delle quali, cos a lungo, avevo attinto in abbondanza quello che mi mancava nell'altra, felice di aver trovato una mia piccola formula privata che sanasse, con qualche ora di viaggio, il taglio secolare di qualche Cerulario consigliato dalla miopia della realpolitik.

Chiss che la recente avventura "culturale" che sta ora assorbendo le mie forze non sia germogliata, per tornare all'inconscio, proprio da quel momento di sconforto e di impotenza. Come quando siete chiamati da due amici in litigio a far da arbitro in una contesa che ritenete senza fondamento e non potete far altro che invitarli a casa vostra e indurli a confrontare le proprie ragioni. Come quando, anni prima, leggevo le pagine di LIMES agli amici italiani convinti che tutto il male e il torto fossero da una parte sola. Ma, questa volta - un LIMES che metta a confronto il pensiero EU e non EU ( e YU ed ex YU) sforando le transenne prestabilite per dibattere insieme sugli stessi temi - proponevo a Lucio. LIMESplus? O.K.

Mi rendo conto, terminando l'elenco dei miei "lavori culturali", che sto chiudendo il cerchio. Di esperienze studentesche parlavo all'inizio e di esperienze tra studenti devo parlare alla fine. Quando agli inizi di ogni anno accademico guardo per la prima volta i volti attenti delle nuove studentesse (iscriversi a italiano a Belgrado sembra un affare da donne) mi chiedo se sar finalmente questa la generazione che riuscir a sfondare il limes mentale che divide le due Europe e farsene gioco, ritrovando nelle proprie diversit (occhi neri, occhi azzurri, ortodossi, musulmani, ebrei, cattolici, ekavo, jekavo, stokavo, ungherese, albanese, rumeno, russino, slovacco) la forza del diritto naturale ad appartenere a quell'Europa della tolleranza e della multiculturalit che tutti ci andiamo sforzando di comporre. Che sappia trasformare gli antichi motivi d'attrito in lezioni gi imparate grazie a una lunga e consueta mescolanza. Non ho altro che parole scritte da offrire loro come strumenti, ma, quelli tra noi che, lungo gli anni, di parole scritte e parlate hanno imparato a vivere, non capiscono alla fine che le letture pi amate degli anni migliori sono state altrettante tacite promesse che hanno influenzato le loro scelte e la loro vita? Non riconosco talvolta a me stessa, quando ricerco le ragioni di questo mio lungo attardarmi fuori casa, di essere stata di parola nei confronti dell'ultimo grande poeta alessandrino i cui versi prediletti ho citato all'inizio?

Muo (Bocche di Cattaro) 9 agosto 2005