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Serbia Contributo di Federico Mallone Febbraio 2007

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Serbia

Contributo di Federico Mallone

Febbraio 2007

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Premessa. La Serbia è il paese più grande e il fulcro politico dell’ex-Jugoslavia; negli anni ’90 è stata protagonista delle guerre balcaniche e obiettivo degli interventi politici e militari della Nato. Oggi è sospesa fra il suo passato e il desiderio di una maggiore integrazione nell’Unione europea, persuasa a imitare gli altri paesi dell’est Europa nelle riforme, nell’attrazione di investimenti esteri, nello sviluppo e nell’integrazione economica, ma ancora sottoposta a un sistema politico e burocratico poco trasparente. Nonostante ciò, gli imprenditori occidentali considerano i lavoratori serbi i più esperti dell’Europa orientale.

La Serbia è instabile a causa di una situazione territoriale ancora indefinita, in cui alla recente indipendenza del Montenegro ha fatto eco un referendum per il mantenimento del controllo serbo sul Kosovo, messo in forse da numerose pressioni internazionali. È un paese di lunga tradizione industriale e agricola, in cui però i problemi ereditati dagli anni ’90 e il mancato completamento della riforma fondiaria rendono problematico l’afflusso di investimenti e la ripresa produttiva. Questa situazione ancora indefinita costituisce il punto di partenza per la valutazione delle opportunità e dei rischi che la Serbia presenta agli investitori esteri.

Da una parte, il rischio politico e l’assenza di un percorso coerente di riforme rendono un eventuale investimento soggetto a un elevato grado di incertezza. La burocrazia e il controllo politico e economico da parte di una ristretta classe di “oligarchi” restringono lo spazio in cui le imprese estere, in particolare le Pmi, possono operare. Inoltre, le imprese locali, anche quelle dotate di una lunga tradizione produttiva e di cooperazione con l’Italia, incontrano grandi difficoltà nel reperire i capitali (indispensabili per il rinnovamento delle infrastrutture) e i mercati (persi in gran parte in seguito alle guerre e all’embargo). Le politiche per l’impresa che si sono succedute negli anni hanno perseguito interessi più politici che economici e non hanno avuto il successo sperato.

Dall’altra parte, questa stessa situazione di “sospensione” fra il passato e l’Unione europea è alla base di benefici in grado di rendere particolarmente interessante un investimento estero. La Serbia (insieme al Montenegro) è il solo paese d’Europa che mantiene un accordo commerciale preferenziale con la Russia che consente a tutte le merci prodotte in Serbia un accesso al proprio mercato pagando un dazio dell’1 percento. Nello stesso tempo, la Serbia gode del trattamento doganale speciale concesso dall’Unione europea ai paesi in pre-adesione. Questa peculiarità rende la Serbia particolarmente adatta a una produzione orientata all’esportazione. Inoltre, esistono tradizioni industriali e di cooperazione con l’Italia che costituiscono una base solida (in termini di relazioni commerciali e di capitale umano) su cui instaurare rapporti nuovi: mentre continua (dal 1953) la collaborazione fra Fiat e Zastava, alcuni nuovi investimenti italiani in Serbia (come quello dalla Golden Lady e dalla Pompea) sono compresi fra gli studi di caso di maggior successo.

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Indice

1.Per capire la Serbia: un po’ di storia2.Cos’è successo all’economia: recessione e transizione3.Eppur non si muove: la politica e l’Europa4.La struttura economica e settoriale5.La Serbia e il mondo: commercio e investimenti esteri6.Il bastone e la carota: normativa e agevolazioni7.Conclusioni8.Bibliografia e siti utili

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1.Per capire la Serbia: un po’ di storia

1.1.Le radici storiche dei serbi. La storia della Serbia iniziò nel 1100 con la creazione di un regno indipendente, che verso la metà del Trecento arrivò a comprendere Macedonia, Albania e il nord della Grecia. Da questa esperienza deriva l’idea della Grande Serbia, ripresa varie volte nel corso dei secoli. Il periodo d’oro del Regno di Serbia si concluse nel 1389, con la battaglia del Kosovo: la nobiltà serba venne sterminata e i turchi cominciarono l’occupazione dei Balcani, che si protrasse per molti secoli. Il Kosovo è stato a lungo la frontiera che i serbi hanno difeso nel tentativo di contenere l’avanzata ottomana, nonché il centro da salvaguardare della religiosità monastica ortodossa. Per questa ragione il Kosovo riveste ancora oggi per i serbi una grande importanza storica. L’occupazione turca (brevemente interrotta nel Sei-Settecento dalla controffensiva absburgica) disperse molti serbi in cerca di scampo al di fuori della loro patria. Essi crearono numerose comunità aldilà del Danubio, installandosi a migliaia nelle pianure della Vojvodina e della Krajina, e oltre, verso sud ovest fino all’Adriatico. Questa diaspora ormai remota ha creato i presupposti degli eventi degli anni ’90.

1.2.Uno stato “sabaudo”. Le vicende ottocentesche della Serbia hanno molti aspetti in comune con quelle del Piemonte. Come il Regno sabaudo, la Serbia era un piccolo paese con una tradizione di autonomia, costretto fra due grandi imperi in lotta e in cerca di uno spazio proprio. Fra il 1805 e il 1817 condusse due guerre d’indipendenza contro i turchi, e nel 1829 ottenne una parziale autonomia. Partecipò attivamente ai movimenti risorgimentali di metà Ottocento. Fu in questo periodo che nacque il movimento jugoslavista, diffuso fra le élite serbe e croate, che si proponeva di unificare tutti gli slavi del sud in un unico stato. Pochi decenni prima gli intellettuali serbi, croati e sloveni avevano riformato su basi comuni la lingua e la grammatica, contribuendo a creare e a rafforzare un’identità jugoslava. La Jugoslavia non è stata un organismo instabile e artificiale creato a Versailles dalle potenze europee, ma un’idea concepita dalle classi dirigenti locali, nella quale e per la quale esse hanno creduto e combattuto. In questo contesto la Serbia si proponeva di svolgere in Jugoslavia lo stesso ruolo che il Piemonte aveva avuto nell’unificazione dell’Italia. Non a caso, a fine Ottocento si stampava a Belgrado una rivista chiamata Pijemont, ispirata all’esperienza dell’Italia.

1.3.Il Novecento. A cavallo del secolo la Serbia perseguì con le guerre russo-turche e balcaniche l’ideale di unificazione della Jugoslavia. Esse costituirono un tentativo di realizzare una politica espansiva a carciofo, sul modello sabaudo, inserendosi attivamente nei giochi delle grandi potenze. Esse coinvolsero i nuovi micro-stati balcanici e i giganti malati d’Europa, portando con sé il primo dei grandi sfollamenti di massa di civili che ebbero luogo nel Novecento nei Balcani, nelle zone occupate da ottomani, greci, bulgari e serbi, nel corso delle operazioni belliche.

La seconda guerra mondiale concluse il primo periodo di unificazione, breve e infelice. Con essa riesplose anche l’odio etnico fra croati, serbi e musulmani. Il regime fascista croato degli Ustascia e il movimento nazionalista serbo dei Cetnici furono i principali responsabili delle atrocità commesse in quel periodo. La prima legge emanata nel 1945 dal parlamento provvisorio della nuova Jugoslavia federale vietava in modo severissimo ogni propaganda di carattere etnico. I ricordi e gli odi soffocati nel periodo titoista riemersero tragicamente durante le guerre degli anni ’90.

Riquadro 1.Mafia, politica e guerra

La mafia e la guerra. I criminali di guerra e la cosiddetta “mafia serba” sono due definizioni che si riferiscono alla stessa categoria di persone. I generali delle forze paramilitari serbe costituivano i nodi principali di una rete di natura mafiosa, brutale e organizzata, che negli anni della guerra civile ha potuto far emergere la sua attività. Le operazioni belliche per le quali molti dei suoi esponenti sono oggi ricercati dal tribunale dell’Aja costituiscono per così dire azioni di mafia “alla luce del sole”: esse hanno permesso a questi clan di ottenere il controllo del territorio, per arricchirsi con il saccheggio e con la vendita illegale di armi all’ex-Jugoslavia in guerra. Un business di

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dimensioni nazionali, che essi contribuivano direttamente a alimentare. La mafia e la guerra hanno costituito un circolo vizioso: da una parte i clan mafiosi si sono arricchiti, alimentando la brutalità e l’estensione del conflitto con il traffico di armi e con terribili iniziative sul campo; dall’altra la guerra civile ha sempre più assunto i contorni di un crimine generalizzato, in cui i belligeranti hanno dovuto progressivamente appoggiarsi alla sola rete in grado di fornire loro nuovi soldati e nuove armi.

Il ruolo della politica. D’altra parte, la mafia serba e i criminali di guerra sono da sempre molto presenti nella politica, in modo occulto o palese. Il regime di Tito (e poi di Milošević) ha da sempre protetto e assoldato una classe di assassini e trafficanti di stato, disposta a eseguire ciò di cui i vertici politici non potevano assumersi la responsabilità. Questa rete mafiosa agiva in modo indipendente, ma scambiava la protezione che le veniva accordata con servizi e favori di vario tipo. Allo scoppio della guerra in Bosnia, questi gruppi criminali e armati si sono rivelati lo strumento più efficace per condurre una guerra sporca e senza esclusione di colpi. Tali gruppi avevano gli uomini, le armi, l’appoggio politico e l’addestramento per condurre operazioni di tipo paramilitare. Questo ha dato in mano ai capi dei clan della mafia serba una opportunità unica di saccheggio impunito, traffico d’armi, potenziamento dell’autorità mafiosa e del controllo sul territorio. I criminali di guerra serbo-bosniaci non erano soldati di Belgrado, ma erano personaggi indissolubilmente legati al regime da anni e anni di spartizione del potere, protezione e favori reciproci.

Dieci anni dopo. Con ogni probabilità questa connivenza continua: i capi dei clan e i criminali di guerra continuano a circolare impuniti, con una tacita protezione da parte delle autorità locali che suscita lo sdegno dell’Unione europea. Il Presidente serbo che più ha cercato di mutare l’ordine delle cose, Zoran Đinđić è stato assassinato dal fuoco incrociato di ex-militari, mafia e servizi segreti. Questo assassinio ancora impunito è stato attributo a ognuno di questi gruppi: tuttavia, le persone che ne fanno parte in larga parte coincidono.

1.4.La nuova frontiera. Come altre volte nella sua storia, oggi la Serbia è un paese di frontiera. Costituisce infatti, insieme a altri paesi balcanici, il nuovo confine sud orientale dell’Unione europea. Con l’ingresso, nel gennaio 2007, della Bulgaria e della Romania è diventata addirittura un’isola all’interno dell’Ue. Occorreranno alcuni anni perché l’ingresso della Serbia nell’Unione diventi politicamente accettabile. Ma la Serbia sta cambiando velocemente: nonostante la sua storia difficile, oggi effettua sforzi intensi per rilanciare l’economia, tanto da essere reputata nel 2006 dalla Banca Mondiale il paese più attivo nella promozione delle riforme1. Il quadro fiscale e normativo per le imprese è sostanzialmente migliorato a partire dal 2004: i tempi di registrazione sono diminuiti di sei volte. Per un popolo abituato a mettersi frequentemente in discussione questo è il modo migliore per cominciare a superare con successo l’ultima delle sue frontiere: quella della reintegrazione nell’economia mondiale e della ripresa economica, che però dev’essere accompagnata da una netta diminuzione dell’instabilità e del rischio politico.

2.Cos’è successo all’economia: recessione e transizione

2.1.Breve storia della guerra. La Serbia ha passato quasi dieci anni in guerra, dal 1991 al 2000. Inizialmente si è fatta portavoce degli interessi della Federazione jugoslava, intervenendo contro la secessione della Slovenia e della Croazia. In seguito è stata coinvolta dalla guerra in Bosnia Erzegovina. Anche dopo il ritiro ufficiale le componenti serbo-bosniache dell’esercito federale hanno continuato a combattere una sanguinosa battaglia per il controllo del paese.

1 Financial Times, 28 gennaio 2003; World Bank, Doing Business in Serbia, 2006.

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Gli accordi di Dayton2 e la spartizione della Bosnia in due amministrazioni non hanno garantito alla Serbia una pace duratura. Nel 1998 la provincia del Kosovo, a maggioranza albanese (90 percento della popolazione), è stata scossa da una nuova ondata di violenze etniche. L’intervento aereo della Nato, che mirava a prevenire ciò che era successo in Bosnia, ha distrutto città, territorio e infrastrutture della Serbia. Il leader nazionalista Slobodan Milošević è stato deposto nell’autunno del 2000 da una forte e coraggiosa mobilitazione popolare.

2.2.Gli effetti economici della guerra. Gli anni di guerra hanno modificato in senso autarchico l’economia serba. Il governo titoista, seguendo l’esempio dell’amministrazione zarista e sovietica in Russia, aveva reso strettamente interdipendenti dal punto di vista economico le repubbliche jugoslave. La disgregazione violenta di questi legami ha privato l’economia serba di fornitori indispensabili e di mercati di sbocco. L’industria nazionale ha dovuto trovare al suo interno le risorse per sopravvivere: questo è stato possibile grazie a un settore agricolo molto sviluppato (soprattutto nella provincia della Vojvodina), a una relativa ricchezza di materie prime e a un rapporto tradizionalmente amichevole con la Russia. L’abbondante produzione agricola e l’insieme di questi fattori hanno permesso alla Serbia di sopravvivere a dieci anni di guerra. L’isolamento forzato del paese, oltre a favorire le imprese interessate dalle commesse belliche (chimica e macchinari), ha contribuito a rafforzare il settore alimentare-conserviero e, in generale, la produzione interna di beni di consumo. Con la fine delle ostilità e la graduale distensione dei rapporti fra le repubbliche i legami economici sono ripresi. Per le imprese serbe è particolarmente importante l’apporto dell’industria metallurgica serba e bosniaca e dei beni complessi provenienti da Slovenia e Croazia.

Riquadro 2.Risorgere dalle macerie

La Zastava e Kragujevac. A Kragujevac, nella Serbia centrale, area depressa un tempo dominata dalla Zastava, gigante industriale balcanico e fiore all’occhiello dell’industria titoista, le idee su ciò che hanno significato la guerra, i bombardamenti Nato e l’embargo sono molto chiare. Fino agli anni ’90 la Zastava impiegava 36.000 addetti. A Kragujevac e nella regione circostante ogni persona lavorava direttamente o indirettamente per la Zastava, al cui andamento era legata la vita di migliaia di famiglie. Lo smembramento della Jugoslavia e la perdita dei fornitori strategici hanno precipitato la Zastava in una crisi profonda, poi le bombe e l’embargo hanno vanificato ogni tentativo di rinascita. Soltanto nel 2000 sono stati effettuati 16.000 licenziamenti. Gli impianti sono utilizzati in minima parte e l’organico è stato ridotto a qualche centinaio di unità. I progetti per il rilancio prevedono il reinserimento di 300-400 addetti, che rappresentano una minima parte dello strascico di disoccupazione che l’azienda ha lasciato dietro di sé.

Molti problemi. I 16.000 dipendenti licenziati nel 2000 hanno potuto beneficiare per sei anni di una cassa integrazione di 60 euro al mese, o di una liquidazione di 100 euro. Molte famiglie nelle quali entrambi i coniugi lavoravano alla Zastava e sono stati licenziati hanno dovuto accettare la seconda soluzione; per gli altri, la cassa integrazione scadrà quest’anno. La maggior parte dei disoccupati della Zastava non ha opportunità di reimpiegarsi, perché nella regione scarseggiano le attività alternative e i capitali per crearle; manca inoltre un mercato che permetterebbe alle nuove imprese di sopravvivere. A Kragujevac un misero mercatino che costeggia i binari della linea Belgrado-Nis ospita un numero incredibile di venditori di cianfrusaglie usate. Inoltre vi è il problema dell'uranio impoverito, ridotto al silenzio dal disinteresse dei media. L'80 percento del personale impiegato nella rimozione delle macerie dopo i bombardamenti è morto presentando gravi sintomi da intossicazione. Gli effetti dell’avvelenamento e delle radiazioni si ripercuotono sulla speranza di vita e sulla salute delle nuove generazioni.

2 Accordo firmato a Parigi il 14 dicembre 1995, in seguito ai negoziati condotti dall’1 al 21 novembre 1995 presso la base aeronautica Wright-Patterson vicina a Dayton (Ohio, Usa). I principali partecipanti delle fazioni in guerra furono l’allora Presidente serbo Slobodan Milošević (rappresentante, in assenza del generale Karadžić, anche dei serbi di Bosnia), l’allora Presidente croato Franjo Tuđman e l’allora Presidente bosniaco Alija Izetbegović, accompagnato dal suo Ministro degli esteri Muhamed Šaćirbegović. L’Accordo mise fine alle ostilità fra la Bosnia, la Croazia e la Serbia, prevedendo, fra l’altro, la restituzione alla Croazia della Slavonia orientale, appartenente fino alla fine della guerra alla Serbia. L’Accordo inoltre contiene (Annesso 4) la costituzione della Bosnia Erzegovina nonché la sua attuale struttura politica e amministrativa. Altra voce importante degli Accordi di Dayton è l’opportunità dei profughi di ritornare ai loro paesi di origine. Vengono facilitate e privilegiate anche le opportunità di cooperazione fra gli stati che hanno sottoscritto l'Accordo. Per il testo si veda: www.ohr.int/dpa/default.asp?content_id=380.

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Quali soluzioni? Il sindacato autonomo, “Samostalni” (il più grande della Serbia, con l'85 percento degli iscritti di tutto il paese) raccoglie consensi ma non ha le risorse né la forza negoziale per organizzare manifestazioni e scioperi di dipendenti e cassaintegrati della Zastava. Si dedica con energia al reperimento di aiuti umanitari, farmaci e attrezzature sanitarie, e all’organizzazione di adozioni internazionali e gemellaggi. Fra i progetti avviati, esiste un protocollo d’intesa fra le città di Kragujevac e Torino, accomunate dalla necessità di superare una vocazione industriale in crisi. A livello cittadino e regionale (ai quali negli ultimi anni sono state trasferite molte competenze) esiste una decisa mobilitazione mirata all’ingresso di capitali, esteri e nazionali, per creare nuove opportunità di lavoro e sviluppo, rompendo la spirale recessiva. È stata da poco inaugurata una nuova zona industriale dotata di tutte le infrastrutture, che si aggiunge alla locale agenzia per le piccole e medie imprese. Per gli investitori Kragujevac può costituire un’alternativa vantaggiosa rispetto a Belgrado o a altre regioni: i costi sono più bassi e la necessità rende i cittadini e le autorità molto collaborativi verso le nuove iniziative di lavoro e di investimento. Esistono meno vincoli burocratici e politici, mentre la lunga tradizione industriale e di cooperazione con l'Italia (cfr. riquadro 7) rende agevole il dialogo con le controparti locali. I settori più interessanti sono quello metalmeccanico, quello tessile e l’agricoltura.

Grafico 1.Dati sulla recessione (1989-2004)

Fonte: Unece

2.3.La recessione. La guerra e l’embargo imposto alla Serbia dalla comunità internazionale ne hanno fortemente danneggiato l’assetto produttivo. I bombardamenti e i combattimenti nelle zone di confine hanno distrutto o reso inservibili infrastrutture e impianti. Le perdite umane sono state ingenti, sia a causa della guerra e dei bombardamenti sia perché la crisi economica e sociale ha costretto a emigrare una percentuale considerevole di giovani serbi, soprattutto i più qualificati. Nel 2003 le rimesse degli emigrati hanno superato l’11 percento del Pil, corrispondente a quasi il 60 percento delle esportazioni di beni e servizi3. Questo fenomeno costituisce per la Serbia la principale fonte di capitale estero e serve al finanziamento delle piccole attività produttive, ma segnala un malessere economico che non è ancora stato superato.

All’inizio degli anni ‘90 la guerra e le vicende connesse hanno dato luogo a una contrazione del Pil di circa il 60 percento, e a un ritardo nelle riforme di almeno dieci anni rispetto agli altri paesi in transizione. I dati evidenziano due momenti di collasso economico in corrispondenza dello scoppio dei conflitti (Croazia 1991, Kosovo 1999), seguiti da due periodi di ripresa molto lenta. Il Pil pro capite e gli indici di produzione non hanno ancora recuperato i livelli del 1990. L’economia stenta a prendere vigore, crescendo negli anni 2000 a un tasso annuale medio compreso fra il 2 e il 4 percento. Il tasso di disoccupazione resta molto alto ed è in tendenziale aumento, per quanto si stimi che circa un terzo dell’occupazione totale sia costituita da lavoratori non registrati4.

Riquadro 3.A spasso per Belgrado

Vita quotidiana a Belgrado. Come in altri paesi con problemi economici, in Serbia l’emigrazione lascia un segno sulla vita quotidiana. Una quota notevole della popolazione, soprattutto maschile e di elevato livello di istruzione e qualificazione, si è trasferita all’estero in cerca di lavoro. A Belgrado questo fatto si ripercuote a livello visivo nella netta preponderanza delle donne rispetto agli uomini. Le preparazione dei serbi che lavorano all’estero viene

3 Fonte: Banca Mondiale, dicembre 2004.4 Ibid.

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apprezzata e spesso la loro buona integrazione nel paese di residenza allontana la possibilità di un loro massiccio ritorno in patria, dove le opportunità di lavoro sono ancora limitate. Uno stipendio medio a Belgrado è circa 200 euro: tipicamente un funzionario pubblico di buon livello guadagna 300 euro al mese, cerca di risparmiare quanto può e tenta di arrotondare le sue entrate attraverso secondi e terzi lavori, baratti e scambi di favori, coltivando amicizie utili. Questo modello di “economia domestica” è ancora più diffuso fra i lavoratori autonomi e i professionisti, che normalmente preferiscono lo scambio al pagamento della prestazione. Il lavoro sommerso e informale costituisce un fenomeno importante, stimato dalla Banca Mondiale intorno al 30-40 percento dell’occupazione effettiva.

Un’economia “duale”. Le strade e i negozi di Belgrado non sembrano riflettere i problemi economici di gran parte della popolazione. Le vetrine colorate, l’abbondanza di boutique di pregio e l’animazione per le strade e nei locali danno della Serbia un’idea molto diversa. In realtà questo dato empirico sottolinea due caratteristiche importanti e problematiche dell’economia serba. In primo luogo, l’abbondanza di persone che passeggiano, anche durante la giornata e durante la settimana, è indice di una situazione preoccupante dal punto di vista occupazionale e produttivo: le persone che non lavorano si ritrovano normalmente a passeggiare per le vie del centro, ma non è raro che anche molte persone che lavorano, in particolare nel settore pubblico, si concedano lunghe pause per un giro sulla via Knez Mihailova. Un’abitudine contro la quale lottano, ormai con un certo successo, la maggior parte degli imprenditori esteri operanti in Serbia. In secondo luogo, molte delle boutique e dei locali più rinomati non esistono in funzione di tutta la popolazione, ma a beneficio dei magnati che attraverso attività di vario tipo (e legami più o meno diretti con la malavita) hanno potuto accumulare ricchezze, tali da potersi permettere ogni lusso e capriccio. La quantità di denaro che questi personaggi possono mettere in circolazione, attraverso acquisti folli o investimenti oculati, è tale da influire direttamente sulla struttura delle attività economiche, in Serbia e in particolare a Belgrado. Molti di essi provengono da Zemun, un distinto sobborgo di Belgrado che deve la sua fama all’omonimo clan mafioso (il clan di Zemun), uno dei più feroci e potenti della cosiddetta “mafia serba”. Gli “oligarchi” esistono anche in Serbia, e al pari dei loro più famosi “cugini” russi dispongono di un controllo forte su molti settori dell’economia. Questo controllo va tenuto presente nella pianificazione di un investimento in Serbia.

Grafico 2.Dati sulla transizione (1998-2004)

Fonte: Agenzia per la privatizzazione; Unece; Unctad

2.4.La transizione. Le riforme necessarie per il rilancio economico sono state introdotte rapidamente. Le politiche per la stabilizzazione monetaria hanno abbattuto l’inflazione dal 113 all’8 percento fra il 2000 e il 2003. Nel 2004 e nel 2005 essa si è assestata intorno al 14 percento, un livello non lontano da quello dei tassi d’interesse nominali. Il dinaro serbo è una moneta fluttuante ma relativamente stabile (al livello di 88 dinari per un euro).

La privatizzazione delle imprese pubbliche è stata avviata alla fine degli anni ’90 ed è proseguita con sistemi diversi. In particolare sono state aperte aste e offerte pubbliche, che a volte prevedevano la cessione di una quota (compresa fra il 15 e il 30 percento) ai lavoratori o al fondo nazionale per le privatizzazioni. Una parte dei ricavi è stata impiegata in programmi di sostegno sociale. La maggior parte dei settori (compreso quello finanziario) sono già stati privatizzati, per un totale di 1406 imprese privatizzate fra il 2002 e il 2006. Fanno eccezione alcune imprese del settore farmaceutico e una serie di aziende poco appetibili che vengono ristrutturate prima della vendita. Nel 2006 è stata prevista la vendita di 30 imprese attraverso offerta pubblica e di altre 300

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attraverso aste. Nel triennio 2002-2004 le privatizzazioni hanno reso allo stato circa 1,5 miliardi di euro, il 60 percento dei quali è stato fornito da investitori esteri5.

Gli attuali flussi di investimenti sono troppo esigui per permettere alla Serbia di recuperare il ritardo tecnologico e di competitività accumulato negli anni di isolamento internazionale. La percentuale del Pil destinata alla formazione di capitale è pari alla metà della quota dei best performer dell’Europa centro-orientale. Questa situazione spiega l’attivismo riformista del governo serbo, che attribuisce priorità alle politiche favorevoli all’investimento estero.

3.Eppur non si muove: la politica e l’Europa

3.1.Dove finisce la Serbia? A fronte del quadro economico in evoluzione esiste un quadro politico ancora confuso, che impedisce alla Serbia di negoziare in modo semplice e rapido il suo ingresso nell’Unione europea. Questa situazione costituisce una fonte di incertezza che scoraggia gli investitori internazionali. Essa si articola a due livelli.

La prima fonte di tensione e il primo ostacolo per l’adesione all’Unione europea è l’assenza di un’entità statuale stabile e ben definita. La Federazione di Serbia e Montenegro è nata nel 2003 su basi assai labili. Da allora i due paesi sono stati indipendenti sotto ogni aspetto, escluse la politica estera e la difesa. Anch’essa costituiva poco più di una finzione, ufficialmente abolita il 21 maggio 2006 dal referendum sulla secessione del Montenegro, sostenuta dal 55,3 percento dei votanti. Sia in Serbia che in Montenegro più forze politiche hanno appoggiato la separazione dei due paesi, sostenendo ora la necessità di abolire il sistema (già jugoslavo) che dirotta risorse dalla Serbia a favore del Montenegro, ora il desiderio dei montenegrini di mettersi al riparo da futuri tentativi di ingerenza. Il governo serbo non si è opposto alla secessione, pur condannandola come un ulteriore tentativo di dividere un territorio già lacerato; il governo montenegrino l’ha sostenuta, reputando di poter concludere più rapidamente i negoziati per l’ingresso nell’Unione europea, una volta libero dai vincoli internazionali posti alla Serbia a causa dell’eredità del passato regime.

Anche il Kosovo, formalmente ancora provincia serba, ma da anni amministrato dalle Nazioni unite, potrebbe diventare presto formalmente indipendente. Tuttavia la sua situazione interna è critica: la presenza del corpo militare internazionale (Unmik, missione delle Nazioni unite in Kosovo) non ha potuto impedire la persecuzione dei cittadini di origine serba, né l’assunzione da parte della criminalità organizzata del controllo sul territorio. La regione è ancora inadatta a ospitare attività economiche legali. Da alcuni anni è un importante centro di smercio e smistamento per il racket delle armi e della prostituzione. Il 28 e il 29 ottobre del 2006 si è svolto in Serbia un referendum consultivo sulla nuova costituzione, che contiene un riferimento all’ “intangibile sovranità della Serbia sulla provincia del Kosovo”. Come per il referendum in Montenegro, il quorum necessario per convalidare il risultato è stato raggiunto di stretta misura: il 95 percento dei votanti si è espresso a favore della nuova costituzione, ma il 46 percento degli aventi diritto non si è recato alle urne. Questo sottolinea l’esistenza di un forte malcontento nei confronti delle scelte politiche della classe dirigente serba senza chiarire d’altra parte in modo decisivo il futuro del Kosovo, la cui indipendenza viene ancora considerata un’ipotesi realistica a livello internazionale.

La soluzione non è semplice né vicina, ma dal punto di vista della Serbia e dei suoi negoziati occorrerà –prima o poi- prendere scelte dolorose e inevitabili sul suo assetto istituzionale.

Riquadro 4. Il futuro del Kosovo

Un futuro incerto. Il 90 percento degli abitanti del Kosovo è di origine albanese e sostiene fermamente l'indipendenza; è appoggiata da gran parte dell'opinione pubblica internazionale, che la considera l'opzione più naturale, alla luce del conflitto del 1998-1999 e della persistente situazione di instabilità della regione. Tuttavia, le autorità serbe intendono mantenere il Kosovo all'interno del territorio nazionale, pur accettandone un'autonomia

5 Fonte: Agenzia per la privatizzazione (Siepa), dicembre 2004 e marzo 2006.

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sostanziale. In questo sono appoggiate dalla Russia, che sostiene il diritto all'integrità e alla sovranità della Serbia. Per il riconoscimento internazionale del Kosovo sarà necessario il voto favorevole del Consiglio di sicurezza dell'Onu, all'interno del quale la Russia detiene il diritto di veto. Negoziati difficili. Nell'ultimo anno sono stati condotti negoziati diretti tra i rappresentanti serbi e kosovari, sotto l'egida del "Gruppo di contatto" internazionale. Purtroppo tali negoziati non hanno ancora prodotto risultati concreti, suscitando preoccupazioni anche nella Nato. Il Gruppo di contatto, guidato dall’ex-Presidente finlandese Martti Ahtisaari, ha dunque elaborato un piano per lo status internazionale del Kosovo, presentato "a porte chiuse" il 26 gennaio 2007 e quindi ai negoziatori serbi e kosovari, per rilanciare il dialogo e produrre nuove proposte. Dopo questa consultazione il “Piano Ahtisaari” verrà presentato per la ratifica al Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite. Una soluzione? La proposta di Ahtisaari è orientata a concedere al Kosovo uno status speciale, garantito dalla presenza civile e internazionale e dall'Unione europea. L’indipendenza non verrebbe mai citata ma sarebbe di fatto concessa. Il piano si concentrerà sulla tutela dei diritti delle minoranze, per costruire un Kosovo stabile e multietnico. La garanzia internazionale dovrà essere sostenuta dall'impegno e dalla volontà politica delle autorità kosovare.

Le elezioni in Serbia. Questo momento decisivo per il futuro del Kosovo si sovrappone alla definizione di nuovi equilibri politici in Serbia, in seguito alle elezioni del 21 gennaio 2007. Il partito nazionalista di destra (Partito radicale) mantiene la maggioranza, con il 28,7 percento dei voti, ma cresce di oltre il 10 percento il partito riformista e filo-europeo del presidente Tadić (il Partito democratico, lo stesso di Zoran Đinđić, il Primo ministro assassinato nel marzo del 2003), affermandosi secondo partito con il 22,9 percento dei voti. Il partito nazionalista moderato dell'attuale Primo ministro Koštunica (Partito democratico serbo), con il 17 percento dei voti e una posizione intermedia, costituirà l'ago della bilancia: una sua eventuale alleanza con Boris Tadić porterebbe la Serbia più vicina all'Europa e il Kosovo più vicino alla pace di quanto non siano stati negli ultimi dieci anni. Opportunità in Kosovo? L'assenza di uno status definito e l'elevata instabilità politica e sociale costituiscono i principali ostacoli all'investimento estero in Kosovo. Anche altri gravi problemi strutturali rendono difficile operare nella regione: le cattive condizioni della base industriale, il difficile accesso alle vie di comunicazione, la carenza di manodopera qualificata e il sistema fiscale piuttosto gravoso, oltre che inefficiente. Le imprese privatizzate non hanno capitali per funzionare, esaurito l'input finanziario iniziale, fornito perlopiù da kosovari espatriati. I collegamenti stradali sono pochi, deteriorati e (soprattutto con la Serbia) complicati da complesse pratiche burocratiche. La competitività internazionale della regione è praticamente nulla: nel 2005 soltanto il 4 percento delle importazioni kosovare è stato coperto da esportazioni. La crescita delle importazioni e dell'inflazione viene sostenuta dall'afflusso di fondi derivanti dagli aiuti internazionali. In Kosovo esistono opportunità d'investimento nel settore agricolo e minerario (metalli, gemme, pietre pregiate) così come camere di commercio, parchi industriali (Mitrovica) e organismi per il sostegno e la promozione degli investimenti esteri. Con spalle solide e idee chiare tutto è possibile: ogni nuovo mercato ha i suoi pionieri, pronti a scoprire e a sfruttare opportunità di profitto inattese.

3.2.Un passato ancora vivo. La seconda condizione imposta dall’Unione europea per l’avvio dei negoziati è la consegna al tribunale internazionale dell’Aja dei leader dei serbi di Bosnia Ratko Mladić e Radovan Karadžić, per i crimini di guerra loro attribuiti. La consegna nel 2001 dell’ex-Presidente Slobodan Milošević aveva fatto pensare a un rapido soddisfacimento di queste condizioni. Tuttavia l’arresto dei due ricercati è stato più volte ritardato, fino all’interruzione dei negoziati per l’adesione, che ha avuto luogo nel maggio del 2006. Già l’assassinio di Zoran Đinđić (marzo 2003), principale oppositore del vecchio regime, aveva gettato ombre sull’avvenuta transizione politica del paese. Primo ministro dal 2001, aveva colpito la mafia serba (divenuta potente nel periodo di caos istituzionale), si era battuto per la consegna di Milošević e aveva avviato le riforme più importanti. La paternità dell’omicidio ancora oggi è dubbia (cfr. riquadro 1), ma sicuramente il suo rivale e successore Vojislav Koštunica si è dimostrato più malleabile su tutti questi aspetti. In Serbia l’eredità del passato recente pesa ancora notevolmente sulla politica. I due ricercati godono di una tacita ma evidente protezione istituzionale, che ha spinto vari esponenti del governo a dimettersi per protesta.

Riquadro 5.Traffici, apartheid e criminalità in Kosovo

Una situazione critica. La missione delle Nazioni unite in Kosovo (Unmik) conta 5 mila uomini, che si aggiungono ai 36 mila militari Nato della Kosovo military force. Un grande spiegamento di forze per una popolazione totale di 2,2 milioni di abitanti, per il 90 percento circa di origine albanese. Si tratta della più grande operazione civile della storia dell’Onu, alla quale è affidata l’amministrazione della regione sotto protettorato internazionale. È stata avviata nel giugno del 1999, ma ancora continua senza che nella regione vi siano segni decisivi di stabilizzazione, né che sia stata

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stabilita una data per il termine delle operazioni. La popolazione di origine serba vive all’interno di enclave presidiate dai militari dei corpi internazionali, e ne esce soltanto scortata. Vige in sostanza un regime di apartheid, con scuole e ospedali (finanziati dal governo di Belgrado) specificatamente dedicati ai serbi, che sono esclusi dalle altre strutture pubbliche. Le stesse stazioni ferroviarie sono separate da una rete; i passeggeri di origine serba vi salgono accompagnati da militari armati. L’Unmik non è in grado di rispondere al bisogno di sviluppo, costretto a occuparsi ogni giorno della gestione dell’ordine pubblico. La disoccupazione è stimata intorno al 60 percento, i salari medi mensili fra i 100 e i 150 euro, con un costo della vita non lontano dai livelli europei. La crisi economica lascia spazio all’estremismo e alla malavita. L’assenza di uno status del Kosovo rende impossibile un funzionamento normale dell’amministrazione (le responsabilità vengono palleggiate fra il parlamento kosovaro e l’Unmik), la ripresa economica e l’afflusso di investimenti esteri, pubblici o privati. Se è vero che a oggi è impossibile una vera pacificazione, è anche vero che sono soltanto le mafie a approfittare della situazione di caos, per portare avanti indisturbate i loro traffici. Il radicamento di una tale situazione è una responsabilità dell’intera comunità internazionale, che ha sostenuto questa operazione.

La criminalità internazionale. Sono molte le mafie che sfruttano il Kosovo come centro di smistamento internazionale per il traffico di armi, droga e prostituzione. Le donne vengono vendute alle mafie dell’est Europa a un prezzo variabile fra i 50 e i 3.500 euro, e portate in Kosovo dalla Moldavia, dalla Romania, dalla Russia e dall’Ucraina. Si tratta perlopiù di minorenni intimidite e brutalizzate. Il commercio è destinato ai paesi dell’Europa occidentale e viene di fatto tollerato dai militari del corpo internazionale. Le mafie kosovaro-albanesi sono le principali intermediarie di questi traffici, che passano attraverso i confini porosi dell’Albania, da dove ripartono in direzione dell’Italia. Alcune fonti, fra cui Amnesty international, sospettano che esista una vera e propria connivenza fra i militari internazionali e le mafie locali. Attraverso gli stessi canali vengono facilmente trafficate le armi e la droga. Fra gli altri, le triadi cinesi hanno creato un’organizzazione parallela silenziosa e efficiente, che attraverso il Kosovo e la Serbia fa transitare verso l’Europa occidentale migliaia di donne e clandestini (destinati alla prostituzione e allo sfruttamento lavorativo), oltre a una quantità ingente di armi, droga e merci contraffatte, per un giro d’affari complessivo di centinaia di milioni di euro ogni anno. Esiste infatti un canale diretto Cina-Serbia (che risale agli anni ’90 ed è stato mantenuto durante l’embargo) che permette ai cittadini della Repubblica popolare cinese di entrare facilmente in Serbia. Degli almeno 40.000 “visitatori” che vi entrano ogni anno la maggior parte fa perdere le sue tracce, affidata alla delinquenza radicata nelle cospicue comunità cinesi presenti in Serbia, Kosovo e Bosnia. Si calcola che almeno un milione di euro ogni mese transiti attraverso i conti bancari degli immigrati cinesi in Kosovo.

Fonti: Volontari per lo sviluppo, Amnesty International, The Guardian e www.eupolitics.com

4.La struttura economica e settoriale

4.1.Una buona eredità. Al tempo di Tito la Serbia svolgeva un ruolo trainante all’interno della Federazione dal punto di vista politico e economico. Ospitava la maggior parte delle imprese più importanti e i settori strategici e avanzati. Era lo stato più dotato di materie prime e il principale produttore agricolo. Ma la guerra e l’instabilità politica degli anni immediatamente successivi hanno fatto perdere alla Serbia questa posizione favorevole.

Grafico 3.Struttura produttiva (2005)

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Fonte: Ufficio statistico della repubblica di Serbia

4.2.I principali settori produttivi. La struttura economica generale del paese rivela diversi aspetti interessanti. L’agricoltura è di gran lunga il settore più sviluppato, con una produzione per addetto quadrupla rispetto a quella degli altri settori. Trae vantaggio da un territorio molto fertile e da una buona organizzazione, che ha permesso alla Serbia di sopravvivere alle sanzioni internazionali degli anni ’90, complice anche un dirottamento strategico delle risorse verso l’agricoltura. A questa performance sorprendente contribuiscono anche l’alto prezzo internazionale della frutta e dei lamponi (di cui la Serbia è fra i principali produttori e esportatori mondiali) e la struttura fortemente frammentata della proprietà agricola, che fa sì che intorno ai piccoli produttori ruoti un numero considerevole di lavoratori non registrati dai dati ufficiali. Inoltre questo settore soffre meno di altri l’obsolescenza dei macchinari e delle infrastrutture: un’azienda agricola non richiede particolari aggiornamenti tecnologici, ma la sua produzione viene facilmente assorbita sia all’interno dal paese (nonostante il basso livello di reddito) sia sui mercati internazionali. I salari agricoli sono significativamente più bassi rispetto a quelli dell’industria e dei servizi (298 euro al mese contro, rispettivamente, 352 e 379).

L’industria è ancora molto importante (soprattutto per numero di addetti), ma è il settore meno produttivo. Le infrastrutture industriali hanno subito più delle altre i danni della guerra, la mancanza di capitali e la rottura dei rapporti con clienti e fornitori dell’area balcanica. La maggior sindacalizzazione del mondo industriale ha influito negativamente sulla possibilità di realizzare ristrutturazioni e riduzioni di personale. Attualmente il settore industriale è sovradimensionato rispetto alle sue possibilità produttive e commerciali.

Il settore dei servizi occupa il 56 percento della forza lavoro e contribuisce in modo preponderante alla produzione del Pil. Nell’insieme la sua produttività appare superiore a quella dell’industria. In realtà al suo interno occorre distinguere fra una quota ridotta ma altamente produttiva di servizi avanzati e il resto del settore che soffre di gravi inefficienze, in particolare nei servizi pubblici e le piccole attività commerciali.

I dati rivelano a livello aggregato un salario lordo medio di 335 euro al mese. La produttività del lavoro per unità di salario è superiore al 170 percento: mediamente, per ogni 10 euro investiti in salari, il ricavo generato è di 17 euro. La manodopera è molto qualificata dal punto di vista tecnico e per conoscenza dell’inglese, e tradizionalmente abituata alla cooperazione industriale con imprese occidentali.

Riquadro 6.Una situazione fondiaria complicata

Un’opportunità mancata. Il potenziale agricolo della Serbia è enorme. La terra della Vojvodina è la più fertile d'Europa: ancora più fertile della già fertilissima terra dell’Ucraina, esportata a sacchi come humus arricchente per il giardinaggio. Tuttavia gli investimenti in questo settore stentano a arrivare a causa della persistente incertezza del catasto, in particolare quello dei terreni agricoli. Il catasto non è ancora completamente affidabile e la legge che regola la privatizzazione della proprietà fondiaria non è ancora definitiva. I proprietari ante-nazionalizzazione non hanno ancora uno strumento legale che garantisca la restituzione della loro proprietà, ma potrebbero essere in grado di farlo una volta approvata una legge definitiva sulla restituzione delle terre. Attualmente, per aggirare questo ostacolo, ogni volta che un immobile viene venduto a privati una parte della transazione viene destinata al fondo per la restituzione, costituito per risarcire i vecchi proprietari nel caso in cui rivendicassero i loro diritti. Inoltre i vecchi proprietari, reali o presunti, hanno la possibilità di bloccare o ritardare in misura consistente la cessione di una proprietà che ritengono di loro diritto. Per questo motivo, allo stato attuale, l’investimento nel settore agricolo resta un’opportunità da valutare con attenzione, nell’attesa che si stabilisca in materia una situazione definitiva.

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Grafico 4.Settore industriale (2005)

Fonte: Ufficio statistico della repubblica di Serbia

4.3.Caratteristiche dell’industria. La composizione del settore industriale è dominata dalle attività manifatturiere (73 percento degli addetti e 67 percento della produzione industriale). Il settore con la più alta produzione per unità di lavoro è quello delle utilities (gas, acqua e energia elettrica), per sua natura altamente capital-intensive. La buona dotazione mineraria del paese si riflette positivamente sulla produttività del settore estrattivo. I minerali più estratti sono carbone, antimonio e cromo, ma anche piombo, zinco e bauxite. L’industria mineraria e l’industria pesante forniscono ancora all’industria serba i suoi prodotti più facilmente esportabili: siderurgia e minerali non ferrosi costituiscono più di un quinto delle esportazioni totali. L’attività manifatturiera è quella che presenta all’interno dell’industria e in assoluto i livelli salariali più bassi (266 euro al mese). Questo dato riflette le difficoltà che sta attraversando questo settore, in cui lo smembramento del paese, la guerra e le sanzioni hanno ridotto drasticamente i livelli di produzione e i posti di lavoro, con conseguenze sui livelli salariali e sulla situazione sindacale (cfr. riquadro 2).

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Mappa 1.L’automotive in Serbia (Fonte: Siepa)

Riquadro 7.Zastava &Co., “la” grande industria serba

Una storia gloriosa. La Zastava di Kragujevac (Serbia centrale) è stata fondata nel 1853 come impresa produttrice di armi. Riconvertitasi presto all’automotive, ha una lunga storia di cooperazione con le imprese occidentali: nel 1939 ha iniziato a assemblare camion per conto della Chevrolet, dal 1953 ha prodotto auto e camion su licenza della Fiat. Nel periodo di massima espansione, negli anni ’80, poteva contare (in tutta la ex-Jugoslavia) su 45 imprese sussidiarie, produttrici di ogni tipo di materiale e componente per l’industria dell’automobile. È stata la più grande impresa della ex-Jugoslavia e dei Balcani: nel 1989 impiegava 53.000 addetti (150.000 considerando anche l’indotto) e produceva più di 230 mila auto all’anno. Con la dissoluzione della ex-Jugoslavia la Zastava ha perso due terzi del mercato interno e gran parte dei sui fornitori. Le sanzioni degli anni ’90 hanno impedito la fornitura di circa 2500 materiali e componenti utilizzati nelle sue produzioni, in particolar modo le materie plastiche provenienti dal distretto industriale di Spalato e gli acciai lavorati provenienti dalla Bosnia. I suoi stabilimenti sono stati colpiti ben otto volte dai raid aerei della Nato. Oggi la Zastava coinvolge circa duecento fornitori disseminati in 53 unità produttive in tutto il paese. Nel 2002 ha prodotto 11.000 auto, utilizzando soltanto al 20 percento la sua capacità produttiva. Nel 2003 è stata suddivisa in 20

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imprese più piccole, costituenti quello che è ormai il gruppo Zastava (ancora a prevalente partecipazione pubblica), che occupa 10.000 addetti. Molti comparti produttivi sono stati privatizzati e ceduti a acquirenti stranieri: il reparto fonderie (venduto alla bulgara Intertrust), strumenti meccanici (all’impresa slovena Unior), armamenti (all’americana Remington) e altri reparti all’impresa slovena Viator Vektor. Ancora oggi il gruppo Zastava presenta una elevata integrazione verticale, con il 92 percento dei componenti prodotti in loco. I produttori di Kragujevac hanno dimostrato una forte volontà di ripresa, certificando i loro prodotti con i marchi Iso 9001/9002. Nella città esiste anche un Istituto dell’automobile (già legato alla Zastava), specializzato nel design e nello sviluppo di componenti.

La collaborazione con la Fiat. Per molti decenni, dal 1953 fino agli anni ‘90 (o, in termini automobilistici, dalla Seicento alla Punto), vi è stato un profondo rapporto di cooperazione industriale fra la Fiat e la Zastava. La Fiat ha venduto brevetti, impianti e linee di produzione all’impresa serba, i cui addetti sono abituati a lavorare su manuali italiani. L’industria torinese era anche una diretta azionista della Zastava Trucks, la produttrice di mezzi pesanti del gruppo Zastava. Le sanzioni degli anni ‘90 hanno costretto la Fiat a abbandonare la Serbia. Nel settembre del 2005 è stato siglato un nuovo accordo fra Fiat e Zastava per la produzione (a Torino) di 7.200 Fiat Punto, da vendere sul mercato serbo con il nome di Zastava 10. In questa fase, attualmente in corso, una parte delle maestranze della Zastava (800 fra addetti e ingegneri) verrà formata a Mirafiori. Lo scopo è quello di trasportare a Kragujevac le competenze, la tecnologia e i macchinari per produrre le auto localmente. L’assemblaggio della vettura in Serbia verrà avviato nel gennaio del 2007 e avrà come obiettivo la vendita sui mercati esteri. Alcuni componenti dovranno essere acquistati in Italia, altri potranno essere prodotti in Serbia, rispettando precisi standard qualitativi. Ci sarà dunque lo spazio per estendere al settore della componentistica lo scambio di competenze avviato dalle due case automobilistiche. Le società partecipate fra componentisti italiani e produttori serbi costituirebbero la modalità più semplice per realizzare tale scambio. Grazie a questo accordo si conta di raggiungere nel 2007 una produzione di 20.000 autoveicoli. Tuttavia la Zastava ha preparato altri progetti per risollevare le sorti dell’industria automobilistica di Kragujevac. In particolare è in fase di preparazione un accordo per la produzione di piattaforme per auto, in collaborazione con alcuni leader mondiali: la stessa Fiat, oltre a Volkswagen e a alcuni marchi giapponesi. Se verrà concretizzato avrà un’importanza strategica, perché una piattaforma costituisce il 55 percento del valore di un’auto e può essere utilizzata per produrre da 9 a 15 modelli. Questo dato è particolarmente importante, perché permetterà a una ampia gamma di modelli di essere catalogati come prodotto serbo e essere esportati sui mercati internazionali (soprattutto in Russia, in Europa e nei Balcani) a condizioni particolarmente vantaggiose.

Grafico 5.Terziario e servizi (2005)

Fonte: Ufficio statistico della repubblica di Serbia

4.4.Caratteristiche del settore terziario. Il settore dei servizi è altamente differenziato. I servizi pubblici (istruzione, sanità, amministrazione) costituiscono un “settore-spugna” che impiega il maggior numero di addetti (sia all’interno dei servizi sia in assoluto nella struttura economica) e spicca per la sua inefficienza: confrontando la produttività e i salari mensili nel settore pubblico, risulta che ogni lavoratore riceve ogni mese (in percentuale sul totale nazionale) più di quanto

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produca. Poiché il settore impiega 408 mila persone, cioè più di un quarto degli occupati totali, il suo influsso sulla competitività generale del paese non è trascurabile.

D’altra parte all’interno dei servizi sono presenti le attività più produttive dell’economia serba: i servizi finanziari (ormai controllati per la maggior parte da imprese occidentali) e l’intermediazione immobiliare, ma anche i trasporti e le comunicazioni. La quota del Pil e degli addetti relativa al commercio è considerevole ed è aumentata negli ultimi anni. Diversamente da quanto avviene nella vicina Croazia il settore turistico è ancora debole e limitato, con il 3 percento degli addetti, l’1,8 percento del Pil, redditi e produttività degli operatori fra i più bassi di tutto il sistema economico.

5.La Serbia e il mondo: commercio e investimenti esteri

5.1.Un paese aperto. Con la fine della guerra e la deposizione di Milošević la Serbia è stata riammessa a pieno titolo nella maggior parte delle organizzazioni internazionali. È orientata a entrare nell’Unione europea, il cui negoziato è stato interrotto per ragioni politiche ma verrà ripreso non appena se ne ripresenteranno le condizioni. Nel 2005 l’agenzia Standard&Poor’s ha aumentato il suo rating da B a B+, quindi a BB- nel 2006, riconoscendo gli sforzi fatti per la stabilizzazione e la ripresa. Questo giudizio è stato condiviso dal Fondo monetario internazionale e dall’Organizzazione mondiale del commercio, che ha iniziato a lavorare per l’adesione della Serbia, prevista per il 2008. La Serbia ha siglato accordi per eliminare la doppia imposizione fiscale con numerosi paesi, fra cui l’Italia.

5.2.L’accesso ai mercati. La collocazione geografica e la situazione doganale della Serbia costituiscono due importanti motivi di interesse per gli investitori. La Serbia si trova infatti nell’incrocio fra due assi europei prioritari, il corridoio 10 fra Salisburgo e Tessalonica (comprensivo di due diramazioni, Budapest-Belgrado e Niš-Sofia-Istanbul) e il corridoio 7 fra il mar Nero e il mare del nord attraverso i porti del Danubio (in Serbia ve ne sono sei). Fa parte dell’Area di libero scambio dell’Europa sud orientale, che include tutti gli stati balcanici non ancora membri dell’Ue. Il mercato di quest’area comprende 60 milioni di persone ed è in crescita. La Serbia gode anche di un trattamento doganale privilegiato da parte dell’Unione europea, che le garantisce l’accesso al mercato unico privo di dazi e quote. Inoltre è il solo paese esterno all’area Csi che beneficia di un accesso al mercato russo (147 milioni di persone) libero e senza dazio.

Grafico 6.Commercio e investimenti esteri, confronti internazionali (1998-2004)

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Fonte: Unece

5.3.L’evoluzione del commercio e degli Ide. Un confronto con gli altri paesi dell’area evidenzia le debolezze della Serbia nei suoi rapporti economici con l’estero. Gli investimenti diretti esteri, il principale fattore di rilancio economico nei paesi dell’Europa centro-orientale, hanno toccato la Serbia e la Bosnia in misura limitata. Per quanto sia cresciuto negli ultimi anni, il flusso di investimenti esteri pro capite è rimasto sempre al di sotto di quello destinato all’Ungheria e alla Croazia. Ogni anno questi due paesi hanno ricevuto trenta volte tanto rispetto alla Serbia. Accumulatosi negli anni, questo divario ha determinato una considerevole differenza in termini di stock di capitali esteri acquisito.

Il disavanzo delle partite correnti della Serbia è meno grave, soprattutto se confrontato con quello bosniaco, ma è comunque consistente. La scarsa competitività delle imprese serbe si ripercuote sulla loro capacità di esportare e di soddisfare i consumi nazionali. Le importazioni, caratterizzate da una migliore qualità o da miglior branding, conquistano quote sul mercato interno. La voglia di caramelle croate, oltre a problemi ben più gravi, era uno dei motivi che spingeva i ragazzini serbi a sperare nella fine della guerra. L’andamento delle esportazioni serbe è positivo: fra il 2002 e il 2005 il loro valore è raddoppiato, passando da 200 a 400 milioni di dollari6.

Grafico 7.Composizione merceologica del commercio estero (2004)

6 Fonte: Siepa (dicembre 2005).

■ Ungheria

■ Croazia

■ BosniaErzegovina

■ Serbia

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Fonte: Banca nazionale serba

5.4.Composizione dell’interscambio. La composizione merceologica delle esportazioni serbe rivela una struttura economica arretrata, in grado di produrre per i mercati esteri beni primari o semilavorati. La siderurgia, l’agricoltura e il settore minerario contribuiscono per più di un terzo alle esportazioni del paese. Le voci residue del Made in Serbia non vanno molto più in là: i beni manufatti veri e propri (fra i quali l’abbigliamento è la voce più importante) ne costituiscono soltanto il 10 percento, seguiti da gomma e plastica e, a distanza, dal settore (non più particolarmente avanzato) della chimica organica.

Le importazioni possono essere suddivise in tre categorie. In primo luogo gli idrocarburi (12,7 percento) soddisfano le necessità energetiche della Serbia, dipendente per il suo fabbisogno dagli oleodotti e dai gasdotti russi. Una seconda parte delle importazioni, la più consistente (circa un quarto del totale), serve a soddisfare le necessità tecnologiche del paese. Si tratta di quei prodotti (autoveicoli, macchinari, computer e apparecchiature per ufficio) che la Serbia non produce in quantità e qualità soddisfacenti. La terza parte (tessili, ferro e acciaio, circa il 10 percento) è imputabile al commercio orizzontale, che è ripreso fra repubbliche ex-jugoslave (ferro e acciaio fra Serbia e Bosnia) o si sta sviluppando da e verso paesi terzi. Quest’ultimo caso (importazione di prodotti tessili, riesportati come abbigliamento) riguarda da vicino l’Italia.

Grafico 8.Partner commerciali della Serbia (2004-2005)

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Fonte: Ice

5.5.I principali partner commerciali. Negli ultimi anni il mercato dell’ex-Jugoslavia è stato di gran lunga la destinazione principale delle esportazioni serbe, con un giro d’affari totale di circa 1,75 miliardi di dollari (circa un quarto del totale) in diciotto mesi. Nel periodo considerato l’ex-federazione è stata anche un fornitore abbastanza importante. Questi dati confermano il ristabilimento dei legami economici fra gli stati ex-federati. La Russia, forte dei suoi oleodotti, è stato il paese che ha venduto di più in Serbia. Tuttavia, nonostante l’accordo di libero scambio con la Serbia, la Russia figura soltanto al settimo posto fra i paesi destinatari dei prodotti serbi. I privilegi doganali concessi dall’Unione europea si sono rivelati più importanti: l’Italia è l’acquirente principale dopo la Bosnia, seguita da altri paesi appartenenti all’Unione, per un giro d’affari complessivo dei paesi dell’Unione europea di poco inferiore agli 1,7 miliardi di dollari. L’Unione europea si conferma quindi come il secondo mercato di sbocco dei prodotti serbi, dopo le repubbliche ex-jugoslave.

Grafico 9.Interscambio con l’Italia (2004)

Fonte: Ice

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5.6.L’interscambio con l’Italia. Il vivace interscambio commerciale fra Serbia e Italia coinvolge una ampia gamma di settori produttivi. I più importanti sono il tessile, l’abbigliamento e le calzature, che costituiscono circa un quarto delle importazioni e delle esportazioni totali da e verso l’Italia. Procedure di commercio orizzontale e di perfezionamento del prodotto, portati avanti da alcuni dei più grandi investitori italiani in Serbia (di cui le calze di Pompea e Golden Lady sono soltanto gli esempi più celebri) costituiscono la fonte di questi flussi. L’Italia è un importante fornitore di macchinari, autoveicoli e apparecchiature e rappresenta un mercato di sbocco rilevante per il ferro e i minerali, ma anche per i prodotti agricoli e il legname provenienti dalla Serbia. Uno dei prodotti dell’agricoltura, lo zucchero (derivante dalla diffusa coltivazione di barbabietole), costituisce da solo una delle principali voci delle esportazioni serbe verso l’Italia. Il commercio di legname (e dei macchinari per l’industria mobiliera) è particolarmente importante perché alimenta i distretti industriali della sedia e dell’arredamento del Friuli e del Veneto.L’insieme di queste dinamiche positive e di questi casi di successo fornisce una conferma delle potenzialità degli investimenti esteri in Serbia da parte della piccola e media impresa italiana.

Grafico 10.Composizione degli investimenti esteri in Serbia

Fonte: Siepa

Tabella 1.Venti principali investimenti esteri diretti in Serbia

Composizione dei 20 maggiori Ideper tipologia e settore (2001-2005) Numero Valore

(milioni di euro)Dimensione media(milioni di euro)

Tipologiaa) Privatizzazioni 9 1565 174b) Acquisizioni 5 1085 217c) Greenfield e società partecipate 6 782 130

Totale 20 3432 172

Settored) Banche (Banca Intesa, Alphabank) 2 508 254e) Manifatturiero (Philip Morris, Interbrew, Hokim, Us Steel, Lafarge, Coca Cola, Cimos, Titan, Bat, Ball, Carlsberg, Henkel, Tarkett)

13 2074 160

f) Utilities e distribuzione (Merkator, Lukoil, Metro, Omv, Airport City) 5 850 170

Totale 20 3432 172Fonte: Banca nazionale serba, Siepa

5.7.Composizione degli Ide effettuati in Serbia. Gli investimenti diretti esteri italiani in Serbia non sono ingenti quanto i flussi commerciali. L’Italia è il sesto paese investitore, superata dai paesi dell’area tedesca, dal Regno unito e dalla Grecia. Tuttavia, con l’acquisizione da parte di banca Intesa della principale banca serba, la Delta Banka, che ha avuto luogo nel 2005 per 350

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milioni di euro, l’Italia dovrebbe raggiungere le prime posizioni per ammontare di investimenti. Nella tabella, già comprensiva di quest’ultima operazione, emerge la dimensione media più

grande degli investimenti effettuati nel settore bancario. In Serbia operano molte altre banche estere, tra cui Credit Agricole, Société Générale, Hvb Bank-Gruppo Unicredit, Lhb Bank, Raiffeisenbank, e Alpha Bank. La concorrenza fra banche estere sul mercato locale è molto accesa.

Gli investimenti più numerosi e più ingenti sono stati effettuati nel settore manifatturiero da grandi multinazionali, fra cui Philip Morris, Us Steel e Coca Cola. Importante anche l’acquisto della compagnia petrolifera nazionale Beopetrol da parte della russa Lukoil. Altre grandi compagnie statali stanno attraversando un processo di ristrutturazione in vista di una prossima privatizzazione.

Circa la modalità di investimento, si rileva la netta preponderanza dei brownfield (privatizzazioni e acquisizioni) rispetto ai greenfield e alle società partecipate. Queste due categorie sono assimilabili: la forma della società partecipata viene frequentemente usata per gli investimenti, perché la partecipazione di più soci locali permette di superare alcuni ostacoli amministrativi. In particolare, poiché la legge prevede che la partecipazione estera non debba superare il 49 percento della proprietà dell’impresa, la partecipazione di due o più soci locali permette all’investitore estero di mantenere la maggioranza del capitale e il controllo della nuova impresa.

Riquadro 8.Alcune opportunità d’investimento in Serbia

Il settore turistico. Dopo la separazione dalla Serbia, nel maggio del 2006, il Montenegro sembrerebbe aver ereditato la maggior parte delle bellezze naturali e delle risorse turistiche della Federazione. Tuttavia la recente affermazione a livello internazionale di varie forme di “turismo di nicchia” crea in questo settore nuove opportunità di investimento anche in Serbia. Il turismo venatorio è la prima di queste alcune opportunità. Già esiste un consistente flusso di cacciatori italiani che (nelle aree e nei periodi consentiti) hanno scelto la Serbia come sede ideale della loro attività. In prossimità delle aree in cui l’attività venatoria è consentita gli imprenditori serbi ricercano partner per rinnovare le strutture ricettive e dotarle dei comfort e dei servizi graditi ai cacciatori italiani e internazionali: aria condizionata, auto e jeep dotati di frigoriferi, arredamenti e attrezzatura da cucina, insomma tutto il necessario per far sentire i turisti “a casa loro”. Un altro filone interessante è quello del turismo termale. Forse meno note e rinomate di quelle ungheresi, ma altrettanto antiche e apprezzate fin dall’epoca romana, le terme della Serbia sono numerose e di grande valore curativo e paesaggistico. Necessitano di una ingente opera di restauro, rinnovamento, attivazione di nuovi servizi: in particolare, aria condizionata, cucine, vasche, saune e installazioni speciali, strutture ricettive. Nonostante le potenzialità, agli imprenditori locali mancano i capitali necessari per realizzare questi investimenti: accompagnati da una adeguata politica promozionale, essi potrebbero costituire un’opportunità per imprenditori e esportatori italiani operanti in molti settori.

Arte e artigianato. In parte collegato al turismo, il settore dell’arte e dell’artigianato potrebbe fornire interessanti idee di collaborazione fra il Piemonte e la Serbia. Tanto in Piemonte quanto nella Serbia meridionale esistono centri specializzati nelle manifatture di alto pregio (oro, argento, gioielli, intagli in legno), dotati di tradizioni antiche. Anche le scuole piemontesi per artigiani restauratori e i rinomati centri piemontesi specializzati in questo settore potrebbero fornire un contributo importante in Serbia, dove centinaia di bellissime chiese e monasteri ortodossi attendono l’intervento di mani sapienti. Le imprese interessate in Serbia e in Italia potrebbero organizzare scambi di esperienze e periodi di formazione congiunti, o anche corsi di formazione a vantaggio di giovani artisti e artigiani, con prestiti d’onore per avviare una loro attività. In questo settore esiste una grande possibilità di distrettualizzazione e di sviluppo territoriale (evidente nelle esperienze di Valenza e Aramengo), che porterebbe indubbi vantaggi tanto alla Serbia quanto alle imprese piemontesi, in termini di internazionalizzazione e di reperimento di nuove risorse umane e mercati.

L’industria. La prossimità della Serbia all’Italia, insieme alla possibilità di utilizzare la Serbia come base produttiva per l’esportazione sul mercato russo, costituisce un’opportunità importante, già in corso di valutazione da parte di numerosi imprenditori piemontesi. A questo proposito esistono opportunità di cooperazione industriale virtualmente illimitate e applicabili a settori diversi, in cui è possibile avvalersi di partner locali dotati di una tradizione produttiva solida. Ecco alcuni esempi: Produzione di mobili da cucina e elettrodomestici. In questo settore esistono imprese serbe che ricevono dalla Russia richieste per commesse che superano anche di dieci volte le loro capacità produttive. Si tratta di una grande

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opportunità non sfruttata, che potrebbe venire colta strutturando partnership specifiche, per la produzione (per esempio) di alcune delle componenti più complesse (frigoriferi, forni e fornelli, aspiratori e giunti) in Italia, per il montaggio su strutture di base giù prodotte in Serbia. Un’organizzazione di questo tipo permetterebbe all’impresa serba (sgravata delle produzioni più “difficili”) di moltiplicare i volumi prodotti e all’impresa italiana di conquistare posizioni sul mercato russo, cui avrà accesso (attraverso il partner serbo) a un dazio dell’1 percento. Produzione di accessori speciali per veicoli furgonati. La Zastava produce ancora oggi vecchi modelli Fiat, che sono richiesti e esportati in molti paesi in via di sviluppo e in transizione. In particolare, il mercato russo richiede fortemente modelli del tipo “pick up 128” (chiamato localmente “Zastava 101”), soprattutto nella forma di furgoncino frigorifero per le piccole consegne. Per poter soddisfare al meglio questa richiesta occorrerebbe il contributo di imprese italiane specializzate nella produzione di parti frigorifere e altri accessori speciali. Tale contributo potrebbe risultare utile anche nella produzione di furgoncini attrezzati al disotto delle 3,5 tonnellate (modelli “Ducato” e “Talento”), prodotti e esportati da Zastava privi degli accessori necessari per la parte furgonata.

6.Il bastone e la carota: normativa e agevolazioni7

6.1.Diritto societario. Le strutture previste dal diritto delle società e del lavoro della Serbia sono molto simili a quelle italiane. Esistono le stesse forme di impresa e gli stessi tipi di contratto.

I contratti a tempo determinato possono essere stagionali, a progetto, di apprendistato o di prestazione d’opera. Danno titolo agli stessi diritti derivanti da un contratto di lavoro vero e proprio. I contratti di apprendistato o a progetto non possono durare più di un anno (anche con giornate di lavoro non consecutive), quelli stagionali o di prestazione d’opera non possono impegnare il contraente per più di 120 giorni all’anno.

I contratti a tempo indeterminato possono essere individuali o collettivi. La stipula di un contatto collettivo può essere obbligatoria se esiste un sindacato rappresentativo della persona assunta. I contratti collettivi si dividono a loro volta in contratti generali (stipulati fra sindacato e patronato a livello nazionale), speciali (conclusi fra patronato e sindacato in un territorio specifico o in una giurisdizione autonoma) e individuali (conclusi fra il sindacato e l’imprenditore). Le forme societarie esistenti in Serbia sono mostrate nella tabella 2.

Tabella 2.Forme societarie esistenti in Serbia

Nome Siglaitaliana

Siglaserba Soci Capitale

minimo Registrazione

Società a responsabilità limitata (s.r.l.) (d.o.o.) massimo 50 500 € 35 €

Società per azioni (chiusa o aperta) (s.p.a.) (a.d.)massimo 100 10.000 € 97 €

nessun limite 25.000 € 97 €

Società in nome collettivo (s.n.c.) (o.d.) minimo 2 nessun limite 35 €

Società in accomandita semplice (s.a.s.) (k.d.) minimo 2 nessun limite 35 €

Fonte: Siepa

Le società per azioni del settore bancario e assicurativo hanno limiti di capitale minimo più alti: 10 milioni di euro per le banche, fra 1 e 4,5 milioni di euro per le assicurazioni (variabile a seconda del ramo assicurativo).

Riquadro 9.Cautela prima di tutto

Critiche costruttive. Come ogni paese in transizione, la Serbia può essere la meta perfetta di un investimento estero oppure costituire un’avventura rischiosa, a seconda della natura, delle attitudini e della fortuna dell’impresa che vi si avvicina. Di sicuro è necessario agire con particolare accortezza e mettere in luce le possibili criticità, così come sono state rilevate da alcuni imprenditori italiani che vi operano da diversi anni. Quanto segue non va inteso come un

7 I dati di questa sezione sono tratti dal sito web dell’Agenzia serba per la promozione degli investimenti e delle esportazioni (www.siepa.sr.gov.yu).

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ritratto del paese, quanto piuttosto come un quadro delle possibili difficoltà che vi si potrebbero incontrare.

Meglio accompagnati. Il rischio politico esiste e viene percepito da molti imprenditori, ancora riluttanti a investire in Serbia. Occorre prendere la decisione dopo attenti studi e dopo aver preso confidenza con il complicato mondo della politica, dell'impresa e della finanza locali. Gli imprenditori che avviano iniziative personali in modo affrettato, senza una adeguata esperienza alle spalle o il sostegno di società o partner locali, tendono a incontrare difficoltà notevoli. Anche le grandi società internazionali, per quanto siano sostenute da grandi risorse interne e uffici specializzati, nei loro investimenti e acquisizioni preferiscono appoggiarsi a società già operanti in Serbia, con contatti e esperienza in questo tipo di transazioni. Nel racconto di molte esperienze, la burocrazia serba avrebbe subito grandi trasformazioni negli ultimi anni, ma sarebbe restata tale e quale rispetto a una volta, in quanto a inefficienza, complicatezza delle procedure e corruzione.

Gli oligarchi. Molti settori, come per esempio le forniture di beni di largo consumo o le forniture ospedaliere, sono controllati quasi interamente da pochi magnati locali. È sconsigliabile per un’impresa (in particolare se piccola o straniera) mettere in discussione questo oligopolio o impegnarsi in offerte alternative, perché esse avrebbero una probabilità molto alta di venire affossate a livello politico. Gli oligarchi serbi non sono strutturalmente diversi dagli oligarchi russi, per quanto agiscano a livello locale e abbiano giri d’affari decisamente inferiori. In compenso, contrariamente ai russi, non hanno un’autorità presidenziale forte che si oppone a loro. Occorre sfruttare gli spazi liberi dal loro controllo, avanzare per piccoli passi e evitare una competizione diretta, soprattutto nei settori “sensibili”. La maggior parte dei piccoli imprenditori che operano con successo in Serbia ha sviluppato gradualmente la sua attività, allargandola man mano che venivano creati i contatti, le capacità produttive e le risorse per sostenerla. La Golden Lady, uno degli investimenti di maggior successo, ha realizzato un investimento “in piccolo”, dopo attenti studi e dopo aver valutato altri paesi dell’area. Ora il suo greenfield a Valjevo impiega 1000 addetti e presto aprirà un nuovo stabilimento a Gosnica.

Le politiche per l’impresa. Il governo e le amministrazioni che si sono succedute hanno dedicato alle politiche per l’imprenditoria tanti "faremo" e poche azioni efficaci. Sono state create molte istituzioni e agenzie i cui benefici (aldilà della clientela politica) sono stati discutibili. Gran parte delle istituzioni e agenzie create fino a oggi per le Pmi hanno avuto un carattere fortemente statale e burocratico, poco utile per il sostegno a una realtà prettamente privata e spontanea: la volontà politica non è in sé sufficiente a creare imprese e iniziativa privata dove non ne esistono. Mancano le azioni concrete, come le agevolazioni bancarie e burocratiche per la fondazione e lo sviluppo delle imprese. Tutto ciò che avviene in un distretto industriale non nasce in un’agenzia, ma dipende da fattori caratterizzanti forti e da un ambiente che li sostenga: cultura, tradizioni, qualità dei prodotti, scambio continuo e informale di informazioni, imprese leader, strumenti, garanzie e fondi comuni che facilitino l'accesso al credito, permettendo per esempio alle imprese più vecchie di garantire per le nuove, facilitando il ricambio e le start-up. La politica e le agenzie finora hanno dimostrato una scarsa comprensione di questa verità di fondo. La stessa camera di commercio è un organismo politico, un retaggio degli anni di comunismo che funziona poco e male, con contatti sempre più scarsi con le imprese effettivamente operanti in Serbia.

6.2.Normativa fiscale. La normativa serba in materia fiscale è stata avvicinata e armonizzata a quella degli altri paesi europei, in particolare dopo l’introduzione dell’Iva nel gennaio del 2005.

L’imposta sui profitti d’impresa è pari al 10 percento. L’aliquota è la più bassa d’Europa e ha un valore uniforme per tutte le imprese.

Anche l’Iva ha un valore standard, fissato al 18 percento. Su pochi prodotti (beni e servizi primari, quotidiani e servizi comunali) viene ridotta all’8 percento. La maggior parte dei servizi di pubblica utilità (sanità, istruzione, ricerca, ecc.) ne sono esenti, così come lo sono i prodotti destinati all’esportazione e i servizi per l’esportazione.

Il coefficiente dell’Irpef è pari al 14 percento per i redditi da lavoro dipendente, al 20 percento per gli altri tipi di reddito. I non residenti sono tassati soltanto sui redditi percepiti in Serbia. Gli stranieri residenti (cioè coloro che hanno la sede dei propri interessi personali in Serbia o vi risiedono per almeno 183 giorni all’anno) sono soggetti all’imposta sul reddito qualora superino i 16.000 euro di reddito annuale (percepito in Serbia o altrove).

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I contributi e i costi non salariali del lavoro rappresentano circa il 73 percento del costo salariale netto. Considerato uno stipendio netto pari a 100 le aliquote tipicamente applicate all’impresa (da considerarsi puramente indicative) sono mostrate nella tabella 3.

Tabella 3.Aliquote applicate alle impreseComponenti stipendio lordo Coefficiente Risultato

Salario x coefficiente ministeriale 1,464 146,4al quale si aggiunge:

a) fondo pensioni (22%, metà spetta all’impresa) 11% (di 146,4) 16,1b) previdenza sociale (12,3%, metà spetta all’impresa) 6,15% (di 146,4) 9,0c) contributo sociale per la disoccupazione 1,5% (di 146,4) 2,2

Totale stipendio lordo 173,7Fonte: Siepa

6.3.Le “zone franche”. Esistono numerosi regimi di esenzione dalle norme fiscali e doganali generali. La forma di agevolazione più specifica per gli investitori esteri è stata la creazione di 14 zone franche, in prossimità di grandi città o in aree ben collegate, all’interno delle quali esistono diversi vantaggi per l’avvio di un’attività produttiva:· le merci importate sono esenti da Iva;· le importazioni e le esportazioni da e verso una zona franca non sono soggette alle normali

procedure di controllo doganale, né a possibili quote e limitazioni imposte al commercio estero;

· macchinari, materiali da costruzione e materie prime (se usate per produrre beni finiti per l’esportazione) possono essere importate senza dazio;

· all’interno della zona è possibile utilizzare liberamente la valuta estera ottenuta attraverso le operazioni di importazione-esportazione;

· le zone franche sono considerate extraterritoriali, quindi occorre sottoporsi alle normali procedure e pagare dazio per poter vendere in Serbia i beni prodotti al loro interno. Questa regola non si applica se:· almeno il 50 percento del valore del bene è stato prodotto all’interno della zona franca

(nel qual caso il bene viene considerato serbo a tutti gli effetti, e può liberamente circolare nel paese)

· il prodotto viene portato temporaneamente al di fuori della zona libera (per esempio, per completare un passaggio della lavorazione) e successivamente vi ritorna.

Mappa 2.Le quattordici zone franche

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Fonte: Siepa

6.4.Incentivi fiscali all’investimento. La maggior parte degli incentivi all’investimento sono stati introdotti sotto forma di sgravio fiscale. Le imprese investitrici hanno diritto a un periodo di esenzione fiscale di 10 anni se investono in capitale fisso almeno 7,5 milioni di euro e impiegano almeno 100 addetti a tempo indeterminato. Inoltre ogni impresa può ridurre le imposte dovute in misura corrispondente ai salari lordi (comprensivi dei contributi) versati ai dipendenti assunti a tempo indeterminato. I crediti d’imposta (derivanti da bonus fiscali non sfruttati nell’anno in corso e altro) possono essere sfruttati nell’anno successivo, per un periodo massimo di 10 anni.

È possibile dedurre gli investimenti in immobilizzazioni dall’ammontare imponibile, fino a un massimo del 20 percento. La riduzione dell’importo dovuto al fisco non può superare il 50 percento. Per alcune produzioni e settori (agricoltura, tessile e cuoio, metalli e prodotti in metallo, produzione di macchinari, attrezzatura da ufficio e apparecchi radio-tv, strumenti ospedalieri, motori e veicolo, riciclaggio, video e cinema) questa percentuale può essere aumentata fino all’80 percento. Le piccole imprese possono dedurre dall’imponibile gli investimenti in immobilizzazioni fino a un massimo del 40 percento, con una detrazione totale dell’importo dovuto al fisco non superiore al 70 percento.

6.5.La linea di credito Italia-Serbia. Da alcuni anni il governo italiano ha messo a disposizione delle piccole e medie imprese serbe una linea di credito per l’acquisto di macchine utensili e macchinari italiani, attraverso finanziamenti rimborsabili in 8 anni compresi fra i 50 mila e il milione di euro. L’accordo siglato nel maggio del 2005 prevede una disponibilità di più di 33 milioni di euro, da utilizzare prevalentemente in quattro settori prioritari (edile, alimentare, tessile, legno/arredo). Questi fondi verranno distribuiti su diverse tranche, con la partecipazione della banche locali. La prima tranche (5 milioni di euro) è stata erogata nell’ottobre 2005.

Questa misura ha la sua base legale nella legge per la cooperazione allo sviluppo (L. 94/1987) e si propone di favorire la crescita delle Pmi serbe, promuovere la cooperazione fra imprese serbe e italiane e migliorare le capacità di finanziamento delle banche locali. Per raggiungere questo scopo al sostegno finanziario vero e proprio sono stati affiancati vari strumenti di formazione e assistenza per lo sviluppo dell’imprenditorialità, e un sistema di gestione dei fondi che fa capo alle banche locali.

6.6.Incubatori e parchi tecnologici. Il governo serbo sta portando a compimento una serie di incubatori e parchi tecnologici per favorire la creazione e lo sviluppo di imprese avanzate. Il parco tecnologico di Vrsac si trova poco più a nord di Belgrado, lungo la linea ferroviaria e autostradale che porta verso Timisoara. Collabora con le università di Belgrado, Novi Sad e Timisoara ed è

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sostenuto dal gruppo Hemofarm, che si occupa in particolare di infrastrutture per l’industria farmaceutica. L’impresa italiana Zannini (produzione di imballaggi per l’industria farmaceutica) ha creato nel parco un importante impianto produttivo, in società partecipate con la stessa Hemofarm. Esso dovrà servire il mercato serbo, l’est europeo e in futuro anche l’Italia.

Il parco scientifico e tecnologico di Novi Sad è strettamente collegato all’università locale. Svolge anche la funzione di incubatore: al suo interno ospita l’istituto di elettronica e una trentina di start-up già avviate, soprattutto imprese piccole, giovani e innovative nel settore dell’Ict, dell’elettronica e dell’automazione. Finanziato attraverso progetti internazionali, si presenta come polo per la promozione tecnologica nella regione della Vojvodina. Anche l’Università di Niš (nel sud est della Serbia) ospita un centro per l’innovazione, attivo soprattutto nella meccanica.

Il parco scientifico e tecnologico di Zvezdara è invece in fase di compimento. Si trova nell’area metropolitana di Belgrado e sarà impegnato nell’informatica, nelle telecomunicazioni e nella biotecnologia. Sono già in corso le trattative preliminari con importanti compagnie di software per la locazione delle aree. In una prima fase saranno disponibili 5 edifici e una superficie totale di 12.500 metri quadrati, ma è già previsto un considerevole ampliamento (25 edifici e 100.000 metri quadrati), tale da fare del parco di Zvezdara uno dei punti strategici della politica di sostegno all’innovazione e all’alta tecnologia.

7.Conclusioni

La Serbia ha introdotto rilevanti incentivi a favore delle imprese investitrici, consistenti prevalentemente in sensibili sgravi fiscali. Inoltre il governo italiano ha dimostrato interesse per la Serbia, con l’apertura di una linea di credito a favore delle Pmi locali (cfr. par. 6.5). Va sottolineato che a fianco della concessione del credito sono stati attivati strumenti di formazione e di assistenza allo sviluppo dell’imprenditorialità e un sistema di gestione dei fondi cui partecipano le banche locali. In aggiunta a queste iniziative ne sono state intraprese altre, mirate a promuovere lo sviluppo tecnico, incentrate su incubatori e parchi tecnologici.

Questa struttura (aiuti finanziari, sostegno dell’imprenditorialità, ricerca congiunta e promozione dello sviluppo tecnico) dovrebbe costituire la base della cooperazione industriale fra le Pmi italiane e serbe, nonché un esempio di politica della transizione che, se avesse successo, potrebbe attrarre nuove risorse interne e internazionali.Queste soluzioni dovrebbero potenziare la piccola impresa e sfruttare l’esperienza nella cooperazione già consolidata con la Zastava (cfr. riquadro 7). I dubbi riguardo al persistere del rischio politico sono riemersi il 28 e 29 ottobre 2006 in occasione del referendum sulla costituzione e sul Kosovo. Tuttavia la situazione politica e territoriale ancora confusa non compromette la maggior parte delle opportunità di investimento che offre la Serbia, né la complessiva evoluzione del suo quadro economico.

8.Bibliografia e siti utili

Agenzia per la privatizzazione: www.priv.yuAgenzia per la promozione degli investimenti della Serbia centrale - Camera di commercio di Kragujevac: www.invest-in-central-serbia.orgAgenzia per le Pmi: www.sme.sr.gov.yuBanca nazionale serba: www.nbs.yuBers - Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, Transition report (2006)Camera di commercio serba: www.pks.co.yuCentro estero delle camere di commercio piemontesi: www.centroestero.orgForeign investors council: www.fic.org.yu

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Governo: www.srbija.sr.gov.yuIstituto nazionale per il commercio estero, sede di Belgrado: www.ice.it/estero2/belgrado/default.htmMinistero del commercio, del turismo e dei servizi: www.minttu.sr.gov.yuMinistero per le relazioni economiche internazionali: www.mier.sr.gov.yuProgramma Seenet - Programma di assistenza tecnica e partnership della regione Toscana: www.seenet.orgSiepa - Agenzia per la promozione degli investimenti e delle esportazioni: www.siepa.sr.gov.yuUfficio statistico della Repubblica di Serbia: www.statserb.sr.gov.yu

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