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AILAssociazione Italiana contro le Leucemie-linfomi e mieloma ONLUS

Via Casilina, 5 00182 - Romatel 06 [email protected]

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INDICELA PATOLOGIA pag. 3 Definizione

Diffusione

Andamento nel tempo

Prognosi

I SINTOMI pag. 9Quadro complessivo

Disturbi generali

Disturbi da danni agli organi

Disturbi da alterazioni del midollo osseo

Complicazioni principali

Effetti sulla vita quotidiana

LA DIAGNOSI pag. 19Principi generali

Biopsia ossea

Analisi del sangue

Analisi genetiche

Criteri diagnostici

LA TERAPIA pag. 27Percorso terapeutico

Trapianto di midollo osseo

Terapie tradizionali

Terapie innovative

Terapie del futuro

LA QuALITà DI vITA pag. 37Impatto della malattia

Consigli pratici

I DIRITTI DEL MALATO pag. 41Tutele previste in Italia

Agevolazioni lavorative

Prestazioni previdenziali

Ticket sanitario

GLOSSARIO pag. 47

DAL WEB pag. 52

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DEfINIzIONE

La mielofibrosi è una rara malattia cronica del midollo osseo che appartiene

a un gruppo di disturbi detti neoplasie mieloproliferative croniche (comprendenti

anche la policitemia vera e la trombocitemia essenziale).

Più specificamente, la mielofibrosi può essere definita come una malattia della

cellula staminale emopoietica che provoca una serie di anomalie.

Le cellule staminali emopoietiche sono contenute appunto nel midollo osseo e da

esse originano, in un processo detto emopoiesi, le cellule mature del sangue:

globuli bianchi (o leucociti), globuli rossi (o eritrociti) e piastrine (o trombociti).

A differenza di quelle immature, si definiscono mature le cellule definitive, ossia

quelle in grado di svolgere tutte le loro funzioni specifiche.

Il nome mielofibrosi deriva dalla graduale comparsa nel midollo osseo di un

tessuto fibroso (un insieme di fibre intrecciate tra di loro) che ne modifica

definitivamente la struttura non consentendogli più di funzionare correttamente

(anche se questa caratteristica non è più considerata un requisito indispensabile).

Esistono due forme di mielofibrosi: quella primaria detta anche idiopatica perché

la causa responsabile è sconosciuta e quella secondaria a una policitemia vera

o a una trombocitemia essenziale (Tabella 1, pag. 4).

3LA PATOLOGIA

“Gli esperti mi dissero che era una patologia cronica del sangue chiamata mielofibrosi”

“Vorrei che questa malattia fosse più conosciuta in modo da poter migliorare la terapia”

“Nel momento in cui mi dissero che avevo la mielofibrosi mi sono sentito disorientato perché nessuno mi aveva spiegato che cos’era”

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Le caratteristiche con cui si manifesta la mielofibrosi

sono diverse da individuo a individuo (Tabella 2) e possono

dar luogo negli anni a situazioni cliniche molto variabili e

complesse.

DIffuSIONE

Con 7 individui su un milione colpiti ogni anno nel mondo, la mielofibrosi è considerata

una malattia rara. Una diffusione simile si registra anche in Italia, dove ogni anno

è stato calcolato ci siano circa 350 nuovi casi di mielofibrosi. La malattia è più frequente

tra i maschi e in genere si manifesta negli anziani, con un’età media intorno a 60 anni.

Tuttavia nel 15% dei casi può interessare anche le persone con meno di 55 anni di età,

mentre è estremamente rara in campo pediatrico.

Non si tratta di una malattia ereditaria, pertanto non c’è il rischio di trasmettere la

mielofibrosi ai propri figli. Esistono famiglie che sembrano più predisposte a essere

colpite da una malattia mieloproliferativa cronica; si può pertanto parlare di familiarità

e gli individui che hanno un parente stretto malato rischiano maggiormente di sviluppare

lo stesso disturbo.

ANDAMENTO NEL TEMPO

La mielofibrosi è una malattia cronica che può peggiorare più o meno lentamente

nell’arco di diversi anni, con modalità variabili a seconda del paziente.

In genere la fase iniziale della malattia consiste in un danno alla struttura stessa del

midollo osseo (in particolare dei megacariociti), cui fanno seguito la comparsa di fibrosi

midollare e la fuoriuscita delle cellule staminali immature dal midollo osseo le quali,

fORME DI MIELOfIBROSI

Mielofibrosi primaria o idiopatica

Mielofibrosi post-policitemica

Mielofibrosi post-trombocitemica

PRINcIPALI ALTERAzIONI NELLA MIELOfIBROSI

Aumento del numero e modifica della forma dei megacariociti, che sono le cellule che producono le piastrine e che derivano dalla cellula staminale emopoietica

Fibrosi midollare

Aumento delle dimensioni della milza (splenomegalia)

Presenza nel sangue di globuli rossi e di globuli bianchi non maturi

Tabella 1

Tabella 2

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il paziente: oltre a un aggravamento delle sue condizioni generali di salute, aumenta

sensibilmente il pericolo di infezioni gravi e di emorragie. Per determinare la diagnosi

di una leucemia acuta è necessario che il numero dei blasti superi il 20% delle cellule

presenti nel sangue e nel midollo osseo.

PROGNOSI

Attualmente la prognosi di un paziente con mielofibrosi primaria, ossia la previsione

di come la malattia evolverà nel tempo, viene definita sulla base del modello

prognostico IPSS (International Prognostic Scoring System), in cui vengono valutati

diversi fattori. Questi sono l’anemia (emoglobina inferiore a 10 grammi per decilitro),

la leucocitosi (globuli bianchi superiori a 25.000 per millimetro cubo di sangue),

l’età avanzata (età superiore a 60 anni), la presenza di uno o più blasti ogni 100 cellule

di sangue e di sintomi generali (febbre non dovuta a infezioni, sudorazioni notturne

profuse, dimagrimento negli ultimi 6 mesi pari o superiore al 10% del peso corporeo).

A seconda dell’esistenza o meno di uno o più fattori i pazienti sono distinti in 4 categorie,

che corrispondono a una prognosi progressivamente peggiore: “basso rischio”

se il malato non presenta alcun fattore, “intermedio-1” se presenta uno di questi fattori,

“intermedio-2” se ne presenta due e “alto rischio” se ne presenta più di tre.

attraverso il sangue, raggiungono la milza e il fegato dove

si accumulano.

Talvolta può accadere che per anni il paziente rimanga

stabile, presentando solamente un lieve danno al midollo

osseo e un aumento delle piastrine.

Nella maggioranza dei casi, quando la malattia si mani-

festa, sono già presenti le lesioni tipiche quali la fibrosi

midollare, l’anemia (diminuzione dei globuli rossi nel

sangue), un numero troppo alto o troppo basso di globuli

bianchi e di piastrine e l’ingrossamento della milza.

In alcuni casi (10-15 su 100) si può però trasformare in

una malattia ad andamento rapido (acuto), molto più

pericolosa e simile alla leucemia acuta.

Il passaggio da mielofibrosi a leucemia acuta è provo-

cato da un aumento notevole e improvviso nel sangue di

globuli bianchi immaturi (blasti), i quali non riuscendo

più a maturare e a diventare cellule funzionanti in modo

corretto, impediscono la produzione di tutte le cellule

ematiche. La leucemia acuta ha pesanti conseguenze per

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QuADRO cOMPLESSIvO

Un quarto dei malati con mielofibrosi non accusa alcun particolare sintomo

al momento della visita, cioè è asintomatico. In questi casi ci si rivolge al medico

per generici disturbi addominali, come un fastidio causato da un ventre molto

gonfio e una sensazione di stomaco eccessivamente pieno soprattutto dopo i pasti,

oppure perché un normale esame del sangue che conta le cellule ematiche

(cosiddetto emocromo) ha segnalato la presenza di valori alterati.

Normalmente la malattia si manifesta con una serie di sintomi generali che

interessano tutto l’organismo e altri tipici della mielofibrosi che sono dovuti

al coinvolgimento di alcuni organi, come la milza, oppure sono provocati

dalle alterazioni dei globuli bianchi, dei globuli rossi e delle piastrine nel sangue.

La malattia si può anche complicare con la comparsa di disturbi a carico di diversi

organi e apparati.

DISTuRBI GENERALI

Seppure comuni a numerose malattie, nella mielofibrosi i disturbi generali sono

critici poiché, in molti casi, possono diventare debilitanti. Sia che compaiano al

momento della diagnosi o nel corso degli anni i sintomi possono influire sulla

qualità di vita del paziente impedendogli talvolta di svolgere le abituali attività

9I sINTOmI

“Soffrivo di una continua debolezza, facevo molta fatica a fare qualsiasi cosa e avevo perso peso”

“Avevo problemi di digestione ed ero affaticato perché la milza era ingrossata”

“Mi sembrava che la malattia avesse alti e bassi: di giorno astenia e di notte sudorazione”

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lavorative e quotidiane, nonché di avere una normale vita

di relazione (Tabella 1).

Tra i sintomi generali della mielofibrosi il principale è

la cosiddetta fatigue, un termine inglese difficilmente

traducibile in italiano con un solo vocabolo; si tratta di un

insieme di disturbi psicofisici che comprendono profonda

stanchezza e spossatezza non derivante da sforzi ecces-

sivi (astenia), dolori muscolari alle gambe, mancanza di

appetito, problemi del sonno, difficoltà di concentrazione,

ansia e depressione. È piuttosto comune che un malato

che soffra di fatigue sia anche anemico, ossia abbia

valori bassi di emoglobina nel sangue provocati dal calo dei

globuli rossi.

Altri sintomi generali sono la febbre non causa-

ta da un’infezione, il dimagrimento recente (calo di

almeno il 10% del proprio peso negli ultimi 6 mesi), la

sudorazione notturna particolarmente abbondante, un

prurito diffuso in tutto il corpo (che peggiora con il contatto

con l’acqua) e i dolori ossei.

SINTOMI GENERALI

DELLA MIELOfIBROSI

DISTuRBI DOvuTI

ALL’INGROSSAMENTO DELLA MILzA

Fatigue

Anemia

Febbre

Dimagrimento

Sudorazione notturna

Prurito diffuso

Dolori alle ossa

Pesantezza addominale

Difficoltà digestive

Sazietà precoce

Dolori addominali

Diarrea o stitichezza

Tosse

Disturbi urinari

Tabella 1 Tabella 2

DISTuRBI DA DANNI AGLI ORGANI

L’ingrossamento della milza (detto splenomegalia) è la manifestazione più caratteristica

della mielofibrosi, si verifica in quasi tutti i malati ed è responsabile di una serie di

disturbi gastrointestinali (Tabella 2). Questi problemi sono dovuti al fatto che la milza

ingrossata preme sullo stomaco e sull’intestino, impedendo loro di funzionare regolarmente.

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Il paziente avverte difficoltà digestive, sensazioni di

pesantezza, fastidio a livello dell’addome e sazietà dopo

aver mangiato poco (responsabile del dimagrimento),

dolori addominali, nonché funzioni intestinali irregolari

(con episodi di diarrea o di stitichezza). In alcuni casi la milza

è così ingrandita che occupa gran parte dell’addome fino

ad arrivare a comprimere i polmoni (provocando tosse

secca) e il rene (determinando difficoltà a urinare).

DISTuRBI DA ALTERAzIONI DEL MIDOLLO OSSEO

Si tratta di sintomi dovuti a un danno ai globuli rossi, ai

globuli bianchi e alle piastrine perché il midollo osseo,

che normalmente produce queste cellule, non funziona

più in maniera corretta (Tabella 3).

A causa di una diminuzione dei globuli rossi nel sangue

e dell’emoglobina in essi contenuta oltre la metà dei

malati è anche anemica: ciò provoca stanchezza, debolezza,

colorito pallido, inappetenza, difficoltà di respirazione e

battito del cuore accelerato.

In alcuni pazienti affetti da mielofibrosi i globuli bianchi possono aumentare enorme-

mente (leucocitosi); altre volte invece si verifica il processo inverso e il numero di globuli

bianchi nel sangue può ridursi anche notevolmente (leucopenia), rendendo il paziente

più sensibile alle infezioni. Questo accade perché i globuli bianchi sono componenti del

sistema immunitario che difende il nostro organismo dall’attacco delle sostanze estranee

e che nella mielofibrosi non funziona in modo ottimale.

Anche la quantità di piastrine

nel sangue può essere sia bassa

sia elevata. In particolare un calo

di piastrine è responsabile

di emorragie a livello della pelle

(con formazione di piccole chiazze

rossastre) e della bocca e di

perdite di sangue dal naso.

DISTuRBI PRINcIPALI DOvuTI ALLE

ALTERAzIONI DELLE cELLuLE DEL SANGuE

Stanchezza

Pallore

Calo di appetito

Accelerazione del battito del cuore

Difficoltà respiratorie

Aumento del rischio di infezioni

EmorragieTabella 3

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cOMPLIcAzIONI PRINcIPALI

Tra le complicazioni più rischiose per i pazienti con

mielofibrosi ci sono le trombosi, disturbi provocati da una

massa, detta trombo, che ostruisce un vaso sanguigno,

impedendo al sangue di circolare regolarmente. Il trombo

si forma nelle vene o nelle arterie a causa di una coagula-

zione del sangue che avviene in maniera scorretta per la

presenza di piastrine alterate.

I trombi nelle arterie sono i più pericolosi per la salute

perché bloccano l’arrivo di ossigeno a un organo dan-

neggiandolo gravemente: nel caso del cuore provocano

un infarto, del cervello determinano un ictus cerebrale e

dell’occhio causano seri disturbi della vista.

I trombi nelle vene sono meno pericolosi ma più insidiosi

perché rallentano il flusso ematico diretto verso il cuore.

Di solito nella mielofibrosi le vene colpite sono quelle del

polmone, della gamba, del cervello, dell’addome e del

fegato. Dato che è più facile che queste trombosi

avvengano durante un intervento chirurgico, è importante

preparare molto bene il paziente a questa eventualità grazie a una stretta collaborazione

tra chirurgo ed ematologo in maniera tale da ridurre al minimo il rischio trombotico legato

all’operazione stessa e quello emorragico.

Un’altra complicazione della mielofibrosi, meno grave della trombosi e più frequente

se la milza è molto ingrossata, è l’infarto splenico (ossia della milza): esso è provocato

dal blocco di un vaso che porta sangue all’organo. Il malato lamenta un dolore improvviso

e molto forte al fianco sinistro dove si trova la milza; talvolta le fitte dolorose sono

accompagnate da febbre e nausea. Anche se in genere questi sintomi passano in pochi

giorni, nel caso in cui i farmaci antidolorifici non facciano effetto può essere necessario

il ricovero in ospedale. Se la milza fosse troppo danneggiata si procede alla sua rimozione

chirurgica.

Altro evento abbastanza frequente legato alla riduzione delle cellule ematiche sono i

calcoli renali, che sono piccoli depositi di sali minerali che si formano nelle vie urinarie.

Nel caso della mielofibrosi si sviluppano per un eccesso di acido urico nel sangue e

possono dar luogo a episodi di dolore intenso (coliche) e talvolta impedire al rene

di funzionare normalmente.

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EffETTI SuLLA vITA QuOTIDIANA

La situazione complessiva può essere aggravata dal fatto

che la mielofibrosi colpisce per lo più gli anziani, persone

di solito più fragili, che spesso assumono farmaci per altri

disturbi cronici e che, rispetto alla popolazione generale,

hanno un rischio maggiore di sviluppare malattie a carico

del cuore e dei vasi sanguigni (il cosiddetto rischio cardio-

vascolare).

In questo scenario, in funzione della gravità dei sintomi

ma anche dello stato di salute e dell’età del paziente,

la mielofibrosi può impedire di compiere una serie di

attività quotidiane che di norma sono svolte senza

difficoltà, come camminare, salire le scale, rifare il letto,

leggere, fare la doccia, pettinarsi, guardare la televisione

e cucinare, e incidere negativamente sulla vita professio-

nale e su quella sociale.

Nello specifico, anche se non ci sono particolari restrizioni

lavorative, in caso di forte anemia (emoglobina inferiore

a 10 grammi per decilitro) o di splenomegalia molto marcata alcune mansioni pesanti

o ritmi di lavoro frenetici non sono praticabili, così come sforzare troppo la muscolatura

addominale.

Dato che il malato spesso è inappetente, ha problemi di sonno, difficoltà di concentrazione,

stress, ansia e depressione, i rapporti con familiari, amici e colleghi possono diventare

problematici e l’individuo tende a isolarsi perché condurre una vita sociale richiede

troppa fatica.

Potendo essere molto debilitanti, i disturbi della mielofibrosi condizionano notevolmente

la vita quotidiana del malato e pertanto non vanno sottovalutati dal medico che

eventualmente consiglierà i rimedi più opportuni.

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PRINcIPI GENERALI

La diagnosi di mielofibrosi è piuttosto complessa e non esiste un unico esame che

permette di farla, perché si tratta di un disturbo variabile da paziente a paziente

che può essere spesso confuso con altre malattie croniche del midollo, come

quelle mieloproliferative e la leucemia mieloide.

La diagnosi inizia con la raccolta di informazioni sulle condizioni di salute

dell’individuo, appurando se ha avuto una policitemia vera o una trombocitemia

essenziale, se è recentemente dimagrito, se soffre di emorragie, di grave

stanchezza e di copiose sudorazioni notturne.

In secondo luogo si passa alla visita vera e propria, che consente di rilevare

l’eventuale ingrossamento della milza e il pallore della pelle.

Anche se è spesso presente, la splenomegalia non è tuttavia indice solo di

mielofibrosi perché si può riscontrare anche in altre malattie del sangue o del

fegato. In genere si può sospettare una mielofibrosi primaria nei casi in cui la milza

è ingrossata e quando si riscontrano anche anomalie nell’esame del sangue

o si manifestano problemi gastrointestinali generici (dolori addominali, difficoltà

digestive).

È necessario inoltre sottoporre il paziente a una serie di esami che, a partire

da un sospetto, possano confermare la diagnosi di mielofibrosi (Tabella 1, pag. 20).

19LA DIAGNOsI

“Sono andato dal mio medico perché non mi sentivo bene, ma solo dopo diversi esami lo specialista mi ha detto che avevo la mielofibrosi”

“Quando mi hanno diagnosticato la malattia mi sono spaventato,ma il medico mi ha tranquillizzato spiegandomi che potevo fare una vita normale”

“Ho fatto un’ecografia all’addome di routine scoprendo che la milzaera molto ingrossata”

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BIOPSIA OSSEA

È l’esame principale per diagnosticare la mielofibrosi

perché permette di controllare direttamente le condizioni

del midollo osseo.

La biopsia ossea consiste nel prelievo di un piccolo fram-

mento di osso che contiene midollo al suo interno (in

genere si esegue sull’osso del bacino vicino al gluteo)

e nella sua successiva analisi al microscopio: in questo

modo si possono osservare le caratteristiche alterazioni della forma e del numero

delle cellule midollari, in particolare dei megacariociti (cellule responsabili della

produzione di piastrine) e la presenza di fibrosi.

ANALISI DEL SANGuE

Anche se nella mielofibrosi l’esame che conta le cellule ematiche (detto emocromocito-

metrico o più comunemente emocromo) può essere normale, generalmente si evidenzia

un aumento oppure un considerevole calo di globuli bianchi e di piastrine e spesso anche

una riduzione di emoglobina (anemia).

È inoltre molto importante analizzare il sangue al microscopio in maniera da osservare

la forma delle cellule: infatti in caso di mielofibrosi si notano globuli rossi tipicamente

deformati “a lacrima” (dacriociti), che indicano la presenza di fibrosi midollare.

Spesso l’esame al microscopio evidenzia nel sangue anche molte cellule immature:

globuli bianchi che di solito si trovano esclusivamente nel midollo osseo (mielociti

e metamielociti), piastrine di dimensioni giganti e globuli rossi.

Nel sangue si può misurare anche la lattato deidrogenasi (LDH), una sostanza

normalmente presente in quantità estremamente piccole che aumenta molto nelle

malattie del sangue, in particolare nella mielofibrosi. L’LDH viene prodotta in seguito

alla distruzione delle cellule ematiche, più alto è il suo valore più grave è la malattia.

PRINcIPALI INDAGINI

PER DIAGNOSTIcARE LA MIELOfIBROSI

Biopsia ossea

Emocromo

Esame del sangue al microscopio

Determinazione della lattato deidrogenasi (LDH) nel sangue

Analisi citogenetiche e molecolari

Tabella 1

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ANALISI GENETIchE

Attualmente per completare la diagnosi di mielofibrosi,

oltre agli esami descritti, si eseguono complesse analisi

citogenetiche e molecolari, i cui risultati hanno consen-

tito di approfondire le conoscenze riguardo la malattia,

definendola con sempre maggiore precisione.

L’analisi citogenetica valuta il cosiddetto cariotipo della

cellula, ossia il numero e la forma dei suoi cromosomi.

Questo esame evidenzia che in circa il 40% dei pazienti

con mielofibrosi le cellule ematiche danneggiate possie-

dono cromosomi con una struttura difettosa.

Non si tratta però di anomalie congenite, ossia non sono

presenti già alla nascita, ma si sviluppano successiva-

mente, probabilmente nel momento in cui compare la

mielofibrosi.

Tra le alterazioni più comuni c’è la mancanza di una

porzione del cromosoma 13 o di quello 20. Inoltre forme

di malattia più gravi, ossia che peggiorano molto più

rapidamente del normale, sembrano dovute all’esistenza di specifici danni cromosomici.

Le analisi molecolari ricercano invece la presenza di mutazioni geniche ossia di variazioni

dei geni, che sono le unità contenenti le informazioni genetiche all’interno dei cromosomi.

Anche le mutazioni non sono congenite nella mielofibrosi e si verificano esclusivamente

nelle cellule ematiche danneggiate.

La mutazione del gene JAK2 è quella più diffusa nei malati di mielofibrosi, anche se

compare pure in quasi tutti i pazienti con policitemia vera e nella metà circa di quelli con

trombocitemia essenziale. Questa mutazione è responsabile della produzione di una

proteina JAK2 difettosa che non funzionando bene stimola il midollo osseo a produrre

in continuazione nuove cellule del sangue. La scoperta delle mutazioni geniche, e quella

del gene JAK2 in particolare, e del loro ruolo nelle malattie mieloproliferative croniche

come la mielofibrosi ha spinto a ricercare farmaci innovativi che siano in grado di bloccare

selettivamente queste proteine malfunzionanti (vedi il capitolo sulla terapia).

cRITERI DIAGNOSTIcI

Data la complessità di diagnosticare la mielofibrosi primaria, per facilitare il compito

dell’ematologo nel 2008 sono stati messi a punto una serie di criteri, che sono stati

suddivisi in maggiori e minori.

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I criteri maggiori sono:

• aumento della produzione e alterazione della forma

dei megacariociti e presenza di fibrosi del midollo osseo

• esclusione di altri disturbi che colpiscono le cellule

del midollo e che sono simili alla mielofibrosi, quali le

malattie mieloproliferative croniche, la leucemia

mieloide cronica e le sindromi mielodisplastiche

• presenza della mutazione del gene JAK2. Nei pazienti

in cui questa mutazione è assente devono esistere altre

mutazioni dei geni o anomalie dei cromosomi.

I criteri minori sono:

• presenza contemporanea nel sangue di mielociti,

metamielociti ed eritroblasti (leucoeritroblastosi)

• aumento della LDH nel sangue

• anemia

• ingrossamento della milza.

La diagnosi di mielofibrosi primaria si basa sulla presenza di tre criteri maggiori

e di almeno due dei criteri minori.

Sono stati inoltre stabiliti una serie di criteri anche per diagnosticare la mielofibrosi

post-trombocitemica e post-policitemica, che sono:

• milza ingrossata

• anemia

• emocromo alterato

• LDH aumentata

• fibrosi del midollo osseo.

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PERcORSO TERAPEuTIcO

Data la variabilità con cui si manifesta la mielofibrosi, il percorso terapeutico non

è uguale per tutti i pazienti. Per esempio, quando i sintomi sono assenti oppure ci

sono solo modeste alterazioni dell’emocromo non è sempre necessario assumere

medicinali. Quando invece la malattia è attiva esistono diverse possibilità che

vanno scelte tenendo conto delle caratteristiche individuali del paziente e di quelle

della malattia stessa.

L’unica terapia curativa è il trapianto di midollo osseo che però viene eseguito solo

su un numero molto limitato di malati essendo una procedura complicata e gravata

da notevoli rischi per la salute soprattutto nelle fasce di età più avanzate.

In tutti i casi in cui il trapianto non è consigliabile l’obiettivo della terapia con i

farmaci è di ottenere e mantenere nel tempo un controllo ottimale della malattia,

garantendo la migliore qualità di vita possibile attraverso il miglioramento dei

sintomi. I medicinali tradizionali vengono impiegati essenzialmente per il tratta-

mento dei disturbi provocati dall’anemia e dall’ingrossamento della milza

(splenomegalia) ma sono poco efficaci sui sintomi correlati alla mielofibrosi.

Accanto a essi esistono diversi farmaci innovativi attualmente in corso di speri-

mentazione. In ogni caso, sia che si assumano o meno medicinali, il paziente va

sempre tenuto sotto controllo mediante visite e analisi del sangue periodiche

27LA TErAPIA

“Ora mi sento più serena e più fiduciosa nel futuro, ma soprattutto ho accettato la malattia e riesco a vivere meglio”

“La malattia è sotto controllo: è diminuita la milza e sono spariti il prurito e la sudorazione notturna”

“Le cure che mi hanno prescritto hanno funzionato: sto meglio con mia moglie, sono più autonomo e ho ripreso a uscire e a guardare la TV”

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(in genere una volta al mese), in maniera da rilevare

tempestivamente non solo qualsiasi peggioramento del

suo stato di salute ma anche la sua risposta alle terapie.

TRAPIANTO DI MIDOLLO OSSEO

Obiettivo del trapianto è di eliminare la malattia e ripristi-

nare le normali funzioni del midollo osseo iniettando cellule

staminali emopoietiche sane in grado di produrre tutte le

cellule ematiche.

Si realizza con cellule staminali emopoietiche prelevate dal

sangue di un donatore (trapianto allogenico) preferibilmente

scelto in ambito familiare perché deve essere compatibile,

cioè avere caratteristiche il più possibile simili al ricevente.

Prima di ricevere le cellule staminali, il paziente viene

sottoposto a un trattamento con radiazioni e/o con farmaci

per distruggere completamente le cellule nel midollo

malato e quindi per permettere che il suo organismo accetti

le cellule staminali del donatore. Tali terapie di preparazione,

riducendo le difese immunitarie del ricevente, comportano

un aumento delle infezioni e delle reazioni tossiche a livello dell’apparato gastrointestinale

e del fegato, rappresentando così uno dei motivi per cui il trapianto è tuttora riservato

a un numero limitato di pazienti. Il rischio di un insuccesso viene ulteriormente aggravato

dalla complicazione più grave del trapianto allogenico, la malattia del trapianto contro l’ospite

(GVHD, dall’inglese graft versus host disease). La GVDH è provocata dal fatto che, insieme

alle cellule staminali, sono iniettate anche cellule del sistema immunitario che “aggrediscono”

i tessuti del ricevente riconoscendoli come estranei.

Pertanto, anche se rappresenta l’unica opportunità per curare la mielofibrosi, oggi il trapianto

di cellule staminali emopoietiche viene consigliato solo ai pazienti più giovani (con meno di

60-65 anni) con malattia grave.

TERAPIE TRADIzIONALI

La scelta di quale strategia adottare dipende essenzialmente dall’età dell’individuo, dalla

prognosi della malattia e dalla presenza di altri disturbi, per esempio quelli cardiaci e renali.

Le terapie tradizionali sono rivolte principalmente al trattamento dell’anemia e della

splenomegalia, che spesso si manifestano insieme. Tuttavia con questi farmaci il migliora-

mento dei sintomi generali correlati alla malattia è limitato.

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Trattamento dell’anemia

Il trattamento dell’anemia è necessario solamente nei

pazienti che hanno un contenuto di emoglobina nel sangue

estremamente basso (meno di 10 grammi per decilitro).

In genere, dato che la terapia impiega diverso tempo per

fare effetto, le analisi del sangue per controllare se

l’anemia è migliorata si eseguono dopo alcuni mesi

dall’inizio del trattamento.

Si utilizzano nella pratica clinica:

• androgeni (ormoni maschili) o loro derivati come danazolo

• farmaci che aumentano la produzione dei globuli

rossi nel midollo osseo come l’eritropoietina

• medicinali che stimolano le difese immunitarie

(detti immunomodulatori) come la talidomide

• cortisone.

La somministrazione di eritropoietina e di danazolo provoca

pochi effetti collaterali, a differenza della talidomide che

pur essendo efficace sia sull’anemia sia sull’ingrossamento

della milza è molto tossica e oggi si usa raramente.

Trattamento della splenomegalia

Una terapia per ridurre le dimensioni della milza va prevista quando la splenomegalia causa:

• disturbi gastrointestinali

• sudorazione notturna

• dimagrimento

• febbre

• oppure quando il medico nota un costante aumento della milza durante le visite di controllo.

Come prima scelta, nella pratica clinica, si usano i citostatici, farmaci che bloccano o

rallentano la crescita delle cellule di solito impiegati nella terapia dei tumori (chemioterapici).

Tra questi il più diffuso è l’idrossiurea.

Nei pazienti in cui l’idrossiurea non funziona si possono scegliere altri farmaci, tra cui

melfalan, busulfano, etoposide o interferone, anche se le probabilità di successo terapeutico

sono piuttosto basse.

Nei pazienti che presentano valori normali di piastrine e non hanno mai avuto emorragie

o problemi gastrici come un’ulcera, è possibile somministrare aspirina a basse dosi per

limitare il rischio di trombosi, una tra le complicazioni più pericolose della mielofibrosi.

Nei casi in cui nessun farmaco normalizza la splenomegalia e i sintomi sono così gravi da

peggiorare la qualità di vita del paziente, si può optare per la rimozione della milza o per una

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radioterapia splenica (irradiando l’area della milza per

ridurre le sue dimensioni).

Si tratta tuttavia di scelte da valutare attentamente per i

numerosi rischi per la salute legati a queste procedure,

che quindi si eseguono solo in casi molto selezionati

anche perché non garantiscono la completa scomparsa dei

disturbi. Il paziente che sviluppa una leucemia acuta può

ricevere trasfusioni di globuli rossi o di piastrine, talvolta

associate a farmaci citotossici, oppure un trattamento

chemioterapico più intenso.

TERAPIE INNOvATIvE

La scoperta di farmaci che colpiscono primariamente

specifici bersagli (che risultano alterati nella malattia)

permette di aumentare l’efficacia dei trattamenti e allo stesso

tempo di limitare gli effetti tossici. Tra quelli più promettenti

in fase di sperimentazione ci sono gli inibitori di

JAK1 e di JAK2, che nella mielofibrosi contribuiscono

al malfunzionamento delle cellule del midollo osseo.

Il fatto di impedire ai componenti difettosi di agire potrebbe spiegare perché questi

nuovi farmaci, a differenza di quelli tradizionali, oltre a essere efficaci sulla splenomegalia

migliorano anche i sintomi generali della malattia, con conseguenze positive sulla qualità

di vita della maggior parte dei pazienti.

In particolare, l’inibitore di JAK1 e di JAK2 ruxolitinib ha dimostrato di essere in grado di

ridurre le dimensioni della milza e di controllare i sintomi della mielofibrosi in maniera più

efficace rispetto ai farmaci tradizionali e al placebo (sostanza senza proprietà medicinali)

cui è stato paragonato. Nei due studi clinici COMFORT I e COMFORT II, condotti in pazienti

di diversi Paesi tra cui l’Italia, ruxolitinib ha determinato una riduzione della splenomegalia

nella maggior parte dei malati, beneficio che si è rivelato durevole nel tempo.

Con ruxolitinib nello spazio di un mese inoltre miglioravano in modo considerevole anche altri

disturbi della mielofibrosi, come il prurito, la stanchezza, il calo di peso e la febbre, che sono

particolarmente spiacevoli per il paziente e influiscono negativamente su molti aspetti della

sua vita quotidiana e sociale. Infine dati più recenti, sebbene ancora da confermare con un

periodo di osservazione più lungo, suggeriscono che ruxolitinib potrebbe avere un ruolo nel

migliorare la prospettiva di vita dei malati di mielofibrosi.

Per quanto concerne gli effetti collaterali, in entrambi gli studi si è osservato che la terapia

con ruxolitinib può peggiorare l’anemia e la trombocitopenia (bassi valori delle piastrine);

tali problematiche tuttavia possono essere gestite diminuendo le dosi del farmaco.

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Grazie a questi risultati positivi, nel 2012 in Europa è

stato approvato l’impiego di ruxolitinib per il trattamento

della splenomegalia e/o dei sintomi della mielofibrosi,

aprendo la strada alla sua introduzione in commercio e

segnando un concreto passo in avanti in una malattia per la

quale oggi si dispone di cure molto limitate.

TERAPIE DEL fuTuRO

Oltre a ruxolitinib sono in fase di sperimentazione anche altri

inibitori di JAK2 e di altre proteine alterate fra cui mTOR.

Altri farmaci che in futuro potrebbero avere un ruolo nella

terapia della mielofibrosi sono gli immunomodulatori di

seconda generazione, come pomalidomide, e composti

che agiscono direttamente sul DNA contenuto nelle cellule,

come givinostat e panobinostat.

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IMPATTO DELLA MALATTIA

Anche se la tipologia e la gravità dei sintomi variano da individuo a individuo,

la mielofibrosi è comunque una malattia cronica che peggiora gradualmente

con il passare degli anni, di solito compromettendo sempre di più le condizioni

generali di salute. Tuttavia un adeguato trattamento farmacologico, così come

seguire alcuni semplici accorgimenti e norme di ordine generale, consentono

di migliorare considerevolmente la qualità di vita dei malati al punto che

a volte essi possono ritornare a svolgere le attività di tutti i giorni (tra cui

camminare, salire le scale, rifare il letto, cucinare, leggere, guardare la televisione).

cONSIGLI PRATIcI

Come norma generale è sempre utile adottare uno stile di vita salutare, seguire

un’alimentazione corretta e se possibile svolgere una regolare attività fisica,

oltre ad attuare alcuni semplici accorgimenti per migliorare la qualità di vita

(Tabella 1, pag. 38).

37LA QuALITà DI vITA

“Spero di poter raggiungere una buona qualità di vita e di vivere serena con le persone che mi stanno accanto”

“Il mio corpo e le mie sensazioni sono in sintonia e non lascio che la malattia prenda il sopravvento”

“Mi sento più in forze al punto di uscire per andare a vedere una mostra. Sono tornata a casa molto stanca, ma contenta di avercela fatta”

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Tabella 1

cONSIGLI uTILI PER IL PAzIENTE cON MIELOfIBROSI

Abolire il fumo

Consumare pasti piccoli ma frequenti

Praticare regolarmente attività fisica

Evitare gli sport che prevedono un contatto fisico o sono a rischio di traumi

Lavarsi con acqua fredda e asciugarsi tamponando la pelle

Mantenere ben idratata la pelle

Non indossare indumenti sintetici o troppo stretti

Il malato di mielofibrosi deve evitare di fumare perché

non solo aumenta il rischio di trombosi che è già piuttosto

elevato ma anche vanifica gli effetti delle cure per ridurre

tale pericolo.

Per quanto riguarda la dieta quotidiana, la mancanza di

appetito e la sensazione di sazietà precoce si possono

combattere mangiando poco ma spesso nell’arco della giornata, scegliendo inoltre i cibi

preferiti e più appetibili.

Un’attività fisica lieve ma regolare, anche semplicemente camminare, può migliorare

non solo sintomi ma anche l’umore complessivo del malato. I pazienti più giovani che

desiderano praticare sport devono evitare quelli che prevedono un contatto fisico, come

il pugilato e il rugby, per l’alto rischio di emorragia legato alla mielofibrosi, e praticare

con cautela adottando le adeguate misure protettive gli sport, quali lo sci e il ciclismo,

in cui si rischiano traumi importanti.

Inoltre dato che il forte prurito è uno dei disturbi più fastidiosi e che peggiora al contatto

con l’acqua, si consiglia di lavarsi preferibilmente con acqua fredda, evitando bagni

con acqua molto calda e di asciugarsi tamponando la pelle. Sempre per evitare che

il prurito si aggravi è opportuno non indossare indumenti troppo aderenti o di materiale

sintetico e utilizzare appositi prodotti per mantenere la pelle ben idratata.

Bisogna infine ricordare che, oltre a questi semplici accorgimenti per migliorare la

qualità di vita del malato, è sempre necessario effettuare controlli periodici per

monitorare sia lo stato di salute generale sia l’efficacia delle terapie farmacologiche,

in modo da poter intervenire al primo segnale di peggioramento.

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TuTELE PREvISTE IN ITALIA

Nella mielofibrosi il diritto al riconoscimento dello stato di invalidità civile e di

handicap, e quindi alle agevolazioni riservate a tali condizioni, va valutato caso per

caso sulla base della prognosi della malattia, del grado di difficoltà a svolgere

le normali attività quotidiane causate da deficit fisici e da complicazioni trombotiche,

emorragiche o di altro tipo. Data la spiccata variabilità individuale delle manifesta-

zioni della mielofibrosi, che può essere asintomatica ma in genere dà disturbi più o

meno gravi e pertanto potenzialmente debilitanti anche in funzione dello stato

di salute generale e dell’età del malato, l’entità dell’invalidità che può venire

riconosciuta varia notevolmente. Una volta ottenuto il certificato medico che attesta

la natura delle infermità invalidanti oppure lo stato di handicap, è necessario

presentare una domanda all’INPS che fisserà una visita per ratificare in via

definitiva l’inabilità. Dal 2006 in caso di malattia oncologica è stato stabilito un iter

di accertamento accelerato dell’invalidità civile e dell’handicap per cui la visita

medica deve effettuarsi entro 15 giorni dalla presentazione della domanda all’INPS.

Nel momento in cui la malattia progredisce, come accade nei disturbi cronici

quali la mielofibrosi, è inoltre previsto che si possa richiedere l’aggravamento,

mentre se viene riconosciuta un’inabilità temporanea è necessario effettuare

visite periodiche per mantenerne la validità.

41I DIrITTI DEL mALATO

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AGEvOLAzIONI LAvORATIvE

La tutela del lavoro per i malati oncologici è regolamen-

tata dalla legge e dai contratti collettivi nazionali di lavoro

di categoria. Alcune norme legislative e contrattuali

prevedono una tutela specifica per il lavoratore affetto da

una neoplasia, che si aggiunge alla normativa del diritto

del lavoro relativa ai portatori di handicap.

Tra le agevolazioni lavorative previste dalla legge si ricorda

che gli invalidi civili (cui sono equiparati i malati oncologici)

con riduzione della capacità lavorativa superiore al 50%

possono usufruire ogni anno di un congedo straordinario

per cure della durata massima di 30 giorni, durante il

quale percepiscono la retribuzione prevista per le assenze

per malattia. Questo periodo di congedo si somma alle

giornate annuali di malattia previste dagli specifici

contratti nazionali di lavoro.

In caso di grave handicap il lavoratore può avvalersi di

permessi retribuiti pari a 2 ore al giorno o di 3 giorni al

mese per le cure e l’assistenza. Anche il familiare (com-

preso il coniuge) entro il 3° grado di parentela potrà richiedere 3 giorni di permesso

mensile retribuito per assistere il malato, a patto che il disabile non sia ricoverato

a tempo pieno o che nel suo nucleo familiare non ci sia un individuo non lavoratore in grado

di assisterlo. Inoltre l’accertamento di grave handicap permette, anche in via temporanea,

al lavoratore disabile o al familiare che lo assiste, di chiedere il trasferimento alla sede

di lavoro più vicina al suo domicilio e di non essere trasferito altrove senza il proprio

consenso. Di recente con la legge Biagi è stata introdotta nel nostro Paese una normativa

che dà diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale

ai lavoratori colpiti da malattie oncologiche cui è stata accertata una ridotta capacità

lavorativa. Tuttavia il lavoratore, una volta che le sue condizioni di salute lo consentono,

ha il diritto di chiedere che il suo rapporto di lavoro ritorni a essere nella sua forma

originale.

PRESTAzIONI PREvIDENzIALI

In base alla gravità della malattia oncologica, alla percentuale di invalidità riscontrata e

al reddito dell’individuo possono essere riconosciuti:

• l’assegno di invalidità civile

• la pensione d’inabilità

• l’assegno mensile per l’assistenza personale e continuativa ai pensionati per inabilità.

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L’assegno di invalidità viene erogato a condizione che la

capacità lavorativa sia ridotta permanentemente a meno

di un terzo e la persona abbia effettuato versamenti

contribuitivi all’INPS da almeno 5 anni. Il beneficiario può

pertanto continuare a lavorare e l’assegno va a integrare

la sua retribuzione ordinaria. Quando cessa l’attività

lavorativa e viene raggiunta l’età pensionabile l’assegno di

invalidità si trasforma in pensione di vecchiaia.

Nel caso in cui il lavoratore non sia più in grado di lavorare

per infermità ha diritto alla pensione di inabilità, mentre

l’assegno mensile per l’assistenza personale spetta ai

pensionati inabili che non possono camminare senza

l’aiuto di un accompagnatore o che hanno bisogno di

assistenza continua per svolgere le normali attività

quotidiane (alimentazione, igiene personale, vestizione).

TIcKET SANITARIO

Va ricordato che essendo una malattia clonale, ossia

provocata da una crescita cellulare abnorme a partire da

chi ti può essere d’aiuto?

Patronati

INPS

INPDAP

Associazioni sul territorio

Comune/regione di residenza

Tribunale per i diritti del malato

Agenzia delle entrate

una singola cellula, la mielofibrosi da diritto all’esenzione dal pagamento del ticket

sanitario per eseguire le indagini diagnostiche necessarie per controllare il suo

andamento nel tempo e per l’acquisto dei farmaci.

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ANEMIA: disturbo causato da una riduzione di emoglobina e/o di globuli rossi

nel sangue.

BIoPSIA: prelievo di una piccola porzione di tessuto per analizzare le alterazioni

delle cellule al microscopio. È utile per diagnosticare una malattia o per controllare

se un trattamento è efficace.

CHEMIoTErAPIA: termine comunemente impiegato per indicare il trattamento a

base di farmaci per combattere i tumori.

CoAguLAzIoNE SANguIgNA: meccanismo per cui in caso di lesione di un vaso

sanguigno le piastrine formano un tappo (coagulo) che blocca l’emorragia.

Se la coagulazione avviene in un vaso sano si forma un trombo che ostacola la

circolazione del sangue, con gravi conseguenze per la salute.

DNA o ACIDo DESoSSIrIBoNuCLEICo: sostanza presente nelle cellule contenente

le informazioni genetiche necessarie per produrre le proteine indispensabili

per lo sviluppo e il corretto funzionamento del nostro organismo.

EMATICo: relativo al sangue.

EMoCroMo o ESAME EMoCroMoCIToMETrICo: analisi del sangue che permette

di contare le cellule ematiche (globuli rossi, globuli bianchi e piastrine) e di

misurare il contenuto di emoglobina.

47GLOssArIO

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EMogLoBINA: sostanza contenuta nei globuli rossi del

sangue adibita al trasporto di ossigeno in tutto il corpo.

EMoPoIESI: produzione di tutte le cellule mature del

sangue a partire da un’unica cellula staminale emopoie-

tica, detta perciò multipotente. Nell’adulto l’emopoiesi si

svolge esclusivamente nel midollo osseo.

EMorrAgIA: perdita di sangue causata dalla rottura di un

vaso sanguigno.

ErITroPoIESI: produzione dei globuli rossi del sangue,

detti anche eritrociti, da parte del midollo osseo.

ErITroPoIETINA: sostanza prodotta dal rene fondamen-

tale per lo sviluppo dei globuli rossi.

gENE: tratto di DNA presente nel cromosoma che con-

tiene le informazioni genetiche necessarie perché ogni

cellula svolga una determinata funzione. È l’unità di

informazione ereditaria che serve a trasferire a un nuovo

individuo un carattere del genitore.

gLoBuLI BIANCHI o LEuCoCITI: cellule del sangue

responsabili della risposta immunitaria che il corpo mette

in atto per difendersi dagli attacchi esterni (virus, batteri). Alcuni globuli bianchi distruggono

direttamente gli agenti nocivi penetrati nell’organismo mentre altri servono a formare

gli anticorpi.

gLoBuLI roSSI o ErITroCITI: cellule del sangue che contengono emoglobina e

trasportano l’ossigeno dai polmoni verso i tessuti e l’anidride carbonica dai tessuti

ai polmoni.

ICTuS CErEBrALE: danno causato da un insufficiente afflusso di sangue, e quindi di

ossigeno, al cervello in seguito alla chiusura di un vaso.

IMMuNoMoDuLATorI: farmaci che modificano l’attività del sistema immunitario.

Se la aumentano si chiamano immunostimolanti mentre se la riducono sono detti

immunosoppressori.

INFArTo DEL MIoCArDIo: morte delle cellule del miocardio, ossia del cuore, provocata

da una carenza prolungata di sangue dovuta al blocco di un’arteria che porta il sangue

all’organo.

MEgACArIoCITA: cellula del midollo osseo responsabile della formazione di piastrine e

derivante dalla cellula staminale emopoietica.

MIDoLLo oSSEo: sostanza gelatinosa che si trova all’interno di molte ossa. Il midollo è

formato da cellule con funzioni di sostegno e da cellule che producono i globuli bianchi,

i globuli rossi e le piastrine del sangue.

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51

MILzA: organo non indispensabile alla vita situato nell’ad-

dome a sinistra vicino allo stomaco. Ha il compito di

produrre globuli bianchi, ripulire il sangue dai globuli

rossi vecchi e malfunzionanti e distruggere gli agenti nocivi.

NEoPLASIA: formazione di cellule anomale, di solito di

origine tumorale.

PIASTrINE o TroMBoCITI: cellule del sangue che ne

arrestano la fuoriuscita dai vasi lesionati, promuovendo

la coagulazione del sangue. Aggregandosi tra di loro le

piastrine creano un tappo (coagulo) che blocca l’emorragia.

ProTEINA: composto molto complesso formato da ami-

noacidi e costituente fondamentale di tutte le cellule.

Sono proteine gli enzimi, molti ormoni, l’emoglobina e gli

anticorpi responsabili della risposta immunitaria.

SANguE: fluido che scorre nell’apparato cardiovascolare

formato da una parte liquida, detta plasma, e una cui

sono presenti globuli rossi, globuli bianchi e piastrine.

Porta nutrimento e ossigeno ai tessuti liberandoli dai

rifiuti accumulati.

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Le informazioni reperibili in siti web italiani e internazionali

possono essere d’aiuto al malato e alla sua famiglia per

affrontare il lungo e spesso difficile percorso della mielofibrosi,

sostenendo entrambi per raggiungere una qualità di vita

sempre migliore.

http://www.mpnresearchfoundation.org

Fondazione statunitense Myeloproliferative Neoplasms

Research Foundation

http://www.mpdinfo.org/CMPD_foundation.html

Fondazione statunitense MPN Education Foundation

http://www.ail.it

AIL - Associazione Italiana contro le Leucemie-linfomi

e mieloma ONLUS

http://www.uniamo.org

Federazione Italiana Malattie Rare

http://www.progettoagimm.it

AIRC - Gruppo Italiano Malattie Mieloproliferattive

DAL WEB

Finito di stampare - Aprile 2013