sentenze in tema di ambiente e territorio

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LE SENTENZE SELEZIONATE PER VOI IN TEMA DI AMBIENTE E SVILUPPO DEL TERRITORIO Tekno ebook GLI EBOOK DI TEKNORING IL NETWORK DELLE PROFESSIONI TECNICHE A cura della Redazione

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LE SENTENZE SELEZIONATE PER VOI IN TEMA DI AMBIENTE E SVILUPPO DEL TERRITORIO

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IL NETWORK DELLE PROFESSIONI TECNICHE

A cura della Redazione

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Speciale Ambiente e Sviluppo del

Territorio 2016

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PROPRIETA’ LETTERARIA RISERVATA

2015 Wolters Kluwer Italia S.r.l. Strada 1, Palazzo F6 – 20090 Milanofiori Assago (MI)

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Territorio 2016

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Consiglio di Stato

Cons. Stato Sez. III, 04-02-2016, n. 441 clicca qui per la sentenza Antonio Corrado e altri c. Comune di Valdobbiadene e altri

GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA Legittimazione processuale Giudizio amministrativo - Legittimazione processuale

L'azione di annullamento davanti al Giudice Amministrativo è soggetta (sulla falsariga del processo civile) a tre condizioni fondamentali (titolo, interesse ad agire, legittimazione attiva passiva), che vanno valutate in astratto, con riferimento alla causa petendi della domanda, e devono sussistere al momento della proposizione della domanda e permanere fino al momento della decisione finale (D.Lgs. n. 104/2010, CPA) (Conferma della sentenza del T.a.r. Veneto, sez. II, 12 giugno 2014, n. 777).

FONTI Massima redazionale, 2016

Cons. Stato Sez. III, 04-02-2016, n. 441 clicca qui per la sentenza Antonio Corrado e altri c. Comune di Valdobbiadene e altri

EDILIZIA E URBANISTICA Edilizia e urbanistica, in genere Edilizia e urbanistica - Tutela giurisdizionale

Nella specifica materia delle controversie aventi ad oggetto atti di gestione urbanistica del territorio (siano essi titoli edificatori singoli, o atti di portata generale o implicanti trasformazioni complesse) il tema della legittimazione al ricorso è declinato nel senso che tale legittimazione deve essere correlata in modo certo ai beni della vita che vengono in rilievo (la proprietà, la salute, l'ambiente, il paesaggio), sebbene con l'adozione di un criterio particolarmente ampio di individuazione del soggetto legittimato (art. 136 D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, T.U. Edilizia) (Conferma della sentenza del T.a.r. Veneto, sez. II, 12 giugno 2014, n. 777).

FONTI Massima redazionale, 2016

Cons. Stato Sez. III, 04-02-2016, n. 441 clicca qui per la sentenza Antonio Corrado e altri c. Comune di Valdobbiadene e altri

UNIONE EUROPEA CE Ambiente Ambiente - Tutela

Seppure il criterio della vicinitas, al fine di radicare la legittimazione ad agire dei singoli per la tutela del bene ambiente, ha valore elastico, nel senso che si deve necessariamente estendere in ragione proporzionale all'ampiezza e rilevanza delle aree coinvolte, come nel caso di interventi rilevanti che incidono sulla qualità della vita dei residenti in gran parte del territorio, tuttavia non è sufficiente a radicare la legittimazione dei ricorrenti che non abbiano allegato pregiudizi diretti e differenziati (D.Lgs. n. 104/2010, CPA) (Conferma della sentenza del T.a.r. Veneto, sez. II, 12 giugno 2014, n. 777).

FONTI Massima redazionale, 2016

Cons. Stato Sez. III, 04-02-2016, n. 441 clicca qui per la sentenza Antonio Corrado e altri c. Comune di Valdobbiadene e altri

GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA Legittimazione processuale Giudizio amministrativo - Legittimazione processuale

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La legittimazione deve essere correlata alla circostanza che l'instaurazione del giudizio non solo sia proposta da chi è legittimato al ricorso, in quanto titolare di una situazione giuridica tutelata e differenziata rispetto alla generalità dei consociati, ma anche che l'azione non sia finalizzata a tutelare interessi emulativi, di mero fatto, pretese impossibili o contra ius, coerentemente con la funzione svolta dalle condizioni dell'azione nei processi di parte, innervati come sono dal principio della domanda e dal suo corollario rappresentato dal principio dispositivo (D.Lgs. n. 104/2010, CPA) (Conferma della sentenza del T.a.r. Veneto, sez. II, 12 giugno 2014, n. 777).

FONTI Massima redazionale, 2016

Cons. Stato Sez. III, 04-02-2016, n. 441 clicca qui per la sentenza Antonio Corrado e altri c. Comune di Valdobbiadene e altri

EDILIZIA E URBANISTICA Edilizia e urbanistica, in genere Edilizia e urbanistica - Tutela giurisdizionale

Nella specifica materia delle controversie aventi ad oggetto atti di gestione urbanistica del territorio, ai fini della legittimazione attiva si richiede che alla vicinitas si accompagni la dimostrazione del pregiudizio concreto e attuale derivante dall'azione amministrativa (art. 136 D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, T.U. Edilizia) (Conferma della sentenza del T.a.r. Veneto, sez. II, 12 giugno 2014, n. 777).

FONTI Massima redazionale, 2016

Cons. Stato Sez. IV, 28-01-2016, n. 319 clicca qui per la sentenza Omega 2000 Sas di Damiano Daniela c. Comune di Pinerolo e altri

EDILIZIA E URBANISTICA Edilizia e urbanistica, in genere Edilizia e urbanistica - Disciplina urbanistica

La natura del comparto edificatorio è del tutto peculiare: il comparto inserendosi tra la lottizzazione facoltativa e la lottizzazione d'ufficio assume la figura di una lottizzazione obbligatoria, essendo effettuata dal privato in adempimento dell'obbligo impostogli dalla P.A. sotto comminatoria di esproprio. E' strumento attuativo della pianificazione urbanistica, avendo lo scopo primario di tutelare l'interesse pubblico (al pari di ogni strumento urbanistico) allo sviluppo razionale dell'attività edilizia e regolare l'assetto urbanistico del territorio (D.P.R. n. 380/2001, T.U. Edilizia) (Riforma della sentenza del T.a.r. Piemonte, Torino, sez. I, n. 142/2015).

FONTI Massima redazionale, 2016

Cons. Stato Sez. IV, 28-01-2016, n. 319 clicca qui per la sentenza Omega 2000 Sas di Damiano Daniela c. Comune di Pinerolo e altri

EDILIZIA E URBANISTICA Edilizia e urbanistica, in genere Edilizia e urbanistica - Disciplina urbanistica

Il comparto edificatorio è uno strumento urbanistico di terzo livello, attuativo della pianificazione urbanistica ed avente la finalità (comune agli altri strumenti urbanistici) di assicurare una percentuale di sviluppo razionale dell'attività edilizia e regolare l'assetto urbanistico del territorio (D.P.R. n. 380/2001, T.U. Edilizia) (Riforma della sentenza del T.a.r. Piemonte, Torino, sez. I, n. 142/2015).

FONTI Massima redazionale, 2016

Cons. Stato Sez. IV, 13-10-2015, n. 4716 clicca qui per la sentenza Regione Puglia c. Giuseppe Galluccio e altri

EDILIZIA E URBANISTICA Edilizia e urbanistica, in genere

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Edilizia e urbanistica - Piani

L'esercizio del potere di pianificazione urbanistica non attiene solo all'aspetto edilizio del territorio ma va esercitato anche in relazione ad altre esigenze di sviluppo economico sociale del territorio stesso in riferimento alla concreta vocazione dei luoghi e ai valori ambientali e paesaggistici, nell'ambito di una più ampia accezione del concetto di urbanistica e in relazione alla portata del concetto di garanzia dello ius aedificandi (D.P.R. n. 380/2001, T.U. Edilizia) (Conferma della sentenza del T.a.r. Puglia, Lecce, sez. I, n. 909/2013).

FONTI Massima redazionale, 2015

Cons. Stato Sez. IV, 13-10-2015, n. 4716 clicca qui per la sentenza Regione Puglia c. Giuseppe Galluccio e altri

EDILIZIA E URBANISTICA Edilizia e urbanistica, in genere Edilizia e urbanistica - Piani

In linea di principio, la classificazione di un'area ad uso agricolo ben può esorbitare dall'esigenza di promuovere un utilizzo ad attività agricole dell'area stessa ed essere strumentale all'esigenza di conservazione di valori ambientali (D.P.R. n. 380/2001, T.U. Edilizia) (Conferma della sentenza del T.a.r. Puglia, Lecce, sez. I, n. 909/2013).

FONTI Massima redazionale, 2015

Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa

T.R.G.A. Trentino-Alto Adige Bolzano, 23-09-2015, n. 281 clicca qui per la sentenza Raimondo Pinter c. Comune di Corvara e altri

EDILIZIA E URBANISTICA Edilizia e urbanistica, in genere Edilizia e urbanistica - Piani

Le scelte urbanistiche effettuate dal Comune in sede di adozione del piano regolatore generale costituiscono valutazioni discrezionali attinenti al merito amministrativo che, come tali, sono sottratte al sindacato di legittimità del Giudice Amministrativo in sede di giudizio impugnatorio, a meno che non risultino inficiate da errori di fatto o da vizi di grave illogicità (D.P.R. n. 380/2001, T.U. Edilizia).

FONTI Massima redazionale, 2015

T.R.G.A. Trentino-Alto Adige Bolzano, 23-09-2015, n. 281 clicca qui per la sentenza Raimondo Pinter c. Comune di Corvara e altri

EDILIZIA E URBANISTICA Concessione per nuove costruzioni Edilizia e urbanistica - Permesso di costruire

La misura di salvaguardia comunale consiste nella sospensione di ogni determinazione in ordine alla domanda di permesso di costruire, in caso di contrasto dell'intervento da realizzare con le previsioni degli strumenti urbanistici adottati. Tale misura presuppone che la domanda sia conforme alla strumentazione vigente ma non anche a quella adottata. Se manca la conformità agli strumenti urbanistici vigenti, la domanda di permesso di costruire deve essere rigettata, senza applicazione della misura soprassessoria, anche in presenza di un'istanza conforme alla previsione urbanistica adottata (D.P.R. n. 380/2001, T.U. Edilizia).

FONTI Massima redazionale, 2015

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T.R.G.A. Trentino-Alto Adige Bolzano, 23-09-2015, n. 281 clicca qui per la sentenza Raimondo Pinter c. Comune di Corvara e altri

EDILIZIA E URBANISTICA Edilizia e urbanistica, in genere Edilizia e urbanistica - Piani

L'Amministrazione ha ampia discrezionalità in materia di pianificazione urbanistica con la conseguenza che le scelte effettuate costituiscono, in generale, valutazioni discrezionali attinenti al merito amministrativo, che come tali sono sottratte al sindacato di legittimità del Giudice, salvo che non siano inficiate da palesi errori di fatto o da abnormi illogicità, ovvero da arbitrarietà, irrazionalità o manifesta irragionevolezza, in relazione alle esigenze che s'intendono concretamente soddisfare (D.P.R. n. 380/2001, T.U. Edilizia).

FONTI Massima redazionale, 2015

T.R.G.A. Trentino-Alto Adige Bolzano, 23-09-2015, n. 281 clicca qui per la sentenza Raimondo Pinter c. Comune di Corvara e altri

EDILIZIA E URBANISTICA Edilizia e urbanistica, in genere Edilizia e urbanistica - Piani

Le evenienze che giustificano una più incisiva e singolare motivazione nelle scelte pianificatorie degli strumenti urbanistici generali sono ravvisate nel superamento degli standards urbanistici ed edilizi, nella lesione dell'affidamento qualificato del privato basato su precedenti determinazioni dell'amministrazione o su provvedimenti giurisdizionali (derivante dall'avvenuta stipula di convenzioni di lottizzazione, da accordi di diritto privato intercorsi tra il Comune e i proprietari delle aree, da sentenze passate in giudicato di annullamento di dinieghi di concessione edilizia o di silenzio rifiuto su una domanda di concessione, etc.), o nella modificazione in zona agricola della destinazione di un'area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo (D.P.R. n. 380/2001, T.U. Edilizia).

FONTI Massima redazionale, 2015

T.R.G.A. Trentino-Alto Adige Bolzano, 23-09-2015, n. 281 clicca qui per la sentenza Raimondo Pinter c. Comune di Corvara e altri

EDILIZIA E URBANISTICA Edilizia e urbanistica, in genere Edilizia e urbanistica - Piani

Le osservazioni proposte dai cittadini e (o) proprietari nei confronti degli atti di pianificazione urbanistica non costituiscono veri e propri rimedi giuridici, ma semplici apporti collaborativi e, pertanto, non danno luogo a peculiari aspettative, sicché il loro rigetto o il loro accoglimento, di regola, non richiede una motivazione analitica, essendo sufficiente che esse siano state esaminate e confrontate con gli interessi generali sottesi allo strumento pianificatorio (D.P.R. n. 380/2001, T.U. Edilizia).

FONTI Massima redazionale, 2015

T.A.R.

T.A.R. Emilia-Romagna Bologna Sez. I, 30-07-2015, n. 701 clicca qui per la sentenza Cargofer S.r.l. c. Comune di Bondeno e altri

EDILIZIA E URBANISTICA Edilizia e urbanistica, in genere Edilizia e urbanistica - Piani

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Sono ammissibili le c.d. varianti di salvaguardia, da intendere come provvedimenti di pianificazione e legittima modalità di programmazione dello sviluppo del territorio, se fondate su problematiche specifiche dell'assetto del territorio a tutela del suo pregio ambientale, storico o artistico, e preordinate all'obiettivo di porre una limitazione all'edificazione in date zone fino alla compiuta e ponderata disciplina dettata da un nuovo strumento urbanistico che ne regolamenti in modo organico l'uso, sì da rispondere in tali casi le varianti ad esigenze effettive, concrete e attuali di programmazione del territorio, senza risolversi in misure interinali di salvaguardia volte all'esclusivo fine dell'adozione di futuri atti pianificatori, esse sì incompatibili con l'ordinamento (D.P.R. n. 380/2001, T.U. Edilizia).

FONTI Massima redazionale, 2015

T.A.R. Emilia-Romagna Bologna Sez. I, 30-07-2015, n. 701 clicca qui per la sentenza Cargofer S.r.l. c. Comune di Bondeno e altri

GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA Vizi dell'atto Atti amministrativi - Vizi dell'atto

Il vizio di eccesso di potere per sviamento consiste nell'effettiva e comprovata divergenza fra l'atto e la sua funzione tipica, ovvero nell'esercizio del potere per finalità diverse da quelle enunciate dal legislatore con la norma attributiva dello stesso (in particolare quando l'atto sia stato determinato da un interesse differente da quello pubblico); tuttavia la censura di sviamento va supportata da precisi e concordanti elementi di prova, non essendo sufficienti semplici supposizioni o indizi che non si traducano nella dimostrazione dell'illegittima finalità perseguita in concreto dall'Amministrazione, né il vizio è ravvisabile quando l'atto sia comunque adottato conformemente alle norme sulla sua forma e sul suo contenuto e risulta in ogni caso aderente al fine cui è istituzionalmente preordinato.

FONTI Massima redazionale, 2015

T.A.R. Emilia-Romagna Bologna Sez. I, 30-07-2015, n. 701 clicca qui per la sentenza Cargofer S.r.l. c. Comune di Bondeno e altri

GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA Atto impugnabile Atti amministrativi - Impugnazione

Laddove un provvedimento amministrativo di segno negativo si fondi su una pluralità di ragioni, ciascuna delle quali di per sé idonea a supportarla in modo autonomo, è sufficiente che anche una sola di esse resista alle censure mosse in sede giurisdizionale perché il provvedimento nel suo complesso resti esente dall'annullamento, divenendo in tal modo irrilevanti, per difetto di interesse, le ulteriori doglianze dedotte dal ricorrente avverso le altre ragioni opposte dall'Autorità emanante a rigetto della sua istanza (D.Lgs. n. 104/2010, CPA).

FONTI Massima redazionale, 2015

T.A.R. Toscana Firenze Sez. I, 11-06-2015, n. 883 clicca qui per la sentenza Maria Maddalena Andreoli c. Comune di Sorano

EDILIZIA E URBANISTICA Edilizia e urbanistica, in genere Edilizia e urbanistica - Piani

Il regime di salvaguardia di cui all'art. 12, comma 3, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (T.U. Edilizia) mira ad assicurare la sospensione di ogni determinazione degli interventi edilizi in contrasto con lo strumento della pianificazione territoriale e degli atti di governo adottati sino all'efficacia dello strumento della pianificazione territoriale o dell'atto di governo del territorio (e comunque non oltre tre anni dalla data del relativo provvedimento di adozione) tutelando la potestà pianificatoria dell'ente onde evitare nelle more la realizzazione di interventi pregiudizievoli con gli indirizzi strategici di sviluppo del territorio.

FONTI Massima redazionale, 2015

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T.A.R. Toscana Firenze Sez. I, 11-06-2015, n. 883 clicca qui per la sentenza Maria Maddalena Andreoli c. Comune di Sorano

EDILIZIA E URBANISTICA Edilizia e urbanistica, in genere Edilizia e urbanistica - Piani

L'adozione di un nuovo strumento urbanistico (o di una variante allo stesso) implica l'automatica instaurazione di un transitorio regime di salvaguardia, con conseguente sospensione di qualsiasi procedimento volto al rilascio di concessioni edilizie (o di altri titoli edilizi) e (o) di strumenti attuativi del precedente strumento urbanistico (piani di lottizzazione, piani particolareggiati, piani di edilizia convenzionati, piani di risanamento etc.) che contrastino con le disposizioni di quello in corso di approvazione (art. 12, comma 3, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, T.U. Edilizia).

FONTI Massima redazionale, 2015

T.A.R. Toscana Firenze Sez. I, 11-06-2015, n. 883 clicca qui per la sentenza Maria Maddalena Andreoli c. Comune di Sorano

EDILIZIA E URBANISTICA Edilizia e urbanistica, in genere Edilizia e urbanistica - Piani

L'esigenza sottesa all'applicazione della misura di salvaguardia di cui all'art. 12, comma 3, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (T.U. Edilizia) deve essere individuata con la necessità di evitare che, nelle more del relativo procedimento di approvazione, le richieste dei privati fondate su una pianificazione ritenuta non più attuale, finiscano per alterare profondamente la situazione di fatto e, di conseguenza, per pregiudicare definitivamente proprio gli obiettivi generali cui invece è finalizzata la programmazione urbanistica generale.

FONTI Massima redazionale, 2015

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SENTENZE

Consiglio di Stato

Cons. Stato Sez. III, Sent., 04/02/2016, n. 441

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1503 del 2015, proposto da:

A.C., F.C., M.C., P.C., P.C., E.D.F., rappresentati e difesi dagli avv. Primo Michielan e Andrea Manzi, con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Andrea Manzi in Roma, Via Federico Confalonieri, n. 5;

contro

Comune di Valdobbiadene, in persona del Sindaco pro-tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Stefano Gattamelata ed Enrico Gaz, con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Stefano Gattamelata in Roma, Via Monte Fiore, n. 22;

Provincia di Treviso, in persona del Presidente pro-tempore, rappresentata e difesa dagli avv. Mario Ettore Verino e Sebastiano Tonon, con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Mario Ettore Verino in Roma, Via Barnaba Tortolini, n. 13;

Regione Veneto - Unità Periferica Genio Civile di Treviso e Unità di progetto Foreste e Parchi del Servizio Forestale regionale di Treviso, in persona del legale rappresentante pro-tempore, non costituita;

nei confronti di

E.D. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Antonio Sartori, con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Renzo Cuonzo in Roma, Via Monte di Fiore, n. 22.;

K.U. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Roberto Orfeo, con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Michela Reggio D'Aci in Roma, Via degli Scipioni, n. 288;

ARPAV - Dipartimento Provinciale di Treviso, non costituita;

Soprintendenza dei Beni Architettonici e Paesaggistici delle Provincie di Venezia, Padova, Treviso e Belluno, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, n.12;

e con l'intervento di

ad opponendum:

Editrice Radio Tv Alfa, R.B. S.r.l. ed A. S.r.l., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro-tempore, rappresentate e difese dall'avv. Roberto Orfeo, con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Michela Reggio D'Aci in Roma, Via degli Scipioni, n. 288;

per la riforma

della sentenza del T.a.r. per il Veneto - Sezione II - n. 777 del 12 giugno 2014.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

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Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Valdobbiadene, della Provincia di Treviso, di E.D. S.p.A., di K.U. S.r.l. e della Soprintendenza dei Beni Architettonici e Paesaggistici delle Provincie di Venezia, Padova, Treviso e Belluno;

Visto l'atto di intervento ad opponendum proposto da Editrice Radio Tv Alfa, R.B. S.r.l. ed A. S.r.l.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 gennaio 2016 il Cons. Paola Alba Aurora Puliatti e uditi per le parti gli avvocati Primo Michielan, Enrico Gaz, Mario Ettore Verino, Renzo Cuonzo su delega di Antonio Sartori, Roberto Orfeo e l'avvocato dello Stato Tito Varrone;

Svolgimento del processo

1.- Con ricorso r.g.n. 1972 del 2008, gli odierni appellanti impugnavano l'autorizzazione unica SUAP del 20 giugno 2008, rilasciata dal Comune di Valdobbiadene a favore della Società K.U. S.r.l. per trasferimento con modifiche dell'impianto di radiodiffusione sul sito in frazione "Pianezze" e realizzazione di annessa cabina elettrica pertinenziale, oltre vari atti presupposti.

I ricorrenti sono proprietari di terreni posti nelle immediate vicinanze del luogo dove è stato posizionato l'impianto radioelettrico e sui quali insistono edifici di loro proprietà (rispettivamente, per le proprietà C., fg. (...), mappali (...) e per la proprietà D.F., fg (...), mapp.li nn. (...) sub (...) sub (...), aventi destinazione agricola E2.3 -prati e pascoli di montagna- ed E2.2 -itinerario di interesse storico-ambientale ed escursionistico).

1.1. - L'intervento di cui alla SUAP del 20 giugno 2008 trae origine da una precedente richiesta avanzata nel 2005 dalla stessa società K.U., volta ad ottenere il trasferimento di un impianto di radiodiffusione precedentemente collocato in altra parte del territorio comunale e che riguardava l'installazione di un traliccio di 85 metri di altezza.

Il progetto, inizialmente accolto con favore dall'amministrazione comunale e successivamente oggetto di sospensione (ordinanze nn. 19/2008 e 69/2008) - avendo il Comune individuato nel 2007 una diversa area del territorio comunale per la quale intervenire mediante procedura accelerata di variante, al fine della sua trasformazione da zona E.2 a zona F, proprio per poter localizzare gli impianti di radiodiffusione - a seguito della conclusione di un accordo procedimentale ai sensi dell' art. 11 della L. n. 241 del 1990, di cui alla Delib. n. 70 del 30 maggio 2008, e di conferenza di servizi del 13 giugno 2008, veniva approvato con sostanziali modifiche (traliccio di dimensioni più contenute, di 65 mt, su mappali di proprietà di K.U. s.r.l.).

L'autorizzazione unica SUAP assentiva, dunque, lo spostamento del traliccio sul nuovo sito e la realizzazione della cabina elettrica funzionale allo stesso.

1.2. - A sostegno del citato ricorso venivano dedotti numerosi motivi riguardanti violazioni sia di carattere procedurale che sostanziale, queste ultime concernenti vizi di eccesso di potere sotto più profili e violazione di norme del T.U. delle disposizioni in materia edilizia, del codice delle comunicazioni, del codice dell'ambiente e del regolamento comunale concernenti la distanza delle costruzioni dalle strade comunali.

1.3. - Si costituivano in giudizio il Comune intimato e la controinteressata K.U. s.r.l. che, preliminarmente, eccepiva l'inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione in capo ai ricorrenti in quanto soggetti che non risultano, come comprovato dagli atti depositati in giudizio, residenti in aree poste nelle vicinanze dell'impianto, non avendo comunque evidenziato alcun concreto pregiudizio derivante dalla realizzazione dello stesso, né in termini di deprezzamento del bene, né in termini di diretto pregiudizio per la propria salute.

1.4. - Interveniva ad opponendum E.D. S.p.A., interessata al giudizio limitatamente alla parte in cui risultava contestato il titolo rilasciato relativo alla costruzione della cabina elettrica, da utilizzare anche per assicurare la distribuzione del servizio elettrico nelle zone limitrofe, la quale osservava come parte istante non avesse in alcun modo censurato, con puntuali doglianze, la SUAP per quanto attiene specificatamente la realizzazione della cabina.

2. - Con altro ricorso r.g.n. 136 del 2013, i Sig.ri C.P. e C.P. impugnavano l'autorizzazione all'esecuzione di scavo del Comune di Valdobbiadene 14/9/2012, prot. n. (...); l'autorizzazione paesaggistica ed autorizzazione alla costruzione ed esercizio di un tratto di linea a 20 Kv in Comune di Valdobbiadene, rilasciata dalla Provincia di Treviso il 9/5/2012, prot. n. (...); il nulla-osta relativo della Regione Veneto - Unità Progetto Foreste e Parchi del Servizio Forestale Regionale di Treviso del 26/8/2012, prot. n. (...); il parere favorevole 30/7/2012, prot. n. (...), all'esecuzione dello scavo linea elettrica Kv 20 del Comune di Valdobbiadene; l'autorizzazione unica SUAP 20/6/2008, già censurata con il precedente ricorso r.g.n. 1972/2008.

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2.1.- I ricorrenti dichiaravano di essere proprietari di terreni siti in località Pianezze ed in particolare, il sig. C.P. di un fondo censito al FG (...), mapp.li (...) con sovrastante fabbricato ad uso abitativo e scoperto, posto in zona E2.3, e la signora C.P., di un terreno catastalmente censito al fg. (...), mapp. (...), zona E2.2, entrambi comprendenti un tratto della strada privata ad uso pubblico denominata via Endimione, interessata dallo scavo per l'interramento del cavo.

2.2 - Esposte le argomentazioni già dedotte in occasione del precedente ricorso, essi evidenziano i successivi avvenimenti intervenuti dopo il rilascio dell'autorizzazione SUAP del giugno 2008.

In particolare:

a) la Soprintendenza, in data 23 ottobre 2008, ai sensi dell'art. 150, D.Lgs. n. 42 del 2004, aveva sospeso i lavori;

b) successivamente, aveva inviato la proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico di tutta l'area prealpina e collinare dell'Alta Marca Trevigiana, compresa tra i Comuni di Valdobbiadene e Segusino, ai sensi del terzo comma dell'art. 138 e dell'art. 141 del D.Lgs. n. 42 del 2004;

c) con il Decreto del Ministero dei Beni e Attività Culturali del 30.9.2010, tutta l'area comunale di Valdobbiadene veniva definitivamente assoggettata a vincolo di tutela.

2.3 - I ricorrenti, lamentando il pregiudizio diretto a loro derivante per effetto dell'interessamento di porzione della strada di loro proprietà, deducevano vari motivi di censura:

- l'illegittimità in via derivata dall'invalidità dell'autorizzazione unica SUAP, carenza di istruttoria, illogicità manifesta, sviamento;

- la violazione e falsa applicazione dell'art. 48, D.P.R. n. 380 del 2001, la violazione dell'art. 90, L.R. n. 61 del 1985, la violazione dell' art. 120, R.D. n. 1775 del 1933, la violazione dei principi di correttezza e lealtà della P.A., il difetto di presupposto;

- la violazione e falsa applicazione dell' art. 48, D.P.R. n. 380 del 2001, violazione dell'art. 90, L.R. n. 61 del 1985, violazione art. 120, R.D. n. 1775 del 1933, eccesso di potere per difetto di presupposto di diritto e di fatto, difetto di motivazione ed illogicità, manifesta contraddittorietà, sviamento;

- la violazione e falsa applicazione dell'art. 11 del D.P.R. n. 380 del 2001, dell' art. 149, D.Lgs. n. 42 del 2004, dell' art. 2 del D.Lgs. n. 285 del 1992; eccesso di potere per difetto di presupposti, illegittimità derivata e difetto di motivazione.

Si sosteneva, in sostanza, che l'intervento contestato, in virtù del quale è stato possibile costruire la cabina elettrica. da cui si intende consentire l'allacciamento per la distribuzione dell'energia elettrica mediante la realizzazione di un elettrodotto interrato, trae origine da un titolo autorizzatorio di per sé invalido, per le ragioni esposte con il precedente ricorso; titolo divenuto illegittimo per la prosecuzione dei lavori pur in presenza dell'ordine di sospensione impartito dalla Soprintendenza; titolo, inoltre, rilasciato in assenza di nulla osta da parte del Genio Civile, intervenuto soltanto in data 23 ottobre 2008 ed, in ogni caso, divenuto successivamente invalido per decadenza, non risultando essere stati ultimati i lavori entro il giugno 2009.

Ad avviso dei ricorrenti, la normativa invocata vieta alle aziende erogatrici di servizi pubblici di somministrare le loro forniture in presenza di opere prive di titolo edilizio, il che avrebbe dovuto impedire anche ad E.D. di conseguire l'autorizzazione.

Viene sottolineata l'inclusione dell'ambito nel Piano Territoriale Provinciale, fra quelli da preservare da nuovi insediamenti industriali, con conseguente illegittimità dei lavori eseguiti nel prosieguo in forza della stessa.

La stessa Soprintendenza ha denunciato la ditta per la violazione degli artt. 180 e 181 del D.Lgs. n. 42 del 2004, in quanto aveva provveduto al completo cablaggio dei cavi ed alla fornitura dell'impianto di un nuovo palo di adduzione di energia elettrica.

Il rilascio della SUAP sarebbe stato sostanzialmente utilizzato al fine di sanare gli abusi edilizi in precedenza realizzati, senza tuttavia utilizzare la specifica disciplina dettata dall' art. 36 del D.P.R. n. 380 del 2001.

L'atto autorizzatorio del 9.5.2012, oggetto del ricorso, sarebbe affetto da contraddittorietà e difetto di motivazione rilevabili dal confronto con la nota provinciale dell' 1.8.2011, con la quale venivano espressi legittimi dubbi circa la legittimità ed efficacia della SUAP.

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Pur avendo rilevato elementi che inducevano a ritenere che le opere, nella specie la cabina, non fossero state ultimate prima della sospensione dei lavori ordinata dalla Soprintendenza e comunque prima dell'imposizione del vincolo paesaggistico, l'amministrazione ha rilasciato ugualmente l'autorizzazione richiesta.

Il provvedimento impugnato presuppone erroneamente che la via Endimione, oggetto dello scavo, sia una strada demaniale, essendo stata definita quale strada comunale, mentre trattasi di strada vicinale di uso pubblico, per cui il Comune non avrebbe potuto assentire lo scavo della strada.

Nessuna specifica doglianza è stata svolta in modo specifico avverso la realizzazione dell'elettrodotto interrato.

2.4 - Si costituivano il Comune di Valdobbiadene, la controinteressata società K.U. s.r.l., la Provincia di Treviso ed E.D. s.p.a. che eccepivano l'infondatezza del gravame.

E.D. e K.U. s.r.l. deducevano anche l'inammissibilità dello stesso per difetto di interesse sotto diversi profili.

3. - Con la sentenza in epigrafe, il TAR per il Veneto, riuniti i ricorsi, dichiarava l'inammissibilità del ricorso r.g.n. 1972 del 2008 per carenza di legittimazione dei ricorrenti, prendendo atto che gli stessi non risultano residenti nelle abitazioni esistenti nei mappali indicati e posti nelle vicinanze dell'impianto avversato (il ricorrente D.F. risiede addirittura in altro Comune, Mogliano Veneto e, per quanto riguarda la via Endimione, risulta un solo nominativo ad essa ricollegato, T.S., che non risulta però tra i ricorrenti).

Il primo giudice, alla luce della giurisprudenza in tema di legittimazione a ricorrere nella materia ambientale e della tutela della salute, e in rapporto alle censure sollevate, ha ritenuto che non sia stato evidenziato quel particolare collegamento che denota la presenza di un interesse differenziato e qualificato dei ricorrenti, né che sia stato allegato un concreto e attuale danno a beni giuridicaente tutelati derivanti dalla realizzazione delle infrastrutture di cui trattasi.

3.1. - Con specifico riferimento al solo motivo n. 7 del ricorso - con il quale veniva denunciata la violazione delle disposizioni dettate dal Codice della Strada e dal regolamento di attuazione circa il rispetto delle distanze delle costruzioni dalle strade - il TAR ha ritenuto che, seppure possa ritenersi sussistere la legittimazione al ricorso, tuttavia, il motivo è infondato, in quanto, nella fattispecie, trova applicazione il disposto di cui all'art. 67 del regolamento Comunale, che consente deroghe in merito al rispetto delle distanze da strade e fabbricati, con riguardo, tra gli altri, alla presenza di tralicci, antenne e ripetitori tv, in quanto a tali opere non viene data rilevanza in termini di volume e superficie.

3.2. Quanto al ricorso r.g.n. 136/2013, la sentenza appellata, rilevato che la dichiarata inammissibilità del primo gravame ha riflessi anche sul secondo, ha ritenuto inammissibili le censure nuove proposte avverso la SUAP del 2008, dovendo le stesse essere formulate tempestivamente avverso tale atto, eventualmente mediante la proposizione di motivi aggiunti (ci si riferisce alle censure di violazione dell' art. 36 del D.P.R. n. 380 del 2001, e alle censure riguardanti la mancata autorizzazione con la SUAP della cabina elettrica).

Da qui l'inammissibilità anche delle censure dedotte avverso i provvedimenti che, sul presupposto della legittimità della SUAP sotto il profilo edilizio, hanno autorizzato la posa dei cavi elettrici in collegamento con la suddetta cabina.

La sentenza ha quindi ritenuto legittimi, rigettando gli altri motivi di ricorso, sia il provvedimento autorizzatorio della Provincia di Treviso datato 9 maggio 2012 a favore di E.D. per la realizzazione ed esercizio della linea elettrica a 20 KV, sia il connesso provvedimento comunale che ha autorizzato lo scavo.

4.- Con l'appello in esame, viene criticata la sentenza per l'erroneità della ritenuta inammissibilità del ricorso r.g.n. 1972 del 2008 e vengono riproposte le censure dedotte e non esaminate; quindi, vengono criticate le argomentazioni svolte dal TAR a fondamento del rigetto del ricorso r.g.n. 136 del 2013.

Le parti hanno prodotto anche nuovi documenti e perizie a sostegno delle proprie ragioni.

4.1. - Si è costituita in giudizio la Soprintendenza dei beni Architettonici e Paesaggistici in epigrafe, con memoria depositata in data 10.10. 2015, ma non notificata, con cui ha svolto argomentazioni a sostegno dell'appello.

4.2. - Sono intervenuti ad opponendum Editrice Radio TV ALFA, R.B. S.r.l. ed A. S.r.l. chiedendo il rigetto dell'appello.

5. - A seguito di scambio di memorie e repliche, la causa è stata trattenuta in decisione all'udienza pubblica del 21 gennaio 2016.

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Motivi della decisione

1.- L'appello è infondato.

1.1. - In limine litis:

a) devono dichiararsi inammissibili i nuovi mezzi di prova e documenti prodotti dalle parti per la prima volta in appello, che ben avrebbero potuto essere prodotti in primo grado (ivi compresa la nota della Soprintendenza dei Beni Architettonici e Paesaggistici Provincie di Venezia, Padova, Treviso e Belluno del 9.10.2015), ai sensi dell'art. 104, comma 2, c.p.a.;

b) allo stesso modo non possono essere esaminate le censure nuove introdotte per la prima volta nelle memorie difensive in violazione della loro natura puramente illustrativa e delle forme e termini sanciti dagli artt. 91, 92 e 101, co. 1, c.p.a. (cfr. ex plurimis Cons. Stato Sez. V, n. 5865 del 2015);

c) infine, contrariamente a quanto sostenuto dalle parti appellanti, il Collegio ritiene che la relazione depositata dalla Sovrintendenza il 10.10.2015, non essendo stata notificata alle controparti e non provenendo dall'Avvocatura generale dello Stato, non possa valere quale intervento ad adiuvandum.

2.- Va confermata la statuizione del primo giudice con riguardo alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso r.g.n. 1972 del 2008.

2.1 - Sostengono gli appellanti l'erroneità della pronuncia in quanto il risiedere in vicinanza della stazione radiobase installata legittimerebbe la proposizione del ricorso a prescindere dalla dimostrazione di un effettivo pregiudizio e invocano recenti pronunce di questo Consiglio (Cd.S., IV n. 1995/2014; 3184/2013, 4643/2012).

Affermano che le abitazioni dei signori C. e D.F. ricadono in un raggio di 200 mt. dall'impianto e sono adibite a residenza, pur senza allegare alcun concreto pregiudizio; aggiungono che con l'istanza di sospensiva in primo grado avevano allegato il danno grave e irreparabile e cioè l'incidenza negativa per la salute delle emissioni elettromagnetiche, il rischio da rovina dovuto ad assenza di autorizzazione del Genio Civile, l'evidente conflitto del manufatto col paesaggio e con l'ambiente.

2.2. - Il primo giudice ha ampiamente illustrato gli indirizzi giurisprudenziali rilevanti in argomento.

Come è noto, l'azione di annullamento davanti al giudice amministrativo è soggetta - sulla falsariga del processo civile - a tre condizioni fondamentali (titolo, interesse ad agire, legittimazione attiva/passiva), che vanno valutate in astratto, con riferimento alla causa petendi della domanda, e devono sussistere al momento della proposizione della domanda e permanere fino al momento della decisione finale.

Come è stato osservato, "la legittimazione deve essere correlata alla circostanza che l'instaurazione del giudizio non solo sia proposta da chi è legittimato al ricorso, in quanto titolare di una situazione giuridica tutelata e differenziata rispetto alla generalità dei consociati, ma anche che l'azione non sia finalizzata a tutelare interessi emulativi, di mero fatto, pretese impossibili o contra ius, coerentemente con la funzione svolta dalle condizioni dell'azione nei processi di parte, innervati come sono dal principio della domanda e dal suo corollario rappresentato dal principio dispositivo; sul punto è sufficiente ricordare la prevalente tesi (corroborata dalla più recente giurisprudenza delle Sezioni unite della Corte di cassazione, cfr. 22 aprile 2013, n. 9685), secondo cui tali condizioni (ed in particolare il c.d. titolo e l'interesse ad agire), assolvono una funzione di filtro in chiave deflattiva delle domande proposte al giudice, fino ad assumere l'aspetto di un controllo di meritevolezza dell'interesse sostanziale in gioco, alla luce dei valori costituzionali" (A.P. 9 del 2014).

Nella specifica materia delle controversie aventi ad oggetto atti di gestione urbanistica del territorio (siano essi titoli edificatori singoli, o atti di portata generale o implicanti trasformazioni complesse) il tema della legittimazione al ricorso è declinato nel senso che tale legittimazione deve essere correlata in modo certo ai beni della vita che vengono in rilievo (la proprietà, la salute, l'ambiente, il paesaggio), sebbene con l'adozione di un criterio particolarmente ampio di individuazione del soggetto legittimato, che trova il suo fondamento positivo nel pronome "chiunque" che figurava nell'art. 31 della L. n. 1150 del 1942, così come modificato dalla L. n. 765 del 1967 e, successivamente alla sua abrogazione con l'art. 136 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, nell'espressione "qualsiasi altro soggetto o privato che ne abbia interesse", di cui all'art. 146 del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, recante il Codice dei beni culturali e del paesaggio, per il quale l'autorizzazione paesaggistica può essere impugnata, oltre che dalle associazioni portatrici di interessi diffusi, anche da singoli cittadini.

Il percorso della giurisprudenza è stato segnato però da un'evoluzione rispetto all'indirizzo più risalente(Consiglio di Stato, V sez., n. 523 del 8.6.1970), che riconosceva e ancora oggi riconosce sufficiente a radicare la legittimazione il mero rapporto di "vicinitas" o "stabile relazione con i luoghi", se trattasi dell'impugnazione di un titolo edilizio singolo (Sez. IV, 12 febbraio 2013, n. 813, Sez. IV, 22 gennaio 2013, n. 361, Sez. V, 31 marzo 2011, n. 1979, Sez. VI, 27 marzo 2003, n. 1600). L'ampiezza dei soggetti legittimati va invece

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circoscritta, allorché gli interventi hanno carattere urbanistico di portata generale, idonei a coinvolgere potenzialmente interessi pubblici riguardanti l'intera collettività, per cui non sarebbe sufficiente a contestare le scelte amministrative la sola prossimità del ricorrente rispetto ai luoghi interessati dall'azione amministrativa, tranne che egli sia in grado di allegare una specifica lesione o il rischio di pregiudizi effettivi da essa derivanti (Sez. IV, 22 febbraio 2013, n. 922; Sez. IV, 28 maggio 2012, n. 3137; Sez V, 29 agosto 2012, n. 4643).

E' stato ritenuto, in proposito, che il danno, che si può ritenersi in re ipsa in caso di realizzazione di impianti potenzialmente inquinanti per la tecnologia utilizzata (così Cons. St., Sez. V, 1° ottobre 2010, n. 7275, nel caso di realizzazione di un impianto di termovalorizzazione dei rifiuti), va, invece, specificamente dedotto in caso di impianti in sé inidonei a determinare una chiara lesione degli interessi dei ricorrenti.

In questo senso conclude, ex plurimis, Cons. St., Sez. IV, n. 8364/2010, secondo la quale il mero criterio della vicinitas di un fondo o di una abitazione all'area oggetto dell'intervento urbanistico-edilizio non può ex se radicare la legittimazione al ricorso, dovendo sempre fornire il ricorrente, in casi come quello in esame, la prova concreta del vulnus specifico inferto dagli atti impugnati alla propria sfera giuridica, in termini, ad esempio, di deprezzamento del valore del bene o di concreta compromissione del diritto alla salute ed all'ambiente (cfr. sul principio, espresso in relazione ad impianto di smaltimento rifiuti, Consiglio di Stato, sez. V, 14 giugno 2007, n. 3191 e 16 aprile 2003, n. 1948).

Ancora, C.d.S., Sez. V, n. 2460/2012 ha ribadito che "...la mera vicinanza di un fondo ad una discarica non legittima per ciò solo ed automaticamente il proprietario frontista ad insorgere avverso il provvedimento autorizzativo dell'opera, essendo necessaria, al riguardo, anche la prova del danno che egli da questa possa ricevere".

Si è ritenuto necessario, ad es., che vengano prospettate delle "esternalità negative sulla salute e l'ambiente, derivanti dalla realizzazione dell'opera" anche nel caso del progetto di realizzazione di un'isola ecologica (C.d.S. sez. V, 16/04/2013, n. 2108).

Una recente pronuncia (C.G.A. 19.3.2014, n. 144), in fattispecie concernente la localizzazione di una discarica rifiuti, ha ritenuto non legittimato il proprietario "uti singulus" a provocare il sindacato amministrativo a tutela di interessi generali, essendo necessaria la prova del danno che egli riceve nella sua sfera giuridica o per la riduzione di valore economico del fondo situato nelle vicinanze, o perché le prescrizioni dettate dall'Autorità competente sono inidonee a salvaguardare la salute di chi vive nelle vicinanze o, infine, per il significativo aumento del traffico potenzialmente idoneo a incidere in senso pregiudizievole sui terreni limitrofi.

Ad avviso del Collegio, tali principi devono essere applicati alla fattispecie, in cui il titolo per l'intervento edilizio, avuto riguardo alla sicura afferenza dell'impianto da realizzare al sistema delle comunicazioni elettroniche, si forma sulla scorta delle previsioni normative del codice delle comunicazioni, di cui al D.Lgs. 1° agosto 2003, n. 259, il cui art. 86, comma 3, ha equiparato le infrastrutture di reti pubbliche di comunicazioni alle opere di urbanizzazione primaria, evidenziando l'interesse pubblico alla necessaria capillarità della localizzazione di detti impianti (C.d.S, VI Sez., 16.1.2009, n. 8103).

Ai fini della legittimazione attiva si richiede, dunque, che alla "vicinitas" si accompagni la dimostrazione del pregiudizio concreto e attuale derivante dall'azione amministrativa.

Nella specie, come rilevato dal primo giudice, i ricorrenti "non risiedono e non abitano negli edifici insistenti nelle aree di proprietà poste nelle vicinanze del sito ove è previsto lo spostamento dell'impianto, né hanno rappresentato il pregiudizio che potrebbe derivare alla proprietà in termini di deminutio economica e patrimoniale, tenuto anche conto della destinazione urbanistica assegnata all'ambito de quo".

La sentenza impugnata ha anche rilevato l'assenza di legittimazione a far valere il profilo del pericolo di danno ambientale e paesaggistico e della salute.

Al riguardo sono condivisibili le considerazioni svolte dalla sentenza appellata, in coerenza con le enunciazioni sopra ricordate: seppure il criterio della "vicinitas", al fine di radicare la legittimazione ad agire dei singoli per la tutela del bene ambiente ha valore "elastico", nel senso che si deve necessariamente estendere in ragione proporzionale all'ampiezza e rilevanza delle aree coinvolte, come nel caso di interventi rilevanti che incidono sulla qualità della vita dei residenti in gran parte del territorio (Consiglio di Stato, sez. VI, 13/09/2010, n. 6554), tuttavia non è sufficiente a radicare la legittimazione dei ricorrenti che non hanno allegato pregiudizi diretti e differenziati, quali ad es. l'inquinamento elettromagnetico oltre i limiti consentiti, o altre forme di inquinamento o depauperamento del godimento paesaggistico concretamente collegabile al traliccio realizzato.

Anche in appello i ricorrenti hanno denunciato in modo generico il deprezzamento dei loro immobili, il danno alla salute, il detrimento ambientale e paesaggistico, e, comunque, mediante prove nuove non ammissibili.

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A tal proposito è bene puntualizzare che:

a) riguardo il prospettato danno alla salute, il parere favorevole dell'ARPA alla realizzazione del progetto, mai impugnato, ha attestato che non risultano violati i limiti nazionali di cui al D.P.C.M. 8 luglio 2003 , tenuto conto delle caratteristiche radioelettriche dell'impianto;

b) riguardo al prospettato danno ambientale e paesaggistico, all'epoca in cui la SUAP è stata assentita non sussisteva alcun vincolo ex D.Lgs. n. 42 del 2004 e solo con Decreto del Ministero per i Beni e le attività culturali n. 2 del 30 settembre 2010 è stata dichiarata di notevole interesse pubblico l'area prealpina e collinare dell'Alta Marca trevigiano, compresa tra i comuni di Valdobbiadene e Segusino 2.

c) con riguardo al pericolo di stabilità del manufatto, il nulla-osta del Genio civile era stato già acquisito per il precedente progetto di traliccio alto 85 metri (atti dell'ottobre 2007) e in ogni caso è stata rilasciata nuovamente autorizzazione sismica il 18 novembre 2008.

In conclusione, respingendo il motivo di appello, devono ritenersi non sussistenti la legittimazione al ricorso e l'interesse ad agire con conseguente inammissibilità del ricorso introduttivo di primo grado.

3.- Infine, quanto al motivo n. 7 del ricorso n.r.g. 1972/2008, con il quale era stata denunciata la violazione delle disposizioni dettate dal Codice della Strada e del regolamento di attuazione circa il rispetto delle distanze delle costruzioni dalle strade, la sentenza ha ritenuto che, seppure volesse ritenersi sussistente la prospettazione di un profilo di danno concreto e attuale idoneo a legittimare la proposizione del ricorso, la censura era comunque infondata, in quanto, ai sensi dell'art. 67 del regolamento Comunale, alla presenza di tralicci, antenne e ripetitori tv non viene data alcuna rilevanza in termini di volume e superficie e, quindi, anche in merito al rispetto delle distanze da strade e fabbricati.

Gli appellanti censurano la sentenza per difetto di motivazione, non avendo attribuito giusta rilevanza al fatto che la norma regolamentare (art. 58) contempla la deroga solo per manufatti di "modeste dimensioni" e non è spiegato come rientrerebbe in tale nozione un'antenna di circa 70 mt..

3.1. - Ad avviso del Collegio, la censura deve respingersi, considerato che il traliccio (alto 65 mt.) rientra tra gli impianti che il regolamento comunale consente di realizzare in deroga, e che l'eccezione, limitata ad opere di modeste dimensioni, va interpretata, nel caso degli impianti in questione, alla luce delle disposizioni del codice delle comunicazioni che impongono la capillare diffusione della rete di comunicazione e, a tal fine, qualificano gli interventi come "opere di urbanizzazione primaria" (art. 86, comma 3, D.Lgs. n. 259 del 2003) ed anche alla luce degli artt. 16 e ss. del codice della strada e del relativo regolamento, che impongono fasce di rispetto fuori dai centri abitati, come nel caso di specie, solo in funzione della visibilità e della sicurezza della circolazione.

4. - Va respinto anche l'appello concernente il capo della sentenza che ha ritenuto infondato il ricorso r.g.n. 136/2013.

4.1. -Evidente l'infondatezza del motivo con cui gli appellanti lamentano che andavano esaminati congiuntamente il motivo sub 10 del ricorso n. 1978/2008 e la censura di cui al punto 1.a) del ricorso n. 136/2013.

Sostengono che quest'ultima censura esplicitava il primigenio motivo avverso lo sviamento dell'azione comunale (2.a) e che la censura ha natura meramente rappresentativa del fatto (2.b).

Affermano che il Tar avrebbe dovuto riconoscere la facoltà dei ricorrenti di impugnare con autonomo ricorso i provvedimenti di autorizzazione allo scavo e di allacciamento dell'energia elettrica, salvo chiedere la riunione al ricorso già pendente avverso la SUAP.

Donde l'illegittimità della statuizione TAR sull'inammissibilità del motivo n. 1 ex art. 36, D.P.R. n. 380 del 2001 per la realizzazione di opere abusive rispetto alle quali non potevano consentirsi gli ulteriori interventi.

4.1.1. - Il Collegio ritiene corretta la decisione sul punto.

Affermata la legittimazione dei ricorrenti alla proposizione del ricorso in parte qua avverso le impugnate autorizzazioni provinciali e comunali - in quanto proprietari (sebbene per un tratto minimo, pari a 40 mt., rispetto alla lunghezza complessiva degli scavi che supera i 500 mt.) della strada interessata dal passaggio dei cavi interrati per il collegamento con la cabina elettrica realizzata in forza della SUAP del 2008, utilizzata anche per assicurare, da parte di E.D., gli allacciamenti elettrici delle zone circostanti - correttamente il primo giudice ha ritenuto che la dichiarata inammissibilità del primo gravame ha evidenti riflessi anche sul secondo, con specifico riferimento a tutte le doglianze che, interessando direttamente la SUAP, sono state nuovamente proposte avverso l'autorizzazione provinciale, quali vizi di illegittimità derivata.

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4.2. - Correttamente sono state dichiarate inammissibili anche le censure nuove avverso la SUAP perché intempestive (statuizione criticata al punto 3 del secondo motivo di appello che conseguentemente deve essere disatteso).

4.3 - Inoltre, con riguardo alla realizzazione della cabina elettrica al servizio dell'impianto di radiodiffusione, nessuna specifica censura era stata a suo tempo svolta avverso la più volte menzionata autorizzazione SUAP proprio nella parte riguardante la cabina, che, tra l'altro, in nessun modo avrebbe potuto danneggiare i ricorrenti (come rileva l'E. nella sua memoria di costituzione), essendo un manufatto di piccole dimensioni e al servizio della distribuzione di energia elettrica, che, semmai, incrementa il valore degli immobili della zona.

In ogni caso la proposizione col secondo ricorso di primo grado di censure di tal fatta è fuori termine.

La stessa riproposizione delle doglianze di cui al primo gravame, al fine di sostenere in via derivata l'illegittimità dei provvedimenti impugnati con il secondo ricorso, non riguarda il manufatto identificato come cabina elettrica.

4.4. - Il Collegio condivide il rigetto delle ulteriori censure mosse all'autorizzazione provinciale impugnata, che è stata rilasciata nell'ambito di un procedimento disciplinato da norme che non hanno per oggetto il profilo urbanistico - edilizio dell'immobile che contiene gli apparati che renderanno possibile la conduzione dell'energia elettrica, bensì la sola fattibilità dell'intervento sotto il profilo della sicurezza pubblica e, per espressa disposizione di legge, anche sotto il profilo della compatibilità paesaggistica

4.5. - E' infondato il motivo con cui si denuncia la violazione dell' art. 48 del D.P.R. n. 380 del 2001, in quanto l'intervento autorizzato dalla Provincia di Treviso non concerne la fornitura di energia elettrica in un immobile abusivamente realizzato, bensì la realizzazione del tracciato per consentire la distribuzione di energia, cui solo successivamente farà seguito il concreto allacciamento che presuppone la piena legittimità degli immobili serviti.

4.6. - Secondo gli appellanti, la Provincia non avrebbe dovuto limitarsi a vagliare la "compatibilità elettrica", ma era richiesta di pronunciarsi anche sui profili paesaggistici,in relazione ai quali avrebbe dovuto tener conto di un parere contrario della Soprintendenza, che però non trova riscontro nella produzione documentale ritualmente acquisita al fascicolo d'ufficio.

4.6.1. - Sul profilo paesaggistico, il provvedimento impugnato della Provincia specifica che è stato richiesto il parere della Soprintendenza ai sensi dell' art. 146, D.Lgs. n. 42 del 2004, ma alla data del 9.5.2012 non era stato reso; è stata, quindi, ritenuta la compatibilità paesaggistica, trattandosi di opere interrate.

La Soprintendenza non ha mai affermato che non si potesse rilasciare l'autorizzazione paesaggistica per la posa della condotta; anzi non ha mosso rilievi nella opportuna sede di richiesta di parere ex art. 146, cit. da parte della Provincia.

Invero, è corretto ritenere che, nella specie, la Provincia di Treviso era tenuta a valutare la sola rilasciabilità dell'autorizzazione per realizzare il collegamento con il trasformatore posizionato all'interno della cabina elettrica, senza poter entrare nel merito della valutazione della conformità edilizia del manufatto che lo avrebbe ospitato, né invadere competenze di altri enti ed organi (che rimangono salve).

4.7. - Infondato è anche il motivo di appello sub 5), con cui si denuncia l'erronea applicazione da parte del primo giudice dell' art. 11 del D.P.R. n. 380 del 2001, dell'art. 149 del D.Lgs. n. 42 del 2006, dell'art. 2, comma 6, nonché dell'art. 25 del codice della strada.

Secondo gli appellanti, l'assimilazione delle strade vicinali (che restano private anche se di uso pubblico) a quelle comunali è effettuata dal codice della strada ai soli fini delle disposizioni in materia di circolazione e si contesta, pertanto, il potere del Comune di disporre del sottosuolo per uso speciale diverso dal transito, senza "contemplare chi è proprietario del sottosuolo". Il diritto di servitù di transito non renderebbe cioè demaniale la strada vicinale.

4.7.1. - Il Collegio ritiene di condividere le conclusioni del primo giudice, secondo cui, pur nell'incertezza circa la proprietà della strada in questione, volendo ritenere che si è in presenza di una strada vicinale, ai fini della disciplina dettata dal codice della strada, le strade vicinali, ai sensi dell'art. 2, comma 6, lett. D, sono assimilate a quelle comunali e, secondo il disposto dell'art. 14, comma 4, che gli appellanti ignorano nell'esporre la propria tesi, "per le strade vicinali i poteri dell'ente proprietario sono esercitati dal Comune".

Pertanto, ai sensi dell'art. 25 del codice della strada, è competente il Comune a rilasciare la preventiva concessione per poter realizzare attraversamenti o l'uso delle strade anche vicinali, in vista del passaggio di linee elettriche (sia aeree che sotterranee).

5. - In conclusione, anche i motivi di appello relativi al rigetto del ricorso n. r.g. 136/2013 vanno respinti.

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6. - Per la particolare complessità e novità delle questioni oggetto della presente controversia, il Collegio ravvisa le eccezionali ragioni per compensare integralmente fra le parti, ai sensi del combinato disposto degli artt. 92, c.p.c. e 26, c.p.a, le spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 gennaio 2016 con l'intervento dei magistrati:

Vito Poli, Presidente Lydia Ada Orsola Spiezia, Consigliere Massimiliano Noccelli, Consigliere Alessandro Palanza, Consigliere Paola Alba Aurora Puliatti, Consigliere, Estensore

Cons. Stato Sez. IV, Sent., 28/01/2016, n. 319

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5650 del 2015, proposto da:

O. 2000 Sas di D.D., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv. Annalisa Di Giovanni, Alfredo Di Mauro, con domicilio eletto presso Alfredo Di Mauro in Roma, Via Santa Caterina Da Siena,46;

contro

Comune di Pinerolo, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Stefano Papa, con domicilio eletto presso Marco Squicquero in Roma, Via Crescenzio 20;

nei confronti di

M.C. Srl;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. PIEMONTE - TORINO: SEZIONE I n. 00142/2015, resa tra le parti, concernente diniego attivazione comparto edificatorio e risarcimento danni a seguito variante al vigente piano particolareggiato esecutivo (PPE).

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Pinerolo;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1 dicembre 2015 il Cons. Nicola Russo e uditi per le parti gli avvocati Camaldo su delega degli avvocati di Giovanni e Di Mauro e Papa;

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Svolgimento del processo

La società O. 2000 s.a.s. di D.D. è proprietaria, insieme alla società M.C. s.r.l., del 75% dei lotti compresi all'interno della sub-area "C1" del P.P.E. (Piano Particolareggiato Esecutivo relativo alla zona a destinazione Produttiva/Artigianale/Terziaria/Commerciale) presso il Comune di Pinerolo.

Al fine di procedere alla costruzione di un consorzio facoltativo per l'attuazione del P.P.E. nella propria sub-area, dapprima si rivolgevano alla società C.G. S.r.l., proprietaria dei rimanenti lotti della sub-area, per poi, a seguito del silenzio di quest'ultima società, chiedere al Comune di Pinerolo di procedere d'ufficio e coattivamente alla formazione del Comparto relativo alla sub-area C1, "ai sensi dell'art. 10.4 delle N.T.A. del P.P.E. area DE 6.1.".

Il Comune, con nota dirigenziale del 25 gennaio 2008, riferiva alla società che il proprio orientamento era nel senso che "... i privati debbano trovare al loro interno l'accordo, non ritenendo questo intervento di rilevante interesse pubblico" e, successivamente, ribadiva, con delibera G.C. 27.04.2011, n. 146, la propria volontà di non procedere all'individuazione dei comparti di cui all'art. 10 N.T.A. e contemporaneamente stabiliva di avviare gli atti necessari ad adottare una variante al P.P.E. per l'area DE 6.1..

Avverso tale delibera la società O. 2000 s.a.s. e la società M.C. s.r.l. proponevano ricorso al TAR Piemonte - Torino deducendo plurimi vizi di violazione di legge, eccesso di potere ed incompetenza, chiedendo, inoltre, il risarcimento dei danni a causa dell'illegittimità del provvedimento impugnato e della colpevole inerzia dell'Amministrazione nel dare attuazione al P.P.E.

La prima sezione del TAR Piemonte - Torino, con sentenza n. 142/2015, rigettava il ricorso, ritenendo che l'attuazione del P.P.E. mediante la formazione di comparti edificatori costituisse l'oggetto di una mera facoltà, e non di obbligo, per l'Amministrazione comunale, rigettando, inoltre, ogni altra censura in ordine alla legittimità del provvedimento amministrativo.

La società O. 2000 s.a.s. impugna - appello n.r.g. 5650/2015 - la predetta sentenza del TAR Piemonte sotto diversi profili.

Con il primo motivo la società deduce l'illegittimità ed erroneità della sentenza per "insufficienza ed error iuris della motivazione in relazione la motivo di ricorso sub I".

La sentenza di primo grado sarebbe erronea e illegittima nella parte in cui considera l'attuazione del P.P.E. mediante la formazione di comparti edificatori l'oggetto di una mera facoltà, e non di un obbligo, per l'Amministrazione comunale.

Ai sensi dell'art. 23 della L. n. 1150 del 1942 e dell'art. 46, L.R. Piemonte n. 56 del 1977, il cui contenuto sarebbe riprodotto negli artt. 8 e ss della NTA del P.P.E., il Comune, intervenuta la delimitazione del comparto edificatorio costituente unità minima di intervento nel P.P.E. o in un provvedimento successivo, come la perimetrazione ed individuazione del comparto, sarebbe obbligato ad assumere gli atti e i provvedimenti necessari per dare concreta ed effettiva attuazione delle previsioni dello strumento urbanistico, al fine di realizzare l'interesse pubblico ad un ordinato e completo sviluppo urbanistico.

La sentenza de qua sarebbe, altresì, illogica e contraddittoria per avere da una parte giustificato le ragioni poste a sostegno della delibera impugnata di non procedere all'esproprio delle aree dei proprietari privati dissenzienti per la mancanza di fondi in bilancio per la copertura dei costi di esproprio e dell'altra parte ha, parimenti, giustificato la scelta del Comune di non adempiere agli obblighi scaturenti dalla formazione dei comparti per poter procedere all'approvazione di una variante allo stesso P.P.E., in assenza di fondi disponibili.

Con il secondo motivo la società appellante contesta il rigetto, ad opera del TAR, del motivo di ricorso avente ad oggetto "Eccesso di potere per incongruità e manifesta contraddittorietà della motivazione. Eccesso di potere per sviamento della causa tipica".

La sentenza di primo grado non avrebbe considerato che la decisione del Comune di Pinerolo di non procedere all'attuazione delle previsioni del P.P.E. sarebbe illegittima per grave difetto di motivazione, manifesta contraddittorietà e sviamento di potere.

Secondo l'appellante, l'Amministrazione non avrebbe potuto giustificare il diniego sulla base del semplice proponimento di dare attuazione ad indirizzi di pianificazione non ancora tradotti in provvedimenti di variante del P.P.E. dell'area normata DE 6.1., dal momento che la volontà futura non potrebbe impedire la realizzazione di un'attività consentita dall'attuale strumento urbanistico. Su tale aspetto la sentenza di primo grado non avrebbe dato sufficiente motivazione.

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Con il terzo motivo la società O. 2000 s.a.s. denuncia l'insufficienza ed error iuris della motivazione in relazione al motivo di ricorso sub III per non aver la sentenza di primo grado valutato l'effettiva contraddittorietà del comportamento dell'Amministrazione comunale e dei relativi provvedimenti.

La delibera impugnata si porrebbe in contraddizione con la relazione previsionale e programmatica dell'anno 2011, approvata dal Comune e riportata nel testo della delibera de qua, nella quale era stata, invece, manifestata la diversa volontà dell'Amministrazione di perseguire nell'attuazione del P.P. vigente nell'area DE 6.1. con il rilascio dei permessi di costruire per l'attuazione delle diverse sub-aree costituenti l'area.

Contraddittorietà che si manifesterebbe anche con riferimento alla dichiarazione implicita di pubblica utilità di tutte le opere previste dal P.P.E. stesso (art. 40 della L.R. Piemonte n. 56 del 1977) e alle determinazioni assunte in precedenza dalla stessa Amministrazione e finalizzate ad attivare altri comparti dello stesso P.P.E, limitrofi a quello C1 in cui sono compresi i lotti di proprietà dell'appellante.

Il quarto motivo di appello è volto a dedurre l'"insufficienza ed error iuris della motivazione in relazione al motivo di ricorso sub IV" volto a denunciare l'incompetenza della Giunta Comunale in materia di approvazione di strumenti urbanistici e di piani attuativi di strumenti urbanistici, materia attribuita ex art. 42 comma 2, lett. b) del D.Lgs. n. 267 del 2000 al Consiglio Comunale.

Con il quinto motivo la società denuncia l'insufficienza di motivazione per violazione e falsa applicazione dell'art. 3 della L. n. 241 del 1990, non avendo i giudici di prime cure sufficientemente motivato circa la lacunosità della delibera G.C. n. 146/2011. Con l'ultimo motivo, la società chiede che, una volta dichiarata l'illegittimità dell'agire dell'Amministrazione e annullato il provvedimento impugnato, venga risarcito il danno sofferto a causa di tale comportamento.

Con memoria depositata in data 24 novembre 2015 si è costituito il Comune di Pinerolo.

Alla pubblica udienza dell'1 dicembre 2015, l'appello è stato discusso e posto in decisione.

Motivi della decisione

La società O. 2000 S.a.s. chiede che, in riforma della sentenza n. 142/2015 del Tar Piemonte, vengano dichiarati illegittimi e conseguentemente annullatati la delibera di Giunta Comunale n. 146/2011, con la quale il Comune di Pinerolo ha manifestato la sua volontà di non procedere all'attivazione del comparto nell'area DE 6.1., area dove ricadono i lotto di proprietà dell'appellante.

Si deve preliminarmente disporre lo stralcio della memoria depositata dal Comune di Pinerolo.

Se ai sensi dell'art. 46, c.p.a. i termini di costituzione in giudizio non hanno carattere perentorio, ma meramente ordinatorio, con conseguente possibilità per la parte resistente di costituirsi in ogni momento, fino a che il giudizio non sia stato deciso, diversa natura, invece, assumono i termini stabiliti dall'art. 73, c.p.a. per la produzione di documenti, memorie e repliche.

Tali termini, come ribadito da costante giurisprudenza (cfr. da ultimo Cons. Stato, Sez. III, 13/03/2015 n. 1340), assumono carattere perentorio e, pertanto, deve essere disposto lo stralcio della memoria depositata dal Comune di Pinerolo, in quanto depositata tardivamente, il 24 novembre 2015, oltre il termine di trenta giorni liberi prima dell'udienza pubblica, fissata per il 1° dicembre 2015, previsto dal citato art. 73, c.p.a.

Nel merito si osserva che le censure promosse dall'appellante attengono a vari vizi di legittimità; risulta, tuttavia, preliminare ed assorbente, in quanto fondato, il quarto motivo, afferente al vizio di incompetenza della Giunta Comunale ad adottare la delibera impugnata.

Come recentemente ribadito da questo Consiglio di Stato in sede di Adunanza Plenaria (A.P. sent. 27 aprile 2015, n. 5), il vizio di incompetenza deve essere sempre scrutinato per primo, in quanto la valutazione del merito della controversia si risolverebbe in un giudizio meramente ipotetico sull'ulteriore attività amministrativa dell'organo competente cui spetta l'effettiva valutazione della vicenda e che avrebbe potuto emanare o meno l'atto in questione o comunque provvedere con un contenuto diverso. Diversamente opinando si lederebbe il principio del contraddittorio rispetto all'autorità competente dato che la regola di condotta giudiziale si sarebbe formata senza che questa abbia partecipato prima al procedimento, e poi al processo, in violazione di precise coordinate costituzionali: l'art. 97, co. 2 e 3, Cost. , infatti, riserva alla legge l'ordinamento delle amministrazioni ed il riparto delle sfere di competenza ed attribuzione, impedendo all'autorità amministrativa di derogarvi a suo piacimento.

Tale principio trova, oggi, ulteriore fondamento normativo nell'art. 34, co. 2, c.p.a., quale espressione del principio costituzionale fondamentale di separazione dei poteri (e di riserva di amministrazione) che, storicamente, nel disegno costituzionale, hanno giustificato e consolidato il sistema della Giustizia amministrativa.

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Pertanto, in tutte le situazioni di incompetenza, carenza di proposta o parere obbligatorio, si versa nella situazione in cui il potere amministrativo non è stato ancora esercitato, sicché il giudice non può fare altro che rilevare, se assodato, il relativo vizio e assorbire tutte le altre censure, non potendo dettare le regole dell'azione amministrativa nei confronti di un organo che non ha ancora esercitato il suo munus: tale tipologia di vizi è talmente radicale e assorbente che non ammette di essere graduata dalla parte.

Il comparto edificatorio è, infatti, uno strumento urbanistico di terzo livello, attuativo della pianificazione urbanistica ed avente la finalità (comune agli altri strumenti urbanistici) di assicurare una percentuale di sviluppo razionale dell'attività edilizia e regolare l'assetto urbanistico del territorio (Cass. civ. sez. I, sent. 7 maggio 2010, n. 11106; Cass. civ., sent. 1316/1990; Cons. St., sez. IV, sent. 4 dicembre 2009, n. 7650; Cons. St, sez. V, sent. 3 ottobre 1997, n. 1092; Cons. St., sez. IV, sent. 17 luglio 1996, n. 860).

La relativa nozione, già presente nel codice civile all'art. 870, è contenuta nell'art. 23 della legge urbanistica 11 agosto 1942, n. 1150, il quale dispone che il Comune può procedere, in sede di approvazione del piano regolatore particolareggiato o successivamente, nei modi che saranno stabiliti nel regolamento, ma sempre entro il termine di durata del piano stesso alla formazione dei comparti costituenti unità fabbricabili, comprendendo aree inedificate e costruzioni da trasformare secondo le dette presunzioni.

Formato il comparto, il sindaco deve invitare i proprietari a dichiarare entro un termine fissato nell'atto di notifica, se intendono procedere da soli, se proprietari dell'intero comparto, o riuniti in consorzio, alla edificazione dell'area o alla trasformazione degli immobili in esso compresi, secondo le dette prescrizioni.

A costituire il consorzio basterà il concorso dei proprietari rappresentanti, in base all'imponibile catastale, i tre quarti del valore dell'intero comparto. I consorzi così costituiti conseguiranno la piena disponibilità del comparto mediante la espropriazione delle aree e costruzioni dei proprietari non aderenti. Quando sia decorso inutilmente il termine stabilito nell'atto di notifica, il comune procederà all'espropriazione del comparto.

Tale disposizione, oltre ad essere stata mantenuta nella sia struttura essenziale anche dalla successiva legislazione (art. 13, L. n. 10 del 1977), è stata sostanzialmente riprodotta nelle Legislazioni Regionali, tra cui quella del Piemonte (art. 46, L.R. n. 56 del 1977, si dedica alla disciplina dei comparti edificatori).

Ciò che caratterizza questo istituto è la pregnanza della partecipazione privata nel procedimento di formazione del comparto, i quali, se proprietari del 75% dei lotti compresi nell'area interessata possono presentare al Comune un progetto urbanistico di edificazione.

All'iniziativa privata concorre quella comunale, che supplendo al mancato accordo di tutti i privati proprietari tramite l'espropriazione per pubblica utilità delle aree appartenenti ai proprietari dissenzienti, consente la positiva costituzione del comparto.

La natura del comparto edificatorio è, quindi, del tutto peculiare: il comparto inserendosi tra la lottizzazione facoltativa e la lottizzazione d'ufficio assume la figura di una lottizzazione obbligatoria, essendo effettuata dal privato in adempimento dell'obbligo impostogli dalla pubblica amministrazione sotto comminatoria di esproprio. È strumento attuativo della pianificazione urbanistica, avendo lo scopo primario di tutelare l'interesse pubblico (al pari di ogni strumento urbanistico) allo sviluppo razionale dell'attività edilizia e regolare l'assetto urbanistico del territorio (Cass., SSUU, sent. 22 febbraio 1990, n. 1316).

Detto strumento, pertanto, ha natura giuridica di strumento attuativo delle scelte di pianificazione generale e la sua approvazione rientra tra le prerogative riservate al Consiglio Comunale dall' art. 42, comma 2, lett. b) del D.Lgs. n. 267 del 2000, in materia di "programmi, relazioni previsionali e programmatiche, piani finanziari, programmi triennali e elenco annuale dei lavori pubblici, bilanci annuali e pluriennali e relative variazioni, rendiconto, piani territoriali ed urbanistici, programmi annuali e pluriennali per la loro attuazione, eventuali deroghe ad essi, pareri da rendere per dette materie".

Ne consegue che la Giunta Comunale non aveva il potere di manifestare la volontà del Comune in materia di comparto esecutivo, in quanto strumento attuativo della pianificazione urbanistica, rientrante nelle esclusive prerogative del Consiglio Comunale.

Le considerazioni che precedono consentono di accogliere il motivo inerente il vizio di incompetenza e di assorbire gli altri motivi di gravame, in quanto la valutazione del merito del provvedimento si risolverebbe in un giudizio meramente ipotetico sull'ulteriore attività amministrativa dell'organo competente (cfr. Cons. St., sez. V, 6 marzo 2001, n. 1253) e la pronuncia sulle altre censure verrebbe a porsi come un vincolo anomalo all'attività che lo stesso dovrà espletare; per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, si annulla il provvedimento giuntale impugnato in primo grado e si rimette la questione all'autorità competente.

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Le spese del doppio grado di giudizio, in applicazione della regola della soccombenza, sono poste a carico del Comune appellato e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l'effetto, in riforma della sentenza appellata, annulla la delibera della Giunta Comunale di Pinerolo 27 aprile 2011, n. 146, nei sensi e per gli effetti di cui in motivazione.

Spese del doppio grado a carico del Comune ed a favore della società appellante, liquidate complessivamente in Euro 5.000,00, oltre IVA e CPA.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1 dicembre 2015 con l'intervento dei magistrati:

Riccardo Virgilio, Presidente Nicola Russo, Consigliere, Estensore Fabio Taormina, Consigliere Leonardo Spagnoletti, Consigliere Giuseppe Castiglia, Consigliere

Cons. Stato Sez. IV, Sent., 13/10/2015, n. 4716

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7693 del 2013, proposto da:

Regione Puglia, rappresentata e difesa dall'avv. Anna Bucci, con domicilio eletto presso Delegazione Regione Puglia in Roma, Via Barberini, 36;

contro

G.C. e altri, rappresentati e difesi dagli avv..ti Giuseppe Marco Galluccio, Roberto Gualtiero Marra, con domicilio eletto presso Marco Gardin in Roma, Via L. Mantegazza 24;

nei confronti di

Comune di Galatina, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Annunziata Geusa, con domicilio eletto presso Segreteria del Consiglio di Stato,in Roma, p.za Capo di Ferro 13;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. PUGLIA - SEZ. STACCATA DI LECCE: SEZIONE I n. 00909/2013, resa tra le parti, concernente approvazione variante al piano urbanistico generale del comune di galatina

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di G.G. e di F.G. e di A.M.G. e di Comune di Galatina;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

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Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 maggio 2015 il Cons.Andrea Migliozzi e uditi per le parti gli avvocati Gabriele Pafundi su delega dell'avvocato Anna Bucci, Gualtiero Marra e Raffaello Gioioso su delega dell'avvocato Annunziata Geusa;

Svolgimento del processo

I sigg.ri G.G., G.F. e G.A.M., sono titolari di diritti reali su un terreno sito in agro del Comune per il quale veniva approntato un progetto di ristrutturazione di un fabbricato ivi insistente con costruzione di un complesso edilizio- turistico con annessi servizi ricreativi , inserito nell'ambito di un PRUSST , approvato con delibera comunale del 29 dicembre 1999.

Quindi con delibera consiliare del 14 luglio 2003 il predetto Comune adottava il PUG che attribuiva al terreno de quo una destinazione agricola (di massima salvaguardia, di salvaguardia e agricola tout court).

Gli interessati impugnavano il PUG innanzi al Tar di Lecce che con sentenza n. 1853/2008 annullava detto strumento urbanistico.

Quindi l'Amministrazione comunale adottava una serie di varianti puntuali , rimettendole alla Regione per l'adozione degli atti di sua competenza e quest'ultima relativamente all'area di che trattasi riteneva non accoglibile la proposta comunale di tipizzazione della stessa coma zona D6- turistico-alberghiera".

Dopodiché veniva indetta una conferenza di servizi ai sensi dell'art.11 comma 9 della L.R. n. 20 del 2001.

Infine con delibera regionale n. 101 del 23/1/2012 veniva attestata la compatibilità delle varianti al PUG e il suolo dei sigg.ri G. veniva tipizzato come zona agricola.

I predetti impugnavano i suindicati atti comunali e regionali nonché quelli della Conferenza dei servizi davanti al Tribunale amministrativo salentino che con sentenza n. 909/13 accoglieva il ricorso, annullando i provvedimenti ivi gravati.

La Regione Puglia ha impugnato tale decisum deducendone la erroneità per i motivi di seguito indicati.

Rileva in primo luogo l'appellante che il Comune di Galatina dopo che il Tar aveva annullato l'impugnato PUG si è limitato a modificare tout court la destinazione di zona , ritipizzandola in D6 (turistico-alberghiera) , in relazione al fabbisogno di edilizia turistica ma senza motivare urbanisticamente detta modifica.

Inoltre, con riferimento alle criticità di tipo urbanistico, la Conferenza dei servizi ha recepito l'attestazione di non compatibilità espressa dalla Regione e tale motivo di diniego non è stato mai oggetto di impugnazione da parte dei ricorrenti, con conseguente inammissibilità del ricorso di primo grado e la predetta eccezione non è stata oggetto di pronuncia da parte del primo giudice.

La sentenza si appalesa errata ancora perché il giudizio del TAR si basa su una valutazione ancorata ad una realtà fattuale che investe profili di merito tecnico che sono però riservati alla P.A e senza che il giudice abbia disposto incombenti istruttori.

Infine, avuto riguardo agli aspetti di tutela e alla situazione dei luoghi, la Conferenza dei servizi giustamente ha ritenuto non accoglibile la proposta comunale di destinazione turistico-alberghiera dell'area de qua, laddove, in particolare, invece la più appropriata destinazione agricola si pone in linea con l'esigenza di conservare e tutelare gli aspetti di valenza ecologica e paesaggistica di quella porzione del territorio.

Si sono costituiti gli originari ricorrenti sig.ri G. che hanno contestato la fondatezza del proposto gravame, chiedendone la reiezione.

Il Comune di Galatina dal canto suo ha dispiegato intervento favorevole alle tesi dell'appellante Regione.

All'udienza pubblica del 12 maggio 2015 la causa è stata introitata per la decisione.

Motivi della decisione

Va in primo luogo disattesa l'eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado qui riproposta, in via prioritariamente logica dall'appellante Regione.

Parte appellante sostiene che i rilievi di tipo urbanistico sollevati dalla Regione Puglia, come fatti propri dalla Conferenza di servizi, non sarebbero stati oggetto di specifica impugnazione e tali profili di inammissibilità non sarebbero stati nemmeno affrontati dal primo giudice.

Così non è.

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In primo luogo, non esiste una inammissibilità integrale e/o in radice di un ricorso per mancata contestazione giudiziale di un motivo su cui si fonda un provvedimento: nella specie l'attuale parte appellata ha avuto cura in primo grado di gravare oltreché gli atti regionali di non approvazione delle varianti puntuali adottate dal Comune di Galatina anche i verbali della Conferenza dei Servizi che hanno confermato le rilevate criticità della Regione e tanto con riferimento al contenuto concreto recato da detti atti, sicché non è dato ravvisare a carico del gravame introduttivo del giudizio profili di improponibilità

Inoltre, relativamente alla pretesa omessa pronuncia sulla eccezione de qua è il caso di far rilevare come il Tar con la sentenza in rassegna si sia specificatamente occupato dei profili di compatibilità urbanistica o meno della progettata destinazione dell'area come turistico-alberghiera (D6), sotto il profilo ecologico-ambientale, aspetti questi sicuramente ricadenti nel concetto di urbanistica della cui ampia portata ha avuto modo più volte di occuparsi questa Sezione (cfr., in particolare, sentenza n. 2710 del 10/5/2012).

Ciò preliminarmente assodato, passando al punto nodale della problematica giuridica portata all'attenzione del Collegio, la questione fondamentale è quella di verificare se per i suoli dei sigg.ri G. sia appropriata dal punto di vista urbanistico la destinazione D6 - turistico-alberghiera, come sostenuto dalla parte appellata e come pure proposto dal Comune di Galatina con la variante puntuale approvata nel 2010 oppure se per dette aree sia congruo apporre la destinazione agricola come sostenuto dall'appellante Regione Puglia.

Ritiene il Collegio che al quesito vada data risposta in senso favorevole alla tesi della parte appellata sia pure con le precisazioni e i limiti che seguono.

La Regione e la Conferenza dei servizi oppongono la non compatibilità urbanistica dei suoli dei sigg.ri G. e a tale determinazione pervengono a seguito di un "giudizio prognostico" di tipo negativo costituito in sostanza dalla rilevata esistenza di una valenza paesaggistico-ambientale diffusa delle aree de quibus, ma tale convincimento a ben vedere non è sorretto da una puntuale , coerente motivazione, quanto meno in relazione ad una parte dei terreni degli odierni appellati e tenuto altresì conto della pregressa complessiva "storia" che ha contrassegnato la tipizzazione urbanistica dell'area de qua.

Questa, invero, è stata oggetto di un progettato intervento di ristrutturazione di una masseria e di costruzione di un complesso turistico nell'ambito di un PRUSST approvato dal Comune e perimetrata nel Piano Urbanistico Generale come area Prusst, ancorché poi tipizzata come agricola. Al riguardo il Tar di Lecce aveva rilevato la discrasia operata dal Comune in ordine alla destinazione urbanistica in questione censurando la mancanza di motivazione in ordine alla invocata vocazione turistico alberghiera dell'area stessa (sentenza n. 1853/2008).

Quindi il Comune nell'esercizio del potere di pianificazione proprio dell'Ente e in adesione, nella sostanza, al dictum del giudice amministrativo salentino, melius re perpensa con la variante puntuale ha impresso la destinazione D6 riconoscendo la vocazione turistico - alberghiera dell'area stessa.

La Regione sul punto dissente sulla modifica urbanistica proposta dal Comune in ragione della ritenuta presenza sui terreni in questione di aspetti di valenza paesaggistico-ambientale meritevoli di essere conservati e quindi tutelabili, a suo avviso con la conferma della originaria destinazione agricola.

Osserva in linea generale la Sezione che l'esercizio del potere di pianificazione non attiene solo all'aspetto edilizio del territorio ma va esercitato anche in relazione ad altre esigenze di sviluppo economico-sociale del territorio stesso in riferimento alla concreta vocazione dei luoghi e ai valori ambientali e paesaggistici, nell'ambito di una più ampia accezione del concetto di urbanistica (cfr. sentenza n. 2710/2012 già citata) e in relazione alla portata del concetto di garanzia dello ius aedificandi come delineato da tempo dalla Corte costituzionale (vedi sentenze nn. 55 e 56 del 1968). In aderenza ai suddetti principi giurisprudenziali quindi gli interventi tutori dell'Amministrazione concorrente alla gestione dei procedimenti di approvazione degli strumenti urbanistici, in linea di massima, appaiono doverosamente esercitabili, come poi esercitati, dovendosi la P.A. procedente farsi carico di una verifica di conformità urbanistica a trecentosessanta gradi, comprensiva cioè della disamina di un pluralità di intereressi pubblici tra i quali si annoverano certamente i profili di tutela dell'ambiente e del paesaggio proprio al fine di imprimere ai luoghi un modello urbanistico più consono allo storia e ai costumi della comunità ivi insistente.

Parimenti, sempre in linea di principio, la classificazione di un'area ad uso agricolo ben può esorbitare dall'esigenza di promuovere un utilizzo ad attività agricole dell'area stessa ed essere strumentale all'esigenza di conservazione di valori ambientali (cfr. Cons. Stato 27/7/2010, n. 4920; idem 2166/2010), sicché anche questi aspetti specifici possono e debbono essere tenuti in considerazione dall'Autorità chiamata alla cogestione delle procedure di pianificazione.

Nondimeno, devesi rilevare come nella specie l'intervento correttivo posto in essere dalla Regione sia manchevole di una motivazione che dia adeguata contezza delle ragioni che in concreto depongono per la non compatibilità urbanistica della destinazione tutistico-alberghiera dell'area dei sigg.ri G..

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In particolare la non condivisibilità della proposta di modifica della destinazione operata dal Comune doveva essere supportata da una motivazione che rispondesse concretamente alla finalità di sottrarre quella porzione del territorio ad ulteriori interventi edificatori e un siffatto onere si appalesa ancor più pregnante tenuto conto che in definitiva le scelte urbanistiche si inseriscono precipuamente nell'ambito decisionale del Comune, e cioè dell'Ente esponenziale della comunità locale del cui sviluppo si viene a discutere.

E' accaduto allora che a fronte di dati incontestati costituiti dal fatto che la maggior parte dell'area de qua è incolta e solo una parte risulta coltivata, la Regione oppone generiche ragioni di tutela ambientale, che in realtà si pongono in contrasto con lo stato dei luoghi e in particolare con la situazione esistente sui terreni in questione.

Invero, tornando alla originaria destinazione, è pacifico che a fronte di una estensione di 28.412 mq una parte dell'area rientra in zona E1 - agricola di massima salvaguardia - (7.000,00 mq), e per la restante parte è compresa nella zona E (agricola di salvaguardie e zona agricola), di talché le esigenze di tutela della valenza ambientale si pongono e sono ampiamente meritevoli di tutela nei sensi disposti dalla Regione relativamente alla porzione di area classificata come suscettibile di massima salvaguardia, ma non altrettanto per la restante parte dei terreni di che trattasi.

Invero non appaiono congrue e comunque non sono adeguatamente motivate quelle stesse esigenze di tutela ambientale che si è inteso perseguire per la parte di area dei G. inserita nella "ordinaria" zona agricola, laddove s'imponeva una più analitica e dettagliata esposizione delle ragioni che facevano ritenere suscettibili di compromissione i valori naturalistici dell'area stessa.

D'altra parte non si può non convenire con le osservazioni rese in proposito dal primo giudice, laddove, invero, non è rilevabile un vincolo di tutela della zona posto dal PAI per il corso d'acqua posto nella vicinanze né una normativa urbanistica recante il divieto assoluto di edificazione, essendo possibile una trasformazione del territorio compatibile con la qualificazione paesaggistica e nella specie la non compatibilità sotto i prefati aspetti non risulta essere stata adeguatamente messa in rilievo, a fronte di un pur risalente riconoscimento della vocazione turistica dell'area effettuato dal Comune di Galatina , titolare, in via principale del potere di pianificazione urbanistica, così come evidenziato nel PRUSST a suo tempo approvato e poi recepito dal Comune in sede di Piano Urbanistico Generale.

Né può costituire motivo ostativo la presenza della c.d. masseria La Grotta se è vero che il progetto in origine presentato dai G. prevede proprio un intervento di riqualificazione e valorizzazione della masseria in questione.

Conclusivamente la decisione della Regione e le determinazioni della Conferenza dei Servizi di non approvare la modifica di destinazione urbanistica operata dal Comune con l'adozione della variante puntuale appaiono manchevoli di un adeguata e congrua motivazione per la parte dell'area degli appellati ricadente in zona agricola di salvaguardia e zona agricola ordinaria (E) e in tali sensi i relativi atti risultano affetti dal vizio di eccesso di potere evidenziato dal Tar le cui osservazioni e statuizioni appaiono esenti dalle censure qui sollevate dalla parte appellante.

L'appello si rivela quindi infondato nei sensi e con le precisazioni sopra esposte e va pertanto respinto.

Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione , essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112, cod. proc. civ. Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei supportare una conclusione di tipo diverso.

Quanto alle spese esse vanno poste a carico della parte appellante mentre sussistono giusti motivi per compensarle nei confronti del Comune di Galatina.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo Rigetta.

Condanna la parte appellante al pagamento delle spese del presente grado del giudizio che si liquidano complessivamente in Euro 3.000,00 (tremila/00) oltre IVA e CPA.

Le compensa con riferimento alla posizione del Comune di Galatina

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 maggio 2015 con l'intervento dei magistrati:

Giorgio Giaccardi, Presidente

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Nicola Russo, Consigliere Fabio Taormina, Consigliere Andrea Migliozzi, Consigliere, Estensore Giuseppe Castiglia, Consigliere

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Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa

T.R.G.A. Trentino-Alto Adige Bolzano, Sent., 23/09/2015, n. 281

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa

Sezione Autonoma di Bolzano

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 369 del 2014, proposto da:

R.P., rappresentato e difeso dagli avv.ti Giulio Pasquini e Stefania Cavallo, con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Loredana Olivieri in Bolzano, via dei Combattenti, n. 4/A;

contro

Comune di Corvara, in persona del Sindaco pt, rappresentato e difeso dall'avv. Manfred Schullian, con domicilio eletto presso il suo studio, in Bolzano, viale Stazione, n. 5;

sul ricorso numero di registro generale 370 del 2014, proposto da:

R.P., rappresentato e difeso dagli avv.ti Giulio Pasquini e Stefania Cavallo, con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Loredana Olivieri in Bolzano, via dei Combattenti, n. 4/A;

contro

Comune di Corvara, in persona del Sindaco pt, rappresentato e difeso dall'avv. Manfred Schullian, con domicilio eletto presso il suo studio, in Bolzano, viale Stazione, n. 5;

Provincia Autonoma di Bolzano, in persona del Presidente, rappresentata e difesa dagli avv.ti Renate von Guggenberg, Hansjörg Silbernagl, Fabrizio Cavallar e Patrizia Gianesello, con domicilio eletto presso l'Avvocatura della Provincia, in Bolzano, piazza Silvius Magnago, n. 1;

per l'annullamento

quanto al ricorso n. 369 del 2014:

1) del Provv. del 12 agosto 2014 , prot. n. 5187, con il quale il Sindaco di Corvara in Badia ha rigettato la domanda di concessione edilizia presentata dal sig. R.P. in data 21.5.2014 per la realizzazione di un'abitazione in località Pescosta nel medesimo Comune di Corvara in Badia;

2) di ogni altro provvedimento pregresso, prodromico, correlato e/o consequenziale;

quanto al ricorso n. 370 del 2014:

1) della deliberazione n. 106 dell'11.8.2014, con la quale la Giunta comunale di Corvara ha adottato una variante specifica al PUC relativamente all'area di proprietà del signor P., sita in Corvara, frazione di Pescosta, trasformandola da zona B1 di completamento edilizio a zona di verde agricolo;

2) di ogni altro provvedimento pregresso, prodromico, correlato e/o consequenziale;

e con motivi aggiunti depositati il 26.02.2015:

3) della deliberazione n. 23 del 21.11.2014, con la quale il Consiglio comunale di Corvara, esaminate e respinte le osservazioni presentate dal signor R.P., ha approvato la variante in esame al PUC di Corvara;

4) della deliberazione n. 49 del 20.01.2015, con la quale la Giunta della Provincia autonoma di Bolzano ha definitivamente approvato la variante medesima;

5) di ogni altro atto e/o provvedimento pregresso, prodromico correlato e/o consequenziale e segnatamente il parere reso in data 27.10.2014, prot. n. (...), dalla Commissione provinciale per la natura, il paesaggio e lo sviluppo

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del territorio e la nota dell'Ufficio tecnico del Comune di Corvara del 21.11.2014, prot. n. (...), di presa posizione sulle osservazioni presentate dal signor R.P..

Visti i ricorsi e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Corvara, nel ricorso n. 369/14, e del Comune di Corvara e della Provincia Autonoma di Bolzano, nel ricorso n. 370/14;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatrice nell'udienza pubblica del giorno 8 luglio 2015 la Consigliere Lorenza Pantozzi Lerjefors e uditi per le parti i difensori: avv. S. Cavallo per il ricorrente, avv. L. Harder, in sostituzione dell'avv. M. Schullian per il Comune di Corvara, e avv. F. Cavallar per la Provincia autonoma di Bolzano;

Svolgimento del processo

Il ricorrente espone di essere proprietario di un'area ubicata nel centro abitato della frazione di Pescosta, nel Comune di Corvara in Badia, tavolarmente individuata con le pp.ff. 154/1, 154/2 e 154/3, C.C. Corvara, confinante con aree edificate su cui insistono abitazioni civili e strutture alberghiere e prospiciente la strada comunale che attraversa la frazione medesima.

Il PUC del Comune di Corvara in Badia, definitivamente approvato, con modifiche, dalla Giunta provinciale con deliberazione n. 4003 del 10 novembre 2003, aveva riclassificato l'area de qua da verde agricolo a zona di completamento B1 (doc. 2 del ricorrente nel ricorso n. 369/14). La nuova classificazione era stata operata, in sede di approvazione definitiva del PUC, dalla Provincia autonoma di Bolzano, la quale aveva deciso di inserire l'area residua di proprietà del ricorrente nella zona di completamento B.

Il ricorrente presentava una prima domanda di concessione edilizia al Comune di Corvara in Badia, nel marzo 2006, al fine di realizzare un edificio residenziale sulle pp.ff. 154/1, 154/2 e 154/3, in C.C. Corvara. La domanda veniva rigettata con provvedimento sindacale dell'11.4.2006, per presunte carenze del progetto edilizio (doc. 2 del Comune nel ricorso n. 369/14).

Anche una seconda domanda di concessione edilizia, presentata dal ricorrente in data 22 maggio 2006, sulla base di nuovi elaborati grafici, veniva rigettata, con provvedimento sindacale del 7 giugno 2006, su rilievi di carattere meramente edilizio (doc. 3 del Comune nel ricorso n. 369/14).

Il ricorrente presentava, quindi, al Comune una terza domanda di concessione edilizia, allegando un ulteriore progetto, che recepiva i rilievi contestati dal Comune di Corvara in Badia. La domanda veniva rigettata con provvedimento sindacale dell'8 agosto 2006, sulla base del parere negativo reso dalla Commissione edilizia in data 7 agosto 2006. In tale parere venivano sollevati rilievi sotto il profilo edilizio e, in aggiunta, veniva affermato, per la prima volta, che la classificazione dell'area in esame come edificabile sarebbe stata frutto di un errore materiale (doc.ti 4 e 5 del Comune nel ricorso n. 369/14).

Quest'ultimo rigetto, a differenza dei due precedenti, veniva impugnato dal ricorrente davanti a questo Tribunale (sub n. 323/06).

Nel frattempo, la Giunta provinciale, con deliberazione n. 3844 del 23 ottobre 2006, aveva disposto lo stralcio dell'area in esame e la declassificazione dell'area de qua da zona di completamento B a verde agricolo, assumendo di dover rettificare un errore materiale (doc. 6 del Comune nel ricorso n. 369/14).

Anche questo provvedimento veniva impugnato dal ricorrente davanti a questo Tribunale (sub n. 50/07).

Con sentenza n. 271 del 16 luglio 2009 questo Tribunale respingeva entrambi i ricorsi, previa loro riunione. Avverso detta sentenza il ricorrente presentava ricorso al Consiglio di Stato, il quale, con sentenza della Sez. VI, n. 1036 del 5 marzo 2014, accoglieva l'appello, annullando sia il provvedimento sindacale di rigetto della concessione edilizia dell'8 agosto 2006, sia la deliberazione della Giunta provinciale n. 3844 del 23 ottobre 2006 (doc. 7 del Comune nel ricorso n. 369/14).

In seguito alla sentenza suddetta, il ricorrente chiedeva al Comune di Corvara in Badia di riesaminare la domanda di concessione a suo tempo presentata il 25 luglio 2006 (doc.ti 8 e 9 del Comune nel ricorso n. 369/14).

La Commissione edilizia riesaminava la domanda di concessione edilizia nella seduta del 14 aprile 2014, esprimendo parere negativo. Con nota del 15 aprile 2014 il Sindaco comunicava al ricorrente i motivi ostativi all'accoglimento della domanda (doc. 10 del Comune nel ricorso n. 369/14).

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Il ricorrente non presentava osservazioni e la domanda di riesame veniva definitivamente rigettata con provvedimento sindacale del 25 maggio 2014, mai impugnato (doc. 11 del Comune nel ricorso n. 369/14).

In data 21 maggio 2014 il ricorrente presentava al Comune un'ulteriore domanda di concessione edilizia, allegando un progetto nuovo, che prevedeva la realizzazione di un edificio con sagoma diversa e altezza e cubatura diverse dai precedenti (doc. 12 del Comune nel ricorso n. 369/14).

La Commissione edilizia esaminava il nuovo progetto nella seduta del 10 giugno 2014, esprimendo parere negativo, sulla base di 11 rilievi. I motivi ostativi all'accoglimento della domanda venivano comunicati al ricorrente con nota dell'11 giugno 2014 (doc. 13 del Comune nel ricorso n. 369/14).

Con provvedimento del 12 agosto 2014 il Sindaco del Comune di Corvara in Badia rigettava nuovamente la richiesta concessione edilizia, sulla base di un nuovo parere espresso dalla Commissione edilizia comunale l'11 agosto 2014 (doc.ti 14 e 15 del ricorrente nel ricorso n. 369/14). Questo provvedimento è stato impugnato dal ricorrente con il ricorso n. 369/14.

Nel frattempo, la Giunta comunale di Corvara in Badia, con deliberazione n. 106 dell'11 agosto 2014 aveva adottato una specifica variante al PUC per declassificare nuovamente l'area de qua da zona di completamento B a verde agricolo (doc. 12 del Comune nel ricorso n. 370/14). Questa deliberazione è stata impugnata dal ricorrente con il ricorso n. 370/14.

Il Consiglio comunale di Corvara in Badia, con deliberazione n. 23 del 21 novembre 2015, esaminate e respinte le osservazioni presentate dal ricorrente, approvava la suddetta variante al PUC (doc. 16 del Comune nel ricorso n. 370/14).

Infine, la Giunta provinciale, con la deliberazione n. 49 del 20 gennaio 2015 approvava definitivamente la variante al PUC (doc. 18 del Comune nel ricorso n. 370/14).

Questi ultimi due provvedimenti sono stati impugnati dal ricorrente con motivi aggiunti al ricorso n. 370/14.

A fondamento del ricorso n. 369/14 il ricorrente ha dedotto i seguenti motivi:

1. "Illegittimità per violazione di legge e segnatamente dell'art. 69 della L.P. 11.8.1997, n. 13. Eccesso di potere sotto i particolari profili della carenza di istruttoria e di contraddittorio, dello sviamento, della contraddittorietà, dell'incongruità, del travisamento e dell'erronea indicazione e valutazione dei fatti, dell'illogicità e dell'irragionevolezza, nonché della carenza o comunque illogicità e insufficienza della motivazione";

2. "Illegittimità per violazione di legge e segnatamente dell'art. 74 della L.P. 11.8.1997, n. 13. Eccesso di potere sotto i particolari profili della carenza di istruttoria e di contraddittorio, dello sviamento, della contraddittorietà, dell'incongruità, del travisamento e dell'erronea indicazione e valutazione dei fatti, dell'illogicità e dell'irragionevolezza, nonché della carenza o comunque illogicità e insufficienza della motivazione";

3. "Illegittimità per violazione dell'art. 97 della Costituzione e art. 1 della L.P. n. 17/1993 e per violazione di giudicato. Eccesso di potere sotto i particolari profili della carenza di istruttoria e di contraddittorio, dello sviamento, della contraddittorietà, dell'incongruità, del travisamento e dell'erronea indicazione e valutazione dei fatti, dell'illogicità e dell'irragionevolezza, nonché della carenza o comunque illogicità e insufficienza della motivazione";

4. "Illegittimità per violazione dell'art. 97 della Costituzione e art. 1 della L.P. n. 17/1993 e per violazione di giudicato. Eccesso di potere sotto i particolari profili della carenza di istruttoria e di contraddittorio, dello sviamento, della contraddittorietà, dell'incongruità, del travisamento e dell'erronea indicazione e valutazione dei fatti, dell'illogicità e dell'irragionevolezza, nonché della carenza o comunque illogicità e insufficienza della motivazione";

5. "Illegittimità per violazione dell'art. 11 bis della L.P. n. 17/1993. Eccesso di potere sotto i particolari profili della carenza di istruttoria e di contraddittorio, dello sviamento, della contraddittorietà, dell'incongruità, del travisamento e dell'erronea indicazione e valutazione dei fatti, dell'illogicità e dell'irragionevolezza, nonché della carenza o comunque illogicità e insufficienza della motivazione";

6. "Illegittimità per violazione delle norme di attuazione al PUC di Corvara sotto diversi profili. Eccesso di potere sotto i particolari profili della carenza di istruttoria e di contraddittorio, dello sviamento, della contraddittorietà, dell'incongruità, del travisamento e dell'erronea indicazione e valutazione dei fatti, dell'illogicità e dell'irragionevolezza, nonché della carenza o comunque illogicità e insufficienza della motivazione".

A fondamento del ricorso n. 370/14 il ricorrente ha dedotto i seguenti motivi:

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1. "Illegittimità per violazione di legge e segnatamente dell'art. 21 della L.P. 11.8.1997, n. 13. Eccesso di potere sotto i particolari profili della carenza di istruttoria e di contraddittorio, dello sviamento, della contraddittorietà, dell'incongruità, del travisamento e dell'erronea indicazione e valutazione dei fatti, dell'illogicità e dell'irragionevolezza, nonché della carenza o comunque illogicità e insufficienza della motivazione";

2. Illegittimità per violazione dell'art. 97 della Costituzione e della L.P. n. 13/1997 sotto diversi profili. Eccesso di potere sotto i particolari profili della carenza di istruttoria e di contraddittorio, dello sviamento, della contraddittorietà, dell'incongruità, del travisamento e dell'erronea indicazione e valutazione dei fatti, dell'illogicità e dell'irragionevolezza, nonché della carenza o comunque illogicità e insufficienza della motivazione";

A fondamento dell'atto recante motivi aggiunti (ricorso n. 370/14) il ricorrente ha dedotti i seguenti motivi:

1. "Illegittimità in via derivata";

2. "Illegittimità per violazione dell'art. 97 della Costituzione e della L.P. n. 13/1997 sotto diversi profili. Eccesso di potere sotto i particolari profili della carenza di istruttoria e di contraddittorio, dello sviamento, della contraddittorietà, dell'incongruità, del travisamento e dell'erronea indicazione e valutazione dei fatti, dell'illogicità e dell'irragionevolezza, nonché della carenza o comunque illogicità e insufficienza della motivazione";

3. "Illegittimità per violazione degli artt. 2 e 19 L.P. n. 13/1997 e art. 7 della L.P. n. 17/1993. Eccesso di potere sotto i particolari profili della carenza di istruttoria e di contraddittorio, dello sviamento, della contraddittorietà, dell'incongruità, del travisamento e dell'erronea indicazione e valutazione dei fatti, dell'illogicità e dell'irragionevolezza, nonché della carenza o comunque illogicità e insufficienza della motivazione sotto altri profili";

4. "Illegittimità per violazione dell'art. 19, L.P. n. 13/1997 e art. 7 della L.P. n. 17/1993. Eccesso di potere sotto i particolari profili della carenza di istruttoria e di contraddittorio, dello sviamento, della contraddittorietà, dell'incongruità, del travisamento e dell'erronea indicazione e valutazione dei fatti, dell'illogicità e dell'irragionevolezza, nonché della carenza o comunque illogicità e insufficienza della motivazione sotto altri profili".

Nel ricorso n. 369/14 si è costituito in giudizio il Comune di Corvara in Badia, chiedendone il rigetto, in quanto infondato.

Nel ricorso n. 370/14 si sono costituiti in giudizio il Comune di Corvara in Badia e la Provincia autonoma di Bolzano, chiedendo entrambi il rigetto del ricorso e dell'atto recante motivi aggiunti, in quanto infondati.

Nei termini di rito i procuratori delle parti hanno depositato memorie in entrambi i ricorsi, anche di replica, a sostegno delle rispettive difese.

All'udienza pubblica dell'8 luglio 2015, sentite le parti, i due ricorsi sono stati trattenuti in decisione.

Motivi della decisione

1. In limine litis va disposta la riunione dei ricorsi in epigrafe per ragioni di connessione oggettiva e parzialmente soggettiva.

2. Il ricorso n. 369/14 è infondato.

2.1. Con il primo motivo il ricorrente si duole che il provvedimento di diniego della concessione edilizia impugnato sia stato adottato oltre il decorso del termine di 60 giorni previsto dall'art. 69 della legge provinciale 11 agosto 1997, n. 13 per la formazione del silenzio-assenso. Una volta decorso tale termine, l'Amministrazione, per poter legittimamente adottare il provvedimento di diniego, sarebbe tenuta ad annullare previamente, in via di autotutela, il titolo concessorio formatosi con il silenzio - accesso.

La censura non ha pregio.

Ai sensi dell'art. 69, comma 1, della legge provinciale 11 agosto 1997, n. 13, "le determinazioni del sindaco sulle domande di concessione di costruzione devono essere notificate all'interessato non oltre 60 giorni dalla data di ricevimento delle domande stesse o da quella di presentazione di documenti aggiuntivi richiesti dal sindaco in conformità alle disposizioni vigenti. Scaduto tale termine senza che il sindaco si sia pronunciato, la domanda si intende accolta".

La disposizione citata va coordinata con quella prevista dall'art. 11 bis, comma 1, della legge provinciale 22 ottobre 1993, n. 17 (cfr. TRGA Bolzano, 4 agosto 1999, n. 284), la quale dispone che la comunicazione dei motivi ostativi "interrompe i termini per concludere il procedimento, che iniziano nuovamente a decorrere dalla scadenza del termine menzionato di 30 giorni ovvero, anteriormente a tale scadenza, dalla data di presentazione delle osservazioni".

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Dal combinato disposto delle disposizioni citate risulta che l'invio della comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento della domanda determina l'interruzione dei termini per la conclusione del procedimento, i quali iniziano nuovamente a decorrere con la presentazione delle osservazioni da parte dell'interessato, ovvero decorso il termine di 30 giorni previsto dalla norma senza che l'interessato abbia presentato osservazioni.

Anche secondo la più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato, "si deve ritenere..., in via generale, che la comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento di una domanda interrompe anche i termini per la formazione di un eventuale silenzio assenso, in quei casi in cui l'ordinamento ha inteso assegnare al silenzio serbato dall'amministrazione su un'istanza il valore di assenso alla richiesta" (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 28 gennaio 2014, n. 418; nello stesso senso, TRGA Bolzano, 2 febbraio 2015, n. 30).

Orbene, nel caso di specie, il ricorrente ha presentato la domanda di concessione edilizia il 21 maggio 2014 (cfr. doc. 10 del ricorrente) e in data 11 giugno 2014 (cioè dopo 21 giorni dalla presentazione della domanda, quindi prima dello scadere dei 60 giorni), il Comune di Corvara in Badia ha comunicato al ricorrente i motivi ostativi all'accoglimento della sua domanda (cfr. doc. 11 del ricorrente). In data 3 luglio 2014 il ricorrente ha presentato le proprie osservazioni (cfr. doc. 12 del ricorrente). Dalla data di presentazione delle osservazioni (3 luglio 2014) il termine di 60 giorni di cui al citato art. 69 della legge provinciale n. 13 del 1997 ha iniziato nuovamente a decorrere. Il provvedimento definitivo di diniego della concessione edilizia è stato adottato dal Sindaco del Comune di Corvara in Badia in data 12 agosto 2014.

L'impugnato provvedimento di diniego della concessione edilizia è stato quindi adottato nel rispetto del termine di legge e il silenzio-assenso, nel caso specifico, non si è formato.

2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta che, a seguito dell'adozione da parte del Consiglio comunale della proposta di variante al PUC, il Sindaco avrebbe dovuto sospendere l'esame della sua domanda di concessione edilizia, come previsto dall'art. 74, comma 2, della legge provinciale n. 13 del 1997, anziché concludere il relativo procedimento, con il rigetto della domanda.

Anche questa censura è infondata.

L'art. 74, comma 2, della legge provinciale n. 13 del 1997 così recita: "Dalla data di prima adozione di qualsiasi strumento di pianificazione o di modifica allo stesso fino alla relativa entrata in vigore, tuttavia non oltre il periodo di due anni, il sindaco deve sospendere ogni determinazione sulle domande di costruzione quando riconosca che esse sono in contrasto con le determinazioni urbanistiche sopradette".

La ratio della norma citata va colta essenzialmente nell'esigenza di evitare che, nelle more del procedimento di approvazione degli strumenti di pianificazione o di sue varianti, siano assentiti interventi edilizi in contrasto con i nuovi obiettivi delle previsioni urbanistiche, così da pregiudicare la concreta operatività del nuovo piano o della sua variante in itinere.

Orbene, così individuata la ratio della norma, ad avviso del Collegio la stessa norma va interpretata nel senso che tale misura di salvaguardia trova applicazione solo quando la domanda di concessione edilizia sia conforme alle previsioni urbanistiche vigenti, ma in contrasto con quelle adottate e non ancora approvate, cioè non ancora in vigore, mentre non trova applicazione nei casi, come quello in esame, in cui la domanda di concessione edilizia sia in contrasto sia con le norme dello strumento urbanistico in vigore al momento della presentazione della domanda di concessione edilizia, sia con quelle dello strumento urbanistico o sua variante, in corso di approvazione. In tali casi l'Amministrazione comunale può legittimamente rigettare la domanda senza incorrere nella violazione della norma citata: "La misura di salvaguardia comunale....consiste nella sospensione di ogni determinazione in ordine alla domanda di permesso di costruire, in caso di contrasto dell'intervento da realizzare con le previsioni degli strumenti urbanistici adottati. Tale misura presuppone che la domanda sia conforme alla strumentazione vigente ma non anche a quella adottata. Se manca la conformità agli strumenti urbanistici vigenti, la domanda di permesso di costruire và rigettata, senza applicazione della misura soprassessoria, anche in presenza di un'istanza conforme alla previsione urbanistica adottata" (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 28 febbraio 2005, n. 764).

2.3. Con il terzo motivo il ricorrente afferma che l'Amministrazione resistente, nel riesaminare la sua domanda di concessione a seguito dell'annullamento giurisdizionale, avrebbe avuto l'obbligo di applicare la disciplina urbanistica vigente al momento della notificazione o comunicazione in via amministrativa della sentenza del Consiglio di Stato, Sez. VI, 5 marzo 2014, n. 1036. In applicazione di tale principio, la variante al PUC (che trasforma, dopo la formazione del giudicato, l'area in esame da edificabile in non edificabile) non sarebbe stata opponibile al ricorrente.

Con il quarto motivo il ricorrente lamenta che nel nuovo provvedimento di diniego il Sindaco abbia sollevato motivi nuovi di diniego, che non riguarderebbero le caratteristiche fondamentali del progetto e che avrebbero dovuto essere valutate e rilevate già in sede di riesame della domanda di concessione edilizia in esecuzione del giudicato.

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Le doglianze - che si prestano ad un esame congiunto - sono infondate.

Va osservato, anzitutto, che la sopra citata sentenza del Consiglio di Stato aveva per oggetto la domanda di concessione edilizia presentata dal ricorrente in data 25 luglio 2006 e rigettata con provvedimento sindacale dell'8 agosto 2006.

A seguito della decisione del Consiglio di Stato tale domanda è stata riesaminata e rigettata, per motivi di natura edilizia, con il provvedimento sindacale del 25 maggio 2014, che, non essendo stato impugnato dal ricorrente, deve ritenersi definitivo.

Oggetto del presente giudizio è, invece, un'ulteriore domanda di concessione edilizia, presentata dal ricorrente il 21 maggio 2014, avente per oggetto un progetto del tutto nuovo: le caratteristiche dell'edificio di cui al nuovo progetto sono, invero, diverse per sagoma, altezza e cubatura, come risulta da un confronto dei due progetti (cfr. doc.ti 4 e 12 del ricorrente nel ricorso n. 369/14). Pertanto il richiamo alla sentenza del Consiglio di Stato n. 1036 del 2014 non è pertinente.

Ad ogni modo, la motivazione del nuovo provvedimento di diniego poggia su ben 11 motivi di natura edilizia, di per sé sufficienti a reggere il diniego di rilascio della concessione edilizia oggetto del presente giudizio (cfr. doc. 14 del ricorrente).

Stante la diversità sostanziale tra i due progetti (quello esaminato in sede di esecuzione alla sentenza citata del Consiglio di Stato e quello oggetto del presente giudizio), la Commissione edilizia comunale, in sede di esame di quest'ultimo nuovo progetto, ha svolto un nuovo e approfondito esame del medesimo, potendo legittimamente sollevare nuovi motivi di diniego.

2.4. Con il quinto motivo il ricorrente si duole che l'Amministrazione non abbia dato conto, nel provvedimento conclusivo del procedimento amministrativo, del mancato accoglimento delle osservazioni presentate dal ricorrente a seguito della comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento della sua domanda, in violazione dell'art. 11bis della legge provinciale 23 ottobre 1993, n. 17. La Commissione edilizia comunale, nella seduta dell'11 agosto 2014, avrebbe aggiunto due nuovi motivi di diniego, che non erano stati oggetto della preventiva comunicazione ex art. 11bis della legge provinciale n. 13 del 1997.

Anche questa doglianza non è fondata.

Risulta agli atti che le osservazioni presentate dal ricorrente sono state esaminate dalla Commissione edilizia nella seduta dell'11 agosto 2014, convocata appositamente, come risulta dall'oggetto della stessa seduta: "Osservazioni in merito al parere negativo della Commissione Edilizia Comunale del 10.6.2014" (cfr. doc. 15 del ricorrente).

Orbene, da un confronto tra la nota di comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento della domanda di concessione edilizia, le osservazioni presentate dal ricorrente su tale comunicazione e il successivo verbale della Commissione edilizia comunale, si evince chiaramente che la Commissione edilizia ha esaminato le osservazioni presentate dal ricorrente. Invero, alcune osservazioni sono state accolte (come dimostra il fatto che non tutti gli 11 motivi contestati nella comunicazione ex art. 11 bis sono stati riproposti dalla Commissione edilizia), altre non sono state giudicate idonee a superare i motivi ostativi al rilascio della concessione edilizia. I motivi di diniego, pertanto, sono stati per lo più confermati dalla Commissione edilizia, con ulteriori precisazioni (cfr. doc.ti 11, 13 e 15 del ricorrente).

Quanto alla asserita non corrispondenza contenutistica tra il preavviso di diniego ed il provvedimento finale di rigetto della domanda di concessione edilizia, osserva il Collegio che tale non corrispondenza non potrebbe in ogni caso assurgere a vizio invalidante, ai sensi dell'art. 21 octies della L. 7 agosto 1990, n. 241. Infatti, "benché tale corrispondenza sia tendenzialmente da reputarsi necessaria al fine di non eludere la funzione collaborativa e deflattiva propria dell'istituto essa non deve essere assoluta, ben potendo l'Amministrazione, sulla base delle osservazioni dell'istante ma anche in via del tutto autonoma, precisare le proprie posizioni in sede decisoria, nel limite dei soli 'punti salienti' indicati nel preavviso'" (cfr. TAR Campania, Salerno, Sez. II, 10 marzo 2014, n. 553).

Ad abundantiam, va rilevato che, anche non considerando i due ulteriori motivi di diniego, il provvedimento di diniego saerebbe, comunque, sufficientemente motivato.

2.5. Con il sesto motivo di ricorso il ricorrente lamenta che il diniego impugnato si fonderebbe su motivi palesemente illegittimi, in quanto del tutto generici, privi di adeguata motivazione e di puntuale indicazione delle disposizioni edilizie e urbanistiche ritenute violate. Dopo l'invio del c.d. preavviso di rigetto, il ricorrente avrebbe rielaborato le tavole progettuali originarie, cercando di superare i rilievi negativi opposti dal Comune di Corvara in Badia. Inoltre, sarebbe stato chiarito che l'asserito contrasto con le disposizioni del PUC sulle distanze non sarebbe sussistito nel caso specifico.

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Le censure sono infondate.

Ad avviso del Collegio la motivazione del provvedimento di diniego della concessione edilizia impugnato è sufficientemente motivato, essendo possibile ricostruire l'iter logico-giuridico seguito dall'Amministrazione ai fini della decisione.

Si ribadisce che il provvedimento impugnato poggia su una pluralità di ragioni, esposte in modo chiaro dall'Amministrazione, tra le quali:

a) il mancato rispetto delle distanze in fregio alle confinanti zone pubbliche;

b) la mancata acquisizione del consenso dell'Amministrazione pubblica per l'accesso e per il parcheggio dalla strada comunale;

c) la mancata acquisizione del consenso da parte del terzo confinante, proprietario del muro sul confine che si intende demolire;

d) il mancato rispetto della distanza minima tra fabbricati, prevista dal PUC e dall' art. 9 del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, con riferimento al muro di confine;

e) il mancato rispetto della distanza minima di 5 metri dal confine di zona, in contrasto con l'art. 1, lett. f), delle norme di attuazione al PUC.

Il ricorrente, nel ricorso in esame, prende posizione solo su uno dei motivi suddetti (quello sub d), mentre non solleva alcuna censura in ordine a tutti gli altri motivi sopra riportati.

E' noto che, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, qualora un provvedimento sia fondato su una pluralità di ragioni ostative fra loro ontologicamente autonome è sufficiente che una sola delle ragioni stesse resista alle censure prospettate dall'interessato (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 18.12.2012, n. 6475; TAR Lazio, Sez. II, 12.6.2013, n. 5902; TRGA Bolzano, 5 maggio 2015, n. 154 e 26.11.2012, n. 341).

Per tutte le ragioni espresse, il ricorso n. 369/14 è infondato.

3. Il ricorso introduttivo n. 370/14 è anch'esso infondato.

3.1. Con il primo motivo il ricorrente afferma che con l'adozione dell'impugnata deliberazione della Giunta comunale n. 106 dell'11 agosto 2014 sarebbe stato superato il limite massimo di tre procedimenti di variante al PUC che in base all'art. 21, comma 3, della legge provinciale 11 agosto 1997, n. 13 (come modificato dall'art. 3, comma 4, della legge provinciale 19 luglio 2013, n. 10), potrebbero essere avviati nell'arco di un biennio. Ai fini della determinazione del suddetto numero massimo di procedimenti di variante dovrebbero essere presi in considerazione "tutti i procedimenti di variante avviati dal Comune di Corvara nell'ultimo biennio (riferito all'adozione della variante oggetto di causa) e non solo quelli avviati a partire dalla data di entrata in vigore della legge provinciale n. 10 del 2013".

Il motivo è infondato.

Osserva il Collegio che, a seguito della modifica introdotta dall'art. 3, comma 4, della legge provinciale 19 luglio 2013, n. 10, il comma 3, primo periodo, dell'art. 21 della legge urbanistica provinciale n. 13 del 1997 ("Varianti al piano urbanistico comunale"), così recita: "Nell'arco di un biennio non possono essere avviati più di tre procedimenti di variante al piano urbanistico".

La disposizione è entrata in vigore il 5 ottobre 2013, ai sensi di quanto disposto dall'art. 26, comma 2, della citata legge provinciale n. 10 del 2013.

Il Collegio ritiene, contrariamente a quanto assunto dal ricorrente, che, in sede di prima applicazione della citata disposizione e nel silenzio del legislatore, il biennio cui si riferisce la disposizione non possa che essere quello successivo alla data di entrata in vigore della legge provinciale n. 10 del 2013.

La tesi sostenuta dal ricorrente contrasta, invero, con il principio di irretroattività delle leggi di cui all'art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale, in base al quale "la legge non dispone che per l'avvenire", salvo che sia altrimenti disposto.

La difesa comunale afferma (e la circostanza non è stata smentita dal ricorrente) che nel biennio successivo all'entrata in vigore della legge provinciale n. 10 del 2013, oltre alla variante oggetto del presente ricorso, è stata avviata solo un'altra variante (delibera della Giunta comunale n. 36 di data 14 marzo 2014); di talché non risulta superato il limite numerico di tre procedimenti di variante, previsto dalla suddetta disposizione.

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3.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta il difetto di motivazione della deliberazione giuntale impugnata che ha adottato la variante contestata, assumendo che essa non avrebbe tenuto conto della sua posizione qualificata, derivante dal giudicato di cui alla sentenza del Consiglio di Stato n. 1036 del 2014. In particolare, la deliberazione non avrebbe esplicitato le "ragioni di interesse della collettività, di opportunità e di convenienza della stessa a procedere alla revisione dell'assetto urbanistico per declassificare nuovamente l'area in esame" in zona di verde agricolo. Le caratteristiche oggettive dell'area (di ridotte dimensioni e "con evidente vocazione edificatoria") giustificherebbero la classificazione dell'area de qua in zona di completamento, in conformità a quanto stabilito dall'art. 36 bis della legge provinciale n. 13 del 1997.

Anche queste doglianze sono prive di pregio.

Va, in primo luogo, sottolineato che, secondo costante orientamento del Consiglio di Stato, "le scelte urbanistiche effettuate dal Comune in sede di adozione del piano regolatore generale costituiscono valutazioni discrezionali attinenti al merito amministrativo che, come tali, sono sottratte al sindacato di legittimità del giudice amministrativo in sede di giudizio impugnatorio, a meno che non risultino inficiate da errori di fatto o da vizi di grave illogicità, con la precisazione che le osservazioni proposte dai cittadini e/o proprietari nei confronti degli atti di pianificazione urbanistica non costituiscono veri e propri rimedi giuridici, ma semplici apporti collaborativi e, pertanto, non danno luogo a peculiari aspettative, sicché il loro rigetto o il loro accoglimento, di regola, non richiede una motivazione analitica, essendo sufficiente che esse siano state esaminate e confrontate con gli interessi generali sottesi allo strumento pianificatorio. Le evenienze che, invece, giustificano una più incisiva e singolare motivazione nelle scelte pianificatorie degli strumenti urbanistici generali sono state ravvisate (v. sul punto, per tutte, Cons. Stato, Ad. Plen., 22 dicembre 1999, n. 24) nel superamento degli standards urbanistici ed edilizi, nella lesione dell'affidamento qualificato del privato basato su precedenti determinazioni dell'amministrazione o su provvedimenti giurisdizionali (ad es., derivante dall'avvenuta stipula di convenzioni di lottizzazione, da accordi di diritto privato intercorsi tra il Comune e i proprietari delle aree, da sentenze passate in giudicato di annullamento di dinieghi di concessione edilizia o di silenzio rifiuto su una domanda di concessione), o nella modificazione in zona agricola della destinazione di un'area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo. Mentre, quindi, ai fini motivazionali delle previsioni degli strumenti urbanistici generali, è sufficiente l'esplicitazione dei criteri generali, di ordine tecnico-discrezionale, seguiti nell'impostazione del piano, che può essere assolta con l'espresso riferimento alla relazione di accompagnamento al progetto del piano rielaborato, nei casi particolari, sopra evidenziati, si configura uno specifico e puntuale obbligo motivazionale a carico dell'amministrazione"(cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 16 maggio 2013, n. 2653; nello stesso senso anche Sez. IV, 16 aprile 2015, n. 1949 e T.A.R. Puglia Lecce, sez. II, 13/09/2013, n. 1927. In particolare, quest'ultima sentenza ribadisce che: "L'Amministrazione ha ampia discrezionalità in materia di pianificazione urbanistica con la conseguenza che le scelte effettuate costituiscono, in generale, valutazioni discrezionali attinenti al merito amministrativo, che come tali sono sottratte al sindacato di legittimità del giudice, salvo che non siano inficiate da palesi errori di fatto o da abnormi illogicità, ovvero da arbitrarietà, irrazionalità o manifesta irragionevolezza, in relazione alle esigenze che s'intendono concretamente soddisfare").

Ancora, il Consiglio di Stato, Sez. IV, nella sentenza 6.5.2013, n. 2427, ha evidenziato che "Il potere di pianificazione urbanistica non è funzionale solo all'interesse pubblico all'ordinato sviluppo edilizio del territorio, ma è funzionalmente rivolto alla realizzazione contemperata di una pluralità di interessi pubblici, che trovano il proprio fondamento in valori costituzionalmente garantiti".

Ciò chiarito, ad avviso del Collegio, la Giunta comunale ha ottemperato all'obbligo di fornire una puntuale motivazione della propria scelta urbanistica, tenendo conto della posizione qualificata del ricorrente.

In particolare, la Giunta comunale, nella deliberazione impugnata ritiene che non vi siano i presupposti di fatto e di diritto per la classificazione dell'area de qua come zona residenziale di completamento, in quanto l'area "...a causa delle sue ridotte dimensioni e della forma irregolare, non è assolutamente idonea all'edificazione nel rispetto della normativa vigente in materia" ed è "assolutamente estranea agli indirizzi definiti dal Comune per lo sviluppo urbanistico del proprio territorio". La deliberazione è inoltre motivata, per relationem, con il richiamo espresso alla relazione tecnica dell'11 agosto 2014, appositamente commissionata dallo stesso Comune di Corvara di Badia all'arch. Marcello De Biasi. Nella sua relazione, l'arch. M. De Biasi sottolinea che l'attuale classificazione dell'area in zona di completamento è frutto di "una palese svista", perché, ai fini di poter essere classificata come zona di completamento, l'area in questione avrebbe dovuto "presentare un'edificazione esistente per il 70% del volume complessivo" e il volume esistente avrebbe dovuto essere inoltre "antecedente al 1972, anno in cui sono entrati in vigore i piani urbanistici di prima generazione". L'arch. M. De Biasi sottolinea, in particolare, il fatto che l'area de qua deve considerarsi "autonoma", a se stante, perché separata dalla sottostante zona di completamento B1: "Questa zona, autonoma, perché non collegata con la zona sottostante, è alla data odierna libera da qualsiasi edificazione". Inoltre, l'arch. M. De Biasi sottolinea il fatto che "a causa della forma e dimensione" (superficie di soli mq 266,85, larghezza massima di 12 m. e forma triangolare) l'area in questione "non è idonea ad un 'eventuale edificazione nel rispetto della normativa vigente, che definisce le distanze dai confini" (cfr. doc. 13 del Comune).

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Le argomentazioni poste a base della deliberazione impugnata sono esaustive e appaiono esenti dal dedotto vizio di difetto di motivazione.

4. L'atto recante motivi aggiunti al ricorso n. 370/14 è parimenti infondato.

4.1. Sui motivi di illegittimità in via derivata è sufficiente richiamare quanto dedotto in sede di esame del primo e del secondo motivo del ricorso introduttivo n. 370/14 (sub 3.1. e sub 3.2.).

4.2. Con il primo motivo autonomo dell'atto recante motivi aggiunti il ricorrente ripropone, sviluppandola, la censura di difetto di motivazione fatta valere con il secondo motivo del ricorso introduttivo. In particolare, il ricorrente sottolinea che il Consiglio di Stato, nella sentenza n. 1036 del 2014, ha ritenuto che la deliberazione della Giunta provinciale n. 3844 del 23 ottobre 2006, concernente la riclassificazione urbanistica dell'area in esame, dovesse essere "correttamente qualificata come variante al p.u.c. incidente in modo pregiudizievole sul regime di edificabilità di un'area specifica, alquanto limitata e puntualmente individuata quanto all'assetto proprietario", non come "mera rettifica" (cfr. punto 5.1.1. della sentenza citata), annullando la deliberazione della Giunta provinciale n. 3844 del 23 ottobre 2006, per difetto di motivazione, e riconoscendo l'affidamento incolpevole del proprietario

sull'edificabilità delle aree interessate. La nuova variante sarebbe stata approvata omettendo di valutare l'interesse del privato e le deliberazioni impugnate sarebbero prive della necessaria puntuale motivazione in merito alla portata degli interessi pubblici coinvolti e riproporrebbero le stesse motivazioni che il Consiglio di Stato aveva ritenuto illegittime.

Le censure non sono fondate.

Il Collegio richiama, anzitutto, per economia processuale, quanto già dedotto in sede di esame del secondo motivo del ricorso introduttivo (sub 3.2.).

In aggiunta, il Collegio evidenzia che la sentenza del Consiglio di Stato n. 1036 del 2014 ha annullato la deliberazione della Giunta provinciale n. 3844 del 23 ottobre 2006, ritenendo, che essa avrebbe dovuto essere correttamente qualificata come variante al PUC, incidente in modo pregiudizievole sul regime di edificabilità di un'area specifica e non come mera rettifica di un errore ostativo o materiale emendabile e che, al pari di ogni variante implicante una scelta pianificatoria incidente sul regime di edificabilità di un'area limitata, avrebbe dovuto essere specificamente motivata. La sentenza faceva comunque salva ogni rideterminazione dell'Amministrazione, nell'osservanza dei requisiti sostanziali e procedimentali previsti dalla legge.

Orbene, mentre la deliberazione provinciale annullata dal Consiglio di Stato non conteneva una particolare motivazione a supporto della scelta urbanistica (avendo la Giunta provinciale erroneamente qualificato la nuova classificazione dell'area come una rettifica ad un precedente errore), nel caso in esame le deliberazioni impugnate hanno correttamente qualificato la nuova classificazione dell'area (come variante specifica), adducendo una specifica motivazione a giustificazione della nuova classificazione (come si è già rilevato sub 3.2.), tenendo conto della posizione qualificata del ricorrente, in conformità a quanto sancito nella citata sentenza del Consiglio di Stato.

4.3. Con il secondo motivo autonomo dell'atto recante motivi aggiunti il ricorrente lamenta il difetto di motivazione e di istruttoria del parere espresso dalla Commissione provinciale per la natura, il paesaggio e lo sviluppo del territorio (riportato nel provvedimento del 27 ottobre 2014), richiamato espressamente dal Consiglio comunale nella impugnata deliberazione n. 23 del 21 novembre 2014, con particolare riferimento all'affidamento qualificato del ricorrente, derivante dal giudicato di cui alla citata sentenza del Consiglio di Stato n. 1036 del 2014.

Il ricorrente contesta, inoltre, le argomentazioni contenute nella c.d. presa di posizione dell'Ufficio tecnico comunale dd. 21 novembre 2014 sulle osservazioni presentate dal ricorrente, richiamata nella succitata deliberazione del Consiglio comunale n. 23 del 2014, ritenendole insufficienti a giustificare la nuova variante. I provvedimenti impugnati non conterrebbero alcuna indicazione circa l'interesse pubblico ad una classificazione come verde agricolo dell'area.

Con il terzo motivo autonomo dell'atto recante motivi aggiunti il ricorrente afferma che la Giunta provinciale, nell'esaminare la variante specifica di cui si tratta, avrebbe avuto l'obbligo "di motivare autonomamente la scelta di confermare le valutazioni assunte dal Comune di Corvara in considerazione della specificità della posizione giuridica del signor P.".

Anche queste doglianze - che si prestano ad un esame congiunto - sono prive di fondamento.

Ai sensi dell'art. 21, comma 1, della legge provinciale 11 agosto 1997, n. 13, alle varianti al piano urbanistico comunale si applica la procedura prevista dall'articolo 19 della stessa legge.

Il comma 6 del citato art. 19 prevede il parere obbligatorio della Commissione provinciale per la natura del paesaggio e lo sviluppo del territorio.

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Nel caso di specie, la Commissione provinciale per la natura del paesaggio ha esaminato la deliberazione della Giunta comunale di Corvara in Badia n. 106 dell'11 agosto 2014, contenente la proposta di modifica della destinazione urbanistica dell'area de qua, e ha espresso su di essa parere positivo, condividendo le motivazioni poste alla base della scelta comunale e riportate nella suddetta deliberazione, che si ritengono commisurate al grado di affidamento del ricorrente (cfr. doc. 3 del ricorrente, depositato il 26.2.2015).

Si tratta di un parere tecnico endoprocedimentale, espresso nell'ambito della pianificazione urbanistica, che non richiede un'autonoma e specifica motivazione, necessaria solo nel caso, diverso da quello in esame, in cui il parere sia negativo.

Come già rilevato sopra, le caratteristiche dell'area oggetto della variante (che sono identiche, per conformazione ed estensione a quelle del 2003) sono state giudicate non idonee ad essere edificate, per i motivi esposti nella deliberazione della Giunta comunale n. 106 dell'11 agosto 2014 e nella richiamata relazione tecnica dell'arch. M. De Biasi.

Né può trovare applicazione, al caso di specie, l'art. 36 bis, comma 2, della legge provinciale n. 13 del 1997, che consente, in deroga al comma 1 dello stesso articolo, di ampliare le zone di completamento esistenti, mediante inclusione di aree contigue non o parzialmente confinanti, considerato che tale disposizione presuppone che le aree da includere nella vicina zona di completamento siano contigue alla zona di completamento, così da consentire un'edificazione omogenea della zona, mentre l'area oggetto della variante non è né confinante, né collegata con essa: dalla documentazione grafica in atti risulta un unico punto di contatto tra l'area de qua e la zona di completamento non sufficiente ai fini della applicabilità della deroga in esame (cfr. allegato al doc. 13 del ricorrente). Si tratta, in ogni caso, di una facoltà discrezionale, di cui il Comune può avvalersi in deroga al divieto di cui al comma 1 dello stesso art. 36 bis, non di un obbligo.

Parimenti infondata è la censura del ricorrente concernente la asserita mancata indicazione delle ragioni di pubblico interesse alla classificazione dell'area in zona agricola.

L'interesse alla classificazione dell'area in zona agricola è meramente consequenziale all'interesse allo stralcio della destinazione urbanistica a zona di completamento, anche in considerazione del fatto che nella Provincia autonoma di Bolzano non sono ammesse aree prive di destinazione urbanistica o zone c.d. bianche (cfr. art. 18, comma 2, della legge provinciale n. 13 del 1997).

Infine, non sussiste neppure il lamentato vizio di motivazione della deliberazione della Giunta provinciale n. 49 del 20 gennaio 2015, di approvazione definitiva della variante in esame, ben potendo l'Amministrazione provinciale limitarsi a dichiarare di condividere la scelta sottesa alla variante urbanistica de qua, richiamando le motivazioni contenute nella deliberazione della Giunta comunale n. 106 dell'11 agosto 2014 e del Consiglio comunale n. 23 del 21 novembre 2014.

Per le esposte considerazioni anche il ricorso n. 370/14 e il relativo atto recante motivi aggiunti sono infondati.

Le spese relative ai due ricorsi riuniti seguono la soccombenza e sono liquidate dal seguente dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa, Sezione autonoma di Bolzano, definitivamente pronunciando sui ricorsi riuniti n. 369/14 e n. 370/14 e sull'atto recante motivi aggiunti a quest'ultimo, come in epigrafe proposti, li rigetta.

Condanna il ricorrente a rifondere al Comune di Corvara in Badia e alla Provincia autonoma di Bolzano, in via solidale tra loro, le spese di lite, che si liquidano in complessivi Euro 4.000,00 (quattromila/00), oltre IVA, CPA e altri oneri accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Bolzano nella camera di consiglio del giorno 8 luglio 2015 con l'intervento dei magistrati:

Terenzio Del Gaudio, Presidente Margit Falk Ebner, Consigliere Lorenza Pantozzi Lerjefors, Consigliere, Estensore Peter Michaeler, Consigliere

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T.A.R.

T.A.R. Emilia-Romagna Bologna Sez. I, Sent., 30/07/2015, n. 701

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sui ricorsi n. 35 del 2008 e n. 408 del 2008 proposti da C. S.r.l., in persona dell'Amministratore unico Maura Antonioni, rappresentata e difesa dall'avv. Giancarlo Mengoli e dall'avv. Valerio Mengoli, e presso gli stessi elettivamente domiciliata in Bologna, via de' Carbonesi n. 5;

contro

il Comune di Bondeno, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Andrea Corinaldesi e dall'avv. Alberto Mischi, e presso gli stessi elettivamente domiciliato in Bologna, via Santo Stefano n. 50;

nei confronti di

della Provincia di Ferrara, in persona del Presidente p.t., rappresentata e difesa (limitatamente al ricorso n. 408/2008) dall'avv. Gianfranco Berti ed elettivamente domiciliata in Bologna, via Ugo Bassi n. 3, presso lo studio dell'avv. Lorenzina Cavazzana;

Regione Emilia-Romagna, Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale, Consorzio Bonifica Burana Leo Scoltenna Panaro;

per l'annullamento

- quanto al ricorso n. 35/2008 - della deliberazione del Consiglio comunale di Bondeno n. 91 del 25 ottobre 2007 (avente ad oggetto "approvazione variante specifica a PRG ai sensi dell'art. 15 comma 4 L.R. n. 47 del 1978 adottata con D.C.C. n. 18 del 02.04.2007"), nonché della deliberazione del Consiglio comunale di Bondeno n. 18 del 2 aprile 2007 (avente ad oggetto "variante specifica al PRG ai sensi dell'art. 15 comma 4 della L.R. n. 47 del 1978") e della deliberazione del Consiglio comunale di Bondeno n. 92 del 25 ottobre 2007 (avente ad oggetto "adozione variante normativa al PRG ai sensi dell'art. 15 comma 4 lett. c) L.R. n. 47 del 1978");

- quanto al ricorso n. 408/2008 - del "provvedimento conclusivo del procedimento unico" ex D.P.R. n. 447 del 1998 adottato con esito negativo dal Dirigente del Settore Tecnico del Comune di Bondeno con atto prot. gen. n. (...) (pratica n. 10/2007) del 7 febbraio 2008 sull'istanza della ricorrente di attivazione della procedura di VIA e contestuale attivazione della procedura di AIA per la realizzazione del progetto di "deposito preliminare rifiuti pericolosi (D15) nell'ambito dell'interporto sito in Bondeno, via Osti n. 2", nonché della deliberazione della Giunta provinciale di Ferrara n. 473 del 18 dicembre 2007 (avente ad oggetto "L.R. n. 9 del 1999. Decisione in merito alla procedura di VIA per il progetto di realizzazione di un deposito preliminare di rifiuti pericolosi (D15) nell'ambito dell'interporto sito in Bondeno. Ditta C. S.r.l."), della deliberazione della Giunta provinciale di Ferrara n. 261 del 6 luglio 2007 (recante proroga di sessanta giorni dei termini per l'adozione del provvedimento conclusivo della procedura di VIA e di AIA (atto n. 3 impugnato) e delle note provinciali prot. n. (...), prot. n. (...), prot. n. (...) e prot. n. (...), oltre che della comunicazione in data 12 novembre 2007 ex art. 10-bis della L. n. 241 del 1990;

per la condanna

del Comune di Bondeno e della Provincia di Ferrara al risarcimento dei danni.

Visti i ricorsi con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Bondeno e, limitatamente al ricorso n. 408/2008, della Provincia di Ferrara;

Visti gli atti tutti della causa;

Nominato relatore il dott. Italo Caso;

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Uditi l'avv. Valerio Mengoli, l'avv. Michele Lombardo e l'avv. Sara Pantanali, per le parti, alla pubblica udienza del 18 giugno 2015;

Svolgimento del processo - Motivi della decisione

Titolare nel territorio comunale di Bondeno di un impianto per le operazioni di deposito preliminare (D15) e messa in riserva (R13) di rifiuti non pericolosi ai fini del loro riutilizzo, la società ricorrente - che svolge attività di carico, scarico, movimentazione, stoccaggio e trasporto di materiali di qualsiasi natura per conto terzi servendosi di uno stabilimento assimilabile ad un terminal merci per lo scambio camion-ferrovia nell'ambito del trasporto intermodale - promuoveva nel 2007 un procedimento congiunto di "valutazione di impatto ambientale" e di "autorizzazione integrata ambientale", per vedersi assentita la realizzazione di un deposito preliminare di rifiuti pericolosi, così da ampliare a questi ultimi la propria attività. Ricevuta, però, una comunicazione dalla Provincia di Ferrara, ai sensi dell' art. 10-bis della L. n. 241 del 1990, circa la sussistenza di motivi ostativi legati alla sopraggiunta adozione di una variante urbanistica (deliberazione comunale n. 92 del 25 ottobre 2007) preclusiva di nuove attività di recupero e stoccaggio di rifiuti, per l'uso U.22, sull'intero territorio del Comune di Bondeno, la ditta impugnava gli atti della procedura di variante del piano regolatore che avrebbe potuto determinare l'esito negativo della sua istanza (ricorso n. 35/2008).

Assume indebitamente impiegata la procedura semplificata di "variante" di cui all'art. 15 della L.R. n. 47 del 1978, per trattarsi di modificazione degli usi di aree non ascrivibile al genus delle "varianti normative" e quindi da assoggettare all'ordinario iter di pianificazione urbanistica di cui al precedente art. 14. Imputa, poi, all'Amministrazione comunale di avere giustificato il ricorso alla variante "di salvaguardia" con l'esigenza di dare séguito ad un'osservazione della Provincia di Ferrara, in realtà del tutto disattesa e travisata giacché non si sarebbe tenuto conto della problematica dello smaltimento delle acque meteoriche nei terreni oggetto dell'originario procedimento di variante di piano e non si sarebbe considerata la necessità di occuparsi della sicurezza idraulica dell'intero territorio locale nella sola sede a ciò deputata, ovvero l'emanando piano strutturale comunale. Censura, inoltre, la nuova norma di piano (relativamente all'uso U.22 - Impianti tecnologici, nell'ambito dell'art. 22 n.t.a., è stato previsto "Sono esclusi tutti gli interventi relativi alla nuova costruzione o al recupero di strutture esistenti da destinarsi alle attività di gestione dei rifiuti, ed in particolare verranno escluse le attività di recupero e di stoccaggio (Deposito preliminare di rifiuti D15 e messa in riserva dei materiali R13) così come meglio definite dall' art. 183 del D.Lgs. n. 152 del 2006 in tutte le zone omogenee dell'intero territorio, fatto salvo per le attività già autorizzate"), in quanto espressione di un illegittimo divieto indiscriminato di determinate tipologie di attività produttive in zone che per loro natura sono destinate ad attività produttive, e comunque illogicamente preclusiva di un'attività di deposito meramente temporaneo di materiali già prodotti da altri perciò necessaria per la protezione dell'ambiente, con conseguente incompatibilità della norma anche con l'art. 43, Cost. circa il libero esercizio delle attività economiche. Denuncia, ancora, lo sviamento di potere che caratterizzerebbe le determinazioni dell'Amministrazione comunale, giacché il dichiarato fine di tutelare il territorio dal rischio idrogeologico sarebbe smentito dalla mancata previsione del divieto per altre attività produttive ben più rilevanti, quale la stessa produzione di rifiuti pericolosi, e nasconderebbe il vero obiettivo di bloccare la nuova attività della ditta. Deduce, poi, l'illogicità e il carattere sproporzionato di un divieto che si estende all'intero territorio comunale e che avrebbe invece richiesto l'accertamento puntuale dello stato dei luoghi per potersene poi circoscrivere gli effetti alle sole aree effettivamente interessate da simili problematiche, tenuto conto del resto delle varie cautele e prescrizioni stabilite dalla legge per simili attività e quindi della possibilità di introdurre limitazioni ben ponderate, secondo tipologie di attività e caratteristiche ambientali specifiche. Si duole, infine, dell'indebita inclusione della sua area tra quelle interessate dal rischio idrogeologico, come si evincerebbe dalla relazione geologico-tecnica di un consulente di parte. Di qui la richiesta di annullamento degli atti impugnati.

Si è costituito in giudizio il Comune di Bondeno, resistendo al gravame.

Nel frattempo si concludeva con esito negativo l'iter autorizzatorio avviato con l'istanza della società ricorrente (v. provvedimento conclusivo del procedimento unico" ex D.P.R. n. 447 del 1998 adottato in data 7 febbraio 2008 dal Dirigente del Settore Tecnico del Comune di Bondeno e deliberazione della Giunta provinciale di Ferrara n. 473 del 18 dicembre 2007). Avverso gli atti del procedimento ha quindi proposto un'autonoma impugnativa l'interessata (ricorso n. 408/2008).

Censura la ragione ostativa legata alla sopraggiunta deliberazione comunale n. 92/2007 (divieto di nuove attività di recupero e stoccaggio di rifiuti, per l'uso U.22, sull'intero territorio del Comune di Bondeno), in quanto relativa ad un atto di mera adozione e non ancora approvazione della "variante", in quanto erroneamente fondata sulla sussumibilità della progettata attività della ditta sotto l'uso U.22 anziché sotto l'uso U.27 e in quanto viziata in via derivata dalla deliberazione comunale del 2007 già impugnata con il ricorso n. 35/2008. Assume illegittimi, poi, gli ulteriori rilievi mossi dall'Amministrazione provinciale circa la compatibilità programmatica del progetto, a proposito cioè della vicinanza a nuclei abitati e a proposito della questione dell'impatto acustico. Si duole, ancora, di altre osservazioni riferite al progetto - anche se in assenza di elementi che ne chiariscano la natura di motivi

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autonomi di diniego -, circa in particolare l'asserita migliorabilità dell'elaborato tecnico e il possibile aggravio per la qualità dell'aria della zona. Denuncia, inoltre, la tardiva conclusione del procedimento per la deliberazione della valutazione di impatto ambientale, giacché protrattosi oltre i termini a tal fine stabiliti dall'art. 16, comma 1, e dall'art. 18, comma 8, della L.R. n. 9 del 1999, all'evidente scopo di attendere l'adozione della "variante" comunale e poter in tal modo addurre un motivo ostativo altrimenti insussistente. Lamenta, infine, la carente indicazione, nella comunicazione ex art. 10-bis della L. n. 241 del 1990, dei motivi di diniego diversi dalla preclusione derivante dalla sopraggiunta variante di piano. Di qui la richiesta di annullamento degli atti impugnati e di risarcimento dei danni.

Si sono costituiti in giudizio il Comune di Bondeno e la Provincia di Ferrara, resistendo al gravame.

All'udienza pubblica del 18 giugno 2015, ascoltati i rappresentanti delle parti, i due ricorsi sono stati assegnati in decisione.

Osserva preliminarmente il Collegio che, per evidenti motivi di connessione, si può provvedere alla riunione dei ricorsi, ai sensi dell'art. 70, cod. proc. amm. L'infondatezza degli stessi, inoltre, esonera dal vaglio delle eccezioni di inammissibilità e improcedibilità sollevate nel corso del giudizio.

Nel merito, muovendo dall'esame del ricorso n. 35/2008, una prima questione è legata all'ammissibilità o meno dell'impiego della procedura semplificata di pianificazione urbanistica di cui all'art. 15 della L.R. n. 47 del 1978, a dire della ricorrente circoscritta all'ipotesi delle "varianti normative", quale non sarebbe il caso in esame. In realtà - osserva il Collegio - appare corretto il richiamo operato nella circostanza all'art. 15, comma 4, lett. c), della L.R. n. 47 del 1978 ("Sono approvate dal Consiglio comunale, con le procedure di cui all'art. 21, integrate da quanto disposto dal comma 5, le varianti al P.R.G. relative a: a) ...; b) ...; c) la modifica delle previsioni del P.R.G. vigente, a condizione che dette varianti: 1) non prevedano, nell'arco di validità del piano, incrementi complessivi della nuova capacità insediativa o incrementi delle zone omogenee D maggiori del tre per cento per i Comuni con abitanti teorici superiori ai 30.000 abitanti e del sei per cento per i restanti Comuni, e garantiscano nel contempo il rispetto delle dotazioni di standards urbanistici previsti dalla legge regionale; 2) non riguardino zone sottoposte a tutela, ai sensi dell'art. 33 della presente legge; 3) non ineriscano alla disciplina particolareggiata per la zona omogenea A, di cui all'art. 35, comma quinto della presente legge, salvo che per la ridefinizione delle unità minime di intervento e la modifica delle destinazioni d'uso che non abbiano incidenza sugli standards urbanistici di aree per servizi pubblici; d) ..."), in quanto la norma non reca limitazioni alle tipologie di "varianti" ammesse, ma pone unicamente le tre condizioni di intervento ivi espressamente indicate (e della cui eventuale insussistenza non viene fornita prova dalla società ricorrente), il che assorbe ogni altro aspetto, anche quello della denunciata non riconducibilità della variante in oggetto al genus delle "varianti normative".

Né è fondata la censura relativa alla presunta contraddittorietà e incompatibilità tra le deliberazioni assunte dal Comune di Bondeno in sede di variante di piano e l'osservazione presentata dalla Provincia di Ferrara in ordine alla tematica della sicurezza idraulica del territorio. La circostanza, invero, che l'Amministrazione provinciale avesse sollevato la delicata questione dello smaltimento delle acque meteoriche e delle problematiche in tal senso emerse da tempo in sede locale, lungi dal determinare un'unica e inderogabile soluzione procedurale e di merito, lasciava in realtà all'ente titolare del potere di pianificazione un significativo margine di scelta circa le opzioni da seguire per affrontare il tema, in conformità agli indirizzi formulati. Estraneo, allora, alla presente controversia l'aspetto della disciplina relativa alle aree interessate dalla variante di cui alla deliberazione n. 91/2007, e rilevante unicamente la questione della variante "di salvaguardia" di cui alla deliberazione n. 92/2007 - che fa ricadere nel proprio ambito di applicazione l'intervento della società ricorrente -, il Collegio è dell'avviso che la scelta di adottare una simile misura cautelativa, anche se non richiesta dall'Amministrazione provinciale, non si presenti per ciò solo illegittima, giacché risponde in ogni caso all'avvertita esigenza di scongiurare fenomeni pregiudizievoli per la sicurezza idraulica dell'intero territorio nelle more della definitiva disciplina da assumere con il piano strutturale comunale, sì che, a ben vedere, non se ne coglie un'effettiva incoerenza con le preoccupazioni dell'ente provinciale, e neppure se ne ravvisa un'insufficiente motivazione, a fronte della chiara finalità di non procedere ad ulteriori interventi prima della compiuta regolamentazione attesa con il nuovo strumento urbanistico, per preservarne l'efficacia e in tal modo tutelare il territorio dal rischio idrogeologico.

Non persuade nemmeno la doglianza imperniata sull'addotta intollerabilità di un divieto indiscriminato di determinate tipologie di attività produttive sull'intero territorio comunale. La giurisprudenza ha riconosciuto ammissibili le c.d. "varianti di salvaguardia", da intendere come provvedimenti di pianificazione e legittima modalità di programmazione dello sviluppo del territorio, se fondate su problematiche specifiche dell'assetto del territorio a tutela del suo pregio ambientale, storico o artistico, e preordinate all'obiettivo di porre una limitazione all'edificazione in date zone fino alla compiuta e ponderata disciplina dettata da un nuovo strumento urbanistico che ne regolamenti in modo organico l'uso, sì da rispondere in tali casi le varianti ad esigenze effettive, concrete e attuali di programmazione del territorio, senza risolversi in misure interinali di salvaguardia volte all'esclusivo fine dell'adozione di futuri atti pianificatori, esse sì incompatibili con l'ordinamento (v. Cons. Stato, Sez. VI, 5 aprile 2013 n. 1882). Nella fattispecie, invero, la misura restrittiva è seguita alla presa di coscienza delle criticità legate allo

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smaltimento delle acque meteoriche e alla non agevole soluzione delle problematiche ambientali a ciò collegate, anche alla luce dei fenomeni di allagamento verificatisi in passato, sicché la scelta di vietare nuovi insediamenti legati alle attività di recupero e stoccaggio dei rifiuti trova giustificazione in obiettive esigenze di protezione dal rischio idrogeologico, in vista del completamento di studi propedeutici alla redazione del piano strutturale comunale. Non se ne desumono, in definitiva, profili di arbitrario esercizio della funzione pianificatoria, a fronte di una previsione che, lungi dal congelare lo stato di fatto al solo scopo di lasciare integro il potere di ridisciplina dell'assetto urbanistico locale, mira in realtà a proteggere l'ambiente da interventi che, in ragione dell'istruttoria compiuta, richiedono prudenzialmente la previa definizione di regole adeguate alla tutela del territorio.

Quanto, poi, al denunciato sviamento di potere, il Collegio ritiene plausibile che la decisione di introdurre il divieto di nuove attività di recupero e stoccaggio dei rifiuti sia stata adottata anche tenendo conto dell'istanza della società ricorrente e che ciò abbia influito sul tenore della "variante". Che, però, l'Amministrazione comunale abbia avvertito i rischi legati all'ampliamento dei settori di intervento della ditta, traendone elementi di giudizio utili alle scelte operate in sede pianificatoria, non si risolve di per sé in un'alterazione delle modalità di esercizio della funzione amministrativa, nel senso che resta indimostrato che l'obiettivo perseguito non è quello della salvaguardia del territorio comunale nelle more della compiuta ridisciplina dell'assetto urbanistico locale. Va ricordato, del resto, che il vizio di eccesso di potere per sviamento consiste nell'effettiva e comprovata divergenza fra l'atto e la sua funzione tipica, ovvero nell'esercizio del potere per finalità diverse da quelle enunciate dal legislatore con la norma attributiva dello stesso - in particolare quando l'atto sia stato determinato da un interesse differente da quello pubblico -, tuttavia la censura di sviamento va supportata da precisi e concordanti elementi di prova, non essendo sufficienti semplici supposizioni o indizi che non si traducano nella dimostrazione dell'illegittima finalità perseguita in concreto dall'Amministrazione, né il vizio è ravvisabile quando l'atto sia comunque adottato conformemente alle norme sulla sua forma e sul suo contenuto e risulta in ogni caso aderente al fine cui è istituzionalmente preordinato (v., tra le altre, Cons. Stato, Sez. VI, 3 luglio 2014 n. 3355). La circostanza, quindi, che non si siano vietate altre tipologie di attività produttive, anche più rilevanti ai fini del rischio idrogeologico, ben può dipendere da ragioni che non hanno a che vedere con la finalità di danneggiare la società ricorrente, quale - ad es. - la consapevolezza che in un comune di così piccole dimensioni non fossero prevedibili nel breve termine nuove attività produttive in quei settori e che il carattere transitorio della misura escludesse la necessità di ampliarne la portata.

Quanto, ancora, all'asserita illogicità e sproporzione del divieto indiscriminato delle attività di recupero e stoccaggio dei rifiuti, ben si comprende come sarebbe stato più soddisfacente per l'interesse pubblico una disciplina pianificatoria che avesse immediatamente provveduto a dettare regole organiche e puntuali per l'intero territorio comunale, contemperando in modo adeguato la necessità di protezione dal rischio idrogeologico con l'esigenza di garantire lo svolgimento di attività private di interesse generale. Sennonché, quando un'Amministrazione comunale rileva una situazione di diffusa criticità sul territorio per fenomeni di allagamento derivati dalla difficoltà di smaltimento delle acque meteoriche e gli studi tecnici necessari all'adozione delle scelte urbanistiche più appropriate non risultano giunti ad uno stadio di completezza ritenuto accettabile, non si presenta in sé censurabile la decisione di impedire nuovi insediamenti produttivi, lasciando però che prosegua l'attività di quelli già assentiti, fino a che non venga assunta in sede pianificatoria una disciplina organica tale da definire regole frutto di un consapevole e ponderato apprezzamento degli interessi in gioco. Stante l'ampia discrezionalità di cui gode in materia l'Amministrazione, non ritiene quindi il Collegio che, alla luce della situazione accertata, la scelta si presenti in sé arbitraria o ingiustificata, semmai opinabile - per le soluzioni alternative possibili (segnalate anche nel ricorso) - in una sfera di merito sottratta al sindacato di legittimità del giudice amministrativo.

Quanto, infine, all'addotta erronea estensione all'area della società ricorrente di un divieto che non troverebbe fondamento in parte qua, perché riguardante terreno con caratteristiche che lo escluderebbero in toto dal rischio idraulico, il Collegio considera ininfluente un simile aspetto sulla legittimità della scelta urbanistica censurata e pertanto non necessaria un'indagine specifica circa la correttezza tecnica degli elementi allegati in giudizio (v. relazione geologico-tecnica allegata al ricorso). Come si è detto, la decisione dell'Amministrazione ha incluso nel divieto tutte le aree produttive per un'esigenza prudenziale, non ravvisandosi negli studi a disposizione dati sufficienti per operare scelte selettive e definitive in materia; in quest'ottica, la circostanza che tra le varie zone comunali sussistessero differenti caratteristiche geomorfologiche, ed eventualmente anche situazioni che, isolatamente considerate, non evidenziassero un apprezzabile livello di rischio idraulico, non inficia le determinazioni adottate, il cui carattere generale è scaturito da valutazioni di tipo cautelativo, non manifestamente illogiche, in attesa di una disciplina complessiva che nel previsto nuovo strumento urbanistico regolasse in modo organico la questione.

Le altre censure da esaminare sono state proposte con il ricorso n. 408/2008.

Quanto, innanzi tutto, alla lamentata applicazione di una norma di piano del tutto provvisoria - perché all'adozione della "variante" avrebbe dovuto seguire l'approvazione e tale circostanza rappresentava un accadimento futuro per nulla certo -, il Collegio ricorda che la deliberazione comunale di adozione di una variante allo strumento urbanistico, pur costituendo un elemento della fattispecie complessa che si completa con l'atto di

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approvazione, acquista anche un'efficacia imperativa diretta e propria, che ne fa uno strumento di governo del territorio idoneo ad impedire gli interventi edilizi ed urbanistici con essa contrastanti, imponendo l'applicabilità delle misure di salvaguardia (v. Cons. Stato, Sez. IV, 22 agosto 2013, n. 4243). Pertanto, una volta adottata dal Comune di Bondeno la "variante", l'Amministrazione chiamata a pronunciarsi sulla richiesta di rilascio dell'autorizzazione integrata ambientale non avrebbe potuto discostarsi dalle relative previsioni, assentendo un intervento con esse in contrasto; ove, poi, quelle previsioni non fossero state confermate in sede di approvazione o comunque fossero successivamente venute meno, la società ricorrente bene avrebbe potuto ripresentare l'istanza, invocando la conformità del proprio progetto alla normativa urbanistica in essere.

Quanto, ancora, all'assunto per cui non deriverebbe dalla "variante" comunale un'effettiva preclusione al progetto della società ricorrente in quanto la relativa attività ricadrebbe nell'uso U.27 (Attrezzature per la mobilità e l'interscambio delle persone e delle merci) e non nell'uso U.22 (Impianti tecnologici), si tratta di doglianza che muove dal rilievo che l'art. 22 delle n.t.a. del piano regolatore comunale include nell'uso U.22 solo gli "impianti per il trattamento dei rifiuti e simili", sicché le attività di stoccaggio ascrivibili al punto D15 non sarebbero vietate nel territorio comunale di Bondeno se relative ad impianti di mera movimentazione dei rifiuti. Il Collegio è tuttavia dell'avviso che la locuzione "impianti per il trattamento dei rifiuti e simili" abbia in tale contesto una latitudine estesa a tutte le attività che comportino il maneggio dei rifiuti e che l'apposizione "e simili" abbia questo specifico fine, come del resto appare confermato dalla circostanza che la norma aggiunta dalla variante di piano del 2007 parli di "...strutture esistenti da destinarsi alle attività di gestione dei rifiuti, ed in particolare ...", essendo notorio come la "gestione" includa tutto il ciclo di cura dei rifiuti (v. art. 183 D.Lgs. n. 152 del 2006). D'altra parte è insito nel sistema che i "rifiuti" non possano essere assimilati a qualsiasi tipo di merce, sicché lo speciale regime giuridico che li contraddistingue si riflette coerentemente sulle regole, anche urbanistico/ambientali, che in vario modo ne disciplinano l'uso, a meno che singole previsioni non dettino deroghe esplicite in tal senso.

Quanto, invece, alla presunta illegittimità derivata dalla presupposta deliberazione comunale di adozione della variante allo strumento urbanistico, vanno richiamate le suindicate considerazioni a proposito dell'infondatezza delle censure formulate con il ricorso n. 35/2008 avverso quella deliberazione.

Si può prescindere, poi, dalle questioni relative agli ulteriori capi di motivazione censurati dalla società ricorrente relativamente alle determinazioni conclusive del procedimento, essendo notorio che, laddove un provvedimento amministrativo di segno negativo si fondi su una pluralità di ragioni, ciascuna delle quali di per sé idonea a supportarla in modo autonomo, è sufficiente che anche una sola di esse resista alle censure mosse in sede giurisdizionale perché il provvedimento nel suo complesso resti esente dall'annullamento, divenendo in tal modo irrilevanti, per difetto di interesse, le ulteriori doglianze dedotte dal ricorrente avverso le altre ragioni opposte dall'Autorità emanante a rigetto della sua istanza (v., ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 22 dicembre 2014, n. 6337).

Priva di fondamento, poi, è la doglianza legata alla tardiva conclusione del procedimento per la deliberazione della valutazione di impatto ambientale, stante l'oggettivo superamento dei termini a tale scopo stabiliti dall'art. 16, comma 1, e dall'art. 18, comma 8, della L.R. n. 9 del 1999. Quali che siano le ragioni che hanno condotto al protrarsi dell'iter oltre i tempi massimi stabiliti dalla normativa regionale, va infatti considerato che, quando l'ordinamento non riconnette specifiche conseguenze al mancato rispetto del termine previsto dalla legge per la conclusione del procedimento - e in materia di VIA il potere dell'Amministrazione non si consuma (v., tra le altre, TAR Campania, Napoli, Sez. I, 5 novembre 2010, n. 23129) -, il ritardo con cui si sia eventualmente provveduto sull'istanza non è idoneo ad inficiare la legittimità del sopraggiunto diniego, giacché l'astratta configurabilità di una responsabilità da ritardo può al più dare luogo alla spettanza di un ristoro di tipo risarcitorio, ove ne sussistano i presupposti, ma non assume certamente rilievo ai fini della validità del provvedimento conclusivo, che resta quindi indipendente da tale fattore.

Non induce a diverse conclusioni neppure la censura relativa all'insufficiente contenuto della comunicazione dei motivi ostativi ex art. 10-bis della L. n. 241 del 1990, in quanto - lamenta la società ricorrente - circoscritta alla questione della sopravvenuta deliberazione comunale di adozione della "variante" e priva di riferimenti agli altri aspetti preclusivi poi richiamati nelle determinazioni finali. Come si è detto, invero, il divieto derivante dalla nuova disciplina di piano è risultato ex se idoneo a sorreggere l'esito negativo del procedimento, sicché si presentano a questo punto irrilevanti eventuali irregolarità legate ad altri profili della vicenda.

Resta da vagliare l'istanza risarcitoria.

Proposta la stessa per la responsabilità dell'Amministrazione da attività provvedimentale illegittima, ed emersa tuttavia l'insussistenza dei vizi denunciati, il Collegio evidenzia come nella domanda di parte si possa però ritenere ricompresa una residua richiesta di ristoro del danno subito in conseguenza del mero ritardo nella conclusione del procedimento per la deliberazione della valutazione di impatto ambientale. A tal proposito, è noto come costituisca principio consolidato che in tema di responsabilità da ritardo il ricorrente ha l'onere di provare, secondo i principi generali, la sussistenza e l'ammontare dei danni dedotti, in quanto la limitazione dell'onere della prova gravante sulla parte che agisce in giudizio, tipica del processo amministrativo, si fonda sulla naturale

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ineguaglianza delle parti di consueto connotante il rapporto amministrativo di natura pubblicistica intercorrente tra la parte privata e l'Amministrazione, mentre l'esigenza di un'attenuazione dell'onere probatorio a carico della parte ricorrente viene meno con riguardo alla prova dell'an e del quantum dei danni azionati in via risarcitoria, inerendo in siffatte ipotesi i fatti oggetto di prova alla sfera soggettiva della parte che si assume lesa e trovandosi le relative fonti di prova normalmente nella sfera di disponibilità dello stesso soggetto leso (v., tra le altre, Cons. Stato, Sez. IV, 26 marzo 2012, n. 1750); spettando, dunque, all'interessato dare contezza del vulnus subito, la quantificazione del lucro cessante, in particolare, non può prescindere da una indicazione, né generica né esplorativa, dei mancati guadagni, delle mancate occasioni e degli aggravi patrimoniali indiretti, scaturiti dal ritardo a provvedere (v., da ultimo, TAR Abruzzo, L'Aquila, 14 gennaio 2015, n. 10). Nella fattispecie, al contrario, nulla ha in tal senso specificato la società ricorrente, che si è limitata a richiedere una consulenza tecnica d'ufficio per accertare e stimare i danni patiti e in via subordinata ha invocato la quantificazione in via equitativa ex art. 1226, cod. civ. , laddove la consulenza è strumento di valutazione delle prove fornite dalla parte ma non può supplire a un deficit probatorio della parte stessa, cui è quanto meno richiesta l'allegazione di fatti da cui ricavare l'importo da risarcire (v., ex multis, TAR Lombardia, Milano, Sez. III, 4 giugno 2015, n. 1301); è ben vero, poi, che si tratta di attività non ancora avviata, ciò nonostante solo la società ricorrente è a conoscenza di dati, quali le dimensioni dell'azienda e il grado di penetrazione nel mercato della sua pregressa attività per i rifiuti non pericolosi, che avrebbero permesso di stimare, seppure in via approssimativa, i guadagni ottenibili in conseguenza dell'autorizzazione non rilasciata. Anche, pertanto, a ritenere sussistenti tutte le altre condizioni per il risarcimento del danno da ritardo, si oppone all'accoglimento dell'istanza - assorbendo ogni ulteriore accertamento - la mancata allegazione dei fatti rivelatori dell'entità del pregiudizio che si assume subito in conseguenza della tardiva conclusione del procedimento, avvenuta quando era oramai sopraggiunta la normativa urbanistica ostativa alla realizzazione del progetto della società ricorrente.

Per le esposte considerazioni, i due ricorsi vanno respinti.

La complessità delle questioni esaminate induce il Collegio a disporre l'integrale compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia-Romagna, Bologna, Sez. I, pronunciando sui ricorsi in epigrafe, e riuniti gli stessi ai sensi dell'art. 70, cod. proc. amm., li respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità Amministrativa.

Così deciso in Bologna, nella Camera di Consiglio del 18 giugno 2015, con l'intervento dei magistrati:

Michele Perrelli, Presidente Italo Caso, Consigliere, Estensore Ugo De Carlo, Primo Referendario

T.A.R. Toscana Firenze Sez. I, Sent., 11/06/2015, n. 883

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 704 del 2010, proposto da:

M.M.A., rappresentata e difesa dagli avv. Andrea Cuccurullo, Umberto Gulina, con domicilio eletto presso lo studio del primo, in Firenze, lungarno A. Vespucci 20;

contro

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Comune di Sorano, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Nicola Maria Tamburro, con domicilio eletto presso Mauro Montini in Firenze, Via dei Rondinelli, 2;

per l'annullamento

della Determina n. 06 del 02.02.2010 emessa dal Responsabile del Procedimento arch. Simona Boncori del Comune di Sorano di confermare la definitività' e l'inoppugnabilità' dei provvedimenti di silenzio rigetto e/o silenzio rifiuto formatisi sulle istanze presentate dalla ricorrente il 21.04.2003 e il 12.02.2007 e comunque di dichiarare la inammissibilità e/o improcedibilità, per carenza di P.A.I.U. riguardante l'area interessata e, per quanto occorre possa, per la intervenuta efficacia delle norme di salvaguardia dell'adottato Piano Strutturale di Sorano, pervenuto a mezzo posta il 09.02.2010.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Sorano;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 maggio 2015 il dott. Bernardo Massari e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Svolgimento del processo

Riferisce la ricorrente di essere proprietaria di un'area sita in località Santa Maria dell'Aquila, nel Comune di Sorano, che, nella variante al PRG approvata il 30 marzo 1989 era inserita nel "Sottosistema nucleo A3" all'interno del quale era possibile la realizzazione di attrezzature termali e/o di natura ricettiva, previa approvazione del cosiddetto Piano amministrativo di inquadramento urbanistico - PAIU - il quale, pur non costituendo uno strumento attuativo, era ritenuto necessario prima della presentazione e approvazione di un piano di lottizzazione.

Nell'anno 2003 la ricorrente chiedeva, per quanto di interesse, l'approvazione del PAIU che, tuttavia, non venne esaminato in quanto la Commissione urbanistica comunale aveva ritenuto incompleta la documentazione presentata. In data 12 febbraio 2007 la ricorrente presentava il progetto del piano di lottizzazione il cui iter veniva interrotto nelle more del procedimento di adozione del nuovo Piano strutturale.

Con nota del 10 settembre 2009 la deducente presentava istanza al Presidente della Giunta regionale per la nomina di un commissario ad acta che, a fronte dell'inerzia del Comune, esercitasse i poteri sostitutivi previsti dalla legge.

Il successivo 8 ottobre la Giunta regionale, in disparte la questione dell'approvazione del PAIU, invitava il Comune ad istruire il piano di lottizzazione presentato dalla ricorrente e a determinarsi su di esso, segnalando, tuttavia, che qualsiasi determinazione dovrà intervenire anche nel rispetto del piano strutturale e delle relative salvaguardie.

Ricevuta la nota di cui sopra, la ricorrente diffidava l'Amministrazione intimata a provvedere adottando le determinazioni finali sul piano attuativo entro 60 giorni dalla comunicazione.

In esito alla diffida il Comune di Sorano emetteva la determinazione del 2 febbraio 2010 con cui si confermava la definitività' e l'inoppugnabilità' dei provvedimenti di silenzio rigetto e/o silenzio rifiuto formatisi sulle istanze presentate dalla ricorrente il 21.04.2003 e il 12.02.2007 dichiarando l'istanza di approvazione del piano di lottizzazione inammissibile o improcedibili, per carenza di P.A.I.U. riguardante l'area interessata e, comunque, per la intervenuta efficacia delle norme di salvaguardia dell'adottato Piano strutturale.

Avverso tale atto proponeva ricorso la sig.ra Andreoli chiedendone l'annullamento, previa sospensione, e deducendo:

1. Violazione dell' art. 10 bis della L. n. 241 del 1990.

2. Violazione degli artt. 65-70 e dell' art. 28 della L. n. 1150 del 1942. Eccesso di potere e/o violazione dell' art. 1, co. 2, della L. n. 241 del 1990.

Si costituiva in giudizio il Comune di Sorano instando per la reiezione del gravame.

Con ordinanza n. 370 del 20 maggio 2010 veniva respinta l'istanza incidentale di sospensione dell'atto impugnato.

Alla pubblica udienza del 6 maggio 2015 il ricorso veniva trattenuto per la decisione.

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Motivi della decisione

La sig.ra A.M.M. impugna il provvedimento in epigrafe con cui il Comune di Sorano, confermando la definitività del silenzio rigetto formatosi sulle istanze del 21 aprile 2003 e 12 febbraio 2007, volte ad ottenere l'approvazione di un piano attuativo, ha dichiarato la inammissibilità e/o improcedibilità, per carenza di P.A.I.U. riguardante l'area interessata e per la intervenuta efficacia delle norme di salvaguardia dell'adottato Piano strutturale.

Il ricorso non è suscettibile di accoglimento.

Come rilevato nelle sue difese dal Comune di Sorano, la richiesta di esame del piano di lottizzazione presentato dalla ricorrente non poteva aver luogo attesa l'intervenuta adozione, nelle more del procedimento, del nuovo Piano strutturale comunale.

E' del tutto pacifico, infatti, che l'adozione di un nuovo strumento urbanistico (o di una variante allo stesso) implica l'automatica instaurazione di un transitorio "regime di salvaguardia", con conseguente sospensione di qualsiasi procedimento volto al rilascio di concessioni edilizie (o di altri titoli edilizi) e/o di strumenti attuativi del precedente strumento urbanistico (piani di lottizzazione, piani particolareggiati, piani di edilizia convenzionati, piani di risanamento etc.) che contrastino con le disposizioni di quello in corso di approvazione.

Al riguardo la giurisprudenza ha ritenuto che "l'esigenza sottesa all'applicazione della misura di salvaguardia di cui all' art. 12, comma 3, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 ...deve essere individuata con la necessità di evitare che, nelle more del relativo procedimento di approvazione, le richieste dei privati fondate su una pianificazione ritenuta non più attuale, finiscano per alterare profondamente la situazione di fatto e, di conseguenza, per pregiudicare definitivamente proprio gli obiettivi generali cui invece è finalizzata la programmazione urbanistica generale" (Cons. Stato sez. IV, 26 luglio 2012 n. 4254).

Infatti, il regime di salvaguardia in questione mira ad assicurare "la sospensione di ogni determinazione degli interventi edilizi in contrasto con lo strumento della pianificazione territoriale e degli atti di governo adottati' sino all'efficacia dello strumento della pianificazione territoriale o dell'atto di governo del territorio (e comunque non oltre tre anni dalla data del relativo provvedimento di adozione) tutelando la potestà pianificatoria dell'ente...onde evitare nelle more la realizzazione di interventi pregiudizievoli con gli indirizzi strategici di sviluppo del territorio" (Cons. Stato sez. IV, 9 ottobre 2012 n. 5257).

D'altro canto tale situazione di temporaneo stallo non è senza rimedi, potendo l'interessato reagire proponendo ricorso, dal momento che la delibera di adozione del piano regolatore è immediatamente impugnabile qualora sia suscettibile di immediata applicazione, mediante le misure di salvaguardia (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 21 giugno 2001, n. 3341; T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. I, 13 novembre 2014 n. 1865).

E' quindi sfornita di pregio la doglianza relativa all'asserita violazione dell' art. 10 bis della L. n. 241 del 1990 dal momento che il vizio comunicativo e partecipativo non inficia la validità dell'atto se, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato e, comunque, in caso di provvedimenti discrezionali, se l'Amministrazione dimostra in giudizio che il contenuto del provvedimento, quand'anche la partecipazione vi fosse stata, non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (tra le tante, Cons. Stato sez. IV, 12 marzo 2015, n. 1279; id., sez. V, 23 marzo 2015, n. 1550).

Altrettanto infondata si palesa la tesi, sostenuta con il secondo motivo, per cui non si sarebbe formato alcun silenzio/rifiuto in ordine all'istanza di approvazione del piano attuativo, né a fronte di questa potrebbe configurarsi l'inerzia dell'interessata.

In realtà l' art. 22 della L. n. 136 del 1999 stabilisce che "L'approvazione da parte dei consigli comunali di piani attuativi di iniziativa privata, conformi alle norme ed agli strumenti urbanistici vigenti, deve intervenire entro il termine di novanta giorni a decorrere dalla data di presentazione dell'istanza corredata degli elaborati previsti" salvo il decorso di ulteriori novanta giorni qualora vi sia necessità di preventivi pareri o nulla osta.

Si soggiunge al comma 5, che "l'infruttuosa decorrenza dei termini di cui ai precedenti commi costituisce presupposto per la richiesta di intervento sostitutivo" attraverso la nomina di un commissario ad acta ad opera del Presidente della giunta regionale il quale provvede nel termine di quindici giorni.

Ne segue che, a fronte dell'inattività dell'Amministrazione, oltre che attivare i poteri sostitutivi (nella fattispecie effettivamente invocati dall'interessata), la ricorrente avrebbe potuto (e dovuto), per vincere detta inerzia, utilizzare i rimedi giudiziali che l'ordinamento pone a disposizione del privato.

Ne discende, per le ragioni esposte, che il ricorso va rigettato, seguendo le spese di giudizio la soccombenza come in dispositivo liquidate.

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P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che si liquidano in Euro 2.500,00, oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 6 maggio 2015 con l'intervento dei magistrati:

Armando Pozzi, Presidente Bernardo Massari, Consigliere, Estensore Alessandro Cacciari, Consigliere