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Articolo 1120 Innovazioni “I condomini, con la maggioranza indicata dal quinto comma dell’articolo 1136, possono disporre tutte le innovazioni dirette al miglioramento o all’uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni. I condomini, con la maggioranza indicata dal secondo comma dell'articolo 1136, possono disporre le innovazioni che, nel rispetto della normativa di settore, hanno ad oggetto: 1) le opere e gli interventi volti a migliorare la sicurezza e la salubrità degli edifici e degli impianti; 2) le opere e gli interventi previsti per eliminare le barriere architettoniche, per il contenimento del consumo energetico degli edifici e per realizzare parcheggi destinati a servizio delle unità immobiliari o dell'edificio, nonché per la produzione di energia mediante l'utilizzo di impianti di cogenerazione, fonti eoliche, solari o comunque rinnovabili da parte del condominio o di terzi che conseguano a titolo oneroso un diritto reale o personale di godimento del lastrico solare o di altra idonea superficie comune; 3) l'installazione di impianti centralizzati per la ricezione radiotelevisiva e per l'accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo, e i relativi collegamenti fino alla diramazione per le singole utenze, ad esclusione degli impianti che non comportano modifiche in grado di alterare la destinazione della cosa comune e di impedire agli altri condomini di farne uso secondo il loro diritto. L'amministratore è tenuto a convocare l'assemblea entro trenta giorni dalla richiesta anche di un solo condomino interessato all'adozione delle deliberazioni di cui al precedente comma. La richiesta deve contenere l'indicazione del contenuto specifico e delle modalità di esecuzione degli interventi proposti. In mancanza, l'amministratore deve invitare senza indugio il condomino proponente a fornire le necessarie integrazioni. Sono vietate le innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilita o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino”. SENTENZE Vi è lesione del decoro architettonico quando vengono alterate in modo visibile e significativo la particolare struttura e la complessiva armonia che conferiscono al fabbricato una propria specifica identità (Cass. 19/06/2009 n. 14455). Nel condominio degli edifici, il giudice, nel decidere dell'incidenza di un'innovazione sul decoro architettonico, deve adottare, caso per caso, criteri di maggiore o minore rigore in considerazione delle caratteristiche del singolo edificio e/o della parte di esso interessata, accertando anche se esso avesse originariamente ed in quale misura un'unitarietà di linee e di stile, suscettibile di significativa alterazione in rapporto all'innovazione dedotta in giudizio, nonchè se su di essa avessero o meno inciso, menomandola, precedenti diverse modifiche operate da altri condomini. In caso di accertato danno estetico di particolare rilevanza, il danno economico è da ritenersi insito, senza necessità di specifica indagine; il relativo accertamento è demandato alla discrezionalità del giudice del merito e non è sindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato (Cass. civ., 15 aprile 2002, n. 5417, Donvito c. Resta, in Arch. loc. e cond. 2002, 272). In tema di condominio negli edifici, per innovazione in senso tecnico-giuridico, vietata ai sensi dell'art. 1120 c.c., deve intendersi non qualsiasi mutamento o modificazione della cosa comune, ma solamente quella modificazione materiale che ne alteri l'entità sostanziale o ne

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Articolo 1120 Innovazioni

“I condomini, con la maggioranza indicata dal quinto comma dell’articolo 1136, possono

disporre tutte le innovazioni dirette al miglioramento o all’uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni.

I condomini, con la maggioranza indicata dal secondo comma dell'articolo 1136, possono disporre le innovazioni che, nel rispetto della normativa di settore, hanno ad oggetto:

1) le opere e gli interventi volti a migliorare la sicurezza e la salubrità degli edifici e degli impianti;

2) le opere e gli interventi previsti per eliminare le barriere architettoniche, per il contenimento del consumo energetico degli edifici e per realizzare parcheggi destinati a servizio delle unità immobiliari o dell'edificio, nonché per la produzione di energia mediante l'utilizzo di impianti di cogenerazione, fonti eoliche, solari o comunque rinnovabili da parte del condominio o di terzi che conseguano a titolo oneroso un diritto reale o personale di godimento del lastrico solare o di altra idonea superficie comune;

3) l'installazione di impianti centralizzati per la ricezione radiotelevisiva e per l'accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo, e i relativi collegamenti fino alla diramazione per le singole utenze, ad esclusione degli impianti che non comportano modifiche in grado di alterare la destinazione della cosa comune e di impedire agli altri condomini di farne uso secondo il loro diritto.

L'amministratore è tenuto a convocare l'assemblea entro trenta giorni dalla richiesta anche di un solo condomino interessato all'adozione delle deliberazioni di cui al precedente comma. La richiesta deve contenere l'indicazione del contenuto specifico e delle modalità di esecuzione degli interventi proposti. In mancanza, l'amministratore deve invitare senza indugio il condomino proponente a fornire le necessarie integrazioni.

Sono vietate le innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilita o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino”.

SENTENZE

• Vi è lesione del decoro architettonico quando vengono alterate in modo visibile e significativo la particolare struttura e la complessiva armonia che conferiscono al fabbricato una propria specifica identità (Cass. 19/06/2009 n. 14455).

• Nel condominio degli edifici, il giudice, nel decidere dell'incidenza di un'innovazione sul decoro architettonico, deve adottare, caso per caso, criteri di maggiore o minore rigore in considerazione delle caratteristiche del singolo edificio e/o della parte di esso interessata, accertando anche se esso avesse originariamente ed in quale misura un'unitarietà di linee e di stile, suscettibile di significativa alterazione in rapporto all'innovazione dedotta in giudizio, nonchè se su di essa avessero o meno inciso, menomandola, precedenti diverse modifiche operate da altri condomini. In caso di accertato danno estetico di particolare rilevanza, il danno economico è da ritenersi insito, senza necessità di specifica indagine; il relativo accertamento è demandato alla discrezionalità del giudice del merito e non è sindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato (Cass. civ., 15 aprile 2002, n. 5417, Donvito c. Resta, in Arch. loc. e cond. 2002, 272).

• In tema di condominio negli edifici, per innovazione in senso tecnico-giuridico, vietata ai sensi dell'art. 1120 c.c., deve intendersi non qualsiasi mutamento o modificazione della cosa comune, ma solamente quella modificazione materiale che ne alteri l'entità sostanziale o ne

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muti la destinazione originaria, mentre le modificazioni che mirino a potenziare o a rendere più comodo il godimento della cosa comune e ne lascino immutate la consistenza e la destinazione, in modo da non turbare i concorrenti interessi dei condomini, non possono definirsi innovazioni nel senso suddetto. (La S.C. ha così escluso che costituisse "innovazione" vietata l'ampliamento dell'autorimessa condominiale mediante trasformazione dei locali adibiti a portineria ed a centrale termica, i cui servizi erano stati soppressi con regolari delibere condominiali precedenti) (Cass. civ., sez. II, 5 novembre 2002, n. 15460).

• La limitazione, per alcuni condomini, della originaria possibilità di utilizzazione delle scale e dell'andito occupati dall'impianto di ascensore collocato a cura e spese di altri condomini, non rende l'innovazione lesiva del divieto posto dall'art. 1120, comma secondo, c.c., ove risulti che dalla stessa non derivi, sotto il profilo del minor godimento della cosa comune, alcun pregiudizio, non essendo necessariamente dissenziente un vantaggio compensativo (Cass. civ., sez. II, 4 luglio 2001, n. 09033).

• Non rientrano tra le innovazioni, di cui all’articolo 1120, comma 1, del c.c. (dirette al miglioramento o a un uso più comodo delle cose comuni) i lavori di completamento delle parti comuni (ancorché la loro assenza non abbia impedito, per circa venti anni, ai condomini di abitare nell’immobile) (Cass. civ. sent. 8676/01).

• In tema di condominio di edifici costituisce innovazione (ai sensi dell’articolo 1120 del c.c.) non qualsiasi modificazione della cosa comune, ma solo quella che alteri l’entità materiale del bene, operandone la trasformazione, ovvero determini la trasformazione della sua destinazione, nel senso che detto bene presenti, a seguito delle opere eseguite, una diversa consistenza materiale, ovvero sia utilizzato per fini diversi da quelli precedenti l’esecuzione delle opere. Ove, invece, la modificazione della cosa comune non assuma tale rilievo, ma risponda allo scopo di un uso del bene più intenso e proficuo, si versa nell’ambito dell’articolo 1102 del c.c., che pur dettato in materia di comunione in generale, è applicabile in materia di condominio negli edifici per il richiamo contenuto nell’articolo 1139 del c.c.. (Nella specie in applicazione del riferito principio la Suprema corte ha confermato la pronuncia di merito che aveva ritenuto che costituisce utilizzazione della cosa comune, consentita dall’articolo 1102 del c.c., come tale non vietata, l’apertura, sul pianerottolo comune, di una nuova porta, avente le medesime caratteristiche di quella già esistente nella parete di fronte, di proprietà dello stesso condomino, in posizione a essa simmetrica e speculare) (Cass. civ. sent. 12413/01).

• L'azione del condomino a tutela del decoro architettonico dell'edificio in condominio, estrinsecazione di facoltà insita nel diritto di proprietà, è imprescrittibile, in applicazione del principio per cui in facultatis non datur praescriptio. L'imprescrittibilità, tuttavia, può essere superata dalla prova della usucapione del diritto a mantenere la situazione lesiva (Nella specie è stata confermata la pronuncia di merito con la quale era stata accolta la domanda riconvenzionale di un condomino di riduzione in pristino del sottostante terrazzo a livello trasformato in veranda) (Cass. pen., sez. II, 7 giugno 2000, n. 7727).

• L'installazione sostitutiva di una recinzione in rete metallica su di un'area condominiale comune, già in precedenza delimitata da paletti uniti da una catena interposta, non implica alterazione sostanziale o cambiamento dell'originaria destinazione nè‚ mutamento dell'entità materiale del bene attraverso una sua radicale trasformazione. (Fattispecie di rigetto dell'impugnazione avverso delibera assembleare assunta, secondo la tesi attorea, in spregio delle maggioranze che l'art. 1136, quinto comma, c.c. richiede per le innovazioni dirette al miglioramento delle cose comuni) (Trib. civ. Bologna, sez. II, 7 marzo 2000, n. 63).

• L’installazione in un edificio in condominio di un ascensore, di cui prima l’edificio era sprovvisto, costituisce una innovazione, sicché la relativa delibera deve essere presa con la maggioranza di cui all’articolo 1136, comma 5, del codice civile. L’installazione dell’ascensore può essere attuata, riflettendo un servizio suscettibile di separata utilizzazione, anche per cura e spese soltanto di taluni condomini, purché sia fatto salvo il

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diritto degli altri di partecipare in qualunque tempo ai vantaggi della innovazione, contribuendo alle spese di installazione dell’impianto e a quelle di manutenzione e di esercizio. L’innovazione può essere attuata anche immettendo l’impianto al posto della tromba delle scale e del corrispondente andito a pian terreno, in quanto il venir meno (parziale) dell’utilizzazione nel modo originario di tali parti comuni non contrasta con la norma di cui all’articolo 1120, comma 2, del c.c., una volta che, se pur resta eliminata la possibilità di un certo tipo di godimento, al suo posto se ne offre uno diverso ma di contenuto migliore. Poiché la posizione dei dissenzienti è salvaguardata dalla possibilità di entrare a far parte della comunione del nuovo impianto, non si tratta di innovazione vietata, essendo tale solo quella che compromette la facoltà di godimento di uno o di alcuni condomini in confronto degli altri e non anche quella che compromette qualche facoltà di godimento per tutti i condomini, a meno che il danno che subiscono alcuni condomini non sia compensato dal vantaggio. L’innovazione, pertanto, non è consentita soltanto se in concreto, in seguito alla necessaria comparazione tra i danni prodotti e i vantaggi arrecati, i primi risultano di gran lunga prevalenti anche per un solo condomino (Cass. civ. sent. 1529/00).

• Una cosa è la delibera di approvazione degli interventi nelle parti comuni degli edifici, volti al contenimento del consumo energetico e all’utilizzazione delle fonti di energia rinnovabili, ovvero delle innovazioni relative all’adozione di sistemi di termoregolazione e di contabilizzazione del calore e il conseguente riparto degli oneri di riscaldamento in base al consumo effettivamente registrato; altra cosa è la delibera di approvazione della relazione tecnica da allegare al progetto. In ogni caso si tratta di manifestazioni della cosiddetta «volontà unitaria del collegio», di atti aventi un contenuto diverso: la prima delibera esprime la volontà di modificare l’impianto, la seconda l’intento di fare propria la relazione tecnica (la seconda, ovviamente, fa seguito alla prima e non si regge indipendentemente da essa). Conseguentemente, la delibera condominiale di trasformazione dell’impianto centralizzato di riscaldamento in impianti unifamiliari, ai sensi dell’articolo 26, comma 2, della legge 9 gennaio 1991, n. 10, in relazione all’articolo 8, lettera g), della stessa legge, assunta a maggioranza delle quote millesimali, è valida anche se non accompagnata dal progetto delle opere corredato dalla relazione tecnica di conformità di cui all’articolo 28, comma 1, della stessa legge, attenendo tale progetto alla successiva fase di esecuzione della delibera (Cass. civ. sent. 1165/99).

• L’apprezzamento della sussistenza di innovazioni, sull’immobile condominiale, lesive del decoro architettonico di questo è demandato in via esclusiva al giudice del merito, le cui conclusioni al riguardo si sottraggono al controllo di legittimità, se confortate dal supporto di una motivazione adeguata, immune da vizi logici o giuridici (Cass. civ. sent. 668/99).

• In caso di innovazioni vietate ai sensi dell’articolo 1120 del c.c. l’offesa al decoro architettonico di un edificio va riguardata in sé, senza riferimento ad alterazioni esistenti in edifici contigui, trattandosi del diritto dei condomini a non vedere turbato lo stile o le linee architettoniche o il decoro dell’edificio condominiale in cui è sita la loro proprietà, e non di un interesse pubblico di mero carattere urbanistico a vedere conservato il decoro degli edifici di una determinata zona (Cass. civ. sent. 668/99).

• Qualora la decisione adottata dall’assemblea dei condomini, non sia avvenuta con il consenso unanime di tutti, richiesto dall’articolo 1120 del c.c., l’eliminazione dell’impianto di riscaldamento centralizzato per far luogo a impianti autonomi nei singoli appartamenti in tanto può essere adottata a maggioranza e, quindi, in deroga agli articoli 1120 e 1136 del c.c., in quanto sia previsto che ciò avvenga nel rispetto delle disposizioni di cui alla legge 10/1991 (Cass. civ. sent. 5117/99).

• Per stabilire se in un edificio in condominio ricorra un’innovazione vietata dall’articolo 1120 del c.c., occorre accertare non solo se l’utilizzazione delle parti comuni effettuata dal singolo condomino rechi pregiudizio alla sicurezza o alla stabilità del fabbricato o ne alteri il

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decoro architettonico, ma anche se il particolare uso fattone dal singolo non renda la cosa comune inservibile all’uso e al godimento degli altri condomini. Essendo la finalità della norma quella di garantire che il diritto, riconosciuto a ciascun condomino, di trarre dalle cose comuni il più ampio godimento, non limiti né impedisca a ciascun condomino l’esercizio di un pari diritto di godimento, si deve ritenere consentito l’uso particolare delle parti comuni, effettuato dal singolo condomino, se la natura e le caratteristiche della cosa sono tali da escludere qualsivoglia possibilità di utilizzazione a opera degli altri condomini (Cass. civ. sent. 5546/99).

• In un edificio di più piani appartenenti a proprietari diversi, l’appartenenza del sottotetto, che non figura indicato dall’articolo 1120 del c.c. tra le parti comuni, si determina in base al titolo e, in mancanza, in base alla funzione a cui esso è destinato in concreto. Se si tratta di vano destinato esclusivamente a servire da protezione e isolamento all’appartamento dell’ultimo piano, esso ne costituisce pertinenza e deve perciò considerarsi di proprietà esclusiva del proprietario dell’ultimo piano stesso. Va, invece, annoverato tra le parti comuni se, anche solo potenzialmente, è utilizzabile per usi comuni, dovendosi in tal caso applicare la presunzione di comunione prevista dalla norma citata. Tale presunzione va applicata, infatti, ogni qual volta, nel silenzio del titolo, il bene sia suscettibile, per le sue caratteristiche, di utilizzazione da parte di tutti i proprietari esclusivi (Cass. civ. sent. 7764/99).

• In tema di condominio negli edifici, la distinzione tra modifica ed innovazione si ricollega all'entità e qualità dell'incidenza della nuova opera sulla consistenza e sulla destinazione della cosa comune, nel senso che per innovazione in senso tecnico-giuridico deve intendersi non qualsiasi mutamento o modificazione della cosa comune, ma solamente quella modificazione materiale che ne alteri l'entità sostanziale o ne muti la destinazione originaria, mentre le modificazioni che mirano a potenziare o a rendere più comodo il godimento della cosa comune e ne lasciano immutate la consistenza e la destinazione, in modo da non turbare i concorrenti interessi dei condomini, non possono definirsi innovazioni nel senso suddetto. (La S.C. ha così escluso che costituisse "innovazione" vietata il restringimento di un viale di accesso pedonale, considerato che esso non integrava una sostanziale alterazione della destinazione e della funzionalità della cosa comune, non la rendeva inservibile o scarsamente utilizzabile per uno o più condomini, ma si limitava a ridurre in misura modesta la sua funzione di supporto al transito pedonale, restando immutata la destinazione originaria) (Cass. civ., sez. II, 23 ottobre 1999, n. 11936).

• In materia di condominio di edifici, l'autonomia privata consente alle parti di stipulare convenzioni che pongano limitazioni, nell'interesse comune, ai diritti dei condomini, sia relativamente alle parti comuni, sia riguardo al contenuto del diritto dominicale sulle parti di loro esclusiva proprietà, senza che rilevi che l'esercizio del diritto individuale su di esse si rifletta o meno sulle strutture o sulle parti comuni. Ne discende che legittimamente le norme di un regolamento di condominio - aventi natura contrattuale, in quanto predisposte dall'unico originario proprietario dell'edificio ed accettate con i singoli atti di acquisto dai condomini ovvero adottate in sede assembleare con il consenso unanime di tutti i condomini - possono derogare od integrare la disciplina legale ed in particolare possono dare del concetto di decoro architettonico una definizione più rigorosa di quella accolta dall'art. 1120 c.c., estendendo il divieto di immutazione sino ad imporre la conservazione degli elementi attinenti alla simmetria, all'estetica, all'aspetto generale dell'edificio, quali esistenti nel momento della sua costruzione od in quello della manifestazione negoziale successiva (Cass. civ., sez. II, 6 ottobre 1999, n. 11121).

• La distinzione tra modifica e innovazione si ricollega all’entità e alla qualità dell’incidenza della nuova opera, nel senso che per innovazione in senso tecnico-giuridico deve intendersi non qualsiasi mutamento della cosa comune ma solamente quella modificazione materiale che ne alteri l’entità sostanziale o ne muti la destinazione originaria, mentre le modificazioni

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che mirano a potenziare o a rendere più comodo il godimento della cosa comune e ne lasciano immutate la consistenza e la destinazione, in modo da non turbare i concorrenti interessi dei condomini, non possono definirsi innovazioni nel senso suddetto (Cass. civ. sent. 11936/99).

• Il proprietario di un immobile non può invocare la norma stabilita dall'art. 1120 c.c. per pretendere che il proprietario di quello antistante ne curi l'estetica intonacandolo adeguatamente all'esterno, perchè‚ tale norma disciplina i rapporti condominiali sui beni comuni, non esclusivamente altrui, mentre gli interessi al rispetto dell'ornato pubblico e dell'aspetto dei fabbricati possono trovare tutela nei regolamenti edilizi comunali (artt. 871 c.c. e 33 L. 17 agosto 1942 n. 1150) - la cui esistenza e contenuto va provata da chi l'invoca - che, se violati, non obbligano ad un facere, ma al risarcimento del danno (art. 872 c.c.) (Cass. civ., sez. II, 21 febbraio 1998, n. 1873).

• Il regolamento di condominio, quale che ne siano l'origine ed il procedimento di formazione e, quindi, anche quando non abbia natura contrattuale, a mente dell'art. 1138, comma primo, c.c., può ben contenere norme intese a tutelare il decoro architettonico dell'edificio condominiale che, a tale fine, siano suscettibili di incidere anche sulla sfera del dominio personale esclusivo dei singoli partecipanti, nei limiti in cui ciò si riveli necessario in funzione della salvaguardia del bene comune protetto. Più in particolare, può ad esempio vietare quegli interventi modificatori delle porzioni di proprietà individuale che, riflettendosi su strutture comuni, siano passibili di comportare pregiudizio per il decoro anzidetto. (Nella fattispecie controvertevasi in ordine ad un tipo di serramenti installati, da un condomino, in sostituzione di quelli originari, alle finestre della sua unità immobiliare aperte sulla facciata del fabbricato condominiale) (Cass. civ., sez. II, 3 settembre 1998, n. 8731.

• Ciascun partecipante al condominio di edifici può agire in giudizio per la tutela del decoro architettonico della proprietà comune, ma se la controparte eccepisce di aver apportato modifiche o innovazioni sulla proprietà esclusiva, è necessario integrare il contraddittorio nei confronti di tutti i condomini perché oggetto di controversia è l'accertamento della natura condominiale o meno, in base ai rispettivi titoli di acquisto, delle parti di edificio alterate (Cass. civ., sez. II, 27 marzo 1998, n. 3238).

• È invalida l’assemblea condominiale la quale, a maggioranza, deliberi la costruzione di box auto al di sotto del giardino condominiale, in quanto non trattasi di innovazione diretta al miglioramento o all’uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni (nella specie si doveva procedere all’espianto di alberi di alto fusto con conseguente alterazione della fisionomia dell’attuale area a verde non più ripristinabile e con costruzione di rampe di accesso comportanti sottrazione di ulteriore spazio comune al godimento dei condomini) (Tribunale Milano sent. 716/98).

• L’installazione di un impianto di autoclave rientra tra le opera di conservazione dell’impianto idrico e non tra le migliorie, con la conseguenza che, ai sensi degli articoli 1118 e 1123 del c.c., alle spese relative debbono contribuire tutti i condomini, compresi quelli che, abitando ai piani inferiori, non risentono affatto delle carenze idriche (o ne risentono in misura minore) e quelli che intendono rinunziare al servizio (Cass. Civ. sent. 1389/98).

• Le delibere dell’assemblea che dispongono l’esecuzione di lavori riguardanti i balconi dell’edificio condominiale (sebbene questi appartengano in modo esclusivo ai proprietari dei rispettivi appartamenti), quando le opere deliberate incidano sull’armonia architettonica della facciata, interessano il bene comune del decoro estetico dell’edificio medesimo e comportano la legittimazione dell’amministratore nella relativa controversia (Cass. civ. sent. 11888/98).

• Le norme sulle distanze legali, le quali sono rivolte a regolare i rapporti tra proprietà autonome e contigue, sono applicabili anche nei rapporti tra i condomini di un edificio soggetto al regime del condominio quando siano compatibili con l’applicazione delle norme

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particolari relative all’uso delle cose comuni (articolo 1102 del c.c.): cioè nel caso in cui l’applicazione di queste ultime non sia in contrasto con le prime. Nel caso di contrasto, invece, prevalgono le norme relative all’uso delle cose comuni, con la conseguenza dell’inapplicabilità delle norme relative alle distanze legali, che nel condominio negli edifici e nei rapporti tra i condomini si trovano in relazione di subordinazione rispetto alle prime (Cass. civ. sent. 9995/98).

• Il proprietario esclusivo del lastrico solare ove su di esso costruisca, avendo il diritto a sopraelevare, che gli è negato soltanto se le condizioni statiche dell’edificio non lo consentono, diviene proprietario della nuova costruzione e può mantenerla nelle condizioni in cui la realizza, anche se in violazione dell’obbligo di cui al comma 3 dell’articolo 1127 del c.c., di non pregiudicare le caratteristiche architettoniche dell’edificio condominiale, ove l’opposizione consentita agli altri condomini in conseguenza dell’adempimento dell’obbligo suddetto e a tutela del loro diritto di proprietari dei piani sottostanti e di comproprietari delle parti comuni dell’edificio, non avvenga nei termini della prescrizione ventennale (Cass. civ. sent. 10334/98).

• In tema di condominio di edifici costituisce innovazione – ai sensi dell’articolo 1120 del c.c. – non qualsiasi modificazione della cosa comune, ma solamente quella che alteri l’entità materiale del bene, operandone la trasformazione, ovvero determini la trasformazione della sua destinazione, nel senso che detto bene presenti, a seguito delle opere eseguite, una diversa consistenza materiale, ovvero sia utilizzato per fini diversi da quelli precedenti l’esecuzione delle opere. Ne segue, pertanto, che non realizza un mutamento di destinazione nei termini precisati del bene, ma solo una diversa utilizzazione che l’assemblea dei condomini può deliberare con la maggioranza semplice di cui all’articolo 1136, comma 2, del c.c., la locazione a un terzo, per uso abitativo, di un appartamento condominiale in precedenza concesso a un condomino per uso deposito (Cass. civ. sent. 8622/98).

• Nell’ambito di un edificio in condominio una modificazione, che sia tale da incidere nel decoro architettonico e sulla funzionalità dell’edificio comune, deve essere considerata illegittima e, perciò, non consentita, alla stregua sia dell’articolo 1102 del c.c. sia degli articoli 1120 e 1122 dello stesso codice. In particolare, l’avere collocato l’apertura di ingresso del proprio appartamento a un livello inferiore a quello del pianerottolo della scala condominiale, e, comunque, l’averla situata, anche se al livello del pianerottolo, non in questo ma sopra gli ultimi gradini di acceso al pianerottolo medesimo, integra un’intollerabile alterazione di quel minimo decoro architettonico che è connesso al rispetto delle soluzioni funzionali ed estetiche di comune applicazione. Specie tenuto presente che l’apprezzamento della lesione del decoro architettonico dell’edificio condominiale è indipendente dal riscontro di un particolare pregio estetico di esso (Cass. civ. sent. 5400/98).

• La trasformazione di parte del giardino condominiale in parcheggio, determinando un’alterazione nella destinazione del detto bene, provoca un’effettiva menomazione dell’utilità che il condomino può trarre dal bene comune sotto il profilo della salubrità e del decoro; costituisce pertanto un’innovazione che non può essere deliberata a maggioranza, ma solo con il consenso di tutti i condomini (Tribunale Napoli, sez. III, sent. 6945/98).

• Allorché la cosa comune sia un piano cantinato destinato ad autorimessa, commette molestia il condomino che ne immuti lo stato di fatto, alterando le precedenti facoltà di utilizzazione, quanto a percorrenza, areazione, illuminazione, facilità di manovra da parte di altro condomino. Né è rilevante in tale ipotesi che l’immutazione, risultando regolamentata l’occupazione degli spazi destinati a posto macchina e a ripostiglio/cantina, sia avvenuta nell’ambito della zona momentaneamente assegnata al condomino che ha attuato l’immutazione stessa (Cass. civ. sent. 4909/98).

• In tema di condominio di edifici costituisce innovazione ai sensi dell'art. 1120 c.c. non qualsiasi modificazione della cosa comune, ma solamente quella che alteri l'entità materiale del bene operandone la trasformazione ovvero determini la trasformazione della sua

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destinazione, nel senso che detto bene presenti, a seguito delle opere eseguite, una diversa consistenza materiale ovvero sia utilizzato per fini diversi da quelli precedenti l'esecuzione delle opere. (Nella specie la S.C. ha ritenuto che la locazione ad un condomino per uso abitativo di un appartamento condominiale, in precedenza concesso ad un condomino per uso deposito, non realizza un mutamento di destinazione nei termini precisati del bene, ma soltanto una diversa utilizzazione che l'assemblea dei condomini può deliberare a maggioranza semplice di cui all'art. 1136, comma secondo c.c.) (Cass. civ., sez. II, 29 agosto 1998, n. 8622).

• Il concetto di rinnovamento delle entità abbisognevoli di riparazione, cui si riferisce l'art. 1005 c.c. in tema di ripartizione delle parti relative alla cosa oggetto di usufrutto, è ben diverso dal concetto di innovazione cui si riferiscono, in tema di condominio negli edifici, gli artt. 1120 e 1121 c.c. Il primo concetto va posto in relazione ad opere che comportano la sostituzione di entità preesistenti, ma ormai inefficienti con altre pienamente efficienti. Il secondo riguarda, invece, opere che importano un mutamento della cosa nella forma e nella sostanza, con aggiunta di entità non preesistenti o trasformazione di alcuna di quelle preesistenti (Cass. civ., sez. III, 28 novembre 1998, n. 12085).

• L`art. 1120 c.c., nel consentire all'assemblea condominiale, sia pure con una particolare maggioranza, di disporre innovazioni, non postula affatto che queste rivestano carattere di assoluta necessità, ma richiede soltanto che esse siano dirette "al miglioramento o all'uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni", salvo a vietare espressamente, nel secondo comma, quelle che possono recare pregiudizio alla statica o al decoro architettonico del fabbricato o che rendano talune parti comuni inservibili all'uso o al godimento anche di uno solo dei condomini. Pertanto, al di fuori di tale divieto, ogni innovazione utile deve ritenersi permessa anche se non strettamente necessaria, col solo limite, posto dal successivo art. 1121, del suo carattere voluttuario o della particolare gravosità della spesa in rapporto alle condizioni e all'importanza dell'edificio, nel qual caso essa è consentita soltanto ove consista in opere, impianti o manufatti suscettibili di utilizzazione separata e sia possibile, quindi, esonerare da ogni contribuzione alla spesa i condomini che non intendano trarne vantaggio, oppure, in assenza di tale condizione, se la maggioranza dei condomini che l`ha deliberata o accettata intenda sopportarne integralmente la spesa (Cass. civ., sez. II, 30 maggio 1996, n. 5028).

• L’indagine volta a stabilire se un’innovazione determini o meno alterazione del decoro architettonico di un edificio è demandata al giudice del merito, il cui apprezzamento sfugge al sindacato di legittimità, se congruamente motivato (Cass. civ. sent. 686/98).

• Il decoro architettonico denota una qualità positiva dell’edificio derivante dal complesso delle sue caratteristiche architettoniche principali e secondarie onde una modifica strutturale di una sua parte, anche di modesta consistenza, o un’aggiunta quantitativa diversa dalla sopraelevazione, può comportare il venir meno di caratteristiche influenti sull’estetica dell’edificio, alterando quella sua qualità complessiva e intrinseca. L’aspetto architettonico, invece, è la caratteristica principale insita nello stile architettonico dell’edificio, sicché l’adozione, nella parte sopraelevata, di uno stile diverso da quello della parte preesistente comporta normalmente un mutamento peggiorativo dell’aspetto architettonico complessivo, percepibile da qualunque osservatore (Sent. Cass. civ. 5839/97).

• L'alterazione del decoro architettonico dell'edificio in condominio, vietata dall'art. 1120 c.c., postula un mutamento estetico implicante un pregiudizio economicamente valutabile; tuttavia quando la modifica non sia del tutto trascurabile e non abbia arrecato anche un vantaggio, deve sempre ritenersi insito nel pregiudizio estetico quello economico, senza necessità di una espressa motivazione sotto tale profilo tutte le volte in cui non sia stato espressamente eccepito e provato che la modifica ha anche arrecato un vantaggio economicamente valutabile (Cass. civ., sez. II, 6 ottobre 1997, n. 9717)

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• L'alterazione del decoro architettonico dell'edificio in condominio, vietata dall'art. 1120 c.c., postula un mutamento estetico implicante un pregiudizio economicamente valutabile; tuttavia quando la modifica non sia del tutto trascurabile e non abbia arrecato anche un vantaggio, deve sempre ritenersi insito nel pregiudizio estetico quello economico, senza necessità di una espressa motivazione sotto tale profilo tutte le volte in cui non sia stato espressamente eccepito e provato che la modifica ha anche arrecato un vantaggio economicamente valutabile (Cass. civ., sez. II, 6 ottobre 1997, n. 9717).

• Nel caso in cui il proprietario dell’intero immobile costruisca un manufatto sulla terrazza di copertura del sottostante locale commerciale, appartenente anch’esso all’edificio, e poi ceda le singole porzioni immobiliari, il condomino non può invocare a sostegno della domanda di abbattimento il regime della comunione dei beni, che ancora non era applicabile al momento della realizzazione del manufatto non sussistendo una situazione di condominialità (Cass. civ. sent. 1037/97).

• Le verande realizzate sui balconi in alluminio e vetri, costituiscono innovazioni in senso tecnico e rientrano nella previsione dell’articolo 1120 del c.c.; esse costituiscono nuovi corpi di fabbrica aggiunti agli edifici e incidono sulla cosa comune. Esse, inoltre, alterano il rapporto di equilibrio tra i diritti di ciascun partecipante alla comunione e, interrompendo l’alternarsi di vuoti e di pieni e compromettendo così l’armonia e l’unità di linee e di stile dei fabbricati, incidono sull’estetica e sul valore economico degli stessi (Cass. civ. sent. 798/97).

• L’indagine volta a stabilire se un’innovazione determina o meno alterazione del decoro architettonico dell’edificio condominiale – a norma dell’articolo 1120 del c.c. – è riservata al giudice del merito e il relativo apprezzamento, se congruamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità (Cass. civ. sent. 8839/97).

• Ai fini della tutela prevista dall’articolo 1120 del c.c., per decoro architettonico deve intendersi l’estetica data dall’insieme delle linee e delle strutture ornamentali che costituiscono la nota dominante e imprimono alle varie parti dell’edificio, nonché all’edificio stesso nel suo insieme, una sua determinata, armonica fisionomia senza che occorra che si tratti di edificio di particolare pregio artistico. Ovviamente, l’articolo 1120 del c.c. non vieta ogni innovazione che comunque modifichi l’aspetto dell’edificio, ma solo quelle che ne determinino una vera e propria alterazione, cioè mutamenti sufficienti ad apportare una disarmonia nell’insieme risolvendosi in un deterioramento di carattere estetico e dell’aspetto decorativo del fabbricato, tale da comportare un deprezzamento dell’edifico nel suo insieme e nelle singole unità che lo compongono. Ciò significa che, anche se è vero che ogni edificio ha una sua certa dignità per cui il divieto di alterazione del decoro architettonico vale anche per i fabbricati che non rivestono particolari pregi artistici, la valutazione deve essere più o meno rigorosa a seconda del carattere dell’edificio. Ne consegue anche che debbono essere tenute presenti non solo le condizioni originarie di esso, ma anche quelle in cui esso in concreto versava prima dell’esecuzione delle opere da esaminare. Il criterio estetico, pertanto, deve essere opportunamente contemperato con quello utilitaristico. Ne consegue che deve essere ritenuto lecito un mutamento estetico che non turbi in maniera appariscente e apprezzabile le preesistenti condizioni dell’edificio (Cass. civ. sent. 3436/97).

• A differenza dalle innovazioni - configurate dalle nuove opere, le quali immutano la sostanza o alterano la destinazione delle parti comuni, in quanto rendono impossibile la utilizzazione secondo la funzione originaria, e che debbono essere deliberate dall'assemblea (art. 1120, comma primo, c.c.) nell'interesse di tutti i partecipanti - le modifiche alle parti comuni dell'edificio, contemplate dall'art. 1102 c.c., possono essere apportate dal singolo condomino, nel proprio interesse ed a proprie spese, al fine di conseguire un uso più intenso, sempre che non alterino la destinazione e non impediscano l'altrui pari uso. Pertanto, è legittima l'apertura di vetrine da esposizione nel muro perimetrale comune, che per sua

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ordinaria funzione è destinato anche all'apertura di porte e di finestre, realizzata dal singolo condomino mediante la demolizione della parte di muro corrispondente alla sua proprietà esclusiva. Alla eventuale autorizzazione ad apportare tale modifica concessa dall'assemblea può attribuirsi il valore di mero riconoscimento dell'inesistenza di interesse e di concrete pretese degli altri condomini a questo tipo di utilizzazione del muro comune (Cass. civ., sez. II, 20 febbraio 1997, n. 1554).

• In tema di condominio di edifici costituisce innovazione ex art. 1120 c.c., non qualsiasi modificazione della cosa comune, ma solamente quella che alteri l'entità materiale del bene operandone la trasformazione, ovvero determini la trasformazione della sua destinazione, nel senso che detto bene presenti, a seguito delle opere eseguite una diversa consistenza materiale ovvero sia utilizzato per fini diversi da quelli precedenti l'esecuzione delle opere. Ove invece, la modificazione della cosa comune non assuma tale rilievo, ma risponda allo scopo di un uso del bene più intenso e proficuo, si versa nell'ambito dell'art. 1102 c.c., che pur dettato in materia di comunione in generale, è applicabile in materia di condominio degli edifici per il richiamo contenuto nell'art. 1139 c.c. (Nella specie la Suprema Corte ha confermato la decisione di merito la quale aveva affermato che l'apertura di una porta da parte di un condomino nel muro comune dell'andito di ingresso dell'edificio condominiale, non alterava l'entità materiale del bene nè‚ modificava la sua destinazione, ma integrava una consentita modificazione della cosa comune a norma dell'art. 1102 c.c.) (Cass. civ., sez. II, 11 gennaio 1997, n. 240).

• Ai fini della tutela prevista dall’articolo 1120 del codice civile, per decoro architettonico del fabbricato s’intende l’estetica data dall’insieme delle linee e delle strutture ornamentali, che costituiscono la nota dominante e imprimono alle varie parti dell’edificio stesso, nel suo insieme, una sua determinata, armonica fisionomia, anche se non si tratta di edificio di particolare pregio artistico. Orbene, l’indagine, volta a stabilire se, in concreto, un’innovazione determini o meno l’alterazione del decoro architettonico è demandata al giudice del merito, il cui apprezzamento sfugge al sindacato di legittimità, se congruamente motivato (Cass. civ. sent. 12344/97).

• Quando alcuni condomini decidono, unilateralmente, di distaccare le proprie unità immobiliari dell’impianto centralizzato di riscaldamento, i medesimi non possono sottrarsi al contributo per le spese di conservazione del predetto impianto, non essendo configurabile una rinuncia alla proprietà dello stesso, ma, ove i loro appartamenti non siano più riscaldati, non sono tenuti a sostenere le spese per l’uso (ad esempio, quelle per l’acquisto del carburante), in quanto il contributo per queste ultime è adeguato al godimento che i condomini possono ricavare dalla cosa comune (Cass. Civ. sent. 11152/97).

• La lesione del decoro architettonico può configurarsi anche con riferimento ad un edificio che non abbia particolare pregio artistico; non rileva a tale riguardo la precedente realizzazione, da parte di altri condomini, di interventi abusivi (Corte app. civ. Napoli, sez. II, 6 agosto 1996, n. 2033).

• L'opera nuova può dare luogo ad una innovazione anche quando, oltre che la cosa comune o sue singole parti, interessi beni o parti a questa estranei ma ad essa funzionalmente collegati. Anche in tal caso, quindi, se l'opera, pur essendo utilizzabile da tutti i condomini, è stata costruita esclusivamente a spese di uno solo dei condomini, questo ne rimane proprietario esclusivo solo fino alla richiesta degli altri di partecipare ai vantaggi della stessa contribuendo, ai sensi dell'art. 1120 c.c., alle spese per la sua costruzione e manutenzione. (Nella specie, si trattava di un ascensore per il collegamento dell'androne dell'edificio condominiale con una strada posta ad un livello notevolmente inferiore, costruito con opere che interessavano, oltre che l'androne ed il sottosuolo comuni, anche un terreno in proprietà esclusiva del condomino che le aveva eseguite) (Cass. civ., sez. II, 1 aprile 1995, n. 3840).

• Per decoro architettonico del fabbricato, ai fini della tutela prevista dall'art. 1120 c.c., deve intendersi l'estetica data dall'insieme delle linee e delle strutture ornamentali che

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costituiscono la nota dominante ed imprimono alle varie parti dell'edificio, nonché all'edificio stesso nel suo insieme, una sua determinata, armonica fisionomia senza che occorra che si tratti di un edificio di particolare pregio artistico (Cass. civ., sez. II, 7 dicembre 1994, n. 10507).

• L'art. 1120 c.c., nel richiedere le innovazioni della cosa comune siano approvate dai condomini con una determinata maggioranza, mira essenzialmente a disciplinare l'approvazione di innovazioni che comportino una spesa da ripartire tra tutti i condomini su base millesimale: ne consegue che, quando le spese debbano far carico esclusivamente al gruppo di condomini che ne trae utilità, trattandosi di innovazioni destinate a servire solo una parte dell'edificio condominiale (art. 1123, terzo comma, c.c.), il computo della maggioranza prescritta dal primo comma dell'art. 1120 c.c. deve operarsi con riferimento ai soli condomini interessati, ossia a quelli facenti parte di detto gruppo (Cass. civ., sez. II, 8 giugno 1995, n. 6496).

• La costruzione di un soppalco in un appartamento integra gli estremi del pregiudizio al decoro architettonico, in quanto modifica l'originaria distribuzione interna degli spazi, anche quando tale alterazione non sia percepibile dall'esterno (Trib. civ. Napoli, 26 gennaio 1994).

• Alle modificazioni consentite al singolo ex art. 1102, primo comma, c.c. le quali tecnicamente si contrassegnano perchè non alterano la destinazione delle cose comuni, si applica altresì il divieto di alterare il decoro architettonico del fabbricato, statuito espressamente dall'art. 1120, secondo comma, c.c., in tema di innovazioni (Cass. civ. 29 marzo 1994, n. 3084).

• Alle modificazioni consentite al singolo ex art. 1102, primo comma, c.c. le quali tecnicamente si contrassegnano perché non alterano la destinazione delle cose comuni, si applica altresì il divieto di alterare il decoro architettonico del fabbricato, statuito espressamente dall'art. 1120, secondo comma, c.c., in tema di innovazioni (Cass. civ., sez. II, 29 marzo 1994, n. 3084).

• Per decoro architettonico del fabbricato, ai fini della tutela prevista dall'art. 1120 c.c., deve intendersi l'estetica data dall'insieme delle linee e delle strutture ornamentali che costituiscono la nota dominante del fabbricato. Tali linee e strutture ornamentali rilevano in tal senso in quanto imprimono alle varie parti dell'edificio, nonché all'edificio stesso nel suo insieme, una sua determinata, armonica fisionomia (Cass. 7 dicembre 1994, n. 10507, conf. Cass. 25 gennaio 2010 n. 1286).

• In tema di condominio di edifici, la delibera di rinuncia all’impianto centralizzato di riscaldamento nella disciplina previgente alla legge 6 gennaio 1991, n. 10, configurando non una semplice modifica, bensì una radicale trasformazione della cosa comune nella sua destinazione strutturale ed economica, obiettivamente pregiudizievole per tutte le unità immobiliari già allacciate o suscettibili di allacciamento al medesimo, è soggetta all’art. 1120, comma 2, c.c., che vieta tutte le innovazioni che rendano parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino dissenziante, senza che in contrario rilevi la disposizione dell’art. 5 della legge 29 maggio 1982, n. 308 (abrogata dall’art. 23 della citata legge n. 10 del 1991), che si riferisce alla diversa ipotesi di interventi su parti comuni di edifici volti al contenimento di consumo energetico (Cass. civ. sent. 1926/93).

• L’assemblea del condominio con la maggioranza prevista dall’art. 1136, comma 5, c.c. può deliberare la modificazione (o anche la soppressione) del servizio di portierato, sempre che vengano osservati i principi in materia di innovazioni posti dall’art. 1120 c.c. e non ne derivino per taluno dei condomini vantaggi o svantaggi diversi rispetto agli altri. Pertanto, è nulla per violazione dell’art. 1120 citato, la deliberazione assunta a maggioranza che, conservando la proporzionalità di spesa sulla collettività condominiale, attui in un condominio costituito da più edifici la «centralizzazione» del servizio di portierato, in guisa da lasciare immutata la situazione per i condomini dell’edificio presso il quale il servizio

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viene svolto, mentre i condomini degli altri edifici vengono a trarre dal servizio una utilità minore (Cass. civ. sent. 5083/93).

• Qualora l’installazione del servizio di riscaldamento in un edificio in condominio risulti, in relazione alle caratteristiche ed alla situazione logistica dell’immobile, non gravosa né voluttuaria, tale innovazione, se approvata nei modi prescritti, è vincolante per tutti i condomini, con la conseguenza che, nell’ipotesi di un locale dato in locazione, come il proprietario–locatore è tenuto a sostenere pro quota le spese di impianto, parimenti il conduttore non può sottrarsi (trattandosi di innovazione lecita ex art. 1582 c.c.) al pagamento delle spese di esercizio fin dal momento dell’attuazione del servizio stesso, ancorché questo sia stato introdotto nel corso della locazione, essendo l’aumento degli oneri accessori conseguente all’applicazione dell’art. 9, legge 27 luglio 1978, n. 392, senza alterazione del rapporto sinallagmatico, posto che a fronte di una maggiore spesa per il conduttore vi è un obiettivo miglioramento delle condizioni di utilizzabilità del bene (Cass. civ. sent. 7001/93).

• In caso di condominio negli edifici, la modificazione di una parte comune e della sua destinazione, ad opera di taluno dei condomini, sottraendo la cosa alla sua specifica funzione e quindi al compossesso di tutti i condomini, legittima gli altri all’esperimento dell’azione di reintegrazione con riduzione della cosa stessa al pristino stato, tal che possa continuare a fornire quella «utilitas» alla quale era asservita anteriormente alla contestata modificazione senza che sia necessaria specifica prova del possesso di detta parte (che non abbia una sua autonomia rispetto all’edificio), quando risulti quello di una o più delle porzioni immobiliari in cui l’edificio stesso si articoli (Cass. civ. sent. 7691/93).

• In tema di condominio di edifici, l’art. 1121 c.c. riconosce ai condomini dissenzienti (e ai loro eredi e aventi causa), in caso di innovazioni gravose o voluttuarie, il diritto potestativo di partecipare successivamente ai vantaggi delle innovazioni stesse, contribuendo pro quota nelle spese di esecuzione e di manutenzione dell’opera ragguagliate al valore attuale della moneta, onde evitare arricchimenti in danno dei condomini che hanno assunto l’iniziativa dell’opera. (Fattispecie riguardante un impianto di ascensore installato nell’edificio condominiale non all’atto della sua costruzione, ma successivamente per iniziativa e a spese di parte dei condomini) (Cass. civ. sent. 8746/93).

• In tema di condominio di edifici, è nulla (e non soltanto annullabile) la deliberazione dell’assemblea presa a maggioranza che approvi una utilizzazione particolare da parte di un singolo condomino di un bene comune, qualora tale diversa utilizzazione – senza che sia dato distinguere tra parti principali e secondarie dell’edificio condominiale – rechi pregiudizievoli invadenze nell’ambito dei coesistenti diritti altrui, quali asservimenti, immissioni o molestie lesivi del diritto degli altri condomini alle cose e servizi comuni o su quelle di proprietà esclusiva di ognuno di essi (nella specie la C.S. ha annullato la decisione del merito che aveva ritenuto la validità della deliberazione presa a maggioranza che aveva autorizzato un condomino ad appoggiare sul muro perimetrale comune una canna fumaria destinata a smaltire le esalazioni prodotte dal forno di un esercizio commerciale ubicato a piano terra, collocata nella parte terminale a breve distanza dalle finestre di altro condominio) (Cass. civ. sent. 9130/93).

• In tema di condominio di edifici, l'art. 1121 c.c. riconosce ai condomini dissenzienti (e ai loro eredi e aventi causa), in caso di innovazioni gravose o voluttuarie, il diritto potestativo di partecipare successivamente ai vantaggi delle innovazioni stesse, contribuendo pro quota nelle spese di esecuzione e di manutenzione dell'opera ragguagliate al valore attuale della moneta, onde evitare arricchimenti in danno dei condomini che hanno assunto l'iniziativa dell'opera. (Fattispecie riguardante un impianto di ascensore installato nell'edificio condominiale non all'atto della sua costruzione, ma successivamente per iniziativa e a spese di parte dei condomini) (Cass. civ., sez. II, 18 agosto 1993, n. 8746).

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• Per stabilire se vi sia stata lesione del decoro architettonico del fabbricato condominiale, ai sensi dell'art. 1120 c.c., il giudice oltre ad accertare se esso risulti leso o turbato deve anche valutare se tale lesione o turbativa determini o meno un deprezzamento dell'intero stabile, essendo lecito il mutamento estetico che non cagioni un pregiudizio economicamente valutabile o che, pur arrecandolo, si accompagni a una utilità la quale compensi l'alterazione architettonica che non sia di grave e appariscente entità (Pret. civ. Taranto, 21 settembre 1993, n. 629).

• L’articolo 1120 del c.c., nel richiedere che le innovazioni della cosa comune siano approvate dai condomini con determinate maggioranze, mira essenzialmente a disciplinare l’approvazione di innovazioni che comportino una spesa da ripartire tra tutti i condomini su base millesimale mentre, qualora non debba farsi luogo a un riparto di spese per essere stata questa assunta interamente a proprio carico da un condomino, trova applicazione la norma generale di cui all’articolo 1102 del c.c., che contempla anche le innovazioni, e secondo cui ciascun partecipante può servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto e può apportare a tal fine a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa medesima. Ricorrendo tali condizioni un condomino, pertanto, ha facoltà di installare nella tromba delle scale dell’edificio condominiale un ascensore, ponendolo a disposizione degli altri condomini e può far valere il relativo diritto con azione di accertamento in contraddittorio degli altri condomini che contestino il diritto stesso, indipendentemente dalla mancata impugnazione della delibera assembleare che abbia respinto la sua proposta al riguardo (Cass. civ. sent. 3508/99 – cfr. Cass. civ. sent. 1781/93).

• I vincoli relativi alla tutela delle bellezze naturali ed artistiche che gravano sul proprietario di un immobile in edificio condominiale incidono, in ordine alle opere che comportino modifica della situazione preesistente, solo nei rapporti tra l'esecutore delle stesse e la pubblica autorità investita della tutela ma non possono interferire negativamente sulle posizioni soggettive attribuite agli altri condomini dall'art. 1120 c.c. per la preservazione del decoro architettonico (Corte app. civ. Napoli, sez. II, 30 luglio 1993, n. 2063).

• La natura dell'innovazione ex art. 1120 c.c. non dipende dal mero fatto fisico che l'opera possa incidere sulla consistenza materiale dell'edificio, ma deriva da un aspetto più qualificante della modificazione, che si riscontra quando essa provochi una alterazione della sostanza o della destinazione della parte comune a cui si riferisce. Pertanto, nel caso in cui l'opera modificativa consista soltanto in un miglioramento delle utilità che il bene comune aveva già l'attitudine di procurare ai partecipanti, sia pure in misura ridotta, si deve escludere che si tratti di innovazione. (Fattispecie in tema di ripristino di ascensori di servizio) (Trib. civ. Milano, sez. VIII, 14 settembre 1992).

• In tema di condominio si deve considerare innovazione non qualsiasi modificazione della cosa comune, ma solamente quella che alteri l'entità materiale del bene operandone la trasformazione, ovvero determini la modificazione della sua destinazione, nel senso che il bene comune a cui l'opera si riferisce, in seguito alle opere innovative eseguite, presenti una diversa consistenza materiale, ovvero sia utilizzato per fini diversi da quelli anteriori all'esecuzione delle opere. Quando invece la modificazione della cosa comune risponda allo scopo di un uso del bene più intenso e proficuo, si versa nell'ipotesi dell'art. 1102 c.c., in base al quale, nel servirsi delle cose comuni, ciascun partecipante è soggetto a limitazioni prescritte per la salvaguardia della originaria destinazione dei singoli beni, e non può quindi n‚ alterare la destinazione della cosa comune, n‚ rendere la cosa comune inservibile anche ad uno solo degli altri condomini, perchè ogni partecipante ha diritto di farne pari uso (Trib. civ. Milano, 25 maggio 1992).

• Il decoro architettonico dell'edificio condominiale è tutelato dall'art. 1120, secondo comma, c.c. solo in relazione a vere e proprie innovazioni della cosa comune (anche di carattere contingente ma tali da modificarne la destinazione), non già anche in relazione alle modalità

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di utilizzazione dell'immobile di proprietà esclusiva (Corte app. civ. Milano, sez. I, 25 settembre 1992, n. 1556).

• Esclusi problemi di staticità, non sono pregiudizievoli per il decoro e l'aspetto architettonico dell'edificio condominiale e, pertanto, non se ne può imporre la demolizione, quei manufatti, posti in essere dai singoli condomini sulle rispettive proprietà esclusive, che non siano (o lo siano in modo inapprezzabile) visibili dall'esterno, essendo evidentemente determinante, in fatto di estetica, il criterio della visibilità dell'opera (Trib. civ. Roma, 13 novembre 1990, n. 3556, in Arch. loc. e cond. 1991, 122).

• In materia di disciplina legale della tutela del decoro architettonico di un edificio condominiale il giudice, per decidere se vi è stato turbamento, deve accertare: 1) l'effettività della turbativa; 2) la diminuzione di valore che l'alterazione del decoro arreca all'intero edificio ed alle singole unità che lo compongono; e, infine, 3) l'utilità che si accompagna al pregiudizio (qualora non sia di per sè grave e di appariscente entità). Pertanto, anche quando l'alterazione produce un danno apprezzabile (economicamente valutabile), se ad essa si accompagni un'utilità (non meramente soggettiva) idonea a compensarlo, non può esservi turbamento (Pret. civ. Capri, 26 maggio 1990, in Arch. loc. e cond. 1991, 174).

• La costruzione di una tettoia di m. 4,50 per 0,60 a protezione di un poggiolo sito nella facciata al primo piano È da ritenersi lesiva del decoro del fabbricato, a meno che il condomino che ha operato tale intervento non provi che esso, in relazione alle particolari circostanze del caso concreto ed al contesto in cui è stato attuato, è compatibile con le disposizioni di legge e di regolamento (Trib. civ. Milano, 31 ottobre 1991).

• Ciò che nel passato era innovativo e voluttuario può anche non esserlo più, in quanto ogni intervento manutentivo o innovativo deve essere valutato in relazione alle esigenze dell'attuale situazione economica e culturale del paese, alla cui stregua vanno interpretati gli stessi concetti di gravosità o voluttuarietà delle opere (Trib. civ. Milano, 2 dicembre 1991).

• Allorché non è dedotta dal condominio la lesione del valore architettonico-storico dell'edificio, il giudice si deve limitare ad accertare l'eventuale lesione del decoro architettonico, ai sensi dell'art. 1120 c.c., con riguardo a qualsiasi edificio privo di particolare importanza; ne consegue che non si può parlare di intervento peggiorativo con riguardo ad un comprovato snaturamento delle linee originarie dello stabile. (Nella specie, accertata la compromissione della simmetria con l'instaurarsi nel prospetto esterno di una serie disordinata di manufatti ed infissi di natura e vizi diversi, quali persiane napoletane, ringhiere diversamente disegnate, verande, ecc., il tribunale ha riformato la decisione del primo giudice, ritenendo legittime e non lesive del decoro del fabbricato già pregiudicato ed alterato le aperture a balcone del tipo "alla romana", in luogo delle precedenti aperture-finestre, operate da un condomino) (Trib. civ. Napoli, 15 settembre 1990).

• Le innovazioni di cui all'art. 1120, primo comma, c.c. (nella specie, consistenti nella collocazione di una porta sulla scala condominiale e nel blocco con chiave della pulsantiera dell'ascensore), realizzate dall'amministrazione del condominio in assenza di preventiva delibera assembleare, in quanto idonee a turbare il pacifico godimento e l'utilizzazione del singolo condomino su alcune parti comuni dell'edificio, rendono ammissibile l'azione di manutenzione a tutela del (comunione dei diritti reali) possesso (delle menzionate parti comuni) proposta da quest'ultimo. Peraltro, l'adozione, nel corso del giudizio possessorio, di una delibera condominiale che ratifichi, con la maggioranza qualificata prevista dall'art. 1136, quinto comma, c.c. le spese relative alle eseguite innovazioni e sostanzialmente autorizzi le innovazioni medesime, legittima, sia pure tardivamente, sotto il profilo dell'esercizio del possesso, la condotta posta in essere dall'amministratore suddetto, facendo venir meno i connotati della molestia e turbativa in essa (condotta) originariamente ravvisabili, con conseguente rigetto nel merito della domanda di manutenzione come sopra proposta (Pret. civ. Busto Arsizio, 6 febbraio 1990).

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• In tema di condominio di edifici costituisce "innovazione" soggetta ad approvazione con la maggioranza assembleare di cui al quinto comma dell'art. 1136 c.c. qualunque opera nuova che implichi una modificazione notevole della cosa comune, alternadone l'entità sostanziale o la destinazione originaria con esclusione quindi delle modificazioni che mirano a potenziare o a rendere più comodo il godimento della cosa comune. Lo stabilire se un'opera integri o meno gli estremi dell'innovazione prevista dall'art. 1120 c.c. costituisce un'indagine di fatto insindacabile in cassazione se sostenuta da corretta e congrua motivazione. (Nella specie l'impugnata sentenza confermata dalla S.C. aveva escluso che desse luogo ad una innovazione la sostituzione della preesistente pavimentazione del lastrico solare con un diverso tipo di mattonelle) (Cass. civ., sez. II, 5 novembre 1990, n. 10602).

• Non può essere autorizzata la collocazione di una rampa di accesso al portone di ingresso di uno stabile, richiesta da un portatore di handicap, con riferimento alle disposizioni previste dalla legge 13/89, qualora tale collocazione determini innovazioni di carattere murario all’ingresso ed interventi sul giardino comune tali da modificare l’estetica dell’immobile e da sottrarre una porzione della cosa comune allo sfruttamento da parte di tutti i condomini, per attrarla nella sfera di esclusiva disponibilità del singolo (Pretura Milano, ord. 18.4.89).

• La sostituzione dell’organo motore di un ascensore condominiale non può avere altra finalità che la conservazione dell’ascensore stesso ed è un atto di amministrazione ordinaria della cosa comune, non comportando innovazione (App. Bologna 1.4.89).

• Al fine di stabilire se le opere modificatrici della cosa comune abbiano pregiudicato il decoro architettonico di un fabbricato condominiale, devono essere tenute presenti le condizioni in cui quest'ultimo si trovava prima dell'esecuzione delle opere stesse, con la conseguenza che una modifica non può essere ritenuta pregiudizievole per il decoro architettonico se apportata ad un edificio la cui estetica era stata già menomata a seguito di precedenti lavori ovvero che sia di mediocre livello architettonico (Cass. civ., sez. II, 29 luglio 1989, n. 3549).

• La disposizione dell'art. 1120 cod. civ., nella parte in cui vieta le innovazioni che possono recare pregiudizio al decoro architettonico del fabbricato o che rendono talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso od al godimento anche di un solo condomino, si limita a tutelare l'edificio in sè ed il modo di usare e di godere della cosa comune; consegue che ove l'opera compiuta da un condomino o dal condominio sulla cosa comune rechi danno o pregiudizio alla proprietà esclusiva di un singolo condomino, trattandosi di rapporto relativi a due immobili finitimi, trovano applicazione la disciplina dei rapporti di vicinato (Cass. civ., sez. II, 26 maggio 1989, n. 2548).

• In tema di condominio degli edifici, deve considerarsi innovazione - come tale sottoposta

alle limitazioni di cui all'art. 1120 cod. civ. - non qualsiasi modificazione della cosa comune, ma solamente quella che alteri l'entità materiale del bene, operandone la trasformazione, ovvero determini la modificazione della sua destinazione, nel senso che detto bene, in seguito alle opere innovative eseguite, presenti una diversa consistenza materiale ovvero sia utilizzato per fini diversi da quelli precedenti l'esecuzione delle opere; ove, invece, la modificazione della cosa comune non assuma tale rilievo, ma risponda allo scopo di un uso del bene più intenso e proficuo, si versa nell'ambito dell'art. 1102 cod. civ., che, pur dettato in tema di comunione in generale, è applicabile in materia di condominio degli edifici per il richiamo contenuto nell'art. 1139 cod. civ. (Cass. civ., sez. II, 29 luglio 1989, n. 3549).

• Costituisce innovazione, ai fini dell'art. 1120 cod. civ., qualsiasi opera nuova che, eccedendo i limiti della conservazione, dell'ordinaria amministrazione o del godimento della cosa comune, ne comporti una totale o parziale modificazione nella forma o nella sostanza, con l'effetto di migliorarne o peggiorarne il godimento e comunque alterarne la destinazione originaria, con conseguente implicita incidenza sull'interesse di tutti i condomini, i quali devono essere liberi di valutare la convenienza dell'innovazione, anche se sia stata

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programmata ad iniziativa di un solo condomino che se ne sia assunto le spese, mentre non costituiscono innovazione - e sono quindi soggetti alla disciplina dell'art. 1102 cod. civ. - tutti gli atti di maggiore o più intensa utilizzazione della cosa comune che non importino alterazioni o modificazioni della stessa e non precludano agli altri partecipanti la possibilità di utilizzare la cosa facendone lo stesso maggior uso del condomino che abbia attuato la modifica. (Nella specie, in base al suddetto principio, è stata ritenuta corretta la decisione del giudice del merito che aveva ritenuto non costituire innovazione l'installazione, ad opera di due condomini, di un'autoclave, predisposta per l'utilizzazione da parte di tutti gli altri condomini e collocata in una parte - non altrimenti utilizzabile - dell'androne comune dell'edificio) (Cass. civ., sez. II, 6 giugno 1989, n. 2746).

• Per determinare il carattere gravoso o voluttuario della spesa inerente ad un'innovazione non è rilevante il riferimento alle condizioni economiche dei singoli condomini. (Nella specie, la circostanza che l'impugnante fosse uno studente privo di reddito da lavoro proprio non ha inciso sulla legittimità della deliberazione dell'assemblea) (Trib. civ. Milano, sez. VIII, 4 maggio 1989).

• La disposizione dell'art. 1120 cod. civ., nella parte in cui vieta le innovazioni che possano recare pregiudizio al decoro architettonico del fabbricato o che rendano talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso od al godimento anche di un solo condomino, si limita a tutelare l'edificio in sè ed il modo di usare e di godere della cosa comune: consegue che ove l'opera compiuta da un condomino o dal condominio sulla cosa comune rechi danno o pregiudizio alla proprietà esclusiva di un singolo condomino, trattandosi di rapporti relativi a due immobili finitimi, trova applicazione la disciplina dei rapporti di vicinato (Cass. civ., sez. II, 26 maggio 1989, n. 2548).

• Il divieto di innovazioni che alterino il decoro estetico ed architettonico di un edificio riguarda, ai sensi dell'art. 1120 cod. civ., i rapporti tra condomini e presuppone quindi l'esistenza di un edificio in condominio, con la conseguenza che le innovazioni apportate da taluno ad un edificio di sua proprietà non attribuiscono al vicino, proprietario di un adiacente edificio, il diritto al risarcimento del danno per assunto pregiudizio estetico all'intero complesso immobiliare unitariamente considerato (Cass. civ., sez. II, 27 aprile 1989, n. 1954).

• La valutazione delle innovazioni, al fine della salvaguardia del decoro architettonico, è meno rigorosa per un edificio di architettura moderna, rispetto a quella necessaria per un immobile antico o d'epoca (Trib. civ. Milano, sez. VIII, 8 maggio 1989).

• Ciò che conta, affinché si abbia attività innovativa non consentita, è che l'azione del singolo sul bene comune sia tale da alterare l'originario utilizzo che tutti i partecipanti alla comunione potevano ricavare dal bene medesimo e tale alterazione sussiste quando le modificazioni siano tali da rendere impossibile o pregiudicare apprezzabilmente la destinazione originaria, attuale o virtuale, della cosa comune, e non già quando l'utilità che ne ricava il singolo condomino semplicemente si aggiunga a quella in atto (Trib. civ. Milano, sez. VIII, 12 ottobre 1989).

• La valutazione delle innovazioni, al fine della salvaguardia del decoro architettonico, è meno rigorosa per un edificio di architettura moderna, rispetto a quella necessaria per un immobile antico o d'epoca (Trib. civ. Milano, sez. VIII, 8 maggio 1989).

• In materia di innovazioni ex art. 1120 cod. civ., il consenso deve essere manifestato con atto scritto a pena di nullità ed è inammissibile al riguardo la prova testimoniale (Trib. civ. Firenze, 20 ottobre 1988, n. 1609).

• Per decoro architettonico del fabbricato, ai fini della tutela prevista dall'art. 1120 cod. civ. deve intendersi l'estetica data dall'insieme delle linee e delle strutture ornamentali che costituiscono la nota dominante ed imprimono alle varie parti dell'edificio, nonchè all'edificio stesso nel suo insieme, una sua determinata armonica fisionomia, senza che occorra che si tratti di edificio di particolare pregio artistico. L'indagine volta a stabilire se,

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in concreto, un'innovazione determini o meno alterazione del decoro architettonico è demandata al giudice del merito, il cui apprezzamento sfugge al sindacato di legittimità, se congruamente motivato (Cass. civ., sez. II, 7 marzo 1988, n. 2313).

• L'assemblea di un condominio non può, a norma dell'art. 1120, secondo comma, cod. civ., rendere inservibile o disattivare la cosa comune nei confronti di uno o più condomini dissenzienti, mediante il mutamento della destinazione strutturale ed economica della cosa comune (Trib. civ. Rimini, 6 dicembre 1988, n. 672).

• Si ha innovazione vietata ex art. 1120 cod. civ. quando le modificazioni apportate alla cosa comune siano di tale entità e/o incidenza da rendere impossibile o da pregiudicare apprezzabilmente l'originaria naturale destinazione o funzione della stessa, considerata nella sua unità e non solo nella sola parte modificata; è invece lecita la modificazione che lasciando immutata la naturale ed originaria funzione della cosa comune, apporti al comproprietario - condomino che l'ha effettuata - una specifica utilità aggiuntiva, senza però cagionare alcun pregiudizio al condominio o anche ad un singolo condomino (Trib. civ. Milano, sez. VIII, 19 settembre 1988).

• Se è vero che non costituiscono innovazioni quegli accrescimenti ed incrementi che sono sviluppi normali e prevedibili della cosa comune e si risolvono nel trasformare da potenziali in attuali le utilità insite nella natura del bene, si esula da tale ipotesi allorchè gli interventi siano così incisivi da risolversi in aggiunte che rendano "nuova" la parte comune rispetto alle caratteristiche dell'edificio così come realizzato (Corte app. civ. Milano, sez. I, 9 settembre 1988, n. 1688).

• In tema di condominio, per innovazione in senso tecnico, come tale soggetta alla limitazione di cui all'art. 1120 cod. civ., deve intendersi non qualsiasi mutamento o modificazione della cosa comune, ma solamente quella modificazione che importi alterazione nella sua entità sostanziale o mutamento della destinazione della cosa stessa, così da non turbare l'equilibrio tra i concorrenti interessi dei condomini (Trib. civ. Napoli, sez. V, 9 novembre 1988, n. 10244).

• In tema di condominio di edifici, poiché la naturale e principale funzione dei cortili (cose comuni ex art. 1117 c.c.) è quella di dare aria e luce ai locali prospicienti di proprietà esclusiva e di consentire il libero transito per accedere ai medesimi, l’assemblea condominiale, con deliberazione presa a maggioranza, ha il potere di predeterminare, nel cortile comune, le aree destinate a parcheggio delle automobili e di stabilire, al loro interno, le porzioni separate di cui ciascun condomino può disporre, ma non quello di deliberare la trasformazione in un’area edificabile destinata alla installazione, con stabili opere edilizie, di autorimesse, a beneficio di alcuni soltanto dei condomini, configurandosi una innovazione vietata a norma del comma ultimo dell’art. 1120 c.c., in ragione, oltre che del venir meno della stessa funzione della detta area comune, della sua utilizzazione esclusiva da parte di alcuni dei condomini, con la sottrazione all’uso ed al godimento anche di un solo condomino (Cass. civ. sent. 6673/88).

• Le modificazioni apportate da uno dei condomini agli infissi delle finestre del proprio appartamento in assenza della preventiva autorizzazione dell'assemblea condominiale prevista dal regolamento di condominio, valgono a far qualificare presuntivamente dette opere come abusive e pregiudizievoli al decoro architettonico della facciata dell'edificio ed a configurare l'interesse processuale del singolo condomino che agisca in giudizio a tutela della cosa comune. Nè tale interesse può ritenersi escluso per la possibilità di una postuma convalida da parte dell'assemblea, perché l'esercizio del potere di azione non può trovare ostacolo nella aleatoria evenienza di una successiva convalida da parte dell'assemblea (Cass. civ., sez. II, 9 giugno 1988, n. 3927).

• In tema di condominio negli edifici, ai fini della distinzione tra innovazioni consentite e innovazioni vietate, non basta che la nuova opera incida sull'entità materiale della cosa comune ma occorre che ne alteri la sostanza, con mutamento dell'essenza funzionale e

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strutturale o ne muti la destinazione (impressavi dalla volontà dei compartecipanti ed espressa dal titolo: regolamento di condominio, deliberazione assembleare, o gradatamente dall'uso o dalla natura stessa della cosa). (Nella specie in base all'enunciato principio la Corte Suprema ha annullato la decisione del merito che aveva ritenuto innovazione vietata l'utilizzazione parziale del sottosuolo del giardino condominiale per un impianto autonomo di riscaldamento, per cui era rimasta accertata la mancata alterazione della cosa comune e l'inesistenza di impedimento all'uso degli altri condomini) (Cass. civ., sez. II, 14 novembre 1988, n. 6146).

• La tutela del decoro architettonico è stata apprestata dal legislatore in considerazione della diminuzione del valore che la sua alterazione arreca all'intero edificio e, quindi, anche alle singole unità immobiliari che lo compongono. Pertanto, il giudice del merito, per stabilire se in concreto vi sia stata lesione di tale decoro, oltre ad accertare se esso risulti leso o turbato, deve anche valutare se tale lesione o turbativa determini o meno un deprezzamento dell'intero fabbricato, essendo lecito il mutamento estetico che non cagioni un pregiudizio economicamente valutabile o che, pur arrecandolo, si accompagni a un'utilità la quale compensi l'alterazione architettonica che non sia di grave e appariscente entità (Cass. civ., sez. II, 15 maggio 1987, n. 4474).

• Per innovazioni vietate sulla cosa comune devono intendersi solo quelle che ne mutano la sostanza e la forma (sempre però in riferimento all'uso cui essa è destinata o che a questo rechino limitazione o danno) e non già quelle che permettono di trarne una maggiore utilizzazione conforme all'uso. Non costituiscono innovazioni, pertanto, le modificazioni della cosa comune dirette a potenziare o a rendere più comodo il godimento della medesima che ne lascino immutata la consistenza e la destinazione, in modo da non turbare l'equilibrio fra i concorrenti interessi dei condomini (Trib. civ. Napoli, 26 settembre 1987, n. 9034).

• Il decoro architettonico, che, espressamente richiamato dall'art. 1120 cod. civ., va valutato con riferimento alla linea estetica dell'edificio indipendentemente dal suo particolare pregio artistico, È un bene al quale sono direttamente interessati tutti i condomini ed È suscettibile anche di valutazione economica, in quanto concorre a determinare il valore sia della proprietà individuale, sia di quella collettiva delle parti comuni (Cass. civ., sez. II, 31 luglio 1987, n. 6640).

• Poiché le norme del regolamento di condominio di natura negoziale possono derogare o comunque integrare la disciplina legale, deve ritenersi che qualora una norma del regolamento di condominio vieti le innovazioni che modifichino l'architettura, l'estetica o la simmetria del fabbricato, essa non solo contribuisce a definire la nozione di decoro architettonico formulata dall'art. 1120 cod. civ., ma recepisce anche un autonomo valore (dandone una definizione più rigorosa), nel senso che il decoro architettonico del fabbricato condominiale in questione È qualificato da elementi attinenti alla simmetria, estetica ed architettura generale impressi dal costruttore o comunque esistenti al momento dell'esecuzione della innovazione, sicchè l'alterazione di esso (decoro) È ravvisabile, con conseguente operatività del divieto di cui all'art. 1120 cod. civ., alla menomazione anche di un solo dei predetti elementi. (Nella specie la Suprema Corte ha corretto la motivazione della decisione impugnata nel senso che la norma del regolamento condominiale, nel definire la nozione di decoro architettonico, recepiva un autonomo valore, confermando la decisione stessa poiché i giudici del merito avevano accertato, con esatti criteri che nel caso concreto la trasformazione di una finestra sul cortile in porta-finestra non aveva pregiudicato alcuno degli elementi di simmetria, architettura ed estetica considerati dall'art. 11 del regolamento condominiale) (Cass. civ., sez. II, 28 novembre 1987, n. 8861).

• Per innovazione deve intendersi non qualsiasi mutamento della cosa comune, ma solo la modifica materiale della cosa stessa che importi alterazione della sua entità sostanziale o mutamento della sua destinazione originaria, sicchè i semplici cambiamenti del modo o tipo di utilizzazione della cosa, come le semplici sostituzioni di materiale avariato o logoro con

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altro tipo più moderno, senza alterare la struttura sostanziale o la precedente destinazione della cosa, rientrano nel contenuto degli atti ordinari di amministrazione (Trib. civ. Napoli, 26 settembre 1987).

• Nel caso di esecuzione nei locali di proprietà individuale di opere e lavori lesivi del decoro dell'edificio condominiale o di parte di esso, ciascun condomino ha diritto di chiedere ed ottenere, in via di adempimento in forma specifica dell'obbligo di non fare (art. 2923 cod. civ.), la demolizione delle opere illegittimamente eseguite, esulando dai poteri istituzionali dell'assemblea dei condomini - non‚ potendo attribuirla il regolamento condominiale - la facoltà di deliberare o consentire opere lesive del decoro dell'edificio condominiale (a norma dell`art. 1138, in relazione agli artt. 1120 e 1122 cod. civ.) (Cass. civ., sez. II, 15 gennaio 1986, n. 175).

• In tema di condominio negli edifici, la distinzione tra modifica ed innovazione si ricollega all'entità e qualità dell'incidenza della nuova opera sulla consistenza e sulla destinazione della cosa comune, nel senso che per innovazione in senso tecnico-giuridico deve intendersi non qualsiasi mutamento o modificazione della cosa comune, ma solamente quella modificazione materiale che ne alteri l'entità sostanziale o ne muti la destinazione originaria, mentre le modificazioni che mirano a potenziare o a rendere più comodo il godimento della cosa comune e ne lasciano immutate la consistenza e la destinazione, in modo da non turbare i concorrenti interessi dei condomini, non possono definirsi innovazioni nel senso suddetto. Lo stabilire se un'opera integri o meno gli estremi dell'innovazione prevista dall'art. 1120 cod. civ. costituisce un'indagine di fatto, insindacabile in cassazione se sostenuta da corretta e congrua motivazione. (Nella specie, l'impugnata sentenza - confermata dalla Suprema Corte - aveva escluso che dessero luogo ad innovazione i lavori di adeguamento alla normativa vigente dell'impianto termico dell'edificio condominiale, consistenti, fra l'altro, nella sostituzione della caldaia e nella trasformazione a gasolio del bruciatore esistente nonchè nell'interramento del serbatoio del combustibile al di fuori dell'edificio) (Cass. civ., sez. II, 20 agosto 1986, n. 5101).

• Un regolamento di condominio cosiddetto contrattuale ove abbia ad oggetto la conservazione dell'originaria facies architettonica dell'edificio condominiale, comprimendo il diritto di proprietà dei singoli condomini mediante il divieto di qualsiasi opera modificatrice, persino migliorativa, appresta in tal modo una tutela pattizia ben più intensa e rigorosa di quella apprestata al mero decoro architettonico dagli artt. 1120, secondo comma, 1127, terzo comma, e 1138, primo comma, cod. civ., con la conseguenza che in presenza di opere esterne la loro realizzazione integra di per s‚ una vietata modificazione dell'originario assetto architettonico dell'edificio (Cass. civ., sez. II, 12 dicembre 1986, n. 7398).

• Ove un singolo condomino intenda sottrarsi alla partecipazione alla spesa relativa ad una innovazione gravosa o voluttuaria, l'onere della prova dell'esistenza degli estremi di cui all'art. 1121 cod. civ. grava sullo stesso condomino interessato (Pret. civ. Taranto, 27 maggio 1986).

• L'alterazione del decoro dell'edificio condominiale (che in sè non è bene comune ma al regime legale dei beni comuni è assoggettato) ben può derivare dall'alterazione dell'originario aspetto di singoli elementi o di singole parti dell'edificio stesso che abbiano sostanziale o formale autonomia o siano comunque suscettibili per sè‚ di autonoma considerazione, senza che possa rilevare la circostanza che analogo manufatto sia stato da altri realizzato su di un diverso fronte dello stesso edificio (Cass. civ., sez. II, 15 gennaio 1986, n. 175).

• In materia di condominio degli edifici, le innovazioni, per le quali è consentito al singolo condomino, ai sensi dell'art. 1121 cod. civ., di sottrarsi alla relativa spesa per la quota che gli compete, sono quelle che, oltre a riguardare impianti suscettibili di utilizzazione separata, hanno natura voluttuaria, ovvero risultano molto gravose, con riferimento oggettivo alle condizioni e alla importanza dell'edificio. La relativa valutazione integra un accertamento di

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fatto devoluto al giudice del merito ed incensurabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione congrua (Cass. civ., sez. II, 18 gennaio 1984, n. 428).

• In tema di condominio di edifici, ciascuno condomino può servirsi delle parti comuni a condizione che non ne alteri la naturale destinazione, che non pregiudichi la stabilità, la sicurezza e il decoro architettonico del fabbricato e che non arrechi danno alle singole proprietà esclusive e non impedisca, infine, agli altri partecipanti, di farne parimenti uso secondo il loro diritto; con la conseguenza che devono ritenersi vietate le innovazioni alla cosa comune che ne mutino la sostanza e la forma, incidendo sull'entità materiale della cosa, alterandone in tutto o in parte la consistenza, la conformazione o la destinazione impressavi dalla volontà dei compartecipanti ed espressa dal titolo (regolamento di condominio, deliberazioni assembleari o gradatamente dall'uso o dalla natura stessa della cosa) o che arrechino limitazioni o danno all'uso degli altri condomini in guisa da turbare l'equilibrio tra i concorrenti interessi dei medesimi. (In applicazione del principio di cui in massima, è stata ritenuta vietata la costruzione nel cortile comune di uno scivolo per accedere ad un'unità immobiliare sita ad un livello più alto, attraverso una finestra trasformata in accesso carrabile, in quanto determinante modificazione della struttura e della destinazione del cortile, adibito al servizio di passo carrabile e di area di parcheggio del traffico veicolare a servizio dell`unità immobiliare utilizzata non più ad uso abitativo, bensì commerciale) (Cass. civ., sez. II, 10 marzo 1983, n. 1789).

• L'esecuzione nell'edificio in condominio di opere che, pur incidendo su beni di proprietà esclusiva, mettano in pericolo interessi comuni tutelati dalla legge, quale quello connesso al decoro dell'edificio, che costituisce un particolare aspetto del godimento dei beni e servizi comuni, è legittimamente disciplinata non solo direttamente dal regolamento condominiale ma anche fissata su delega di questo, dall'assemblea condominiale, tra i cui compiti è compresa la disciplina della conservazione e manutenzione delle cose comuni. Consegue che l'eventuale impugnativa, da parte del condomino che contesti la valutazione dell'assemblea che abbia ritenuto la contrarietà al decoro dell'edificio di una data opera (nella specie: apposizione dei doppi vetri nelle aperture degli appartamenti) e l'abbia vietata, va proposta nei termini stabiliti dall'art. 1137 cod. civ., senza che rilevi che all'epoca della delibera il condomino non fosse ancora tale, poichè‚ gli aventi causa dagli originari condomini restano vincolati dalle delibere assembleari legittimamente prese a suo tempo in ordine agli interessi comuni del condominio (Cass. civ., sez. II, 11 agosto 1982, n. 4542).

• Una innovazione sulla cosa comune vietata a norma dell'art. 1120 cod. civ., in quanto comportante l'inservibilità, per gli altri condomini, della cosa comune è la costituzione sulla stessa di un diritto reale a favore di un solo condomino, e per essere legittima deve essere consentita, a pena di nullità, con atto scritto, da tutti gli altri condomini, pertanto, inammissibile la prova testimoniale diretta a provare l'esistenza di tale consenso (Cass. civ., sez. II, 4 luglio 1981, n. 4364).

• Nell’ipotesi del condomino che trasformi una parte del tetto di copertura dell’edificio condominiale in terrazza destinata a suo uso esclusivo si configura non una innovazione ex art. 1120 c.c., bensì una violazione del divieto posto dal precedente art. 1102 c.c. di alterare la destinazione della cosa comune e di impedire agli altri comproprietari di farne parimenti uso secondo il loro diritto (Cass. civ. sent. 4579/81).

• Ricorre l’ipotesi di innovazione lesiva del diritto degli altri condomini nella escavazione da parte di uno o più di essi nel sottosuolo comune, allorché vengano realizzate opere che ne limitino l’uso ed il godimento da parte degli altri condomini (Cass. civ. sent. 2805/81).

• Se è vero che l'alterazione del decoro architettonico dell'edificio in condominio, vietata dall'art. 1120 cod. civ., richiede un mutamento estetico implicante un pregiudizio economicamente valutabile, tuttavia, nell'ipotesi di modifica obiettivamente rilevante, deve ritenersi insito nel pregiudizio estetico quello economico, con la conseguente insussistenza dell'obbligo del giudice di un'espressa motivazione sotto tale ultimo profilo. (Nella specie, in

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cui si trattava della trasformazione in porte di tre finestre di un appartamento condominiale, il S.C., enunciando il principio che precede, ha considerato congrua la decisione dei giudici del merito che avevano reputato tale trasformazione lesiva del decoro architettonico dello stabile alla stregua della consistenza della medesima e della sua notevole incidenza negativa sulla simmetria dell'immobile) (Cass. civ., sez. II, 4 aprile 1981, n. 1918).

• In materia di condominio negli edifici, le innovazioni per le quali è consentito al singolo condomino, ai sensi dell'art. 1121 cod. civ., di sottrarsi alla spesa relativa, per la quota che gli compete, sono quelle che riguardano impianti suscettibili di utilizzazione separata e che hanno natura voluttuaria, cioè sono prive di utilità, ovvero risultano molto gravose, ossia sono caratterizzate da una notevole onerosità, da intendere in senso oggettivo, dato il testuale riferimento della norma citata alle particolari condizioni e all'importanza dell'edificio. L'onere della prova di tali estremi grava sul condomino interessato, vertendosi in tema di deroga alla disciplina generale della ripartizione delle spese condominiali (Cass. civ., sez. II, 23 aprile 1981, n. 2408).

• L’installazione in uno stabile condominiale privo di servizio di portierato, di impianto citofonico con posto esterno di ascolto, non costituisce innovazione, a norma dell’art. 1120 c.c. (App. Milano 3.6.75; conf, App. Roma, 29.10.80).

• La norma dell'art. 1120 cod. civ., nel richiedere che le innovazioni della cosa comune siano approvate dai condomini con determinate maggioranze, mira essenzialmente a disciplinare l'approvazione d'innovazioni che comportino per tutti i condomini delle spese, ripartite su base millesimale. Ove non si faccia questione di spese, torna applicabile la norma generale dell'art. 1102 cod. civ. - che contempla anche le innovazioni - secondo cui ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto, ed, a tal fine, può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa comune (Corte app. civ. Milano, sez. I, 7 marzo 1980, n. 368).

• La disposizione del capoverso dell'art. 1120 cod. civ., che vieta anche l'esecuzione di opere, nell'edificio condominiale, che ne alterino il decoro architettonico, in quanto diretta a tutelare la linea armonica di uno stabile, deve trovare applicazione non solo quando si tratti di edifici di particolare pregio artistico, ma anche quando si tratti di edifici aventi una propria fisionomia che venga a risultare turbata, nell'armonia delle linee, dalla nuova opera (Cass. civ., sez. II, 5 febbraio 1980, n. 832).

• Costituisce innovazione qualsiasi opera nuova che alteri, in tutto o in parte, nella materia o nella forma ovvero nella destinazione di fatto o di diritto, la cosa comune, eccedendo il limite della conservazione, dell'ordinaria amministrazione e del godimento della cosa, e che importi una modificazione materiale della forma o della sostanza della cosa medesima, con l'effetto di migliorare o peggiorare il godimento o, comunque, alterarne la destinazione originaria con conseguente implicita incidenza sull'interesse di tutti i condomini, i quali debbono essere liberi di valutare la convenienza dell'innovazione, anche se sia stata programmata ad iniziativa di un solo condomino che se ne assuma tutte le spese. Non sono, invece, innovazioni, tutti gli atti di maggiore e più intensa utilizzazione della cosa comune, che non importino alterazioni o modificazioni della stessa e non precludano agli altri partecipanti la possibilità di utilizzare la cosa facendone lo stesso maggiore uso del condomino che abbia attuato la modifica (Cass. civ., sez. II, 14 febbraio 1980, n. 1111).

• Il comproprietario convenuto per l'eliminazione di un'innovazione alla cosa comune, non può invocare il preteso consenso dei comunisti per non avere essi reagito, fino a quel momento, alla sua iniziativa, poiché tale consenso deve emergere dalla volontà della maggioranza dei partecipanti all'assemblea, positivamente formatasi ed espressa (Cass. civ., sez. II, 14 febbraio 1980, n. 1111).

• Il decoro architettonico dell'edificio condominiale può essere tutelato a norma dell'art. 1120 cod. civ., su istanza del singolo condomino, che è, quindi, a tal fine legittimato ad agire

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anche nell'inerzia e contro il deliberato degli organi del condominio. Tale decoro deve essere valutato con riferimento alla linea estetica dell'edificio, indipendentemente dal suo particolare pregio artistico, avendo riguardo alla particolare fisionomia di ogni singola costruzione, e senza alcun riferimento all'ambiente nel quale si trova (Cass. civ., sez. II, 10 dicembre 1979, n. 6397).

• Nel caso in cui l'innovazione realizzata dal singolo condomino risulta in contrasto con le norme del regolamento edilizio comunale espressamente richiamate dal regolamento di condominio a tutela dell'estetica e del decoro architettonico dell'edificio, nessun'altra indagine deve compiere il giudice per verificare l'illegittimità di tale opera sotto il profilo dell'alterazione dell'estetica e del decoro stessi, trattandosi di aspetto non suscettibile di essere valutato discrezionalmente con risultati eventualmente non coincidenti con quelli pattiziamente voluti dai condomini (Cass. civ., sez. II, 21 febbraio 1978, n. 839).

• La disciplina dell'accessione, riferendosi all'ipotesi della costruzione effettuata dal terzo, con materiali propri, sul fondo altrui, non è applicabile alla diversa ipotesi della costruzione effettuata da uno dei condomini sul fondo comune perché i comunisti non possono essere considerati terzi fra di loro. Pertanto tale ultima ipotesi trova la sua esclusiva disciplina nella norma dell'art. 1120 c.c., relativa alle innovazioni apportate dai condomini sulle cose comuni (Cass. civ., sez. II, 5 agosto 1977, n. 3565).

• L'accertamento del giudice del merito che la costruzione, da parte di un condomino, di due balconi sulla facciata di un edificio ottocentesco altera il decoro architettonico dell'edificio stesso e limita la luce nell'appartamento sottostante di altro condomino, e perciò deve ritenersi vietata ai sensi dell'art. 1120, secondo comma, c.c., è incensurabile in Cassazione; n‚ rileva la circostanza che la costruzione sia autorizzata dal sindaco e dalla soprintendenza ai monumenti, giacchè le autorizzazioni amministrative debbono intendersi date con salvezza dei diritti dei terzi (Cass. civ., sez. II, 14 maggio 1977, n. 1936).

• L'inservibilità all'uso o al godimento anche di uno soltanto dei condomini - considerata nell'art. 1120, secondo comma, c.c. quale conseguenza da impedire in modo assoluto, affinchè possano effettuarsi opere destinate ad aumentare la funzionalità ed il valore dell'edificio condominiale - deve essere interpretata come sensibile menomazione dell'utilità che il condomino può trarre dalla cosa comune secondo l'originaria costituzione della comunione (Cass. civ., sez. II, 16 febbraio 1977, n. 697).

• Non costituisce innovazione da approvarsi con la maggioranza prescritta dall’art. 1120 c.c., comma 1, la sostituzione della caldaia ad olio combustibile con caldaia a gasolio non incidendo né sulla sostanza né sulla destinazione della cosa comune (App. Milano 23.4.76).

• I vincoli per la tutela delle bellezze naturali ed artistiche, gravanti sul proprietario di un immobile in edificio condominiale, incidono, in ordine alle opere che comportino modifica della situazione preesistente, solo nei rapporti fra il proprietario esecutore delle opere stesse e la pubblica autorità investita della tutela, ma non possono interferire negativamente sulle posizioni soggettive attribuite agli altri condomini dall'art. 1120, secondo comma, c.c. per la preservazione del decoro architettonico dell'edificio; da ciò consegue che, al fine di accertare la legittimità o meno, ai sensi del citato art. 1120, secondo comma, c.c., della innovazione eseguita dal proprietario di un piano o di una porzione di piano, in corrispondenza della sua proprietà esclusiva, è irrilevante che l'autorità preposta all'indicata tutela abbia autorizzato l'opera medesima (Cass. civ., Sezioni Unite, 28 giugno 1975, n. 2552).

• Il giudice deve accertare non soltanto se l'edificio abbia ed in che misura un decoro architettonico e se esso risulti concretamente turbato o leso dall'opera che il condomino intende compiere o ha già compiuto, ma anche se tale turbamento o lesione importi un deprezzamento dell'intero edificio. L'indagine volta a stabilire se, in concreto, un'innovazione determini o meno alterazione del decoro architettonico dell'edificio in condominio è demandata al potere discrezionale del giudice del merito, il cui apprezzamento

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sfugge al sindacato di legittimità, ove sia congruamente motivato (Cass. civ., sez. II, 24 febbraio 1975, n. 706).

• La norma dell'art. 1120 c.c., nella parte in cui vieta le innovazioni che possono recare pregiudizio al decoro architettonico dell'edificio in condominio, si limita a tutelare l'edificio in sè, mentre il rapporto dell'edificio con l'ambiente è regolato da legislazione speciale (Cass. civ., 9 aprile 1975, n. 1304).

• L'utilizzo di una parete esterna dell'edificio condominiale a sostegno di un cartellone pubblicitario grande quanto l'intera superficie disponibile costituisce innovazione, in quanto destina il bene comune ad una funzione diversa da quella originaria. Tale destinazione reca indubbio pregiudizio al decoro architettonico dello stabile, in quanto nel termine "decoro" il legislatore ha compendiato non solo la piacevolezza e l'armonia dell'aspetto architettonico dell'edificio condominiale, ma anche la rispettabilità e la dignità dello stesso (Corte app. civ. Milano, 17 giugno 1997, n. 1974).

• In tema di condominio, per innovazione deve intendersi quella modificazione che importi alterazione della cosa comune nella sua entità sostanziale e mutamento della sua destinazione originaria (Cass. civ. sent. 1908/74).

• In materia sia di innovazioni, sia di modificazioni della cosa comune sussiste il divieto di realizzare opere contrastanti con le esigenze tutelate dal comma 2 dell’art. 1120 c.c. (tra le quali è il decoro architettonico del fabbricato) (Cass. civ. sent. 2740/74).

• In presenza di modificazioni apportate dal singolo a proprie spese, per la migliore utilizzazione della cosa comune nell'interesse della sua sola proprietà esclusiva, la volontà della maggioranza diviene irrilevante, mentre permane soltanto il diritto di ciascuno degli altri condomini di opporsi a che il singolo, per il raggiungimento di propri personali interessi, violi i criteri-limite fissati dalla legge per l'uso delle cose comuni e pregiudichi ad altri il godimento di quei beni (Cass. civ., sez. II, 6 dicembre 1974, n. 4046).

• La decadenza di cui all'art. 1137 c.c., che riguarda solo le deliberazioni assembleari annullabili, non opera quando le deliberazioni dell'assemblea o del condominio siano relative alle innovazioni di cui al capoverso dell'art. 1120 c.c., che sono espressamente vietate trattandosi di deliberazioni nulle, l'azione può essere proposta dal condomino indipendentemente dal termine di decadenza di cui al citato art. 1137 (Cass. civ., sez. II, 15 ottobre 1973, n. 2586).

• Costituisce innovazione la sostituzione di tutti gli ascensori di un edificio per originaria inefficienza all’uso e pertanto la relativa deliberazione dell’assemblea condominiale deve essere approvata con la maggioranza prevista dal comma 5 dell’art. 1136 c.c. (Cass. civ. sent. 2373/70).

• Le innovazioni compiute da un comproprietario, che pregiudichino il concorrente diritto di godimento di uno degli altri partecipanti alla comunione, sono vietate dalla legge (artt. 1108 e 1120 c.c.) e la sanzione è quella dell’immediata rimozione delle opere innovatrici compiute abusivamente (Cass. civ. sent. 787/69).

• Il consenso dei condomini ad una innovazione sulla cosa comune, in quanto importi l’imposizione di un peso di natura reale, deve risultare «ad substantiam» da atto scritto (Cass. civ. sent. 582/65).

• Devono considerarsi atti innovativi vietati: la costruzione, entro una vanella (pozzo di luce, cortile di dimensioni ridotte, circondato da tutti i lati, ed avente essenzialmente la funzione di assicurare aria e luce ai singoli appartamenti dell’edificio), di una tettoia in vetro e di altri manufatti a carattere permanente (gabinetto di decenza, ecc.) operati da un condomino per il miglior godimento della cosa propria (nel caso, scantinati di accesso alla vanella); la trasformazione in vano di accesso di una lustrina esistente nel muro perimetrale del fabbricato condominiale, al fine di aprire una comunicazione diretta con la via pubblica di uno scantinato di proprietà di uno dei condomini (Trib. Napoli Sez. I, 15.3.62).

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• Le innovazioni vietate sono quelle opere che ne mutano la sostanza e la forma in relazione all’uso cui la cosa è destinata, ovvero alterino la destinazione della cosa comune (Cass. civ. sent. 1707/37).

• Sono vietate ad un condomino le innovazioni alla cosa comune non autorizzate a norma di legge dagli altri condomini, anche se tali innovazioni non cagionino danno a costoro (Cass. civ. sent. 5463/35).