Sentenza n. 5149/2017 pubbl. il 09/05/2017 RG n. … · - per Sindrome della Cauda Equina si...

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pagina 1 di 16 N. R.G. 53721/2014 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di MILANO PRIMA CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Martina Flamini ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 53721/2014 promossa da: FRANCESCO MAGRO (C.F. MGRFNC64E10C352E), in proprio e nella qualità di esercente la potestà genitoriale sui minori CLAUDIA CIPRIANI (C.F. CPRCLD77R51L378O), con il patrocinio dell’avv. RONDANINI BRUNO, elettivamente domiciliati in CASOREZZO, PIAZZA GRIGA, 6 presso il difensore ATTORI contro AZ. OSP. GUIDO SALVINI ), con il patrocinio dell’avv. MARIOTTI PAOLO, elettivamente domiciliato in MILANO, CORSO SEMPIONE, 39 presso il difensore CONVENUTO CONCLUSIONI: Le parti hanno concluso come da fogli allegati al verbale d’udienza di precisazione delle conclusioni. OGGETTO: responsabilità professionale medica Fatto e Diritto Francesco Magro, in proprio e nella qualità di esercente la potestà genitoriale sui minori Davie Antonio, Samanta Rosa, Syria, Cristian e Francesco Alex, e Claudia Cipriani, in proprio e in nome e per conto dei predetti minori, Cristian, Syria e Francesco Alex, hanno convenuto, dinanzi al Tribunale di Milano, l’ASST (Azienda Socio Sanitaria Territoriale) Rhodense, già Azienda Ospedaliera G. Firmato Da: BELPERIO ANGELA Emesso Da: POSTECOM CA3 Serial#: 12908a - Firmato Da: FLAMINI MARTINA Emesso Da: POSTECOM CA3 Serial#: eccb8 Sentenza n. 5149/2017 pubbl. il 09/05/2017 RG n. 53721/2014

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N. R.G. 53721/2014

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO di MILANO

PRIMA CIVILE

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Martina Flamini

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 53721/2014 promossa da:

FRANCESCO MAGRO (C.F. MGRFNC64E10C352E), in proprio e nella qualità di esercente la

potestà genitoriale sui minori Davide Antonio, Samanta Rosa, Syria, Cristian e Francesco Alex

MAGRO, e CLAUDIA CIPRIANI (C.F. CPRCLD77R51L378O), con il patrocinio dell’avv.

RONDANINI BRUNO, elettivamente domiciliati in CASOREZZO, PIAZZA GRIGA, 6 presso il

difensore

ATTORI

contro

AZ. OSP. GUIDO SALVINI (C.F. 12314450152), con il patrocinio dell’avv. MARIOTTI PAOLO,

elettivamente domiciliato in MILANO, CORSO SEMPIONE, 39 presso il difensore

CONVENUTO

CONCLUSIONI: Le parti hanno concluso come da fogli allegati al verbale d’udienza di precisazione

delle conclusioni.

OGGETTO: responsabilità professionale medica

Fatto e Diritto

Francesco Magro, in proprio e nella qualità di esercente la potestà genitoriale sui minori Davie

Antonio, Samanta Rosa, Syria, Cristian e Francesco Alex, e Claudia Cipriani, in proprio e in nome e

per conto dei predetti minori, Cristian, Syria e Francesco Alex, hanno convenuto, dinanzi al Tribunale

di Milano, l’ASST (Azienda Socio Sanitaria Territoriale) Rhodense, già Azienda Ospedaliera G.

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Salvini (di seguito Ospedale Salvini) esponendo la seguente vicenda sanitaria: il 17.1.2009, a causa di

una lombosciatalgia e ipostenia agli arti inferiori, era stato accompagnato presso il DEA dell’ospedale

Salvini; che solo il 3.2.2009 l’attore veniva sottoposto ad intervento di emilanectomia DL3 ed

asportazione DEDD e che il 16.2.2009 veniva posta diagnosi di paraparesi in esiti di ernia discale; che i

medici della struttura sanitaria convenuta avevano commesso errori nella diagnosi ed avevano ritardato,

in modo ingiustificato, l’intervento chirurgico che doveva essere eseguito nel termine di 48 ore dalla

comparsa dei sintomi; che, a causa del comportamento della convenuta, l’attore aveva subito ingenti

danni, non patrimoniali (legati, principalmente, ad una condizione di paraplegia) e patrimoniali

(derivanti dall’impossibilità di proseguire nell’attività lavorativa, dal c.d. danno previdenziale, dalle

spese mediche e assistenziali future); che anche la convivente ed i figli minori del Magro avevano

subito un grave danno da lesione del rapporto parentale.

Gli attori hanno concluso chiedendo la condanna della convenuta al risarcimento di tutti i danni subiti,

con vittoria di spese.

L’Ospedale Salvini si è costituito contestando le domande di parte attrice e chiedendone il rigetto.

Acquisiti i documenti prodotti ed espletata una c.t.u. medico legale, le parti hanno precisato le

conclusioni ed il giudice previa concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c., ha trattenuto la causa

in decisione.

Prima di passare all’esame delle domanda formulate dagli attori, si precisa che i documenti prodotti

dalla difesa di parte attrice unitamente alle istanze di rimessione in termini ex art. 153 c.p.c. in quanto

di formazione successiva alla scadenza dei termini perentori possono essere esaminati dal giudicante.

1. Responsabilità professionale.

Le domande spiegate dagli attori sono parzialmente fondate e possono essere accolte nei limiti che

seguono.

Nella responsabilità contrattuale (che lega l’attore alla struttura sanitaria convenuta) parte attrice deve

provare l’esistenza del contratto e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia, ed allegare

l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno (cfr. SS.UU. 577/2008),

mentre il medico debitore è gravato dell’onere di dimostrare che non vi è stato inadempimento o che lo

stesso non è stato eziologicamente rilevante.

La consulenza tecnica espletata in corso di causa (pienamente condivisa da questo giudice in quanto

basata su un completo esame anamnestico e su un obbiettivo studio della documentazione medica

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prodotta), a firma della dott.ssa Anna Tanzini, specialista in medicina legale, e del dott. Vito Nicola

Romanazzi, specialista in neurochirurgia- ha consentito di accertare i seguenti elementi:

- il 17.1.2009, all’arrivo al Pronto Soccorso dell’Ospedale di Rho, Francesco Magro presentava

una sintomatologia da ricondursi a sindrome della cauda equina (atteso che l’anamnesi ed i

rilievi clinici apparivano fortemente suggestivi per formulare tale ipotesi, poi confermate

dalle successive evidenze);

- per Sindrome della Cauda Equina si intende una grave condizione neurologica dovuta a

disfunzionalità delle radici nervose lombardi e sacrali, all’interno del canale vertebrale;

- le Linee Guida dell’Istituto Superiore di Sanità prevedono che la sindrome da Cauda Equina da

ernia del disco intervertebrale rappresenta un’indicazione assoluta all’intervento di

discectomia, da eseguire entro 24 ore e non oltre 48 ore dall’insorgenza dei sintomi;

- nel caso in esame, dunque, le condizioni del Magr – una sindrome da cauda che appariva ben

diagnosticabile sulla base clinica - avrebbero richiesto l’esecuzione dell’intervento chirurgico

(poi eseguito solo il 3.2.2009), entro poche ore dall’insorgenza dei sintomi (avvenuta il

17.1.2009).

Dai predetti elementi emerge, con chiarezza, che i sanitari della struttura convenuta hanno posto, con

ritardo, la corretta diagnosi di cauda equina (che poteva essere eseguita sulla base dei chiari rilievi

clinici mostrati dall’attore) ed hanno altresì eseguito con colpevole ritardo l’intervento chirurgico di

decompressione delle radici (intervento che doveva essere eseguito a poche ore dall’insorgenza dei

sintomi, avvenuta il 17.1.2009 e che è stato poi eseguito solo il 3.2.2009).

Può pertanto concludersi che il peggioramento clinico documentato a carico del Magro può essere

ritenuto conseguenza immediata e diretta del comportamento tenuto dalla convenuta.

Nell’operato del Salvini è ravvisabile un inesatto adempimento delle prestazioni necessarie ad evitare

le lesioni poi subite dall’attore (sulle quali si tornerà più oltre), con conseguente responsabilità per

violazione del dovere di diligenza ex art. 1176 c.c. e diritto di vedersi risarcito i danni non patrimoniali

ed i danni patrimoniali emergenti che sono conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento (art.

1223 c.c.).

Trattandosi di obbligo contrattuale direttamente gravante sulla struttura sanitaria convenuta, non pare

inutile ricordare che "il rapporto che si instaura tra paziente e casa di cura(o ente ospedaliero) ha la

sua fonte in un atipico contratto a prestazioni corrispettive con effetti protettivi nei confronti del terzo,

da cui, a fronte dell'obbligazione al pagamento del corrispettivo (che ben può essere adempiuta dal

paziente, dall'assicuratore, dal servizio sanitario nazionale o da altro ente), insorgono a carico della

casa di cura (o dell'ente), accanto a quelli di tipo "lato sensu" alberghieri, obblighi di messa a

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disposizione del personale medico ausiliario, del personale paramedico e dell'apprestamento di tutte le

attrezzature necessarie, anche in vista di eventuali complicazioni od emergenze. Ne consegue che la

responsabilità della casa di cura (o dell'ente) nei confronti del paziente ha natura contrattuale e può

conseguire, ai sensi dell'art. 1218 cod. civ., all'inadempimento delle obbligazioni direttamente a suo

carico, nonché, in virtù dell'art. 1228 cod. dv., all'inadempimento della prestazione medico-

professionale svolta direttamente dal sanitario, quale suo ausiliario necessario pur in assenza di un

rapporto di lavoro subordinato, comunque sussistendo un collegamento tra la prestazione da costui

effettuata e la sua organizzazione aziendale, non rilevando in contrario al riguardo la circostanza che

il sanitario risulti essereanche "di fiducia" dello stesso paziente, o comunque dal medesimo scelto"

(Cass. Sez. 3, sentenza n. 13953 del 14/06/2007).

La accertata responsabilità della struttura sanitaria convenuta impone una pronuncia di condanna al

risarcimento dei danni patiti dell’attore, nei limiti di seguito indicati.

2 Danni risarcibili all’attore, Francesco Magro

Dalla relazione di c.t.u., emerge che:

- l’attuale quadro di paraparesi configura un danno biologico nella misura del 55-60%, del

quale una percentuale pari al 15-20% sarebbe residuato comunque anche in caso di

intervento eseguito tempestivamente;

- l’attore ha affrontato un periodo di inabilità temporanea totale pari a 5 mesi.

In merito alla quantificazione dei danni non patrimoniali subiti dall’attore, alla luce delle risultanze

della c.t.u. – condivise da tutti i CTP che hanno partecipato alle operazioni peritali - e delle censure

svolte dalla difesa di parte attrice appare opportuno precisare quanto segue.

Gli ausiliari del giudice, rispondendo ai rilievi critici svolti dalle parti in merito alla quantificazione del

c.d. danno differenziale, hanno chiarito che: non vi è sussistenza – come confermato dalla letteratura

scientifica indicata dai CTU - di probabilità superiore al 50% che un paziente, giunto all’osservazione

clinica con deficit neurologico correlato a Sindrome della cauda anche se operato in tempi brevi, non

presenti alcuna menomazione residua; una parte del danno anatomico è costituita dal necessario ed

inevitabile intervento chirurgico.

La quantificazione dei danni operata dai CTU non può essere revocata in dubbio neanche alla luce delle

censure di parte attrice, svolte sulla base dei documenti prodotti unitamente alle istanze di rimessione in

termini. I predetti documenti, infatti, si riferiscono ad esami ed interventi relativi all’impianto di

elettrodo epidurale e di impianto di generatori di impulsi che non mutano le conclusioni degli ausiliari

del giudice. Questi ultimi, infatti, si sono limitati ad escludere la necessità di interventi chirurgici, al

limitato fine di chiarire come la situazione del Magro non sarebbe stata comunque passibile di

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miglioramento. Gli accertamenti compiuti in seguito alla conclusione delle operazioni peritali,

contrariamente rispetto a quanto dedotto dalla difesa di parte attrice, non dimostrano in alcun modo un

aggravamento del danno biologico stimato dai CTU.

Orbene, prima di procedere alla liquidazione del danno c.d. differenziale, e con specifico riferimento

alle difese del Magro, è opportuno premettere che il giudice deve accertare, sul piano della causalità

materiale, l'efficienza eziologica della condotta rispetto all'evento in applicazione della regola di cui

all'art. 41 cod. pen., così da ascrivere l'evento di danno interamente all'autore della condotta illecita, per

poi procedere, eventualmente anche con criteri equitativi, alla valutazione della diversa efficienza delle

varie concause sul piano della causalità giuridica, allo scopo di evitare l’attribuzione all'autore della

condotta, “responsabile tout court sul piano della causalità materiale”, un obbligo risarcitorio che

comprenda anche “le conseguenze dannose non riconducibili eziologicamente all'evento di danno,

bensì alla pregressa situazione patologica del danneggiato ……“: così, Cass. 21 luglio 2011 n. 15991

(v. anche Cass. 20996/2012).

Tutto ciò premesso, nel caso in esame risulta che, rispetto alla complessiva invalidità di Francesco

Magro (pari al 55-60%), l’entità del danno iatrogeno riferibile all’erronea attività dei sanitari convenuti

può essere quantificato nella misura del 40%.

Questo Tribunale ha già avuto modo di affrontare la questione relativa all’imputabilità risarcitoria del

danno iatrogeno incrementativo sottolineando - con argomentazioni che questo giudice interamente

condivide – come si ponga “la necessità di procedere, sotto il profilo della causalità giuridica, ad una

selezione, nell’ambito della complessiva situazione di invalidità della parte lesa, delle conseguenze per

individuare il danno alla persona oggetto dell’obbligo risarcitorio a carico del medico operante.

Principio che inevitabilmente deve riflettersi anche sui criteri liquidatori di esso che non possono

prescindere dal rilievo che assume la situazione preesistente sotto due principali profili: a) non può

farsi gravare sul medico, in via automatica, una misura del danno da risarcirsi incrementata da fattori

estranei alla sua condotta, così come verrebbe a determinarsi attraverso una automatica applicazione

di tabelle con punto progressivo, computato a partire, in ogni caso, dal livello di invalidità

preesistente; b) la liquidazione va necessariamente rapportata ad una concreta verifica, secondo le

allegazione delle parti, delle conseguenze negative “incrementative” subite dalla parte lesa.”

(Tribunale Milano, giudice Bichi, sent. 30.10.2013).

Ciò premesso, si ritiene di adottare quale parametro di riferimento per la liquidazione del danno le

tabelle elaborate da questo Tribunale e comunemente adottate per la liquidazione equitativa ex art.

1226 c.c. del danno non patrimoniale derivante da lesione dell’integrità psico/fisica (criterio di

liquidazione espressamente sancito dalla Suprema Corte – cfr. Cass. 7/6/2011 n. 12408).

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E’ principio di diritto ormai consolidato quello secondo il quale il risarcimento del danno alla persona

deve essere integrale, essendo compito del giudice accertare l'effettiva consistenza del pregiudizio

allegato, a prescindere dal nomen iuris attribuitogli. Pertanto, in tema di liquidazione del danno per la

lesione del diritto alla salute, nei diversi aspetti o voci in cui tale unitaria categoria si compendia,

l'applicazione dei criteri di valutazione equitativa, rimessa alla prudente discrezionalità del giudice,

deve consentirne la maggiore approssimazione possibile all'integrale risarcimento, anche attraverso la

cd. personalizzazione del danno (Cass.,ss.uu., n. 26972/08).

Tenuto conto dell’età (44 anni) del danneggiato e della percentuale di invalidità permanente attribuita

all’errore dei sanitari (40%), si perviene ad una prima liquidazione di € 245.057,00, in moneta attuale.

Con riferimento alla specifica quantificazione del danno, anche alla luce di alcune pronunce della Corte

d’Appello di Milano (cfr. Corte d’Appello di Milano sentenza 329/2016, che censura il criterio di

quantificazione del danno incrementativo sopra indicato, evidenziando che il danno differenziale

iatrogeno si innesta su una situazione di salute già in parte compromessa da una preesistenza invalidità,

aggravandone i sintomi, e che, pertanto, per la liquidazione dello stesso corre far riferimento alla

differenza tra i due differenti gradi di invalidità), appare opportuno precisare quanto segue.

La Suprema Corte, in una pronuncia richiamata dalla stessa Corte d’Appello, ha da tempo chiarito che,

qualora la produzione di un evento dannoso possa apparire riconducibile, sotto il profilo eziologico,

alla concomitanza della condotta del sanitario e del fattore naturale rappresentato dalla pregressa

situazione patologica del danneggiato (la quale non sia legata all'anzidetta condotta da un nesso di

derivazione causale), il giudice deve accertare, sul piano della causalità materiale (rettamente intesa

come relazione tra la condotta e l'evento di danno, alla stregua di quanto disposto dall'art. 1227, comma

1, c.c.), l'efficienza eziologica della condotta rispetto all'evento in applicazione della regola di cui

all'art. 41 c.p. (a mente della quale il concorso di cause preesistenti, simultanee o sopravvenute, anche

se indipendenti dall'azione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra l'azione e l'omissione e

l'evento), così da ascrivere l'evento di danno interamente all'autore della condotta illecita, per poi

procedere, eventualmente anche con criteri equitativi, alla valutazione della diversa efficienza delle

varie concause sul piano della causalità giuridica (rettamente intesa come relazione tra l'evento di

danno e le singole conseguenze dannose risarcibili all'esito prodottesi) onde ascrivere all'autore della

condotta, responsabile tout court sul piano della causalità materiale, un obbligo risarcitorio che non

comprenda anche le conseguenze dannose non riconducibili eziologicamente all'evento di danno, bensì

determinate dal fortuito, come tale da reputarsi la pregressa situazione patologica del danneggiato che,

a sua volta, non sia eziologicamente riconducibile a negligenza, imprudenza ed imperizia del sanitario"

(Cass. Sez. 3, Sentenza n. 15991del21/7/2011).

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Ciò posto, si tratta di esaminare una situazione caratterizzata da lesioni che si inseriscono su di uno

stato di preesistente patologia (che può riguardano lo stesso organo, in caso di lesioni concorrenti,

ovvero organi diversi, in caso di lesioni coesistenti). Tali profili, ad avviso del Tribunale, nell’ambito

del danno iatrogeno, difficilmente sono rapportabili ad un rigido schema liquidatorio (proprio di quelli,

in tesi, che indicano una liquidazione, per differenza aritmetica, tra diversi gradi di invalidità, ciò che,

di converso, sarebbe imposto al giudice che operi un illegittimo frazionamento della causalità

materiale): si pensi, ad esempio, ai diversi effetti che possono determinarsi a seconda che la

complessiva invalidità sia la risultante della sommatoria di lesioni coesistenti che colpiscono diverse

funzionalità, ovvero al caso in cui la condotta del sanitario abbia determinato una concorrente lesione

che incide sulla medesima preesistente disfunzionalità. Distinzione, anche questa, certo non risolutiva

ove si consideri che anche fatti negativi riguardanti funzionalità diverse possono risolversi non in una

mera sommatoria di distinti effetti negativi – da valutarsi in via autonoma ai fini risarcitori - ma

possono comportare un effetto pregiudizievole sinergico, tale da incidere sulla concreta conduzione di

vita della parte lesa, a seconda dell’età, del tipo di vita, della sua condizione familiare ecc.

La liquidazione relativa alla misura differenziale di un danno alla salute, pertanto, deve essere

rimodulato in considerazione della concreta vicenda clinica e della specifica situazione concreta della

parte lesa, e deve tenere conto di tutti i riflessi sull’integrità psico-biologica, del condizionamento e del

pregiudizio delle attività aredittuali, e di ogni ulteriore aspetto che concorra a descrivere il danno non

patrimoniale (sulla base delle risultanze e delle allegazioni offerte dalla parte).

Tale rimodulazione può consentire - partendo dall’individuazione di un risarcimento pari alla

percentuale di danno che, in ossequio ai principi sopra richiamati, può ritenersi ascrivibile al

professionista inadempiente – di giungere ad un risarcimento che ben potrebbe essere operando sul

piano della causalità giuridica, anche superiore a quello risultante dalla differenza trai i due diversi

gradi di invalidità.

Tutto ciò premesso, nel caso in esame risulta che, rispetto alla complessiva invalidità patita dal Magro

– pari al 60% -, l’entità del danno iatrogeno riferibile all’erronea attività dei sanitari dei convenuti può

essere quantificato, come già evidenziato in precedenza, nella misura del 40%.

Il Giudice, attraverso una lettura dell'art. 2059 c.c. conforme alle disposizioni contenute nella

Costituzione, e sulla base delle risultanze della C.T.U., ritiene pertanto che, nel caso di specie, la voce

del danno non patrimoniale intesa come sofferenza soggettiva in sé considerata non sia adeguatamente

risarcita con la sola applicazione dei predetti valori monetari.

Per poter risarcire integralmente il danno non patrimoniale sofferto dall’attore – in considerazione del

fatto che il Magro ha subito un danno complessivo pari al 60% - si ritiene di dover operare una c.d.

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personalizzazione, avuto riguardo alle conseguenze subite dall’attrice a causa degli errati trattamenti ai

quali è stata sottoposta. In particolare, come risulta da quanto allegato dalla difesa attrice e non

specificamente contestato dalla convenuta e dall’esame obiettivo fatto dai CTU, il danneggiato, dell’età

di 44 anni, padre di 5 figli (uno dei quali nato dopo i fatti per cui è causa), presenta un quadro di

paraparesi da mielopatia, manifesta necessità di autocateterismo (cfr. esiti della visita urologica del

14.3.2014), presenta dolore costrittiva dalla schiena, irradiato agli arti inferiori, si sposta

esclusivamente con sedia a rotelle.

Alla luce delle predette considerazioni, anche alla luce del presumibile pregiudizio dinamico

relazionale della vita dell’attore che, all’età di 44, e con quattro figli piccoli ha dovuto affrontare una

situazione di grave paraparesi che ha comportato una radicale trasformazione delle su precedenti

abitudini di vita - si reputa opportuno procedere ad una adeguata personalizzazione del danno non

patrimoniale liquidandolo nella somma di euro 320.000,00.

All’attore spetta poi il risarcimento del danno da invalidità temporanea, pari ad euro 18.000,00.

Con riferimento ai danni patrimoniali si osserva quanto segue.

La domanda diretta ad ottenere il risarcimento del danno futuro, relativo alle spese di assistenza non

può trovare accoglimento.

In merito alla risarcibilità del danno futuro, va ricordato quanto statuito dalla Suprema Corte. In

particolare, la Corte di Cassazione ha precisato che “se non basta la mera eventualità di un pregiudizio

futuro per giustificare condanna al risarcimento, per dirlo immediatamente risarcibile, è invece

sufficiente la fondata attendibilità che esso si verifichi secondo la normalità e la regolarità dello

sviluppo causale (ex multis, Cass., nn. 1637/2000, 1336/1999, 495/1987, 2302/1965)” e che “la

rilevante probabilità di conseguenze pregiudizievoli è configurabile come danno futuro

immediatamente risarcibile quante volte l'effettiva diminuzione patrimoniale appaia come il naturale

sviluppo di fatti concretamente accertati ed inequivocamente sintomatici di quella probabilità, secondo

un criterio di normalità fondato sulle circostanze del caso concreto” (Cass. 10072/2010).

Ciò posto, dalla relazione di CTU è emerso che: non sono documentate spese mediche sostenute

dall’attore; il Magro ha ricevuto e potrà ricevere in futuro tutte le cure tramite il servizio sanitario

nazionale, con esenzione totale dal ticket per reddito dichiarato pari ad euro 797,00 mensili; è stato

riconosciuto invalido civile con totale e permanente inabilità lavorativa al 100% e con impossibilità a

deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore e percepisce l’assegno di

accompagnamento dall’INPS.

Le predette conclusioni meritano di essere condivise anche alla luce delle censure svolte dalla difesa di

parte attrice. Infatti, come evidenziato nella relazione di CTU: l’attore non necessita di terapia

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farmacologia continuativa, utilizza una carrozzina erogata dal SSN, non necessita di fisiokinesiterapia,

stante la stazionarietà del quadro di paraparesi, non necessita di alcuna assistenza infermieristica,

essendo stato formato per i cateterismi vescicali ed il materiale viene erogato gratuitamente dalla ASL,

non necessita per le cure mediche di assistenza da parte di terze persone.

Nulla può pertanto essere riconosciuto a titolo di danno patrimoniale futuro.

Del pari infondata la domanda diretta ad ottenere il risarcimento del danno patrimoniale relativo agli

interventi necessari per l’abbattimento delle barriere architettoniche atteso che l’attore non ha

documentato di aver sostenuto spese a tale titolo e che lo stesso è in possesso di una macchina con

cambio automatico, i cui costi sono a carico dello Stato (in quanto al Magro sono stati riconosciuti i

benefici della l. 104/1992, cfr. verbale dei visita del 17.3.2015, allegato alla memoria ex art. 183 n 1

c.p.c.).

La domanda diretta ad ottenere il risarcimento del lucro cessante (art. 1223 c.c.) derivanti dalla perdita

della capacità lavorativa specifica non può trovare accoglimento.

In via generale, appare opportuno premettere che, in caso di illecito lesivo dell’integrità psicofisica

della persona, la riduzione della capacità lavorativa generica, quale potenziale attitudine all’attività

lavorativa da parte di un soggetto, è legittimamente risarcibile come danno biologico – nel quale si

ricomprendono tutti gli effetti negativi del fatto lesivo che incidono sul bene salute in sé considerato –

con la conseguenza che la anzidetta voce di danno non può formare oggetto di autonomo risarcimento

come danno patrimoniale - che andrà, invece, autonomamente liquidato qualora alla detta riduzione

della capacitò lavorativa generica si associ una riduzione della capacità lavorativa specifica, che, a sua

volta, dia luogo ad una riduzione della capacità di guadagno (cfr. Cass. 27.1.2011 n. 1879; Cass.

1.12.2009 n. 25289).

La capacità lavorativa specifica consiste, dunque, nella contrazione dei redditi dell’infortunato,

determinata dalle lesioni subite, sussistendo quest’ultimo tipo di pregiudizio allorquando, dopo la

lesione ed a causa di essa, la vittima non sia più in grado di percepire il medesimo reddito di cui godeva

prima del sinistro (Cass. 21014/2000; Cass.13409/2001).

La riduzione della capacità lavorativa non costituisce un danno in re ipsa, ma rappresenta una causa del

danno da riduzione del reddito; sicché la prova della riduzione della capacità di lavoro non comporta

automaticamente l’esistenza di un danno patrimoniale ove il danneggiato non dimostri, anche a mezzo

di presunzioni semplici, la conseguente riduzione della capacità di guadagno.

Solo nei casi in cui l’elevata percentuale di invalidità permanente, come nel caso in esame, renda

altamente probabile, se non addirittura certa, la menomazione della capacità lavorativa specifica e il

danno che necessariamente da essa consegue, il giudice può procedere all’accertamento presuntivo

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della predetta perdita patrimoniale, liquidando questa specifica voce di danno con criteri equitativi (cfr.

Cass. 17514/2011).

Nel caso in esame, gli ausiliari del giudice hanno accertato che: l’attore ha lavorato in qualità di

elettrotecnico (come riparatore di computer) in Svizzera dal 1986 al 2001, successivamente ha lavorato

come consulente tecnico della Procura e come collaboratore in una società di impianti di

videosorveglianza; attualmente l’attore non svolge alcuna attività lavorativa; le abilità di elettrotecnico

non sono state compromesse, avendo il Magro conservato la propria integrità psico cognitiva e le

proprie abilità manuali, che gli permetterebbero di svolgere l’attività lavorativa; per gli spostamenti

presso i clienti – sicuramente più difficoltosi – egli potrà utilizzare la sedia a rotelle e l’auto modificata.

In merito alle censure svolte dalla difesa di parte attrice – relative all’impossibilità di svolgere la

professione di installatore di microspie – si osserva come tale attività sia stata svolta dall’attore solo per

un breve periodo, a fronte della ben più lunga esperienza lavorativa come elettrotecnico. Non si

apprezza, pertanto, alcun danno da perdita della capacità lavorativa specifica.

Dalle argomentazioni appena esposte, discende il rigetto della domanda relativa al c.d. danno

previdenziale.

Il credito risarcitorio di Francesco Magro ammonta, pertanto, a complessivi euro 338.000,00.

3.Danni risarcibili ai prossimi congiunti

Prima di esaminare le domande spiegate dai congiunti del danneggiata, va ricordato che i prossimi

congiunti sono legittimati ad agire per conseguire iure proprio il risarcimento dei danni subiti a causa

di quanto accaduto a Francesco Magro.

La Suprema Corte ha da tempo chiarito che, per potersi legittimamente discorrere di danno da lesione

del rapporto parentale, è necessario che la vittima abbia subito lesioni seriamente invalidanti e che si

sia determinato uno sconvolgimento delle normali abitudini dei superstiti, tali da imporre scelte di vita

radicalmente diverse (cfr. Cass. 8827/2003 e, più recentemente, Cass. 25729/2014).

La Corte di Cassazione ha poi precisato (con riferimento all’ipotesi di uccisione del congiunto, ma con

motivazioni indubbiamente utilizzabili anche nel caso di specie, avente ad oggetto una macro lesione)

che "il fatto illecito, costituito dalla uccisione del congiunto, da luogo a danno non patrimoniale,

consistente nella perdita del rapporto parentale, quando colpisce soggetti legati da un vincolo

parentale stretto, la cui estinzione lede il diritto all'intangibilità della sfera degli affetti reciproci e

della scambievole solidarietà che connota la vita familiare nucleare. Mentre, affinché possa ritenersi

leso il rapporto parentale di soggetti al di fuori di tale nucleo (nonni, nipoti, genero, nuora) è

necessaria la convivenza, quale connotato minimo attraverso cui si esteriorizza l'intimità dei rapporti

parentali, anche allargati, caratterizzati da reciproci vincoli affettivi, di pratica della solidarietà, di

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sostegno economico. Solo in tal modo il rapporto tra danneggiato primario e secondario assume

rilevanza giuridica ai fini della lesione del rapporto parentale, venendo in rilievo la comunità familiare

come luogo in cui, attraverso la quotidianità della vita, si esplica la personalità di ciascuno dei suoi

componenti" (Cass. civ., sez. III, 16 marzo 2012, n. 4253; conf. Cass. civ., sez. III, 23 giugno 1993, n.

6938).

Si tratta, dunque, di valutare gli elementi che siano stati (allegati e) provati da parte attrice, con

riguardo alla singola fattispecie concreta, posto che "il danno biologico, il danno morale ed il danno

alla vita di relazione rispondono a prospettive diverse di valutazione del medesimo evento lesivo, che

può causare nella vittima e nei suoi familiari, un danno medicalmente accertato, un dolore interiore e

un'alterazione della vita quotidiana, sicché il giudice di merito deve valutare tutti gli aspetti della

fattispecie dannosa, evitando duplicazioni, ma anche "vuoti" risarcitori; in particolare, per il danno da

lesione del rapporto parentale, deve accertare, con onere della prova a carico dei familiari della persona

deceduta, se, a seguito del fatto lesivo, si sia determinato nei superstiti uno sconvolgimento delle

normali abitudini tale da imporre scelte di vita radicalmente diverse" (Cass., n. 19402/13).

Ancora in via generale non pare inutile ricordare che, come più volte ribadito dalla Suprema Corte, il

danno esistenziale da perdita del rapporto parentale non può d'altro canto considerarsi in re ipsa, in

quanto ne risulterebbe snaturata la funzione del risarcimento, che verrebbe ad essere concesso non in

conseguenza dell'effettivo accertamento di un concreto pregiudizio (per il rilievo che ben può accadere,

sia pur non frequentemente, che la perdita di un congiunto non cagioni danno relazionale, o danno

morale, o alcuno di essi, v. Cass., 7/6/2011, n. 12273; Cass., 20/11/2012, n. 20292, Cass., 3/10/2013, n.

22585, e, da ultimo, funditus, Cass. 7766/2016) bensì quale pena privata per un comportamento lesivo

(v. Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26972; Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26973; Cass., Sez. Un.,

11/11/2008, n. 26974; Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26975).Esso va dal danneggiato allegato e

provato, secondo la regola generale ex art. 2697 c.c. (v. Cass., 16/2/2012, n. 2228; Cass., 13/5/2011, n.

10527).

Con riferimento ai mezzi di prova, si osserva che la prova del danno non patrimoniale da uccisione (o

anche solo da lesione: v. Cass., 6/4/2011, n. 7844) dello stretto congiunto può essere invero data anche

a mezzo di presunzioni (v. Cass., 31/05/2003, n. 8827; Cass., 31/05/2003, n. 8828; Cass., 19/08/2003,

n. 12124; Cass., 15/07/2005, n. 15022; Cass., 12/6/2006, n. 13546 ), che in argomento assumono anzi

"precipuo rilievo" (v. Cass., Sez. Un., 24/3/2006, n. 6572).

Le presunzioni valgono in realtà a sostanzialmente facilitare l'assolvimento dell'onere della prova da

parte di chi ne è onerato, trasferendo sulla controparte l'onere della prova contraria (v. Cass., 12 giugno

2006, n. 13546).

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Costituendo un mezzo di prova di rango non inferiore agli altri, in quanto di grado non subordinato

nella gerarchia dei mezzi di prova e dunque non "più debole" della prova diretta o rappresentativa, ben

possono le presunzioni assurgere anche ad unica fonte di convincimento del giudice (v. Cass., Sez.,

Un., 11/11/2008, n. 26972; Cass., Sez, Un., 24/3/2006, n. 6572, Cass., 12/6/2006, n. 13546, Cass.,

6/7/2002, n. 9834), costituendo una "prova completa", sulla quale può anche unicamente fondarsi il

convincimento del giudice (v. Cass., 12/6/2006, n. 13546).

Incombe poi alla parte a cui sfavore opera la presunzione dare la prova contraria idonea a vincerla.

Lo sconvolgimento della vita di Claudia Cipriani, compagna del Magro, con lo stesso convivente, può

essere legittimamente presunto alla luce della gravità e dell’irreversibilità delle lesioni subite dall’attore

(nonché dei pregiudizi alla sfera sessuale del rapporto di coppia, come specificamente allegato da parte

attrice e non contestato dalle difese dei convenuti). Con riferimento a tale rapporto di coppia, per

completezza, si osserva come la nascita di Francesco Alex (nel marzo del 2013) e si Syria (nel marzo

del 2011)– sebbene rappresenti un elemento importante da valutare – non porti a ritenere come i seri

problemi all’apparato genito-urinario siano da trascurare (problemi che sono stati documentati dalle

relazioni relative alle visite urologiche effettuate dall’attore).

Deve, pertanto, ritenersi provato, sulla base di univoche e concordanti presunzioni, lo sconvolgimento

delle abitudini di vita dell’attrice – la quale, all’epoca dei fatti, aveva appena avuto un figlio (Cristian)

in conseguenza di quanto accaduto al Magro.

Alla luce di tutti i predetti elementi, ritiene il Tribunale di liquidare alla Cipriani, in via equitativa, un

importo pari ad euro 80.000,00.

In merito alla posizione dei figli minori, in nome e per conto dei quali hanno agito gli odierni attori, in

assenza di più specifiche allegazioni che consentano di parametrare diversamente il risarcimento,

quest’ultimo può essere quantificato sulla base dei seguenti elementi: l’intensità del rapporto familiare

tra padre e figli che, all’epoca dei fatti, avevano 9 (Samanta Rosa), 7 (Davide Antonio) e 5 mesi

(Cristian); il fatto che i primi due figli (Davide Antonio e Samanta Rosa) non abitavano con il padre,

ma con la madre dopo la separazione dei genitori; la tenera età dei bimbi ed il presumibile ruolo

essenziale svolto dal padre nella cura e nell’educazione degli stessi (da valutarsi diversamente per i

figli non conviventi); l’esistenza di una forte comunanza di vita, stravolta dalla condizione nella quale

il padre dei minori si è venuto improvvisamente a trovare; il presumibile stato di intensa e quotidiana

sofferenza nel quale i minori si sono trovati dinanzi ad un padre divenuto improvvisamente disabile; il

diverso e presumibilmente inferiore stato di disagio nel quale si sono trovati Syria e Francesco Alex,

nati quando il padre era già nelle attuali condizioni.

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Alla luce dei predetti elementi, si ritiene equo liquidare, a titolo di danno non patrimoniale iure proprio

le seguenti somme: euro 20.000,00 per Davide Antonio e Samanta Rosa; euro 40.000,00 per Cristian;

euro 30.000,00 per Syria e Francesco Alex.

4.Consenso informato.

Con riguardo alla dedotta lesione del diritto al consenso informato, appare opportuno premettere alcuni

cenni di carattere generale in merito a tale profilo.

Il consenso informato costituisce, di norma, legittimazione e fondamento del trattamento sanitario.

Senza il consenso informato, l'intervento del medico è - al di fuori dei casi di trattamento sanitario per

legge obbligatorio o in cui ricorra uno stato di necessità - sicuramente illecito, anche quando sia stato

eseguito nell'interesse del paziente.

La responsabilità del sanitario per violazione dell'obbligo del consenso informato discende a) dalla

condotta omissiva tenuta in relazione all'adempimento dell'obbligo di informazione in ordine alle

prevedibili conseguenze del trattamento cui il paziente sia sottoposto b) dal verificarsi - in conseguenza

dell'esecuzione del trattamento stesso, e, quindi, in forza di un nesso di causalità con essa - di un

aggravamento delle condizioni di salute del paziente.

Non assume, invece, alcuna influenza, ai fini della sussistenza dell'illecito per violazione del consenso

informato, se il trattamento sia stato eseguito correttamente o meno.

Ciò perché, sotto questo profilo, ciò che rileva è che il paziente, a causa del deficit di informazione, non

sia stato messo in condizione di assentire al trattamento sanitario con una volontà consapevole delle sue

implicazioni, consumandosi, nei suoi confronti, una lesione di quella dignità che connota l'esistenza nei

momenti cruciali della sofferenza, fisica e psichica (v. anche Cass. 28.7.2011 n. 16543).

Il medico è tenuto ad informare il paziente dei benefici, delle modalità di intervento, dell'eventuale

scelta tra tecniche diverse, dei rischi prevedibili.

Ciò posto, si osserva che, come chiarito da tempo dalla giurisprudenza di legittimità (v. Cass. n.

2847/10), i danni non patrimoniali astrattamente risarcibili, purché derivanti da una lesione di

apprezzabile gravità (secondo i canoni delineati dal dalle sentenze delle Sezioni Unite della Corte di

Cassazione nn. 26972/08 e 26974/08), possono essere di duplice natura: 1) quelli conseguenti alla

lesione del diritto all'autodeterminazione del paziente; 2) quelli conseguenti alla lesione del diritto

all'integrità psico-fisica del paziente, tutelato dall'art. 32 Cost.

Nel caso di specie, a fronte di una generica censura – svolta nell’atto di citazione – in merito alla

carente informazione, parte attrice non ha formulato alcuna domanda in merito alla lesione del diritto al

consenso informato, omettendo, altresì, di allegare la lesione del diritto alla salute o

all’autodeterminazione.

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Nulla può, pertanto, essere risarcito a tale titolo.

5. Interessi e rivalutazione

La pretesa, relativa al lucro cessante per il ritardato risarcimento del danno, non può essere liquidata nei

termini richiesti.

L’intero danno non patrimoniale subito dai danneggiati è stato liquidato equitativamente ai valori

attuali della moneta e non deve quindi farsi luogo alla sua rivalutazione.

Inoltre, alla luce dell’insegnamento delle Sezioni Unite della Cassazione (risalente alla sentenza del

17/2/1995 n. 1712), vertendosi in tema di debito di valore, non sono dovuti sul credito risarcitorio

suddetto gli interessi legali con decorrenza dall’illecito.

Si ritiene tuttavia, in considerazione del lasso di tempo trascorso dall’illecito (8 anni) e delle

caratteristiche del danneggiato, che vada riconosciuta all’attore un’ulteriore somma a titolo di lucro

cessante provocato dal mancato tempestivo risarcimento del danno da parte dei responsabili - e

conseguentemente dalla mancata disponibilità dell’equivalente pecuniario spettante al danneggiato -

potendo ragionevolmente presumersi che il creditore, ove avesse avuto la tempestiva disponibilità della

somma, l’avrebbe impiegata in modo fruttifero.

Come già da tempo affermato da questo Tribunale, ai fini della liquidazione necessariamente equitativa

di tale ulteriore voce di danno patrimoniale, non si ritiene di far ricorso al criterio – sovente applicato

dalla giurisprudenza - degli interessi legali al saggio variabile in ragione di anno (determinato ex art.

1284 c.c.) da calcolarsi sull’importo già riconosciuto, dapprima “devalutato” fino all’illecito e poi

“rivalutato” annualmente con l’aggiunta degli interessi, ovvero sul capitale “medio” rivalutato.

Si ritiene preferibile, perché più rispondente alla finalità perseguita e scevro da possibili equivoci che

possono derivare dall’applicazione ai debiti di valore di istituti previsti dall’ordinamento per i debiti di

valuta, adottare per la liquidazione equitativa del lucro cessante in questione un aumento percentuale

nella misura risultante dalla moltiplicazione di un valore base medio del 2% - corrispondente all’incirca

al rendimento medio dei Titoli di Stato negli anni compresi nel periodo che viene in rilievo – con il

numero di anni in cui si è protratto il ritardo nel risarcimento per equivalente. Tale criterio equitativo

sembra meglio evitare, da un lato, di far ricadere sul creditore/danneggiato le conseguenze negative del

tempo occorrente per addivenire ad una liquidazione giudiziale del danno e, dall’altro, più idoneo a

prevenire il rischio che il debitore/danneggiante (la cui obbligazione di risarcire per equivalente il

danno diventa attuale dal momento in cui esso si verifica), anziché procedere ad una tempestiva

riparazione della sfera giuridica altrui lesa, sia tentato di avvantaggiarsi ingiustamente della non

liquidità del debito risarcitorio e della potenziale redditività della somma di denaro dovuta (che resta

nella sua disponibilità fino alla liquidazione giudiziale del danno).

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Nel caso di specie, considerato il tempo trascorso da quando il danno subito da parte attrice si è

verificato, l’importo in questione viene dunque equitativamente liquidato attraverso una maggiorazione

del 16% dell’intero danno suddetto (già rivalutato).

In particolare, applicando il predetto criterio, i danni riconosciuti agli attori, devono essere così

determinati:

- Danno non patrimoniale subito da Francesco Magro: euro 392.080,00 (pari ad euro

338.000,00 ed euro 54.080,00 a titolo di lucro cessante);

- Danno non patrimoniale subito da Claudia Cipriani: euro 92.800,00 (pari ad euro

80.000,00 ed euro 12.800,00 a titolo di lucro cessante);

- Danno subito da Syria e Francesco Alex Magro: euro 34.800,00 per ciascuna parte (pari

ad euro 30.000,00 ed euro 4.800,00 a titolo di lucro cessante);

- Danno subito da Davide Antonio e Samanta Rosa: euro 23.200,00 per ciascuna parte

(pari ad euro 20.000,00 ed euro 3.200,00 a titolo di lucro cessante);

- Danno subito da Cristian: euro 46.400,00 (pari ad euro 40.000,00 ed euro 6.400,00 a

titolo di lucro cessante).

Da tali somme, corrispondenti all’intero danno risarcibile liquidato al creditore, sono altresì dovuti gli

interessi al tasso legale sino al saldo, con decorrenza dalla data della presente pronuncia coincidente

con la trasformazione del debito di valore in debito di valuta.

Dall'ammontare complessivo dei danni vanno detratte le somme corrisposte a titolo di acconto, così

come rivalutate.

La domanda diretta ad ottenere il risarcimento dei danni da lite temeraria non può trovare

accoglimento, stante l’insussistenza dei presupposti previsti dall’art. 96 c.p.c. (anche alla luce della

necessità di disporre una CTU per l’accertamento dei fatti e della disponibilità transattiva manifestata

dalla struttura convenuta).

6. Spese di lite Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

Nulla può essere riconosciuto a titolo di spese di consulenza tecnica di parte, in assenza di prova delle

somme a tale titolo corrisposte.

Le spese di CTU, già liquidate con separato provvedimento, devono essere poste definitivamente a

carico di parte convenuta.

P.Q.M.

Il Tribunale di Milano, definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda, istanza od eccezione disattesa, così provvede:

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1) Accoglie le domande di parte attrice e, per l’effetto, condanna l’ASST Rhodense, già

Azienda Ospedaliera G. Salvini, al pagamento in favore di Francesco Magro, a titolo di

risarcimento dei danni, della somma di euro 392.080,00, oltre interessi legali dalla data

della presente pronuncia sino al soddisfo (somma dalla quale deve essere detratto

l’acconto già versato);

2) condanna l’ASST Rhodense, già Azienda Ospedaliera G. Salvini, al pagamento in favore

di Claudia Cipriani, a titolo di risarcimento dei danni, della somma di euro 92.800,00

oltre interessi legali dalla data della presente pronuncia sino al soddisfo;

3) condanna l’ASST Rhodense, già Azienda Ospedaliera G. Salvini, al pagamento in favore

di Claudia Cipriani e Francesco Magro, a titolo di risarcimento dei danni, in qualità di

genitori esercenti la potestà genitoriale sui minori Syria, Cristian a Francesco Alex

Magro, delle somme di euro 34.800,00 (per Syria e Francesco Alex) ciascuno, e della

somma di euro 46.400,00 per Cristian, oltre interessi legali dalla data della presente

pronuncia sino al soddisfo;

4) condanna l’ASST Rhodense, già Azienda Ospedaliera G. Salvini, al pagamento in favore

di Francesco Magro, a titolo di risarcimento dei danni, in qualità di genitore esercente la

potestà genitoriale sui minori Davide Antonio e Samanta Rosa delle somme di euro

23.200,00 per ciascun minore, oltre interessi legali dalla data della presente pronuncia

sino al soddisfo;

5) Condanna la convenuta a rimborsare a parte attrice le spese di lite, che liquida in

complessivi euro 31.550,00 oltre euro 518,00 di contributo unificato, oltre spese generali

al 15%, i.v.a., c.p.a. come per legge, da distrarsi in favore del difensore che si dichiara

antistatario;

6) Pone definitivamente a carico della convenuta le spese di c.t.u., già liquidate con separato

provvedimento.

Milano, 8 maggio 2017

Il Giudice dott. Martina Flamini

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Sentenza n. 5149/2017 pubbl. il 09/05/2017RG n. 53721/2014