SENSO E TIPO 2 di 4 Successione e Analisi Degli Eventi

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Massimo Vianello SENSO E TIPO Modi di comprendere la crisi tra passato e futuro: la Casa dei Bambini di Amsterdam e la Libera Università di Berlino 2 / 4 SUCCESSIONE E ANALISI DEGLI EVENTI

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Massimo Vianello

SENSO E TIPO Modi di comprendere la crisi tra passato e futuro: la Casa dei Bambini di Amsterdam e la Libera Università di Berlino

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SUCCESSIONE E ANALISI DEGLI EVENTI

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Dust inbreathed was a house -

T.S. Eliot, Little Gidding II, 1943

SUCCESSIONE E ANALISI DEGLI EVENTI

1.01 Habitat

1.01.01 Esame di recupero 1.01.02 Casablanca e l‟emergenza del grande numero 1.01.03 Immaginazione come nesso tra vita e arte 1.01.04 L‟approccio ecologico 1.01.05 The greater reality of the doorstep

1.02 Sulle spalle dei giganti

1.02.01 Crisi (e perdita) d‟identità 1.02.02 Anomalie 1.02.03 Autonomia e riconciliazione 1.02.04 Knowledge is a servant of thought and thought is a

satellite of feeling 1.02.05 Rettifiche

1.03 Dialoghi costruttivi

1.03.01 Altre idee 1.03.02 La sfera architettura-città 1.03.03 Il cliente anonimo: intenti ed esiti 1.03.04 The door to the future must be left open

1.03.05 Città e Società, trasformazioni reciproche 1.03.06 Il dattiloscritto di Clarissa Woods 1.03.07 Riflessioni sul dominio della città

1.04 Nuova dimensione insediativa

1.04.01 I limiti dell‟Architettura 1.04.02 Processo di trasformazione del sistema insediativo 1.04.03 La trama urbana 1.04.04 Il nuovo paradigma 1.04.05 Un progetto di frontiera

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HABITAT

Esame di recupero 1.01.01

Nelle fasi conclusive del CIAM le relazioni tra due generazioni di architetti, nella reciprocità di dare e ricevere un‟eredità1 e le condizioni operative innescate dai dubbi dei primi esiti delle ricostruzioni postbelliche possono essere interpretate tramite le discussioni sorte attorno al termine “Habitat”. Questo nodo problematico costituisce il testimone che viene trasmesso tra le due generazioni e che troverà nel corso degli anni cinquanta una sedimentazione in scritti e teorie, senza raggiungere tuttavia posizioni disciplinari unitarie, così com‟era l‟auspicio iniziale. Diverrà comunque riconoscibile in quelle realizzazioni che esploreranno una scala di relazioni mediate tra l‟edificio e la città.2

La Charte de l’Habitat lanciata da Le Corbusier a Bergamo nel

19493 resterà al centro delle discussioni fino al X congresso CIAM4. È

1 “Mi vedo spesso trascorrere dinnanzi lo specchio della vita, come un burattino folle – comico e tragico a un tempo – che si rompe la testa a essere infedele per puro spirito di fedeltà” da un‟intervista di Elisabeth Roudinesco a Jacques Derrida dal titolo Scegliere la propria eredità in Jacques Derrida e Elisabeth Roudinesco, Quale domani?, Bollati Boringhieri, Torino 2004, pag. 11-37 (prima ed. 2001). La condizione inevitabile di ricevere un‟eredità, che non può essere scelta ma lei stessa “violentemente sceglie” e “darle un nuovo impulso per mantenerla in vita” sono gli estremi di un discorso che coinvolge la seconda generazione degli architetti del Movimento Moderno. 2 In seconda istanza, oltre alle ragioni specifiche della ricerca, si ritiene che ancora oggi riflettere sull‟eredità lecorbuseriana offra ulteriori argomenti per appassionarsi della dote di Le Corbusier a interpretare il progresso del mondo. 3 Per una sintetica descrizione si veda: Eric Mumford, The CIAM Discorse on Urbanism – 1928-1960, The MIT Press, Cambridge Mass. 2000, pag. 192. La commissione sull‟applicazione della Carta d‟Atene era composta da Le Corbusier, Michel Ecochard, George Candilis, e portò alla discussione la proposta per lo sviluppo di una Charte of Habitat. E. Mumford nota che nella proposta di Le Corbusier non venivano date specifiche indicazioni sull‟oggetto, ma quell‟incontro comunque è rilevante in quanto si stavano ponendo le basi per la successiva esperienza di ATBAT-Afrique. 4 Tra i documenti che iniziano a trattare del tema nel corso del VIII CIAM si segnala quello prodotto dalla commissione composta da de8 e Opbouw dal titolo: Contribution to: La Charte de l‟ Habitat, luglio 1951; Nai Rotterdam, Bakema Archive. Wladimir Bodiansky

possibile ricostruire la complessa rete di relazioni, contenuta all‟interno di un‟entità riconosciuta, che per la nuova generazione era rappresentata e resa solidale dall‟autorità di Le Corbusier e dalla sensibilità di Siegfried Giedion. L‟elaborazione de La Charte de l’Habitat era ritenuta un punto di

sintesi tra le ricerche progettuali e le sollecitazioni che gli architetti rivolgevano alla società. Se poi questo documento dovesse sostituire il suo precedente la Charte d’Athens, o integrarlo in quanto affrontava i medesimi

problemi, su di un ordine superiore, quello dell‟ambiente rispetto alle funzioni, dipende dalla valutazione di posizioni rappresentate con convinzione all‟interno del dibattito. Nonostante vi fosse un variegato e motivato schieramento culturale le cui riflessioni davano tensione alla prosecuzione del lavoro iniziato a La Sarraz nel 1928, la scelta tra continuità o crisi ha portato infine alla discontinuità tra le attese delle due generazioni5. I motivi per cui non si riuscirà a concludere la Charte de l’Habitat sono probabilmente dovuti alla difficoltà del confronto

generazionale; l‟interesse di Le Corbusier a produrre un documento che costituisca un‟interfaccia con la società non era avvertito in modo analogo poichè il tema dell‟Habitat, per la molteplicità dei punti di vista che comportava, spingeva più nella direzione dell‟enfatizzazione dei problemi che verso la definizione di soluzioni trasmissibili all‟ambito socio-politico. La considerazione, a posteriori, di Shadrach Woods che le funzioni abitare, lavorare, circolare e ricrearsi erano individuate come parole, utili per analizzare le attività umane, ma che nel dopoguerra la progettazione urbana richiedeva una sintassi, fa intendere il senso di continuità con cui tuttavia la disciplina si misurava6.

Per inquadrare la questione è opportuno iniziare dalla definizione di Habitat. È indicativo come ancora a pochi mesi dall‟apertura dei lavori del

affronta la questione in termini di diritti umani: “It behoves men to organize Society in such a manner as to afford it the possibility to supply every man and every family with a habitat”. Frase riportata da Alison e Peter Smithson in “Architectural Design”, settembre, 1955, pag. 286. 5 Si usa, per ora, la distinzione riduttiva in due generazioni in quanto era evidente la preoccupazione di Le Corbusier di provocare tale avvicendamento, poiché il tema dell‟eredità del Movimento Moderno richiede la definizione generazionale. Se per esempio questa lettura viene svolta guardando all‟influenza di Patrick Geddes, allora sarà la continuità a divenire la componente dominante. 6 Shadrach Woods, The Man in the Street – A Polemic on Urbanism, Penguin Books, U.S.A. s.l. 1975, pag. 175-177.

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X congresso Le Corbusier abbia ritenuto necessario, per evitare fraintendimenti, di condividere una definizione comune di Habitat, anche se alcune soluzioni erano gia state da tempo abbozzate7. L‟invito rivolto da Le Corbusier, vice presidente del CIAM per l‟Europa, consiste in un documento (tradotto da Candilis sulla base del testo in francese del 9 maggio), del 13 maggio 1955 in cui si prevede che i delegati si trovino a settembre ad Algeri e si conclude con l‟indicazione: “The Habitat” represents the condition of life in the total environment - L’Habitat représente les conditions de vie dans le milieu total”8. La lettera d‟invito chiude una lunga serie di documenti che coinvolgono direttamente l‟attività del gruppo incaricato dal 1953 ad Aix en Provence di elaborare le tesi per il X congresso; Aldo van Eyck (che non faceva parte ufficialmente del comitato team 10) partecipa attivamente all‟elaborazione dei materiali emersi dal IX congresso per definire un Framework. Le cinque versioni del

documento rappresentano la conflittualità nel selezionare gli argomenti a conclusione della tormentata stesura del testo finale di compromesso, come condizione di lavoro comune dei progettisti per gli impegni futuri. Un futuro prossimo per van Eyck, che applicherà le intenzioni espresse negli studi preparatori al congresso alla prima fase progettuale dell‟Orphanage. Leggere le elaborazioni dei Frameworks e poi del Hollandaise supplement

come l‟inquadramento teorico del progetto per l‟Orphanage è una possibilità di riconoscere la continuità tra riflessioni teoriche e sviluppi progettuali non di un singolo architetto ma come il contributo di un più ampio dibattito.

Il documento redatto da Le Corbusier il 9 maggio 1955, oltre ad annunciare ufficialmente i tempi (viene indicato il mese ma restano da definire i giorni) e il luogo di svolgimento del X CIAM, mette in evidenza la dimensione temporale in cui il tema dell‟Habitat coinvolgerà le ricerche progettuali a venire. In prima istanza la definizione del titolo che rinvia l‟obiettivo della Charte de l’Habitat, ponendo la questione in termini più

aperti e con un campo più vasto di riflessione. Il titolo del convegno, così come era stato definito a Parigi nel giugno 1954, diviene “Problemes de l‟Habitat”; a questo seguono due sottotitoli “Premières propositions CIAM”

7 In primo luogo per definire un significato comune della traduzione tra lingua francese e inglese, la traduzione in italiano ricoore alla traduzione del termine “Habitat” con “Abitazione”. 8 Bakema Archive, Nai, Rotterdam.

e “Constatations et Résolutions” 9. Il dispositivo del titolo è commentato da Le Corbusier come un‟apertura nel tempo a un CIAM XI, XII etc. e la considerazione che il tema su cui si confrontavano avrebbe ipotecato le ricerche degli architetti per il futuro, può essere interpretato come una preoccupazione che i tempi non fossero maturi per una sistematizzazione del tema da parte della comunità disciplinare, così come l‟alleviare le responsabilità della nuova generazione.

Vedremo che la variazione da Charte de l’Habitat, che verrà poi inteso come dovere sociale-politico, a „Problema‟ porta a un cambio di accento che non va inteso come un passo indietro, o un ripensamento sul valore del tema, ma all‟inverso a una dilatazione nel tempo e negli obiettivi della ricerca. Sta di fatto che dopo il 1956 l‟enunciazione del tema passerà in secondo piano, mentre il nodo problematico che sottendeva diventerà sempre più il fulcro, dal punto di vista operativo, e sosterrà gli esperimenti progettuali oggetto di questo studio. In particolare si vuole verificare la plausibilità di una lettura che pone l‟origine degli elementi caratteristici di questa attenzione all‟integrazione organica nell‟ambiente, il nucleo delle riflessioni10 che hanno innescato il fenomeno insediativo in esame.

Se seguiamo a ritroso il definirsi di una piattaforma comune d‟azione, in seguito alla redazione e all‟invio a tutti i partecipanti della quinta versione del documento Draft Framework 5 del (22) dicembre 1954,

troviamo raccolti i commenti dei vari gruppi nazionali. La prima pagina di

9 Una variazione da soppesare nella definizione del titolo riportata nella lettera di Le Corbusier, rispetto a quello concordato a Parigi circa un anno prima, è l‟omissione dell‟aggettivo “umano” riferito all‟Habitat. Eric Mumford (The CIAM Discorse on Urbanism, 1928-1960, The MIT Press, Cambridge Mass. 2002) riporta il titolo con l‟aggettivo “umano” riferito a Parigi 1955, ma il Draft Frameworks 3 citando l‟incontro di Parigi non riporta ancora l‟aggettivo; in questo caso l‟inserimento nel titolo definitivo di “human habitat” sarebbe da ricondurre alla versione elaborata da Candilis-Le Corbusier il 13 maggio 1955. 10 Il lavoro d‟archivio sulla corrispondenza intercorsa tra il gruppo inglese e quello olandese (Mars-group e de8 en OPBOUW erano le sigle storiche sotto cui si raccoglievano), porta in primo piano innanzitutto due atteggiamenti propri della matrice culturale di origine e questo riduce il sospetto di un‟aggressività stimolata dall‟ambizione, ma piuttosto dalla consapevolezza dell‟importanza del momento. Un motivo per esporre il dibattito interno e consultare i documenti con attenzione consiste nel fatto che la pubblicistica di questi avvenimenti nelle sue versioni di maggior divulgazione e influenza è stata curata da Alison Smithson la quale ci offre un punto di vista parziale.

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introduzione ai commenti costituisce la sintesi (riportando a sua volta una definizione di Habitat) degli argomenti e del metodo di lavoro proposti per il X CIAM. Questo documento, redatto in inglese, viene inviato il 28 aprile 1955 e coincide con l‟inizio dell‟elaborazione progettuale dell‟Orphanage. Riportiamo uno stralcio del documento perché può fornire un utile supporto alla comprensione dello sfondo su cui le intenzioni progettuali di van Eyck stavano maturando. “DEFINITION of „HABITAT‟: The function „Living‟ becomes „Habitat‟ when it is organically integrated in an environment. / METHOD of WORK: …We think that by this method of work we can bring out the fundamental meaning of the concept „Habitat‟ and create a new way of thinking about architecture and urbanism.”11 Un nuovo percorso per l‟architettura e la città che prende una direzione oltre al leit-motiv del superamento delle posizioni funzionaliste simbolizzate dalla Charte d’Athens ma, da subito, anche rispetto alla distinzione dei prodotti edilizi in

gruppi per modalità di aggregazione, introdotte all‟incontro di Doorn nel gennaio del 1954. Il rapporto tra le parti e l‟insieme che van Eyck iniziava a sperimentare nell‟Orphanage anticipava il tentativo di reinterpretare i limiti della divisione tra urbanistica e architettura. Il contributo complessivo del documento vede tralasciare gli argomenti progettuali che dal 1953 offrivano il maggiore spunto comune di interesse, in particolare, the philosophy of the doorstep, dove il concetto di soglia diviene l‟emblema, la

divisa della sensibilità a comprendere i rapporti tra l‟uomo e le cose.

Da un verso il coinvolgimento diretto del gruppo Candilis Woods all‟insegnamento di Le Corbusier di per se stesso offre un motivo d‟interesse a studiarne le opere, dall‟altro l‟attenzione di Giedion12 all‟attività di van Eyck sembra essere stata sostenuta da una reciproca partecipazione alla ricerca dei „valori umani‟ e da un panorama condiviso, animato da artisti come Brancusi e Paul Klee. La presentazione di due fotografie dei playgrounds di Amsterdam e la descrizione di quei pochi

semplici elementi, anelli metallici e coppie di tronchi appoggiati al terreno, costituiscono l‟efficace contrappunto con il tema della lezione, I precedenti storici, tenuta da Giedion a Hoddesdon nel 1951. Giedion interviene per documentare il ruolo del cuore della città nell‟attività umana e la difficoltà di prevederne lo sviluppo in rapporto alla struttura della società cui deve

11 “Commentary on the reactions by CIAM X…”. Bakema-Archive, Nai, Rotterdam, 12 Sul ruolo dell‟inserimento nel CIAM dei due giovani architetti Bakema e van Eyck si veda Jos Bosman, I CIAM del dopoguerra: un bilancio del Movimento Moderno, in “Rassegna”, n. 52, 1992, pagg. 6-21.

rispondere. L‟accento e la speranza sono riposti nell‟individuo e rinviano all‟istintività delle emozioni, così come trovano, nella disposizione dei giochi progettati da van Eyck, un luogo per sollecitare l‟immaginazione. Un‟altra considerazione rilevante viene svolta da Giedion: egli, descrivendo la sua visita ai campi gioco di Amsterdam, inaugura un discorso sulla possibilità di reinterpretare i luoghi abbandonati della città e apre un fronte di riflessione verso un atteggiamento, una scala di intervento e una sensibilità verso i valori della città che stavano ri-emergendo come irrinunciabile condizione di vita degli uomini. Lo spazio di mezzo tra le case, la valorizzazione delle parti residuali della città, interposte tra gli edifici vengono trasformati in playground e rappresentano così tramite il

gioco dei bambini la riscoperta dei luoghi destinati al quotidiano.13

L‟eredità del patrimonio di conoscenze accumulato nel CIAM verrà gestita dalla seconda generazione di architetti in modi diversificati ma confrontabili, sia per quanto riguarda il linguaggio architettonico, sia per il metodo di investigazione progettuale e con diversa intensità nel corso del tempo, allontanandosi e ritornando sulle tracce originali. In primo luogo si deve evidenziare la continuità metodologica di Candilis e Woods, in cui l‟acutezza nel dirigersi al centro del problema e rovesciarlo, sovvertirlo, va intesa come un‟attitudine, una capacità educata nell‟atelier di rue de Sèvres14 che emerge nell‟esperienza di Casablanca. Casablanca e l’emergenza del Grande Numero

1.01.02 I contributi più rilevanti per fondare il tema dell‟Habitat per il grande

numero giungono dal Nord-Africa; al IX CIAM le proposte francesi sono direttamente riconducibili alla figura di Le Corbusier, ma anche alle

13 Giedion in conclusione del suo intervento, oltre al quotidiano, si spinge ad aprire una porta sul futuro guardando al Campidoglio di Michelangelo e si chiede come un grande artista potesse rappresentare “l‟enigmatica mancanza di relazione tra causa ed effetto”, che riconosce come lo scenario della condizione contemporanea. Siegfrid Giedion, I precedenti storici, in Jacqueline Tyrwhitt, J. L. Sert, Ernesto N. Rogers (a cura di) CIAM 8 the Heart of the City, Pellegrini and Cudahy, New York 1952 (trad. it. Il cuore della città – per una vita più umana delle comunità, Hoepli Editore, Milano 1954, pagg. 17-26). 14 “We had worked with Le Corbusier, we were aware of the intentions wich determined the forms of his buildings and we knew we had to find our own intentions rather than make facile use of the forms of building we had learnt and absorbed” Candilis in an interview at Architectural Association in Arena, May 1965, pag. 20

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ricerche sul campo di altri urbanisti che mettono in atto strategie d‟intervento partendo da un medesimo soggetto: le Bidonville. Bidonville era nel 1950 un neologismo15 che stava a indicare le condizioni di emergenza residenziale in cui versava la popolazione in corso di inurbamento nelle principali città del Nord-Africa. Dunque un problema drammatico e nuovo16 costituiva il punto di partenza comune. Nel confronto tra le griglie predisposte per il congresso di Aix en Provence dai due gruppi CIAM-Alger e GAMMA17, che affrontano questo problema, si notano differenti strategie tra analisi dei fenomeni insediativi e sintesi progettuali. In primo luogo la consecutività che GAMMA pone tra analisi dei luoghi e progetto risulta in modo esemplificativo con l‟equiparazione di due brani edilizi esistenti e di progetto mostrati nelle Grids. L‟interesse del confronto non è limitato a questa occasione, ma consente di individuare un approccio metodologico che sarà una componente rilevante dell‟attività successiva di Candilis e Woods, costituito dal rapporto di necessità tra i problemi individuati e il ventaglio delle soluzioni tipologiche proposte. Di contro il contributo del gruppo di Algeri mostra una sensibilità poetica, quasi intimistica, nel cogliere gli aspetti umani, per poi accordare a un assetto morfologico a lastre parallele il compito di risolvere la questione residenziale. Ad Algeri problema e soluzione restano estranei l‟uno all‟altro mentre a Casablanca analisi e sintesi si rincorrono.

Pur restando evidente nel capogruppo di CIAM Alger P.A. Emery il

coinvolgimento con la lezione di Le Corbusier, non si ravvisa nelle loro ipotesi l‟influenza della città araba, ma piuttosto l‟esportazione dei modelli insediativi europei18. L‟attenzione per “l‟eccellente urbanistica araba” così

15 Bidonville: a shanty town built of oil drums or other metal containers especially on the outskirts of a North African City. ORIGIN 1950s from French, from bidon+ville, in Orxford Dictionary of English, Oxford University Press, Oxford 2003. 16 „Nuovo‟, si riferisce alla dimensione della crescita demografica sconosciuta allora in quelle proporzioni. 17 GAMMA è l‟acronimo per “Group d‟architectes modernes Marocains“; il gruppo includeva Victor Bodiansky, Michel Ecochard, George Candilis, Shadrach Woods, Henri Piot e altri. 18 Le possibilità di esportazione di modelli insediativi verrà valutato criticamente nel corso degli anni sessanta; se l‟osmosi dalla città araba ad alcuni luoghi delle città occidentali verrà approfondito nei prossimi capitoli, il senso inverso di migrazione prevalente dei modelli occidentali nelle città dell‟Africa verrà valutato con attenzione, soprattutto in riferimento agli interventi residenziali che dominavano le periferie delle grandi città europee. Tra gli interventi critici in questa direzione si segnala un brano di un breve saggio di

come rappresentata in Maniera di pensare l’Urbanistica tramite

l‟esperienza ad Algeri di Le Corbusier può fornirci un altro elemento utile per intendere il coinvolgimento e l‟interesse che in generale gli architetti europei ritrovavano nelle condizioni spaziali e di relazione sociale della medina. Infatti le due „applicazioni‟ illustrate da Le Corbusier a conclusione di Maniera di pensare l’Urbanistica19 vedono la salvaguardia della Casbah (di fatto individuata come la medina) di Algeri a cui segue il Plan Voisin con

il rovesciamento delle regole della città europea. L‟attenzione di Le Corbusier, da un lato a salvaguardare la Casbah e dall‟altro le chirurgiche sostituzioni edilizie del Plan Voisin, definiscono un quadro di preferenze

che in più modi avrà influenzato gli architetti francesi che si spingevano a operare in Nord-Africa. Questo interesse per la città araba ha avuto un suo influsso, o quantomeno ha sostenuto una tendenza, a riconoscere un valore da scoprire nelle condizioni di densità edilizia dei nuclei storici delle città nord-africane. Questa tendenza poi diviene per molti architetti un personale coinvolgimento spaziale, verso un mondo che si avvicina all‟intensità di un sistema di relazioni a cui i loro progetti aspiravano. È evidente che l‟esperienza africana, professionale per Candilis e Woods, d i ricerca per van Eyck, sarà fondamentale per entrambi i progettisti, ma vi era ravvisabile oltre all‟esempio di Le Corbusier, una influenza che si manifestava in diverse direzioni20 e che ancora nel 1962 viene fissata da Jaap Bakema: “At this moment Europe is tryng to integrate its economic-thecnical teamwork with all the other aspects of life, and to work together with African, South-American and Asian people. These people know almost nothing of our techniques of production, but very often they know

Bakema e van Eyck dal titolo 1960-2000 (Post Box for the development of the Habitat – B.P.H. del 27 gennaio 1961): “Prevent that the methods now used for the actual development of human settlements in Western Europe will be exported to Africa and Asia”. 19 Ci si riferisce in particolare alle pagine che mettono a confronto i due modelli insediativi della città compatta araba di cui illustra un arioso cortile e uno spazio di comunicazione compresso e articolato sottolineando “L‟urbanistica araba è eccellente” e una strada definita da isolati che considera “l‟urbanistica europea è deleteria”. Maniera di pensare l‟Urbanistica, op. cit., pagg. 136, 137. 20 Forse anche in termini ideologici. Un rapporto con la città araba in Europa si era svolto nella propaganda nazista in termini riflessi, che per esempio dipingeva il Weissenhof di Stoccarda come un villaggio africano animato di cammelli. Vedi J.B. Weber, Aspects of Nationalsocialist Architecture, in “aaq”, 1-4, 1969, pagg. 46,47. [mat. 1.01.02d].

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about an art of living we lost in our technical achievement”21. Questo movimento d‟interesse del mondo dell‟architettura era innestato su un più generale impulso verso la comprensione dei nuovi equilibri del pianeta. L‟intervento di Lévi-Strauss, sostenuto dall‟Unesco, con il saggio Razza e Storia22 del 1952 compie un‟opera di divulgazione, per l‟inizio di una

consapevolezza collettiva, sul rapporto tra progresso occidentale e relativismo culturale, ponendo alcune questioni che modificheranno la sensibilità, identificabile anche in variazioni proprie del linguaggio, dei termini in cui si affrontava il problema della diversità „culturale‟23.

L‟esperienza dell‟ATBAT-Afrique24, per quanto contenuta in un breve lasso di tempo (1951-54), offre uno straordinario campo di prova per gli atteggiamenti progettuali maturati da Candilis e Woods dal 1947 al 1949 nel corso della progettazione esecutiva dell‟Unité d‟Habitation di Marsiglia con il coordinamento di Wladimir Bodiansky. La combinazione tra la dimensione insediativa rivoluzionaria dell‟Unité e le ricerche sul campo svolte a Casablanca a partire dal 1946 dall‟equipe del Service de l’Urbanism guidata da Michel Ecochard ha prodotto un esito progettuale, in

particolare i tre edifici del Carrières centrales, che avrà un ruolo determinante nel dibattito disciplinare a venire.

In Marocco l‟attenzione del protettorato francese alle esigenze residenziali della popolazione mussulmana aveva portato, già dalle prime esperienze anteriori al 1945, a intervenire sulla specificità dell‟Habitat marrocaine; vi era infatti in particolare a Casablanca una tradizione di

ricerca e di intervento sulle problematiche residenziali sedimentata che ha svolto il ruolo di incubatore per le successive opere del GAMMA. Lo stato delle ricerche di Michel Ecochard, quando ATBAT approda in Africa, prima a Tangeri e poi a Casablanca, aveva già portato alla elaborazione delle linee guida di sviluppo urbano per la città di Casablanca. Un piano di

21 Jaap Bakema, From Doorstep to Town, in “Forum”, n. 2, febbraio-marzo, 1962, vol. XVI pag. 129. 22 Claude Lévi-Strauss, Razza e Storia, Einaudi, Torino 2002. 23 Differenze riscontrabili anche nello stesso lessico di Lévi-Strauss, per esempio nella definizione di popoli arcaici e primitivi. 24 La sezione per l‟Africa del gruppo di progettazione voluto da Le Corbusier di cui Candilis e Woods con altri faranno parte sin dall‟inizio dell‟attività; per un riepilogo dell‟attività del gruppo: Marion Tournon Branly, History of ATBAT and its influence on French Architecture, “Architectural Design”, gennaio 1965, pagg. 20-41

zonizzazione tutelava la presenza delle aree di sviluppo industriale lungo la costa e cercava di contenere, entro margini definiti, l‟espansione degli insediamenti spontanei. Dalla realizzazione della prima banchina del porto nel 1915, che rappresenta la componente trainante della crescita industriale, lo sviluppo della città aveva proseguito con ampliamenti successivi alla costruzione di nuove parti di città suddivise tra europea e mussulmana. In particolare una nuova medina, progettata da Prost, aveva portato alla ridefinizione del tipo edilizio a patio, in quanto rispondente alle condizioni di vita della popolazione contadina che si stava inurbando, con proporzioni esponenziali, nelle bidonville.

Successivamente al 1945 il fenomeno di spinta demografica a

Casablanca raggiunse proporzioni inaudite, portando al raddoppio della popolazione, da cinquecentomila abitanti a un milione nel corso del decennio 1950-60. In questa nuova condizione, se la casa a patio trovava evidenti motivazioni rispetto alla continuità delle caratteristiche insediative, di certo non era in grado di intervenire in modo risolutivo sul problema demografico. Il tipo edilizio a patio messo a punto dal gruppo di Ecochard era definito da un modulo base di 8x8 m con disposti tre alloggi distribuiti da un impasse. Rispetto agli schemi adottati fino a pochi anni prima da

Prost, con strade parallele e alloggi distribuiti linearmente, la variazione presentata prevedeva il raggruppamento delle unità edilizie attorno a dei nuclei di distribuzione che producevano un ambito semipubblico, con un ruolo intermedio tra lo spazio della strada e lo spazio protetto della casa. I vantaggi che motivano la scelta distributiva sono illustrati, nelle tavole predisposte per il IX CIAM, da uno schema „a torta‟ per dimostrare l‟economicità della soluzione. Sempre nella griglia del GAMMA del 1953 troviamo un‟altra considerazione rilevante nella giustapposizione di due parti di città, quella antica e quella moderna, accomunate dal medesimo principio organizzativo, che rileva come la tendenza a evitare l‟introspezione e la necessità di definire ambiti protetti sia determinante, ma in lenta modificazione. Illustra il progetto un‟altra immagine, una veduta notturna di una strada occidentale contemporanea illuminata da un lampione, con un semaforo in primo piano e all‟angolo un bar che ricorda un‟atmosfera urbana alla Edward Hopper. La direzione di una modificazione degli stili di vita è ugualmente presente, seppur la massima attenzione sia rivolta alla continuità della tradizione. Quindi non bisogna prendere da queste proposte solo la tendenza, la propensione a raggiungere l‟adeguamento a quei costumi di vita, ma piuttosto un graduale assecondare una modificazione delle attitudini in cui il tempo, la

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lentezza dell‟assimilazione e la mescolanza delle abitudini vecchie e nuove divengono parte dei materiali e delle motivazioni del progetto.

L‟esito progettuale più significativo dell‟esperienza in Marocco, e utile per intendere la metodologia progettuale di Candilis e Woods, è costituito dagli edifici chiamati Nid d’abeilles25 e Semiramis che possono venire intesi, in prima approssimazione, come la sovrapposizione del modulo 8x8 predisposto da Ecochard. Lo stesso Ecochard aveva suggerito a Candilis di verificare la possibilità di sviluppo in verticale del tipo a patio in quanto, probabilmente, già si riconoscevano i limiti di uno sviluppo insediativo orizzontale che, per quanto uilizzato in modo intensivo, era inadeguato a soddisfare le esigenze abitative che si stavano manifestando. La manipolazione tipologica, esito della combinazione di patio con ballatoio, sarà poi motivata con l‟intenzione di recuperare i caratteri insediativi dei villaggi dell‟Atlas, luogo di provenienza di una parte cospicua dei nuovi residenti. Questa considerazione sul radicamento culturale della soluzione tipologica svolge un ruolo preliminare nella motivazione del progetto e viene attribuita dai progettisti in riferimento alle ricerche di matrice etnologica. Un radicamento culturale fondato sulle esperienze sul campo dei progettisti ha portato ad una realizzazione che è divenuta icona dell‟inversione di sensibilità degli architetti contemporanei a intervenire, altrove, su un contesto sociale specifico, al di fuori del proprio ambito culturale di appartenenza.

La ponderatezza posta nel trovare una radice autoctona, in

particolare dell‟edificio Nid d’abeilles, non riduce tuttavia, ma anzi fa spiccare la forza e l‟incisività della soluzione formale. La trama delle logge e i marcati effetti chiaroscurali del prospetto sud rimandano a un‟attenzione formale che si potrebbe attribuire ai modi di comporre di Andrè Lurcat, del quale Candilis era stato collaboratore appena giunto in Francia26. L‟invenzione attivata sul tipo a ballatoio tramite le logge sfalsate deriva da un‟assimilazione di motivi deducibili nei primi esperimenti residenziali di Le Corbusier, in particolare l‟edifico che costituiva la testata di un isolato per i nuovi quartieri Fruges e la lottizzazione “ad alveoli” per città-giardino, entrambi elaborati attorno al 1925. La relazione con le proposte di Le

25 Nid d‟Abeilles: il termine „alveare‟ potrebbe essere un soggetto di ricerca anche valutando l‟accumulazione di accezioni negative che ha accumulato nel tempo. 26 Questa valutazione prende spunto dal confronto tra le prime proposte del Nid d‟abeilles R+1 e l‟hotel Nord-Sud a Calvi di Lurcat.

Corbusier offre una traccia determinante nello sfalsamento delle logge anche se il sistema di distribuzione che Candilis e Woods potevano dedurre dagli alloggi progettati da Le Corbusier non era per loro una utile definizione degli elementi di collegamento rispetto alle unità d‟uso27. Va poi rimarcata la sintonia con la denominazione di alveolare del progetto di Le Corbusier che verrà adottato anche per la “città di tre milioni di abitanti”. Un altro spunto complementare per la composizione alternata in verticale delle celle e la definizione Nid d’abeilles potrebbe essere ricondotta a un saggio di Hermann Weyl28, pubblicato nel 1952, dal titolo Simmetry29 dove la struttura dell‟alveare viene illustrata come una condizione ideale di aggregazione, oppure ancora sul versante opposto, riferito agli oggetti della vita quotidiana, ricordarsi della usanza marocchina di servire il miele, uno degli alimenti fondamentali della dieta in Marocco, direttamente con il suo favo [mat. 1.01.02e].

Tra i probabili altri fattori che possono essere intervenuti si può

immaginare anche l‟imbarazzo ad affrontare il tema residenziale “Habitat

pour le grand nombre” con sistemi a bassa densità, come le case a patio, dopo aver condiviso l‟esperienza dell‟Unité di Marsiglia. La motivazione di dare continuità ai modi insediativi tradizionali dei luoghi di origine dei nuovi abitanti, era comunque una sensibilità già sviluppata dagli urbanisti che si erano confrontati con Casablanca. L‟influenza dell‟ambiente non sembra comunque sia limitata nei progettisti all‟analisi del contesto fisico per riprodurre condizioni di vita che rispettino le abitudini collettive e individuali. Il contesto umano entra nel progetto, riferito ai modi di operare che appartengono alla tradizione del fare quotidiano, dei gesti ripetuti da sempre, che tengono assieme, oltre la metafora, gli elementi del progetto. L‟analogia della tessitura in quei luoghi è qualcosa che va ben oltre a un‟immagine traslata; la presenza nell‟angolo di ogni casa del telaio, del

27 Come si può dedurre nella documentazione oggi conservata [mat. 1.01.02e]. Il disegno del retro (FLC 19895) dell‟edificio il cui fronte è pubblicato su Verso un‟architettura con la didascalia “Un primo gruppo di abitazioni” presenta due corpi scala esterni posti all‟estremità che rimandano a un elemento di distribuzione, connesso al ruolo di edificio-porta. 28 Hermann Weyl, matematico e divulgatore scientifico di cui Woods cita nei suoi scritti il testo sulla teoria della relatività Space Time Matter; la pubblicazione di quattro lezioni dal titolo Simmetria illustra tramite le leggi della natura le corrispondenze tra natura, scienza e arte . 29 Hermann Weyl, Symmetry, Princeton University Press, Princeton 1952, pagg. 83-87.

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separarsi dei fili dell‟ordito, il passaggio della spola della trama, sono queste le azioni tramite cui ricostruire30 il profondo senso di appropriatezza alla società cui l‟intervento edilizio è dedicato. Il confronto tra le sezioni dei due edifici, Nid d’abeilles e Semiramis, che si differenziano per le

condizioni di affaccio, ci illustrano questa condizione del movimento dei fili dell‟ordito che si separano e si riuniscono, così il doppio ballatoio sfalsato est-ovest del Semiramis contiene al suo interno gli elementi, le unità d‟uso

per poi riallinearsi nell‟edificio posto a sud. La sezione dei due prototipi risulta organizzata assimilando il movimento di un telaio, la trama urbana predisposta da Ecochard trova così un ordito costituito dai ballatoi che definiscono assieme il nuovo tessuto edilizio. Il fronte sud dell‟edificio Nid d’abeilles con i ballatoi disposti a ogni piano rovescia questa immagine sul fronte e offre all‟analogia della tessitura un ulteriore, inequivocabile tributo.

Le suggestioni potrebbero portare lontano questo discorso

all‟etimologica di fabric in inglese (e prima in francese) che può aprire una via diretta al significato di un artefatto ben eseguito, ma mai così distante come l‟idea che tramandano le tribù Dogon presso le quali per comprendere la nascita della parola si ricorre alla metafora della tessitura. Si sosterrà più avanti quanto sia stata determinante l‟influenza nella formazione della poetica di van Eyck del suo viaggio a Ogol Basso e del testo di Marcel Griaule che costituisce la guida ai luoghi e al popolo Dogon. Si pone l‟accento sul ruolo dello studio di altre culture in quanto lo si ritrova costantemente ripreso dagli architetti che rappresentano il nucleo della ricerca del fenomeno insediativo in esame. Non si tratta quindi di sole suggestioni, ma di rilevanti riferimenti esplicitamente evidenziati; per esempio nella dizione “Casbah Organisee” adottata da van Eyck a Otterlo così come Woods il quale spiega il suo lavoro per Berlino come matrimonio tra la Casbah e il Meccano. L‟interesse è sostenuto dal fatto che non si trattava di riferimenti letterari, ma di una reale conoscenza sul campo, motivata nei due architetti da ragioni diverse; entrambi però hanno ricevuto dalle città antiche dell‟Africa del Nord una nuova comprensione dello spazio urbano.

Le relazioni spaziali e interpersonali, la dimensione „umana‟ delle

medine di Tangeri o Fes lasciavano al viaggiatore europeo uno shock ambientale, se confrontate con le città europee, appena tornate a vivere,

30 Anche in modo inconscio

ma ancora segnate dalla guerra31. Candilis riconoscerà nel 1974, nel corso di un incontro del team 10 a Rotterdam, l‟importanza dell‟esperienza in Marocco, sin dalle prime esperienze nel 1952, a definire un approccio per creare luoghi che diverrà leggibile, più di vent‟anni dopo, con la realizzazione della Freie Unveristät32. L‟importanza di soffermarsi sull‟intervento per le Carrières centrales quindi non verte nella ricerca di analogie formali tra gli interventi, ciò che risulta più evidente è anzi l‟attitudine al rovesciamento delle condizioni di partenza e alla capacità di provocare contaminazioni tra i tipi edilizi. L‟interesse, invece, nel cogliere l‟evoluzione dei prototipi progettati da Candilis e Woods per Casablanca risiede nel cogliere lo spostamento della ricerca della soluzione dall‟ambito dell‟edificio a quello dell‟Habitat organicamente integrato. L‟intervento a Carrières centrales aveva evidentemente un carattere sperimentale ed era un modello residenziale impostato in modo tale da consentire una cospicua riproducibilità33. Ormai alle porte della guerra d‟indipendenza dell‟Algeria, non risultano planimetrie che elaborano l‟aggregazione in serie di più isolati, ma si può immaginare che, una volta definitivamente collaudato il prototipo messo a punto a Carrières centrales avrebbe trovato una simile applicazione nelle quantità previste per il sistema Habitat Marocaine, anche in conseguenza della maggiore densità prodotta.

L‟isolato sperimentale di Casablanca34 composto da tre edifici distinti rivolti verso una corte aperta può venire inteso come una sintesi tra le ricerche sul modo di abitare riferito ai sistemi spontanei di formazione

31 La scoperta del Marocco appartiene all‟esperienza di molti architetti nell‟immediato dopoguerra; tra questi si segnalano le documentazioni raccolte da Jorn Utzon e Sverre Fehn. 32 Alison Smithson (edited by), Team 10 meetings, Delft University of Technology, Delft 1991, pagg. 130-145. 33 Non vi sono chiari riferimenti di quali fossero le aspettative dei progettisti sull‟applicazione dell‟intervento a comporre un disegno urbano tramite sistemi di aggregazioni più complesse, oltre alle due realizzazioni successive a Oran in Algeria del 1955. La densità degli interventi di Oran anticipa comunque in modo evidente le difficoltà che l‟inserimento di edifici a sviluppo verticale avrebbe comportato successivamente in quel contesto sociale; Candilis Josic Woods (Jurgen Joedicke, a cura di), A decade of architecture and urban planning, Karl Kramer Verlag, Stuttgart 1978, pag. 130, figg. 246,248. 34 Si mette in evidenza che il piano generale con il tessuto edilizio formato dal tipo a patio non contempla l‟intervento di altri tipi edilizi; l‟inserimento del tipo a ballatoio viene portato avanti successivamente da ATBAT.

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delle Bidonville con l‟aggregazione verticale delle unità edilizie, riferite al villaggio verticale dell‟Unité di Marsiglia. Il rapporto tra le parti della costruzione è governato dal modulor. Le Corbusier riporterà nel “Modulor 2”35 uno stralcio (fig. 37bis) della tavola predisposta da Candilis dal titolo “Modulation” e una dichiarazione di Candilis stesso che rende conto dell‟attitudine sviluppata verso il sistema di misura messo alla prova anche a Casablanca e utilizzato fino alla realizzazione della BFU. Il confronto operativo con la cultura mussulmana tuttavia richiede ai progettisti di ricalibrare i parametri riconducibili ai canoni occidentali o rivolti esclusivamente alle condizioni climatiche. Ciò risulta evidente tanto nel rovesciamento dei modi di intendere la relazione tra l‟esterno e gli spazi interni aperti e chiusi, quanto nella necessità di marcare la dimensione privata da quella collettiva, rendendo incisivi i passaggi di soglia tra i due ambiti. È possibile verificare che i fattori di carattere sociale e culturale abbiano inciso in modo assai più rilevante rispetto a quelli di ordine ambientale-climatico. Certamente le relazioni tra aspetti climatici e culturali non sono separabili, ma se si osserva il ruolo delle caratteristiche climatiche nell‟approccio funzionalista e le si paragona alle varianti proposte da Candilis e Woods al medesimo tipo edilizio per la casa mussulmana, europea e israelita ci si rende conto della modificazione di orientamento che stava maturando.

35 “Candilis, a Casablanca, ha fatto il progetto di un edificio [si riferisce al nid d‟abeilles] adeguato al clima marocchino; il Modulor gli ha permesso di regolare tutti i volumi abitabili. Egli scrive: „Lei [Le Corbusier] ha scritto da qualche parte che coloro che hanno provato questo strumento accordato, -il Modulor- non possono più farne a meno./ È assolutamente vero./ Da due anni Woods e io lavoriamo in Africa. La nostra attività è varia: studi, concorsi, cantieri, ricerche./ Abbiamo l‟abitudine del Modulor, esso è diventato lo strumento inseparabile dei nostri studi./ Per giungere a questo punto, abbiamo attraversato momenti di esitazione, di incertezza e di cattiva utilizzazione./ Col tempo tutto è diventato chiaro e sicuro/ Sui tavoli da disegno, il nostro pensiero si è espresso in tracciati familiari, ogni misura ha espresso una funzione, „una giusta misura‟ nessuna nota falsa o arbitraria./ L‟insieme è armonioso e costruito a scala umana … /MISURE/ Misurare: è tendere all‟economia, è raggiungere „la giusta misura‟ (L.C.)./ Qui, è il Modulor che ci ha guidati: le distanze, le superfici, i volumi. La stessa cosa si può dire per le attrezzature, le aperture, le funzioni: misure esatte e disciplinate.” Da Le Corbusier, Modulor 2 – 1955 (La parola è agli utenti), seguito de „il Modulor‟ „1948‟, Gabriele Capelli editore, Mendrisio 2004, pagg. 112-115.

Il ridimensionamento delle problematiche climatiche non comporta una sottovalutazione delle questioni che in un ambiente come quello di Casablanca sarebbe stato un errore insuperabile, ma uno spostamento di accento sull‟individuo e le sue esigenze di identificarsi in un proprio luogo. Allora la lettura delle tre varianti per i prospetti del Nid d’abeilles, rivolti a

soddisfare le diverse attitudini degli abitanti, non può essere ridotta alla sola considerazione del rapporto tra i pieni e i vuoti che disegnano le facciate, assenti nella casa mussulmana, radi ma presenti in quella per gli ebrei, prevalentemente aperta e dotata di un balconcino per quella europea. Le variazioni in pianta allo stesso modo mostrano queste differenze che si rispecchiano ad altra scala nella distinzione in parti formalmente definite delle città. La lezione che si ricava da questa disposizione a separare, a cogliere le differenze, potrebbe, solo a una lettura superficiale, prestarsi a una motivazione sottesa da un problema di razza. Accettare queste differenze, di contro, consiste nell‟offrire a ciascun individuo l‟opportunità di scegliere il modo di trovare una propria identità e di riconoscersi in un modo di abitare. La conclusione del libro di Ecochard dedicato a Casablanca, in cui il progetto di Candilis e Woods rappresenta la punta della sperimentazione architettonica, inizia con un quesito che elimina ogni dubbio sull‟attitudine progettuale all‟interno di GAMMA: “Vous travaillez pour des hommes ou vous travaillez pour des dieux”36. L‟uomo sociale a cui Ecochard rivolge la sua attenzione ha certamente la necessità di vedere soddisfatti i suoi bisogni, riferiti all‟igiene e alla salubrità dell‟ambiente, ma imprescindibilmente all‟interno di un quadro di appartenenza culturale. Le tre versioni dei prospetti per le case presentano nel rapporto tra interno ed esterno in termini didascalici queste differenze, certamente semplificate, rispetto ai problemi che le facciate nascondevano, ma pur sempre uno sforzo per comprenderne le differenze37.

36 Michel Ecochard, Casablanca – le roman d‟une ville, Editions de Paris, Paris 1955, pag. 137. 37 Nell‟apertura de I tre insediamenti umani (op. cit. pag. 69, prima edizione 1943) Le Corbusier riporta una frase di Griaule simile all‟apertura delle conclusioni di Ecochard: “Le imprese umane hanno in se stesse il loro limite, prodotto dei termini dell‟equazione che le regola: se entro questi limiti l‟uomo è padrone, al di là, egli è: „fuori di sé‟, non si possiede più. Parlando degli insediamenti umani nelle civiltà primitive Marcel Griaule ha scritto: „Il limite è una questione di dèi non di uomini‟”. La questione non richiede di essere commentata per sé, ma vista la centralità dei tre autori in questo lavoro è un indizio da tenere presente non per il soggetto, la scelta se lavorare per gli dei o gli uomini, ma piuttosto per l‟attenzione all‟uomo e il limite nel tempo delle trasformazioni della sua realtà.

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Ritornando all‟isolato del Carrières centrales troviamo un‟impostazione planimetrica elementare, che prevede l‟aggregazione ortogonale dei due prototipi Nid d’abeilles e Semiramis, in una corte aperta

conclusa da un terzo elemento puntiforme che definisce l‟invaso spaziale all‟angolo opposto. L‟altezza di quattro piani è costante per tutti i tre corpi di fabbrica, i cui fronti edilizi definiscono uno spazio pubblico disegnato dall‟incrocio dei percorsi generati dall‟attacco a terra dei collegamenti verticali. Negli elaborati grafici dimostrativi il funzionamento degli alloggi risulta ancora sospeso tra ricerca tipologica e soluzione architettonica per poi comportare nell‟applicazione concreta a Carrières centrales la variazione degli elementi di collegamento verticale che divengono gli intermediari con il contesto. Quindi si precisa una strategia per l‟ubicazione di ciascun elemento di collegamento verticale che non è più posto indifferentemente all‟esterno del corpo di fabbrica, ma inserito all‟interno della profondità del corpo stesso definendo i punti da cui si diramano i percorsi verso le altre componenti organizzative dell‟isolato. Questa attenzione agli elementi a uso semipubblico e il loro ruolo di mediazione tra tipo e contesto è da porre in relazione agli sviluppi degli argomenti progettuali sull‟Habitat per il grande numero. Ciò costituisce un indizio rilevante dell‟attenzione alle potenzialità degli spazi di distribuzione agli alloggi. In particolare nell‟edificio orientato est-ovest, Semiramis, l‟orografia

del terreno produce a metà della lunghezza dell‟edificio uno scarto verticale di mezzo piano in corrispondenza del vano scala; così l‟evidenza dell‟ubicazione delle scale va intesa come elemento che costruisce un efficace contrappunto tra lo sfalsamento dei ballatoi e le caratteristiche del terreno. Di cointro l‟ubicazione del vano scale al centro del corpo di fabbrica nel Nid d’abeilles riduce d‟intensità la ripetizione delle logge dello

schema originale, provocando una „smagliatura‟ nella continuità percettiva del fronte.

Gli edifici dell‟isolato sperimentale Carrières centrales hanno una

didascalica organizzazione su tre livelli di aggregazione, il primo dei quali è rappresentato dalla cellula, l‟unità d‟uso. Il secondo livello di articolazione riguarda la distribuzione orizzontale il cui rapporto varia in modo binario a seconda dell‟orientamento con i ballatoi, disposti su ciascun piano a nord e alternati su ambedue i lati per il corpo di fabbrica esposto a est-ovest. Infine un terzo livello di organizzazione, attribuito agli elementi di collegamento verticale, costruisce il disegno degli spazi aperti e crea la mediazione con il contesto. La novità non sta certamente nel ricercare tali relazioni, e l‟attenzione in questo intervento deve essere rivolta alla

ricercata chiarezza della sintassi, del sistema di relazione tra le componenti organizzative38, in particolare se riferite al confronto con l‟articolazione alloggi a corridoio centrale realizzati a Marsiglia.

Come sarà facile constatare le previsioni insediative di una città

orizzontale hanno dimostrato a Casablanca, in breve tempo, il loro limite. Oggi le Carrières centrales è irriconoscibile rispetto alle linde immagini esposte ad Aix en Provence, fresche di intonaco, in attesa dei loro abitanti. Il processo di densificazione, oramai arrivato a un livello di „iper-saturazione‟, presenta nei settori delle case a patio una sopraelevazione costante di tre piani e le abitazioni sono caratterizzate da uno sbalzo di circa un metro in tutte le direzioni possibili di crescita. Gli edifici che non hanno subito sostanziali variazioni „strutturali‟ sono i tre prototipi di aggregazione verticale; certo i prospetti sono deturpati a tal punto da renderli quasi irriconoscibili, gli effetti di chiaroscuro perduti, ma il sistema insediativo, nel suo complesso ha resistito a un difficile compito. Le occlusioni delle logge del Nid d’Abeilles che rappresentano la variazione

più rilevante e penosa possono essere, in parte, dovute a una scelta organizzativa dell‟alloggio che costituiva una variazione del rapporto consueto tra il patio e i vani che disimpegna. Infatti, il raggiungimento della loggia-patio sul fronte sud richiede l‟attraversamento del vano soggiorno, fatto questo che altera il ruolo del patio come elemento centrale di distribuzione. Ciò rende, di fatto, il suo utilizzo indifferente all‟ubicazione

38 La successiva ricerca sull‟alloggio compiuta da Woods nel 1953 ha comportato il raddoppio del corpo di fabbrica per offrire un maggior numero di vani e una diluizione della intensa e immediata resa plastica data dalla sovrapposizione di quattro corpi della profondità di 3.66 m; così come le successive sperimentazioni eseguite in Algeria che lavorano sulla combinazione a pettine dei due elementi nord-sud ed est-ovest in un unico organismo edilizio superano la definizione dell‟edificio isolato e affrontano l‟aggregazione alla scala del complesso edilizio unitario che coincide con l‟isolato. Lo sviluppo nei progetti di Oran mette in luce la tendenza a integrare l‟articolazione lineare di Casablanca, probabilmente per sperimentare il grado di densificazione delle sezioni tipo nord-sud ed est-ovest fino a verificare il limite della massima densità insediativa. Valutare nel complesso lo sviluppo progettuale della sequenza a scala edilizia richiede di ricostruire il processo progettuale; dalla trama urbana impostata da Ecochard e la verifica delle prime manipolazioni tipologiche in riferimento al nid d‟abeilles R+1, (un corpo triplo a due piani con ballatoio per il secondo livello con patii sfalsati) inteso come „elemento evolutivo‟ del successivo R+4, per poi giungere ai sistemi complessi di aggregazione di più edifici realizzati a Oran.

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nella relazione tra i vani della casa e ha comportato altre possibilità di utilizzo del volume disponibile. In seguito a questa situazione nei successivi progetti di Candilis e Woods per residenze in Africa, in particolare a Fort Lamy, vi sarà un supplemento d‟attenzione nel definire il patio come spazio di mediazione tra i vani della casa e il percorso di accesso.

La rilevanza dell‟esperienza di Atbat in Marocco offre tre motivi di

riflessione che si ritengono indispensabili per comprendere gli sviluppi disciplinari del decennio successivo e principalmente il contributo portato al IX CIAM. Ad Aix en Provence si crea sintonia con le proposte dei gruppi inglesi, in particolare con il progetto per Golden Lane che presentava una coincidenza di interessi tra l‟orditura dei ballatoi di Candilis e Woods e la street mesh in the air degli Smithsons, dove al di là del tipo a ballatoio, ciò

che accomuna i due progetti è il ruolo attribuito agli spazi di mediazione semipubblici. Sarà poi assai rilevante e influente la definizione del tema dell‟Habitat associato al problema del Grande Numero39 e infine l‟influenza che avranno nei progetti a venire il confronto e lo studio di una città composta da due forme distinte senza mediazioni, una relativa alla dimensione urbana della città antica araba, e l‟altra alla nuova città con morfologia “all‟europea”.

39 Si veda in particolare il contributo di Bodiansky e di Ecochard. Ecochard interviene sin dal 1950 sul tema dell‟Habitat e lo associa all‟emergenza del grande numero riferendosi alla sua esperienza in Africa iniziata nel 1946. “Nous avions fait le point de l‟importance des besoins. Il ne s‟agissait pas d‟attendre la construction par des particuliers: la population était trop paure pour payer les loyers qu‟on lui demanderait. Il fallait un programme d‟action à l‟echelle de l‟ampleur des besoins et de leur urgence. Nous nous trouvions en face de - l‟Habitat pour le plus grande nombre‟ celui que l‟on doit réaliser en grande partie avec l‟aide de l‟Etat, et au moindre prix, rapidement, sans rien sacrifier de ce qui est nécessaire à l‟hygiène et au confort minimum des habitants. Obligations évidentement contradictoires qui nous amenèrent, pour essayer de les satisfaire, à ètabilir une théorie compète de l‟habitat du plus grande nombre, allant de l‟aménagement de quartier au plan de la cellule individuelle.” Casablanca – le roman d‟une ville, op. cit. pag. 102. Certamente vi è dal 1949 un interesse nella cerchia di Le Corbusier di urbanisti, ingegneri, architetti che riflette e vive in una sintonia d‟intenti queste problematiche. L‟affermazione di Alison Smithson che “The Charte of Habitat was originally proposed by Bodiansky ...” (Architectural Design, settembre 1955, pag. 286) è il riflesso di questo comune senso di sentire.

Un possibile quarto argomento con conseguenze per il futuro riguarda la reazione dei progettisti al processo di trasformazione e densificazione di cui erano testimoni. Le possibilità di variazione dell‟organismo edilizio nel tempo potrebbero aver trovato alcune argomentazioni a sostegno, soprattutto in realtà urbane così dinamiche come Casablanca, luogo in cui il processo di auto-costruzione aveva creato una situazione di criticità continua rispetto alle previsioni insediative. Dal resoconto di Alfred Wells40 le trasformazioni più rilevanti a Carrières centrales, al di fuori di qualsiasi controllo, avvengono tra il 1956-58. Sarebbe interessante capire se e in che modo l‟intervento a Casablanca ha rinforzato i convincimenti a favore della flessibilità41 e modificabilità edilizia in seguito all‟alterazione del limpido disegno della facciata del Nid d’Abeilles42. Probabilmente nel 1955, quando tra i pregi dell‟intervento di

Atbat si era ritenuto che “in Morocco they have made it a principle of „habitat‟ that man shall have the liberty to adapt for himself”43, non si prevedeva quale sarebbe stato il grado di trasformazione impresso al complesso edilizio. Resta evidentemente chiaro che le motivazioni principali per la trasformabilità che troverà il suo apice nella BFU risiedevano, almeno in Woods, nel radicato convincimento di rispondere a un‟interpretazione della società come una serie di entità in continuo cambiamento. Si leggono la realizzazione del progetto di Casablanca e le reazioni d‟uso come una collezione di indizi che porteranno all‟esperienza di Berlino.

Il progetto per le Carrières centrales resterà per quasi un decennio al centro del dibattito disciplinare e in particolare il Nid d’Abeilles comparirà

40 Alfred Wells, Low-cost Housing in Casablanca, in “aaq”, vol. 1, n. 4, oct. 1969.pagg. 45-53. 41 Il tema della flessibilità è presente nel dibattito dei CIAM [mat. 1.01.01b] certamente a partire dal 1951, e nell‟attività di Candilis e Woods ben prima del progetto di Berlino. Candilis interviene anni dopo descrivendo le trasformazioni alle Carriere Centrales come l‟esito di una variazione guidata; probabilmente in quel momento non erano ancora giunti al livello attuale di modificazione. 42 Resta da determinare se tali alterazioni fossero avvenute prima del 1963, quando è stato messo a punto il sistema della BFU, in cui le possibilità di modificazione delle singole componenti edilizie consente di attuare una completa flessibilità e reversibilità dell‟organismo edilizio 43 Bodiansky Candilis Woods (a cura di Alison e Peter Smithson), Collective housing in Marocco, in “Architectural Design”, gennaio, 1955, pag. 2

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come riferimento continuo relativamente al tema dell‟aggregazione delle unità abitative. Il carattere seminale di questo edificio lo porterà a divenire il simbolo di un impegno ad affrontare le problematiche dell‟Habitat, non in termini di soluzioni architettoniche ripetibili, a tutto-tondo, ma come affermerà Candilis nella presentazione su Architectural Design44, alla ricerca di leggi e di una disciplina che permetta di affrontare il tema del Grande Numero. Probabilmente il commento più utile e anche assai entusiastico arriva nel 1960, quando l‟attenzione era scivolata dalle questioni organizzative a quelle linguistiche. L‟immagine dell‟edificio, sospesa tra le esigenze di identità in un contesto compromesso, il trattenere lo spirito eroico dell‟architettura moderna e l‟autonomia figurativa di un‟immagine costruita per il presente portano Alison e Peter Smithson a usare l‟edificio Nid d’abeilles per attribuire all‟architetto il ruolo di image-making del presente.

L’immaginazione come nesso tra vita e arte

1.01.03

La preparazione del X CIAM sarà il banco di prova degli atteggiamenti progettuali per una nuova sensibilità sulle potenzialità di aggregazione sociale nelle comunità emersa ad Aix en Provence. Ora lo scarto di due generazioni che ci separa da quei momenti offre agli storici un materiale disponibile e sedimentato. Da un altro punto di vista, quello progettuale, alcune questioni rimaste aperte trovano allora un‟impostazione valida ancora oggi. Il rapporto tra l‟architettura e altre discipline come la sociologia e l‟antropologia aveva già trovato un limite definito dal ruolo dell‟architetto nell‟accettare “the responsability for the creation of order through form”45. Aspetti extra-disciplinari costituiscono un momento di

44 Ibidem pag. 2-9, Questo articolo riveste notevole importanza oltre che per la esemplare esposizione dei tipi edilizi anche per contenere la presentazione dello Statement of Principle che esprime le aspettative e la tensione etica delle ricerche sull‟Habitat per il grande numero. L‟articolo è introdotto da una proposizione di Bodiansky che rende conto di tali condizionamenti etici nell‟operare dell‟architetto: “The „habitat‟ has been the fundamental factor of well-being and of spiritual evolution of the human race, its constant amelioration constitues the satisfaction of the mission of builders”. 45 Proposizione che ricorre nei documenti elaborati successivamente all‟incontro di Doorn nel gennaio 1954 in preparazione del successivo congresso. In parte pubblicati in Alison Smithson (a cura di), The emergence of team 10 out of C.I.A.M., Architectural Association, London, s.d., pag. 37. In questo caso il testo è tratto dal Draft Framework 4, anche nel documento precedente Draft Framework 3, in modo ancor più esplicito, si affrontava la

apertura dell‟orizzonte conoscitivo, ma la specificità del fare architettonico, come disciplina autonoma, viene riaffermata con intensità nel corso dei lavori preparatori del Congresso di Algeri (poi Dubrovnic).

Un versante significativo di discussione è la relazione

dell‟architettura con le arti figurative, che non può essere considerata alla stregua di altre discipline specialistiche, ma comporta un ulteriore ambito di riflessione dai bordi frastagliati, che poggia su un terreno incerto, in particolare dopo l‟esaurimento di impulsi e sinergie irripetibili che avevano alimentato il periodo „eroico‟ del Movimento Moderno. Le posizioni nel dibattito tra arti e architettura attorno agli anni cinquanta mutano in tempi rapidi, lo scambio tra avanguardia e retroguardia avviene repentinamente, in quanto le posizioni culturali dei movimenti artistici modificano le loro strategie d‟intervento. L‟indirizzo prevalente nel CIAM dell‟integrazione delle arti, sostenuto coralmente da Giedion e Le Corbusier, non fornirà aree d‟azione o anche solo appigli alle tendenze di gruppi emergenti quali Cobra e l‟Internazionale Situazionista. L‟evoluzione delle ultime avanguardie artistiche del dopoguerra non interseca il tema dell‟integrazione tra le arti, quindi quest‟ambizione rimane prevalentemente un desiderio degli architetti, in quanto non si verificheranno le condizioni di incidere sulla città; piuttosto i nuovi movimenti artistici opereranno sulla città con mezzi propri come nel caso dell‟opera di Guy Debord e di Constant. Tuttavia se il progetto globale presentato sul „Cuore della città‟ vacilla, episodi isolati, di proficua collaborazione, delineano nelle attività di allestimento, per quella che era la produzione artistica d‟avanguardia fertili combinazioni nelle formazioni artistiche attive in particolare a Londra e Amsterdam46.

Lo stato di crisi della relazione tra architetti e pittori o scultori trova

comunque i propri soccorritori, al di là delle posizioni nell‟intersezione fra le

questione dei rapporti extra-disciplinari. “In the preparation of their projects, Groups should use whatever methods they consider necessary to arrive at a solution, for example: collaboration with engineers, anthropologists and specialists of all kinds. But it must be emphasized that we are only intereste in the outcome of this collaboration-architecture, not in diagrams of relationship or analytical studies. We are working as Architects and at this Congress of Architects.” Nai Rotterdam, Bakema Archive. 46 Ci si riferisce alle installazioni degli Smithson con Nigel Henderson e Paolozzi come anche alla collaborazione di van Eyck con Constant per l‟installazione tenuta allo Stedelijk Museum ad Amsterdam nel periodo novembre 1952-gennaio 1953 dal titolo Mens en Huis.

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discipline e nella capacità di intercettare le nuove potenzialità creative; fin dall‟immediato dopoguerra, Giedion conduce una „crociata‟ per la sensibilizzazione degli architetti sull‟espressione architettonica che coinvolge altre sensibilità. Le considerazioni di Giedion sono rivolte a chi vede la relazione tra artista e società “afflitta dalla frattura fra gli avanzati metodi di pensiero e uno sfondo emotivo che con questi metodi non ha saputo tenere il passo”47. Un appello anticipato nel 1944 da Giedion48 in “Arte significa realtà” evolve questi interessi in termini legati a “emotional expression” e la sua strategia non può perciò prevedere altro se non la proposta di un problema aperto. Al questionario predisposto per il VI CIAM a Bridgewater nel 194749 una risposta dai toni severi di Barbara Hepworth50 sulla distanza d‟intenti con gli architetti funge da monito per il rilievo che viene a occupare nella pubblicazione degli atti del convegno. Una sensibilità, afferma la Hepworth, che si esprime nella ricerca di un link tra la

scala umana e lo spazio architettonico: “We are working for a spontaneous sense of life, a unity of purpose wich will give hearth to the nature of our own living”51.

L‟attitudine degli architetti verso i problemi dell‟estetica viene quindi

risvegliata da Giedion a Bridgewater nel 1947 dove pone il tema della riconciliazione tra le arti (di cui si occuperà la commissione III B a cui partecipa van Eyck), anche in termini strumentali per i suoi riflessi all‟interno della disciplina, come superamento della frattura cartesiana tra

47 Introduzione di Siegfried Giedion al celebre trattato di arte moderna di Gyorgy Kepes, Il linguaggio della visione , Edizioni Dedalo, Bari 1971 (prima edizione Chicago 1944). La citazione prosegue: “La richiesta di una continuità sarà sempre più la parola chiave di questo periodo”. 48 Anche se prevalentemente dedicato a un pubblico americano (USA), e da leggere come introduzione al lavoro divulgativo di Kepes. 49 Siegfrid Giedion (a cura di), A Decade of New Architecture, Editions Girsberger, Zurich 1951, pagg. 35-37, intervento della Hepworth su sollecitazione di Giedion. 50 “Sculture should act not only as a foil to architectural properties, but the sculpture itself should provide a link between human scale and sensibility and the greater volumes of space and mass in architecture” Barbara Epworth, Carvings and Drawings, 1954. Il brano è tratto dal libro di Carola Giedion-Welcker, Contemporary Sculpture – an Evolution in Volume and Space, Faber and Faber, London 1956. Riguardo al ruolo di Carola Giedion-Welcker nella formazione artistica di Aldo van Eyck si veda Aldo van Eyck, A tribute to Carola Giedion-Welcker, in “Forum”, n.9, 1959. 51 A Decade of New Architecture, op. cit. pag. 35.

pensiero e materia52. Le Corbusier nel suo intervento a Bridgewater risponde all‟intervento di Giedion e avverte il pericolo di demolire la sponda razionale cartesiana e “poiché la ruina delle fondamenta trascina necessariamente con sé il resto dell‟edificio”53 fa volgere il suo discorso sul fronte dell‟armonia, ritenuta la grande assente nei processi di sviluppo della prima era della meccanizzazione. L‟interpretazione di Le Corbusier del moto cartesiano “Je pense, donc je suis”54 avviene tramite la coscienza individuale, la responsabilità di ciascun individuo per la costruzione dell‟insieme in armonia, è la chiave che porta verso la poesia. Poi la lirica lecorbusiana diviene via via nel testo sempre più intraducibile. Ciò che è evidente è la distanza tra il relativismo di Giedion e il credo di Le Corbusier “Le MIRACLE des rapports précis…par l‟effet de la plus mathematique précision”55.

Avanziamo l‟ipotesi di leggere al rallentatore l‟intervento di Le

Corbusier, che in un vortice di poche righe ci conduce dall‟armonia al miracolo, per poi distribuire emozioni e arte a un pubblico che le reclama “come pane e acqua”56. È in questa dimensione etica che la commissione III B interviene sull‟attitudine verso i problemi di estetica. Da questo punto di vista ritornare su Cartesio contrastando le attese relativistiche espresse da Giedion, legate a un progresso scientifico oramai sedimentato, non rappresenta un contrasto insolubile ma, semplicemente, lo sdoppiamento del punto di vista tra il critico e l‟artista. Come vedere lo stesso soggetto con due ottiche diverse, il teleobiettivo di Le Corbusier sembra seguire

52 La fisica moderna, nell‟analisi di Giedion, riconosce l‟interdipendenza tra gli esperimenti e lo sperimentatore; le motivazioni sulla ricerca di un‟integrazione tra pittura, scultura e architettura viene riconosciuta nell‟obiettivo di eliminare un divario non più sopportabile tra la mente cogitante e la sfera delle espressioni emotive 53 Cartesio, Meditazioni metafisiche, vol. II, Laterza, Bari 1986, pag. 17-28. La citazione non è di Le Corbusier; si è riportata questa affermazione di Cartesio poiché sembra rispecchiare le preoccupazioni di Le Corbusier. 54 A Decade of New Architecture, op. cit. pag. 36. 55 Ibidem. Qui si mettono in evidenza gli argomenti riportati negli interventi del convegno; la posizione di Le Corbusier è intesa come „una casella vuota‟ (Deleuze) che consente per ciascun argomento di ricalibrare i punti di riferimento. Nel corso del testo si metterà in evidenza l‟efficacia con cui Le Corbusier si riferirà al valore della propria sensibilità abbandonando gli strumenti della ragione. 56 Ibidem

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parola dopo parola tratti delle meditazioni di Cartesio57, mentre il

grandangolo di Giedion trova in Cartesio, nell‟arco dell‟epistemologia degli ultimi quattro secoli, l‟ostacolo da superare. Riflettendo sul dialogo tra Giedion e Le Corbusier a Bridgewater, al di là di qualsiasi tentativo di ridurlo a disputa filosofica, si presume che Giedion volesse istigare nel dialogo una sorta di rovesciamento di un‟analogia58, come se parlare della scienza rinviasse alla città descritta in apertura del Discorso sul Metodo. Tanto quanto la costruzione della città serviva nel Discorso a dimostrare la

necessità di partire da un terreno vergine, così il rapporto inattuale della scienza contemporanea con le posizioni cartesiane diviene di riflesso un modo per argomentare il rapporto dell‟urbanistica con la città esistente. L‟affinità degli atteggiamenti di Le Corbusier nell‟evidenza della sua posizione rispetto alle preesistenze, sin dalla pubblicazione di Urbanisme nel 1925 e le prime proposte di chirurgia urbana59 quali il Plan Voisin, si ritrovano nell‟apertura della seconda parte del Discorso: “Così vediamo

che le grandi costruzioni, iniziate e compiute da un solo architetto, sono, di solito, più belle e armoniose di quelle che parecchi hanno cercato di ristrutturare valendosi di vecchi muri costruiti con altre finalità. Perciò le città antiche che, nate da semplici borgate, sono divenute un po‟ alla volta grandi città, per lo più sono così disarmoniche in confronto a quelle, rispondenti a criteri di regolarità, che un ingegnere [sic], seguendo la sua

57 Se si accetta il rischio di una ricostruzione „immaginata‟ dei suoi percorsi di lettura, si potrebbe rinvenire nella seconda meditazione uno dei passaggi più importanti per Le Corbusier nel conciliare ragioni ed emozioni del suo credo artistico. “E con eguale certezza io ho la facoltà di immaginare; poiché sebbene possa accadere (…) che le cose che immagino non siano vere, tuttavia questa facoltà d‟immaginare non cessa d‟essere realmente in me, e fa parte del mio pensiero”. Cartesio (trad. A. Tilgher), Meditazioni metafisiche, vol. II, Laterza, Bari 1986, pagg. 27-28 58 Una condizione simile di rovesciamento è ravvisabile rispetto all‟analogia tra città e corpo che negli anni cinquanta costituisce un vero e proprio linguaggio parallelo con la descrizione di Ippocrate del corpo umano come una città. In questo lavoro si è tralasciato di mettere in rilievo una lettura sui termini delle analogie poiché avrebbe richiesto una sorta di distacco critico che non è emerso nel corso della ricerca. Certamente l‟analogia organica così come viene adottata nel secondo dopoguerra può offrire una rilevante chiave di lettura critica. 59 Il funzionamento della macchina del corpo in comparazione con il corpo-città potrebbe sempre avere una radice cartesiana nei convincimenti di Le Corbusier partendo dalla descrizione del funzionamento del cuore nel Discorso fino alla estesa trattazione in l‟ Uomo.

ispirazione, traccia in una pianura”60. Arrivando verso la conclusione del Discorso di Cartesio viene offerta nel testo l‟occasione per delimitare lo spazio di questa analogia, attivata non per suggerire una dipendenza tra il testo filosofico che comprometta l‟autonomia del pensiero di Le Corbusier, ma per come Cartesio spinge a rigenerare il proprio pensiero dalla radice, e questo è l‟elemento di continuità con la poetica di Le Corbusier.

Assistiamo così a un significativo episodio di due visioni del mondo,

anticipate nel preambolo di questo testo, riferendosi all‟analogia con la strada. Se l‟argomento di partenza condiviso da Giedion e Le Corbusier era costituito dall‟integrazione delle arti, la vertenza sull‟indipendenza del pensiero estetico dal sapere scientifico separa ancora una volta i due testimoni. Tale terreno di confronto è rilevante in questa ricerca perché resterà aperto nei suoi principali lineamenti nelle posizioni di Woods e van Eyck e si esprimerà nell‟interpretazione diametrale del rapporto spazio-tempo leggibile nell‟Orphanage e nella BFU. Non si riconosce questa dicotomia in Le Corbusier, poiché la forza con cui sostiene le ragioni dell‟esattezza e dell‟armonia combinate con l‟attenzione minuta all‟individuo è dominata dalla sua poetica, secondo la quale, quasi suo malgrado61, l‟Arte prende l‟avvento sulla Ragione62.

La distanza tra le due posizioni quindi non è colmabile, il difficile

intervento di van Eyck, precedente63 a quello di Le Corbusier, anticipa questa condizione di separatezza tra la riflessione critica e l‟intuizione

60 Cartesio (trad. A. Tilgher), op. cit., pag 298 61 Ricondurre la figura di Le Corbusier alla sola componente artistica sarebbe una scelta miope,;qualche pensiero ora imprevedibile potrebbe arrivare da un confronto a tutto campo con l‟emblema “Picasso” nella cultura contemporanea, soprattutto se spinti dalle riflessioni di Lévi-Strauss (vedi A proposito di una retrospettiva, in “Arts”, novembre, 1966; in Antropologia strutturale due, Il Saggiatore, Milano 1978, pagg. 317-321); un altro pensiero sull‟ineluttabilità dell‟agire da artista può venire stimolato da Luigi Pirandello, Trovare senza cercare, Quadrante n. 10, febbraio, XII (1935), pagg. 15-19. 62 Si tornerà in conclusione del lavoro a riflettere su rapporto tra ragione e sensazione in Le Corbusier. 63; Francis Strauven riporta la successione temporale degli interventi che vede quello di Le Corbusier successivo a quello di van Eyck, la lettura che si ricava dal report; con il testo di van Eyck inteso in guisa di risposta a Le Corbusier può facilmente indurre, ed è accaduto, in una lettura alterata e tendenziosa, modificando di fatto i contenuti. Francis Strauven, Aldo van Eyck - the Shape of Relativity, Architectura & Natura, Amsterdam 1998

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artistica. La definizione dell‟ambito d‟influenza di ciascuna posizione parte da una nuova consapevolezza che isola, a un ruolo sussidiario, le istanze funzionaliste e si apre alla conquista di una nuova era splendente con i contributi di Le Corbusier, Mondrian e Brancusi, i campioni a cui van Eyck rivolge il riconoscimento e le aspettative di sintonizzare i nostri sensi su una nuova dimensione, in cui la grazia viene espressa assieme nella vita e nell‟arte. “A plea was made for imaginative thinking” in questo modo alcuni anni dopo, nel 1954, van Eyck riassume il discorso; infatti, oltre a contenere un punto di contatto tra due mondi in direzione d‟urto, il suo contributo consiste nel sostenere le ragioni dell‟immaginazione come unico possibile intermediario tra l‟uomo e la natura. L‟entusiasmo di Le Corbusier, riferito all‟intervento di van Eyck, che vede finalmente l‟immaginazione entrare nel CIAM64 e l‟apertura di un tema, la sintesi delle Arti, devia dai contenuti di ordine sociale (e organizzativo), che venivano trattati nelle altre commissioni. La lotta tra senso comune e immaginazione costituiva nell‟intervento di van Eyck non tanto una discussione filosofica, ma ricercava alla radice il problema della rappresentatività del linguaggio architettonico e costituiva un fulcro della discussione per l‟avvicendamento generazionale del CIAM65.

Fino a questo punto van Eyck ricerca nel suo intervento le possibili

combinazioni equilibranti, ma non vi sono compromessi: tali convinzioni saranno ribadite fino al 1959, anno di conclusione dell‟esperienza dei CIAM. L‟attesa per una nuova dimensione, l‟affermazione di una nuova consapevolezza viene espressa da van Eyck a Bridgewater da due domande incrociate tra loro che preludono all‟inevitabile biforcazione negli indirizzi a venire: “Does CIAM intend to „guide‟ a rational and mechanistic conception of progress toward an improvement of human environment? Or does it intend to change this conception? … A new civilization is being born. Its rhythm has already been detected, its outline partly traced. It is up to us to continue”.66 Quindi una posizione chiara di discontinuità fa

irruzione nel VI CIAM arrivando nel cuore dell‟ortodossia funzionalista; per

64 Affermazione di Le Corbusier riportata in Eric Mumford, The CIAM discorse on Urbanism, 1928-1960, MIT Press, Cambridge Mass. 2002, pag. 179. 65 Per un quadro delle relazioni tra la delegazione americana e la successione di van Esteeren può essere utile consultare il catalogo della mostra CIAM Housing Town Planning, svoltasi nella primavera del 1983 al Rijksmuseum Kroeller- Mueller a otterlo, catalogo edito da Delft University Press, Delft 1983. 66 A Decade of New Architecture, op.cit. pag. 37

scardinare questo sistema viene utilizzata la contrapposizione dell‟immaginazione al senso comune, come una leva in grado di eliminare una „gerarchia artificiale di valori‟. Resta il dubbio se indirettamente senso comune e immaginazione, riferiti a un‟antica disputa, più che per negativo esplicitamente a Cartesio, non fossero piuttosto ancorati a una tradizione di pensiero kantiana67.

Qualsiasi sia l‟esito di tale congettura non sposterebbe la sostanza

dell‟impegno su problemi contemporanei, come unico e vero terreno di confronto di quegli anni. Prendiamo come esempio la situazione londinese del dopoguerra: l‟attenzione per le dinamiche sociali dell‟East London

vengono documentate da Nigel Henderson, e diventano le immagini che sostanziano le proposte progettuali degli architetti membri dell‟Indipendent Group, che con la celebre griglia Urban Re-Identification, presentata ad Aix

en Provence nel 1953, trovano nel gioco di strada dei bambini il modo di esprimere la necessità di recuperare i valori di relazione tra casa, strada e vicinato. È l‟immediatezza del valore artistico del contributo di Nigel Henderson che sostiene una proposta distante dalle indicazioni, fornite dal suo stesso gruppo di provenienza, il Mars Group, e che ancora oggi riesce a emanare il valore di un recupero necessario dei luoghi di relazione. Alcuni appunti biografici di Henderson possono avvicinarci al suo lavoro e a quello della moglie, ricercatrice all‟interno del programma Discover your neighbour, i quali, nel 1945, si trasferiscono a vivere sul luogo di ricerca a

Bethnal Green, in una parte di Londra che aveva subito notevoli distruzioni belliche. Le immagini di Henderson inserite nella griglia di Aix fanno parte della serie Chisenhale road 1951, ritraggono dei bambini che giocano attorno alla porta di una casa, ed è significativo notare che si tratta della porta di casa dell‟artista68. Una successione di scatti, ravvicinati tra loro, consente di ricostruire la sequenza delle azioni dei bambini. Così Henderson ritrae i suoi soggetti arrampicandosi sui parapetti delle scale d‟ingresso, occupando liberamente la strada tra capriole e salti, nelle

67Una congettura messa a punto a partire dalla trattazione kantiana nella Critica del Giudizio in particolare nel trattare del genio come combinazione di talento e immaginazione (§ 49 Delle facoltà dell‟animo, che costituiscono il genio,>317) rivolto a una riconciliazione tra uomo e natura (§ 46 L‟arte bella è arte del genio). 68 I coniugi Henderson risiedevano a 46, Chisenhale road. Da un sopralluogo si riconosce che le inquadrature delle fotografie di Henderson che vengono utilizzate nella griglia Urban Re-Identication degli Smithson sono state scattate dalla porta di casa e dalla finestra del piano superiore.

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immagini più intense, con lo sguardo diretto all‟obiettivo. La forza di questa serie di fotografie sta nel fatto che l‟azione non è cercata dal fotografo, è essa stessa che irrompe nel quadro; si avverte rispetto agli altri soggetti che Henderson documenta dell‟East London un grado di spontaneità e di

libertà d‟azione dei giovani protagonisti, che suggeriscono la vitalità e la speranza della rinascita dopo la guerra. Il valore artistico viene dall‟estemporaneità, dalla condizione inattesa di scoprire qualcosa di nuovo e sempre uguale. Proprio il semplice gioco dinnanzi la porta di casa, doorstep, che Henderson trova in fronte a sé, inaugura la riflessione sulla Philosophy of doorstep69. Nella ricerca dei valori contenuti tra casa e strada si rivela così un punctum70 che diventerà il legante emotivo più solido della

generazione di architetti che si stava formando e trae spunto e si coagula sull‟intensità di queste immagini.

È interessante notare come due anni prima la presentazione di

Urban Re-Identification, durante il CIAM di Hoddesdon, la descrizione di Giedion71 dei campi gioco di van Eyck ad Amsterdam, puntava sempre a osservare la sintonia tra la città e i bambini, nel modo in cui lo sguardo attento sull‟atteggiamento dei bambini nella città contenesse la chiave per riscoprire i valori dello spazio urbano. Un‟interpretazione dell‟attenzione sullo sguardo infantile potrebbe essere legata al fatto che erano rimasti estranei alla guerra, in generale l‟attenzione a „la misura umana‟ diviene, repentinamente, il core (il nocciolo) su cui convergono le figure più

69 “There is one more thing that has been growing in my mind since the Smithsons uttered the word „doorstep‟ at Aix. It has‟not left me ever since. I have been mulling over it, expanding the meaning as far as I could stretch it. I have even gone so far as to identify as a symbol with what architecture means as such and should accomplish”. (Presentazione Orphanage) Aldo van Eyck, Is architecture going to reconcile basic values? in Juergen Joedicke (a cura di), CIAM 59 in Otterlo, Karl Kramer Verlag (e altri editori), Stuttgart 1961. pag 27. 70 Per l‟accezione del termine punctum in particolare legato alla fotografia si rinvia alla celeberrima trattazione di Roland Barthes, La camera chiara, Einaudi, Torino 2003 71 Siegfrid Giedion, I precedenti storici, in: Jacqueline Tyrwhitt, J. L. Sert, Ernesto N. Rogers, (a cura di) CIAM 8 the Heart of the City, Pellegrini and Cudahy, New York 1952 (trad. it. Il cuore della città – per una vita più umana delle comunità, Hoepli Editore, Milano 1954 pagg. 18, 19. “Ad Amsterdam terreni precedentemente inutilizzati sono stati trasformati in vivi elementi urbani componendo con gusto sottile forme e oggetti semplicissimi. Non soltanto essi servono per i giuochi dei bambini ma ravvivano anche, con il loro vario aspetto, la monotonia dell‟ambiente che li circonda”. (nota a fig. 18).

rappresentative del dibattito disciplinare. Posizioni già distanti dagli studi dell‟Ascoral, dedicati alla pedagogia, dove il “saper abitare” diviene materia di studio per gli allievi mentre vedremo che dal rapporto tra i bambini e la città van Eyck costruirà il suo pensiero e vi dedicherà le sue pagine più belle72.

Un confronto tra le espressioni dei bambini di Chisenhale road con le immagini che alcune settimane dopo l‟incontro del IX CIAM verranno presentate all‟I.C.A. di Londra dall‟Independent Group nell‟esposizione „Parallel of Life and Art‟ fa intendere i risultati di ampie interazioni. I confini tra arte e scienza andavano perdendo il loro ruolo e i parametri vengono spostati dall‟intelletto alle sensazioni, lasciando libero, o forse costringendo, lo spettatore a costruire il proprio significato73. Questa mostra ci offre l‟opportunità di cogliere il delinearsi di alcune nuove tendenze espressive, non solo relative agli oggetti artistici in sé, ma alla relazione tra le cose. „Parallel of Life and Art‟ agisce sull‟associazioni di immagini, di riproduzioni, filtrate dall‟occhio meccanico, che riportano alla medesima dimensione oggetti che appartengono ad antichi e nuovi domini delle immagini. Gli interessi scientifici ed etnografici mescolati a geroglifici contemporanei e analisi del movimento umano e/o meccanico non offrono la possibilità di riconoscere un percorso di lettura, né attraverso il senso, né tramite la forma. Ciò su cui agisce il dispositivo espositivo è la reazione emotiva immediata della diversità, che la nuova condizione contemporanea

72 Il paradosso nelle relazioni tra città e bambini (Lost Identity) in van Eyck presenta un punto di contatto da investigare con l‟analisi condotta da Gilles Deleuze sugli scritti di Lewis Carroll e il tema del ruolo del paradosso nella „generazione del senso‟. Deleuze offre una lettura del ruolo del „buon senso‟ e del „senso comune‟ in contrapposizione al rapporto tra senso e non senso che si riconosce nel paradosso con punti di contatto che trovano una sintonia, e un‟apertura, nel considerare il ruolo dell‟immaginazione. (Nota: i riferimenti bibliografici su Deleuze verranno introdotti successivamente). 73 Tale dispositivo era stato inaugurato da E.N. Rogers nella Triennale del 1951 (E.N. Rogers, Vittorio Gregotti, Giotto Stoppino, Architettura, misura dell‟uomo, IX Triennale, Milano 1951), come specificato nel saggio di Victoria Walsh, una recensione del progetto di Rogers compariva negli appunti sulla mostra all‟I.C.A. Victoria Walsh, Nigel Henderson – Parallel of life and art, Thames and Hudson, London 2001, pag. 99. A prescindere dal riscontro documentale la somiglianza nelle modalità di assemblaggio dei materiali risulta evidente. La differenza consiste nella scelta dei materiali che nel caso della mostra di Londra si apre a un confronto con la diversità tra molte scale, abbandonando così la misura dell‟uomo e anzi cercando verso le estremità dello spazio conosciuto.

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deve affrontare. L‟Habitat che questa tempesta di immagini fa presagire sta nella capacità del soggetto di controllarlo con le sue emozioni. La posizione degli Smithson riguardo al rapporto tra architettura e arte è senza dubbio su una posizione di frontiera verso un fertile territorio da esplorare. In un saggio del 195474 con questo atteggiamento gli Smithson rifiutavano il dogma della sintesi delle arti e sostenevano l‟autonomia relativa di ciascuna figura attiva nel campo dell‟arte, da cui la necessità di comprendere relazioni tra le arti, ma dalle posizioni di ciascuna attività creativa. In particolare l‟opera di Le Corbusier diviene il parametro per eccellenza e la decorazione dell‟Unitè di Marsiglia sintetizza nei commenti

degli Smithson la rappresentazione di un sogno del passato. Nella postfazione di Peter Smithson in un libro dedicato a

Henderson75, in poche righe, si riassumono i vertici delle questioni che

hanno sollecitato la loro attività progettuale. Due immagini documentano questo breve testo, che descrive lo shock culturale del resoconto dell‟esperienza di GAMMA a Casablanca, appreso ad Aix en Provence nel 1953. Il riquadro della sesta colonna della griglia intitolata Street riporta

una fotografia sempre relativa all‟indagine su Bethnal Green di una strada addobbata per festeggiare l‟incoronazione della regina Elisabetta. Una colonna di testo richiama l‟attenzione sulla permanenza nella strada dell‟identità e del carattere di riconoscibilità del proprio ambiente, che quei quartieri conservavano, inviando indirettamente una critica alle pratiche insediative di matrice funzionalista che stavano operando per la ricostruzione postbellica. Nella pagina accanto, nello stesso formato, un riquadro della griglia GAMMA del 1953, illustrato da due fotografie prese con il medesimo punto di vista, propone la giustapposizione di due tessuti edilizi, uno storico, forse la stessa Medina di Casablanca; l‟altro, appena costruito, documenta invece una parte dell‟intervento con case a patio realizzato da Ecochard al Carrières centrales. La combinazione di queste due celebrazioni della città riguardano il medesimo atteggiamento, in contesti assai diversi, quello che avvertiamo, Smithson suggerisce come comune denominatore, deriva dalla ripresa di una parte del testo che accompagna il collage, “things are changing but slowly” 76; la dimensione temporale della trasformazione della città, la permanenza dei

74 Pubblicato (rivisitato) in “Le carré bleu”, n.1, 1960. 75 Nigel Henderson – Parallel of life and art, op. cit., pag. 151. Peter Smithson fa una rilettura del testo presente nella griglia di GAMMA del 1953. 76 Ibidem pag. 151.

comportamenti e il grado di trasformabilità nel tempo stavano acquisendo rilevanza nella definizione delle proposte. La combinazione che Smithson ci ripropone nel 1991, tra due punti di vista opposti, è quello soggettivo di Henderson, che dalla finestra ritrae ciò che accade in un giorno speciale, è il senso di appropriazione dello spazio, “you are outside your house in your

street”77 come sottolinea il testo di accompagnamento. Il secondo punto di vista, dall‟alto, è quello del pianificatore che giustappone due pezzi di città appartenenti a periodi diversi, ma con una morfologia analoga; pone al centro il dialogo tra l‟antico e il moderno e rappresenta la responsabilità sociale dell‟architetto di intervenire dall‟esterno sui modi di vita che si trova a interpretare. La visione personale, intimistica, del soggetto posto in primo piano e la responsabilità sociale del pianificatore, che interviene su processi di trasformazione urbana per interpretarne la cultura, diventano le due facce della stessa moneta, il cui il valore è rappresentato dalla (ri-) scoperta del senso di permanenza della città. “Behind all this, in Ecochard and ourselves, an echo of Patrick Geddes?”78 Peter Smithson in conclusione alla postfazione sintetizza così una vicenda dell‟evoluzione nel dibattito sull‟urbanistica che avrà un incisivo rilievo nell‟attività dei mesi successivi al congresso di Aix en Provence. L’approccio ecologico

1.01.04 La domanda di Peter Smithson pone l‟opera di Patrick Geddes

come base comune di riflessione e ispirazione e ci conduce ai temi che resteranno sul tavolo all‟indomani del congresso di Aix en Provence e verranno sviluppati nei mesi successivi per l‟organizzazione dei lavori del X CIAM. Era evidentemente certa un‟influenza diretta, e anche mediata da Jacqueline Tyrwhitt, di Geddes sui componenti del Mars Group mentre per Ecochard non sono stati riscontrati precisi punti di tangenza79. Rispetto alle fonti che toccano direttamente gli argomenti di questa ricerca si potrebbe costruire un ipotetico dialogo tra Geddes ed Ecochard rivelatore

77 Ibidem pag. 150 vedi Alison e Peter Smithson, Urban Re-Identification Grid, op.cit. 78 Ibidem pag. 151. 79 Ossia non è stata avviata una ricerca specifica su riferimenti diretti di Ecochard alle opere di Geddes; se in ambito anglosassone vi sono studi specifici, non tanto si è riscontrato sull‟influenza di Geddes in ambito francofono, per quanto abbia trascorso in Francia l‟ultima parte della sua vita. Dal punto di vista della definizione di un comune campo d‟indagine Casablanca è il riferimento per comprendere lo sviluppo del tema dell‟Habitat per il grande numero.

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dell‟attenzione alle vicende dell‟uomo. L‟argomento del confronto è il tempo, Geddes nel secondo dei “Talks from the Outlook Tower”80 affronta le relazioni tra la guerra, le carestie e il depauperamento dei suoli per l‟abbattimento degli alberi e le opportunità concesse dall‟ambiente all‟esistenza dell‟uomo. Nell‟età d‟oro descritta nel terzo “Talks from the Outlook Tower” Geddes descrive il ruolo della vegetazione e della fauna nella vita delle comunità, della malaria nella definitiva decadenza delle città dell‟impero romano sino ai valori simbolici come l‟ulivo. [mat. 1.01.04] Le ricerche di Geddes offrono argomenti suggestivi, ma soprattutto rendono evidente le interrelazioni (interrelationship) tra uomo e ambiente,

argomento che può essere considerato il suo più evidente contributo alle nuove generazioni di architetti dell‟inizio degli anni cinquanta. La globalità delle sue „storie‟ a sfondo morale sospende il lettore in un clima senza Storia, dove il tempo perde la dimensione di sviluppo lineare del progresso, e torna a misurare attraverso la vita dell‟uomo. Da questo punto di vista, nel misurare le trasformazioni secondo la vita dell‟individuo, vi è un punto di convergenza di Ecochard verso Geddes, che diviene sintonia se paragonata alle istanze „funzionaliste‟ che definivano il clima culturale postbellico.

Se ora paragoniamo questo pensiero di Geddes: “In short then,

nothing can more clearly protest against war, and plead for peace, than an olive region; since its destruction, of all cultures, is the most lamentably hard and long to repair”81 con le conclusioni di Ecochard al suo romanzo su Casablanca ritroviamo la reciproca comprensione dell‟evoluzione dei fatti insediativi in relazione alla misura della vita di un uomo. La sintesi di Ecochard, della sua esperienza in Marocco, è rivolta alla comprensione della dimensione temporale nella definizione delle scelte nella tecnica pianificatoria. La frattura che Ecochard riscontra tra l‟attitudine a regolare i fenomeni con norme statiche e definite dell‟urbanistica tradizionale e la sua esperienza sul campo, nell‟analisi dello sviluppo di una comunità complessa e in crescita continua, conduce l‟urbanista a una „marcia del tempo per misurare la distanza‟ tra intenti ed esiti.

80 Patrick Geddes, Talks from the Outlook Tower, Cities, and the Soil They Grow From, The Survey Graphic, 1925, pagg. 40-44, 288-290, 322-325 (il volume consultato presso la British Library è rilegato per annate; la numerazione delle pagine consente di individuare ogni singolo contributo). 81 Ibidem, pag. 43.

Qualche mese dopo il IX CIAM si tiene a Doorn in Olanda un incontro tra i delegati del CIAM impegnati a porre le basi del successivo congresso. L‟incontro è di carattere operativo, per definire le modalità di organizzazione dei materiali da presentare al congresso, l‟atteggiamento dominante è dialettico, rivolto a recuperare i toni di grigio nel visualizzare i problemi insediativi descritti in bianco e nero nella Carta d‟Atene. Le questioni riportate negli interventi sono di carattere prevalentemente organizzativo volte a ottimizzare i lavori del congresso sulla base delle precedenti esperienze, ma determinanti per intendere il nascere di una nuova direzione. L‟auspicata nuova direzione viene rappresentata dalla sostituzione delle categorie funzionali, con uno schema, che indica una modalità di organizzazione degli argomenti in rapporto alla scala in cui si inseriscono gli interventi. Il disegno, che rappresenta queste intenzioni, denominato Section Valley, offre un‟utile chiave di lettura

dell‟atteggiamento, appunto, dialettico82, sulla necessità di limitare il campo d‟indagine per consentire un ampio confronto e al tempo stesso tenere assieme la totalità dei problemi83. Ad anticipare gli argomenti alla base dell‟approccio ecologico vi è, sempre originato in ambito culturale anglosassone, il saggio introduttivo alla presentazione delle proposte

82 L‟insistenza nel considerare „dialettico‟ lo schema della valle raccolta in unico ambiente ma composta da un‟unità d‟intervento riconoscibili si ritiene analogo alla descrizione socratica dei dialettici: “sezionare l‟oggetto in specie e ricondurre a un‟unica forma” (Fedro 265d-266a). 83 The emergence of team 10 out of C.I.A.M., op. cit. Registriamo nella conclusione dei lavori della mattina del 29 una delle ultime battute di van Eyck in quanto potrà tornare utile per cogliere le sue intenzioni sull‟entità delle relazioni con l‟intorno dell‟Orphanage a dimostrare che stava maturando una nuova consapevolezza nel sistema di relazioni da ricercare tra edificio e contesto. “Van Eyck: I can‟t design a building of 5 stories without knowing about the environment. Essential is the correllation and conditioning. V. d. Vlugt do it! Build a flat-building isolated, we can not by now”. (pag. 21). Il dibattito di Doorn ripropone temi che da Bridgewater si venivano a definire in termini sempre più evidenti. La reazione di van Eyck alle considerazioni di Bakema sul ruolo delle analisi sugli aspetti funzionali, se avessero avuto eccessivo rilievo o fossero state condotte in modo sbagliato, offrono nelle battute successive del dialogo un quadro incisivo che comprende tanto l‟esigenza di intendere quali nuovi modelli abitativi la società richiede, quanto la rivendicazione di uno spazio proprio dell‟invenzione architettonica e dell‟immaginazione. La definizione della condizione del CIAM come una eccessiva distinzione tra bianchi e neri è ripresa dall‟intervento di van Ginkel che segue una affermazione di van Eyck “too much science contra emotion” (pag. 19).

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progettuali del VIII CIAM a cura di Jacqueline Tyrwhitt84, che prende l‟avvio con una riflessione sul rapporto tra la parte e il tutto. Tramite una riflessione che oscilla tra la ricerca del “cuore” della comunità e il core (il

nocciolo) alle diverse scale degli insediamenti umani, si definiscono già a Hoddesdon nel 1951, nella sezione curata dalla Tyrwhitt, le modalità di organizzazione delle proposte progettuali svincolate dai condizionamenti funzionali85. La suggestione del discorso della Tyrwhitt sta in questa definizione dell‟inafferrabile “chiave del problema”, contenuta tra opposte

condizioni del vissuto, al tempo stesso esperibili assieme, quali stimolo e contemplazione, dinamismo visivo e riposo. Troviamo all‟interno di questo discorso quella propensione a riconciliare condizioni opposte che diverrà la cifra poetica di van Eyck. Oltre a questa divagazione, utile per intendere la sintonia sulle posizioni culturali originate attorno alla personalità di Giedion, “la scala delle comunità” riporta al nucleo del programma proposto per il X CIAM. Da questo punto di vista la posizione espressa sulla „scala delle associazioni‟ nel convegno di Doorn, non può essere intensa nel senso di una discontinuità tra la tendenza progressista e quella umanistica, ma piuttosto come un tentativo di farle convivere.

I quattro ambiti divengono quindi criterio comune di individuazione

delle esperienze progettuali; la suddivisione proposta dalla Tyrwhitt, al fine di individuare le caratteristiche del cuore delle comunità, risulta chiaramente definita all‟interno di quattro intervalli, “fields”, suddivisi

secondo parametri quali la popolazione residente e le soglie funzionali, riferite alla produzione e ai servizi, più un quinto grado, costituito dalla Metropoli, che risulta tuttavia superfluo alla definizione della costellazione urbana. In un clima in cui il “genere poetico della classificazione”86 era al

84 Jacqueline Tyrwhitt ricopriva il ruolo di segretaria del congresso di Hoddesdon e collaboratrice di Siegfried Gidieon in qualità di segretario CIAM; non apparteneva al Mars Group per quanto vi collaborava. Nella nota al titolo del testo metteva in evidenza i contributi del Mars Group e di J.L. Sert. 85. Il tema del congresso a Hoddesdon è una pausa di riflessione sulla città storica e amplifica le potenzialità di definire luoghi di relazione “per una vita più umana delle comunità”. Vedi il sottotitolo della edizione italiana curata da Ernesto N. Rogers, op. cit. 86 Citato dalla frase di apertura di Le Corbusier alla presentazione della griglia a Bergamo in CIAM 8 the Heart of the City, op. cit. pag. 171. La stessa Tyrwhitt rinvia all‟appendice del libro in cui viene riportata la presentazione di Le Corbusier a Bergamo nel 1949 per la prima presentazione della griglia CIAM; lo scritto della Tyrwhitt si conclude con la presentazione della griglia Mars predisposta per illustrare il problema del core.

centro dell‟interesse degli architetti, le griglie divengono propedeutiche nel condurre alla specificità di ciascun caso87. Data l‟evidenza della condivisione e del rilancio delle potenzialità della „guida‟ proposta dalla Tyrwhitt da parte dei partecipanti al meeting di Doorn, può risultare interessante porre l‟accento sulla componente che nel passaggio viene rimossa. Se la mancata trattazione della Metropoli88 può ricondursi alla città e i suoi gradi di complessità, l‟assenza della „costellazione urbana‟, come elemento unificante, pone un accento sulla città come luogo per eccellenza delle relazioni umane.

Nel contesto quindi in cui compare la Section Valley89, che individua

i quattro ambiti umani, la dimora (hamlet), il villaggio (village), il paese (town) e la città (city), è associata la necessità di poter determinare singole categorie di progetti, da relazionare con specifiche situazioni ambientali, ma anche con l‟esigenza, che subirà alterne fortune, di voler tenere assieme la totalità dei problemi. L‟influenza di questo schema, esplicitamente dedotto da una illustrazione del celebre discorso di Geddes, “The Valley Plan of Civilization”, è di porre l‟accento sulla necessità per lo city-planner di conoscere per trasformare. Geddes insiste sulla capacità di leggere relief and contours della regione geografica in cui si interviene per

mettere in evidenza le questioni da risolvere tramite l‟intreccio di distinte discipline. Il ritratto della civiltà umana che illustra, tracciando i caratteri dei tipi umani, aveva un riconosciuto interesse disciplinare negli studi urbani, alla cui divulgazione aveva contribuito Lewis Mumford e Jacqueline Tyrwhitt. I protagonisti nella trattazione di Geddes, ossia il minatore, il boscaiolo, il cacciatore etc., intesi come tipi umani, vengono trasformati all‟incontro di Doorn nei gruppi di prodotti edilizi raccolti secondo diverse

87 Dietro poi vi erano altre questioni elencate che avrebbero potuto suscitare interesse come la distinzione nella combinazione degli stili compositivi, geometrici o liberi, associati a una configurazione aperta o chiusa, secondo le quattro classi in cui suddivide il corpus delle proposte urbanistiche. 88 Metropolis viene compresa tra parentesi nel primo campo relativo alla città nel Draft Framework 3. 89 Per approfondire la lettura della Tyrwhitt del tema geddesiano della Section Valley si rinvia a “Journal of Town Planning Institute”, vol. XXXVII, n. 3, gennaio, 1951. Tyrwhitt è intervenuta più volte sul tema ricercando l‟evoluzione del pensiero di Geddes dalla prima descrizione della Section Valley del 1906 (A first visit to the Outlook Tower) fino alla serie delle sei lezioni americane. Per ulteriori approfondimenti si veda Victoria and Albert Museum - Library, RIBA Collection: TyJ 62/1.

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scale. La „scale of association‟ si propone di sostituire il precedente ordinamento basato su una classificazione funzionale, sia in riferimento al dominio dell‟architettura, volendo sovvertire l‟ordinamento della Carta d‟Atene, sia alle stesse intenzioni di Geddes a cui si ispirava90.

Se confrontiamo il disegno della sezione a scala del territorio

utilizzato da Geddes con quello rielaborato su questa traccia da Peter Smithson [mat. 1.01.03d, 1.01.04a,b], una differenza evidenzia lo scarto interpretativo e marca l‟unitarietà dell‟insieme in una precisa gerarchia, lì dove originariamente vi era allineamento in una serie di situazioni relativamente autonome. La sezione di Geddes parte dalle montagne del minatore e scende fino al mare, la sezione disegnata da Peter Smithson, ripropone la stessa successione specchiata, la città e il fiume che l‟attraversa occupano il centro del disegno, per poi presentare sui due lati un quasi-simmetrico diradarsi di costruzioni, di cui la città costituisce l‟asse su cui il paesaggio si specchia. La regione, oggetto di studio di Geddes, non prevedeva una gerarchia, un asse di simmetria, ma una successione di situazioni ambientali tra la città affacciata sul mare e il paese nell‟area agricola così come compaiono sullo sfondo del disegno che troverà, in altri contesti, un‟applicazione più conseguente delle teorie urbanistiche che sottendono l‟opera di Geddes. Il problema dell‟influenza di Geddes nelle generazioni del dopoguerra richiede una ricerca a sé; qui si segnala un indizio della complessità di riconoscere l‟influsso delle sollecitazioni di Geddes tramite un intervento grafico di van Eyck sul documento

90 Nel saggio “The Valley Plan of Civilization” ritroviamo argomentazioni non per sostenere la necessità di superare i condizionamenti del determinismo, ma per condividerne alcuni aspetti nelle relazioni tra le attività umane. Ancora una volta è il tempo che „risolve‟ in parte tale paradosso, e che ci dà il senso dell‟attualità di Geddes. La dimensione idilliaca, “let us learn more of the ways of peace”, in cui Geddes affronta le condizioni di esistenza dell‟uomo, prima dell‟avvento della guerra, rappresentano infatti il rovesciamento delle condizioni d‟esistenza e le modalità di aggregazione sociale alla metà del XX secolo. Le relazioni che Geddes riconosce per esempio “tra le genti del grano e le genti del riso” sono un impulso per attivare un approccio progettuale sull‟investigazione delle potenzialità di associazione, riferite alle caratteristiche d‟uso del territorio, che sono opposte alle esigenze di separare lavoro e residenza contenute nella Carta d‟Atene, e che hanno come fulcro l‟interrelazione reciproca tra l‟attività dell‟uomo e il suo prodotto.

predisposto dagli Smithson, dove la sezione della valle viene capovolta, come un cielo, a definire una nuova costellazione di relazioni91.

Vi è anche un aspetto preliminare all‟esposizione di Geddes che riteniamo opportuno evidenziare per la valutazione della sua influenza. La premessa al terzo discorso della serie Talks from the Outlook Tower è suggerito da una visione sincronica delle vicende umane, dove egli cerca gli elementi costanti di relazione dei tipi umani con il territorio al di fuori della storia. Geddes introduce la sua analisi della „geografia antropica‟ riconoscendo le ragioni del ritardo della storia nella descrizione delle vicende umane, connessa a un‟età d‟oro della natura umana, in cui una vita di pastorizia e agricoltura non produceva eventi bellicosi. L‟effetto di questa posizione, esprimendo una dirittura morale che nel dopoguerra risulterà precorritrice, apre a un modo dilatato di intendere le trasformazioni umane e il progresso in quanto i suoi scritti tramite audaci teorie suggeriscono ancora oggi una stabilità delle azioni umane nel tempo. Sulla cieca fiducia nel progresso e le sue tecniche nel dopoguerra si cominciava timidamente a esprimere qualche plausibile dubbio e la dilatazione nel tempo di Geddes, con i suoi riscontri sui caratteri dei tipi umani, rappresentava dei dubbi simili a quelli di Levi-Strauss, che agivano su un ridimensionamento (o annullamento) delle aspettative soteriologiche del progresso. Un‟idea di progresso che poteva rendere la visione del futuro in una prospettiva talmente raccorciata da deformare il quadro della realtà su cui intervenire. The greater reality of the doorstep

1.01.05 L‟archivio di Jaap Bakema92, in quanto coordinatore del CIAM 10

Committee, contiene un considerevole numero di documenti, prodotti nel periodo primavera-autunno del 1954, un breve lasso di tempo in cui la successione dei documenti, per lo più privi di datazione, non risulta cronologicamente attribuibile con sicurezza93. Risulta di un certo interesse

91 Questo disegno su una copia di Framework 3 (fig. ) può essere interpretato in vari modi: solo come un gioco concavo e convesso; una costellazione di cose sopra la città; un Habitat rovesciato, sottosopra, che al tempo stesso con la sua forma contiene tutte le cose. 92 Bakema Archive, Nai, Rotterdam 93I Cinque documenti Draft Framework sono numerati, così la successione tra loro è certa il problema di datazione consiste nell‟inserire nella sequenza i documenti complementari quali il “supplemento olandese”. Anche nell‟accurata ricostruzione di Francis Strauven (AvE

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comunque avanzare un‟ipotesi di successione delle carte94 in cui per i contenuti trattati e per le correzioni autografe è evidente la redazione di van Eyck che, proprio nel periodo in cui interveniva nel dibattito per il X congresso,95 vedeva concretizzarsi l‟incarico per la progettazione dell‟Orphanage.

Fissare il punto in cui van Eyck si inserisce nel dibattito per il X

CIAM ha interesse, in quanto si viene a collocare nel periodo settembre-ottobre 1954, quindi precedentemente alla fase progettuale96 ma in coincidenza ai primi approcci al tema, in cui si rispecchia il clima culturale che sosteneva le intenzioni del progetto dell‟Orphanage. Oltre all‟interesse diretto di questa ricerca, verso le riflessioni indotte nell‟elaborazione progettuale dell‟Orphanage, i contenuti della serie di documenti sono rilevanti perché offrono un punto di vista equilibrato o quantomeno alla

Shape of relativity, op. cit.) per datare il supplemento olandese deve posticipare di quattro settimane, ipotizzando errata la data, la lettera che Peter Smithson invia a Bakema per criticare il supplemento olandese. 94 La pubblicazione di alcuni di questi documenti su Max Risselada, Dirk van den Heuvel (a cura di). ,Team X in search of an utopia of the present, Nai, Rotterdam 2005, contiene una serie di indicazioni relative alle date di redazione dei documenti in evidente contraddizione con i documenti presenti nell‟archivio Bakema. In particolare il Draft Framework 4 datato 1956 sarebbe successivo di almeno un anno rispetto al Draft Framework 5 che riporta la data del (22) dicembre 1954. 95 L‟ipotesi di lettura che si avanza consiste nel collocare la prima versione del documento intitolato Orientation tra la versione numero tre e quattro della serie dei Draft Framework. Un segno evidente, oltre il variare dei contenuti, consiste nella modifica dal documento numero 3 al numero 4 del titolo Preamble che viene cancellato e sostituito dal nuovo titolo Orientation. Si riporta la copia del Draft Framework 3 [mat. 1.01.04b] con le annotazioni di van Eyck, poiché già dalle prime correzioni si riconoscono i differenti punti di vista sul trattamento delle questioni extra-disciplinari e dell‟identificazione dell‟habitat “with the whole structure of urbanism as ecological setting” 96 Il periodo di elaborazione del documento Orientation è relativo al momento in cui van Eyck avvia il suo rapporto professionale con van Meurs direttore dell‟Istituto di assistenza per l‟infanzia di Amsterdam, il primo incontro con il committente avviene nel luglio 1954, i temi trattati nei documenti per il X congresso sono affini a i temi progettuali che emergeranno per l‟Orphanage, questo dato richiede un lavoro, non praticabile in questa ricerca di confronto tra l‟intera documentazione tra committente e architetto per verificare quanto questo rapporto professionale possa eventualmente aver contribuito ad anticipare o a sostenere alcuni dei temi condivisi.

ricerca di un equilibrio tra le tendenze operanti nel dibattito disciplinare del dopoguerra97. Orientation è il titolo del documento redatto da Bakema e van Eyck, la cui sezione introduttiva si differenzia radicalmente dal precedente Framework 3, elaborato dal gruppo inglese, in quanto

introduce una condizione di continuità98, offrendo una via d‟uscita all‟impasse funzionalista, senza dover cancellare i valori su cui si era fondata la ricerca progettuale precedente. La necessità di definire una frattura, una discontinuità per rigenerare la disciplina, che caratterizza l‟atteggiamento alla base degli altri documenti proposti dal gruppo inglese, in questo singolare caso non trova luogo. Viene inoltre parzialmente recepita nel documento l‟osservazione di Le Corbusier di identificare i quattro fields con la descrizione della taglia del gruppo di aggregazione, piccolo, medio e grande anziché con sostantivi, dimora, villaggio, paese e città, che riconducono a concetti sedimentati. Questo secondo Le Corbusier per non ipotecare successivi possibili sviluppi con schemi mentali preordinati da immagini consolidate.

Il documento Orientation non avrà seguito se non in una versione

limitata al Framework 5, denominata “Hollandaise Supplement” ridotta a soli tre temi senza la premessa di orientamento e le indicazioni organizzative. Il supplemento contiene tre questioni interrelate tra loro e una quarta che le riassume costituita dalla “scale of association” che resta parte integrante del programma di lavoro già definito a Doorn [mat. 1.01.04c]. I temi riguardano l‟identificazione di soglie tra le scale d‟intervento, il controllo estetico del problema quantitativo dei grandi insediamenti e le ripercussioni del tempo come fattore determinante nei fatti evolutivi dell‟Habitat. Le questioni vengono a loro volta intrecciate così da un tema vengono definiti i campi di applicazione che a loro volta rimandano ai nodi della questione successiva. L‟elemento unificante, che compare nelle tre questioni, è il tentativo di dare una risposta al

97 E inoltre offre una sintesi dei temi affrontati nel IX CIAM di cui non sono state prodotte pubblicazioni 98 E ancora ripreso in evidenza (grassetto) nel testo su “Forum” n. 7, 1959 il punto rilevante su cui si insiste era già stato definito nel documento ufficiale redatto a Doorn alla fine di gennaio 1954 e quindi ancora reinserito in Orientation nell‟enunciazione di un nuovo metodo: “This method of work

will induce a study of human association as a first principle, and of the four functions as aspect of each total problem” [mat. 1.01.04b.

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cambiamento, le considerazioni svolte sono stabilite per sostenere la ricerca sull‟Habitat tramite ideal projects innestati sulle necessità del presente. Il tempo diviene l‟ingrediente comune che fornisce un nuovo punto di vista dinamico, proponendo a tratti passaggi difficili rivolti “all‟ambivalenza nel tempo e nello spazio di ciò che è costante e in cambiamento continuo”. Tali questioni erano emerse recentemente nel dibattito e avevano catalizzato l‟attenzione e individuato gli approcci tematici reperibili in alcune ipotesi progettuali presentate ad Aix en Provence. Di queste tre questioni è evidente riconoscere l‟ispirazione di Bakema, di Candilis e Woods (ma attivate da Ecochard) e degli stessi Smithson, ma al tempo stesso vengono ricalibrate e ricomposte con gli argomenti che diverranno i cardini della poetica di van Eyck.

Si riporta per intero il primo punto, poiché si ritiene costituisca il

cardine attorno a cui ruota l‟elaborazione progettuale dell‟Orphanage. Se, per esempio, si considera la sensibilità nella definizione degli ambiti di relazione che sta alla base della corte d‟ingresso dell‟Orphanage, lo spazio di mediazione tra casa e città, in cui i piccoli abitanti si trovano ad affrontare istanti della loro vita „iperscrutati‟ tramite la sensibilità di van Eyck che trova già da ora le sue evidenti manifestazioni.

A. The greater reality of the doorstep We must rediscover the faculty with which to distinguish between what is permanent et essential to man and what is arbitrary, what is and what is not. Realising that what is constant and constantly changing is ambivalent in time and space. We must develop a greater awareness of significant relations, as well as the capacity of stimulate their expression through form. The new human habitat should reflect and stimulate the primary contact between man and man, between man and thing – what we call “The greater reality of the doorstep”. We should manifest in architectural terms our desire to overcome the curbing polarities from wich we are still suffering individual - collective physical - spiritual internal - external part - whole permanence - change

The time has come to recognize them as duo-phenomenon.99

Se l‟influenza di questi concetti può essere suggerita tanto dalla teoria della composizione di Paul Klee quanto dall‟evoluzione del pensiero scientifico in seguito agli studi sulla relatività è in altri ambiti riferibili a figure di intellettuali, quali Martin Buber o Henry Bergson, che si trova la radice più robusta. I risvolti operativi di queste posizioni, nel definire una nuova sensibilità che riscatti il ruolo dell‟uomo nelle trasformazione dello spazio fisico, sono un effetto immediato che può anche venire isolato dal contesto culturale in cui fu generato. In particolare il termine doorstep che

nell‟accezione proposta dagli Smithson rinviava a un ruolo limitato al rapporto tra casa e spazio pubblico, immediatamente connesso alla casa, nella trattazione di van Eyck (e Bakema) prende un ruolo assai più ampio. Il termine doorstep quindi non si limita a rimandare a una condizione fisica

di una parte della casa, ma viene idealizzato come riscoperta e ampliamento delle facoltà percettive dalla casa alla città.

Il programma proposto per il X congresso viene delineato, per

quanto riguarda la questione delle relazioni tra le parti e l‟intero, tra casa e quartiere, in sei direzioni di ricerca. Le prime quattro definiscono gli interfaccia tra i quattro campi definiti dall‟approccio ecologico100, i due ultimi punti aprono su questioni che riguardano il rapporto tra architettura e urbanistica cercando di definire un ambito di azione comune alle due discipline. Quindi, oltre all‟attenzione determinante sulle relazioni tra i campi di azione viene impostato un approccio dialettico di differenziazione e integrazione, unire e separare. Infatti, il grado di integrazione, con le maggiori funzioni urbane nelle diverse articolazioni di raggruppamento delle unità residenziali e la differenziazione dei tipi edilizi, secondo ciascun gruppo di aggregazione in cui si collocano, è la condizione per rompere una catena di relazioni consolidate, che ancora poteva essere ricondotta a un approccio deterministico101. L‟articolazione tipologica e l‟integrazione

99 Jaap Bakema, Aldo van Eyck, (documento non firmato), Orientation, s.l,. s.d. Bakema Archive, Nai, Rotterdam [mat. 1.01.04c.d]. 100 “1. The dwelling as such / 2. The relation between the dwelling and its exteriorspace – individual and collective. / 3. The relation between the dwellings between within a lager housing units. / The relation between these housing units”, Orientation, op. cit.; il medesimo testo compare anche in più versioni successive del supplemento olandese. 101 Il termine compare con diverse accezioni „negative‟ nei documenti per l‟organizzazione del X CIAM prodotti tra il 1954 e 1956 come un punto fermo di definizione dell‟approccio

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delle attrezzature collettive fornisce l‟impulso per rispondere con progetti ideali a esigenze vitali. Le condizioni di emergenza residenziale rivolgevano tutta l‟attenzione a nuovi insediamenti residenziali, lo studio sulla città esistente non poteva in quel momento fornire soluzioni dell‟ordine di grandezza dei problemi quantitativi che stavano premendo sulla società.

Il secondo punto del documento dal titolo B. L’Habitat pour le plus grande nombre, rinvia evidentemente alla problematica insediativa già anticipata da Ecochard e sviluppata nella griglia presentata a Casablanca da Bodiansky, Candilis e Woods. Oltre alla coincidenza del tema svolto nel XI CIAM, van Eyck102 unisce gli argomenti per risolvere o quanto meno per affrontare tali problematiche con intenti interni a una sua propria visione poetica103. La „minaccia‟ della quantità messa in gioco nei grandi insediamenti deve portare alla scoperta di nuove leggi. La locuzione “Harmony in motion” rappresenta la legge da scoprire per riconciliare la ripetizione in un disegno complessivo; “Harmony in motion” riconduce a una combinazione di posizioni culturali104 verso un‟apertura a nuovi esiti

metodologico da superare. Non vi sono chiari riferimenti a quale corrente di pensiero si rifacessero, l‟impressione dalle varie collocazioni in cui si trova è che fosse indicativo della frattura del rapporto tra causa ed effetto come contrapposizione agli atteggiamenti funzionalisti. Uno punto ispirato su questo tema è stato riportato a conclusione del primo paragrafo di questo capitolo (Giedion e Michelangelo). Il termine compare in più parti preceduto da anti-(deterministico). Nel capitolo successivo al paragrafo “Knowledge is a servant of thought and thought is a satellite of feeling” in occasione del discorso di Kahn a Otterlo la questione riemergerà 102 Per quanto il documento sia anonimo vi si riconoscono con maggiore evidenza i temi sostenuti da van Eyck e risulta invece abbastanza contenuta l‟influenza di Bakema nella redazione dei documenti. Orientation e supplemento olandese. 103 Il testo corrisponde per intero a un brano riportato su “Forum”, n. 7, 1959, pag. 223 con sigla Aldo van Eyck , Aix en Provence, riguarderebbe quindi un intervento di van Eyck al IX CIAM che viene ripreso alla lettera e per l‟intera sua estensione nel documento. L‟Habitat pour le plus grande nombre è il titolo anche della griglia di GAMMA, per cui si può leggere questo intervento di van Eyck come direttamente innestato alle sue reazioni ad Aix en Provence riferite ai temi sollevati dal lavoro di Casablanca. 104 In effetti sul coinvolgimento dei singoli termini si riconosce facilmente la possibile suggestione di Le Corbusier come Mondrian per limitarsi agli autori che van Eyck segue con maggiore attenzione, per quanto riguarda il movimento in arte bisogna tenere conto della divulgazione del lavoro di Laszlo Moholly-Nagy Vision in Motion (Paul Theobald,

compositivi. Il problema del grande numero porta a una delle peculiarità, riferite a quel preciso momento, del modo di operare di van Eyck, di cui si riconosceranno i risvolti operativi nell‟analisi della combinazione dell‟Orphanage. Il modo per non subire le banalizzazioni degli interventi sempre più vasti e anonimi risiede nella ricerca delle leggi che sottendono “the Aesthetic of number”. La „estetica del numero‟ rinvia a una attenzione alla combinazione degli elementi nella ripetizione e in ciascuna scala di aggregazione dalla singola unità residenziale alla casa collettiva fino alla ripetizione e variazione degli aggregati residenziali più complessi. Le indicazioni del documento non potevano di certo vincolare i progettisti a una particolare disciplina compositiva, ma certamente portare a valutare le implicazioni estetiche dei gradi di differenziazione riconducibili ai tipi edilizi in esame. La relazione tra implicazioni estetiche e differenziazione dei tipi edilizi risiede nel favorire varietà nell‟organizzazione spaziale dell‟insieme, tramite uno strumento, il tipo, che consentiva di attivare differenze all‟interno della ripetizione. L‟estetica del numero e l‟armonia in movimento sono due modi di interpretare il disegno di elementi ripetuti e ordinati in una disposizione di calibrate differenziazioni. La scoperta, o quanto meno la ricerca di queste leggi combinatorie, si presenta come utile chiave di lettura per poter interpretare successivamente il procedimento e l‟esito progettuale dell‟Orphanage.

La terza questione C. Growth and change mette in gioco

esplicitamente il tempo come fattore positivo nell‟espressione plastica, ossia sostiene la possibilità di modificazione che deve essere contenuta all‟interno del progetto, se vuole confrontarsi con i modi di vita in evoluzione. Tale posizione era propria del gruppo Opbouw di Rotterdam ed era già stata espressa nella bozza di lavoro prodotta dalla commissione per la Charte de l’Habitat nel 1951 a Hoddesdon105. Queste posizioni poi si articolano e il Rapport Growth and Change predisposto a Dubrovnic nel

1956 proporrà un punto di vista fluttuante tra progettista e fruitore, per intendere le relazioni di identità e appropriazione dell‟Habitat da parte del fruitore nel corso dell‟esistenza degli artefatti. Comunque resta definito nel corso dell‟elaborazione che va dal 1951 al 1956 il cambiamento come un

Chicago, 1969) che avrà un grande rilievo sebbene sia distante dalle simpatie culturali di van Eyck. L‟atteggiamento più prossimo verso questa tendenza e l‟inizio di una ricerca che qui viene solo anticipata può trovare nell‟influenza di Paul Klee un possibile inizio. 105 De 8 and Opbouw. Contribution to: La charte de l‟habitat, luglio 1951, Bakema Archive, Nai, Rotterdam [mat. 1.01.01b].

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aspetto essenziale dell‟Habitat; visto dapprima come libertà individuale, di sviluppo spirituale tra individuo e collettività, e fra questa e la comunità, per poi divenire un dovere dell‟urbanista-architetto di interpretare le espressioni specifiche dei contesti fisici con cui interagisce. Quindi, non solo soddisfare le immediate esigenze per le persone per cui si costruisce, ma tramite la forma ri-orientare l‟Habitat esistente che le circonda. Il nucleo ideologico che gravita attorno a questo tema esprime la frontiera di verifica del tempo e delle evoluzioni inattese, tramite una riflessione sulle possibilità di modificazione a venire e, contemporaneamente, pone l‟interrogativo sulle responsabilità dell‟architetto-urbanista nel cambiamento rispetto al contesto che va a trasformare.

Conclude il documento il punto D. The Ecological Approach che

non contiene varianti rilevanti rispetto ai contenuti del documento di Doorn. Le quattro scale di associazione sono la sezione in cui le proposte progettuali dovranno trovare la loro compiuta formalizzazione.

Nella lettera di presentazione agli Smithson del documento

Orientation, Bakema a titolo di coordinatore del CIAM 10 COMMITTEE, offre alcuni pelementi di riflessione, cui segue uno schema per punti dove le lettere A, B, C e D che individuano ciascuna questione106 vengono collegate da frecce così da specificare le relazioni consequenziali A-B, B-C e C-D da un lato e il ruolo di D che si riferisce a tutte le altre tre. La ricerca di relazioni ambientali, contenute nella sezione D (The Ecological Approach) sono interconnesse con la problematica del grande numero il

quale a sua volta deve interagire con le variazioni nel tempo definite dallo sviluppo e dai cambiamenti rispetto a un contesto. I termini posti dall‟approccio ecologico a loro volta si confrontano con ciascun anello di questa catena che è intesa a restituire più gradi di complessità alla pratica urbanistica. Il fine quindi diviene esplicitamente quello di instaurare un grado di appropriatezza delle proposte urbanistiche, relative a diversi gradi di complessità, in cui ciascun livello di associazione viene inteso come un elemento vitale unitario. In questa lettera se “interrelationship” è inteso a esprimere il dispositivo di collegamento tra i temi di ricerca progettuale, contemporaneamente la stessa volontà di interconnettere gli argomenti progettuali viene ribadita per quanto riguarda le posizioni disciplinari espresse dal CIAM. Così Bakema riflette nella sua posizione una condotta unitaria: “We tried to say it in such a way that the C.I.A.M. work done until

106 Le lettere sono riferite alle sezioni che abbiamo esposto nel corso di questo paragrafo.

now will be prolonged not by “a shock” but by clearfying a law… / … the law of continuity”107.

Le differenti posizioni108 rappresentate dal gruppo olandese a sostegno della continuità e da parte del gruppo inglese alla ricerca di una discontinuità continueranno a confrontarsi109 fino alla vigilia del X congresso. Ben oltre l‟occasione della disputa sul CIAM, la discussione, tenuta assieme dalla consapevolezza di un approccio “umanistico”, vede la linea della discontinuità concentrarsi sulla necessità di una ricerca di nuovi tipi edilizi per un nuovo tipo d‟uomo e il rifiuto di riferirsi a variazioni di temi esistenti, poiché si sosteneva che nella situazione reale le aspettative e i desideri dell‟uomo cambiano repentinamente nel tempo. Questa posizione contrastava apertamente con la pretesa di riconoscere i permanenti bisogni dell‟uomo, declinati secondo le possibilità che i nuovi mezzi consentivano. Anzi la risposta dei sostenitori della continuità, della riconquistata misura umana, porta con sé la domanda “where things began? … where roots grow?”110 intesa non solo in termini ideali ma come prospiciente la realtà. Si evidenza nello scambio epistolare tra gli Smithson e Bakema (van Eyck) il problema che animerà la dialettica tra una concezione della costruzione radicata nel tempo e riferita a i fatti primari dell‟uomo e una continua attenzione all‟evolversi dei bisogni. Si riprende così quel necessario e “assurdo conflitto di punti di vista tra la tecnica e la

107 Lettera indirizzata a Smithson con intestazione del mittente C.I.A.M. 10 Commitee – Bakema, We received your basic framework … s.d., Rotterdam; Bakema Archive, Nai, Rotterdam. 108 Si evita di porre l‟accento sulle differenze tra le posizioni anglosassone e olandese poiché catalizzerebbe il discorso su di un contrasto, mentre si è ritenuto più utile cercare di cogliere i punti di sintonia. Un lavoro di orientamento storico-critico ovviamente non avrebbe consentito tale omissione. Si sono comunque affrontati i punti critici per verificare l‟eventuale emergenza di questioni ineludibili, ma ciò che si è avvertito aveva più il tono di un „dialogo tra sordi‟ con motivazioni che sfuggivano alla comprensione nel limite dei materiali d‟archivio a disposizione. Perciò si è limitata qui l‟elaborazione sui punti di contatto dalla coincidenza di alcuni temi trattati e la somiglianza delle soluzioni progettuali presentate al IX e X CIAM. 109 La parte più evidente di tali contrasti e contenuta nei seguenti documenti: Alison & Peter Smithson, Open letter to Sert and Team X, s.d. s.l.; Bakema Archive, Nai, Rotterdam; Bakema, Answer to the letter concerning the preparation of CIAM X, Rotterdam, 7 febbraio 1956, Bakema Archive, Nai, Rotterdam. 110 ibidem

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spiritualità”111 che i due casi di studio affrontano. La combinazione di Orphanage e BFU, rappresenta, in termini immediatamente comparabili, in quanto riferiti al medesimo tipo insediativo, il senso delle differenze nella pratica costruttiva tra necessità di radicamento e speranza nel progresso.

111 Maniera di pensare l‟Urbanistica, op.cit., pag. 18

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SULLE SPALLE DEI GIGANTI

Crisi (e perdita) d’identità

1.02.01 I lavori del X Congresso112 non offrono contributi così rilevanti per

questa ricerca quanto le sue fasi preparatorie e le successive reazioni, tuttavia avanzare due approfondimenti sulle grids presentate da van Eyck e dagli Smithson113 apre a risvolti significativi per gli sviluppi futuri. In particolare il principio insediativo denominato Close Housing Project114

esprime, in modo esemplare, la tensione verso una ricerca tipologica rivolta alla scoperta di nuove relazioni tra spazio privato e pubblico, riferito all‟argomento progettuale che è stato individuato dal termine doorstep115.

Tra i cinque progetti presentati dagli Smithson, che completavano i

quattro campi di associazione “fields”, identificati dal programma di lavoro per Dubrovnic, oltre a cogliere l‟attenzione di van Eyck, Close Housing Project inaugura una ricerca sulla complessità dello spazio di relazione. Tramite una „improbabile‟ galleria urbana traslata nel villaggio viene sviluppato un elemento germinale contenuto nelle riflessioni di Geddes per

112 Dal resoconto curato da John Voelcker e pubblicato su Architect‟s year book n. 8 – 1957, si evidenzia come tra i risultati studiati vi siano oltre ai progetti recenti la rivisitazione del Padiglione Svizzero (1930-32) di Le Corbusier come il primo edificio a uso accademico (?) del Movimento Moderno. La composizione dei gruppi di lavoro che ha visto una netta separazione generazionale è indicata in Royston Landau, La fine dei CIAM e il ruolo inglese, “Rassegna”, n. 52, 1992, pagg. 40-47. 113 Il contributo degli Smithson a Dubrovnic era già stato anticipato (risulta nella medesima forma), all‟incontro preparatorio di La Sarraz nel settembre del 1955, vedi TEAM 10 in search of a Utopia of the present, pagg. 50, 51. 114 La rilevanza di questo progetto viene confermata dal fatto che costituisce la sola proposta residenziale contenuta nel numero inaugurale della nuova redazione di “Forum" (n. 7, 1959 pag. 218) dal titolo Pensiero di un‟altra idea, in cui van Eyck formula una sintesi degli obiettivi a venire. 115 Ciò si intreccia con le successive ricerche di van Eyck, riferite prevalentemente alle sperimentazioni didattiche dei suoi allievi, per insediamenti a maglia compatta che rimandavano a “une casbah organisée”, ma che si può supporre abbiano trovato un evidente stimolo nell‟esperienza costruttiva dell‟Orphanage.

la Valley Section [mat. 1.02.01c]. L‟attesa per la definizione di nuovi tipi insediativi che Close Housing testimonia viene riempita da una parola, “cluster”, che sostituisce i „simboli‟ città, paese, villaggio. Ciò che viene alterato non è tanto il tipo edilizio ma il rovesciamento delle relazioni morfologiche. Questa posizione porta a sostituire vicendevolmente corpi edilizi pluripiano isolati e autonomi per la città e aggregazioni compatte per il villaggio, in una manifesta contrapposizione rispetto ai rapporti di forma consolidati. Il fine è trovare un nuovo „equilibrio di compensazione‟ tra qualità dell‟abitare e rapporti interpersonali nelle comunità a cui si rivolgevano. L‟interesse per questa forma di rovesciamento delle condizioni di partenza presuppone nuovi soggetti e l‟istanza di nuove esigenze che creino condizioni di vita con il beneficio del soleggiamento, di uno spazio aperto nell‟alloggio della città, e di compiute forme di associazione per i villaggi.

La creatività, nella formazione dei principi per la costruzione delle

città, superando la disposizione al miglioramento delle condizioni abitative postulato da Geddes116, conduce alla definizione di una nuova forma d‟aggregazione per la comunità rurale e il villaggio. Il contributo delle “close houses” è rilevante per questa ricerca, poiché anticipa alcune questioni nodali. La planimetria d‟insieme presenta non solo la separazione dei due flussi pedonale e meccanico, ma lo stesso flusso pedonale, misurato nel suo tempo di percorrenza, si differenzia in due ambiti tramite l‟invenzione di una sorta di galleria ricavata dall‟accostamento delle singole unità residenziali a schiera. Questa ibrida dimensione urbana, al di fuori della città, si può ritenere anticipi alcuni caratteri degli spazi di relazione che Candilis e Woods sperimenteranno a partire dall‟inizio degli anni sessanta117. L‟azione determinante del nuovo principio insediativo consiste nel trasformare la strada, una strada a cui i progettisti attribuiscono

116 Alison & Peter Smithson, Ordinariness and Light, Faber and Faber, London 1970, pag. 127. 117 Il progetto close house non viene incluso da Alison Smithson nella lista dei precedenti del tipo Mat-Building che elenca la genealogia del tipo edilizio nel saggio apparso su “Architectural Design”, n. 9, 1974, anzi pensando all‟attenzione con cui i contributi dei coniugi Smithson sono stati inseriti nell‟elenco dei precedenti si potrebbe dire che viene escluso; la ragione è connessa probabilmente al fatto che mancava il requisito della prevalente organizzazione orizzontale. Di contro, se l‟intera esperienza di ricerca viene invece ricondotta all‟attitudine di introversione dello spazio urbano, come carattere rilevante, allora il progetto acquista un inatteso ruolo da protagonista.

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speranze prodigiose, in un volume che collega i corpi edilizi, in cui il percorso di distribuzione risulta come una parte cava al suo interno. Dal punto di vista dell‟aggregazione, la sezione verticale ricorda il sistema di sovrapposizione della rue interieur, ridotta a un‟unica unità edilizia rispetto

a come viene adottata nell‟Unitè d‟habitation. La stessa Unitè era stata criticata dagli Smithson che per gli edifici urbani pluripiano avevano utilizzato il tradizionale ballatoio; pur avendolo rielaborato in termini di „strada sospesa (mesh) in aria‟. Dal punto di vista linguistico, le close houses sono caratterizzate da un certo educato carattere vernacolare che prende l‟avvento e alcune variazioni nello spessore del corpo di fabbrica aiutano ad attenuare la compressione dello spazio lungo il percorso interno. Il progetto suggerisce come punto di contatto con soluzioni consolidate la trasfigurazione del portico, e attenua la sua didascalicità nel rapporto tra il tradizionale trattamento linguistico e il nuovo sistema di aggregazione. Il suo interesse è sostenuto anche da una sicura efficacia degli spazi prospicienti le aperture alternate sui giardini. Avendo riconosciuto la rilevanza del concetto di doorstep questo progetto viene

evidenziato in quanto contiene una trasformazione dell‟ambito immediatamente prospiciente ciascuna abitazione, che reinterpreta lo spazio di distribuzione per ciascun gruppo di abitazioni.

L‟attenzione di van Eyck per la proposta degli Smithson va

considerata in rapporto al progetto per Nagele, un villaggio agricolo per 2.500 abitanti, da realizzare su un territorio artificiale, recuperato dalla bonifica di terre prosciugate, che non rappresentava un progetto ideale, ma un‟articolata e operativa proposta urbanistica del gruppo De 8 in lavorazione sin dal 1948. La difficoltà più rilevante ed emblematica del progetto, comune a molti interventi in Olanda, è che si appoggiava su un sedime omogeneo, la cui caratteristica rilevante, oltre all‟inesorabile orizzontalità del terreno, derivava dal fatto di doversi ripararare da correnti di venti provenienti da varie direzioni e di non avere nessun altro appiglio geografico, se non le nuove strade di collegamento. In questo contesto il progetto di van Eyck interviene all‟interno di una sequenza di precedenti proposte, di cui quella presentata da van Eesteren a Hoddesdon nel 1951 costituisce un interessante termine di confronto, per verificare la maturazione di alcuni temi progettuali, in particolar modo l‟attenzione per la definizione degli spazi di aggregazione. Quindi tra la libertà di rivisitazione dei modi di abitare in un contesto caratterizzato espressa dagli Smithson e le condizioni di un ambiente ostile, coniugato alla responsabilità di un imminente reale insediamento di una comunità, si crea una torsione che

trova nelle immagini118 di apertura e di chiusura della griglia di van Eyck il punto di contatto, almeno nei desideri dei due autori [mat. 1.02.01d]. La presenza dell‟uomo riportata nelle immagini di riferimento viene messa in primo piano, negli aspetti consueti della sua vita quotidiana, così come nelle straordinarie capacità di modificazione dell‟ambiente che ne esaltano l‟adattabilità, lì dove consueto e straordinario convergono.

Un esempio della sensibilità di mostrare diversità e analogie era offerto da una mostra dal titolo “The Family of Man”119. L‟esibizione organizzata dal Museum of Modern Art di New York è inaugurata nel 1955 e coglie nel momento opportuno, tramite il mezzo fotografico, una sensibilità in cui riconoscersi [mat. 1.02.01b]. Il modo comparativo di esporre le attività dell‟uomo, che fa cogliere la differenza tra le culture, ma al tempo stesso testimonia della loro sembianza, troverà dalla mostra del MoMA un prosieguo nella nuova redazione di Forum, ma già un‟immagine del catalogo trova posto nel lavoro di van Eyck a conclusione delle tavole di presentazione di Nagele. Il lavoro in cui si riflette in modo più evidente il contributo individuale di van Eyck al Congresso è rappresentato dalla serie “Lost Identity” che, tramite una serie di fotografie combinate con dei brevi

testi, documenta la sua esperienza nella realizzazione dei playground di Amsterdam [mat. 1.02.01a]. Nel momento della presentazione a Dubrovnic la fase progettuale preliminare dell‟Orphanage era stata completata. L‟intervento capillare sulla città avrà così a breve l‟occasione di misurarsi con un ambiente più complesso, una casa per la vita di bambini che richiedevano una straordinaria attenzione e protezione. L‟esperienza decennale di van Eyck nel manifestare la potenzialità dello spazio urbano, per indurre la creatività del gioco, costituirà un‟altra chiave di lettura, al fine di intendere il suo lavoro. Vi sono da segnalare delle declinazioni culturali inaugurate (o meglio riscoperte) in Olanda dal lavoro di Johan Huizinga che aveva già trovato un suo seguito nel gruppo di avanguardia Cobra e in

118 Ci si riferisce alla tav. 1 con il ritaglio del profilo di un a donna e un uomo che vengono campiti con immagini di città e paesaggi e in conclusione della tav. 4 una foto di Gotthard Schuh tratta dal catalogo della mostra “The Family of Man”, che suggerisce l‟arrivo di un fiato di vita. 119 Bakema augurava in una lettera critica rivolta a Peter Smitshon (Bakema, Answer to the letter concerning the preparation of CIAM X, Rotterdam, 7 febbraio 1956, Bakema Archive, Nai, Rotterdam) ma inviata all‟intero comitato che il risultato del X Congresso potesse intervenire sullo sviluppo sull‟Habitat come la mostra “Family of Man” aveva stimolato le relazioni tra le genti; si veda il catalogo Edward Steichen (a cura di), The Family of Man,The Museum of Modern Art, New York 1955.

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Constant, per capire quanto l‟attenzione per il gioco infantile appartiene alla tradizione culturale olandese.

Nei circa settanta spazi abbandonati della città in cui, dal 1947 fino

al 1956, la municipalità di Amsterdam era intervenuta, van Eyck realizza un riscatto dei luoghi, tramite la composizione di manufatti che vengono ordinati a seconda del contesto con cui interagiscono. Una tavola sinottica degli elementi, elaborata successivamente120, elenca come un alfabeto i pezzi alla base di questo processo di composizione. Gli elementi, graticci ricurvi in ferro, pietre circolari rialzate, vasche quadrate, esagonali e circolari piene di sabbia etc. vengono introdotti per sollecitare l‟immaginazione dei bambini, senza rinviare a un approccio connotativo, e solo accidentalmente sembrano suggerire giochi tradizionali e codificati. Anzi proprio una considerazione sulla spontaneità dell‟approccio definisce il carattere prevalente che questi dispositivi, di semplici geometriche combinazioni di artefatti, stimolano nei movimenti dei bambini. L‟insieme discreto di pochi elementi, anche solo uno verticale, che consenta di arrampicarsi e uno orizzontale, come una vasca di sabbia in cui rotolare, costituiscono una impalcatura, una struttura per i movimenti, i più disparati e imprevedibili, in grado di generare nuove fantasie quotidiane. Le quattro tavole presentate a Dubrovnic presentano le illustrazioni delle realizzazioni portando in primo piano le azioni dei bambini; gli stessi bambini, che con le loro capriole animavano le strade vuote di Bethnal Green ritratti da Nigel Henderson, ora trovano i luoghi e gli strumenti per esprimersi compiutamente. È sempre l‟azione dei soggetti, i bambini appunto, che domina la relazione tra i testi e le immagini, gli allestimenti da esporre sono strumenti di manifestazioni emotive che consentono di reinventare la città tramite un altro sguardo. Così l‟occasione della temporanea sospensione dell‟attività consueta della città sorpresa dalla neve121 diventa, reciprocamente, la città sorpresa dai bambini che in questo breve intervallo se ne impossessano . Nella poetica di van Eyck le tre realtà, il bambino, la

120 Department of Public Works, Amsterdam, Drawing by the site… (data riportata nel cartiglio agosto 1960), in AA. VV. Aldo van Eyck – the playgrounds and the city, Nai Publishers, Rotterdam 2002, pag. 90. 121 L‟immagine della città e la neve e la breve riconquista degli spazi pubblici da parte dei bambini verrà ripresa da van Eyck in più occasioni, si veda Another Miracle e The Snow Image Again, VIA Ecology in Design (The student publication of the Graduate School of Fine Arts, University of Pennsilvanya ), n. 1, 1969 pagg. 126-127; In una fotografia e un breve testo l‟idea era già presente e compiuta nella tavola di Dubrovnic Lost identity.

città e l‟artista, formano una combinazione a coppie che rivela alla società la forza dell‟immaginazione che appartiene loro. “To begin with the city in order to comprehend the artist brings us face to face with the child, ourselves. To begin with the child in order to comprehend the city, bring us face to face with the artist, ourselves too. To begin with the artist in order to comprehend the child brings us face to face with the city.”122

Il punto critico nella relazione tra la collettività e la città si manifesta

in modo paradossale nella relazione tra città e bambini ed è qui che van Eyck rivela, nella necessità del dialogo, la sua motivazione più profonda. Le considerazioni svolte sulle differenziazioni degli ambiti spaziali riassunte dal termine “doorstep” sono il referente, l‟indizio per un nucleo di contenuti che vedono l‟approdo a uno spazio di relazione di mezzo, “in-between”, con il superamento delle separazioni in termini di individuale e collettivo. Questo rifiuto della contrapposizione tra interno ed esterno, permanenza e cambiamento, fisico e spirituale verso una loro sublimazione comporta la ricerca di una dimensione di mezzo che viene individualizzata e resa autonoma nel suo pensiero, quasi123 senza altri sostegni manifesti se non l‟evidenza della necessità del superamento, e che trova una sua radice culturale nel pensiero di Martin Buber124. Inoltre va considerata anche una ampia base di riflessione preliminare in termini estetici, riferibile ai Concetti

122 Aldo van Eyck, The Child, the City, the Artist, in “Byggekunst”, n. 1, 1969 pagg. 16-17. 123 Qualche opera di Paul Klee che comunque anche lui partecipa (probabilmente) dell‟influsso di Martin Buber. 124 È illuminante l‟argomentazione di Buber sullo spirito come evento, come qualcosa che avviene subitamente; al proposito la spiegazione avviene considerando il fanciullo e il suo modo di raccontare miticamente. Tutto ciò oltre al proprio valore intrinseco, porta in superficie le motivazioni progettuali in corso di studio, “Egli racconta nello stesso identico modo come il primitivo racconta i suoi miti, composti di sogni e di cose viste nello stato di dormiveglia, composti di esperienza e „fantasia‟ o immaginazione (…): tutto ciò, divenuto un‟indissolubile unità”. Da Martin Buber, Il problema dell‟Uomo, Ellenici editore, SL 1983, pag. 111. Si tratta della pubblicazione di un corso tenuto nel 1938 all‟Università Ebraica di Gerusalemme; nel primo numero della nuova redazione di “Forum” n. 7 del 1959 curato da van Eyck viene riportato un ampio stralcio di queste lezioni. Per quanto riguarda il rapporto tra fanciullo e primitivo su cui van Eyck non si esprime direttamente, pur investigando entrambi i campi, si tornerà in seguito passando dall‟opinione del teologo a quella diametrale dell‟antropologo.

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fondamentali della storia dell’arte di Henrich Woelfflin125, per quanto

riguarda l‟utilità di operare per coppie oppositive, che tuttavia riterrà un concetto da superare; quindi la sequenza di avvicinamento sul versante artistico comprende l‟opera di Paul Klee e infine di Piet Mondrian. Un altro ambito disciplinare che può aver sostenuto tali riflessioni richiederà l‟approfondimento della „reciprocità‟ in antropologia.

Il contributo che van Eyck propone a Dubrovnic con il titolo Lost

Identity è enigmatico rispetto all‟entità degli interventi che presenta; la perdita d‟identità veniva trattata come emergenza riferita ai grandi insediamenti residenziali periferici, ed è ininfluente in rapporto al caso presentato di discreti interventi interstiziali nella città consolidata. Il sospetto quindi è che la perdita d‟identità non sia riducibile agli esiti di trasformazioni fisiche, tanto meno possa limitarsi a quelle presentate, ma a un sentimento più diffuso e interiore sull‟uomo e dell‟investigazione di un suo stato di crisi126. La „legge della continuità‟ riferita al dibattito disciplinare, sostenuta da Bakema durante i contrasti con il gruppo inglese, aveva trovato a Dubrovnic uno stato d‟incomprensione e di ripensamento. Un intervento di E. N. Rogers127 consente, oltre a ristabilire quel clima culturale, di riconoscere i lineamenti di un momento di trasformazione e intenderne le potenzialità. L‟editoriale su “Casabella-continuità” di aprile-maggio 1957 dal titolo Continuità o crisi anticipa le condizioni operative a venire, e dichiara la validità delle istanze del Movimento Moderno, poiché

125 Per sostenere tale considerazione oltre ai contenuti del testo citato (Concetti fondamentali della storia dell‟arte, Neri Pozza editore, Vicenza 1999) può essere utile segnalare che Henrich Woelfflin aveva influito nella formazione accademica di Siegfried Giedion (Giedion aveva sostenuto la dissertazione assistito da Woelfflin.) 126 I segnali di difficoltà a coordinare la disciplina su di una corrente principale di pensiero sono molteplici e non si vuole certo accentuare il rilievo delle quattro tavole sui campi gioochi di Amsterdam; questo lavoro è inteso come un indizio di crisi. Il problema travalica questo lavoro e probabilmente va a toccare questioni mescolate tra problemi di diversa entità nella disciplina e tra gli autori. Si apre tuttavia con l‟occasione del congresso di Dubrovnic un quesito insinuante, la possibilità di verificare se stessero maturando le condizioni per inaugurare una nuova svolta. 127 A parte i contrasti che si svilupperanno a Otterlo nel 1959 tra E. N. Rogers e van Eyck vi è un modo di riconoscere i problemi che offre rilevanti punti di contatto, si veda Ignasi de Sola-Morales, Differences, The MIT Press, Cambridge Mass. 1997.

le opere migliori128 che si riferiscono a questo paradigma rispondono ancora ai suoi criteri critici; mentre insiste sulla necessaria e non più rinviabile “rimozione del complesso d‟inferiorità della storia”129, individua già il campo di un conflitto su cui verrà inciso un solco profondo. Così Rogers evoca il fascino della crisi, ne definisce i requisiti, allontana la confusione tra attualità delle forme e tenuta del metodo, definendo il limite dell‟alternanza del metodo come ostacolo da affrontare per conquistare il cambiamento e così di fatto pone la rivoluzione su un piedistallo, irraggiungibile.

Il rapporto tra disciplina e libertà d‟azione che Rogers e van Eyck

perseguono per cogliere le variazioni culturali all‟interno dell‟ortodossia del Movimento Moderno è un‟attitudine che distinguendoli li accomuna. Vi è certamente in comune una speciale attenzione per il passato delle città, che tuttavia si trasforma in due diversi approcci progettuali riconoscibili tramite la torre Velasca e l‟Orphanage. Entrambi posero alla tendenza modernista dominante un ostacolo o meglio una verifica, difficile da superare. La disparità di valutazioni con cui furono accolti i due progetti nel successivo incontro dei CIAM a Otterlo non può comunque essere sottovalutata: il successo che l‟Orphange raccoglie in quell‟occasione è attribuibile a un perfetto tempismo nella „entrata in scena‟ con un equilibrio da funambolo. Ora questi due edifici possono essere ritenuti il simbolo di una trasformazione, non certo solo nel gusto, ma che verrà tuttavia avvertita prevalentemente nei suoi aspetti linguistici. Per quanto questi aspetti fossero sostenuti da una condivisa posizione metodologica, “è illusorio credere che il bisogno d‟immagini, sempre più sentito, affinché le nostre rappresentazioni significhino contenuti comunicabili, possa essere risolto accettando le figure del passato, perché con esso si soddisfa, tutt‟al

128 Rogers rimuoveva la necessità o il bisogno di una variazione sostanziale dei parametri: “A mio parere questa crisi non c‟è, perché se si considerano le opere migliori degli artisti più sensibili e si pone attenzione alle loro critiche, le più valide e le più profonde dipendono più o meno consapevolmente dalle istanze del Movimento Moderno stesso e pretendono, per essere giudicate, che si usi un criterio critico simile a quello che è stato adoperato finora”. L‟impatto della torre Velasca al convegno di Otterlo sarà così rilevante che consentirà allo stesso Rogers di verificare l‟incrinarsi di tali istanze. E.N. Rogers, Continuità o crisi, “Casabella-continuità”, n. 215, aprile-maggio 1957 129 Ibidem

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più, lo stimolo dei ricordi, ma non si creano i simboli della nostra esistenza.”130 Anomalie

1.02.02

La tenuta del criterio di giudizio, sostanzialmente invariato rispetto ai paradigmi del Movimento Moderno, sostenuto da Rogers come requisito della continuità, viene meno a Otterlo e la presentazione della torre Velasca contribuirà in modo rilevante a sancire questa differenza. La critica di Peter Smithson alla sagoma della torre riguardante la omogeneità della soluzione linguistica tra il corpo inferiore degli uffici e la parte superiore della residenza è un esempio emblematico della tenuta dei parametri di giudizio e al tempo stesso della difficoltà ad accettare eccezioni. Il confronto di Otterlo sarà aspro e costituirà una delle più rilevanti biforcazioni culturali in architettura fino alla fine del secolo. I materiali del Convegno tenuto a Otterlo nel 1959 che ancora sotto la divisa dei CIAM si proponeva come Group for the serch of social and visual inter-relationship

offre molteplici livelli di lettura critica. Qui interessa identificare l‟incrociarsi tra argomentazioni relative al rapporto tra storia e progetto e tra immagine e forma, in quanto definiscono la collocazione su due rive opposte dei protagonisti del dibattito disciplinare in architettura. In sintesi l‟immagine di ciò che rimane dell‟attività del convegno, il precipitato delle discussioni, una volta rimosse le scorie dovute a contrasti generazionali, è la definizione di una necessaria separatezza che consenta la costruzione di un ponte tra percezione delle nuove problematiche insediative e la concezione della misura umana.

Se ora affrontiamo nello specifico gli argomenti del confronto tra E. N. Rogers e Peter Smithson troviamo che le critiche di Rogers relative allo studio dell‟assetto stradale di Londra proposto da Smithson e all‟idea di strada-edificio intesa come un elemento di organizzazione totalizzante, apre il confronto su di una nuova dimensione geografica paragonabile a quella dei fiumi, che a questa scala coinvolge le trasformazioni radicali richieste dall‟inserimento dell‟automobile nel centro della città [mat. 1.02.01f]. Possiamo ben capire quindi le preoccupazioni espresse da Rogers relative al destino di Soho, dove nuovi edifici sono previsti, per sostituire essi stessi le strade, con percorsi pedonali interni che collegano i

130 Ibidem, da confrontare alla conclusione del capitolo con le critiche mosse da Bakema alla torre Velasca.

punti principali della città; si possono immaginare queste strade-fiumi con una conformazione simile a un altro progetto presentato dagli Smithson a Otterlo, il piano di Berlino131 del 1958. In questa proposta urbanistica, ancora di più, si può cogliere la dimensione dell‟uso dell‟autovettura e della rilevanza data alla mobilità e alla dimensione di attrezzature che travolgono le regole di costituzione della città, annullando il rapporto tra edificio e città, a favore di una dimensione di mezzo inafferrabile tra edificio e infrastruttura territoriale. Il limite imposto dal contesto nel definire il grado di trasformazione e la persistenza del carattere dei luoghi, il quoziente di libertà nella trasformazione del contesto, divengono il termine del confronto che si alterna tra la proposta per Londra e la presentazione della realizzazione del grattacielo a Milano [mat. 1.02.02a].

La restituzione del clima del congresso sarà poi reso evidente da un

altro editoriale di Rogers I CIAM al museo: la difficoltà di giungere a una

sintesi è evidente scorrendo i testi degli interventi, si può riconoscere l‟atteggiamento di Rogers principalmente dal fatto che le sue critiche ricercano la coerenza interna delle proposte progettuali. La ristrutturazione urbana di Soho proposta dagli Smithson con l‟alterazione del tessuto edilizio, secondo Rogers132 non trova motivazioni di ordine viabilistico poiché viene conservata la direzione delle strade; Rogers133 tiene costante il livello della sua presentazione, aderente alla consecutività delle scelte, di contro il contrasto verso i lavori di Rogers (e di De Carlo) potrebbe coinvolgere la dimensione ideologica in quanto erano state velatamente riscontrate analogie linguistiche e motivazioni simboliche che riecheggiavano il corso storicista-conservatore dell‟architettura sovietica134 del dopoguerra.

131 Ma non è riportato nel catalogo del congresso e nemmeno menzionato nei commenti. 132 Ci si riferisce all‟apertura della discussione sui progetti presentati dagli Smithson riportati in Juergen Joedicke (a cura di), CIAM „59 in Otterlo, Karl Kramer Verlag e altri, Stuttgart 1961, pag. 76 e segg. 133 Ibidem, pagg. 92-97. Quello poi che si evidenzia è il suo mantenere i commenti sulla concretezza delle soluzioni progettuali in discussione e la quasi assenza, se non nella chiusa, di riferimenti alle questioni teoriche che sostenevano tali scelte 134 Considerazione svolta da Peter Smithson in CIAM ‟59 in Otterlo, op.cit., pag. 91. Gli Smithson avevano elaborato il progetto per Berlino per cui ne conoscevano l‟attività edilizia e in quegli anni era già stato parzialmente realizzato l‟intervento guidato da Hermann Henselmann nella Karl Marx Allee che effettivamente creerà interesse in Italia.

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Il commento di van Eyck sulla similarità dell‟immagine del grattacielo milanese a una torre medievale risponde radicando l‟edificio nel valore profondo della storia, “the essence of history”. Ritroviamo in Rogers una contiguità di intenti con quanto sostenuto da van Eyck nell‟introduzione dell‟Orphanage per la „riconciliazione dei valori umani‟. Un‟ipotesi quindi suggerisce di spostare la ricerca dell‟origine del contrasto sul versante della scelta tipologica, tra la torre e l‟insediamento a prevalente sviluppo orizzontale proposto da van Eyck. Il rapporto tra senso e tipo diviene allora il vero spartiacque, non tanto le questioni ideologiche o limitate al posizionamento a favore delle avanguardie o della città esistente, ma „semplicemente‟ l‟affermarsi di una nuova (o il riaffermarsi di un‟antica) tendenza insediativa. Da questo punto di vista allora poco importa se i programmi funzionali e il contesto in cui intervenivano i due edifici non erano paragonabili poiché il discorso si svolgeva nella dimensione di un‟alternativa di ordine culturale del modo di abitare.

La torre Velasca e l‟Orphanage vengono qui intesi entrambi come

un‟anomalia135, che interviene nel dibattito disciplinare per misurare lo spessore temporale che le avanguardie dal loro nascere avevano accumulato, e che iniziava a mostrare le sue ricadute nel rapporto tra storia e progetto. Il riscontro dell‟anomalia oggi ci illustra come sono modificate le idee nell‟architettura e riconosciamo che tale mutazione è stata il contributo di chi aveva sostenuto e creduto in una condotta che seguiva il principio (the law of continuity) della continuità con il paradigma

del Movimento Moderno. L‟incrinarsi del sistema di valori rivolti all‟ineluttabile processo di miglioramento, attribuito al progresso e alla tecnica emerge, costituisce una sponda dai bordi frastagliati dove, oltre a queste due anomale presenze, si ritroveranno altri esploratori. Sull‟orizzonte culturale, almeno all‟interno dei gruppi CIAM, questi due progetti, se paragonati alla corrente dominante nel 1959, sono i riferimenti che allineati sulla medesima sponda definiranno il successivo fluire degli eventi. Tra le testimonianze di tale convergenza136 si possono elencare le

135 Si intende il termine nell‟accezione data da Thomas Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi Editore, Torino 1969, pagg. 75-89. 136 Per quanto riguarda i temi di discussione van Eyck fornisce un accenno relativo a conversazioni trattenute co Rogers sul tema della città antica in Aldo van Eyck, Lured from his Den, in “Archis”, n. 2, 1998, pag. 23.

valutazioni, coincise e penetranti espresse da Rogers137 nel corso del congresso in apprezzamento all‟Orphanage, così come i commenti critici di van Eyck sulla torre Velasca, rivolti a sondare le possibilità di tenere assieme più storie.

L‟intervento di Bakema conclude la discussione sulla torre Velasca con una valutazione sulla relazione nel contesto partendo dal presupposto che “He had to integrate a high-rise block into a historic village”138

[village?], e su questo non limita il suo giudizio relativamente alla sagoma dell‟edificio di cui riconosce indirettamente l‟efficacia di porsi in un dialogo aperto con la storia. Bakema centra con la sua critica un problema che rappresenta lo spirito del tempo; egli afferma, infatti, che la torre avrebbe potuto essere stata lì da cinquant‟anni, cogliendo quello che paradossalmente cinquant‟anni dopo è divenuto un auspicabile risultato. La spiegazione della difficoltà di Bakema nei confronti della torre deriva dall‟identificazione di una resistenza alla comunicazione della realtà della vita contemporanea nel sistema complessivo delle soluzioni adottate, dall‟attacco a terra e dalla mancata evidenziazione degli accessi carrai, fino al trattamento celato delle componenti impiantistiche. “You are resisting contemporary life”139, concludendo il suo intervento Bakema rinvia all‟idea di resistenza140. Se ora riflettiamo sulle tensioni tra passato e futuro vediamo che, come Bakema rinvia al passato di due generazioni il progetto di Rogers, egli espone le sue preoccupazioni nelle parole dell‟immaginario archeologo del futuro, che qualche mese più tardi invocherà per un giudizio sulla città di allora proiettata nel 2000. Ritroviamo che la rilettura dei problemi generati da queste oscillazioni tra passato e futuro a metà del secolo scorso può oggi essere illuminante per chi crede nell‟essenza contemporanea del progetto di architettura, e al tempo stesso non può e/o non vuole più rinunciare a misurarsi in una prospettiva storica.

137 “A marvellous blend of discipline and freedom” riportata da Strauven in AvE the shape of relativity, op. cit. pag. 352, probabilmente ricavata dalla registrazione degli incontri, ma non risulta inserita nel catalogo CIAM ‟59 in Otterlo, op.cit. 138 CIAM ‟59 in Otterlo, op.cit., pag. 97. 139 Ibidem. 140 Se letto oggi quel commento, nell‟attuale condizione di sovreccitazione comunicativa, può risultare un obiettivo più lungimirante e responsabile da condividere. In una lezione tenuta presso l‟aula magna dello IUAV il 30 gennaio 2001 Massimo Cacciari sosteneva che il ruolo contemporaneo dell‟architetto nella condizione di caos comunicativo è appunto quello di resistenza.

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Nel 1959, sull‟altra sponda disciplinare da cui si ammirava questo paesaggio dimenticato del confronto con la storia, le condizioni di lavoro erano rivolte a tenere assieme istanze sociali e aspettative di un progresso che richiedeva sempre un nuovo inizio. Vi era tuttavia condivisa tra le due sponde una tensione a riconoscere i caratteri permanenti dell‟uomo come suggerivano gli studi di Herman Haan sui modi di vita primitivi (o meglio „arcaici‟) dei popoli del Sahara, atteggiamento che aveva alimentato le avanguardie artistiche, ora coinvolgeva direttamente anche il mondo di chi si occupava delle trasformazioni fisiche del territorio. Aver riferito di alcuni punti del dibattito avvenuto a Otterlo serve, in primis, a restituire il tenore delle discussioni, il contesto culturale, in atto al momento della presentazione dell‟Orphanage. Si sono riportate quelle occasioni di dibattito, che coinvolgono il rapporto tra storia e progetto, in quanto sarà il tema su cui van Eyck insisterà per costruire le motivazioni del progetto per l‟Orphanage, cercando un rapporto sincronico tra le tradizioni dell‟architettura.

Autonomia e riconciliazione

1.02.03 La fiducia in un progresso illimitato fa sentire i primi cedimenti, sia

che si guardi al mondo culturale (Levi-Strauss, Heidegger) sia verso le periferie delle città. È una critica sottesa dall‟insoddisfazione raggiunta rispetto agli esiti delle trasformazioni del mondo costruito, ma che si presenta in termini positivi come riconquista dei valori essenziali dell‟uomo. L‟“amore” per i prodotti eccelsi della mente umana non considera esclusioni o rinunce ideologiche, la riconciliazione dei valori umani è sottesa da una visione sincretica, raccogliere il vecchio dentro il nuovo per rifocalizzare i problemi sull‟elemento dominante che è l‟uomo “man is always and everywhere essentialy the same”141. L‟intervento di van Eyck a Otterlo rispecchia questa condizione di incertezza ma al tempo stesso si apre con un omaggio a quegli uomini (Picasso, Brancusi, Le Corbusier, Bergson, Einstein) che avevano aperto una strada, al di fuori del solco deterministico, solco dal quale l‟architettura non riesce a uscire se vincolata a „incespicare‟ seguendo inerzialmente il progresso.142

141 Aldo van Eyck, Is Architecture Going to Reconcile Basic Values?, in CIAM ‟59 in Otterlo, op.cit., pag.27. 142 Ibidem, „parafrasi‟.

Il riferimento culturale diretto per indagare questo pensiero è l‟opera di Martin Buber das Gestalt gewordene Zwischen ma il rinvio alla dimensione metafisica di questo pensiero porta ora a spingere lo sguardo oltre le possibilità del nostro obiettivo. Invece su un altro versante troviamo in van Eyck l‟analoga attitudine a operare con un vivo coinvolgimento nei fatti e la capacità di verificare la propria posizione da punti di vista differenziati che lo avvicina a Claude Levi-Strauss: qui non interessa trovare le possibili influenze dell‟antropologo sull‟architetto143. Il tema su cui aprire un confronto tra van Eyck e Levi-Strauss è la loro concezione di progresso, progresso non coincide con la crescita della conoscenza. Per rileggere in via platonica l‟analogia di un uomo che sale i gradini di una scala, Levi-Strauss ricorre all‟immagine di un giocatore di dadi e indica in questo modo i termini in cui possiamo riconoscere delle condizioni cumulative di avanzamento e conclude in Razza e Storia indicando il „doppio senso del progresso‟: “…si è visto come ogni progresso culturale sia funzione di una coalizione tra le culture. Tale coalizione consiste nel mettere in comune (in modo consapevole o inconsapevole, volontario o involontario, intenzionale o accidentale, cercato o costretto) le possibilità

che ogni cultura ha nel corso del proprio sviluppo storico; infine abbiamo ammesso che questa coalizione è tanto più feconda quanto più avviene tra culture diversificate”144.

Levi-Strauss esprime queste considerazioni in un contesto in cui

era rilevante la trasmissione di una dimensione sociale dello sviluppo delle culture, che egli suddivide in tre categorie, quelle contemporanee, ma situate in un altro punto del globo, quelle manifestate nello stesso spazio ma precedenti nel tempo, quelle che sono esistite in un tempo e in uno spazio diverso. Questa suddivisione ci porta vicino, anche se poi sarà la volontà d‟interpretazione a farli coincidere, ai criteri di scelta delle tre

143 Il principio di reciprocità e il senso del progresso sono due argomenti trattati ampiamente da Levi-Strauss che presentano evidenti analogie con alcune considerazioni di van Eyck. Per intendere il coinvolgimento di van Eyck con le opere di Levi-Strauss ci si è riferiti ai commenti di Francis Strauven in AvE – The shape of relativity, op.cit., pagg. 440, 441. Per quanto riguarda „reciprocità‟, già richiamata in più punti con diverse accezioni, per la complessità del tema fondativo per gli studi antropologici (prima di Levi-Strauss) si rimanda alle note dell‟ultimo capitolo. 144 Claude Levi-Strauss, Razza e Storia, op.cit. pag.45. Qusto pensiero viene condiviso da Salvatore Settis nella conclusione della lectio magistralis (Venezia, 4 ottobre 2003) dal titolo Il futuro del classico che ha svolto un ruolo determinante nell‟indirizzo di questa ricerca.

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architetture che divengono gli emblemi di van Eyck, viste come componenti di un pensiero che trova la sua comprensione nelle relazioni che intervengono tra loro e a cui non si vuole e non si può rinunciare. Van Eyck apre la sua presentazione a Otterlo esponendo un pannello che esprimeva un‟idea sincronica dell‟architettura o meglio del rapporto con la tradizione dell‟architettura. La prima versione del disegno dei due cerchi presentata a Otterlo riporta nel primo un esploso assonometrico di Theo van Doesburg per una Contra-construction145; poi vi sono altre due immagini, un tempio greco (Atena Nike) e una foto di una costruzione di fango scattata da van Eyck a Houlef nel 1951, durante un viaggio nel Sahara146. Quindi tre stazioni che si collocano agli estremi nel tempo e nello spazio su cui riconciliare i valori umani tramite la metafora organica del respiro, a richiamare il fatto invariante della dimensione corporale attraverso le culture. Nel secondo cerchio campito da colore sono inserite tre figure antropiche, probabilmente provenienti dalle collezioni di oggetti etnografici raccolti durante i viaggi in Africa.

Paragonando le due versioni elaborate da van Eyck del medesimo

disegno presentato a Otterlo si intende che non erano tanto gli oggetti in sé, quelle specifiche architetture, che veicolavano il contenuto, ma il fatto di rappresentare condizione di tempo e di spazio diversi, definendo tre generi assai vicini al modo di riconoscere differenti culture nel tempo e nello spazio. La seconda versione147 elaborata successivamente al congresso presenta nel primo cerchio soli disegni a tratto e cambiano due soggetti: a rappresentare la tradizione classica subentra la pianta del Partenone, mentre la distanza nello spazio viene rappresentata dalla pianta di un villaggio Pueblo in New Mexico, località di „culto‟ per le ricerche etnografiche che avrà un grande risalto nella pubblicistica di architettura. Resta invariato il solo soggetto contemporaneo148, legittimo

145 Els Hoek (a cura di), Theo van Doesburg – oeuvre catalogue, Kroeller-Muller Museum, Otterlo 2000. Riferimento catalogo opere n. 702.II ac Contra-construction, luglio-ottobre 1923. 146 Aldo van Eyck, Bouwen in Zuidelijke Oasen, in “Forum”, n. 1. 1953. 147 Le due versioni sono illustrate nella scheda [mat. 1.02.03a] 148 Evidentemente la scelta di sostituire il precedente acquarello su eliocopia (blueprint) con un disegno a china e matita su carta da lucido deriva dall‟interesse a rendere graficamente omogenei i tre disegni al tratto del primo cerchio. Il disegno di van Doesburg dello stesso anno è intitolato Architectural analysis, vedi Theo van Doesburg – oeuvre catalogue, op.cit. Riferimento catalogo opere n.702.II x, luglio-ottobre 1923.

quindi il sospetto che l‟operazione a Otterlo non avesse trovato il suo pieno svolgimento. Il secondo cerchio della versione definitiva cambia soggetto: le tre sculture bronzee del secondo cerchio nella prima versione vengono sostituite con la fotografia di una tribù del Venezuela durante lo svolgimento a spirale di una danza; la coerenza della rappresentazione progredisce, eliminando la tripartizione nel secondo cerchio, e portando a coincidere il tema dell‟unitarietà d‟intenti con la rappresentazione della danza simbolo di una comunità che si riconosce in se stessa ma che al tempo stesso si evolve nel movimento.

La variazione nella rappresentazione dei principi progettuali nel primo cerchio tra la versione di Otterlo e la successiva pone la questione del rapporto tra immagine e forma149: se nella prima versione il richiamo ai prodotti dell‟uomo viene veicolato tramite immagini, nella seconda il medesimo contenuto viene specificato dalla composizione degli elementi architettonici. La rappresentazione in pianta del rigore del tempio greco, la complessità del villaggio Pueblo Arroyo, la combinazione di spazio e tempo nell‟assonometria di van Doesburg implicano un‟evoluzione nel pensiero di van Eyck tra principi prima relativi a una sfera di ordine speculativo e poi con intenzionalità, trasferiti sul piano operativo della verifica progettuale. Il messaggio complessivo si definisce poi con la combinazione serrata di figure e parole, divenendo più diretto nella seconda versione, ma consentendo di raccogliere, nella comparazione delle due versioni, un processo di maturazione dei contenuti a cui sembra aver contribuito la verifica oggettuale della realizzazione dell‟Orphanage. Volendo interpretare il senso complessivo dell‟operazione “cerchi di Otterlo” si può ritenere che le architetture mostrate diventano icone dell‟insieme di qualità chiamate a coesistere nella forbice tra “concetti della mente ed estensione dei comportamenti collettivi”, secondo la seguente terna di caratteristiche specificata nella seconda versione: “immutabilità e quiete, vernacolare

della terra, cambiamento e movimento”150, che trovano nella presentazione dell‟Orphanage il proprio manifesto-costruzione [mat. 1.02.03a].

149 Nella presentazione van Eyck esprimeva la sua intenzione che si rivolgeva all‟essenza anziché alla forma. 150 CIAM ‟59 in Otterlo, op.cit.

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Oltre al titolo “BY „US‟ - FOR „US‟” che identifica i due cerchi ed esprime così il grado di autonomia151 disciplinare, rimanendo costante nelle due versioni, il testo della prima versione propone sul primo cerchio che riguarda i prodotti dell‟architettura una domanda: “Is architecture going to reconcile basic values?”. Interrogativo che servirà come principale parametro di giudizio per i progetti presentati a Otterlo e chiave di lettura per l‟Orphanage. Una seconda domanda disposta ad arco e come raccordo, „link‟, legame tra i due cerchi, tra il costruire e le esigenze dell‟uomo, risulta più enigmatica e intimista: “Man still breathes in and out, is architecture going to do the same?”. Il rinvio alla metafora del respiro,

oltre all‟evidenza immediata da cui trae la sua efficacia, potrebbe offrire una traccia sull‟interpretazione dei successivi contenuti riportati nella relazione di presentazione dell‟Orphanage. In particolare la metafora del respiro appartiene al mondo della poesia: la ritroviamo per accidente nella conversazione di Marcel Griaule con Ogotemmelì152 sulla casa che respira, e costituirà l‟indizio di una possibile interpretazione dell‟Orphanage seguendo la rivelazione di un mondo governato da regole immutabili.

La struttura del discorso che van Eyck tiene a Otterlo risulta

complessa e con un‟articolazione simile a una spirale che avvitandosi va a stringere, da considerazioni critiche di ordine generale sullo stato della disciplina, passando a una descrizione dell‟Orphanage che a sua volta, dalla descrizione cruda delle condizioni di vita dei giovani ospiti, trova nella definizione di componenti elementari della costruzione quali la porta, il modo di ritornare sul versante teorico. Il testo, così come editato dalle registrazioni, conserva la freschezza del discorso diretto e propone l‟alternarsi di questioni combinate tra principi progettuali e risvolti operativi

151 Per quanto riguarda la definizione del grado di autonomia dell‟architettura rispetto alla sfera sociale si veda AvE Shape of Relarivity, op.cit., pag. 351 152 Questa interpretazione tendenziosa cercherà di spingersi sempre più in là, man mano che si affineranno le informazioni, nel ricondurre a una radice comune il pensiero di van Eyck con Levi-Strauss, che risulterà più esplicito ricorrendo al breve saggio di Levi-Strauss I tre umanismi e la collocazione di questo pensiero sulla strada aperta da Salvatore Settis (vedi fg. 0.01). Per fare questo si attiverà un percorso di lettura parzialmente autonomo che coinvolgerà inoltre sul concetto di straniamento e dislocazione il saggio di Facchinelli La mente estatica, una ricognizione su Levi-Struass, e ancora in ambito antropologico la pista segnata da van Eyck con la collaborazione per il suo (e altri) saggio L‟interiorità del tempo, il lavoro di Herman Hann (con un contributo presente nel catalogo CIAM ‟59 in Otterlo, op.cit.).

riferiti agli effetti sui piccoli utenti, così da amplificare il significato dell‟intervento, sia in termini analogici sia in modo diretto, descrivendo con attenzione i comportamenti che tali soluzioni possono indurre. Ecco allora che l‟alternanza tra l‟avanzamento dell‟evidenza di un problema, ridotto fino a un passo dalla banalità, e il ritorno a una posizione di comprensione teorica, applica la massima intensità nel limite dell‟evidenza. Questa elaborata costruzione del discorso serve per introdurre ai temi cruciali in ambito disciplinare; la separazione tra architettura e urbanistica viene messa in discussione introducendo il concetto di reciprocità che si manifesta nella ricerca della giusta misura, per una piccola città come per un grande edificio.153 La combinazione tra le intenzioni di incidere sul versante teorico, riflettendo sulle scelte progettuali per un tema difficile, offre un‟occasione singolare di riflessione sull‟intreccio tra costruzione e idea che van Eyck sfrutta in tutte le sue potenzialità, ricorrendo all‟alternanza tra questa specifica opportunità professionale e i suoi risvolti teorici. Così l‟occasione della casa dei bambini diviene l‟opportunità per creare una relazione diretta tra città ed edificio. Van Eyck in una lettera a Le Corbusier154 riassume in poche righe le sue intenzioni: “I hope the story about reciprocity and twinphenomena on page 237 to some extent coincidences with the building and vice versa. At any rate, I wante it to become a bunches of „places‟ rather than a sequence of „spaces‟ – a houselike a city, a citylike house!”155. Questa breve lettera indirizzata a uno dei membri che van Eyck raccoglie in una immaginaria „wonderful gang‟ ci riporta in modo circolare156 all‟inizio del discorso tenuto da van Eyck inteso

153 Per quanto risulti difficile da dimostrare e per questo lo si pone con ogni possibile cautela tra le note si ritiene vi sia un legame tra la riflessione di van Eyck della relazione città-edificio con l‟influenza svolta da La Tourette di Le Corbusier. Questa osservazione non riguarda la dimensione fisica ma quella riflessiva. La riconoscibilità dell‟intenzione di Le Corbusier di contenere la sua idea di città ricomposta in un edificio è una riflessione che deriva dallo smontaggio delle singole componenti dell‟edificio e dal tentativo di rimontarle altrimenti, sbagliando. 154 Lettera del 13 settembre 1961, Fondation Le Corbusier catalogo T1 – 15. registrata il 16 settembre 1961, riferita all‟invio di Le Corbusier del disegno per l‟editore del catalogo del Congresso di Otterlo, a cui probabilmente veniva allegato una copia di “Forum” n. 6-7 del 1960-61 a cui fa riferimento riportando il numero della pagina in cui si trova la traduzione inglese del testo. [mat. 1.02.03b] 155 Ibidem. 156 La lettera di van Eyck era in risposta al menzionato disegno di Le Corbusier raffigurante la svolta generazionale eseguito in seguito al ricevimento del catalogo su Otterlo e

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a raccogliere le sfide della contemporaneità, spingendosi dall‟argomento astratto, ma scientificamente dominante, delle ridefinizione dello spazio in termini non-euclidei e contemporaneamente rivolgendosi a un‟idea dell‟uomo, sempre e ovunque se stesso. Verificare le coincidenze tra l‟artefatto e i due cardini del suo approccio teorico, la reciprocità e la riconciliazione delle polarità, o meglio la reciprocità come esito della riconciliazione delle polarità, già riconosciuta come tema determinate dal 1954 (ossia in prossimità dell‟inizio dell‟elaborazione progettuale dell‟Orphanage) e l‟implicazione dello studio avviato sull‟edificio, dapprima nella definizione delle differenti ipotesi progettuali, e quindi con la realizzazione come insieme di luoghi, ci informa su come van Eyck abbia offerto la verifica di queste teorie, costituendo un intreccio di elementi costruttivi e teorici che si implementano vicendevolmente.

Il discorso di presentazione di van Eyck, riportato nella

pubblicazione del congresso oscilla riproponendo un moto a spirale tra argomenti di ordine teorico generale e descrizioni minute dei termini più concreti della costruzione. Il tema che sottende gli argomenti si può intendere come una continua ricerca tra le relazioni che la costruzione viene a definire con il contesto, con i suoi utenti e tra le parti che la costituiscono. In particolare il sistema di distribuzione viene inteso come una strada interna, come luogo di mediazione per eccellenza. Il ruolo delle relazioni tra strada e bambini è la chiave di lettura per capire questa concezione del rapporto tra città ed edificio e quanto sia condizionata ed enfatizzata dalla specifica occasione della casa per i bambini. L‟oggetto che viene scelto come emblema, la porta, è l‟artefatto che in sé esprime con più forza l‟idea di una tensione tutta rivolta a scoprire la relazione tra le cose e tra gli ambiti, così interno ed esterno pubblico e privato trovano una condizione in cui si riconosce la differenza ma anche il momento di superare tale dualità. Knowledge is a servant of thought and thought is a satellite of feeling

1.02.04 La lezione conclusiva del congresso di Otterlo viene tenuta da

Louis Kahn e costituisce un momento significativo per intendere lo stato della riflessione progettuale alla fine degli anni cinquanta. Kahn interviene con alcuni commenti sui progetti presentati durante il convegno ed

indirizzata all‟editore: lettera di Le Corbusier a Monsieur Karl Kramer del 5 luglio 1961 (pubblicata in “Forum”, n. 1, 1962, pag. 73).

espone157 il piano del traffico di Philadelphia e i laboratori di ricerca medica dell‟Università di Pennsylvania. Il tema fondamentale di Kahn è illustrato più che dagli esiti progettuali da episodi come l‟intuizione di Mozart, che dal rumore del piatto caduto riconosce l‟appartenenza della dissonanza al dominio della musica, per sostenere la necessità della comprensione come composizione di intelletto e sensibilità 158. L‟esempio della cucina di Mozart serve a Kahn egregiamente per esporre il suo punto di vista nell‟interrompere la consecutività tra problema e soluzione e aprire uno spazio proprio all‟intuizione. Kahn scuote così le pretese di scientificità e propone da una posizione diametrale un tema, il rapporto tra pensiero (thought) e sentimento (feeling), che apre da un lato a una riabilitazione

dell‟architetto come artista e dall‟altro supera l‟atteggiamento deterministico, considerando l‟intuizione progettuale come un dato a priori che precede la formalizzazione. Il rapporto tra pensiero e sentimento di cui Kahn riconosce la non operabilità di ciascuna componente isolata diviene nella loro combinazione la condizione di esistenza della loro reciproca comprensione (realization159) e quindi introduce il fulcro della sua poetica

157 Vi sono indicazioni contrastanti sulla presentazione dei materiali di Louis Kahn in occasione del congresso, alcune fonti riportano che era prevista oltre a questi progetti anche la presentazione del progetto del centro comunitario ebreo a Trenton (Robert Mc Carter, Parallels in the other Tradition of Modern Architecture, in “ptah”, n. 2, 2003). Questa informazione potrebbe aprire ad alcune congetture viste le evidenti analogie tipologiche con l‟Orphanage e riguardo la mancata menzione del suo progetto da parte di Kahn nel corso della conferenza. Altre fonti (Alison Smithson, Ciam Team 10, in “Architectural Design”, maggio 1960), riportano che Kahn arrivato a Otterlo durante un viaggio “di vacanza” in Europa non aveva con sé materiali illustrativi dei progetti. Vista l‟incertezza nella ricostruzione dei fatti qui ci si riferisce al solo dato certo attualmente acquisito che è costituito dal testo riportato nel catalogo. Comunque il progetto per Trenton bath di Kahn era stato pubblicato dalla rivista inglese “Architectural Review” nel maggio 1957. 158 La traduzione di thought con intelletto e feeling con sensibilità, se soddisfa quelle che sono le consuete accezioni di matrice filosofica, non rende la giusta evidenza al senso profondo di come si è intesa la frase riportata come titolo al capitolo così si è riportata in parallelo nel prosieguo del discorso la traduzione letterale con pensiero e sentimento. 159 La traduzione del sostantivo realization inteso nell‟accezione di Kahn deve essere riferito al contesto in cui l‟impiega: “Now realization, i think is thought and feeling together” (pag. 206), richiede ancor più cautela in quanto nel dialogo tra Kahn e van Eyck diviene il fulcro attorno cui ruota il confronto; esclusa da subito la traduzione con realizzazione che rinvia a un oggetto specifico e costituisce un false friends parziale codificato (vedi Virginia Browne, Odd pairs and false friends, Zanichelli, Bologna 1992), si è ritenuto di avvicinarsi al

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dell‟ordine: “this realization can be said to be a sense of order; a sense of the nature of sense”160.

E ancora nello sgombrare il campo da possibili ambigue

interpretazioni con „ordine‟ (orderliness) Kahn colloca la sua idea di ordine

come uno stato di comprensione riguardo alla volontà di esistenza imprimibile a un artefatto. Il ritorno sull‟esempio di Mozart chiarisce questa condizione di permanenza dello “order-sense” che consente di avvicinarci

alle questioni compositive, nelle possibilità di variazione del tema, e nella permanenza dell‟ordine del comporre, che tramite la comprensione stessa del suo ordine diviene facile nella sua esecuzione. La complessità del discorso di Kahn è dovuta all‟ampiezza dei temi che va a toccare e che porta alla luce. Abbiamo visto che una dimensione „sentimentale‟ era evidente in van Eyck così come aveva preso un grande spazio nel lavoro degli Smithson; resta comunque sino a ora una componente marginale, improvvisamente rivelata da questo discorso. Il termine su cui si pone l‟attenzione nel nuovo vocabolario proposto da Kahn è riferita alla sua idea di ordine, che contiene la comprensione di pensiero e sentimento, ma la sua idea di ordine viene riferita al senso dell‟ordine. Il senso per Kahn diviene un‟entità su cui articola e fonda il suo pensiero che svolge alla terza potenza “un senso dell‟ordine; il senso della natura del senso”; nello spessore semantico della parola senso potremmo già perderci in mille sentieri, ma dalla combinazione de “il senso della natura del senso” si apre un labirinto di significati inestricabile e infine si può richiamare la necessità dell‟ordinato solo per sfuggire a questa trappola.

La direzione in cui associare la ricerca del senso non va intesa su

di un piano orizzontale161, come i percorsi di un labirinto; l‟intenzione di Kahn va interpretata in senso verticale, nel tempo, verso un pensiero generatore che tramite la visione interiorizzata del tempo ricerca una matrice comune, lì dove sentimento e ragione ancora coesistono. La ricerca di una dimensione arcaica in cui recuperare i principi del fare presenta punti di contatto con possibili influssi „sentimentali‟ oltre che per

significato con il sostantivo –comprensione- seguendo la definizione del Oxford dictionary of English : an act of becoming fully aware of something as a fact. 160 Louis Kahn, CIAM ‟59 in Otterlo, op.cit., pag. 206 161 In questo caso la metafora viene svolta tra profondità e senso, in seguito si seguirà l‟idea che la realizzazione del senso si svolge sulla superficie (accettando anche di affrontare un labirinto).

la sua comune ispirazione di carattere umanistico perché l‟incertezza del futuro portava a scoprire in altri tempi e rivolgendosi a una “preform” (“Preform is archaic form”)162 gli scenari su cui muoversi. È problematico

interpretare le reazioni avvenute in seguito al discorso di Kahn, nel caso di van Eyck; essendo intercorsa una discussione alla conclusione, vi è un utile riscontro diretto e inoltre un modo di operare a tratti analogo, evidente nel medesimo campo di sperimentazioni tipologiche, riferito in particolare al progetto dello Jewish Center di Trenton e approfondito nel corso dell‟intervento di Otterlo tramite scelte metodologiche compatibili e confrontabili.

L‟influenza del catalogo dei lavori presentati a Otterlo, edito da

Oscar Newman, anche grazie l‟apprezzamento di Le Corbusier163, aveva fatto di questo libro un rilevante strumento di studio e quindi la sua influenza non è limitata all‟occasione del convegno e alla ristretta cerchia dei presenti. In particolare vi è un passaggio di Kahn che presenta l‟inizio di una riflessione di cui Candilis e Woods164 hanno colto la responsabilità di proseguire. Kahn, insistendo sul concetto della comprensione del fenomeno delle “cose” e di come queste vogliono essere, pone l‟esempio della strada nel centro della città165 che viene intesa come un edificio. Egli ripete ai suoi auditori “se tu veramente pensi cosa la strada voglia essere pensi a un edificio”, rafforzando la sua intuizione con la descrizione delle opportunità organizzative e delle caratteristiche spaziali. Ora questa asserzione sulla strada come edificio, se confrontata con gli esiti progettuali del concorso per il centro di Francoforte del 1962, potrebbe sostenere l‟interpretazione, che coincide con la motivazione alla base del progetto, nell‟inversione dei rapporti tra pieni e vuoti della città. A sostenere la tesi di un‟ispirazione di questo discorso di Kahn sull‟operato di Candilis e Woods, (l‟influenza più evidente sarà sul connazionale Woods) contribuiscono molte coincidenze, forse alcuni indizi trascurabili quali l‟esempio successivo del discorso di Kahn dove si rivela che l‟essenza di un auditorium è nell‟essere considerato uno strumento, e qui si sottolinea che la concezione di edificio come strumento diverrà uno dei principi

162 CIAM ‟59 in Otterlo, op.cit., pag. 212 163 Vedi lettera all‟editore [mat. 1.02.03b]. 164 Entrambi erano presenti a Otterlo. 165 Kahn menziona per prima Amsterdam, escludendola per via dei canali anche se non menziona esplicitamente la ragione, e poi città come Parigi, Roma, New York o Philadelphia.

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fondativi del progetto per la Berlin Free University. E altri che non sono più solo indizi, come il domandarsi che cos‟è il campus di un‟università, pone un pensiero pertinente alla condizione del raccogliersi in un luogo didattico, prima di volerne definire la forma, l‟organizzazione e il programma: “What is a campus of a unversity? Let‟s talk about it a little. It is a realm of spaces wich may be connected by ways of walking, and the walking is a protected kind of walking”166. L‟insieme di queste coincidenze portano a considerare l‟influsso del discorso di Kahn come rivelatore di una sua capacità intuitiva anche al di là delle affinità con le convinzioni metolodologiche e stilistiche di chi raccoglieva tali intuizioni. Le procedure che portano Candilis e Woods alle scelte progettuali per la Freie Universität si muovono nella direzione di interpretazione del programma e dei requisiti che Kahn aveva considerato, pertanto queste coincidenze potrebbero solo sviare, oppure ritenersi talmente generiche da consentire un facile reimpiego, o tutt‟al più rilevare un‟incongruenza tra intenti e metodo in Candilis e Woods. Se invece lette in termini dialettici potrebbero delineare l‟inizio del definirsi di un atteggiamento che stava emergendo dal confronto aperto tra componenti progettuali eterogenee, e in cui il discorso di Kahn può aver fornito alcuni termini di contrasto per far emergere le evoluzioni a venire.167

La conclusione del discorso di Kahn riprende il tema della porta già

sviluppato da van Eyck in chiave metaforica come il luogo di manifestazione delle differenze, ma arrivando a conclusioni diverse. Se per van Eyck questa apre alla necessità di riconoscere il valore dello

166 CIAM ‟59 in Otterlo, op.cit., pag. 212 167 Tale congettura costituisce un‟ipotesi interpretativa senza riscontri critici consolidati (per esempio la recente pubblicazione di Tom Avermaete Another Modern non considera l‟intervento di Kahn), qui acquista un suo peso, poiché si vuole verificare l‟attitudine del gruppo a misurarsi con ciò che era diverso dalla loro posizione, ma in evoluzione. Essa deriva dall‟aver interpretato nel corso del lavoro di analisi sul progetto di Francoforte la proposta progettuale come una strada costruita, quindi le parole di Kahn al proposito hanno attivato l‟ipotesi di una simile lettura dell‟evoluzione metodologica del lavoro del gruppo Candilis Josic e Woods in riferimento anche alla presentazione dell‟Orphanage. La dimostrazione dell‟imminente cambiamento dell‟elaborazione progettuale del gruppo si può facilmente riconoscere confrontando il progetto per Bagnols-sur-Cèze con la proposta per il concorso di Tolouse le Mirail, così come riconoscere la sostanziale continuità di approccio che si era confermata dagli anni dell‟esperienza in Marocco riferita alle proposte “Proposition pour un Habitat Evolutif”.

spazio di mezzo, in Kahn l‟enfasi veniva anticipata da una considerazione sulla necessità del limite all‟interno del dominio dell‟architettura: “And I Think you know this realm best when you can touch the walls of its limit – when you know you have reached the point where, when you go across the wall, you are in a different realm. When you are able to touch the limit of it – not the limitations, but the limits, knowing how far you can go – I think at that point you really understand the realm”168.

Le valutazioni di Kahn sulle potenzialità sviluppate dalla riflessione

sul senso profondo di un elemento, semplice come una porta, possono portare a realizzazioni che vanno ben oltre il problema di una porta. Oltre al suo apprezzamento per l‟intensità dell‟intenzione progettuale in van Eyck, Kahn esprime anche una sua attenzione alla città che lo porta a considerare come determinanti le caratteristiche dimensionali dei luoghi urbani. In questo modo, di fatto, Kahn evita l‟idea a cui van Eyck, tramite l‟omologia tra grande edificio e piccola città, aveva affidato il principio progettuale dell‟Orphanage, in quanto non riconosce il potere dei luoghi che vengono chiamati città riferiti a piccoli spazi. Le differenze tra van Eyck e Kahn, proprio perché sottese da condivisione del rapporto dell‟uomo con il suo tempo, offrono due illuminanti modelli per quanto riguarda la costruzione del procedimento progettuale. Per quanto Kahn offra l‟esempio della creazione artistica come un seme169 che cresce, il suo modo di intendere l‟architettura esclude esplicitamente influenze naturalistiche. La giraffa e il porcospino vogliono possedere quelle caratteristiche, l‟uomo tramite la forma come suo proprio dominio deve a sua volta interpretare prima, in analogia con il seme, la pre-forma dell‟edificio, ma ciò verrà espresso dalla forma, appartiene alla condizione intuitiva e in modo esclusivo al dominio creativo dell‟uomo. Non vi sono mediazioni, l‟intuizione artistica domina il processo e il programma viene inteso da Kahn come un ostacolo all‟emergere del principio d‟ordine che in-forma il progetto. La dialettica portata all‟estrema conseguenza da van Eyck nel considerare “the inbetween realm” come il luogo della conoscenza dei fenomeni reali, appunto l‟immagine della soglia della porta come posizione metodologica, definisce un quadro tramite il confronto con la poetica di

168 CIAM ‟59 in Otterlo, op.cit., pag. 231. 169 Visto il coinvolgimento critico di van Eyck con la dialettica in Hegel questa analogia del seme di Kahn avrebbe potuto fornire un rimando comune ad alcune pagine di Hegel, Introduzione alla storia della filosofia, Laterza, Roma-Bari 1982, pagg. 60-66.

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Kahn su cui far crescere anche una riflessione sulle differenze in termini di continenti culturali. Rettifiche

1.02.05

Il congresso di Otterlo, ponendo di fatto la parola fine all‟attività del CIAM, con code polemiche che vedono Bakema doverne sostenere la difesa, assume un ruolo nelle esposizioni della storia dell‟architettura come frattura, cesura tra due diversi periodi e su questi avvenimenti si condensano le tensioni che tali cambiamenti comportavano170. La distribuzione ai partecipanti del congresso di un pre-print della rivista olandese “Forum” curata dalla nuova direzione editoriale, di cui fanno ora parte van Eyck e Bakema, costituirà una sorta di testamento dei CIAM, anche se le intenzioni erano più che di interrompere un dialogo, di rifondarlo, a partire dal “pensiero di una nuova idea”. Le vicende del CIAM, soprattutto nei momenti preparatori del X Congresso, vedevano gli architetti impegnati nel definire strumenti di lavoro che consentissero una comunità di intenti e di verifiche collettive tra sviluppo disciplinare e questioni metodologiche e organizzative, per cui era difficile scindere le scelte operative e di metodo dal contesto complessivo. Questo spirito di sintesi e di avanzamento di una conoscenza condivisibile e trasmissibile rappresentata nelle “grid” vede modificare il suo ruolo all‟indomani di Dubrovnic, e il nome forgiato da Bakema “Group for research of social and visual inter-relationship”, per individuare la nuova formazione di lavoro riflette l‟intenzione di riconoscere ambiti di riflessione in cui il termine architettura viene ridefinito tra ricerca, da un lato sociale e dall‟altro visuale, delle interrelazioni.

170 Juergen Joedicke, in qualità di curatore del catalogo di CIAM ‟59 in Otterlo, ripercorre nel suo Storia dell‟ Architettura dal 1950 a oggi come il congresso di Otterlo abbia inciso dal punto di vista storiografico (ed. Ulrico Hoepli, Milano 1994 – prima edizione Karl Kramer Verlag, Zurich 1990). Il congresso di Otterlo si presta infatti a svolgere il ruolo di cartina-tornasole per quanto riguarda gli atteggiamenti della critica. Le diverse posizioni con cui vengono affrontate le discussioni che abbiamo riportato costituiscono i punti di partenza o di arrivo di posizioni culturali in architettura che hanno avuto un ampio influsso, così come viene analizzato da 0sterman e Dettingmeijer (L‟incontro di Otterlo, in Rassegna n.52, 1992, pag. 82.87). Il punto di vista di questo studio è distante da questo ordine di problemi, il tentativo che si è svolto di lettura di quegli episodi tramite i problemi come emergono dalle discussione lo si è svolto per evidenziare punti di contatto e di attrito per capire il contesto in cui si inseriva l‟Orphanage.

Il congresso si conclude con una risposta di van Eyck al discorso di

Kahn che viene dedicata alla considerazione dell‟architettura semplicemente come un‟arte, si collega così il pensiero di Kahn dell‟Existence-will, con l‟attività distinta dell‟uomo rispetto alla natura, la

condizione dell‟architetto come artista, non la super-arte come il dominio di tutte le arti e neanche la semi-arte riferita alla compromissione tra arte e tecnica, ma semplicemente un‟arte. Van Eyck raccoglie la lezione di Kahn affermando: “we know now that we never perceive until we conceive”171; è il processo creativo che è l‟obiettivo da cogliere, nel riconoscere l‟alchimia insita in tale ideazione, non come risolutivo di problemi di ordine sociale ma come una condizione necessaria. “A hitch in the process means a hitch in the product”172. La consequenzialità tra processo e prodotto compromette il perché e il dove e ciò avvicina il progettista alla comprensione delle esigenze dell‟uomo. Al tempo stesso il processo creativo non può essere inteso come la diligente sommatoria dei dati che investono il progetto. Ancora interviene in aiuto una metafora, suggerita da van Eyck, come il percorso creativo che il progetto comporta; infatti alcune componenti funzionali possono essere di ausilio, ma poi resta il momento della “realization” colmabile solo con un salto, e l‟assunzione del rischio che ciò comporta. Proseguendo con questa metafora173 il coraggio per spiccare il salto probabilmente derivava dalla consapevolezza dell‟energia accumulata, come in un campo magnetico, dalle combinazioni di forze con segno opposto e all‟interno del difficile dibattito di Otterlo l‟Orphanage può intendersi appunto come un emblema di questa volontà di sintesi successive. L‟intervento conclusivo di van Eyck ci offre così un quadro dell‟evoluzione del suo processo progettuale e al tempo stesso la valutazione diretta delle scelte tramite la costruzione dell‟Orphanage creando una possibilità di verifica tra intenti metodologici ed esiti compositivi utile da studiare.

L‟impulso che ancora riconosciamo nelle pagine trascritte dalle

registrazioni di Herman Haan durante il congresso vengono testimoniate da Rogers: “Da molto tempo non avevo assistito a un convegno dei CIAM

171 CIAM ‟59 in Otterlo, op.cit., pag. 216 172 Ibidem. 173 Si obietterà che la metafora non consente dilatazioni e che si tratta di un‟analogia, in questo caso si insiste sulla metafora poiché non si vuole instaurare una relazione di ritorno di significato.

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così appassionato, dovuto alla tensione di idee astratte verso polarità lontane, ma d‟altra parte non mi era mai capitato di vedere che per le disparità ideologiche e temperamentali non si riuscisse neppure a tentare delle sintesi provvisorie dalle quali lasciar scaturire una nuova dinamica di sforzi comuni”174. Lo spazio per la crescita di una conoscenza condivisa si stava infatti riducendo sempre più e le considerazioni di Rogers, oltre a registrare lo stato di stallo della ricerca di una sintesi comune, ne evidenziano la componente che alimenterà gli sviluppi futuri, nella “tensione di idee astratte verso polarità lontane”175.

174 Ernesto N. Rogers, I ciam al museo, “Casabella-continuità”, n. 232, ottobre 1959. 175 Ibidem.

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DIALOGHI COSTRUTTIVI Altre idee

1.03.01

La conclusione del congresso di Otterlo, con le polemiche e incomprensioni che ne derivarono176, modifica le modalità del confronto diretto proprio dei congressi, che si svolgeva in un ambito definito e con strumenti predisposti a ottimizzare la comparazione delle proposte progettuali. Tale confronto si trasferisce in parte sulle pagine delle riviste e in parte prosegue in un gruppo più ristretto, che condivide atteggiamenti comuni nel rifiutare condizionamenti di carattere “deterministico” e “funzionalista”177, perseguendo una visione “umanistica” dell‟architettura, oltre che per motivi di appartenenza generazionale178.

La rivista che subisce la trasformazione più evidente rispetto alle consuete caratteristiche editoriali è la olandese “Forum”179, che diviene il più diretto supporto alle nuove posizioni disciplinari; in particolare i numeri 6 e 7 del 1959, oltre a contenere un sunto delle principali determinazioni emerse nei congressi del CIAM, tramite un excursus, da La Sarraz fino a Dubrovnic, aprivano a una varietà di riflessioni trasmesse dalla dominanza di immagini prevalentemente „provocatorie‟. Gli argomenti posti in apertura riguardavano diversi aspetti della contemporaneità, dai nuovi mali del mondo a una risposta carica di speranza di Guy Débord sull‟urbanisme

176 La lettera di quattro fondatori del CIAM Sert, Gropius, Le Corbusier e Giedion del dicembre 1960, pubblicata su “Architectural Design”, gennaio 1961 (e in “Forum”) chiarisce il ruolo avuto dal congresso e le opportunità offerte dal 1953 alla nuova generazione a cui Bakema risponde, in “Architectural Desig”n, febbraio 1961, rinviando ad altri la responsabilità per l‟incerta fine dei CIAM. 177 Humanism e (anti-)determinism sono i termini che ricorrono con frequenza nei documenti mentre funzionalismo è una dizione generale, che in effetti potrebbe causare qualche incomprensione se letta sul lungo periodo; infatti verso la metà degli anni settanta vi fu nel team 10 un ritorno all‟uso del termine in accezione positiva. 178 Si è cercato di evitare di far coincidere le vicende del team 10 con il campo di ricerca; anche se i piani di contatto spesso coincidono, questa ricerca si rivolge alla definizione del tipo in studio e non alle vicende del gruppo. 179 Per un approfondimento sulla dinamica e gli orientamenti editoriali della rivista dal 1959 al 1963 si veda: Maristella Casciato, “Forum”: architettura e cultura nei primi anni Sessanta, in “Casabella” n. 606, 1993.

unitaire180 illustrata da una vista dal basso del modello di Constant con il soggetto di un Ambiance d’une ville future181. La nuova redazione della rivista propone un modo inedito di presentare le relazioni tra l‟individuo, la comunità e il proprio ambiente. Lo svolgimento per temi avviene tramite un‟organica relazione tra testi disposti „liberamente‟ e fotografie con un‟intensa carica emotiva, selezionate e disposte tra loro con un sorprendente effetto nello svelare reazioni emotive, che offrono uno dei più validi strumenti per intendere la poetica di van Eyck e la sensibilità umanistica182 che alimentava quel gruppo di architetti. I contributi presentati coinvolgono più discipline; una citazione da Franz Boas183 descrive l‟atteggiamento di interesse per l‟uomo, a prescindere dai limiti della cultura occidentale, che amplia il campo di ricerca sui modi di abitare in altre culture come patrimonio dell‟architetto. L‟oscillazione nella selezione dei testi è accompagnata da una pari apertura nella scelta delle immagini che li accompagnano e sostengono, oggetti d‟arte primitiva si alternano a scene di vita quotidiana espresse da modi alternativi di abitare. L‟intensità di alcune pagine offre una condizione di lettura anomala per una rivista di architettura, anche se già l‟obiettivo „storico‟ di “Forum” era rivolto a indagare i rapporti tra società e ambiente costruito. Un brano di Martin Buber tratto da Il problema dell’Uomo [mat. 1.03.01a] combinato con due immagini del villaggio Taos Pueblo venivano introdotti dal titolo Vers une casbah organisée184 [mat. 1.03.01b], e aprono verso una dimensione della riflessione che creava uno scarto con i parametri disciplinari del recente passato. Il termine che più marcava questa differenza e che riceveva i più aperti rifiuti, era il riferimento alla casbah, reazioni comunque

evidentemente ricercate e che andrebbero valutate nel contesto a cui si offrivano. Anche la precauzione di van Eyck di illustrare il concetto di casbah organisée presentando delle immagini di tutt‟altra provenienza

geografica, con l‟oceano Atlantico nel mezzo, probabilmente non ha ridotto la percezione della predominanza di casbah su organizzazione, rendendo stentatamente coglibile la condizione di equilibrio a cui l‟associazione dei due termini contrastanti ambiva. Ciò che rimane oggi di quella breve

180 “Forum”, n. 6, 1959, pag. 185 181 Ibidem 182 La mostra “The Family of Man”, come già accennato, può essere ritenuta precorritrice di tale tendenza. 183 “Forum”, n. 6, 1959, pag. 225. 184 Tale dizione compare anche a Otterlo come link per la presentazione di un progetto di Piet Blom.

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esperienza editoriale non consiste solo nel suo interesse storico, ma la combinazione di immagini e testi contengono, ancora oggi, una rara energia e una sua lettura può far intendere come sia tuttora di esempio per altre avventure editoriali. “Forum” all‟inizio degli anni sessanta, con la sua impostazione „umanistica‟, offre uno scenario vivace e profondo per intendere gli svolgimenti del processo di sensibilizzazione che una parte degli architetti e artisti olandesi „impegnati‟ si era assunta il compito di portare avanti. Lo sguardo sul mondo offerto da “Forum” è quindi per necessità e premeditatamente parziale e tendenzioso, così come i temi scelti per ciascun numero quali notte e giorno, la soglia, accentuano il carattere intensivo-riflessivo della ricerca. Nel panorama dell‟editoria, per raccogliere il senso del dibattito in corso, si dovrà inoltre tener conto di un‟altra rivista, “Le carré bleu”185. Con un formato anomalo, un pieghevole quadrato di cartoncino di piccole dimensioni (15 cm di lato), pur disponendo solo di alcune facciate, offrirà spazio a un rilevante dibattito che si focalizza sulla questione tipologica connessa alla tendenza emergente verso sistemi insediativi complessi, a prevalente sviluppo orizzontale. Il compito di divulgare su una base di ascolto più ampia le vicissitudini conclusive del CIAM e gli sviluppi in essere viene svolto principalmente da Alison Smithson tramite la rivista “Architectural Design”186. In particolare il numero di maggio del 1960, presentando gli esiti di Otterlo, delimita l‟illustrazione dei progetti a un gruppo team 10 che ora, oltre che per ragioni organizzative e di sintonia nel contrastare alcuni capisaldi teorici e di condividere intenti di ricerca teorica, si riconosce anche in alcuni esiti progettuali. Il progetto che apre la rassegna The work of Team 10 è

l‟Orphanage187 di van Eyck a cui segue un testo critico di Shadrach Woods dal titolo Stem188 che costituisce il suo primo rilevante intervento teorico, e

185 Data la rilevanza della pubblicazione di studi, progetti e critiche si intende questa rivista come un bollettino di guerra per la propaganda del tipo a matrice. 186 In questa fase per intendere la capacità di creare opinione sarebbe interessante verificare la tiratura delle tre riviste per intendere, analizzando la diffusione, la loro capacità di influenzare gli ambiti universitari e professionali. Anche senza questi dati si intende che la breve vita di “Forum” con parte dei testi in olandese non tradotti e il formato e contenuti di Le Carré Bleu ne facevano canali con un‟incisione modesta, rispetto ad “Architectural design”. 187 “Architectural Design”, maggio, 1960, pagg. 179, 180. 188 Ibidem, pag. 181.

in cui già si possono intendere i lineamenti di una visione di radicale trasformazione nella relazione tra edificio e città. Si imposta, con questo primo contributo di Woods una discrepanza tra due modi di intendere le relazioni con l‟ambiente189 che abbandona le motivazioni basate su questioni stilistiche o di forma, e si esprime per un rapporto dell‟uomo con lo spazio, riferito a una visione del tempo in continua accelerazione, per raggiungere un destino che può sfuggire.190 Così l‟esito della definizione di un gruppo ristretto di discussione non porta a una omogeneizzazione dei punti di vista, almeno sulle grandi questioni strategiche quali il rapporto con la tecnica e il progresso, anzi sembra che questa riconoscibilità esterna porti a una acutizzazione delle differenze. Per intendere i gradi dell‟evoluzione tipologica, dal sistema di aggregazione per parti dell‟Orphanage, che inaugura o meglio ripropone una scala d‟intervento complessa e compromessa tra città ed edificio, fino nel definire un organismo edilizio come un sistema di relazioni, si metteranno in campo più tentativi. Dapprima rivolti a contenere la complessità, propria dello spazio urbano, all‟interno di un unico elemento strutturante, per poi convergere verso un sistema aperto che prenderà la sua forza dall‟assenza della gerarchia, avvicinandosi sempre più al punto di partenza: la casbah191. Il periodo in cui maturano i nuovi motivi per la

critica alla struttura della città tradizionale e il momento in cui emergono le prime formulazioni progettuali per gli edifici a matrice è molto breve, ma l‟ampiezza delle oscillazioni e l‟enfasi posta agli aspetti metodologici consentono ugualmente di scandirne i passaggi fondamentali il cui esito sarà il progetto per la Freie Universität di Berlino.

189 La discrepanza non va intesa in termini assoluti ma rispetto al dibattito disciplinare in corso alla fine degli anni cinquanta. Se solo si torna indietro alle avanguardie del 1920 si ritrovano tali argomenti come dominanti ma con altri ordini di motivazioni. 190 Si ritornerà nella conclusione sul rapporto tra tempo e lavoro, opera dell‟uomo, riferendosi, per cogliere una distanza critica, in particolare al saggio di Mircea Eliade Homo faber e homo religiosus. 191 Il termine casba qui assume un significato più ampio di quello che individua il castello o la parte fortificata delle città del Nord Africa, ma richiama le caratteristiche morfologiche a grana fine e ultra-fine della Medina. Consultando i vocabolari nell‟Oxford dictionary troviamo il termine ancora associato a citadel quindi fortezza, nel Devoto-Oli 2007 si riporta il significato con cui anche all‟inizio degli anni sessanta si era trasformato il senso della parola araba. “La parte interna o fortificata di una città araba, nel senso comune: l‟insieme dei quartieri più vecchi, non europeizzati, delle città dell‟Africa nord-occidentale.”

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La sfera architettura-città 1.03.02

In Europa, con tempi e modi diversificati, la causa a cui si riconoscono maggiori responsabilità relativamente alle prime constatazioni di insuccesso a operare alla scala che le nuove esigenze insediative richiedevano è la relazione tra architettura e urbanistica. Il concetto di Habitat che dal dopoguerra viene introdotto per ricucire le relazioni nello spazio tra individuo e comunità, tramite la definizione dei rapporti organizzativi tra alloggio, unità residenziali e settori urbani, non sortisce effetti significativi, o almeno non aveva fornito soluzioni adeguate alla sfida che la dimensione dei fenomeni insediativi in atto stava offrendo. Le discipline che intervenivano nella trasformazione dello spazio costruito non potevano più essere tenute assieme solo dalle consolidate procedure riferibili alle modificazioni degli assetti fondiari, ma richiedevano, sempre più urgentemente, interventi residenziali coinvolgenti dimensioni non controllabili da questi strumenti192. Il sintomo della difficoltà di intervenire su tali dimensioni ha un suo esempio nel progetto di Candilis Josic e Woods per Bagnols sur Cèze. La costruzione, tra il 1956 e il 1960, di una parte di città, affiancata a una cittadina di origine medioevale, per ospitare gli addetti degli stabilimenti per la produzione di energia nucleare, offriva un contesto operativo orientato a interpretare e convivere a tutto-campo con le avanzate sfide tecnologiche [mat. 1.03.02a]. L‟importanza di questo intervento, che prevedeva di triplicare in quattro anni la popolazione residente nella cittadina adiacente, è dato non tanto negli esiti progettuali controllati con scrupolo, ma nell‟autocritica che la sua realizzazione ha suscitato nel gruppo di progettazione. Infatti alcuni degli elementi caratterizzanti l‟intervento per Bagnols sur Cèze, presentato da Candilis a Otterlo, verranno ripresi nell‟intervento di Shadrach Woods il quale, identificando i limiti di quell‟esperienza, rilancia verso integrate modalità di aggregazione di alloggio-strada-città che venivano offerte dall‟ampiezza della nuova dimensione insediativa. Infatti, si deve tener conto che la

192 Qui ci si riferisce dal punto di vista riconoscibile nelle posizioni culturali espresse nel dibattito disciplinare all‟inizio degli anni sessanta (vedi per esempio il capitolo Etnologie sociale: criticism, perspectives and alternatives; in Tom Avermaete, Another Modern, Nai Publishers, Rotterdam 2005) e non in seguito a una valutazione critica da oggi, per cui risulterebbe essenziale un confronto con gli studi di Aldo Rossi in particolare il capitolo 5. Problemi di classificazione, in L‟Architettura della Città, Clup, Milano 1978.

Francia193 in quegli anni, in seguito alla politica dei suoli intrapresa, offriva possibilità di sperimentazioni insediative a grande scala che al tempo stesso creavano la necessità di ampliare i confini progettuali.

Per intendere lo sviluppo delle relazioni tra architettura e urbanistica

un saggio di Giuseppe Samonà194 ci viene in aiuto osservando la situazione con un maggior stacco temporale per cogliere le ragioni per cui questa pratica separazione nel Movimento Moderno (prima degli anni trenta) non ostacolava l‟idea di unità urbanistica-architettura. “Il senso cartesiano rigoroso che animava allora i principi della composizione, consentiva che il disegno tipologico dell‟edificio e quello dell‟insieme urbanistico potessero essere elaborati separatamente, perché la loro integrazione sarebbe stata possibile senza contrasto, data la diffusa omogeneità di tutte le espressioni formali…”195 La crisi, nell‟analisi di Samonà, si apre negli anni cinquanta definendo il “divorzio tra l‟attività architettonica e quella urbanistica”196. Il modello dei modelli a cui Samonà perverrà “come momento spaziale insediativo della convergenza del fare architettonico e quello urbanistico …” riflette ancora nel 1974 la necessità di individuare una nuova dimensione di ricerca.

La ridefinizione dei rapporti tra architettura e urbanistica era, come si è visto, anche una dominante delle riflessioni in Olanda; van Eyck era intervenuto con l‟omologia della casa come piccola città e della città come grande casa, su cui tornerà con insistenza, non solo come metafora di un principio progettuale rivolto alla ricerca della “giusta misura”, ma soprattutto per confutare la separazione in due discipline del processo di realizzazione

193 L‟importanza delle condizioni operative del gruppo va inquadrata in riferimento alla politica abitativa e dei suoli che a sua volta era stata sostenuta da ricerche di etnologia sociale sulla condizione abitativa; si veda Another Modern, op.cit., pag. 202-206. 194 Questo saggio assai complesso prende in considerazione molti aspetti disciplinari; qui interessa mettere in luce la parte conclusiva dove Giuseppe Samonà produce una distinzione tra le condizioni operative delle due discipline tra gli anni trenta e cinquanta. Giuseppe Samonà, Introduzione, in Pasquale Lovero (a cura di), L‟unità Architettura – Urbanistica, Franco Angeli Editore, Milano 1975. Il titolo di questo paragrafo è ripreso dal testo di Samonà. 195 Ibidem, pag. 43. 196 Ibidem, pag. 44.

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dell‟Habitat197. Quello che va rilevato è che van Eyck non si limita a ricalibrare i rapporti tra le discipline, ma sostiene di negarne la separazione. Uno sguardo critico verso quei paradigmi pianificatori del Movimento Moderno è rivolto da Bakema tramite la lettura degli effetti dovuti alla loro applicazione, senza l‟adeguata consapevolezza delle interrelazioni ambientali necessarie alla vita quotidiana. Quindi una critica, non solo alle modalità di pianificazione, ma su un ambito più vasto, che considera i meccanismi di produzione della civiltà contemporanea. Un quadro definito di queste considerazioni si trova già in uno scritto precursore, in ambito architettonico, di queste istanze. Nel 1951, a Hoddesdon, il titolo assegnato da Tyrwhitt all‟intervento di Bakema Expression at the Core nella ultima bozza viene sostituito con Relationship between Men and Things, che racchiude il nucleo delle sue riflessioni per il

futuro. Già in questo scritto l‟attenzione è rivolta a comprendere il rapporto che la „società capitalista‟ impone tra gli uomini e le cose, tramite la comparazione delle relazioni tra lavoro, abitazione, mobilità così come è ancora possibile rilevare nella città medievale (olandese). Il discorso politico di Bakema è chiaro e inappuntabile: “This atmosphere was destroyed (Bakema si riferisce alla città medievale come modello trattando del core della città e dei valori che ancora riconosciamo come luoghi di aggregazione ai centri storici medievali198) by the development of technics. The master in the workshop become the owner of the machines. The relationship between him and his collaborators changed to one of owner and non-owner. The ethics of to own and to posses made people confuse about life. Things became more important than the relationship between them. In the town itself there was no longer a clear expression of the value of relationship”199. Riconosciuta la radice del pensiero di Bakema, relativo

al sistema di relazioni posto alla base delle sue riflessioni sulla città, architettura e urbanistica andavano congiuntamente a svolgere il ruolo di

197 CIAM ‟59 in Otterlo, op. cit., pag. 28. “We must also stop splitting the making of a habitat into two disciplines – architecture and urbanism. Why? That‟s a long story.” 198 Il discorso diviene complesso in quanto la comparazione di Bakema andrebbe sottoposta a una più attenta considerazione sui rapporti sociali nella città medievale, ma nel limite dell‟esempio offre sicuramente un quadro convincente; va poi considerato che all‟interno del CIAM infatti l‟esempio della città medievale non era poi così scontato. 199 Dattiloscritto, Jaap Bakema, 11 luglio 1951. “Expression of the core Relation between Men and Things”, Bakema Archive, Nai, Rotterdam; lo stesso testo verrà poi ripreso nel catalogo The Heart of the City, op. cit., pag. 68.

portare a una più approfondita conoscenza dell‟intera struttura della vita; si fa così strada la consapevolezza della necessità di rimuovere l‟isolamento delle singole componenti tecniche che intervenivano nelle decisioni pianificatorie. Il compito dell‟architetto-urbanista a cui Bakema ambisce ritorna a essere quello di operare con la forza dell‟immaginazione considerata come lo strumento universale dell‟architetto.

Sempre Bakema in un saggio del 1957 dal titolo Architecture by Planning / Planning by Architecture200 raccoglie le preoccupazioni sulla difficoltà di ricostruire rapporti di appartenenza nei nuovi nuclei residenziali, così come di evitare effetti di monotonia, e individua nella diversificazione dei tipi edilizi la soluzione per questi problemi. Lo strumento tipologico (oltre all‟immaginazione – lo strumento universale) in modo esplicito viene indicato come l‟intermediario tra urbanistica e architettura. Lo schema su cui inserisce la questione tipologica parte dal presupposto che la possibilità di comparare diversi stili di vita espressa dai tipi edilizi è andata perduta e aggiunge: “Comparison is essential to a democratic life”. Il filo del

ragionamento di Bakema acquista tensione in quanto comprende il tipo tra effetti sociali e intenti progettuali: “The variety of types…, is an essential part of the architectural expression and the relation between the types is of decisive influence on the development of each type in itself”201. L‟analisi di Bakema continua rilevando che questo terreno di mezzo deve essere coltivato responsabilmente da architetti e pianificatori, i quali pur restando figure autonome, condividono uno strumento che consente di operare cogliendo la giusta misura dell‟intervento202. La consapevolezza nell‟architetto-urbanista dell‟evoluzione della società lo pone a un bivio tra una direzione di maggior affinamento, di ricalibrazione, degli strumenti tipologici oppure, nella direzione di un nuovo approccio metodologico, nella progettazione delle relazioni tra edifici e spazi aperti della città contemporanea. Il cliente anonimo, intenti ed esiti

1.03.03 Il problema della pianificazione di nuove città in Olanda era prevalentemente associato al fatto che la nuova città o villaggio, a seconda

200 In “Architect‟s Year Book”, n. 8, 1957. pagg. 23-41. 201 Ibidem, pag. 25. 202 Nell‟attività di Candilis l‟intermediario tra le due scale d‟intervento sulla città era considerato il Plan masse.

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delle dimensioni, da circa mille alloggi a qualche decina di migliaia, a sua volta insisteva su di un nuovo suolo, Polder, ottenuto da superfici sottratte al mare; quindi ancor di più, la preoccupazione di definire ambienti urbani qualificati, in cui la comunità instaurasse un senso di appartenenza, era al centro delle preoccupazioni visto che il paesaggio poteva non offrire appigli significativi. Nella tavola introduttiva di van Eyck per Nagele, presentata a Dubrovnic, si raccoglieva questa necessità di interiorizzare la dimensione urbana espressa dal contorno di due figure di uomo e donna che si tengono per mano, la cui sagoma era stata riempita di immagini di città (e non solo). Per Bakema i progetti di nuovi insediamenti nei Polders costituiscono il “terreno di cultura” per le sperimentazioni e le verifiche di nuovi insediamenti residenziali, Alexander-polder, Pendrecht-polder, Kennemerland sono tra i principali interventi elaborati tra il 1953 e il 1959. Vi troviamo espressi con costanza i principi della differenziazione tipologica e della definizione di un nocciolo centrale, the core, come luogo

comunitario per le attrezzature collettive. Il rapporto tra le parti dell‟insediamento veniva verificato attribuendo estrema rilevanza alla visibilità e percepibilità delle singole componenti edilizie, singoli alloggi o attrezzature, a cui si riferiva ogni unità residenziale, così si definiva che “the eye is a sure measure of human scale”, concetto-guida definito con il nome visual group203. Anche il meticoloso lavoro compiuto in occasione del

congresso di Dubrovnic, per definire gli ambiti d‟intervento e il loro rapporto di scala, trova una possibile applicazione nel principio di visual group, così

come la caratterizzazione dell‟asse delle attrezzature diviene elemento strutturante degli interventi. Sono quindi riconoscibili negli esempi elencati dei principi progettuali e delle procedure organizzative con differenze che, per esempio, intervengono sull‟organizzazione disassata dell‟asse dei servizi così come nella selezione delle visuali da chiudere con l‟alternanza dei volumi edilizi, o nella densità delle singole unità residenziali, ma che complessivamente vanno viste all‟interno di una pratica insediativa in via di consolidamento. Nel 1962 in seguito a un incarico congiunto tra Bakema e van Eyck204 viene assegnata all‟inedito team la progettazione di un centro residenziale sperimentale di 1.500 alloggi a nord di Amsterdam. Le due diverse ipotesi progettuali per Buikslotermeer, che si confrontano nella

203 “Forum”, n. 7, 1959, pag. 219. 204 Sull‟intera vicenda e l‟aggiudicazione dell‟incarico al terzo componente del team si veda AvE the shape of relativity, op. cit., pag. 404

prima verifica, sono significative per comprendere l‟approccio di van Eyck alle problematiche del disegno urbano per il grande numero. I primi disegni205 di van Eyck non rinviano direttamente a forme costruite, piuttosto definiscono campi e tracciati; la relazione tra urbanistica e architettura si svolge nella ricerca di relazioni che coinvolgono il movimento nello spazio, una certa forma di ordine, ma rimangono figure astratte. Van Eyck si esprime attraverso un atteggiamento inclusivo delle problematiche organizzative e strutturanti senza coinvolgere la terza dimensione [mat. 1.03.03a]. Ciò che si evince dagli elaborati di studio è uno schema a rete, con una tendenza centripeta a spirale206 tanto dell‟insieme quanto dell‟organizzazione delle unità elementari. Dalla lettura degli elaborati non risulta possibile agganciare le componenti del disegno a tipi edilizi, mentre l‟organizzazione della mobilità e degli spazi aperti di relazione è evidente. Il riferimento, per analogia, ai modelli del progetto Noah‟s Ark, elaborati da Piet Blom pochi mesi prima, possono comunque fornire una traccia dello sviluppo tridimensionale del progetto urbano. La ricerca di van Eyck per una „disciplina configurativa‟, applicata alla costruzione della città per il grande numero, era l‟immagine di un luogo urbano immaginario, prossimo alle intenzioni progettuali della Casbah Organisèe, che conteneva già in sé i motivi del fallimento di ottenere un riconoscimento collettivo. Il dato da rilevare è che questo fallimento207 della „disciplina configurativa‟ nel misurarsi con il grande numero, con il sistema complesso della possibile nuova città, viene sancito dallo stesso autore. Vedremo come in questo periodo di transizione all‟inizio degli anni sessanta dubbi, entusiasmi e slittamenti portano alcuni architetti (Woods oltre van Eyck) a fare uso, abbastanza raro nell‟architettura, dell‟autocritica, e caso ancor più raro di constatare l‟impraticabilità dell‟incarico affidato.

Eliminata l‟opzione Casbah il progetto per Buikslotermeer208

procede assumendo l‟impianto planimetrico proposto da Bakema e

205 Ci si riferisce ai disegni a pastello esposti alla mostra Team 10 in search of a Utopia of the Present, Nai Rotterdam 2005; riportati nel catalogo Nai Publisher, Rotterdam 2005. 206 La distribuzione è simile all‟organizzazione della corte per il progetto di van Eyck del palazzo dei congressi di Gerusalemme. 207 Sostanzialmente su questo tema dal 1964 scenderanno in campo i variegati movimenti utopistici. 208Il valore dei differenti approcci compositivi presenti nelle due ipotesi verrà discusso ancora a Rotterdam nel 1974; vedi team 10 meetings, op.cit. pag. 139, „ricordando‟ il differente concetto di addizione messo in opera.

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Stockla, che consisteva inizialmente, secondo uno schema consolidato nelle precedenti esperienze, in un asse di attrezzature con innestate unità residenziali. L‟intervento di van Eyck sull‟assetto planimetrico di massima predisposto da Bakema, che nel frattempo aveva subito un considerevole ridimensionamento dell‟incarico209, mette in evidenza a scala urbana la procedura compositiva che aveva caratterizzato la ricerca di una „scala intermedia‟ nell‟Orphanage. Il confronto tra le due ipotesi conclusive (1963), formulate da Bakema e van Eyck, è istruttivo per intendere le potenzialità della „composizione per tipi‟, in quanto, prevedendo l‟utilizzo delle medesime quantità edilizie, distribuite in percentuali simili, sui medesimi tipi edilizi210 e organizzate entrambe su una maglia di riferimento ortogonale, mette in evidenza la differenza tra regole associative e „stile‟ compositivo. Il compito di van Eyck si svolge nel ri-calibrare le combinazioni spaziali con la ricerca di una fluidità e continuità dell‟insieme. Un obiettivo apprezzabile rispetto al rigore dello schema di Bakema che si articolava in unità visuali di cui le variazioni, più che costituire un disegno d‟insieme, sembravano preoccupate a rifuggire la monotonia della ripetizione di volumi sempre uguali. La monotonia veniva avvertita come una delle ragioni della perdita di identità delle nuove periferie, era un effetto di cui l‟intervento dell‟architetto ricerca la causa, investigando i processi formativi dei nuovi insediamenti residenziali, come se fossero un‟espressione tridimensionale del comportamento umano211. L‟autocritica dei progettisti (solo van Eyck) deriva dalla consapevolezza dello scarto, tra le potenzialità di intervenire nella realizzazione di un disegno d‟assieme, e degli strumenti a disposizione, come in “un‟esecuzione con due mani sinistra”212. Nella proposta di van Eyck, alcuni dei requisiti espressi da Bakema sono risolti con la doppia articolazione tra i volumi edilizi sfalsati e ortogonali tra loro e i percorsi organizzati su una linea a spezzata, che interviene sulla traccia segnata dalla diagonale. L‟insoddisfazione di van

209 Il dimezzamento delle residenze e l‟eliminazione di molte attrezzature. 210 Alcuni tipi erano stati ampliamente sperimentati per esempio la torre era stata realizzata da Bakema a Berlino in occasione dell‟Interbau 1957 all‟Hansa viertel. 211Un intervento che mette in luce le difficoltà del ruolo dell‟architetto nel definire il campo di azione all‟interno delle commissioni sullo sviluppo edilizio. Jaap Bakema, Architecture is the three-dimensional expression of human behaviour, in “Forum”, n. 3, vol. XV, 1960-61 212 AvE the shape of relativity, op.cit., pag. 404, Strauven riferisce degli esiti della conferenza stampa per la presentazione del progetto dove viene riportata questa metafora delle due sinistre; la medesima espressione viene usata già dal 1962 riferita alla difficoltà di affrontare il tema del grande numero.

Eyck si manifesta per la mancata integrazione del sistema, tra grande e piccolo e l‟evidenza della successione delle scale tra singola unità edilizia e disegno dell‟insieme, che una poetica della reciprocità suggeriva come obiettivo, ma che gli strumenti in uso, in particolare il planivolumetrico, non riuscivano a risolvere [mat. 1.03.03a].

Per intendere lo scarto tra intenti ed esiti registrato per il progetto

sperimentale di Buikslotermeer, si deve tener conto di un contributo di van Eyck apparso su “Forum” nel marzo del 1962. Qui si evince che la critica, e al tempo stesso la speranza di un‟identificazione della società con l‟ambiente costruito “the counterform of human association”213, deve partire da un altro approccio per definire il ruolo dell‟architetto e il riassetto delle discipline coinvolte nella trasformazione dello spazio fisico: “In order to accomplish the indispensable union of architecture and urbanism within a single discipline a severe revaluation of what really stand for is a preliminary prerequisite: for the sake of the task and its inherent limits”. Il paradosso rilevato da van Eyck sulla necessità di conoscere per quale società si costruisce, se la nuova città sarà la „cassaforma‟ della società, va inteso su un soggetto ancora più complesso e in trasformazione che non è più rappresentato da un re, un Papa ma da una moltitudine di utenti. Una scelta forte a favore della forma quella di van Eyck, mentre altre posizioni disciplinari contemporanee risolveranno questa dicotomia città-società contemplando la trasformazione, l‟adattabilità nel tempo della nuova città all‟esigenza della società. Van Eyck di contro accetta la realtà della trasmutazione dell‟artefatto come una spontanea conseguenza della vita nella città, cerca la soluzione a costo di rimandarne la scoperta alle generazioni a venire, rifiuta le tendenze “flexophile”214 e pone le aspettative

213 Aldo van Eyck, in “Forum”, n. 2, vol. XVI, febbraio-marzo 1962, pag. 79. Il termine counterform, richiede un approfondimento: è una parola composta; una riproposizione di counter-composition riferita alla forma. Come nel caso di figurativo e configurazione van Eyck lamenta la difficoltà nel linguaggio di trovare i termini aderenti ai concetti. Il caso di counterform non viene trattato in modo riconoscibile come in van Doesburg con il tratto tra le due parole ma fuso in un‟unica parola. Anche nell‟edizione olandese del testo si riporta „contravorm‟ come una parola unica. L‟interpretazione che qui si dà quindi non è relativa come controforma a una qualità opposta alla forma ma il calco di questa come a suggerire l‟uso della cassaforma per i getti del calcestruzzo. 214 Termine di origine incerta utilizzato da van Eyck a partire dal 1959-60, vedi Aldo van Eyck, The medicine of reciprocity tentatively illustrated, op.cit.

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della combinazione di architettura e urbanistica da risolvere nella “disciplina configurativa”

A tale disciplina van Eyck attribuisce l‟aspettativa tanto ambiziosa

quanto ampiamente condivisa di comprendere e rigenerare il significato e le relazioni di crescita della città, dalla scala dell‟abitazione, fino ai criteri di aggregazione delle parti di città. La potenzialità “trasfigurativa” implica un‟identità duratura e dinamica e la mancanza di questo potenziale comporta perdita di identità e paralisi; il problema per van Eyck non consiste nell‟assecondare le esigenze che la società manifesta a ogni variazione dei suoi rapporti interni, ma dei luoghi che accolgano, che diano forma alla società. Quindi viene rivolto un fermo rifiuto, tanto agli obiettivi totalitari nelle procedure pianificatorie, quanto verso gli atteggiamenti schiacciati sulle pretese risolutive della tecnica, di risolvere problemi che appartengono al dominio delle relazioni tra l‟uomo e l‟ambiente. L‟effetto di questo scritto come altri analoghi di van Eyck suggerisce anche una revisione radicale di luoghi comuni e consuetudini discorsive. È emblematica al proposito l‟esplicazione riferita alla coppia ordine-caos; con un atteggiamento non limitato a una generica pretesa di conciliazione degli opposti, ma reso necessario dalla consapevolezza della necessità del caos come elemento positivo quanto l‟ordine. È l‟associazione tra termini opposti che costituisce il quadro mentale su cui opera van Eyck, così la divisa “vers une casbah organisée” richiede un atteggiamento propositivo, rivolto a raccogliere del riferimento alle città antiche nord-africane quegli aspetti di integrazione che, soprattutto all‟indomani della guerra, offrivano ai visitatori occidentali una tensione vitale straordinaria.

Con il rischio, ora, di rendere banali problemi nodali nella

trasformazione dello spazio fisico possiamo, tramite il confronto tra l‟opera di van Eyck e Woods, individuare una linea di spartiacque che ci segnala il rapporto tra la società e il suo ambiente, “the counterform”, e gli effetti di reciproca influenza tra uomo e spazio costruito in funzione del tempo. Geddes aveva sostenuto la riflessione sulle interrelazioni, mostrando quanto l‟opera dell‟uomo incideva nelle modificazioni dell‟ambiente, e quanto l‟ambiente incide nella definizione dei caratteri delle comunità. Il confronto tra le posizioni disciplinari di Woods e van Eyck, al di là delle loro intenzioni, stimola una riflessione, suggerita dall‟avvicendarsi dei punti di vista sull‟intensità della modificazione che vogliamo o possiamo rivolgere al nostro ambiente e ciò che riceviamo dal prodotto delle nostre azioni sull‟ambiente. Partire dal riconoscimento degli effetti dell‟ambiente

sull‟uomo richiede, per intervenire nella trasformazione, di dotarsi di una lente riflettente che restituisca il piano d‟intervento dell‟architetto tra reale e immaginazione per un consolidamento e affinamento dei suoi strumenti. Di contro, ritroviamo affiancata a questa prima direzione, che si dirige alle radici della disciplina, una seconda scelta, di partire dalle potenzialità di modificazione dell‟uomo sul suo ambiente, di mettere in gioco i suoi strumenti in funzione dei bisogni e dei desideri, senza limitarsi alle condizioni che tali strumenti implicano.

The door to the future must be left open 1.03.04

Inversamente alla continuità operativa nella ricerca di van Eyck, Shadrach Woods, nel suo primo intervento teorico di rilievo, rovescia i principi sinora impiegati all‟interno del suo gruppo di progettazione. Dalle proposte presentate per l‟Habitat de plus gran nombre a Casablanca sino

al piano per Bagnols sur Cèze la ricerca progettuale del gruppo Candilis Josic Woods215 si riconosce principalmente per l‟interesse a definire il rapporto tra alloggio e unità edilizie. Le „proposizioni per un habitat evolutivo‟ si inseriscono nello studio dell‟alloggio alla ricerca degli standard ottimali occidentali; le questioni di carattere tecnologico e la suddivisone in elementi determinati e indeterminati raggiunge evidenza nelle soluzioni dell‟alloggio e le sue modalità di aggregazione per fornire il massimo grado di trasformabilità interna. I presupposti riguardanti l‟organizzazione della cellula di fatto non saranno modificati nelle esperienze successive al 1959, ciò che varia radicalmente sono i criteri di valutazione delle potenzialità di trasformazione alla scala insediativa. L‟esilità delle motivazioni e il profilo discreto nell‟esposizione del progetto per Bagnols sur Cèze216, utilizzato da Candilis a Otterlo, limitato a un‟attenta evidenziazione dei molti e rilevanti problemi climatici e idrogeologici, è distante dall‟apertura problematica riconoscibile nel progetto per Casablanca. Gli aspetti propositivi del progetto vengono contenuti in un generico riferimento all‟allineamento delle torri residenziali al campanile della città antica. Se confrontata con gli

Una proposizione di Woods tratta dall‟articolo Stem, in “Architectural Design”, n. 5, 1960, pag. 181. 215 Dal 1955 il gruppo comprende anche Alexis Josic tra i soci. 216 CIAM ‟59 in Otterlo, op.cit., pagg. 114-127. Sul versante teorico affiora nel finale un accenno alla questione della quarta dimensione che è una costante tematica del gruppo (ma soprattutto di Woods) per l‟interpretazione-traduzione delle esigenze della società contemporanea.

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sviluppi teorici a venire, la composta realizzazione dell‟ampliamento sud di Bagnols, completata nel 1961, rappresenta quasi uno stallo nell‟attività di ricerca del gruppo che si concentra prevalentemente alla scala edilizia e affronta quella urbana con un‟aspettativa limitata a evitare errori.

Solo pochi mesi dopo il congresso di Otterlo il tenore dell‟intervento

di Woods pubblicato su “Architectural Design” nel maggio del 1960 dal titolo Stem contiene già in nuce quegli elementi critici che porteranno a una

fase di marcata sperimentazione, per la definizione delle componenti del progetto urbano, riferita ai nuovi insediamenti per il grande numero. L‟ampiezza delle occasioni professionali che si offrivano in Francia consentivano, e premevano a loro volta, per affrontare i problemi della grande dimensione. Per esempio il concorso bandito nel 1960 dalla città di Tolouse per “una nuova idea”217 della nuova parte di città di 100.000 abitanti offriva un orizzonte di riflessione di grande momento. L‟elaborazione teorica del gruppo, per la definizione della strategia insediativa denominata “stem”, non sembra comunque emergere in prossimità di una specifica occasione professionale anche se a Tolouse trova la sua applicazione più evidente. Altre occasioni come il quartiere Herouville a Caen per 40.000 abitanti o Asua valley a Bilbao per 80.000 abitanti offrono condizioni di sperimentazione analoghe218. Le occasioni dei concorsi, quasi contemporanei, di Caen e di Tolouse e una riflessione sugli

217 Per una ricostruzione dell‟iter progettuale dal concorso alle principali realizzazioni si veda: Candilis Josic Woods, Geburt einer neuen Stadt, Karl Kraemer Verlag, Stuttgart 1975, per la vicenda della prima fase concorsuale vi sono alcune informazioni a pag. 14. 218 Woods in “the Man in the street” descrive i progetti di Caen e Bilbao come preliminari al progetto di Tolouse il quale sarebbe un “distillato” dei precedenti. Osservando le date dei concorsi risulta che la prima fase di Tolouse sia stata bandita il 15 settembre 1960 e conclusa nel novembre dello stesso anno, il progetto di questa prima fase (la seconda fase non era ancora stata assegnata) pubblicato su “Le Carre Bleu”, n. 3, 1961 presenta una planimetria con una conformazione già definita rispetto alla fase conclusiva iniziata nel giugno del 1961 e aggiudicato nel gennaio 1962; il concorso per New Caen risulta invece bandito nel settembre 1961 e ha avuto un‟elaborazione di due mesi; il concorso per Bilbao si è svolto nella primavera del 1962; questa verifica delle date dei concorsi comunque consente di definire che l‟elaborazione teorica di cui l‟articolo su “Architectural Design” di maggio 1960 non riguardava evidentemente alcuna di queste esperienze progettuali, quindi l‟ipotesi che si avanza è che sia emersa in seguito a un processo critico rivolto ai risultati dell‟esperienza di Bagnols.

esiti di Bagnols sembrano i riferimenti operativi su cui emergono le istanze di una modalità aggregativa ramificata. Una possibile suggestione nella definizione del termine stem potrebbe derivare dalla lettura de “il Modulor”

dove si afferma che “gli alberi, per esempio col loro tronco, i loro rami, le loro foglie e le loro nervature, mi dimostrano che le leggi di crescita e di combinazione possono e devono essere più ricche e sottili”. Quanto il rapporto di Le Corbusier con alberi, fusti rami e foglie possa aver influenzato i suoi ex collaboratori probabilmente non è più né dimostrabile né determinante, però se per esempio osserviamo, dalla collezione di oggetti di le Corbusier, il solido di vetro che ha immerso al suo interno un albero di corallo dalle sottilissime ramificazioni e riflettiamo sul commento che Le Corbusier vi associa “sense de l‟observation + sense de la trascription = sense de la creation”219, possiamo intravedere oltre alle potenzialità della metafora naturalistica l‟ambizione di trovare nuovi percorsi progettuali.

Questo primo scritto di Woods definisce la condizione di partenza

da superare, individuata nel formalismo, che al più può costituire la conclusione di un processo di aggregazione di carattere additivo, così la combinazione di “cells” può formare lastre, torri e blocchi che limitano a ragioni simboliche per la loro successiva organizzazione. La definizione di uno strumento che superi il carattere statico e non adatto allo sviluppo e cambiamento dell‟assetto planimetrico (plan masse), inteso come

distribuzione dei volumi sul piano, diviene una necessità che emerge, oltre che dalla dimensione dei nuovi interventi, anche dalle differenti accezioni di mobilità. “Mobility” è la parola chiave per trovare il punto di condivisione di un quadro di esigenze delle città nelle posizioni variegate del team 10. Mobilty in Woods viene specificata con diverse connotazioni e tra le altre

fissa il tema progettuale della differenziazione dei mezzi di trasporto in rapporto al tempo, in quanto la ritiene causa evidente dello sradicamento delle popolazioni urbane, e dalla rilevanza di queste e altre considerazioni deduce che: “Architects and planners are principally concerned with mobility…, as a diagnostic tool to new forms”220.

219 L‟oggetto era visibile in mostra a Ginevra in occasione di Le Corbusier ou la Synthèse des Arts, Musee Rath, Ginevra, marzo-agosto 2006. La citazione riportata su un foglietto dattiloscritto sovrastante. 220 Shadrach Woods, Stem, in “Architectural Design”, n. 5, 1960, pag. 181.

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Stem, non agita solo nuovi temi, ma recupera e sintetizza in modo

aperto i passaggi più rilevanti del dibattito disciplinare, dando un particolare rilievo alle considerazioni di Louis Kahn in rapporto a spazi serventi e spazi serviti; da ciò la sua proposta procede per estensione del procedimento acquisito di organizzazione dell‟alloggio dal nucleo (core) dei servizi al gruppo dei vani serviti (cluster) alla considerazione di estendere tale schema alla scala urbana secondo la seguente similitudine stem : cluster = cluster:core. Se ora torniamo alla definizione di Habitat vediamo come con

questo modello organizzativo la materia che tendono a plasmare sia sostanzialmente la medesima che veniva delimitata dal termine Habitat. La problematica che emerge, e definisce anche le dimensione in cui si prevede l‟estensione dell‟habitat, ora viene sempre più riferito alle modificazioni nel tempo. Parafrasando il riferimento di Peter Smithson rivolto a Geddes potremo affermare che in questo saggio risuona l‟eco di Ecochard. Invece un‟influenza evidente nel breve intervento dal titolo Stem non può non aver avuto il saggio del 1954 di Candillis L’esprit de plan de masse de l’habitat, Candilis affronta il rapporto tra pianificazione dei grandi

insediamenti residenziali e le soluzioni costruttive con uno strumento intermedio che consente di coordinare l‟attività dell‟urbanista con le opere dell‟architetto. Ora per Woods questo strumento non è più adeguato a far coincidere i bisogni futuri della società, in questo spazio di mediazione tra due attori della pratica insediativa. L‟intervento di Candilis viene superato nel tentativo di riconoscere l‟inefficacia della piano d‟assieme, ma tramite la sua descrizione delle potenzialità del “le plan masse sous forme de trame”221 Candilis fa già intravedere il traguardo successivo della ricerca progettuale del gruppo.

Per rimuovere l‟indeterminatezza di una definizione rivolta a una

sequenza di considerazioni autoreferenziali e arrivare al nucleo, alla sintesi delle intenzioni, Woods ritorna all‟immagine della strada che conclude l‟intervento “the idea of street is inherent in the idea of stem”222. Una reinterpretazione della strada quale principale componente del disegno urbano trasfigurata in guisa di ossatura di un complesso edilizio unitario. La mobilità è l‟elemento che domina le principali scelte progettuali, l‟elemento strutturante. Il percorso pedonale su cui si innestano gli elementi verticali delle residenze è il luogo della vita collettiva, sviluppato

221 Georges Candilis, L‟esprit de plan de masse de l‟habitat, in “L‟architecture d‟aujourd‟hui”, n. 57, 1954, pag. 1. 222 Stem, op.cit. pag. 181.

secondo un tracciato a spezzata aperta “open-ended,” che programmaticamente incrocia la viabilità carrabile, posta a una quota inferiore, solo nei punti di risalita. I villaggi illustrati da Erwin Gutkind, l‟immagine di riferimento posta da Woods per sostenere la scelta dello sviluppo lineare, con gli edifici allineati lungo la strada, è il punto di partenza, ma con la differenza che la dissociazione dei percorsi, carrabile e pedonale, ne riscatta le potenzialità di aggregazione sociale. Tali principi organizzativi sono resi evidenti in quattro schemi esplicativi per il progetto dell‟ampliamento della città di Caen che viene riconosciuto come il primo modello di studio della nuova proposta urbanistica223. La rete della viabilità pedonale, le aree parcheggio e gli elementi di collegamento verticale, la struttura dei quartieri e infine la spina principale dei percorsi con le attività collettive vengono dissociati in quattro distinti diagrammi, con caratteristiche grafiche assai diverse, riferiti a distinti requisiti che si richiedevano alla nuova città [mat. 1.03.04a]. La differenza sostanziale con il progetto contemporaneo di Tolouse, oltre ovviamente al fatto che Tolouse verrà parzialmente realizzata, sta nella materializzazione dell‟artefatto strada che in Caen rimane un disegno a terra attorno cui si aggregano le attività collettive, mentre a Tolouse diviene edificio [mat. 1.03.04b,c].

Pur con tutti i distinguo spaziali e formali rispetto alla strada, questa

struttura unidirezionale, nelle intenzioni di Woods, cerca di recuperare il ruolo “archetipo” di spazio collettivo che era stato prima messo in dubbio dalla Carta di Atene e poi sacrificato all‟uso dell‟automobile. Il progetto ZUP224 Tolouse-Le Mirail costituisce un passaggio obbligato per comprendere l‟intensità e le motivazioni con cui poteva venire affrontata, almeno in Francia, l‟emergenza residenziale non in termini di esigenze legate esclusivamente alla ricostruzione postbellica225, ma per la ricerca di nuove modalità di aggregazione sociale. La sfida che questa nuova città rappresenta non riguarda la sua architettura, a cui da subito i progettisti realizzano che non avrebbero potuto assegnare un ruolo decisivo, ma riconoscono nella definizione delle relazioni tra le parti e in particolare dell‟elemento che le integra il punto su cui fare leva per controllare il

223 Ibidem, confrona con la ricostruzione cronologica delle proposte di concorso del 1960-61. 224 ZUP (Zone à Urbaniser Prioritiare). 225 La città di Tolouse non aveva subito bombardamenti rilevanti durante la seconda guerra mondiale.

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processo costruttivo di crescita. Il sistema di relazione tra le parti, la struttura, diviene la spina dorsale del progetto, e le suggestive forme che la rappresentano non rimandano immediatamente alle forme convenzionali di rappresentazione. La planimetria che mostra assieme la città antica e la nuova presenta, nell‟inversione dell‟uso del nero per campire l‟edificato nella città antica e gli spazi pubblici costruiti nella città nuova, un accorgimento grafico che è rivelatore dell‟intenzione determinante per il progetto. La suggestione trasmessa da Louis Kahn della strada intesa come un edificio che Candilis, ma soprattutto Woods, avevano raccolto nel discorso di Otterlo viene elaborata probabilmente al di là della stessa aspettativa di Kahn226: “That is a very important thing to realize about a street in the middle of a town, because it is really a contour, it is really a level, and it really is a building”227. [mat. 1.03.04b].

La forma organica, ramificata e tentacolare, che deriva dal disegno

degli spazi collettivi, di fatto, i percorsi pedonali in quota228, presenta un‟espressionistica incisività e la combinazione con l‟equivalente dimensione, prevalentemente piena, della città aumenta ancor di più l‟effetto di suggestione sulle potenzialità di un disegno e di un principio organizzativo che nella sua realizzazione, oltre alle inevitabili variazioni di percorso, ha trovato una progressiva disaffezione nei suoi fruitori229. La difficoltà nell‟ottenere la mescolanza funzionale auspicata che avrebbe dovuto creare l‟attività necessaria alla vita degli spazi pubblici per ragioni “burocratiche”, come osserva Candilis, ha creato un insediamento con un carattere ambientale carente rispetto alle aspettative progettuali. La “nuova idea” che era l‟aspettativa del promotore politico dell‟iniziativa è stata realizzata e ponendo a confronto le dieci ipotesi progettuali presentate per

226 E certamente non con quel linguaggio, comunque la relazione sembra abbastanza solida sebbene, ovviamente, non oggettivamente dimostrabile e richiede di congelare le questioni stilistiche. 227 Intervento di Louis Kahn a Otterlo in CIAM „59 in Otterlo, op.cit., pag. 206. 228 Un suggerimento forse anche non direttamente conscio di una situazione urbana simile a quella proposta a Toulouse potrebbe essere riferito al percorso in quota che caratterizza il perimetro della città di Derry (ora London Derry) che Woods, avendo studiato a Dublino, probabilmente aveva avuto modo di frequentare. 229 Non di rado i casi di protesta dell‟autunno-primavera 2005-06 hanno proprio Le Mirail come teatro di scontri. Vedi Stephen Bayley, Notes & Theories: France is burning and architecture lit the match, in “Independent on Sunday”, 20 novembre 2005.

la seconda fase del concorso230 sicuramente era quella che poteva esporre nel modo più convincente le aspettative del promotore di una speranza di avvenire. La planimetria ramificata è divenuta l‟icona, prestandosi a interpretazioni „epidermiche‟ “the fantasy of organic growth”231, quanto a suggerire una lettura che radica un tale atteggiamento progettuale, basato sulla gerarchia delle componenti organizzative come esemplare di un approccio di matrice strutturalista. Città e società, trasformazioni reciproche

1.03.05

Le ipotesi progettuali per i nuovi interventi urbani per il grande numero, prodotti all‟inizio degli anni sessanta dal gruppo Candilis Josic Wood, e l‟elaborazione teorica e didattica di van Eyck, trovandosi agli antipodi del fronte disciplinare, ma coinvolti all‟interno del medesimo dibattito, esprimono in modo esemplare l‟ampiezza delle oscillazioni che era implicata nell‟operare alla grande scala dei nuovi insediamenti residenziali e la sfida che questi offrivano. La base comune di atteggiamenti progettuali, così diversi ma dialetticamente legati tra loro, consisteva nella consapevolezza che la forma delle nuove parti di città non poteva che riflettere desideri e bisogni della società. Nel dibattito articolato e concitato nell‟arco di tre anni (1959-62) si sviluppa una intensa produzione teorica e progettuale, quindi pur affrontati da punti di vista diversi, l‟Orphanage e la BFU intercettano entrambi il problema fondamentale della difficoltà nell‟interpretare i bisogni di una società in cambiamento. Questa condizione di difficoltà di interpretazione emerge in modo evidente, poiché allo stesso momento vi era una pressante necessità di alloggi. L‟incrocio tra una domanda insediativa straordinaria e la difficoltà di traduzione di questi bisogni da parte degli ambienti

230 “L‟architecture d‟aujourd‟hui”, n. 101, 1962. Nel medesimo numero della rivista vengono pubblicate le immagini dei cantieri di Chandigarh e Brasilia in fase di conclusione. I progetti di Candilis Josic Woods Per Toulouse, Caen e amburgo sono introdotti da un intervento di Candilis dal titolo A la recherche d‟une structure urbane. [mat. 1.03.04d] 231 In Collage-city, Colin Rowe (e Frederick Koetter) utilizza la stessa immagine due volte, a pag. 41 e a pag. 100: in quest‟ultima riporta la didascalia “the fantasy of organic growth”, che se contrapposta secondo il suo metodo (questa volta non in modo esplicito) alla planimetria dell‟insediamento romano di Timga in Algeria, sicuramente può avere una sua “superficiale” ragionevolezza, ma se invece la fantasia viene riferita ai procedimenti progettuali di Candilis Josic Woods questa affermazione rappresenta una mera provocazione.

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professionali più sensibili e impegnati produce una biforcazione tra due atteggiamenti possibili.

Nell‟invito all‟incontro di Abbaye de Royamount232, volendo coinvolgere progettisti interessati a “to build towards a community structure”, vengono chiaramente identificate queste due possibili tendenze: la prima consiste in un sistema di sviluppo progressivo in cui la forma definitiva non viene completamente anticipata e l‟altra è una condizione di partenza opposta in cui l‟idea di una forma precostituita indirizza tutte le componenti progettuali. La posizione di van Eyck può essere identificata come l‟ala estrema di questa seconda tendenza “formalista”, che viene esemplificata da il progetto di Maki per Shinjuku233, ma anche il piano per la baia di Tokio di Kenzo Tange. La “natura statica della megastruttura” aveva quindi raccolto l‟interesse di van Eyck, mentre i progetti di Candilis Josic Woods per Tolouse e Caen saranno la dimostrazione dei risultati dell‟applicazione di un sistema organizzativo a definizioni progressive [mat. 1.03.05b]. Il tema del convegno verrà individuato dal titolo proposto dagli Smithson: “reciprocal urban infra-structure / building group concept”234, che sancisce le due linee di ricerca a cui si riconosce un punto di partenza comune come sistema di comunicazione ma che esprime un interrogativo su: “What is less clear is how to sustain this building organization potential in the actual building group in the infil(l) of the infra-structure”235. Il cambiamento, ancor più dello sviluppo, costituisce un parametro determinante con cui la società pone la sua sfida alla capacità di

232 Una lettera del luglio 1961 intestata team 10 invitava una serie di architetti, la cui lista subirà varie integrazioni, a un incontro a Otterlo per il settembre 1962 a illustrare progetti che: “…demonstrate those techniques and that language you are developing to come to the point where „to build „ also means to build towards a community structure”. Fondo De Carlo, AP-IUAV, Venezia. 233 “This is to conceive a form in relationship to an everchanging whole and its parts. This is also an attempt to express the energy and sweat of millions of people in Tokyo, of the breath of life and poetry of living.” Conclusione alla presentazione del progetto in Investigations in Collective Form, op.cit. pag. 59. 234 Lettera di Bakema del 14.05.1962; Bakema archive, Nai, Rotterdam; parte del testo dell‟invito viene riportato in team10 meetings, op.cit. pag. 37, indicandolo come testo prodotto dagli Smithson, sulla lettera di Bakema l‟attribuzione agli Smithson è relativa al solo titolo, quindi viene riportata in team 10 out of ciam, op.cit. pag.85. 235 Ibidem.

trasformazione che il progresso tecnologico rendeva possibile. Un esempio sulla difficoltà di interpretazione del futuro, ma al tempo stesso la necessità di considerare profonde trasformazioni come immediatamente prossime. Le attività di carattere collettivo, rispetto a quelle di ciascun gruppo familiare, riflettono due modalità di trasformazione a cui conseguono tempi diversi. Van Eyck nell‟analizzare il piano per la baia di Tokyo di Kenzo Tange236, riletto seguendo il punto di vista di Fumihiko Maki237, pone l‟attenzione sulle costruzioni a grande scala dei servizi collettivi che comportano un ciclo di vita più lungo rispetto a quello degli spazi per le attività quotidiane che implicano trasformazioni in un tempo più breve. Vengono così riconosciuti i due estremi conflittuali delle strutture per la mobilità e le attività individuali, che per i sempre crescenti e differenziati bisogni individuali richiedono di interpretare le due diverse velocità del cambiamento. La soluzione è rivolta verso una “master form”238 che possa sostenere ogni nuovo stato di equilibrio e conservare una consistenza visuale e un senso di ordine continuativo. Il cambiamento viene interpretato come necessaria libertà che si esprime nella possibilità di modificare l‟ambiente riferita alle scelte del singolo individuo, conservando uno sguardo attento sul destino dello spazio urbano239 e la permanenza dei suoi caratteri. In riferimento alla definizione di “reciprocal urban infra-structure” e dalla posizione in cui possiamo identificare il lavoro di Woods si ritiene che i processi economici di massa non consentano più la consueta stratificazione delle opere nella città ma provochino un cambiamento continuo. La mobilità e il rapido modificarsi delle condizioni di vita viene

236 Kenzo Tange era presente a Otterlo con la presentazione del progetto del Municipio di Tokio. Nello stesso anno aveva sviluppato in un corso tenuto al MIT un progetto didattico per una comunità di 25.000 abitanti che per la sua conformazione planimetrica “aperta e chiusa” e per l‟organizzazione “caleidoscopica” della sezione segnava una caratteristica comunità d‟intenti tra Tange e van Eyck. MIT Community for 25,000, in “Progressive Architecture”, ottobre 1964, pag. 166. [mat. 1.03.05a] 237 Le riflessioni comuni di Maki e van Eyck sulla possibilità di conciliare composizione e grande numero verranno argomentate successivamente, per ora è significativo tenere presente la collaborazione tra i due in considerazione dell‟attività didattica svolta da van Eyck alla Washington University nel 1961. 238 Testo ripreso da Aldo van Eyck, Steps toward a configurative discipline, in “Forum”, n.2 vol. XVI, 1962, pag. 90. 239 Non la città tradizionale ma gli esiti delle nuove proposte.

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avvertito come un processo non alterabile che richiede di essere interpretato sino in fondo. In particolare Woods ritiene che la vita degli edifici venga resa obsoleta con una tale rapidità che viene promossa non tanto la flessibilità del singolo alloggio, quanto il rendere flessibile la struttura che sostiene il complesso urbano. In questo caso la vita dell‟alloggio, individuata in una generazione, diviene più consistente nel tempo delle trasformazioni dell‟ambito collettivo che acquistano la velocità di cinque-dieci anni. Si perde quindi il punto di vista rispetto all‟individuazione della sfera individuale e collettiva dei due diversi gradi decrescenti delle potenzialità di cambiamento suggeriti nell‟ipotesi della master-form. Il rovesciamento della posizione anzi esprime in modo emblematico il senso dell‟urgenza del cambiamento e lo sviluppo di una nuova strategia adatta alle trasformazioni economiche e sociali in essere o quanto meno secondo l‟interpretazione che i tempi e la loro sensibilità suggerivano. Un atteggiamento così aperto e problematico rispetto alle prospettive a venire non deve essere confuso con una illimitata fiducia nel progresso; la questione precede la distinzione tra bene e male, la funzione dell‟arte è produrre cambiamento e così Woods “…may appear to equate change with good; such is not my intentions. I equate change with life : the principle of life is change”240. Nel corso degli anni a venire, fino al 1973, Woods conserva e anzi vede radicarsi le proprie convinzioni riguardo al sistema di sviluppo lineare per i nuovi insediamenti urbani che stiamo osservando. In The Man in the Street, il libro conclusivo della sua attività

progettuale, Woods, trasformando il suo sguardo di attesa nel futuro in un amaro e per alcuni versi premonitore appello ecologico241, interviene sulle critiche pubbliche e politiche rivolte all‟intervento di Tolouse le Mirail. Così come Candilis anche Woods imputa l‟assenza di carattere dei quartieri suburbani delle grandi città alla mono-funzionalità residenziale di aree che se forse inseguono il “sogno borghese della mini-villa o micro-castello” non assumono una propria identità. La soluzione di intervenire con strutture urbane adattabili, dinamiche e non-monumentali, alla luce degli sviluppi edilizi intercorsi in dieci anni, convalida la scelta di partenza e riferendosi

240 Da una lezione tenuta nel 1963 alla Washington University di St. Louis . 241 L‟ultima pagina riporta un inserto pubblicitario sul World Trade Center di New York associato a una fotografia di una miniera di rame a cielo aperto in Katanga, riconoscendo il pericolo che tali squilibri ambientali possano arrecare all‟uomo. Shadrach Woods, The Man in the Street, pagg. 222,223.

specificamente a Tolouse le Mirail, luogo di sperimentazione di questa teoria, riconosce che malgrado lo sforzo compiuto nel mescolare attività artigianali e produttive a quelle residenziali, non sia stato attuato un „habitat organicamente integrato‟ a causa di un dispositivo di zoning che ha

operato per la segregazione residenziale anziché per l‟integrazione così da compromettere (failure) il risultato definitivo242. La tensione ideale di connettere la società e le sue esigenze con lo spazio fisico che la contiene richiede una sensibilità di interpretazione e conoscenza, ma, soprattutto, un orientamento culturale di cui troviamo le radici nella proposizione che Woods riprenderà da Le Corbusier “utopia non è mai nient‟altro che la realtà di domani”243 ma che si era accresciuta di un‟interpretazione della società dalle teorie di Henry Lefevre. La rinuncia all‟attraente richiamo della geometria, di cui Woods richiama Palmanova e le Saline di Chaux de Fonds come esempi, corrisponde all‟individuazione di un compito irrinunciabile che è l‟interpretazione della forma della società: “The shape of society is blurred, and the shapes of society‟s cities cannot be established on any basis of formal composition” 244. La vocazione sociale che contraddistingue l‟operato di Woods si manifesta in termini chiari e forti nella sua presa di posizione sugli sviluppi che alcune correnti innestatesi sul ceppo megastrutturale avevano fatto dell‟utopia un mezzo di provocazione progettuale fine a se stesso. Il mondo di “(pseudo)science-fiction” creato dalle nuove generazioni di architetti e urbanisti viene visto da Woods all‟inizio degli anni settanta come i „servi di un regime oppressivo‟ che proponendo alternative irrealizzabili sviano l‟attenzione sui problemi reali della società. Qui non serve dare nomi ai protagonisti della desolazione inspirata da “paraphernalia of moonshoots and war machines”245 ma è rilevante come emerge in Woods il senso della responsabilità di intervenire sulla trasformazione urbana e di salvaguardare

242 The Man in the Street, op.cit., pag 166-168 243 Il Modulor, op.cit. pag. 125; Woods riporta solo una parte della frase di Le Corbusier, la seconda altrettanto importante è omessa probabilmente perché riguarda il passato. Oggi l‟impressione più stimolante della „sentenza‟ di Le Corbusier consiste non nel rivolgersi al passato o al futuro ma nel tenerli assieme tramite il concetto di utopia: “È bene saper che l‟utopia non è mai nient‟altro che la realtà di domani e che la realtà di oggi era l‟utopia di ieri”. 244 The Man in the Street, op.cit., pag 174 245 The Man in the Street, op.cit.

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l‟utopia all‟interno della dimensione della speranza246 che si era cercato di arginare nel presente e nella realtà.247

Il dattiloscritto di Clarissa Woods 1.03.06

Oltre alle relazioni che si possono riconoscere nella maturazione dei temi progettuali in altre aree culturali con parentele e affiliazioni, all‟interno del team 10 si sviluppa nel corso del 1962 un dibattito, che se all‟apparenza sembra risolto in contrasti inconciliabili, sarà invece l‟occasione per rilevanti revisioni disciplinari. La sbobinatura degli incontri di Abbey Royamount da parte di Clarissa Woods ci fornisce un materiale utile per mettere a fuoco i termini del confronto tra van Eyck e Woods. Il ponderoso documento restituisce in modi ravvicinati il clima di questo confronto e una testimonianza della capacità argomentativa di van Eyck. L‟ipotesi che si avanza consiste nel ricercare, oltre le polemiche, i punti di riflessione che l‟esposizione di van Eyck può avere portato a Woods per proseguire l‟elaborazione del sistema lineare a una riconsiderazione verso una struttura non-gerarchica che si evolverà in un sistema ambientale con

246 Nel saggio di Manfredo Tafuri scritto nel 1966 La nuova dimensione urbana e la funzione dell‟utopia, in “L‟Architettura”, n. 124, 1966, oltre a un‟organizzazione critica delle tendenze riconducibili ai progettisti che si muovevano sul terreno della grande dimensione si trova nel finale il modo di riconoscere un affine senso di responsabilità: “Fra una realtà tuttavia, che non sembra permettere illusioni o speranze non accompagnate da drammatiche volontà di resistenza e l‟evasione del tormentato sogno colmo di simboli, propria delle utopie presenti, l‟architettura moderna potrà di nuovo trovare un suo percorso positivo solo con uno spietato atto critico, che si riconduca alla matrice prima dell‟atto stesso di progettazione: che è, da sempre, costruzione di realtà fatte per gli uomini del presente, come contributo insostituibile alla secolare ricerca del senso della storia”. 247 “Utopia della realtà” viene richiamata da E.N. Rogers e “Utopia del presente” ricorre in più autori del team 10. Il dattiloscritto consiste nella sbobinatura eseguita da Clarissa Woods (moglie di Shadrach) dalla registrazione del convegno tenuto nel settembre 1962 ad Abbey Royamount. La vicenda, abbastanza complessa, della scomparsa e riapparizione del dattiloscritto è descritta da Alison Smithson in team 10 meetings (op.cit., pag. 37). Attualmente vi è una copia presso Nai Rotterdam nell‟archivio di Jaap Bakema e una seconda copia nell‟archivio di Alison e Peter Smithson che recentemente è stato portato anch‟esso all‟istituto di Rotterdam. Le parti di testo riprese dal manoscritto vengono segnate come riferimento dalla sigla „CW‟

un grado superiore di complessità rispetto al sistema lineare, denominato “Web”.

Per riuscire a trovare un possibile contesto a questa seconda fase

di elaborazione teorica, successiva al sistema lineare, si proverà a prendere in considerazione l‟input che la trattazione di van Eyck a Royamount può aver contribuito a sollecitare come orizzonte problematico, ferma ovviamente la distanza siderale che contraddistingueva molte convinzioni e prima tra tutte il rapporto tra tempo e spazio nelle rispettive posizioni culturali. Si ritrova d‟altronde nella prima applicazione progettuale di Candilis Josic Woods sulle quali è stata sperimentata questa trama insediativa, nel centro commerciale di Le Mirail, un‟organizzazione interna che a tratti ricorda l‟organizzazione spaziale interna dell‟Orphanage, così come il precedente progetto per la scuola di Ginevra presenta alcune significative analogie nell‟articolazione dei volumi con la scuola a Nagele di van Eyck [mat.1.03.06a]. Comunque le interferenze progettuali sono solo un indizio di un confronto che era in corso e che trova nella critica di van Eyck al sistema stem il suo terreno di confronto.

L‟incontro di Royamount vede il gruppo Candilis Josic Woods come

rappresentanti di uno straordinario successo professionale, vincitori del concorso per Tolouse Le Mirail e impegnati nell‟attività legata all‟Operation Million per la realizzazione in Francia di oltre 10.000 alloggi in circa 60

diversi interventi nel periodo compreso tra il 1955 e 1962. La situazione paradossale per un verso, ma suggestiva e ironica, della presentazione di van Eyck che interviene al convegno con l‟elaborazione progettuale di uno studente248 del suo corso all‟Accademia d‟arte di Amsterdam, rende oggi una condizione di disponibilità a un dialogo aperto su più fronti; quello su cui van Eyck si posizionava era irrevocabilmente il fronte poetico. Woods nel suo intervento propone il progetto per Val d‟Asua a Bilbao e Candilis presenta Tolouse Le Mirail, due grandi sfide complesse e con enormi conseguenze sociali; van Eyck presenta il progetto di uno studente, che

248 Piet Blom di cui aveva presentato già un progetto a Otterlo nel 1959 quando era iscritto al primo anno dell‟Accademia d‟arte di Amsterdam. I progetti degli studenti predisposti per la presentazione erano due ma van Eyck riferirà solo del lavoro di Blom Noah‟s Ark, il secondo progetto “Under milk wood” di Hans Tupker non verrà presentato probabilmente per le reazioni negative che aveva suscitato il primo progetto. Vedi Dirk van Heuvel, Madeleine Steigenga, Jaap van Triest, lessons: tupker/risselada, Sun, Amsterdam-The Hague 2002, pag. 18.

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per quanto affascinato dalla complessità della riflessione che propone, lo porta a concentrare la sua attenzione più sullo spazio mentale da investigare che sugli esiti progettuali trasmissibili. La sostanza a cui si riferiscono consiste da un lato nella mente artisticamente intricata di uno studente e dall‟altro a una nuova città ipertrofica per 100.000 abitanti, quindi punti di vista posti a una distanza siderale ma convergenti sul problema della ricerca di modalità di aggregazione per il grande numero rivolte in una dimensione „umana‟.

Il discorso di van Eyck inizia ponendo la base del suo pensiero in

architettura ripetendo la „storia‟ della casa come piccola città e della città come grande casa; la consapevole ambiguità di questa immagine viene ricercata, poiché porta in superficie la simultaneità di fatti altrimenti non percepibili249. Accogliere “l‟ambiguità che non rende invisibile ciò che già è là” è un‟apertura del discorso che innerva l‟attenzione dell‟ascoltatore che al tempo stesso viene portato da van Eyck sul fronte del senso di trovare quel luogo di mezzo, dove non vi è esclusione, dove un uomo può incontrare un altro uomo250. Nel punto di accettazione di questo quadro mentale dello spazio di mezzo si trova l‟immagine della casa e della città e si arriva a identificare un microcosmo e un macrocosmo ambivalenti; l‟uomo diviene il fulcro nel dominio che misura tutte le cose, non più disposto al centro di un sistema, ma riconoscendo la relatività della propria condizione. L‟assunzione del principio del relativismo, per cui non si può misurare ciò che non è correlato a noi stessi, combinato con l‟assunzione di una poetica non interessata alla dialettica della unità degli opposti251, ma che semplicemente rifiuta gli opposti, conduce a considerare l‟uguaglianza città-casa come rappresentazione in entrambi i casi di gruppi di luoghi, e non avrà poi una grande importanza se gli uni saranno più degli altri, mentre risulterà evocativo riferire che questi luoghi sono per l‟uomo in quanto vengono condotti alla giusta misura. “Così l‟immagine gemella

249 In alcuni tratti, oltre a raccogliere per punti gli argomenti di van Eyck, che si offrono poi per riconsiderazione di approcci teorici simili o derivati, si vuole fissare anche l‟estraneità lungo l‟intero discorso di riferimenti esterni o citazioni o chiamate in causa di opinioni di terzi, a eccezione di due rapidi accenni a Einstein e Hegel; anzi il calibrato stile „infantile‟, inserito a tratti, serve a sostenere un‟impressione di mezzo tra fiaba e ironia. 250 Il riferimento è all‟approccio teologico di Martin Buber in Ich und Du. 251 Si riferisce all‟educazione hegeliana, dal testo si intende come un solo accenno apra a una serie di conseguenze a catena per una comunità scientifica o culturale che riconosce la matrice di quei pensieri.

casa-città è sufficientemente ambigua da prendere in giro l‟assalto della logica stratificata”252. La casa e la città essendo legate allo stesso condizionamento del grande e del piccolo, del semplice e del complesso, l‟intero e la parte vengono a essere soggetti alla medesime condizioni di uguaglianza e differenza. L‟esposizione di van Eyck, della sua idea fissa, in quest‟occasione assume la complessità della discussione concettuale, mentre in altre occasioni si era posta in termini didascalici. L‟esito finale per il lettore-auditore è quasi confondente, simile all‟intuizione di una lezione di logica all‟inverso, che fa smarrire in una serie di combinazioni tra grande e piccolo, troppo o troppo poco, il rapporto tra numero e misura e che avvicina il discorso all‟alveo del non-senso253.

È a questo punto che compare un disegno254 dal carattere

provocatorio, naive potremmo dire, sapendo che questa definizione porterà

con sé conseguenze impegnative. Il disegno, solo apparentemente ingenuo, composto da una spessa corona nera con all‟interno due figure analoghe per grafia e dimensione, è la rappresentazione di un albero e una foglia che differiscono tra loro per lievi variazioni delle estremità e l‟inclinazione dei rami (o vene) [mat. 1.03.06a]. Le due figure, tanto simili nella grafia, quanto diversa è l‟entità fisica dell‟oggetto descritto, sono tenute assieme da un segno uguale, che crea un corto circuito nel rapporto di scala degli oggetti a cui rimanda. Questa illustrazione dal carattere tanto infantile quanto enigmatico scatenò alcune interessanti reazioni, di intensità almeno proporzionale alla carica di provocazione premeditata con cui van Eyck l‟aveva elaborato. Ma l‟ingenuità è relativa a una sfida verso l‟ambiente professionale a cui si rivolge non al valore in sé dell‟immagine, anzi essendo inserita all‟interno di un ampio dibattito su progetto e natura e in riferimento alle immagini della planimetria di Tolouse Le Mirail e le altre

252 C.W. pag. 220. 253 Non-senso va inteso come l‟opportunità per riconoscere in profondità le condizioni di esistenza delle cose; questa considerazione abbozzata verrà recuperata nella parte conclusiva. 254 Le tre figure, un cerchio con il disegno dell‟albero e le foglie e due ovali contenti un testo vengono pubblicate su Team 10 primer, op.cit., pag. 99 e riportano la didascalia “St. Louis 1962”; van Eyck era visiting professor alla Washington University da novembre a gennaio 1962, quindi sarà stato realizzato in quel periodo anche se durante la presentazione riferisce di aver già esposto quel tema e sembra di capire anche il disegno. La questione della data del disegno non sposta considerazioni sul valore del disegno se non l‟attribuzione di valore nel volerlo riproporre.

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proposte del gruppo Candilis Josic Woods consentono di cogliere nel disegno un‟esplicita ironia. Se l‟attinenza con il dibattito disciplinare è riconoscibile dal significato dell‟immagine è invece più complesso valutare il riferimento è dovuto a uno studio di Paul Klee relativo alla “indagine sull‟azione complementare di nervatura e forma delle foglie” che contiene una simile serie di disegni sulla conformazione delle foglie. Al tempo stesso il disegno rinvia alle considerazioni che sostenevano lo studio di Klee: “La conoscenza normativa delle energie che plasmano e strutturano la forma serve da fondamento per la figurazione di forme libere o composte.”255 Se poi proseguiamo nella lettura del saggio di Paul Klee edito dal Bauhaus nel 1923256 vi ritroviamo raccolti in una formidabile sintesi la condizione di relazione tra l‟ansia rivoluzionaria e la „storia‟ così come la congiunzione dell‟artista con il suo oggetto.257, in una sintonia di

255 Paul Klee, Teoria della forma e della figurazione, Feltrinelli, Milano 1959, pag. 64. Sempre nel medesimo testo nel paragrafo dal titolo Tensioni dell‟„io‟ determinanti lo stile Klee ricorre alla combinazione di ellissi ruotate sul loro asse combinate con un cerchio in una configurazione simile a quella proposta da van Eyck. 256 Questo breve saggio dal titolo Vie allo studio della natura viene riportato nella raccolta delle lezioni tenute da Klee al Bauhaus pubblicato a Basilea nel 1956, che van Eyck presumibilmente conosceva e la somiglianza tra l‟immagine “tree-leaf” con i disegni delle nervature delle foglie, l‟evidenziazione della struttura del disegno e la rilevanza data da Klee al contorno della foglia stessa conducono al disegno di van Eyck. Comunque resta indispensabile approfondire la relazione con almeno altri due temi sostenuti da Klee quali “la dualità considerata come unità” e le riflessioni che gravitano attorno al concetto di caos; risulterà invece difficile recuperare le relazioni tra la dimensione dell‟io e tu come l‟artista e il suo soggetto in Klee rispetto alla trattazione teologica di Buber, anche se il saggio di Klee si apre con la parola “dialogo” che è la chiave per intendere lo spirito di Buber; la pubblicazione di Ich und Du è anch‟essa del 1923; si lascia considerare l‟evidenza del richiamo a Buber di Klee dalla parte conclusiva del brano alla nota successiva. Visto l‟interesse di van Eyck in Klee durante i suoi anni di insegnamento all‟Accademia d‟Arte di Amsterdam, si può avanzare l‟ipotesi che l‟interesse in Buber sia stato promosso anche dalla lettura di Klee . 257 “Spesso le vie sembrano nuovissime, senza forse esserlo in sostanza: nuova è solo la loro combinazione, o meglio esse sono nuove rispetto al numero e al tipo delle vie di ieri. L‟esser nuovo rispetto al ieri, ecco una caratteristica pur sempre rivoluzionaria, anche se il grande mondo del passato non ne viene scosso. Ciò che non deve sminuire il piacere della novità; e l‟ampia visione retrospettiva della storia deve solo salvaguardarci dalla ricerca spasmodica della novità a spese della naturalezza. Tipico modo di professare l‟arte e di studiare a tal fine la natura era ieri un‟indagine, si può dire, meticolosamente differenziata

vedute che rende questo saggio una chiave per intendere i convincimenti di van Eyck.

La provocazione della foglia uguale all‟albero insisteva su più fronti

di cui il più evidente riguardava l‟utilità e la liceità dell‟uso dell‟analogia naturalistica in riferimento alla diversità tra uomo e natura. Una reazione invece probabilmente estemporanea è arrivata da un ospite del convegno, Cristopher Alexander258. L‟immagine dell‟albero e la foglia, presentata come “analogy versus image”, illustra, ironicamente, al limite del sarcasmo, l‟idea posta al centro del convegno della dimensione crescente del grado di complessità dalla casa alla città, come una naturale sequenza di entità integrate tra loro che viene rappresentata dall‟analogia dell‟albero riferito al termine stem, tronco o ramo o fusto utilizzato da Woods in termini

metaforici più che di una vera e propria analogia organicista. Intendendo l‟attenzione di Woods verso “il Modulor” (e il testo che lo accompagna) si deve riconoscere implicitamente il rimando alla critica che Le Corbusier invia all‟utilizzo di tecniche edilizie riferite alla semplice addizione di elementi, e la struttura organica dell‟albero dimostra che “le leggi di crescita e combinazione possono e devono essere più ricche e sottili”259. Il richiamo a una similitudine organica per il progetto di Toulouse Le Mirail si

del fenomeno. Io e tu, l‟artista e il suo oggetto, tentavano il contatto per vie fisiche ottiche, attraverso lo strato d‟aria interposto tra l‟io e il tu.” Paul Klee, Teoria della forma e della figurazione, Feltrinelli, Milano 1959, pag. 63; titolo dell‟opera originale, Das bildnerische Denken, Benno Schwabe, Basel 1956. Se ora andiamo a rivedere le immagini del primo numero di Forum curato da van Eyck e in particolare le pagine seguenti il brano di Buber Das Problem der Mensch i dubbi sulla chiamata in causa delle foglie di Klee potrebbero affievolirsi. 258 Per verificare la reazione di Alexander alla provocazione anti-deterministica di van Eyck si veda Christopher Alexander, A city is not a tree, in “Architectural Forum”, aprile, 1965 (pubblicato in due parti). Per quanto il suo intervento critico abbia sollevato un notevole interesse nel dibattito disciplinare qui si è scelto di ometterne la trattazione in quanto non risulta strettamente necessario all‟avanzamento della ricerca. Van Eyck interviene sull‟argomento riportando il contenuto essenziale del dibattito sulla falsa analogia città-albero in una nota del saggio L‟interiorità del tempo, op.cit., pag. 255 nota 8, in cui si rileva quanto diretto fosse il suo commento allo stem. Per ampliare la questione la reazione di Louis Kahn alla realizzazione di Habitat ‟67 (di cui qui non si scrive) a Montreal fa intendere quanto l‟analogia con albero e foglie fosse utilizzata (si veda nota 2 pag. 86 in Costantino Dardi, Il Gioco sapiente – tendenze della nuova architettura, Marsilio, Padova 1971. 259 Le Corbusier, Il Modulor, pag. 36 (riportata la frase per esteso in nota precedente).

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trova nei due elementi comunicativi del nome e dalla evidenza della conformazione planimetrica, ciò che è definito con evidenza dal riscontro figurativo planimetrico e dal termine di riferimento non viene però reso autoreferenziale. Woods è attento nell‟uso della metafora di tenere i due estremi ben distanziati da stringenti motivazioni riferite all‟ambito sociale e territoriale. Bisogna infatti distinguere più livelli di comunicazione a cui Woods fa esplicitamente riferimento, riconoscendo che un sistema urbano per funzionare deve essere compreso e condiviso, così l‟avvicinarsi dei due estremi, immagine e parola, serviva per fissare nella comunità un‟identificazione al processo in atto, ma non per questo doveva portare con sé tutte le conseguenze dell‟analogia organica.

D‟altronde l‟indirizzo naturalistico era estraneo a entrambi gli

architetti, in particolare la decisione con cui van Eyck interveniva a sostenere il primato dell‟arte qualora solo si avvicinava all‟orizzonte una possibile mutuazione naturalistica si era già resa evidente nell‟incontro a Otterlo nel dialogo con Louis Kahn. L‟uso della comparazione viene utilizzato da van Eyck come una precisa strategia di comunicazione: esempi emblematici si trovano su “Forum”, dove immagini a tutta pagina sostengono la contrapposizione di atteggiamenti umani simili in ambienti assai diversi, ma quando la comparazione utilizza fenomeni naturali può divenire fuorviante per gli architetti e quindi van Eyck prosegue deciso affermando che l‟analogia in sé non solo è fuorviante ma falsa. “The tree analogy, apart from the fact that it fails to transcend the limits of analogy” e ancora offrendo utili dubbi di riflessione “analogies compare directly instead of identifying indirectly”260. Fino a questo punto il discorso di van Eyck scorre sui binari della consequenzialità, da ora è avvertibile nel suo discorso uno scarto introdotto dal concetto dell‟identificazione indiretta, lasciando il terreno dell‟analogia per conquistare a passi cadenzati quello dell‟immagine poetica. Cercando di seguire il suo ragionamento261 si definisce dapprima che l‟immagine dell‟albero riesce a identificare simultaneamente cosa una casa rappresenta nella realtà visuale, e oltre a questa realtà, le persone che vivono la città. L‟analogia invece fallisce, limitando a paragonare un albero concepito in rapporto a foglie, rami,

260 C.W. 261 Essendo parlato ha altre modalità di trasmissione dello scritto, e la traduzione diviene ancora più complessa per le sospensioni etc. Quello che si riporta è una sintesi interpretata riutilizzando le parole chiave avvertendo della consistenza della riduzione di senso dei contenuti rinvenibili dall‟originale.

tronco rispetto a una città concepita in rapporto a case, strade, quartieri e centri. La sequenza foglia-albero è senza vita, “lifeless”, occupandosi esclusivamente in termini quantitativi e dimensionali delle sequenze casa-città, grande-piccolo, semplice-complesso. La realtà della foglia-albero, casa-città, trascende le connotazioni di un approccio meccanico basato sul grado di complessità da assegnare al sistema poiché è molto oltre il limite del significato parte-intero che rappresenta questa analogia senza speranza.262

Proseguendo l‟intervento, in un clima critico incessante, van Eyck

inizia a ripetere una sorta di filastrocca che riprende il testo contenuto nelle due ellissi del disegno. Da questa lettura si riceve un‟impressione simile a quella indicata per il discorso di Otterlo su una tendenza a sviluppare una rilevante oscillazione nella pratica discorsiva, nell‟alternare argomenti disciplinarmente motivati e inserti per sollecitare reazioni emotive. Poi, interrotta la maniera della filastrocca, subentra una considerazione che nella sua organizzazione riporta a una circolarità o forse meglio a un moto a spirale dove la proposizione di partenza si equivale con quella conclusiva alternando casa e città e abitare e vivere: “To proceed from the idea of dwelling in the sense of living in a house in order to arrive at the idea of living in the sense of dwelling in the city, implies simultaneously that you proceed from the idea of living in the sense of dwelling in the city in order to arrive at the idea of dwelling in the sense of living in a house”263. Abitare e vivere aprono la presentazione del progetto di Piet Blom e probabilmente è la sua analisi emotiva della concezione dello spazio urbano nello spazio mentale dello studente che diverrà sempre più l‟obiettivo della descrizione. Comunque oltre questo sforzo, l‟intervento fa convergere l‟attenzione su quel versante culturale, l‟esistenzialismo, che aveva fornito impulso a rilevanti risoluzioni nel porre l‟attenzione sull‟uomo come misura delle cose264.

Avvertendo sulla difficoltà di affrontare la proposta Noah‟s Ark di

Piet Blom, van Eyck pone alcune precauzioni per la lettura del progetto:

262 C.W., pag. 225. 263 C.W. 264 Questa considerazione è riferita al tema della misura in Martin Heidegger, la relazione di van Eyck con l‟esistenzialismo viene trattata da Ignasi de Sola Morales in Differences, op. cit., Strauven mette in evidenza invece l‟ininfluenza degli autori riconducibili a tale ismo negli interessi culturali di van Eyck.

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“the idea is that this is a diagram of the process of mind”265. Il caleidoscopio diviene il simbolo con cui interpretare le intenzioni, che non vanno riferite a specifici spazi o all‟edificio, la strada o i luoghi della città. Si affronta così un'altra dimensione dove l‟equilibrio dell‟immaginazione trova nella formazione delle figure sospese del caleidoscopio la realizzazione di una disciplina configurativa di cui van Eyck legge, nel lavoro di Piet Blom, la realizzazione come “the formed chaos”. Il caleidoscopio della mente offre un‟immagine dell‟atteggiamento con cui cogliere tale composizione, infatti richiede l‟esclusione di un atteggiamento analitico che porterebbe a smontare il dispositivo, investigandone il funzionamento. Rimuovere l‟equilibrio che tiene assieme i tre specchi del caleidoscopio significa perdere quella condizione “magica” che trasforma nel movimento di qualche oggetto insignificante un disegno, come “harmony in motion”266, dalle molteplici possibilità di combinazione. Il caleidoscopio avverte quindi della fragilità della proposta che van Eyck porta ai suoi colleghi e tale fragilità risulterà compromessa da un „fraintendimento‟ che porterà a respingere la proposta progettuale e avrà delle rilevanti conseguenze nell‟operato successivo di van Eyck. D‟altronde il rischio era implicito nel piano poetico su cui propone l‟accettazione della proposta; i lineamenti del carattere di Piet Blom e la sua attitudine “supremely naive”267 vengono paragonati da van Eyck alla forza di volontà di contenere all‟interno della propria mente tutto ciò che è necessario per progettare il mondo intero, in quanto esprimono il suo sogno del mondo.

Considerando il progetto Noah‟s Ark, le osservazioni equilibrate di Bakema di una ridotta libertà di scelta di movimento nell‟intricata resa volumetrica dello spazio mentale di Blom colgono una nuova dimensione dello spazio urbano che oltre a una rielaborazione da parte dello studente delle caratteristiche spaziali delle parti antiche e più dense di Amsterdam, sembrava anche emanata dalla descrizione dei viaggi di van Eyck nei

265 C.W. 266 “Harmony in motion” è la legge invocata da van Eyck nel “supplemento olandese” del 1954 riferendosi al problema del grande numero. 267 “You see this man is supremeluy naive. He has that kind of supreme intelligence which naïve people have. Kahn has something of that. I‟m not being disparaging or the opposite. Someone who has the freedom - and it might indicate that they are able to conceive the whole world, in which he can tell you in his terms about everything … It‟s all Kahn it depends only on Kahn. Of course you can say this is the man that made it and he is not the society. It‟s his dream of a society”. C.W., pag. 246.

villaggi Dogon e Pueblo. Questo modo di operare, di un processo fortemente caratterizzato dall‟iterazione di elementi e dalla sovrapposizione di tessuti edilizi, diviene una modalità progettuale che ispirata dall‟Orphanage poteva già contare in un suo seguito. L‟obiettivo di definire una figura urbana autonoma e complessa, che non risultasse solo dalla somma delle singole parti diviene, soprattutto in Olanda, uno dei temi centrali della ricerca progettuale. La complessità degli spazi urbani che queste composizioni andavano a investigare erano rivolte a cogliere la densità abitativa massima esprimibile in relazione a un forte coinvolgimento dello spazio pubblico di relazione. Una concezione dello spazio che nella difficoltà o forse impossibilità di trasmettere la sua dimensione poetica di “Mother of the City” esprimeva, oltre all‟organizzazione geometricamente circoscritta di ciascuno spazio, una condizione di definizione degli spazi di relazione che portava a una dimensione critica della riconoscibilità tra spazi individuali e collettivi. Ma non vi è modo per van Eyck nell‟esporre il progetto di trovare altra strada per la comprensione se non l‟istanza definitiva di allontanarsi nel “the poetic dream of freedom”.

Il discorso di van Eyck a Royamount ha toccato quindi, come finora abbiamo riassunto dal dattiloscritto di Clarissa Woods, principalmente due questioni: la prima riguarda la sua interpretazione dell‟analogia dell‟albero, la seconda la presentazione del progetto Noah‟s Ark. Ora lo sforzo di comprensione di tale progetto richiedeva un atto di fede, e una sintonia di intenti nel modo di pensare lo spazio urbano, che si allontanava dal comune modo di sentire dei suoi colleghi268. Di contro la prima parte della trattazione, relativa alla riflessione critica sull‟omologia albero-città, aveva in sé gli elementi rilevanti per intendere possibili sviluppi relativi alla trama urbana. Si deve insistere su questo fatto, poiché la pubblicazione degli stralci del convegno curato da Alison Smithson269 ha richiesto una tale sintesi270 da non consentire di cogliere alcune rilevanti differenze. Le battute conclusive riportate dalla Smithson alterano il senso del discorso

268 Bakema nelle sue conclusioni al congresso “Architecture as a tool in man‟s identification process” si esprimeva nel seguente modo: “The Blom-plan presented by van Eyck gave a n identifying structure. But although the plan gave a choice between many corners for many people, it lacke architectural of freedom of choice”. Bakema archive, Nai, Rotterdam 269 Team 10 meetings, op.cit., pag. 37-101; la parte a cui si fa riferimento pag. 79. 270 La presentazione di van Eyck compresi gli interventi va da pagina 218 a 265 del dattiloscritto quindi consta di 47 cartelle. C.W.

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complessivo, in particolar modo il commento di Woods “we are talking about different poetry” in risposta a van Eyclk così come montato da Alison Smithson viene riferito in un contesto che fa intendere che la diversità di pensiero, le due poetiche, siano riferite a un diretto contrasto per la interpretazione del fenomeno casa-città. Questa versione di Alison Smithson viene costruita anteponendo un brano di Peter Smithson, estremamente critico ma che non risulta trascritto in questa parte del documento271.

Riportiamo il tratto finale „originale‟, la trascrizione dal nastro registrato, suggerendo un confronto tra i due testi:

“AVE … That is for me [completando la descrizione del progetto Noah‟s ark] an exceptionally important and – well, it justifies the whole reasons for my bringing (it) here, that if you look into the geometry – say an alphabet is geometry – why 24 letters arrange according to a dictionary. The words are in the dictionary but poetry is something beyond the dictionary. This may be a dictionary and you have regarded every poem as nothing else but a compound of letters and words as in the dictionary – but you have just missed the poem. It‟s as if you read poetry and say what‟s the difference between poetry and prose ? If you can‟t get the multimeaning out of the structure of the words and their associations, it is just a blank.

[>>> intervento di Peter Smithson nella versione curata da Alison Smithson]

SW – Aldo, do you honestly think that this is poetry in the sense that illuminates our life in some way today ? Do you really think that this is poetry ?

AVE – Uh huh. SW - Then there is no point in talking about this any more. We are

talking about different poetry. … AVE - … the problem in terms of the men who make it and what he

made it for and what he will probably make tomorrow.”

271 Almeno non nella parte compresa tra l‟inizio e la fine dell‟intervento di van Eyck. e il relativo dibattito, C.W., pagg. 218-265, mentre compare in Team 10 meetings, op.cit. a pagina 79; lo stesso brano viene citato per la sua incisività da Pablo Allard Bridge over Venice, in Hashim Sarkis (a cura di) Le Corbusier‟s Hospital, Prestel Verlag, München 2001, pag. 21.

L„intervento di Smithson che compare nella versione pubblicata in Team 10 meetings, al di sopra della risposta di Woods è il seguente “Smithson: I think it‟s the exact opposite of what we are looking for. We are looking for systems wich allow things to develop as they need to develop without compromising each other. Here you have a system which takes absolutely literally the concept that the city is a big house; but the city is not a big house; it is completely a false analogy, a false image. I think you have misled the boy I really do. I think you have abrogated your responsibility to define what you mean by a city as a big house”.

L‟intervento di Peter Smithson inserito al di sopra del commento di

Woods sposta la direzione della discussione dal progetto di Blom alla prima parte del discorso di van Eyck facendo così ricadere la risposta di Woods sulla premessa teorica e non sul progetto presentato. Insistere su questo fatto è rilevante in quanto una delle motivazioni di questo scritto risiede nella ricerca delle relazioni tra diverse posizioni per l‟avanzamento della conoscenza in architettura e il passaggio della discussione a Royamount è fondamentale per riconoscere le relazioni tra l‟Orphanage e le posizioni teoriche di van Eyck con le prossime mosse di Woods (il saggio Web con cui Woods presenta i lineamenti teorici che porteranno al

progetto della BFU ha un periodo di gestazione da agosto a dicembre 1962). L‟interesse a mettere in chiaro questo passaggio riguarda la salvaguardia di due distinti livelli nell‟avanzamento del progetto d‟architettura: un primo livello stilistico dichiarato dalla poetica dell‟autore e dal senso che attribuisce al proprio lavoro rispetto alla società, un secondo livello, quello ora in gioco, che si pone come intermediario tra piano del contenuto e piano dell‟espressione, dove lo scambio di conoscenze, intangibile dalle mode e dal gusto, è fluido, appartiene a un dominio che non conosce resistenze esterne, il terreno tipologico.

D‟altronde osservando i modelli di Blom che avevano causato

questa reazione, data l‟estrema elaborazione geometrica, la riduzione a schemi senza misura, la composizione dei volumi marcatamente reiterata, composta come un fiocco di neve, e concepiti in presa diretta sulle sensazioni, costituiva per Woods una evidente contrapposizione in rapporto alle sue convinzioni „stilistiche‟. Anche se bisogna notare che si possono riscontrare significative analogie con quanto lo studio Candilis Josic Woods stava producendo per la nuova capitale del Tchad in seguito al concorso del 1961, in particolare l‟impianto planimetrico di alcuni isolati di edifici a patio presentano caratteri molto simili nell‟aggregazione delle

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unità edilizie e nell‟uso iterato del quadrato con lievi rotazioni, alle proposte avanzate da Blom per la città dei ragazzi. Da questo punto di vista allora la frase di Woods non sarebbe da riferire a un contrasto di merito, ma al contrario interpretando l‟enfasi che Woods attribuisce alla parola “illuminates” da una caduta di interesse nelle conclusioni progettuali che van Eyck presentava rispetto all‟apertura del suo discorso. Dal punto di vista del sistema insediativo, i modelli di Blom, filiazione diretta dell‟Orphanage, ma travolgenti nella loro evocazione compositiva, hanno contribuito a una riflessione sulla dimensione e la densità dello spazio urbano. Nel settembre del 1962 non è ancora il momento di trovare soluzioni, ma ambiti di ricerca per una più stringente consapevolezza del problema del rapporto tra edificio e città, e proprio l‟estremizzazione dei concetti organizzativi dell‟Orphanage potevano sollecitare tale riflessione. Il contrasto comunque è evidente e dipende dall‟espressione di due punti di vista, nel considerare il progetto come insieme di scelte consequenziali all‟interno di un sistema, o un atto creativo. Una combinazione sempre più difficile da conciliare ma che appartiene inestricabilmente al fare progettuale dell‟architettura. La lettura che deriva dagli atti del convegno restituisce non tanto un contrasto non conciliabile, ma una interrelazione, “interrelationship”, di diversi punti di vista che cercavano una, per quanto distante e complessa, coerenza272.

272 Lo sforzo di intendere il legame tra punti di vista e coerenza deriva da una analisi di Algirdas Julien Greimas, che ha sostenuto le scelte di questo lavoro vedi Algirdas Julien Greimas, Per una semiotica del discorso, in “Carte Semiotiche”, n. 4-5, settembre 1988; pag. 52-57. “È la questione del punto di vista, che mostra l‟eterogeneità e la diversità del mondo e degli sguardi, porta anche a porsi la questione della coerenza, che, come criterio di verità del discorso, è il tipo di garanzia metodologica che consente di progredire. Punti di vista e coerenza divengono quindi contraddittori, e al tempo stesso devono essere conciliati: in questa dialettica è insita la difficoltà di fare una buona teoria” (pag. 53).

Riflessioni sul dominio della città

1.03.07

Nel 1961-62 si possono osservare i primi esiti delle realizzazioni di due grandi nuove capitali, Brasilia e Chandigarh; in Europa (esclusa URSS e alleati) quella scala di intervento è irraggiungibile. I progetti e le realizzazioni, per la maggior parte residenziali, che incontriamo sono prevalentemente di ampliamento del settore più esterno al nucleo della città o sue nuove parti che non esprimono l‟ambizione di divenire nuove città. In Europa il dilemma se ampliare o ricominciare daccapo con nuovi modelli insediativi non si era posto nelle realtà urbane dove le distruzioni belliche avevano eliminato l‟alternativa e questi sono i casi di studio che avevano consentito un elevato grado di sperimentazione progettuale273. L‟impegno in termini di estensione delle aree da utilizzare per insediare “il grande numero” e rivolte a edilizia residenziale pubblica erano compatibili in Europa con i tipi edilizi utilizzati solo in aree vaste reperibili nei margini esterni ai centri urbani. La coincidenza di progetti insediativi, rilevanti per dimensione, all‟interno delle città non si presenta in casi ragguardevoli e quando si presenta come per il Barbican estate a Londra è da considerare un‟eccezione, mentre lì dove era stata rimossa la rendita dei terreni, e la

273 Rotterdam in particolare richiede una completa definizione dei suoi spazi collettivi e il progetto di van den Borek & Bakema dell‟inizio degli anni cinquanta rappresenta in questa direzione un‟esperienza da considerare anche in relazione alla reazione di Bakema nel 1974, a posteriori quindi, che considera il principio progettuale della realizzazione del nuovo centro di Rotterdam ispirato ai medesimi principi che ritroverà nella BFU (Team 10 meetings, op.cit.).

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dimensione ideologica prevaleva su quella economica nelle scelte insediative, durante gli anni cinquanta, vi sono state rilevanti trasformazioni dei centri città parzialmente distrutti dalla guerra. Il caso di Berlino Est è emblematico e una volta assimilata la carica propagandistica, deve essere considerato attentamente per intendere qual era il panorama disciplinare per gli interventi nel centro città, poiché l‟evoluzione che stiamo affrontando trae le sue motivazioni da una riconsiderazione della città come luogo di aggregazione. L‟attenzione a cogliere in modo aperto qualsiasi futuro la società intravede, la fiducia „sconfinata‟ nel progresso e la percezione di un tempo di trasformazione rapido è l‟ottica con cui si guarda per immedesimazione dentro quel momento ormai in corso di storicizzazione e con cui si misurano le reazioni e gli aggiustamenti di rotta. La condizione di crisi della città di Berlino con l‟alternarsi tra Est e Ovest a smantellare la struttura urbana della città ottocentesca è un materiale utile per intendere la reazione progettuale a quegli atteggiamenti con il nascere di una inclinazione alla ricerca di un Habitat più denso, che stabiliva luoghi di relazione che, sebbene ancora guidati dal controllo dell‟occhio, cercavano una condizione di ridefinizione dello spazio urbano in contrasto con gli esiti della città funzionalista.

Allora, se poste in relazione con gli esiti di trasformazione delle grandi città, le provocazioni urbane presentate da van Eyck prendono un‟altra ragione, inserite in un contesto che in parte era esplicito e motivato teoricamente, ma che dobbiamo misurare anche come una reazione sensibile, posta a livello dell‟istinto e della percezione emotiva. L‟interno della città non viene considerato come luogo di lavoro per trovare la soluzione al grande problema dell‟Habitat per il grande numero, ma un luogo di studio dei sistemi di relazione. La pausa di riflessione proposta dal convegno CIAM del 1951 aveva già istruito Bakema e Candilis sull‟inevitabile confronto, e forse sulla considerazione che, con il carico insediativo del grande numero sulle spalle, entrare nella città avrebbe significato distruggerla274. La città era un materiale continuo di studio e il carattere dei casi esemplari, e tra questi uno dei più emblematici è Spalato, divengono anticipazioni di teorie in evoluzione. Il caso di Spalato è interessante, poiché si potrebbe leggere la recente storia dell‟architettura riflessa nelle interpretazioni che gli architetti contemporanei hanno rivolto

274 Una lettera di Le Corbusier al sindaco di Venezia del 3 ottobre 1962 illustra in modo chiaro questa posizione culturale.

alla città. Una didascalia a un‟immagine aerea del palazzo di Diocleziano da The man in the Street può contribuire a ridurre la distanza tra casa e città, favorita dal trascorrere del tempo in quanto è riferita a un testo del 1973: “A city is such an enterprise and certainly may be thought of as a building”275. È facile riconoscere un punto di tendente sintonia di Woods con le tesi apparentemente contrapposte di van Eyck, anche se l‟interpretazione non deve essere forzata oltre all‟opportunità del caso eccezionale di Spalato.

Uno studio attento276 su Spalato e il palazzo di Diocleziano è stato

prodotto da Bakema in seguito a un viaggio di studio compiuto nel 1961277. Il resoconto di Bakema si apre con ampie considerazioni in quanto l‟attenzione viene rivolta a quelle problematiche di ordine sociologico e infine politico-morale per le abitazioni di massa. Il palazzo imperiale, che diviene città per tremila abitanti, offre un‟opportunità rara per tenere assieme la dimensione fisica con quella ideologica, per dare un aiuto a riconoscere i processi di insediamento a quegli architetti che erano coinvolti in processi decisionali, nei quali solo pochi decidono della conformazione dell‟ambiente dei molti [mat. 1.03.07a]. In Olanda all‟inizio degli anni sessanta è aperta e avanzata la discussione su il „cliente anonimo‟ e la manifestazione delle difficoltà nell‟appropriazione, nell‟individualizzazione del proprio ambiente, e sul disagio che si manifestava in coincidenza di interventi massificati. La precedenza, nella considerazione delle incognite, non è rivolta alla città fisica, ma ai problemi degli uomini, così le città esemplari divengono possibili soluzioni278.

Quindi Spalato non è il “problema di Spalato”, ma lo studio delle

condizioni in cui la trasformazione di un artefatto riesce a combinarsi con le esigenze di una comunità che modifica radicalmente le regole di comportamento al suo interno. Bakema ritiene che “the Roman wall of Split indicates the direction we may take in building for the present-day

275 The Man in the Street, op.cit., pag. 89 (il riferimento al 1973 e non alla data di pubblicazione è dovuto al fatto che il libro è uscito postumo). 276 Non solo in termini storico-critici ma intendendo la città come materiale di riflessione per sollecitazioni progettuali. 277 “Forum”, n. 1, 1962, pag. 45-77. 278 In questo modo divengono la soluzione e non il problema.

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anonymous employer”279 [mat. 1.03.07a]; riporta il colloquio con il direttore dell‟ufficio Urbanistica, che gli espone le modificazioni nel tempo dell‟uso dello spazio delle case al variare delle esigenze dei nuclei familiari, un obiettivo sempre almeno rivendicato nei documenti sull‟Habitat dal 1951 in poi. La documentazione iconografica riportata su “Forum” fa bene intendere che Spalato non è un pretesto per le argomentazioni, ma un caso di studio analizzato con tenacia negli aspetti morfologici di sovrapposizione e svelamento delle modificazioni della forma urbana, nella sua storia, nelle sue caratteristiche ambientali attuali. Alcune pagine di schizzi illustrano le minute variazioni dei tetti e degli adattamenti per un migliore utilizzo dei nuovi utenti insediati; altri disegni di dettaglio ricercano l‟eloquenza e la possanza del palazzo imperiale [mat. 1.03.07b]. La struttura del discorso di Bakema è esemplare e premonitrice: lungo il suo intervento egli pone il problema affrontandolo dalla dimensione ideologica, l‟uomo e la società, a quella tecnico-scientifica degli altri studiosi seduti al tavolo delle decisioni pianificatorie. Egli pone in evidenza un caso di studio, motivandone l‟interesse e dimostrando che contiene la soluzione. Raccoglie dallo studio due elementi che determinano la continuità nella storia formidabile di un palazzo che diviene una città per 3.000 abitanti. Da questa condizione di conoscenza prende avvio il progetto di cui espone i criteri di trasformabilità dell‟alloggio e le scelte innestate nell‟analisi, ma la conclusione del suo discorso è riservata al principio progettuale, il muro abitabile, cardine del progetto. “The Dwelling-wall has been groupe around a courtyard and forms the primary structure of the dwelling-group. The substructure determines through an architectonic town-planning design the growth from anonymity into identity. For the anonymous employer too, architecture can serve to develop an individual form of living.”280 L‟unica questione da aggiungere a un discorso circolare così ben costruito resta l‟accento sulla parola architettura, che Bakema usa con discrezione e sempre con appropriatezza in un momento storico in cui questo era un compito difficile data la velocità degli accadimenti che faceva apparire le problematiche formali, come un‟ulteriore difficoltà tra i mille problemi della società. Un‟altra meta ambita per comprendere il rapporto tra individuo e collettività erano state le spedizioni in New Mexico, a Taos Pueblo, che

279 Jaap Bakema, Buildings house for anonymous employers – An Emperor‟s house at Split become a town for 3000 people, in “Forum”, n. 2, 1962, pagg. 75-77. 280 Ibidem.

Bakema e van Eyck281 avevano compiuto in quegli anni per visitare “a community still ignorant of the division of collectivity and individuality”282. Quest‟ultima esperienza e i viaggi fondamentali in Mali, così come le letture sugli studi etnografici per intendere la vita di altri popoli, non comportano solo uno studio dislocato in differenti aree geografiche, ma coinvolgono una differente percezione del tempo e interverranno nella parte conclusiva di questo studio. In pochi mesi attorno alla fine del 1962 si possono registrare variazioni di interesse del mondo disciplinare; alcune tendenze sviluppate a cavallo tra il Giappone e gli Stati Uniti si consolidano e vengono assimilate nel dibattito europeo come i progetti di Tange e la teoria Group-form di Maki283. Inoltre l‟attenzione verso la città ritorna dominante rispetto

281 A conclusione del saggio di van Eyck sul numero successivo di “Forum”, n. 2, 1962, pag. 79-114, dedicato al medesimo tema “voor architectuur en daarmee verbonden kunsten” sarà pubblicato il resoconto del viaggio in New Mexico; per definire un legame tra questioni teoriche e progettuali si deve tener conto che negli stessi mesi in cui venivano pubblicati questi articoli van Eyck e Bakema avevano in corso, in modo alternato, l‟elaborazione congiunta del progetto sperimentale per Buiklotermeer. Il titolo del brano di apertura “de verkapte opdrachtgever en het grote woord neen” è significativo delle difficoltà affrontate e dello spirito di ricerca dei valori sociali che li guidava (il titolo ricorda quello di un libro di Georg Grosz, Un piccolo si e un grande no). 282 Ibidem. 283 Resoconto delle ricerche di Fumihiko Maki elaborate dal 1958 al 1963 alla Washington University (in cui van Eyck sarà visiting professor alla fine del 1961) e contenuto nel fascicolo dal titolo Investigations in Collective Forms, Washington University, St. Louis, 1964. “Group_Form is the last of three approaches in the collective form. Is is form which evolves from a system of generative elements in space. Some of the basic ideas of the group-form can be recognize in historical examples of town buildings. Urban designers and architects have recently become intereste in them because they appear to be useful and suggestive examples in making large scale form. For istance, medieval cities in Europe, towns in Greek Islands, villages in Northern Africa are a few examples. The spatial and massing quality of these towns is worth consideration”, pag. 14. Si riporta un altro brano della pubblicazione di Maki per intendere la coincidenza in alcuni argomenti progettuali, (premettendo che l‟argomento viene solo indicato e che le relazioni andrebbero approfondite). “Rasmussen in his article „The Dutch Contribution‟, says that the stoep is a place that is half house property, half public way. „The house, itself, cannot be built out on it but it may be used for the basement or for steps up to the high ground floor. These steps are often quite monumental, carrie out in bleu belge stone … When not used to

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ai problemi sociali che la coinvolgevano. Nelle note redatte in occasione del convegno di Abbey Royamount un giovane “inviato” di Le Corbusier riassumeva i punti rilevanti delle discussioni: “The city. The city that‟s grows in increasing dimensions, rising in degree of complexity… And it is there, where only the creative capacity, can produce a poetic association, I mean, to produce the conjunction of all, solicitations and variabilities, that create structure and permanence”284. Queste note di Guillermo Jullian de la Fuente, un collage di parole ascoltate e meditate, sono un altro avviso dell‟inizio del viaggio di ritorno verso la città che verrà compiuto con i mezzi più vari, recuperando i modi disciplinari consolidati, o provando a inventare nuovi strumenti per abitare la città. L‟attenzione di Jullian, come risulta dalle ultime righe delle sue riflessioni riportate su “Le carré bleu”, viene coinvolta dalle teorie „poetiche‟ di van Eyck285, e questo aspetto evidente potrà avere un interesse per capire la situazione attorno alla gestazione dell‟opera di Le Corbusier per Venezia286. Il messaggio di queste note287 trasmette i lineamenti del dibattito sull‟idea di città, essendo tornata a essere l‟elemento dominante delle discussioni. Inoltre acquisiscono

accommodate stairs or other projections, the „stoep‟ is raise a step above the road and covered with tiles or fine stone-work‟./ The stoep is a functional transition between the public way and the private house. It is conceptually the meeting of the family and its urban world, and it is visually a means by which one sees the streetscape as an entity. From house to street it is a link by repetition”, pag. 38. 284 Guillermo Jullian de la Fuente, Notes sur „Royamount‟, in “Le carrè bleu”, n. 2, 1963: sulla rivista vengono riprodotte le note scritte a mano in spagnolo con doppia traduzione e viene data notevole rilevanza al testo che scritto in forma definitiva nel giugno 1963 dissimulata nell‟estemporaneità della scrittura a mano nascondeva una sedimentata riflessione. Si veda Bridge over Venice, op.cit., pag.21-23 285 Dalla lettura del dattiloscritto le parole di van Eyck sono le più prossime alle note di Jullian. 286 Il progetto di Le Corbusier per Venezia H VEN LC, viene trattato come un riferimento „in absentia‟, questo studio ha considerato il progetto dell‟ospedale di Venezia ma non si è ritenuto di coinvolgerlo nello scritto, dove avrebbe occupato il ruolo di sintesi progettuale tra le due tendenze esaminate, in quanto non si sono riconosciute le condizioni per una „conclusione‟. Questo studio può essere considerato a guisa di un‟analisi preliminare da un punto di vista tipologico per uno studio propriamente dedicato all‟opera di Le Corbusier per Venezia 287 Jullian riferisce che Le Corbusier aveva apportato dei suggerimenti al testo, ma non vengono dati ulteriori riferimenti sugli argomenti su cui è intervenuto, Bridge over Venice, op.cit., pag. 22.

evidenza le due parole conclusive delle note, le parole chiave: struttura e permanenza288. Un‟apparente sintonia di termini quindi, che ci avvicina alla rivelazione di Fernand de Saussure sull‟immutabilità nella lingua. All‟interno della città, come nella lingua, la realtà della vita si manifesta con il suo “crescente grado di complessità”, dove il “carattere („troppo‟) complesso del sistema” richiede di tornare a investigare gli elementi di permanenza.

Si ritrova la capacità del linguista era di contenere due qualità contraddittorie, l‟immutabilità e la mutabilità rispetto alla quale agisce il tempo, nel mondo degli uomini che intervenivano sui fenomeni di trasformazione fisica, tramite lo studio della città. La concezione del tempo veniva intesa come elemento determinante nel ricercare l‟unica posizione sicura nell‟estremo punto conciliabile tra passato e futuro. Struttura e permanenza portano con sé il superamento del paradosso tra mutabile e immutabile, tra una serie di eventi in continua trasformazione e la necessità di contemplare una tradizione ineliminabile che dia continuità al senso delle proprie azioni. Il confronto con gli studi di de Saussure ha indicato la strada maestra per tornare allo studio ponderato della città ma al tempo stesso dobbiamo rilevare le differenze che caratterizzano il paesaggio attraversato. Quando consideriamo la città in funzione del tempo le analogie con la lingua si spezzano se non la si osserva, ma la si esamina per modificarla. “E così il linguista che vuole comprendere tale stato deve fare tabula rasa di tutto ciò che l‟ha prodotto e ignorare la diacronia. Egli può entrare nella coscienza dei soggetti parlanti solo sopprimendo il passato … Sarebbe assurdo disegnare un panorama delle Alpi prendendolo simultaneamente da più cime del Giura: un panorama deve essere preso da un solo punto.”289

288 Il contributo della linguistica per gli studi sui fenomeni urbani deve essere messo in evidenza poiché entrambi operavano in riferimento a condizioni che richiedevano di studiare “la complessità dei processi delle modificazioni e delle permanenze” (Aldo Rossi, Architettura per i Musei, in Teoria della progettazione architettonica”, op.cit., pag. 126). Di passaggio qui non si vuole scegliere una teoria sul rapporto tra architettura e città; essendo il tema del confronto in atto si devono lasciare i due avvenimenti svolgersi. Se torniamo a leggere con l‟aiuto di Greimas (Carte Semiotiche op.cit.) il racconto breve di Italo Calvino A seno nudo (Palomar) possiamo trovare nella capacità di cogliere le situazioni di entrambi nello stare nel mezzo tra oggetto e soggetto il seme di una pratica da seguire. 289 Ferdinand de Saussure, Corso di linguistica generale, Editori Laterza, Bari 1977, pag. 117. Negli anni in cui de Saussure teneva il suo corso a Ginevra e si riferiva al pittore che

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ritrae il paesaggio del Giura sono gli stessi anni in cui Le Corbusier girovagava per i monti del Giura studiando e disegnando alberi rami e foglie. Si richiama questa fortuita coincidenza per richiamare il fatto che il grande problema tra architettura e lingua non è risolvibile, è solo ampliabile. Così come il linguista che deve comprendere, il progettista che vuole modificare ancor più dovrà scegliere il suo presente e considerare lo spazio di mezzo, riservato al poeta, che affina all‟occasione i suoi strumenti per i propri scopi, ma per chi deve condividere il proprio operato con una comunità che accolga quel prodotto la condizione di stato da cui formulare la sua proposta riuscirà a definirsi nel presente? Dovrà inesorabilmente inclinarsi tra passato o futuro? Come se l‟unica via per affrontare lo stato nel presente sia quella che scaturisce dall‟approccio poetico. Il crinale tra passato e futuro disegna un percorso da “trovare senza cercare”. (Luigi Pirandello, Trovare senza cercare, op.cit.)

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NUOVA DIMENSIONE INSEDIATIVA

I limiti dell’architettura

1.04.01

Nel corso del confronto ad Abbey Royamonut le posizioni di van Eyck e Woods definiscono i bordi disciplinari della possibilità di incidere nel disegno di nuove parti di città per il grande numero, ricercando le potenzialità insite rispettivamente nei concetti di forma e struttura. Il tema è condiviso, anche se le condizioni di lavoro, come abbiamo visto, sono incomparabili. Una parte delle differenze vanno di certo associate a queste diverse attività professionali, ma tuttavia resta al centro della discussione che ne deriva un‟attenzione a comprendere come questa diversità d‟approccio sia riconoscibile nella definizione degli strumenti progettuali, in primis, le tecniche compositive. Bakema290 tenta una mediazione tra la determinazione di una forma, concepita con l‟obiettivo di cogliere l‟unica giusta misura in tutte le sue parti, e la necessità opposta di operare tramite un quadro di scelte che per essere in grado di governare un processo complesso e in divenire introduce l‟utilizzo di strumenti diversi da quelli consolidati. In una simile condizione di contrasto, per Bakema un punto da cui prendere posizione è la condizione prima del costruire, un muro, un tetto così da delimitare un luogo da cui poter comprendere dove ci si trova in contrapposizione al caos.

Le argomentazioni nel contrastare la posizione di Woods di relegare la composizione architettonica a una tecnica del passato, non più adatta a risolvere i problemi del ventesimo secolo, è sostenuta da Bakema per mezzo dell‟evidenza del dovere primario assegnato all‟architetto di fornire un riparo e un luogo in cui riconoscersi e alla necessità della composizione per assolvere tale compito. L‟interesse per questo passaggio del dibattito, di cui stiamo riferendo non risiede tanto nei contenuti attribuiti ai principi compositivi, quanto nella necessità di riaffermare la loro esistenza, nella evidente presenza di due schieramenti culturali che infine trovavano, nell‟accettazione o meno della composizione architettonica come campo

290 C.W. pag. 391. “YB: I work completely in a compositional technique. Me. One hundred per cent … YB: I should like to state that in many papers we send out over the world, there is somewhere said the compositional technique is perhaps of the 16th, 17th, 18th or 19th century, but in the 20th century a compositional technique is wrong. I always say - / SW: Yapp, I think it is a question of the level of this compositional technique.”

d‟azione, il più chiaro termine di confronto. Questa discussione si svilupperà nei mesi seguenti il meeting su un argomento progettuale correlato, quello di “visual-group” che può essere inteso come un obiettivo della tecnica compositiva, attorno a cui si intrecciavano la questione sociale dell‟identità e dell‟appartenenza a un luogo, con la questione progettuale della differenziazione volumetrica e della definizione di ambiti percettivamente riconoscibili. Visual-group costituiva un punto di coesione

ampliamente condivisa e richiamato da progettisti di diverso orientamento e di relativamente recente definizione. Il report Urbanism elaborato ad Aix en Provence ne definisce chiaramente gli obiettivi nell‟intervenire sul senso di appartenenza di ciascun individuo all‟ambiente, che riesce ad abbracciare con il suo sguardo. Quindi già dal 1953, visual group aveva costituito un valido punto di riferimento per la progettazione di nuovi insediamenti residenziali, con l‟effetto immediato di agire sulla limitazione delle dimensioni degli interventi e della conseguente attività per sommatoria di parti formalmente definite. Il tema della definizione dei limiti degli interventi si innesta sulla revisione della relazione tra gli uomini e le cose. La presa di posizione di Woods a Royamount ricerca una scala di intervento che consenta di affrontare il progetto urbano, ben oltre il limite offerto dalla percezione visiva, “to group large numbers of dwellings beyond the visual group”291. Così come le critiche rivolte alla proposta Noah‟s Ark presentata da van Eyck erano rivolte alla eccessivamente definita combinazione delle figure, rivolte a una tale mescolanza delle attività individuali con quelle collettive da compromettere la libertà di scelta individuale, così all‟opposto la strategia di Woods era rivolta a liberare tali condizionamenti, rinviando all‟astrazione di una scala di intervento di grado superiore. Il commento di Woods al richiamo di Bakema sulla necessità di operare con tecniche compositive fu rinviato, infatti, alla definizione di un altro indefinito livello cui associare questa tecnica. Il graduale disimpegno di Woods dalle tecniche tradizionali era motivato dalle nuove esigenze insediative, non tanto in termini quantitativi, ma di mobilità e trasformazione. La vera novità non consisteva nella massa di alloggi, ma questa piuttosto era l‟opportunità di interpretare il vero cambiamento che consisteva in una inedita percezione del tempo o meglio della relazione del tempo con lo spazio. Il tempo come

291 C.W. pag. 363, Bilbao Exposition.

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quarta dimensione292 è l‟orizzonte su cui tramite le scoperte scientifiche dell‟inizio del secolo si orienta la parte più sensibile della comunità disciplinare, e di cui Woods è uno dei più convinti sperimentatori. È in riferimento a questa nuova visione del mondo che Woods costruisce i propri progetti. Se non si riconosce questa tensione emotiva-conoscitiva verso una dimensione dello spazio, nuova sì, ma oramai con una propria tradizione, probabilmente studiare le proposte di Woods consisterebbe solo nel riscontrare una strategia di critica continua basata su istanze di ordine tecnologico. Questa convinzione, di matrice scientifica, ma che coinvolge in modo radicale tempo e spazio, fa intendere che le scelte vengono poste all‟interno di un disegno di adeguamento dei comportamenti sociali allora ritenuto imminente e inevitabile. Se vengono letti in successione gli interventi di Woods a cavallo del periodo di realizzazione dei progetti per Francoforte e per Berlino (1962-63), si riconosce un graduale ma inesorabile affrancamento dalle condizioni operative consolidate nell‟architettura e nell‟urbanistica con una spinta verso “l‟utopia del presente” che non lascia spazi di manovra per un eventuale ritorno. Il punto più avanzato della ricerca, lungo questo processo di ridefinizione dei limiti della disciplina è costituito probabilmente dal progetto di concorso per la Libera Università di Berlino, almeno per quanto riguarda le aspettative del mondo disciplinare che aveva accolto su di sé. In una presentazione di Woods apparsa su “World Architecture One” del 1964 sugli ultimi esiti dell‟elaborazione teorica e progettuale del gruppo dei due anni precedenti, si riconosce la continuità dell‟evoluzione teorica tra i due concetti base, elaborati in tempi ristretti, definiti dai termini Stem e Web293, ma al tempo stesso un distacco critico rispetto alla tradizione, che

fa intendere il bisogno di definire un nuovo campo di ricerca. “We are concerned, not with architecture or town planning, but with the creation of

292 Questo argomento, qui solo accennato, richiede un capitolo specifico. Ci si limita a segnalare la promozione di Giedion, per il quale il superamento dei modi tradizionali rispondeva a una istanza ritenuta di ordine superiore. Il tema della quarta dimensione veniva agitato dalle avanguardie dal cubismo a De Stjil fino alla scuola Vuhtemas di Mosca sin dagli anni dieci-venti. 293 Web: a complex system of interconnected elements. Oxford dictionary of English, op.cit., Nella traduzione in francese dello scritto su “Le carré bleu”, Woods non traduce il termine web, ma nell‟indice della raccolta viene tradotto come “La trame urbane”.

environment for every scale of human association”294. Con poche parole Woods taglia i ponti con il passato, comprendendo il proprio passato recente295; infatti, la suddivisione in diverse “scale of human association” ora viene sostituito da un obiettivo contrapposto nella creazione di un ambiente che annulla quelle differenze. E ancora abbracciando con la sua critica un periodo più ampio riconosce che il contesto operativo in cu l‟architetto attribuiva con la sua opera la “qualità” a un edificio non risponde più alle esigenze di trasformazione che la società richiede, “when architects had only one way of thinking about problems, which means that their field of creativity was voluntarily restricted, not expanded, as it must be today”.296 La serie di testi prodotti da Woods nel periodo 1962-64, se letti senza punti di domanda precostituiti dagli esiti progettuali, e con l‟impegno a immedesimarsi nello scenario storico in cui sono stati prodotti, offre il quadro di un grande impulso di trasformazione (in senso positivo) della comunità, la cui energia era sostanzialmente fornita dalla fiducia nel progresso. Il processo di trasformazione dell‟ambiente totale quindi per Woods richiede, o meglio la nostra responsabilità comporta, la ricerca di un sistema di relazioni, una data organizzazione, in un certo luogo, in un certo tempo e infine il raggiungimento di una espressione plastica. Sull‟espressione plastica Woods riserva una particolare attenzione per evitare che possa venir ridotta a un fatto accidentale. L‟espressione plastica posta alla fine del processo ed esposta al contesto organizzativo e sociale diviene la sola evidenza di queste intenzioni. I riferimenti culturali che cita direttamente nell‟articolo Urban environment – The Search for System si riferiscono all‟idea di utopia in Le corbusier e a un saggio di

carattere scientifico297 di Herman Weyl che divulga e commenta la teoria della relatività di Einstein. L‟idea della società e dello spazio in cui Woods elabora la sua proposta di sistema ambientale viene riferito a una società

294 Shadrach Woods, Urban environment – The Search for System, in John Donat (a cura di), “World Architecture One”, Studio Books, London, 1964, pag. 151. L‟articolo si conclude con la presentazione del concorso per il centro storico di Francoforte sul Meno. 295 La scala delle associazioni umane costituiva il fulcro attorno cui si erano raccolti per organizzare le loro proposte gli architetti del CIAM che rappresentavano la nuova generazione [1.01.04]. 296 Urban environment – The Search for System, op.cit. 297 Versione citata nel testo Raum Zeit Materie, 1921; (Space-Time-Matter, Dover Publication, 1950).

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totale298 e a uno spazio continuo, liberato dal peso dell‟autorità, che simboli e monumenti non sono più in grado di interpretare in questa nuova condizione. Viene coinvolta quindi la dimensione ideologica come principio delle scelte insediative: “The concept of society toward which we strive: that of a completely open, non-hierarchic in which all share on a basis of total participation and complete confidence, is not new, but we have covered so great a distance towards this goal that our position in relation to it is, perhaps for the first time, more realistic than idealistic”299. Questa idea della società è lo sfondo su cui si vengono a innestare le procedure progettuali, dapprima investigate con l‟applicazione di un sistema lineare Stem, di cui abbiamo esposto i caratteri principali e le applicazioni

insediative; poi, in seguito, queste esperienze si sono evolute in un sistema che risponda a una condizione ambientale complessa, in grado essa stessa di condizionare o meglio liberare i comportamenti sociali300. Assistiamo così alla formazione di un fenomeno in cui la lettura che l‟architetto rivolge alla società lo porta a ridefinire i propri limiti d‟azione, oltre a quelle che sono le condizioni di operatività che la propria disciplina gli attribuisce. La ragione di questo atteggiamento, la disponibilità d‟ascolto alle esigenze sociali e di rimettere in gioco i propri obiettivi, consiste in una volontà di rivelazione del futuro. Il tempo in cui Woods proietta ogni intenzione è un futuro a cui bisogna lasciare aperte le porte, che deve essere sostenuto nel suo avanzamento e a cui inesorabilmente non si può rinunciare ma che si deve promuovere, un futuro come estensione del proprio presente ma divenuto soggetto portatore di un nuovo valore da

298 Tali argomenti erano stati trattati in molteplici occasioni anche da Bakema. Si veda in particolare la relazione riassuntiva del meeting ad Abbey Royamount dal titolo: Architecture as a tool in man‟s identification process. Bakema archive, NAI, Rotterdam. Per quanto riguarda il termine “società totale” non vengono riportati riferimenti specifici. Attraverso certe locuzioni sembra di riconoscere un‟influenza della società aperta che Karl Popper nel dopoguerra promuove come nuovo orizzonte sociale, ma l‟influenza antideterministica nel team 10 non lascia molto spazio a questa interpretazione; dal punto di vista delle affinità sembra più plausibile un riferimento a il testo di Marcel Mauss le cui riflessioni sui fenomeni totali della società potevano ben combinarsi con l‟istanza umanistica del gruppo (vedi Marcel Mauss, Saggio sul dono, Einaudi editore, Torino 2002. 299 Urban environment – The Search for System, op.cit., pag. 151. 300 Woods specifica la differenza tra le due modalità progettuali ricorrendo all‟integrazione, e in una nota del testo specifica: “This word (web) is used to designate Stem to the next degree, Stem squared, as it were.”, ibidem

condividere. Certamente il successo, temporaneo, di queste proposte di sviluppo urbano, il seguito di discussioni e interpretazioni che hanno suscitato testimoniano che Woods seguendo questo percorso aveva fiutato una strada possibile di sviluppo della disciplina. Ma proprio il sostegno continuo dell‟impulso del progresso è divenuto il limite stesso di tale iniziativa, sia dal punto di vista teorico che come esito progettuale, in quanto le ipotesi di sviluppo richiedevano un impegno che poi si è affievolito oppure si è dissolto in irrealizzabili fantasie. Le previsioni di trasformazione dello spazio totale e della società universale, oggi, interessano ormai più per capire, come e dove, la speranza che sosteneva quella direzione di pensiero si sia smarrita in qualche angolo del mondo; oppure intendere per quali ragioni un impulso positivo come lo spazio totale e la società universale al più possono oggi essere avvertite come minacce. Infatti si continuano a costruire monumenti o altri edifici rappresentativi di un‟autorità che è circa la stessa da allora e si rappresenta in modo sostanzialmente analogo. Anche se dal 1963 molto è cambiato nelle abitudini e forse anche nei rapporti sociali, ma una proposizione come la seguente “The authority of a universal society …, is not imposed through formalism or allegories. This is a fact which none oppose”301 può aiutarci a cogliere le differenze dei valori che la distanza nel

tempo, tra spazio mentale dell‟individuo e lo spazio culturale della collettività, l‟architettura porta ad abitare. Processo di trasformazione del sistema insediativo

1.04.02

L‟attenzione rivolta dall‟equipe Candilis Josic Woods alla trasformazione nel tempo delle esigenze insediative coinvolge anche il loro procedimento e lo svolgimento delle posizioni teoriche. Infatti, se si studia la relazione sta Stem e Web risulta oltre che compatibile, integrata, secondo le condizioni in cui i due sistemi si trovano a intervenire. Nelle considerazioni svolte in The Man in the Street si attribuisce a ciascun

principio insediativo un proprio campo di azione tra i nuovi insediamenti (stem) e la città esistente (web), ma questa distinzione a posteriori non è avvertibile nel periodo di elaborazione teorica, anche se è in parte deducibile dal contesto in cui si inseriscono. Nella redazione della raccolta dei progetti del gruppo302 si offre un‟altra chiave di lettura e si evidenziano

301 Ibidem. 302 Candilis Josic Woods (Jurgen Joedicke ed.), A decade of architecture and urban design, Karl Kramer Verlag, Stuttgart 1978, pagg. 159-212

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questi passaggi assegnando ad alcuni progetti il ruolo di mediazione nelle fasi di evoluzione. Il tema dominante, attorno a cui ruotano le motivazioni delle scelte progettuali, si riferisce all‟articolazione dall‟ambito pubblico al privato. Si definiscono i passaggi che portano dal più immediato rapporto tra spazio interno dell‟edificio come dominio privato e lo spazio esterno come aree di relazioni a carattere pubblico per salire nel grado di complessità, motivato dalle dimensioni sempre maggiori degli organismi edilizi, e dall‟interesse a definire spazi di relazione collettivi all‟interno degli edifici. La classificazione riguarda lo studio degli spazi di distribuzione interna all‟edificio, gli spazi pubblici compresi tra gli edifici, la definizione di sistemi di aggregazione compresi tra cluster e stem che pongono le basi

per i sistemi del grado più complesso, gli organismi edilizi definiti “from stem to web”, dove le attività dell‟ambito pubblico e privato vengono ospitate in ciò che può venire considerato un edificio continuo 303.

L‟evoluzione del sistema insediativo da lineare a bidirezionale viene

inaugurata da un articolo di Woods su “Le carré bleu” intitolato Web (la trame urbaine è il titolo riportato nell‟indice della rivista) e l‟individuazione

esplicita del tempo di elaborazione agosto-dicembre 1962 evidentemente pone l‟incontro di Royamount304 nel centro del periodo di gestazione di questo nuovo indirizzo progettuale. Se le ragioni che avevano portato all‟elaborazione teorica dello stem erano prevalentemente suggerite dalle nuove sfide progettuali, già all‟attenzione da dieci anni e oramai mature per un‟applicazione operativa, non risulta evidente da subito quali fossero le istanze con cui la nuova elaborazione teorica doveva confrontarsi. È sinora risultato evidente quanto tali risposte progettuali fossero innestate nel campo dei bisogni reali (e non realistici) della società. Usando un ragionamento preso a prestito dall‟epistemologia, non si tratta della sostituzione di un paradigma con un altro, in quanto l‟equipe riscontra che il precedente non risponde alle esigenze di quel momento. Abbiamo visto che Woods conferma ancora nel 1973 l‟operatività dello stem, come egli stesso specifica nel medesimo testo in cui web indica lo strumento

adeguato per operare in un campo di azione individuato all‟interno di un complesso urbano. Al tempo stesso nella evoluzione delle condizioni di crescita “a web is a network of the stems, a stem is ultimately part of a web

303. È evidente, in questo testo di divulgazione, rivolto a rendere immediatamente percepibile il movente progettuale, la dissimulazione delle opzioni teoriche più radicali, affinché non vadano a incidere nella classificazione degli edifici e nel giudizio del lettore. 304 12-16 settembre 1962.

and may serve many smaller webs”305. Come si riconosce dalla parziale realizzazione di Tolouose Le Mirail, il rapporto tra i percorsi strutturanti l‟insieme e gli edifici a maglia dell‟università costituisce l‟ultimo livello descritto; risulta invece più difficile verificare le proporzioni e gli esiti del livello superiore.

Se si compie una lettura comparata dei due scritti di Woods che

descrivono i concetti fondamentali delle loro ultime ricerche sulla trama urbana troviamo tra il saggio pubblicato nel 1964, quando le ipotesi erano state sottoposte a sperimentazione e avendo anche ricevuto un rilevante consenso, e la prima versione del dicembre 1962 sostanzialmente una identità di vedute, ossia tra l‟ipotesi iniziale e la verifica progettuale non si riscontrano oscillazioni di contenuto rilevanti nell‟impostazione generale306. Ciò che varia sono le condizioni al contorno che ne sostengono l‟operabilità che nel saggio del 1962 non risentono della radicalizzazione sopra descritta. Innanzitutto l‟architettura e l‟urbanistica (planning) vengono intese una come parte dell‟altra, impegnate nell‟organizzazione dei luoghi e delle attività umane; inoltre è sentito il bisogno di scoprire una cornice per l‟architettura e l‟urbanistica a una nuova scala, necessaria per rispondere alla ri-scoperta di un continuo spazio totale motivato dal contributo dell‟arte e dell‟architettura moderne307, senza dover agire sull‟esclusione dei precedenti modi di operare. Resta quindi aperta nel 1962 una conversazione a più voci che nel 1964 si ridurrà a dialogo serrato in cui il progettista si pone come unico interlocutore in un rapporto indagatore dei bisogni della società per riconoscere il sistema che la interpreta. L‟approccio mediato dalla ri-scoperta dello spazio continuo avvicina al periodo „eroico‟ dell‟arte e dell‟architettura moderna da cui evidentemente trae molte sollecitazioni ad aggiornare i suoi strumenti per l‟interpretazione della società in cambiamento. Così riferita al rapporto tra spazio e tempo si trova ravvisabile un‟influenza dai manifesti di van Doesburg riferiti

305 The Man in the street, op.cit., pag.180, si riporta per completezza la frase successiva per intendere l‟intenzionalità del rincorrersi dei termini stem e web; “The terminology is insignificant, however useful it may be to urbanists. The only important thing is that both these terms translate into comprehensible, human-scaled, coherent urban worlds”. 306 I due testi a cui si riferisce e più volte menzionati sono: Web, in “Le carré bleu”, n. 3, 1962; Urban environment – The Search for System, in “World Architecture One”, 1964. 307 “The rediscovery of continuous total space is the chief non-technical contribution of modern art and architecture to the social phenomenon of the XXth century”. Shadrach Woods, Web, in “Le carré bleu”, n. 3. 1962.

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principalmente al movimento, e sempre il movimento crea un altro possibile legame con la raccolta delle lezioni tenute al Bauhaus da Klee o il contemporaneo trattato di Kandinsky [mat.1.04.02a]308. La prima versione

del 1962 rappresenta un momento di sintesi complessiva fra più aspetti, infatti non viene considerato in via esclusiva l‟approccio visivo ma vengono richiamati l‟intera gamma dei sensi e “intellect et emotion to elaborate an architecture consonant with our aspirations”309. Queste aspirazioni non vengono definite a priori e non richiedono di essere individuate, in quanto la stessa forma di società a cui devono aderire, oltre a non fornire soluzioni conclusive, non ne sente neanche il bisogno di considerarle per non comprometterne il futuro. Quindi anche gli aspetti consolidati di definire dei centri di maggiore attività rispetto ad aree marginali viene rifiutato appunto per non comprometterne il futuro sviluppo in direzioni inattese.

Altre questioni rilevanti richiedono di essere ora evidenziate, per far

emergere ulteriori livelli di argomentazione; tra questi la più evidente riguarda la relazione tra la parte e il tutto, o l‟intero310. Al riguardo vengono attivate da Woods due considerazioni circostanziate e ripartite a distanza nel suo scritto: la prima consiste in una definizione della parte in relazione all‟intero “In order to reflect these relation of total space and universal society in our planning and building, and to deal with this problem of space and society at to-day‟s scale, we try to set up systems (intellectual frames) which can relate activities to each other and which can be understood. The understanding must come through the perception of the parts, as the whole systems can never be seen”311.

308 La specificazione di punto linea e superficie che richiama parti rilevanti dei trattati menzionati nelle due versioni di Woods viene intesa al di fuori di questi contesti artistici e didattici in un esclusivo senso progressivo, partendo dal punto come elemento statico alla linea come condizione di libertà fino alla conclusione con Web, al posto di superficie, definito come “non-centric initially, poly-centric through use (a fuller measure)”, ibidem. 309 Ibidem. 310 Aprire un filo di argomentazione diretta con le posizioni di van Eyck in quanto la base del suo lavoro teorico nella definizione della reciprocità tra casa e città può essere ricondotto alla definizione di parte e intero. Per verificare la capacità di questa idea di valicare le posizioni contingenti: “Si è spesso indotti a sviluppare il rapporto architettura-città , casa-città, sulla base di un‟analogia: quella della parte-tutto.” Massimo Cacciari, architettura, filosofia, Iuav-giornale d‟istituto n. 5, gennaio-marzo 2001, pag. 11. 311 “Le carré bleu”, n. 3, 1962

Questa considerazione finale avvicina le posizioni di van Eyck e di Woods: il fatto che la comprensione dell‟insieme possa avvenire solo tramite la percezione delle singole parti si ritiene abbia un‟accezione non limitata al solo riscontro visuale, ma che sia stata attivata da un interesse a riconoscere a ciascuna parte il valore dell‟intero. Quello che viene respinto è l‟atteggiamento associativo e si dirige verso un carattere sintetico. L‟obiettivo di giungere a un intero che sia maggiore della somma delle singole parti, cuore della tradizione compositiva, viene condiviso anche dalla disciplina configurativa di van Eyck e risulta più aderente a una composizione che a un sistema. L‟altro argomento rilevante e da verificare riguarda l‟accezione in cui Woods utilizza il termine “sistema” e la sua specificazione, tra parentesi, di “intellectual frames”312.

Non varia nelle due versioni del testo la ricerca di sistemi con i

medesimi sei requisiti che portano alla definizione di Web. Sebbene

cambino le premesse che impostano la ricerca, nella versione del 1962 non si conoscono gli esiti a cui porterà tale ricerca, si definiscono invece alcune condizioni a cui questi sistemi si conformeranno. Nel saggio successivo sostenuto dalla sperimentazione progettuale Woods si sposta alla ricerca delle condizioni che governano i sistemi

313 “The systems will be such that man can, within them, contribute

to the creation of his (own) environment, and, in so doing, ameliorate the total environment. This condition holds at all [levels] (scales), from man in general to each particular man. It is the main reason for systems.

The systems will have more than the (usual) three [Euclidean] dimensions. They will [necessarily] include the time dimension.

The systems will be sufficiently flexible to permit [and encourage] growth and change within themselves throughout the course of their lives. [This is the true organic principle.]

The systems will remain open, (in) both (direction) in respect of smaller systems within them and in respect of greater systems around

312 Potrebbe portare a una mutuazione dalla linguistica, mentre invece i riferimenti espliciti di Woods sono principalmente riferiti alle scienze esatte. Il termine „struttura‟ viene ritenuto da Woods fuorviante per la sua duplicità d‟uso. CW 367. 313 Con le parentesi quadre e tonde si è incluso il testo che varia tra le due versioni: le parentesi tonde contengono le variazioni del testo nell‟articolo del 1962, le parentesi quadre il testo del 1964.

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them. [Smaller systems must be able to connect to them freely and they themselves must be able to connect freely to greater systems.]

The systems will present, in their (conception) [beginning], an even (overall) intensity (of activity) [throughout]. In order not to compromise the future [, they will not establish, by their nature, any hierarchy of density or intensity of activity].

The (extent and) character [and possibly the extent] of the systems will be apparent, or at least ascertainable, from the perception of (parts of the system) [their parts].”

Come si può comprendere dal confronto fra il testo del 1962 (tra

parentesi tonde) e il successivo del 1964 [tra parentesi quadre] le variazioni seppure significative nel dettaglio non spostano la sostanza della ricerca in seguito ai riscontri progettuali, ma l‟intervento riguarda prevalentemente una specificazione e un rafforzamento, un indicatore della continuità operativa che si stava attribuendo a questa ricerca, se solo la si confronta con le variazioni occorse nei due anni precedenti di elaborazione progettuale riferita ai sistemi lineari. Inoltre a conclusione di questa lista di requisiti, con un piglio autoritario in conflitto con i suoi contenuti, si riconosce come punto di arrivo della ricerca una vera scoperta poetica dell‟architettura. L‟obiettivo viene confermato in sostanza ma nella versione del 1964 l‟architettura si trasforma nella “art of the creating environment”. In questa condizione l‟apertura del saggio del 1962 “architecture and planning, which are each part of the others …” diviene superflua poiché la dicotomia viene superata dall‟entità superiore dell‟arte di creare… L‟obiettivo generale di superare la divisione tra urbanistica e architettura non resta più isolato come un‟intenzione, ma è realizzato, e ne è dichiarata la potenzialità insita nella costruzione tramite organismi edilizi cui l‟Orphanage ha aperto la strada. In questa luce la generosa critica di van Eyck al sistema a sviluppo lineare con la riflessione sull‟omologia della foglia e dell‟albero314 diviene il nesso di questa vicenda ed entrambi gli autori, Woods e van Eyck, giungono infine a riconoscersi, al di fuori dei condizionamenti di appartenenza, semplicemente artisti. 315

314 Una ulteriore reazione alla discussione aperta da van Eyck e Woods si troverà nel saggio di Cristopher Alexander A city is not a tree pubblicato in “Architectural Design”, aprile, 1965. 315 L‟ipotesi del lavoro di ricerca consiste nel ritenere che l‟avanzamento dal punto di vista teorico del gruppo Candilis Josic Woods su questa nuova posizione disciplinare sia stato promosso e sostenuto dalla critica costruita da van Eyck ad Abbey Royamount. L‟ironia alla

La trama urbana

1.04.03

L‟elenco dell‟attività progettuale del gruppo Candilis Josic Woods tra i due concorsi conclusisi entrambi con il primo premio (e realizzati anche se solo in parte) per Tolouse Le Mirail e per la Libera Università di Berlino (BFU) e le condizioni in cui matura il progetto per Berlino definiscono un percorso di avvicinamento sostanzialmente lineare; il progetto per Berlino poi, con le variazioni dovute al confronto con le esigenze organizzative e costruttive di un progetto innovativo, concluderà il corso di questa esperienza di ricerca „sperimentale‟.

La produzione dello studio Candilis Josic Woods, tra il 1961 e il

1963, contempla progetti diversi tra loro per la natura del compito ma riconoscibili da una tendenza comune a realizzare relazioni sempre più serrate tra le attività e definiti da una trama edilizia che sempre più tendeva a ispessirsi e a infittirsi. I progetti elaborati in questi tre anni seguono un ordine che oltre a essere scandito dal tempo tra le scelte progettuali e dalle opportunità offerte dalle singole occasioni (sempre concorsi!), risente della varietà di condizione geografica in cui sono sviluppate le ipotesi progettuali. Per mettere in evidenza gli ultimi passaggi, le stazioni di avvicinamento, prima di affrontare il concorso per la BFU, oltre a Francoforte, la più prossima, si considerano il concorso per l‟Università di Bochum, innanzitutto poiché affronta il medesimo tema progettuale nella medesima area geografica, e poi il concorso per l‟ampliamento di Fort

base di tale apporto critico costituisce il controcampo di un‟assidua attività progettuale del gruppo di progettazione il cui percorso teorico sarà distinguibile nelle principali vicende professionali che verranno successivamente illustrate. L‟articolo Web su “Le carrè bleu” viene illustrato da tre disegni schematici: il primo riporta una sezione della proposta per Bilbao che mette in evidenza la continuità dei percorsi collettivi, un centro sociale e commerciale a Marsiglia in cui il secondo presenta una galleria a zig-zag che può rappresentare un primo timido tentativo di definire il carattere dello spazio pubblico interno, con qualche analogia formale con progetti di van Eyck [mat. 1.03.06x]. La terza figura si avvicina alle intenzioni espresse dallo scritto e alle successive proposte presentando la continuità dei percorsi pedonali e un tendenziale sviluppo orizzontale. Anche se non riporta un‟indicazione specifica, si riconosce una consistente similarità con lo schema adottato nel progetto di concorso per l‟Università di Bochum, il cui iter probabilmente non era stato ancora concluso; la pubblicazione del progetto di Bakema per il medesimo concorso sarà pubblicato nella stessa rivista nel n. 1, 1963.

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Lamy. La capitale del nuovo stato del Tchad mostra la mediazione culturale tra due diversi modi dell‟abitare e in un contesto socio-politico diverso, offre le condizioni all‟equipe di riprendere la riflessione sull‟organizzazione spaziale densa e compatta già sperimentata in Marocco.

Nel progetto per la stazione sciistica di Belleville si riscontra per ragioni climatiche e di carattere ambientale la tendenza a operare con tessuti edilizi a maglia sempre più fine e una tendenza a rendere organicamente relazionate e concentrate le attività316. La proposta progettuale per Belleville consiste in una costruzione compatta che copre integralmente il terreno particolarmente scosceso utilizzando esclusivamente l‟articolazione verticale favorita dall‟orografia, così l‟affaccio di ciascuna unità residenziale, prevalentemente a un piano, viene ricavato dallo scarto di quota tra un livello e il successivo. I bordi di questo corpo continuo vengono sagomati seguendo una linea a spezzata che si adatta alle caratteristiche del terreno. In questo caso specifico le condizioni naturali risultano talmente vincolanti e comunque interpretate in modo conseguente ed efficace, da far cogliere una tendenza, ma non certo un modello [mat. 1.04.03a]. Un progetto, invece, che risponde ai requisiti impostati dal dibattito su Web è quello per il centro commerciale di

Tolouse317 che in ordine di tempo risulta come la prima proposta operativa di adozione del sistema Web. Tuttavia la scala ridotta dell‟intervento e

l‟organizzazione frammentata dello spazio di distribuzione interno rendono questo primo tentativo distante dagli obiettivi generali, principalmente nella relazione tra città ed edificio, posti dalla ricerca dei nuovi sistemi di aggregazione [mat. 1.03.06b].

L‟ articolo di Woods dal titolo Web riporta a titolo esemplificativo

una sezione simile a quella adottata per il concorso per l‟Università di

316 Concours pour l‟ amenagement de une station de sports de hiver , 1962. Candilis Josic Woods partecipano al concorso con Charlotte Perriand, Joachim Pfeufer, Henri Piot, Jean Prouvé, Ren Suzuki. Si trattava di un complesso turistico per lo sci per 25.000 persone da realizzare in un‟area di completa nuova urbanizzazione, che doveva venire integrata con altri villaggi analoghi serviti da una monorotaia. 317 Tom Avermate, Another modern, op.cit., pagg. 303-306. In riferimento alle considerazioni svolte si osserva che sebbene questo progetto a scala edilizia riporta alcuni elementi di impostazione significativi, sembra distante dallo spirito della “ricerca di sistemi” con cui le successive proposte verranno elaborate.

Bochum. L‟utilizzo del piano inclinato dell‟area collinare separa il flusso carrabile da quello pedonale disponendoli in modo ortogonale tra loro. I percorsi pedonali seguono l‟inclinazione della collina e definiscono un asse centrale attorno cui gravitano le principali attività collettive. Lo svolgimento del concorso coincide con l‟elaborazione teorica da parte di Woods del concetto di Web ma le soluzioni adottate sono ancora legate allo sviluppo di un asse centrale di distribuzione, con una forte componente gerarchica dell‟insieme, sostenuta anche dalla coincidenza di un sistema di trasporto pubblico metropolitano nel sottosuolo. Di fatto a Bochum risultano risolte molte delle questioni infrastrutturali che erano rimaste in sospeso a Tolouse Le Mirail, in quanto non vi era una netta contrapposizione con un centro storico consolidato. I problemi di trasporto pubblico erano stati tenuti in debito conto, ma soprattutto il rapporto tra attività e residenza era ora di fatto invertito in quanto l‟attività preminente era di ordine produttivo-culturale e quella residenziale rivestiva un ruolo complementare. Il tema funzionale quindi consentiva di prevedere un uso motivato dello spazio collettivo legato all‟attività dell‟università, la stessa radice etimologica della parola „università‟318, intesa come intero, porta il gruppo a sostenere un impianto prevalentemente compatto che comunque risponde a criteri organizzativi diametrali a quelli in corso di elaborazione teorica. Mentre il progetto per Belleville non era sostenuto esclusivamente da un asse centrale, ma aveva più diramazioni e una chiara caratterizzazione dei propri bordi che fa intendere la definizione di un limite di inviluppo, definito dal rispetto degli elementi naturali. Il progetto per Belleville viene elaborato quasi319 contemporaneamente a Bochum, ma gli esiti sono molto diversi, per quanto alcune caratteristiche fisiche e organizzative siano assimilabili. Il progetto per Bochum spinge l‟organizzazione lineare e la planimetria evidenzia come lo schema organizzativo esprima, tramite la conformazione della presenza discreta di edifici pluripiano, un richiamo evidente all‟immagine della colonna vertebrale e delle sue vertebre. L‟impianto planimetrico viene sostenuto da un tessuto edilizio omogeneo che costituisce un terreno artificiale, le sezioni verticali infatti mettono in luce la compresenza dei due sistemi sebbene il secondo, quello orizzontale,

318 È rilevante seguire l‟interesse nell‟organizzazione didattica universitaria poiché sarà questo tema risolto con l‟obiettivo dell‟integrazione il punto di forza della proposta per la BFU. Vedi “Architectural design”, agosto, 1964, pag. 378. 319 Belleville riporta la data ottobre 1962, presumibilmente relativa alla consegna degli elaborati, mentre il concorso per Bochum viene bandito il 27 giugno 1962. Vedi “L‟Architecture d‟aujourd‟hui”, n. 107, 1963.

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venga ancora subordinato all‟organizzazione lineare. Se si apre un confronto con le altre soluzioni progettuali320 per il complesso universitario della Ruhr risulta evidente la rilevanza dello sviluppo orizzontale nella proposta di Candilis Josic Woods. L‟ampiezza delle oscillazioni tra le soluzioni progettuali presentate ha visto prevalere atteggiamenti che si concentravano nel definire quali dovessero essere le caratteristiche di una città universitaria. Su questo piano emergono distinte due posizioni culturali, l‟una rappresentata dal TAC (The Architects Collaborative) che ricostituiva un pezzo di città con un centro definito da un accento tendenzialmente monumentale e un‟area che lo circonda definita da isolati con un‟edificazione perimetrale articolata, quasi labirintica. Di contro il progetto di Arne Jacobsen, con l‟obiettivo di salvaguardare, o meglio promuovere, le caratteristiche ambientali della valle, propone un impianto che si sviluppa su una serie di corpi di fabbrica ravvicinati, disposti ad arco, così il baricentro del complesso universitario diviene lo spazio della natura, con una macchia densa di verde che lascia immaginare un bosco .

Ad apprezzare le differenze culturali di ciascuna ipotesi, si capisce

dagli esiti del concorso per Bochum che non vi era una tendenza dominante nel considerare le caratteristiche dei nuovi insediamenti universitari. Nel corso degli anni sessanta il tema progettuale dell‟università diviene rilevante321, Lewis Mumford322 riteneva che le città universitarie potevano divenire il nuovo fulcro delle trasformazioni nella città-regione e inoltre le opportunità dei concorsi si moltiplicavano. Certamente vi erano modelli culturali che influivano profondamente e Mumford, per esempio, si riferiva prevalentemente a quelli dell‟America del Nord, ma si deve anche considerare come nella Germania Ovest, all‟inizio degli anni sessanta, questi modelli potessero avere una notevole influenza. In particolare a Berlino divengono rilevanti questioni ideologiche di contrapposizione culturale Est-Ovest immerse in quella “atmosfera” in cui il modello anglo-americano diveniva un necessario riferimento.

320 Ibidem. 321 Per uno studio sulle principali tendenze del dopoguerra nell‟organizzazione delle attrezzature didattiche a livello universitario si veda: Stefan Muthesius, The Postwar University - Utopianist Campus and College, Yale University Press, New Haven 2000. 322 L‟università come nucleo della città del futuro viene trattato nell‟ultima puntata intitolata The city of the future della serie di documentari prodotti fino al 1963. Sesto (e ultimo) episodio della serie Lewis Mumford on the City, scritto da Ian McNeill, National Film Board of Canada, 1963.

Oltre alle ideologie, altri progetti per il concorso di Bochum offrono

elementi di chiarimento per intendere le posizioni disciplinari emergenti relativamente alle questioni morfologiche e percettive. In particolare la proposta di Bakema va considerata in relazione a un suo contemporaneo intervento critico indirizzato a Woods dalle pagine di “Le carré bleu”323 e illustrato appunto dalla sua proposta per Bochum [mat. 1.04.03b,c]. Bakema avverte che si corre il rischio di “disintegrare” la differenza tra le diverse scale di intervento. L‟obiettivo comune dell‟identificazione del soggetto nello “spazio totale” richiede per Bakema la distinzione tra ciò che è permanente e appartiene alla scala collettiva da ciò che è individuale ed è soggetto alla trasformazione. Bakema affida alla percezione della transizione la modalità stessa in cui l’idea di spazio si materializza nella

mente umana. La “poetica della transizione” che si manifesta nella percezione tramite l‟occhio umano, fessura della mente, viene fondata dalla capacità di cogliere le differenze e Bakema realizza che gli assunti teorici di Woods minacciano tali differenze, assorbite all‟interno dei sistemi da un flusso continuo; così anche l‟occhio, il senso privilegiato, perde la sua supremazia a favore del dominio della combinazione dei sensi. La risposta di Woods alle perplessità di Bakema non mette in discussione direttamente il principio del visual-group che aveva resistito a più di dieci

anni di dibattito disciplinare, ma cerca di integrarlo in un contesto di grado superiore. Resta comune la ricerca delle relazioni di significato fra le parti e tra le parti e il tutto, ma “at some point the composition becomes meaningless because invisible”324. La chiarezza dell‟impianto volumetrico di van den Broek e Bakema per Bochum offre un‟immediata materia di comparazione nell‟organizzazione dei volumi edilizi che si presentano in modo opposto sia per quanto riguarda le modalità di aggregazione sia per le relazioni prima con il suolo e quindi con il contesto. La soluzione planimetrica di van den Broek e Bakema si distingue per un impianto a croce tendenzialmente unitario composto da corpi edilizi chiaramente definiti, con un considerevole sviluppo verticale e indipendenti rispetto alle

323 Jaap Bakema, Visual group-idea / poetry of transition, in “Le carré bleu”, n. 1, 1963. 324 Woods in risposta a Bakema su “Le carré bleu”, n. 4, 1962. La risposta di Woods alle critiche di Bakema è conciliante verso la ricerca di un contesto comune: “I did not intend to imply the disintegration of the visual-group but rather sought its integration in a greater context, as indeed Bakema himself does in Wulfenplan and others”. Si deve registrare che successivamente Bakema virerà la sua posizione a sostegno del sistema a matrice [2.03.04].

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variazioni del suolo, che definiscono un fronte continuo anche se articolato rivolto verso valle. In riferimento al confronto con questo progetto emerge in maniera ancor più definita l‟intenzione di Candilis e Woods di attivare due livelli che si integrano tra loro. Tutto cambia, è notevole notare come la riflessione di un principio progettuale che, dapprima astratto, nella sua applicazione coerente conduce a una diversità di interpretazione del tema di una straordinaria consistenza operativa.

La libertà di azione e di interpretazione che il concorso di Bochum

offriva non poteva essere reiterata per l‟ampliamento residenziale della capitale del Tchad, nuovo stato dell‟Africa Centrale, dove invece le condizioni di lavoro richiedevano una estrema attenzione alla fragilità della situazione sociale. In seguito a una guerra civile nel 1960, il Tchad aveva conquistato l‟indipendenza e nel 1961 viene bandito un concorso per la definizione di un progetto urbano di 6.000 alloggi per l‟area compresa tra il quartiere-città indigeno e la città-quartiere europea. Un‟area denominata “zone sanitarie” costituiva uno stacco fisico e sociale tra le due realtà. Vi sono tre questioni per cui questa esperienza progettuale così distante nello spazio e per le condizioni operative risulta rilevante in riferimento al progetto per la BFU. La prima, e più evidente, è l‟organizzazione della sezione verticale delle aree residenziali, che esplicitamente riproposta dal rilievo del quartiere africano, rivela le dimensioni e le qualità delle relazioni tra spazi aperti interni e spazi chiusi che conferiscono alla BFU una delle sue caratteristiche più apprezzabili. Le stesse sezioni verticali consentono di ricollegarsi oltre che alle loro precedenti esperienze in Marocco e Algeria, anche alle proposte per un “habitat marocain”325 elaborate attorno al 1954 da Andre Studer che offrono un terreno comune di riflessione tipologica sulla densità edilizia [mat. 1.04.03d]. Sicuramente ben presenti anche se non con riferimenti espliciti326 le “close houses” degli Smithson presentano una articolazione tra spazi pubblici e privati con alcuni elementi rilevanti in comune [mat. 1.02.01a], e ancora si avverte un‟eco dell‟articolazione volumetrica del villaggio Pueblo Taos che era divenuto il simbolo della contiguità-continuità tra ambito individuale e collettivo.

La seconda questione riguarda il rapporto con la dimensione

ideologica della definizione di una città di mezzo tra le due realtà, sino a

325 Andre Studer, Habitat Marocain, in “Forum“, 1962, pagg. 201-205. 326 Mentre un altro progetto degli Smithson per Golden Lane “streets mesh in the air” diviene un riferimento fisso tirato in ballo in molte occasioni.

pochi anni prima in aperto contrasto, e che richiedevano un‟integrazione. La verifica delle potenzialità morfologiche dello stem o grand vie, di riconnettere tessuti edilizi così diversi e volutamente contrapposti, vede da una parte il sistema radiale della città europea327 e dall‟altra parte (e tutto attorno) la città indigena che servirà da riferimento per recuperare i caratteri e le abitudini di vita. Due città separate da riunificare, una condizione tipica dei territori colonizzati, che ora, in seguito all‟indipendenza, offriva l‟occasione di verificare la compatibilità tra diversi modi di abitare. La strategia operativa non consiste nel mettere in competizione i due modelli insediativi esistenti, ma nell‟avanzare nell‟occupazione dello spazio di mezzo con una „struttura‟ che costruisce il nesso tra le due parti.

La terza questione, che collega le due precedenti, riguarda l‟utilizzo

e la manipolazione del tipo edilizio a patio e del rapporto di questo tipo con altri tipi edilizi a sviluppo verticale e le sue potenzialità nel definire una forma urbana. La tradizione costruttiva del popolo indigeno viene intesa, come nel linguaggio, la base per la reciproca comprensione. Nel confronto delle sezioni del rilievo degli edifici esistenti nel quartiere indigeno con le proposte progettuali ciò che si nota è che i gesti e le azioni delle figure umane che animano entrambi i disegni sono sempre le medesime: vi è una trasposizione di azioni identiche da un ambiente all‟altro, dall‟esistente al nuovo. Le differenze che emergono tra l‟analisi del contesto e la proposta progettuale sono prevalentemente costruttive. Linee rette prendono il posto degli spigoli arrotondati delle case rivestite di terra, ma l‟Habitat viene salvaguardato e le sue regole di costituzione sono elaborate per verificare i gradi di densità con cui era compatibile il tipo edilizio. Le possibilità costruttive del cemento armato328 consentono di implementare il sistema

327 Denominata Fort Lamy poiché il suo nucleo originario era un presidio militare; l‟osservazione dell‟assetto planimetrico rende esplicita l‟estraneità rispetto al contesto, la volontà di isolamento e di creare uno stacco rispetto all‟intorno. 328 Dalla lettura dei disegni disponibili e sapendo che la costituzione dei terreni soggetti a frequenti alluvioni su cui sorgeva la città era argillosa si presume che le case tradizionali a uno o due livelli fossero realizzate in argilla essiccata visto lo spessore delle pareti esterne e la loro sagoma svasata deducibili dai rilievi; i disegni di progetto fanno ritenere che la soluzione costruttiva prevista fosse in muratura portante e solai in laterocemento. Il progetto per Fort Lamy viene valutato sulla base dei disegni raccolti su “Le carré bleu”, e qualche altra illustrazione (alcune tavole di concorso la fotografia del modello pubblicate in Another Modern, op.cit., pagg. 267-270), mentre nulla si conosce dell‟evoluzione del progetto nel

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organizzativo tradizionale, con sezioni di maggiore integrazione dei livelli di abitazioni, che consentiva di aumentare ulteriormente, con successive sovrapposizioni, la densità edilizia. La composizione delle unità residenziali è guidata dalla definizione degli spazi intermedi tra le attività individuali, la singola cella, e gli spazi collettivi, la strada, che costituiscono la caratteristica dominante dell‟Habitat tradizionale.

Il disegno urbano della nuova capitale viene a risolvere il problema

a grande scala dell‟integrazione delle due parti di città tramite una grande strada, definita perimetralmente da edifici pluripiano, cui sono riferiti i singoli quartieri, così da far coesistere due modelli insediativi all‟interno del medesimo disegno urbano. Il tema della ricomposizione delle due realtà conflittuali deve avere rappresentato per Candilis e Woods una sfida tanto attesa quanto necessaria e oramai matura. L‟interesse per l‟evoluzione di questo progetto, iniziato nel 1961, anno in cui si è sviluppato il concorso, fino al 1965, quando viene concluso l‟iter progettuale, è di verificare come le differenti posizioni teoriche elaborate dall‟equipe giungano a una sedimentazione e una sintesi dal principio di struttura urbana “ad albero” fino alla ridefinizione di una trama urbana. L‟evoluzione di questo progetto riporta alle prime esperienze africane guidate da Ecochard e raccolte da Candilis già dal 1954 per l‟adozione di uno strumento, “le plan masse sous forme de trame”329 che tornerà determinante nell‟identificazione della strategia insediativa a Fort Lamy [mat. 1.04.03e]. Un passo indietro verso l‟inizio del manifestarsi delle problematiche dell‟Habitat per il grande numero che produrrà le condizioni per riconoscere la continuità di alcuni argomenti progettuali, visibili negli sviluppi in corso nei progetti per Francoforte e Berlino. Si cercherà, nei passaggi successivi, di intendere come la trasformazione degli elementi tradizionali dell‟edilizia in diverse regioni dell‟Africa possa aver influenzato la ricerca di un sistema di organizzazione per il futuro, ciò che verrà trattenuto e ciò che verrà abbandonato.

La suggestione della metafora del tessuto, della trama e dell‟ordito

aveva avuto un forte impatto nei progetti per Casablanca, in termini espliciti nell‟opera di Ecochard e forse anche solo a livello inconscio ma evidente

corso dei quattro anni di elaborazione e di altre ipotesi progettuali avanzate in occasione del concorso. 329 Georges Candilis, L‟esprit de plan de masse de l‟habitat, in “L‟Architecture d‟aujourd‟hui”, n. 57, 1954, pag. 1.

nelle realizzazioni degli edifici pluripiano a Carrières centrales. Per approfondire il rapporto tra l‟ornato tessile a cui la storia dell‟arte comunemente fa risalire i motivi delle decorazioni architettoniche330, Alois Riegl331 ha portato un contributo significativo nell‟analisi delle derivazioni dei motivi ornamentali dei tappeti a nodi [mat. 1.04.03f]. Quantunque il suo interesse fosse quello di dimostrare, tramite l‟analisi dell‟ornato, le derivazioni di taluni motivi decorativi da influenze armene e bizantine sull‟arte saracena, il suo ripercorrere le tracce delle influenze artistiche nel Mediterraneo prima del Mille aiuta a intendere il ruolo svolto dal tappeto nella cultura nomade. Parti dello studio di Riegl ci offrono un quadro dell‟attività di tessitura presso le popolazioni arabe e di come tali tecniche erano il fulcro dell‟espressione culturale e successivamente, con l‟attenuarsi del nomadismo, di intermediazione con l‟architettura332. Le ragioni ultime dell‟interesse sulla ricostruzione degli itinerari stilistici dei motivi ornamentali dei tappeti consiste nel fatto che, proprio studiando l‟evoluzione della tessitura, Riegl riconosce la strada per avvicinarsi all‟evoluzione artistica di quei popoli nomadi e come nel corso della loro storia la tessitura, come l‟architettura nei popoli stanziali, rappresenti la continuità della loro tradizione.

Sul rapporto tra il nomade e il tappeto a nodi Sergio Bettini333 ha

scritto un saggio illuminante e utile all‟architetto occidentale per considerare l‟oscillazione nell‟uomo del concetto di casa e la riconoscibilità del proprio luogo come svolgimento dell‟immaginazione. Se poi ci si sposta nel sud dell‟Africa, si trova nelle „rivelazioni cosmologiche‟ di Ogotomméli, cacciatore Dogon, a Marcel Griaule che la genesi della lingua è attribuita alla tessitura: “Quando il momento fu venuto, alla luce del Sole, il Settimo

genio espulse dalla bocca ottanta fili di cotone che ripartì fra i suoi denti superiori utilizzati come quelli del pettine di un telaio. Formò così l‟armatura dispari dell‟ordito. Fece lo stesso con i denti inferiori per preparare i fili pari. Aprendo e chiudendo le mascelle, il genio imprimeva all‟ordito i movimenti che compiono i licci del telaio. E poiché tutto il suo volto partecipava

330 Si intende l‟influenza dell‟ornato sugli edifici che insistono nelle aree di produzione dei tappeti. 331 Alois Riegl, Antichi tappeti orientali, Quodlibet, Macerata 1998. 332 Si sono sommate in questo brano opinioni sostenute da Riegl e anche le sue confutazioni verso teorie antecedenti. 333 Sergio Bettini, Poetica del tappeto orientale, in appendice a: Antichi tappeti orientali, op.cit., pagg. 226-242.

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all‟opera, gli ornamenti del naso rappresentavano la carrucola dalla quale pendolano i licci; e la spola non era altro che l‟ornamento del labbro inferiore. Mentre i fili si incrociavano e si separavano, le due punte della lingua forcuta del genio spingevano alternativamente il filo della trama e il tessuto si avvolgeva fuori della bocca, nel soffio della seconda parola rivelata” .334

La descrizione riportata da Griaule ci illustra la tessitura come l‟atto

che dà origine al linguaggio; è un modo per intendere con un‟iperbole come Candilis e Woods in particolare nel progetto per Fort Lamy, ma in generale nella loro attività in Africa, tramite la metafora della tessitura colgano il ruolo della tradizione e della permanenza nel loro lavoro del senso delle forme arcaiche335 e della identità di quei luoghi. Nelle ricerche di Candilis e Woods l‟attenzione verso la tradizione segna alcuni punti fondamentali: come abbiamo già segnalato i villaggi dell‟Atlas, così come le relazioni tra strada ed edifici street-village, studiate da Gutkind nella sua storia dello sviluppo urbano in Europa. Questi riferimenti rinviano oltre alla ricerca teorica, anche agli apici della pratica progettuale, in quanto non avevano mancato di utilizzare esplicitamente „precedenti storici‟ per verificare le proprie ipotesi progettuali. In particolare si osserva che l‟attenzione non veniva riservata alle caratteristiche del singolo edificio ma era orientata a investigare il rapporto che si instaurava tra ciascun tipo edilizio e gli effetti sulla morfologia urbana o del territorio come interpretazione delle caratteristiche ambientali geografiche sociali etc. di ciascun luogo. Il rapporto evidente tra tipi edilizi e nuova forma urbana che era stato definito, facendo leva sulle differenze tipologiche per ottenere la mediazione a Fort Lamy tra due città, contigue fisicamente, ma separate da due diverse culture dell‟abitare, era comunque un‟esperienza limitata a un‟emergenza.

334 Marcel Griaule, Dio d‟acqua – Incontri con Ogotomméli, Bollati Boringheri, Milano 2002, pag. 59 (trad. Giorgio Agamben). La lunga citazione serve per definire un minimo di contesto per una vicenda straordinaria di rivelazione culturale; sulla questione si tornerà ampliamente in riferimento agli studi di van Eyck sulla popolazione Dogon e gli influssi che ha avuto nella sua formazione. Il rapporto tra la tessitura e la traduzione nel caso dei dogon diviene ancora più acuto, poiché si tratta della tradizione di un popolo che si vede ospite della terra in cui vive e si identifica non nel proprio territorio di appartenenza ma nella propria lingua. 335 L‟attenzione per le forme insediative arcaiche non va letto in contraddizione con l‟apertura verso il futuro.

Il nuovo paradigma 1.04.04

I requisiti essenziali che distinguono l‟impianto dell‟Orphanage, le successive sperimentazioni degli ex-studenti di van Eyck, i progetti per l‟Africa di Candilis Josic Woods si basano sul principio iterativo336 di parti che vengono composte in entità di ordine superiore e un prevalente sviluppo orizzontale dei volumi edilizi e del sistema distributivo. Da queste due condizioni di densificazione del tessuto edilizio derivano la prevalente introversione e lo stesso carattere d‟introversione promuove l‟integrazione delle componenti distributive attribuibili allo spazio urbano esterno. In perfetta coincidenza337 temporale con l‟Orphanage, Kahn elaborerà con analoghi requisiti il progetto per il Trenton Jewish Community Center anch‟esso per un‟attrezzatura collettiva che egli riterrà un passaggio fondamentale della sua ricerca personale; sempre dalla scuola di Philadelphia, Ian McHarg338 divulgava, tramite studi tipologici sulla casa a

Si usa il termine nell‟accezione per quanto ampia e complessa attribuita da Thomas Kuhn nel suo La struttura delle rivoluzioni scientifiche (Einaudi Editore, Torino 1978): la prima edizione è del 1962 e sarà un punto di riferimento essenziale per riflettere sulle relazioni tra comunità scientifica e reazioni del mondo culturale, per quanto rivolto alla specificità delle comunità scientifiche. La seguente enunciazione del significato di paradigma può estendersi al tentativo di trasformazione disciplinare in architettura e urbanistica che era in corso proprio negli anni in cui il libro è stato scritto. Non a caso gli architetti rivolti alla ricerca di un “nuovo sistema” traevano le loro certezze sul cambiamento dalle nuove teorie della fisica. “Ammettiamo dunque che le differenze tra paradigmi successivi siano tanto necessarie quanto irriconciliabili. Possiamo allora dire più esplicitamente che genere di differenze sono? … Paradigmi successivi ci dicono cose differenti sugli oggetti che popolano l‟universo e sul comportamento di tali oggetti. … Ma i paradigmi differiscono anche in qualcos‟altro oltre che negli oggetti, giacché essi sono rivolti, non solo alla natura, ma anche alla scienza precedente che li ha prodotti. Essi determinano i metodi, la gamma dei problemi, e i modelli di soluzione accettati da una comunità scientifica matura di un determinato periodo. Ne consegue che l‟accoglimento di un nuovo paradigma spesso richiede una nuova definizione di tutta la scienza corrispondente”, pagg. 131, 132. 336 Principio iterativo rinvia alla classificazione operata da Costantino Dardi in Il gioco sapiente- tendenze della nuova architettura, Marsilio Editori, Padova 1971, pagg. 85-88. 337 Jewish Community Center marzo 1955, Orphanage gennaio maggio 1955. 338 Ian McHarg professore di Landscape architecture inviterà van Eyck alla Pennsilvanya come visiting professor nel 1960, presumibilmente su suggerimento dello stesso Kahn. Vedi il suo The court house concept, in “Architect‟s year book”, n. 8, 1957, pagg. 74-101.

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patio, il valore della realizzazione di un tessuto edilizio residenziale, organizzato in orizzontale in una contrapposizione stabilita su argomentazioni di ordine ecologico, rispetto al modello di organizzazione verticale339. Serge Chermayeff pubblica nell‟autunno del 1963 una sintesi delle ricerche compiute a largo raggio sul rapporto tra spazio pubblico e privato, tra abitazione e città, sostenuta anche dall‟elaborazione elettronica di categorie di problemi “emotivamente neutrali” e giungendo alla determinazione dell‟adeguatezza della casa a patio, oggetto di studio nel suo corso a Harvard verso “la ricerca del tipo, del migliore comune denominatore”.340 Con diversi accenti e inclinazioni queste ricerche hanno in comune una concezione “ecologica” del futuro e un‟attenzione all‟uomo che viene rivolta da una molteplicità di punti di vista e poi converge nella definizione di un principio insediativo a prevalente sviluppo orizzontale come condizione ideale per favorire le relazioni sociali. L‟interesse alla definizione degli spazi di relazione è una costante nei discorsi progettuali in tutto il dopoguerra, ma vi è un momento in cui maturano le condizioni per cui il concetto di Habitat può determinare una radicale trasformazione dei modi di abitare, al di fuori di una visione utopistica, di trasformazione dell‟ambiente, ma come strumento corrispondente agli „attuali‟ bisogni della società.

I bisogni della società espressi dagli architetti muniti di speciali

ricettori avevano un primo e sedimentato sostegno nel loro riconoscere il cambiamento dal mondo scientifico. Il rapporto mutato tra spazio e tempo è individuabile come variazione di un paradigma che esce dalla comunità scientifica e contagia, dopo il mondo artistico, anche gli interpreti delle

339 E ravvisava come il tipo a patio fosse in corso di re-introduzione in differenti ambiti geografici. 340 Questo lavoro di Chermayeff è dedicato a Walter Gropius e si è scelta questa frase da “l‟ArchitettoContemporaneo” perché sembra rispecchiare la loro convergenza d‟intenti. Da Walter Gropius, Architettura Integrata, Il Saggiatore, Milano 1963, pag. 115 (prima edizione inglese 1953). La frase rivolta al contrasto del culto dell‟ego viene evidenziata nel testo in corsivo e per esteso: “Ciò presupporrà un atteggiamento del nuovo architetto nel senso di indirizzare il proprio lavoro verso la ricerca del tipo, del migliore comune denominatore, anziché verso l‟esibizione provocatrice.” Volendo proseguire questo elenco sul recupero degli elementi tipologici della casa a patio si dovrebbero inserire oltre i progetti di Josep Lluis Sert; almeno gli studi per i prototipi di scuole elementari elaborati da Walter Gropius e il TAC nel 1954; la bellissima scuola di Arne Jacobsen; gli studi e i progetti che si sono elencati ora sono relativi ai progettisti di cui si conoscono relazioni reciproche.

trasformazioni dello spazio fisico. Lo sfondo su cui si andavano a proiettare le ipotesi era definito dagli avvertimenti che emergevano sulla crescita demografica esponenziale che richiedeva una ridefinizione dei parametri di crescita della città non più in termini esponenziali e con margini di previsione difficilmente definibili delle direzioni di crescita dei fenomeni insediativi341. Queste componenti dei problemi insediativi, per quanto non definibili quantitativamente se non nelle ipotesi di crescita in rapporti

341 Il tema della crescita demografica è in parte contenuto all‟interno delle discussioni sul grande numero che a partire dal congresso di Aix en Provence diventerà un argomento sempre più sensibile nelle considerazioni degli architetti-urbanisti e con diversi pesi a seconda delle aree geografiche [mat. 1.04.04e]. Per prendere consapevolezza dell‟entità del problema e come era letto nel 1968 come proiezione dei processi dinamici della popolazione nel 2000 d.C. si rinvia alla prefazione di Heinz von Foerster al libro di Chermayeff – Tzonis La forma dell‟ambiente collettivo, Il Saggiatore, Milano 1972, pagg. 15-19. Il breve saggio di von Foester è significativo in quanto ben rappresenta la consapevolezza della comunità scientifica dell‟aumento d‟intensità delle interrelazioni tra uomo e ambiente e della necessità di intervenire nel controllo dei fenomeni a scala globale. “Le difficoltà concettuali, sorgono dal fatto che l‟uomo non è più esposto soltanto a un ecosistema relativamente stabile, a un milieu extérieur artificiel costante, ma invece a un ambiente che si evolve in conseguenza della capacità dell‟uomo di proiettare e oggettivare pensieri e descrizioni. Non ci si può limitare a registrare i cambiamenti, ma si tratta di capire come cambia il modo di cambiare secondo una linea di sviluppo che a noi appare priva di continuità.” (pag. 17). Il contesto globale dell‟urbanistica viene affrontato da Woods alla XIV. Triennale di Milano dedicata al grande numero e rende conto del grado di coscienza dei problemi a scala planetaria che la rapidità dello sviluppo stava attivando in ogni parte del mondo. La XIV Triennale, che non fu mai aperta al pubblico, rappresenta uno dei momenti più acuti di coinvolgimento di un gruppo di architetti che aprono il proprio sguardo sui problemi del mondo, pretesa alla quale sembra abbiano abdicato. In questo lavoro non si affronterà l‟episodio della XIV Triennale poiché rappresenta solo un riflesso (nel momento in cui fu realizzata, 1968, la fase propositiva del fenomeno insediativo a matrice si era già ampiamente sviluppato), per quanto significativo delle opzioni progettuali manifestate nel tipo insediativo a matrice, ma si ritiene comunque indispensabile da accennare, per capire la disponibilità ad accogliere i problemi insediativi nella loro interezza. La foresta artificiale riflessa nella parete di specchi rotti allestita da van Eyck in quell‟occasione è un segnale delle tensioni emotive che attraversavano quei momenti. (L‟ospedale progettato da Giancarlo de Carlo a Mirano del 1968 – curatore della XIV Triennale – rappresenta, a proposito, una testimonianza dell‟avanzamento del fenomeno insediativo anche in seguito al progetto di Le Corbusier per l‟ospedale di Venezia.)

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proporzionali342, non erano sufficienti a completare il quadro degli atteggiamenti, se non si colgono le modificazioni del rapporto tra società e individuo L‟attenzione si rivolge all‟idea di comunità, come nuovo nodo tematico su cui convergere; su questo terreno si è scelto come guida un testo di Erwin A. Gutkind, Community and environment - a discorse on social ecology. Oltre alla vicinanza agli autori delle opere che stiamo considerando, Gutkind offre uno sguardo allargato su una società aperta a trasformazioni radicali che risponde o suggerisce nel tono, quegli accenti a un “new type of man” a cui allora ci si rivolgeva (e oggi, ai destinatari di quelle riflessioni – gli uomini del 2000 – sembra così lontano). Considerare un mondo dove svaniscono i contrasti, la possibilità “reale” di svegliarsi un mattino e di ritrovarsi “on Living without a Bugbear”, vivere in una società dove le energie non sono più incanalate contro qualcosa o qualcuno, era un pensiero che nasceva da chi aveva conosciuto il nazismo e coglieva l‟escursione dell‟agire umano con ampiezza. L‟umanità è in attesa di nuovi valori e di nuove relazioni sociali, Gutkind si fa interprete della disillusione rivolta a tutte le forme di potere, “the very foundations of the old social structure are breaking down”343 e l‟attuale problema, considerata passata la catastrofe, è di trovare una soluzione per l‟integrazione, dentro un quadro complessivo di unità sociali, dove la partecipazione diretta alle attività della comunità sia possibile per ciascuno. Gutkind tiene unito il suo pensiero tra due considerazioni, una rivolta al passato, che considera come le antiche e primitive comunità erano tenute assieme da un‟influenza esterna, e che le comunità del futuro saranno invece introverse, e autosufficienti344. L‟ampiezza delle questioni che si stanno elencando come

342 “Infatti la piramide umana che si è andata stratificando dall‟epoca della comparsa dell‟uomo, un milione di anni fa, è arrivata a otto miliardi di uomini, di cui il cinque per cento è vivente. / Questo significa che, su venti uomini comparsi sulla terra, uno vive. Tra tre decenni, nel 2000 d.C., la proporzione sarà di una a dieci.” Heinz von Foerster, Prefazione in La forma dell‟ambiente collettivo, op.cit., pagg. 17, 18. 343 Erwin A. Gutkind, community and environment, Watts and Co, London 1953, (prefazione di Martin Buber), pag. 19 344 Ibidem pag. 20. “Old and primitive community were held together above all by their faith in a divine power. … Every community was fundamentally „extrovert‟ , projecting its aspirations and hopes for protection, even from its own shortcomings, on the external symbol. … We have every reason to believe that the communities of the future will be „introvert‟ communities, that they will dispense with all external symbols and make the direct, sincere, and immediate relationship between their members the very essence of exixtence.” Per meglio intendere questa corrente di pensiero si rinvia a: Martin Buber,

possibili argomentazioni della tendenza insediativa a sviluppo orizzontale è conseguente all‟ipotesi dell‟avanzamento di un nuovo paradigma, sollecitato dall‟intreccio tra l‟impulso di nuove istanze di ordine sociale e la consapevolezza della resistenza alla trasformazione dello spazio urbano consolidato.

Per passare dalle sollecitazioni avvertibili negli scritti e nei progetti

di quegli anni al progetto di concorso per il centro di Francoforte345 di Candilis Josic Woods si presenta una lettera di Bakema indirizzata ai membri del team10 nell‟agosto del 1963 [mat. 1.04.04a], per intenderne il clima culturale. I temi dell‟incontro che si svolgerà nel mese di settembre presso lo studio di Candilis e il programma dei lavori contenuto nella lettera è significativo in quanto registra uno spirito rivolto a “dare libertà tramite l‟ordine”346. Si deve tenere conto che il concorso per la BFU verrà congedato dallo studio Candilis Josic Woods nello stesso mese di settembre e il progetto per il centro storico di Francoforte si era concluso da alcuni mesi. Il titolo del documento elaborato da Bakema è Building for an open society347 e si apre con una definizione „tipologica‟ dei caratteri dei

due tipi d‟uomo che abitano la società348: “Type of man: The old (still-existing) type of man.

He has a meaning about life by being part of a state- or church- hierarchy (the closed society). The new (already existing) type of man.

Sentieri in utopia, Casa Editrice Marietti, Genova-Milano, 2009, prima edizione tedesca Pfade in Utopia, 1950, tradotta da precedente versione in ebraico del 1947. 345 Candilis Josic Woods, Proposal for the reconstruction of the center of Frankfurt, in “Le carré bleu”, n. 3, 1963; è interessante leggere nella breve introduzione di Schimmerling come (e in modo analogo nelle altre riviste) non solo non enfatizzava ma non consideravano affatto le preesistenze e la difficoltà del compito di intervenire in un‟area così fragile ma si interessava prevalentemente alle questioni di sviluppo e cambiamento fino alla definizione di adeguate aree pedonali che non interferissero con il traffico carrabile. 346 Lettera di Bakema indirizzata ai membri del “Team X Settembre 1963 - Building for an open society ”, London 4-8-63. IUAV AP Fondo De Carlo 347 Ibidem. 348 La differenza con il manifesto di „De Stijl‟ I (1918) e III (1921) a cui probabilmente Bakema pensava sta nel fatto che la contrapposizione non è più tra individuale e universale ma nei valori che l‟individuo porta nella società.

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He has an own meaning about what is life or no meaning at all (the open society)”349.

L‟incisività di questa distinzione è nell‟uso dell‟aggettivo “nuovo”: si riconoscono i lineamenti del nuovo tipo d‟uomo, ma non si ha modo nel breve testo di raccoglierne le motivazioni. Di riflesso un altro aspetto da considerare è l‟ampiezza del termine tipo che investe l‟attitudine dell‟uomo prima di affrontare l‟esito nei suoi prodotti. Quindi seguono nella lettera alcune questioni progettuali e si conclude con l‟elenco di tre argomenti, la produzione industriale bellica riconvertita nel settore industriale, la prefabbricazione e i problemi di omologazione tipologica e infine la crescita di un sentimento egualitarista, nel complesso quindi argomenti diversi tra loro. L‟organizzazione delle problematiche è variegata e si intende che il documento vuole raccogliere questioni per la discussione più che portare con sé una conclusione. Il punto finale però individua un movente che se si considerano le posizioni moderate e di mediazione che hanno caratterizzato l‟operato di Bakema ci consente di fare il punto sulla componente ideologica che coinvolgeva quel gruppo di architetti in quel preciso momento storico: “The philosophy of the growing kind of society giving right to everyone. To have an own opinion about what is life (existence)”350.

Gli argomenti progettuali che Bakema mette in evidenza sono

inoltre riferiti a una miscela di considerazioni di carattere tecnico-impiantistico sulla definizione delle strutture dei servizi che consentano un libero sviluppo dei volumi la cui varietà (manifoldness) si può sviluppare esclusivamente da se stessa e non viene considerata perseguibile direttamente con gli strumenti dell‟architetto.351 Il soppesare e mettere in evidenza l‟agitarsi della dimensione ideologica, rispetto alle preoccupazioni di ordine fisico-costruttivo, non dipende da un taglio tendenzioso alla lettura, ma in particolar modo in questa lettera, le argomentazioni disciplinari di cui Bakema a Royamount meno di un anno prima era in un certo senso il custode, vengono meno e le sue argomentazioni

349 Building for an open society, op.cit. 350 Ibidem. 351 Ibidem: “No architect can design manifoldness it can only grow by itself”. Si deve notare che rispetto alle tecniche compositive e il principio del visual-group questa considerazione di Bakema mette in evidenza la verifica di una difficoltà delle posizioni sinora consolidate dalle esperienze progettuali.

acquisiscono un taglio marcatamente ideologico352. Determinate da un evidente entusiasmo, queste trattazioni comunque non erano fini a se stesse, ma nella loro incertezza introducevano le soluzioni progettuali di ordine sperimentale già in parte identificabili nel progetto di Candilis Josic Woods per Francoforte e che si trasformeranno in una fiducia inesorabile nelle capacità dell‟uomo di ridefinire il proprio ambiente. È alla luce del new type of man che l‟organizzazione dello spazio nel cuore di Francoforte

deve venire inteso, non vi sono altre questioni o compromessi di ordine ambientale, la proposta per Francoforte era caratterizzata da una precisa definizione della città come “expression of human associations and activities”.

L‟interesse per la ri-definizione dei caratteri della città storica e la ri-

composizione delle condizioni morfologiche delle città antiche, oltre alla ri-costruzione dei maggiori monumenti nazionali, era una procedura d‟intervento riconosciuta in entrambe le Germanie. Un tema quello del rinnovamento dei centri urbani che si affaccia ora sulla scena disciplinare e sarà il problema progettuale al quale Woods dedicherà gran parte del suo impegno a venire. Il caso di Francoforte, la ricostruzione dell‟area Roemerberg compresa tra il duomo e il fiume Meno, costituisce per il gruppo Candilis Josic Woods la prima esperienza progettuale a grande scala inserita all‟interno di un tessuto edilizio storico, in un luogo emblematico di una città antica. La ricostruzione postbellica del centro di Rotterdam353, per esempio, pur occupando il centro della città, presentava caratteristiche diverse in quanto la distruzione bellica non aveva quasi lasciato punti di contatto con la città storica, ma restava in comune solo il sedime. Inoltre le posizioni di Woods per le Halles di Parigi, alcuni anni più tardi, sono una interessante testimonianza di un atteggiamento attento ai valori storici della città, dove la profonda critica alla politica di demolizioni, attuata per i mercati parigini di Baltard, offre una misura dell‟attenzione rivolta al rapporto tra valore storico e valore artistico, in relazione al ruolo che gli artefatti, in questo caso il mercato, offrivano alla comunità urbana.

352 Si riportano le proposizioni evidenziate in stampatello nel documento; “to give freedom by order for this growth we can make big-scale structures base on the minimum necessities on which we can cooperate: sewer-drainage-power-traffic-systems … They identify on town-scale. They tell about belonging-together”. Ibidem 353 Progetto di van den Broek e Bakema, Lijnban shopping street, Rotterdam 1949-53.

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A Francoforte l‟ipotesi di progetto di Candilis Josic Woods non prevede demolizioni rilevanti, se non alcuni edifici minori, per ottenere l‟ampliamento del fronte verso il Meno; quindi vi è non una conservazione acritica dell‟esistente, ma una selezione dei manufatti da conservare [mat. 1.04.04c]. Il programma funzionale del concorso per la rianimazione del centro prevedeva che il nuovo intervento, oltre alle funzioni rappresentative della piazza e del municipio, venisse integrato con un centro commerciale o meglio uno shopping center e vaste aree a parcheggio. Dal quadro

funzionale proposto emerge l‟interesse da parte del promotore di considerare quelle attività che potessero riportare l‟area a un‟intensa frequentazione. I requisiti progettuali „interni‟ del gruppo di progettazione, oltre evidentemente a trovarsi nelle condizioni ideali per applicare il concetto di web, che Woods era venuto a elaborare nei mesi precedenti,

erano sostenuti da due posizioni critiche. Entrambe queste posizioni erano definite da ciò che volevano evitare; la prima, riferita al contesto, considerava il pericolo nella ricostruzione del centro di Francoforte di produrre un luogo associabile ai modi di fruizione di un museo, la seconda era rivolta ai criteri di organizzazione urbana articolata per funzioni, lo zoning, che veniva respinto a favore di una mescolanza di attività. Ciò che costituiva il punto di forza era l‟intenzione di generare una rete di relazioni tra le attività di svago, servizi, produzione, distribuzione e incoraggiare queste attività tramite la loro interdipendenza-interrelazione [1.04.04.b,c].

“For the city, which is the home of man in the society”354; questa

considerazione di Woods non vuole avere la forza della reciprocità delle affermazioni di van Eyck, in quanto deve essere intesa in una accezione metaforica e non come omologia, e offre in tutti i casi un‟attenzione a intendere il carattere del luogo, il centro di Francoforte, come appartenente a una dinamica insediativa alterata rispetto al rapporto tradizionale strada-isolato-casa. La strada come luogo di relazione diviene lo spazio costruito, il rapporto tra parte e intero, tra casa e città è dissolto a favore di un‟unitarietà di una terza entità che coinvolge entrambi gli ambiti. Il rapporto che si istituisce tra luogo e tipo di edificazione non viene più mediato dalle relazioni morfologiche di singoli elementi ripetuti ma da un sistema unitario che fa coincidere regole morfologiche e varietà tipologica in un unico sistema, in divenire. Seguiamo il percorso di ricerca. Un

354 Shadrach Woods, Urban Environment, - The Search For System, Frankfurt: The Problems of a City in the Twentieth Century, World Architecture One, Studio Vista, 1964, pag. 156

percorso che offre la possibilità di attivare un confronto tra l‟idea di casa-città riferita all‟Orphanage di van Eyck, una casa che vuole divenire città, e in merito alla proposta per Francoforte a una diversa scala d‟intervento, ma accomunata dalla reciproca ambizione, un pezzo di città che vuole divenire home for community.

La strada come artefatto, oltre a costituire il luogo di relazione per

eccellenza, diviene costruzione, una „fabbrica‟, che supplisce alle esigenze tecnologiche della città contemporanea. Dopo aver raccolto questa idea da Louis Kahn a Otterlo355 e avere provato a leggerne l‟influenza in particolar modo nell‟attività di Woods, con la grande maglia che investe il cuore di Francoforte, questa intenzione si sostanzia, suggerendo assieme un nuovo „modello‟ di comportamento sociale e una costruzione con un disegno articolato composto dalla combinazione di quadrati uguali che cercano il loro spazio tra le preesistenze e al loro interno contengono le attività. La strada-edificio356 è al tempo stesso lo spazio servente che regola la costruzione e definisce degli spazi aperti interni che vengono utilizzati liberamente per ospitare le attività oppure gli spazi aperti delle corti. La rete di percorsi costruiti che definisce l‟involucro dell‟organismo edilizio risponde a due diverse esigenze, l‟una di aggregare diverse attività in un percorso continuo e l‟altra di non interferire con il complesso monumentale con una serie differenziata di corpi edilizi ma con un elemento unitario. Se rileggiamo come vengono motivate queste scelte progettuali le distanze culturali anche profonde negli argomenti e negli atteggiamenti che abbiamo riscontrato sinora si dileguano e divengono stringenti e necessari: “On the site to be rebuilt, with its existing historic monuments, it was felt that any

355 Si è già riportato uno stralcio del discorso di Kahn a Otterlo, il quale si riferiva al centro della città, per cui ciò che poteva sembrare una forzatura rispetto l‟interpretazione letterale del testo di Kahn nel caso di Toulouse Le Mirail diviene pertinente nel caso di Francoforte. Si deve riportare a questo punto anche un brano di Le Corbusier, precursore di questa immagine di Kahn, dalla presentazione della città per tre milioni di abitanti. “La strada moderna è un organismo nuovo, una specie di fabbrica sviluppata in lunghezza, magazzino aerato dove si raccolgono molti organi complessi e delicati. È contrario … La realizzazione di questa fabbrica equivale infatti, né più né meno, alla costruzione delle case che di solito la fiancheggiano, dei ponti che ne prolungano il corso… Le Corbusier, Urbanistica, Il Saggiatore, Milano 1967, pagg. 170, 171. 356 Un riferimento distante nella concretezza fisica della proposta ma con qualche punto di contatto sulla trasformazione della strada in edificio è contenuta nella proposta per Soho degli Smithson [mat. 1.02.02a]

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multiplicity of individual forms would only devalue the exhisting buildings. But such a diversity of activities had to be included that to accommodate them in separate units would have been chaotic. To overcome this it was decide to combine all the elements in one unit keeping a valid scale both for the site and for the people using it”357. La soluzione progettuale si concentra quindi nella ricerca della giusta scala e per questo i parametri vengono identificati con sicurezza. Dal punto di vista costruttivo il limite nella lunghezza tra ciascun nodo della rete è dato dalla misura massima tra un giunto di dilatazione e l‟altro; per quanto riguarda la modularità lo strumento del modulor era garantito da una sorta di imprinting358 che

Candilis e Woods avevano ricevuto nel loro periodo formativo. La riflessione sulla ricerca del rapporto a “valid scale” ci riporta ancora a Le Corbusier e alla sua celebre riflessione riportata da Giuseppe Mazzariol359 durante il sopralluogo per l‟ospedale di Venezia “Et puis il faut trouver l‟échelle”360. (E per una curiosa coincidenza era sempre l‟agosto del 1963.) La „giusta misura‟ della trama, avendo come primo riferimento la distanza tra i giunti di dilatazione dei corpi di fabbrica, aveva una prima definizione dell‟intervallo attorno ai quaranta metri. Questa misura soddisfa il requisito di collocare all‟interno di ciascun quadrato attività che richiedevano una considerevole superficie compatibilmente con il disegno di un tracciato che prendeva la sua forza dalla regolarità della scacchiera. Probabilmente nel corso del progetto vi sarà stata una fase di aggiustamento progressivo per trovare la combinazione migliore rispetto alla serie di vincoli costituiti dagli edifici esistenti; inoltre come fa notare Woods nella presentazione su “Le carré bleu”361 la maglia è abbastanza vicina come dimensioni alla taglia degli isolati distrutti nel corso dei bombardamenti. Ma la maglia non dipende da questo processo di adattamento, se vogliamo seguire il processo progettuale, così come vengono enunciate le priorità, la misura viene definita dalle mutue relazioni interne al sistema e non da questioni esterne accidentali. Il modulor è la

scala dei valori numerici in cui trovare la soluzione: infatti la misura della

357 Shadrach Woods, Urban Environment, - The Search For System, in “World Architecture One”, op.cit., pag. 156 358 Imprinting viene usato come analogia riferendosi all‟accezione di Konrad Lorenz. 359 Renzo Dubbini, Roberto Sordina (a cura di), H VEN LC hospital de Venise le corbusier – testimonianze, IUAV AP archivio progetti, Venezia, 1999, pag. 13-31. 360 Ibidem pag.30. 361 Rénovation de Francfort, in “Le carré bleu”, n. 3, 1963

base dei quadrati362 è 32,81m, l‟ultima cifra della serie rossa appuntata sul foglio di Le Corbusier.363 La rappresentazione della struttura applicata al centro di Francoforte, che emerge dagli elaborati grafici, come ancor più dal modello, fornisce un‟immagine nitida del suo inserimento nel contesto. Instaura una relazione di evidente diversità, ma con un distacco ragionato e dignitoso che consente a entrambi i livelli di interpretazione del luogo, dell‟antico come del nuovo ambiente, una propria autonomia [mat. 1.04.04b,c]. È proprio questo atteggiamento „sincronico‟ dove i valori storici hanno un peso di fatto irrilevante, che crea la maggior sorpresa oggi nell‟osservare i livelli della maglia che si estendono senza la definizione di un punto di partenza e un punto di arrivo. Rispetto a un atteggiamento attento alle valenze urbane il fatto che la dimensione e il ruolo dei percorsi non vari rispetto al luogo che occupano non significa indifferenza nei confronti del contesto, anzi la strategia insediativa risulta estremamente definita. Il confronto tra lo stato di fatto (al 1962), la situazione precedente ai bombardamenti e la soluzione progettuale mette in evidenza l‟intenzione di aprire un fronte permeabile verso il fiume e di riequilibrare la direzionalità longitudinale dell‟edificazione sulla direttrice cattedrale-municipio con l‟attivazione dei percorsi ortogonali rivolti verso il fiume. Se ora torniamo agli studi sul Web e alla ricerca di un sistema ambientale senza un centro e aperto in tutte le direzioni, si può giudicare il grado di coerenza tra soluzione progettuale e presupposti teorici e la capacità di modificare i propri strumenti in riferimento alla variazione tra l‟operare per la realizzazione di nuovi insediamenti residenziali a grande scala in aree non urbanizzate, o nel confronto diretto con il cuore della città antica.

L‟estensione della struttura dei percorsi su più livelli di fatto costituisce il rovesciamento del processo costruttivo tradizionale, dove il

362 La dimensione finale della „grid‟ a Francoforte risulta pari a 36,47 m data dalla somma dimensione interna 32.81 m sommata al percorso pedonale di 3,66m 363 Le Corbusier, Modulor 2 – la parola è agli utenti, Gabriele Capelli editore, Mendrisio 2004, pag. 21. “Ritornando sulla terra, colloco con malizia nel mio studio privato la mia tavola personale del Modulor, forata di buchi di spillo per il continuo attaccarla staccarla in un angolo della biblioteca. Mi fa piacere guardare questo pezzo di carta: mi rassicura!” La misura 32,81 è la prima cifra in alto a sinistra – nella serie rossa. Woods inizia a frequentare lo studio proprio nei mesi in cui viene alla luce il Modulor per cui si presume che entrambi Candilis e Woods avessero confidenza con questo pezzo di carta.

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vuoto delle strade è sostituito dal vuoto delle aree da trasformare, e i pieni dell‟edificazione dell‟isolato dal pieno che consiste negli spazi urbani di relazione. Nel centro di Francoforte vengono così proposti dei percorsi pubblici su quattro livelli, disposti secondo una maglia regolare che struttura l‟intera parte di città. I volumi degli isolati divengono così un vuoto, definito progressivamente secondo le necessità che si manifestano all‟interno dei confini definiti dalla maglia dei percorsi, per essere poi suscettibili di continue modificazioni. La varietà del paesaggio urbano in questo modo viene garantita dalla spontanea mutabilità delle attrezzature reversibili che vengono inserite nello spazio interno contenuto tra strade. Una soluzione che, per gli allievi di Le Corbusier, consentiva di recuperare il valore sociale della strada, senza tuttavia ritornare sulla dimensione, inevitabile altrimenti e allo stesso tempo improponibile nell‟ottica lecorbuseriana, della rue corridor.

Questa soluzione viene presentata nelle tavole di concorso,

sostenuta da una verifica tramite tre simulazioni dei volumi edilizi, disposti secondo gli assi degli edifici esistenti [mat. 1.04.04b]. Le altre ipotesi di assetto che conducevano alla scelta per una struttura urbana omogenea verificavano, in tre ipotesi organizzative, le alternative nella composizione di quattro o cinque edifici attorno a un vuoto definito dall‟asse del duomo, oppure attorno allo spazio interno di una corte che andavano a definire. La verifica della scelta, su uno scenario articolato dalle sue possibili alternative, rende un notevole contributo, per comprendere la consecutività tra le opzioni progettuali nello svolgersi complessivo del processo di definizione dell‟intervento. Contemporaneamente la discontinuità evidente nel confronto tra le ipotesi rende conto della capacità di persuasione nel presentare uno scarto metodologico e concettuale, oltre le soluzioni compositive, di un‟unica matrice in grado di misurare la distanza con le preesistenze monumentali. Sebbene questa evidenza, data al procedimento di acquisizione della soluzione progettuale, i margini di interpretazione del progetto sono molto ampi, e deve essere tenuto in considerazione che la definizione dell‟organismo edilizio avviene tramite la crescita, secondo un principio strutturante, delle attività disposte su due piani organizzativi, la parte servente e la parte servita. Altrimenti se viene inteso come un unico complesso formalmente definito, rinvia inesorabilmente ad alcune esperienze coeve, riferibili per rilevanti analogie formali, come nel caso del progetto di Noriaki Kurokawa per Agricultural

City364, ma che portano a un‟assimilazione ai concetti generici di catalogazione nell‟elenco delle megastrutture da cui questo sistema a matrice deve essere posto metodologicamente in antitesi.

In questa ricerca non si affronta direttamente la questione „megastruttura‟ in primo luogo poiché quando subentra nel dibattito disciplinare nel 1964 con la definizione di Fumihiko Maki in “Investigations in collective Forms”365 il fenomeno progettuale che stiamo investigando, di fatto, si era concluso, restava aperta la sola verifica costruttiva della BFU; inoltre non appena il neologismo viene riconosciuto, Woods ne prenderà decisamente le distanze. Nella presentazione del progetto di concorso per la BFU affermerà: “It is not a megastructure but rather a minimum structuring organization”366. Se poi prendiamo in considerazione l‟opinione di Woods in The man in the street, rivolta ai progetti utopici assimilabili a

questo indirizzo, la sua posizione diviene di assoluto distacco. Si deve comunque considerare che malgrado questa presa di distanza i critici hanno utilizzato i progetti di Candilis Josic Woods e in particolare la ricostruzione del centro di Francoforte e la BFU per esporli come casi emblematici di questa tendenza. Reyner Banham367 a proposito di Francoforte dirà: “A mat building whose basic conception was to reappear a year later as the same architects succesful entry for the design of Free University of Berlin”, includendo i due progetti nel capitolo Megayear 1964,

364 Si usa questo esempio per l‟evidente somiglianza anche se non è il più adatto per far pesare le differenze fra megastruttura e all‟opposto un sistema definito da “minimum structuring organization”. 365 Fumihiko Maki, Investigations in collective Forms, Washington University, San Louis 1964. Maki esprime una terza via tra composizione e megastruttura con la teoria del „Group-form‟, una posizione riconosciuta da van Eyck che l‟aveva citata nei suoi interventi e discussa alla Washington University dove era visiting professor da settembre 1961 a gennaio 1962. [1.03.07]. Per quanto riguarda il neologismo „megastruttura‟ si è riportata una considerazione di Banham (Megastructure – urban futures of recent past,), che riferisce appunto del primo utilizzo a mezzo stampa „print‟, dalle considerazioni contenute nel libro di Maki vengono attribuite come una classificazione già utilizzata in sede disciplinare. 366 Shadrach Woods, Free Univesity, Berlin, in “World Architecture 2”, 1965, pag. 113-121. La differenza tra una posizione della crescita strutturante e una tendenza a riconoscere il valore di una master-form come persistenza dei fenomeni insediativi era gia stata identificata anche se con alter parole al congresso di Abbey Royamount. 367 Reyner Banham, Megastructure – urban futures of recent past, Thames and Hudson, London 1976, pagg. 72-83, 140, 141.

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del suo libro dedicato al fenomeno, anche se nel capitolo Megastructure in Academie si pone la domanda se includere la BFU nell‟elenco di tali opere. Infatti la BFU non risulterebbe adeguata ai „canoni‟ in quanto, dall‟impatto della sua immagine verso l‟esterno, non è coglibile la complessità interna. E inoltre Kenneth Frampton368 cataloga il progetto per Francoforte come “the multilevel megastructure”. In sostanza non si riconosce, allo stato attuale di questa ricerca, un ruolo al termine megastruttura, per comprendere i fenomeni in gioco, ma un‟etichetta che spesso, al di là delle notevoli intuizioni di Maki, è stata usata per accomunare cose diverse tra loro369.

Per esempio il saggio di Bernard Huet, La città come spazio

abitabile370 in un‟evidente necessità di sintesi estrema dei principali

fenomeni dalla Carta di Atene al punto di vista dell‟autore sul progetto urbano, riassume in questo modo: “Le proposte dei vari Tange, Bakema, Smithson o Candilis hanno un innegabile valore critico ma si basano tutte su soluzioni di ordine dimensionale che spingono la logica del sistema corbusiano fino all‟utopia. Dal microcosmo urbano dell‟Unità d‟abitazione di Marsiglia si passa così alla megastruttura architettonica. L‟alternativa alla dissoluzione della forma urbana consisterà nel concentrare nell‟architettura tutta la complessità e la diversità di una città ormai mimetica.” Huet usa la parola megastruttura in modo generico e riferita ad autori di progetti estremamente diversi, ma si intende che implica dietro questo termine un comune denominatore di prevaricazione dell‟architettura sulla città a scapito dell‟articolazione tra tipo e forma urbana. Questa è una considerazione rilevante poiché riconosce il superamento dell‟articolazione tra tipo e forma per una sintesi di ordine superiore, alla ricerca di un “Habitat (represents the condition of life in the total environment)”.

Le osservazioni critiche di Banham e Huet, pur appartenendo a galassie irraggiungibili tra loro, convergono nella difficoltà ad accettare la

368 Kenneth Frampton, The Generic Street as a Continuous Built Form, in Stanford Anderson (edited by), On Streets, MIT Press, Cambridge Mass. 1986, pag. 329. 369 Una disamina delle motivazioni per cui la BFU non ha affinità con i tre requisiti delle megastrutture viene svolta in: Stephan Muthesius, The Postwar University – Utopianist Campus and College, Yale Univestity Press, New Haven and London, s.d.?, pagg. 273, 274. 370 Bernard Huet, La città come spazio abitabile, in “Lotus International”, n. 41, 1984 pagg. 6-16.

dimensione degli interventi per Francoforte e la BFU. Ciò che rappresenta per Huet la dissoluzione della città travalicando i rapporti tra tipologia edilizia e morfologia urbana in una supremazia fuori luogo dell‟architettura del grande edificio, in effetti coglie solo metà del problema, in quanto la tensione che animava quelle ipotesi insediative era prodotta, in particolar modo nel caso di Francoforte, dalla dimensione dei fenomeni urbani con cui si confrontava. Il reticolo ortogonale di strade interne, disposte su livelli, non è orientato secondo una gerarchia definita dal rapporto tra interno ed esterno rispetto ai monumenti circostanti e rifiuta il gioco dei volumi, ma si ancora alle possibilità di definire un tessuto connettivo di attività mescolate tra loro, perciò un pensiero veramente molto distante dalla volontà di enfatizzare il ruolo dell‟architettura-edificio. Per questo stesso motivo Banham dalla visita della BFU esce scoraggiato e incredulo di come fosse stato possibile che, potendo utilizzare una così estesa massa edilizia, Shadrach Woods avesse rinunciato al gesto architettonico “refusal to make any large architectural gestures”371. Banham che si attende una grande ed enfatica architettura, lamenta che l‟edificio non si eleva oltre i due piani e che questa forma incompleta risulta difficile da comprendere, così come l‟intricato dispositivo di distribuzione interna non è visibile dall‟esterno e difficilmente comprensibile all‟interno. La giustapposizione dei commenti di Banham e le opinioni di Huet, non servono per farne una gratuita operazione, come un prodotto algebrico, ma per definire i bordi esterni della questione. La verifica delle reazioni al nuovo paradigma mette in discussione i rapporti consolidati tra spazio aperto e spazio chiuso in rapporto al loro ruolo pubblico e privato; un cambiamento che non si poteva comprendere rivolgendosi all‟aspetto esteriore delle cose, ma che nasceva da un‟attesa di modificazione dei rapporti all‟interno della società. Un progetto di frontiera

1.04.05 La rivoluzione non c‟è stata e l‟attesa soteriologica per il new type of man oramai richiede un lavoro d‟archivio per emergere, per tornare in

superficie, quindi anche i pochi pezzi di architettura che si stavano preparando ad accogliere l‟esito di quelle attese trasformazioni sociali hanno perduto la loro radice con la realtà a cui erano dedicati. La BFU ha rappresentato queste aspettative ed è perciò un caso di studio che va affrontato in una prospettiva allargata, poiché i connotati simbolici che ha acquisito nella cultura architettonica prevalgono sulla materialità

371 Megastructure – urban futures of recent past, op.cit., pag. 140.

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dell‟oggetto, ma al tempo stesso sfugge o meglio si sottrae a una classificazione come opera d‟arte372. Un‟opera d‟arte intesa come un insieme di forme non è coglibile in un sistema che ha come presupposto la trasformazione dell‟ambiente a partire da definiti elementi costitutivi. Verifichiamo questa incompatibilità al concetto tradizionale373 di arte tramite una definizione „universale‟ di opera d‟arte come quella data da Heinrich Wölfflin374: “Il suo [di ogni opera d‟arte] contrassegno essenziale è costituito da un assoluto carattere di necessità, nel senso che nulla può essere cambiato e trasposto, ma tutto deve essere così com‟è”375. Woods non lascia margine a dubbi su di un diverso modo di sentire il rapporto tra lo spazio e il tempo. Il perfetto spazio euclideo non rappresenta più la dimensione operativa dell‟uomo contemporaneo e il Campidoglio diviene il simbolo di questa riconosciuta diversità: il confronto con l‟opera d‟arte del Rinascimento diviene il termine di confronto, e comparando lo schema planimetrico di Michelangelo, con uno successivo mancante di un‟ala Woods rappresenta, in modo provocatorio e ineludibile, i limiti di compatibilità tra due diverse concezioni dell‟organizzazione dello spazio. “It appears evident, unlike Michelangelo, we cannot deal with our environmental problems in terms of perfect Euclidean space since we are aware that we live in a space-time 4-D world. In fact we might say that the most perfect composition would also be the last interesting, since its very perfection would conceal an imperfect, unstable state of becoming. To add

372 La concezione dei „fatti urbani come opera d‟arte‟ in, L‟architettura della Città, op.cit., pagg. 26-30) può consentire uno sviluppo nella lettura di questo manufatto (BFU). Resta inteso che il libro di Aldo Rossi è esito di una concezione dell‟architettura agli antipodi da quella in corso di analisi. Non per questo però è estranea, anzi uno studio in questa direzione potrebbe verificare (senza fermarsi alla disputa tra chi è greco e chi antipode) quanto le tendenze su cui si sta trattando abbiano fornito il fondo di contrasto per alcune significative posizioni di Rossi. 373 Nel caso dei parametri dell‟arte contemporanea invece si potrebbe ritenere precorritrice di tendenze attuali. 374 Qui si usa per la definizione l‟apertura delle “considerazioni generali” del capitolo Forma chiusa forma aperta concepite in termini generali ma con una specifica attenzione verso la pittura poiché Wöllflin esprime una posizione sul rapporto tra pittura e architettura che offre validi spunti per organizzare una riflessione sul rapporto tra questa costruzione e le tendenze artistiche nascenti soprattutto in America del Nord. Non per ricostruire ponti che non sono probabilmente mai esistiti ma per verificare come condizioni analoghe in arte e architettura hanno preso sentieri che portavano nella stessa direzione. 375 Ibidem pag. 165.

to or to take away from, the Campidoglio is to destroy it. We are unwilling to sacrifice to change, with its unknown visage, this perfection.”376 Il riferimento al Campidoglio va interpretato sullo sfondo della lettura proposta da Giedion nel 1951, come campione della capacità dell‟artista “di creare una forma artistica consona a una fase futura dello sviluppo sociale”377. La nuova dimensione progettuale in uno stato di continuo divenire richiede per agire nuovi strumenti e il ricorso all‟immagine di un Campidoglio mutilato del suo perfetto equilibrio vuole dimostrare la necessità di prendere un‟altra strada, d‟altronde seguendo un atteggiamento comune alle avanguardie artistiche del dopoguerra.

Il dialogo a distanza tra Giedion e Woods sul Campidoglio come simbolo della capacità dell‟artista di “creare la forma artistica consona a una fase futura dello sviluppo sociale”378 è rappresentato nel disegno didascalico del Campidoglio per esprimere la necessità di superare la composizione statica. Riferendosi al saggio di Giedion si possono riconoscere implicazioni complesse che la ripresa del Campidoglio porta in superficie. L‟intervento di Giedion offriva a Woods un sostegno alle sue convinzioni, se non le aveva già direttamente alimentate, e pone questa prospettiva di slancio, parlando del cuore della città, nell‟interpretare la società e il rapporto con cui l‟artista si poneva al di fuori delle sue leggi. Al di fuori anche del caso della BFU si coglie in Michelangelo un modello: “Michelangelo fu il simbolo delle svanite libertà della repubblica cittadina medievale così come egli l‟aveva mantenuta viva nella sua anima e fu contemporaneamente il monumento alla memoria dei tragici sogni del suo creatore”379.

376 Shadrach Woods, Free University, Berlin, in “World Architecture 2”, 1965, pag. 113. 377 Il cuore della Città, op.cit., pag. 25. “Esiste indubbiamente una relazione tra la struttura sociale di una città e la struttura fisica, o forma urbana del suo Cuore; ma non sempre questo fatto si verifica necessariamente. Tutto era così facile nei tempi antichi, e persino nell‟ottocento. La storia era semplice e così pure la fisica: causa ed effetto in storia, causa ed effetto in fisica, causa ed effetto in psicologia. Le scienze fisiche per prime hanno abolito questa legge, e oggi siamo costretti a riconoscere …” 378 Il cuore della città, op.cit., pag. 25, la frase di Giedion continua “…molto tempo prima che quella fase abbia cominciato ad acquistare forma tangibile”. 379 Ibidem.

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Il paradosso di identificare come monumento380 la costruzione di un Habitat modificabile, un artefatto che si poneva come strumento adattabile alle esigenze in mutazione di una collettività è rilevante per provare come l‟idea di monumento, inteso come luogo di riconoscimento dei valori di una comunità, debba dipendere dagli avvenimenti che la società produce e seleziona per rappresentarsi e come questi agiscano sulla memoria. L‟utilità della provocazione di pensare alla BFU come a un monumento, che contrasta con le intenzioni di chi ha pensato e realizzato l‟artefatto e con le principali opinioni e gli studi sul ruolo del monumento nella costruzione della città, risiede nel conservare la testimonianza della volontà di sostenere la modificazione dei comportamenti sociali anche tramite la trasformazione dello spazio fisico.

Sono oramai quasi dimenticati gli ideali su cui è stato progettato il sistema BFU. La persistenza dell‟organismo edilizio, nella sua forma originale, senza poter mostrare le trasformazioni per cui era stato pensato, allontana ancor di più gli esiti sperati dai progettisti; tuttavia oggi381 al visitatore della BFU si offre un‟esperienza di fruizione stimolante dello spazio interno dell‟edificio. La sensazione di „spaesamento‟ inizia non appena si varca uno degli ingressi, posti come semplici diaframmi modificabili tra interno-esterno, senza alcun interesse a definire mediazioni, coinvolgendo, da subito, nel movimento lungo i percorsi principali che si affacciano sulle corti o che si aprono sulle aree dei dipartimenti. I collegamenti verticali con rampe e scale alternate e poste al centro dei percorsi danno continuità ai due livelli con una considerevole varietà di situazioni spaziali. La chiave, o forse solo l‟indizio, per

380 George Wagner, Looking Back Towards the Free University Berlin, in AA.VV., Free University Berlin, AA Publications, London 1999, pagg. 15-23. Wagner avanza questa provocazione che contiene un valido argomento di riflessione su come interagiamo con le testimonianze del passato. La “sensazione” di rivolgersi a questa costruzione e intenderlo come monumento contemporaneo sorge a chi vi riconosce la storia e le vicende dell‟architettura; probabilmente nessuno dei fruitori ha mai condiviso questa sensazione. L‟intervento di Wagner ha convinto di riportare questa sensazione che corrisponde all‟opposto delle intenzioni dei progettisti: “The building is no longer considere as a monument, but as a tool serving different program”, The marriage of the Casbah and the Meccano, op.cit., pagg. 46-48. 381 L‟oggi è riferito al maggio 2005. È in corso di ultimazione una radicale ristrutturazione che oltre all‟inserimento di un volume che sarebbe molto piaciuto a Banham, prevede la sostituzione dei pannelli disegnati da Prouve.

l‟interpretazione è nello spazio aperto interno. I modi tradizionali di osservare un edificio, dall‟esterno nel momento in cui ci si avvicina, come era anche nell‟aspettativa di Banham, non rivelano la potenzialità dello spazio interno che si manifesta solo da dentro una volta che lo si è attraversato e si esce sulla copertura. Il dispositivo spaziale predisposto da Woods ricostruisce (forse anche in modo inconscio), con la precisione di un regista che riesce a trattenere la suspense, la sensazione che si prova

dopo essersi inoltrati all‟interno di una medina e salendo sul „piano di vita‟ delle coperture: si riconquistano oltre al sole e all‟aria, l‟intelligibilità per quanto complessa del labirinto che si è percorso e la comprensione del luogo, che anche se per poche ore, si abita. Certamente il sole di Berlino non è il sole di Fez e le maniere dei mercanti di un Bazaar del nord-Africa hanno poco a che fare con gli atteggiamenti di allievi e docenti di una università, emanazione liberale della Humboldt Universität; anche se non possiamo dimenticare che i grandi artisti della Germania si sono sempre nutriti della linfa dei Paesi del sud. Il lato esotico della realizzazione è una suggestione che Woods suggeriva nei titoli dei suoi interventi di presentazione, per esempio The education Bazaar o come fissava in modo egregio un titolo di presentazione del completamento dell‟opera Le mariage de la casbah et du meccano. È significativo il dialogo tra Candilis e Smithson più di dieci anni dopo il concorso di Berlino dove Candilis afferma che Berlino (BFU) era stata decisa nel 1952 in Marocco; nel 1974 a Rotterdam la discussione su The nature of fabrics which can support spontaneity and diversity382 è

382 Thuesdy the 9th of April, P.M., in Team 10 meeting, op.cit., pagg. 130-145. La discussione riportata ha due argomenti imprescindibili da annotare per questa ricerca: il primo riguarda la considerazione di Candilis sull‟influenza delle loro esperienze in Marocco che oltre a risultare evidente ora viene specificata nei luoghi e nelle circostanze. “In Morocco with Shad, we began to work on an idea of a special conception to create place. Certainly the special concept was influenced by the souk of Marakesh. This had two phenomena: two things which always existed; spontaneity and diversity; with the „main street‟ of the Souk as the „skeleton‟” (pag. 130). Un‟altra questione viene sollevata da Alison Smithson relativamente all‟Orphanage e all‟incidenza del fattore tecnologico nella costruzione rispetto alla BFU. Sulla questione del livello di sperimentazione tecnologico affrontato da Woods e Prouvé per la BFU e il contrasto con Candilis si dovrà tornare, poiché è utile per capire l‟incidenza e le aspettative che gli architetti in quegli anni riversavano sugli aspetti tecnologici. La discussione del pomeriggio del 9 aprile offre ulteriori argomenti sulle potenzialità dei sistemi costruttivi, industrializzati tipo „Meccano box‟

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un riepilogo delle scoperte avvenute visitando Marakesh che si rifletteranno sul progetto per Berlino. Questi sono riscontri che appartengono agli esiti della realizzazione mentre per trovare le ragioni per cui il progetto di concorso ha prevalso sulle altre proposte vanno ricercate innanzitutto nella condizione politica della città di Berlino. Il 26 giugno 1963 a Berlino (Ovest!), durante la fase di elaborazione progettuale del concorso, avviene il celebre discorso di Kennedy in cui affermava: “Freedom has many difficulties and democracy is not perfect, but we never had to put up a wall to keep our people in… All free men, wherever they may live, are citizens of Berlin, and therefore, as a free man, I take pride in the words…”. Le tensioni emotive e lo spirito di riscatto del mondo occidentale per quel piccolo pezzo di Brandeburgo, circondato dalla cortina di ferro, aveva creato le premesse per un progetto di frontiera che guardasse al futuro con la speranza e soprattutto la volontà del cambiamento. Requisiti resi espliciti nell‟associazione delle discipline comprese nel programma funzionale per un‟integrazione dei saperi e che trovava una traduzione in termini spaziali in una rete di percorsi. Un sistema di relazioni per rimuovere le barriere psicologiche che esistono tra le attività e le discipline all‟interno dell‟università, affinché non vengano rinforzate da barriere inamovibili di suddivisioni in parti a scapito del tutto383 La sperimentalità del progetto per la BFU si inserisce in una consolidata cultura radicale di studi sul futuro della città che dal concorso del 1958 aveva visto un grande interesse in Berlino quale laboratorio urbano384. I progetti di Le Corbusier, Smithson e soprattutto la proposta di Hans Scharoun avevano anticipato l‟idea delle grandi attrezzature pubbliche che ridefiniscono e organizzano i luoghi urbani. Inoltre l‟imprescindibile contrapposizione dei modelli sociali, di ciò che avveniva oltre il Muro (1961), si rifletteva nell‟assetto fisico della città divisa; in primis il recupero dei caratteri monumentali degli interventi di Hermann Henselmann per la Karl Marx Allee-Strassburger Platz, e l‟Interbau

tra cui l‟interesse di van Eyck assieme all‟ammissione di non sapere come usare (inventare) tali strumenti. Un altro argomento lanciato da van Eyck è il modo di abitare nomade e le osservazioni di Bakema sulle modificazione tecnologiche delle tende dei beduini possono ancora risultare utili. 383 Vedi stralcio relazione di concorso in AA.VV., Free University Berlin, AA Publications, London 1999, pag. 25 384 Per una ricognizione sulle vicende di quegli anni a Berlino si veda, Giorgio Trebbi, La ricostruzione di una città: Berlino 1945-1975, Mazzotta editore, Milano 1978, pagg. 78-105.

all‟Hansa-viertel costituivano il reciproco fondo di contrasto su cui si vedevano definirsi le tendenze progettuali [mat. 1.04.05a]. Il carattere monumentale della strada che conduce all‟Alexander Platz ha quindi una sua influenza ambientale così come il piano urbanistico „Haupstadt Berlin‟ (Berlino Capitale della Germania riunificata) di Hans Scharoun espone un rapporto con la città storica che si è dissolta lasciando i suoi monumenti alla deriva e poche forme chiuse come la circonferenza del Mehringplatz a memoria della città del passato. La proposta di Scharoun prevede la riorganizzazione in nuove „ciclopiche‟ attrezzature, dei continui abitati, composti da piastre che pongono questi artefatti a una scala straordinariamente amplia, e la BFU potrebbe comparire in questo repertorio di macro-figure come un possibile dispositivo organizzativo. La complessità della combinazione tra ragioni implicite e motivazioni esplicite di questo progetto costituisce un primo punto di studio; saranno poi considerate anche le aspettative e l‟interesse che la BFU ha ricevuto nel dibattito disciplinare lungo i dieci anni della sua realizzazione. Le motivazioni del progetto contenute nella relazione agiscono su due fattori, il primo di ordine „scientifico‟ per un rapporto spazio-tempo influenzato dalla „teoria generale della relatività‟ (che tramite le avanguardie viene sentito, con vari accenti, dalla parte progressista del mondo artistico) e un secondo aspetto di ordine disciplinare che, agendo all‟interno dei confini dell‟architettura-urbanistica, sistematizzava gli argomenti che erano già parte integrante delle loro ricerche a partire dall‟esperienza del GAMMA. Il riferimento esplicito di Woods va al testo di Chermayeff e Alexander Community and Privacy, che come anticipava il significativo sottotitolo “verso una nuova architettura umanistica” affrontava i problemi ambientali dal punto di vista dell‟equilibrio ecologico e rivolti a un‟integrazione ponderata tra sfera pubblica e privata, ponendo l‟accento sulla perdita e necessità della privacy. L‟occasione progettuale dell‟università, intesa come comunità, costituiva un campo di sperimentazione. È ancora partendo dal valore etimologico di „università‟ che l‟equipe definisce l‟obiettivo principale nell‟integrazione dei saperi: l‟università è definita come luogo per l‟incontro tra persone impegnate in differenti campi del sapere, sapere che si implementa vicendevolmente tramite lo scambio di conoscenze e al tempo stesso l‟isolamento

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necessario allo studio. L‟università diviene così pur nella sua specificità un luogo che rappresenta i bisogni e i desideri di una comunità385.. Sintesi provvisoria

1.04.06

La costruzione di una terza via si distacca dalla biforcazione tra la Ville Radieuse e l‟organicità rappresentata dalla città medievale, tra due

principi insediativi contrapposti ma che contenevano soluzioni e requisiti imprescindibili per un‟„armonica‟ organizzazione sociale. La risposta che ci siamo trovati ad analizzare come reazione a questo dissidio nella comunità disciplinare tra gli anni cinquanta e sessanta dà una precisa direzione di sviluppo progettuale nell‟affrontare la dimensione orizzontale di organismi complessi, per salvaguardare e ulteriormente amplificare il sistema di relazioni che era connesso agli spazi pubblici della città. Al tempo stesso la città composta da strada e isolati era intesa come un limite da superare. La lezione di Le Corbusier di riforma della città contemporanea rappresentava un gradino di crescita della conoscenza dei fenomeni insediativi irrinunciabile per quella generazione. Le condizioni socio-culturali di quel determinato momento non prevedevano di guardare indietro, anche perché la vista era ingombra delle macerie dei disastri bellici e tramite le scienze statistiche si era presa consapevolezza che si stava affrontando una condizione di sviluppo demografico (ed economico) senza precedenti nella storia dell‟uomo. Un forte impulso alla ricerca architettonica veniva sollecitato da queste sfide, offerte da uno sviluppo in continuo divenire, e in mezzo a un guado tra la città del sentimento e la città dell‟intelletto. Da questo quadro una risposta possibile degli architetti è stata quella di legare le sorti di architettura e urbanistica, per cercare una scala insediativa che si riferisse a una nuova sensibilità, acquisita per la nascita di comunità integrate. In questo modo l‟occasione della casa dei bambini di Amsterdam e la Libera Università di Berlino sono stati tra i primi passi su questa nuova strada. Un passo compiuto successivamente all‟altro e non in contrapposizone. L‟interesse a comparare le due esperienze progettuali è duplice in quanto emerge in modo emblematico la differenza tra due

385 Si veda al proposito lo studio di Stephan Muthesius, The Postwar University – Utopianist Campus and College, op.cit. Inoltre si deve tener conto che in quegli anni l‟edilizia universitaria aveva avuto un notevole impulso ed nuovo ruolo dell‟istituzione università aumentava la possibilità di accesso agli studi superiori, e si creava così una popolazione studentesca che costituiva una reale opportunità di verificare il sorgere di inedite modalità di aggregazione

posizioni poste agli estremi nel concepire il rapporto tra spazio e tempo e conseguentemente tra procedimenti basati su istanze contapposte nell‟operare sul binomio composizione/progettazione, ma al tempo stesso impegnati nello sviluppo consequenziale del medesimo principio insediativo. Questa ricerca si è aperta con una domanda: perché in architettura la crescita della conoscenza presenta risultati e conseguenti atteggiamenti con un tale grado di variabilità all‟interno della comunità disciplinare?386 Per apprezzare l‟ingenuità di questa domanda si presume tanto l‟interesse a riconoscere i tratti di ricerche comuni, quanto il presupposto della necessità della dialettica tra le posizioni per far avanzare la conoscenza, poiché la trasmissibilità e la continuità di questa evoluzione sono il vero patrimonio da salvaguardare. L‟interesse disciplinare ad affrontare questi due edifici è dovuto anche al fatto che rappresentano un fenomeno che si è interrotto, un campo di indagine isolabile, definibile nei suoi confini temporali dalle aspettative che ha suscitato e dall‟oblio in cui sono state immerse, dall‟affermarsi di un ritorno alla specificità di ciascun ambito, quello dell‟architettura iniziato con la parabola megastrutturale, quello della città con il sempre maggiore interesse nell‟analisi dei fenomeni urbani. Un percorso interrotto nella ricerca di una sintesi tra architettura e urbanistica di cui questi due artefatti vengono entrambi presentati nella critica come monumenti per quanto questa dizione allora fosse ciò da cui i progettisti si volevano allontanare e monumento in questa accezione va inteso come testimonianza. La contrapposizione proposta da Aldo Rossi tra ambiente e monumento costituisce una importante linea di demarcazione per segnare una ulteriore svolta nel riconoscimento dei valori della città ed entra nel vivo di un passaggio successivo di questa evoluzione considerando la città come un grande manufatto architettonico (rovesciando le posizioni che volevano fare del grande edificio la città). In questo passaggio riveste rilevanza lo stile: “Si è cercato di vedere come l‟uso del termine di „ambiente‟ quale viene per la più parte inteso sia un impiccio alla ricerca. All‟ambiente si è contrapposto il monumento; il monumento oltre al suo essere storicamente determinato ha una sua realtà analizzabile. Noi possiamo inoltre proporci di costruire „monumenti‟; … per far questo necessitiamo di un‟architettura, cioè di uno stile.”387 Contrapporre

386 M.V. XIX fg. 0.01 del 6 novembre 2003. 387 Aldo Rossi, L‟architettura della città, Clup, Milano 1978, pag. 171. L‟accezione di ambiente in Rossi non sembra rivolta a Habitat, anche se in prima approssimazione la

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l‟ambiente al monumento consiste in un‟operazione di rovesciamento del punto di vista del progettista nell‟organizzare le sue attenzioni e intenzioni ai bisogni e desideri dell‟uomo trasferendo il campo d‟indagine all‟analisi dello spazio in cui vive e gli esiti non possono che essere radicalmente diversi, ma specchio di trasformazioni culturali che sono la traccia del progetto contemporaneo. La differenza tra un punto di vista razionalista e uno umanistico potrebbe trovare un fertile terreno di riflessione, traslando argomenti oramai esausti, sul binomio artista-società; allora anche la combinazione uomo-città torna a interagire e a formare un‟unica voce. Nell‟affrontare il binomio artista-società e la volontà dell‟artista di incidere con i suoi strumenti sulla trasformazione della società i movimenti artistici d‟avanguardia offrono nell‟avvicendamento dei loro protagonisti alcuni significativi punti di contatto con le posizioni di van Eyck e di Woods e in particolare queste influenze si possono riconoscere prossime all‟attività di De Stijl388. Nel corso di questa analisi sono stati affrontati gli eventi nel loro succedersi temporale guardando ai movimenti artistici solo nel momento in cui sono stati coinvolti direttamente; richiamare ora l‟importanza dell‟influenza di De Stijl e in particolare di Theo van Doesburg e Piet Mondrian389 consente di scoprire una radice comune di informazione

contrapposizione potrebbe valere, infatti in Architettura per i Musei specifica che la valutazione tra monumento e ambiente è relativa alla considerazione di ambiente in Giovannoni (Teoria della progettazione architettonica, op.cit.. pag. 130) 388 Il trattamento cromatico dei volumi del Nid d‟abeilles a Casablanca, la definizione del rapporto tra spazio e tempo sono alcuni indizi dell‟attenzione per De Stijl del gruppo Candilis Josic Woods; per quanto riguarda van Eyck basta ricordare l‟inserimento della Maison Particulaire di van Doesburg e van Eesteren tra i tre edifici dei cerchi presentati a otterlo e riportare una citazione di Mondrian con cui apre il suo intervento per Doorn: “The culture of particolar form is approaching its end. The culture of determined relations has begun” di cui non si è ancora trovato il riferimento nella sua raccolta di scritti, i suoi continui e insistiti riferimenti, un bell‟olio su tela del 1917 dal titolo Composition with Coloured Rectangles, nel suo soggiorno oggetto di discussione con van Meurs (direttore dell‟Orphanage) in occasione dei primi incontri interlocutori per il programma dell‟Orphanage. 389 Per intendere l‟influenza di van Doesburg nella generazione di architetti attivi nel secondo dopoguerra si veda l‟articolo di Peter Smithson Modern Architecture in Holland, in “Architectural Design”, agosto 1954, pagg. 225.227. “Holland is unique in Europe, in that its younger architect are scarcerly influence at all by Le Corbusier or Mies van der Rohe. This is due to the extraordinary long shadow cast by Theo van Doesburg…”.

del pensiero di van Eyck e Woods, in base al rapporto tra artista e società, in una comunità spirituale di intenti condivisi. L‟introduzione di van Doesburg al primo numero di De Stijl avrà ancora una sua eco nell‟accento sperimentale delle condizioni di lavoro fino a ora considerate: “Concedendo all‟artista moderno l‟opportunità di parlare del proprio lavoro farà sparire il pregiudizio secondo il quale l‟artista moderno lavora secondo teorie precostituite. Al contrario. Apparirà che la nuova opera d‟arte non nasce da teorie assunte a priori, ma, invece, che sono i princìpi teorici a derivare dall‟operare figurativo.”390 Seguendo questa linea, l‟ultima, incompiuta, composizione di Mondrian, Victory Boogie-Woogie, assume un

particolare valore, in primo luogo per una rilevante sintonia con la pianta dell‟Orphanage391 nella disposizione dei volumi e nel ritmo che viene calibrato, ma a questo si aggiunge il fatto che lo stesso capolavoro di Mondrian viene usato da Koetter-Rowe per un commento della Freie Universität392. Vista la diversità formale tra le due piante uno dei due confronti non poteva funzionare e infatti Koetter-Rowe raccolgono dal lavoro di Mondrian quella combinazione di figure che si dilatano, contraggono e dissolvono, che a Berlino restano inserite all‟interno di una matrice definita. La scelta di Koetter-Rowe derivava direttamente da una questione di vertiginosa distanza e difficoltà nel cogliere le due strategie di relazione fra l‟oggetto e il suo sfondo, generato dallo studio comparato tra foro e acropoli e ripreso nella relazione tra matrice e figura nell‟isolamento dell‟oggetto in van Doesburg e la tensione in Mondrian. Se facciamo un passo indietro nelle considerazioni di Koetter-Rowe troviamo che l‟Orphanage avrebbe concluso con un esempio il loro argomento proprio perché vicino ai presupposti di Mondrian indicati da Koetter-Rowe “While Victory Boogie-Woogie figures to augment and contract, to congeal and

390 Ter inleiding, in “De Stijl”, I , 1 ottobre 1917, pagg. 1-2, Presentazione firmata „la redazione‟ in Giovanni Fanelli, De Stijl, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 173. 391 Liane Lefaivre e Alexander Tzonis, Aldo van Eyck Humanist Rebel, 010 Publisher, Rotterdam 1999, pagg. 104-107. Il titolo del capitolo in cui presentano l‟Orphanage è Boogie–Woogie in the Polders e assume il riferimento neoplastico dopo aver raccolto altre possibili influenze dal palazzo di Diocleziano a Spalato a villa Katsura a Kyoto, interpretando in modo sensibile la versatilità di van Eyck. 392 Fred Koetter e Colin Rowe, The Crisis of the Object: The Predicament of the Texture, in “Prespecta”, n. 16, 1980, pag. 130-141. Questo breve saggio costituisce una ripresa successiva al medesimo contenuto in Collage City (1978) e può venir considerato come un proseguimento.

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dissolve between grid and accident”393, una tensione evidentemente riconoscibile nella pianta dell‟Orphanage. Ritroviamo invece in alcuni lavori di van Doesburg, in particolare negli studi per le vetrate della scuola tecnica di Amsterdam394 commissionate da van Eesteren, delle associazioni formali (e strutturali) con la pianta della BFU. Nelle variazioni degli atteggiamenti di van Doesburg dalla collaborazione con Mondrian e la dialettica tra ortogonale e diagonale, verso van Eesteren affermando nella quarta dimensione una comunità delle arti, si consuma un rapporto con l‟opera, la sua comprensione e il suo farsi, che ritroviamo tra l‟Orphanage e la BFU [mat. 1.04.05b]. Oltre a riconoscere nell‟avanguardia lo spirito di ricerca di un nuovo rapporto tra artista e società e di fornire alcuni elementi di distinzione, di impostazione metodologica, vi è negli scritti di Mondrian395 una intensità di descrizione della nuova città che costituisce una sintesi delle ambizioni riposte nell‟Orphanage e nella BFU. Così in un saggio del 1927 dal titolo significativo Casa-Strada-Città396 Mondrian offre un‟anticipazione

sorprendente dei temi progettuali che costituiscono il punto di arrivo delle due ricerche progettuali che sono state affrontate. “Concludendo. La casa non può essere più circoscritta, chiusa, separata. E neppure la strada. Pur

393 Ibidem pag. 138. 394 Stained-Glass Composition XIII, per una completa documentazione dell‟opera si veda Els Hoek (a cura di) Theo van Doesburg – oeuvre catalogne, Central Museum Utrecht – Kroeller-Mueller Museum, Otterlo 2000, pagg. 371, 373, numero 716 del catalogo. I bozzetti della vetrata sono stati eseguiti tra dicembre 1923 e marzo 1924; l‟opera non è stata eseguita. Il bozzetto è stato pubblicato nell‟influente libro di Gyorgy Kepes Language of vision (1944) a fianco del quadro di Mondrian Broadway Boogie-Woogie per affrontare il tema del ritmo. Il lavoro di van Doesburg è caratterizzato dall‟organizzazione degli elementi principali secondo una direzione longitudinale espressa da una gerarchia evidente al cui interno si organizza una varietà di soluzioni nella combinazione dei vetri colorati con un tale numero di variazioni da costituire due livelli distinti, l‟uno portante l‟altro portato. L‟opera di Mondrian con un'altra intensità parla della città e sembra un diagramma psichico di lettura dello spazio di una metropoli (evidentemente New York in questo caso). 395 Si veda La città neoplastica di Piet Mondrian, in Bruno Zevi, Poetica dell‟architettura neoplastica, Giulio Einaudi editore, Torino 1974, pagg. 189-207. 396 Ottavio Molisani, L‟astrattismo di Piet Mondrian, Neri Pozza, Venezia 1956, pagg. 111-119. (Non sono stati riscontrati riferimenti diretti a questo saggio, ma soprattutto nel caso di van Eyck vi sono molti punti in comune con Steps towards a configurative disciplines, in “Forum”, op.cit.)

avendo funzioni diverse, questi due elementi debbono formare un‟unità. Per ottenerla, non si può considerare la casa come una scatola e uno spazio vuoto. L‟idea della casa – casa, dolce casa – deve andar perduta, come del resto l‟idea di strada. Bisogna considerare che la casa e la strada, come la città, sono un‟unità formata da piani composti in una opposizione neutralizzante che annulla ogni esclusivismo.”397

397 Ibidem pagg. 118-119.