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Senato della Repubblica Incontri in Senato 18

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Senato della Repubblica

Incontri in Senato18

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Senato della Repubblica

Liberare la libertà. Fede e politica

nel terzo millennio

Presentazione del libro di Joseph Ratzinger, Benedetto XVI

Appendice

Europa. I suoi fondamenti spirituali ieri, oggi e domaniLectio magistralis del Cardinale Joseph Ratzinger (2004)

11 MAGGIO 2018SALA ZUCCARI

PALAZZO GIUSTINIANI

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Il presente volume raccoglie la trascrizione degli interventi pronunciati in occasione della presentazione del libro di

Joseph Ratzinger, Benedetto XVI, Liberare la libertà. Fede e politica nel terzo millennio,

Cantagalli, 2018, svoltasi nella Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani

l’11 maggio 2018.

AppendiceLectio magistralis del Cardinale Joseph Ratzinger,

Europa. I suoi fondamenti spiritualiieri, oggi e domani, 13 maggio 2004,

Sala Capitolare del Convento di S. Maria sopra Minerva,Biblioteca del Senato

© 2018 Senato della Repubblica

La pubblicazione è stata curata dall’Ufficio delle informazioni parlamentari, dell’archivio e delle pubblicazioni del Senato

ISBN 978-88-98483-08-2

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Indice

PIERLUCA AZZARO

Responsabile dei rapporti istituzionalie culturali della Fondazione Vaticana

Joseph Ratzinger – Benedetto XVI

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MARIA ELISABETTA ALBERTI CASELLATI

Presidente del Senato

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GEORG GÄNSWEIN

Prefetto della Casa Pontificia e segretario particolare del Papa Emerito

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ANTONIO TAJANI

Presidente del Parlamento europeo

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GIAMPAOLO CREPALDI

Arcivescovo di Trieste

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APPENDICE

JOSEPH RATZINGER

Europa. I suoi fondamenti spiritualiieri, oggi e domani

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PIERLUCA AZZARORESPONSABILE DEI RAPPORTI ISTITUZIONALI E CULTURALI

DELLA FONDAZIONE VATICANA

JOSEPH RATZINGER-BENEDETTO XVI

Illustre Presidente del Senato della Repubblica,illustre Presidente del Parlamento europeo, Eminenze,Eccellenze, Signori Ambasciatori e membri del CorpoDiplomatico, Signori parlamentari, Autorità civili edecclesiastiche, Signore e Signori, il volume che oggipresentiamo è il secondo di una collana che desiderooffrire al più grande pubblico europeo, un’agile raccoltadi testi sui temi fondamentali dell’insegnamento diJoseph Ratzinger, Benedetto XVI, selezionati anchecon l’intento di rendere quanto più possibile la pro-fondità, la chiarezza e l’immediata accessibilità chene caratterizzano il pensiero.

Dico pubblico europeo, perché, come noto, Liberarela libertà esce oggi contemporaneamente in diversiPaesi europei e in sei lingue: italiano, inglese, francese,spagnolo, tedesco e polacco, alle quali, peraltro, dal-l’anno prossimo se ne aggiungeranno altre cinque:portoghese, croato, slovacco, sloveno e ungherese.

Dunque è non solo a nome dell’editore David Can-tagalli dell’edizione italiana, ma anche a nome di tuttigli altri editori stranieri che mi corre l’obbligo di porgereun sentito ringraziamento.

In primo luogo al Presidente del Senato della Re-pubblica qui presente, Maria Elisabetta Alberti Casellati,

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per avere, con tanta generosità, prontezza e sensibilità,anche per i temi della libertà e della veridicità, cosìcari a Benedetto XVI, aperto a questa presentazionele porte del Senato della Repubblica.

Un ringraziamento particolare va al Presidente delParlamento europeo, onorevole Antonio Tajani, che hafatto veramente non pochi sacrifici per essere qui oggia Roma, per partecipare alla presentazione di questo libro,che sprigiona una vera passione, un grande amore perl’Europa, per la sua storia, la sua identità, la sua anima.

Ringrazio poi di vero cuore gli altri due illustri re-latori, sua Eccellenza Monsignor Giampaolo Crepaldi,Arcivescovo di Trieste e sua Eccellenza Monsignor Ge-org Gänswein, Prefetto della Casa Pontificia.

Difficilmente avremmo potuto trovare persone piùautorevoli e capaci di loro per presentare oggi Liberarela libertà.

Esprimo profonda gratitudine anche a tutte le di-verse Istituzioni che hanno supportato questa iniziativa.In primo luogo, alla Fondazione vaticana Joseph Rat-zinger–Benedetto XVI oggi rappresentata qui dal suoPresidente, Padre Federico Lombardi.

Infine, ringraziando non da ultimo tutti voi quioggi, per la vostra presenza, cedo con vero piacere e,ancora una volta, gratitudine, la parola al Presidentedel Senato della Repubblica, Maria Elisabetta AlbertiCasellati.

LIBERARE LA LIBERTÀ

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MARIA ELISABETTA ALBERTI CASELLATIPRESIDENTE DEL SENATO

Rivolgo un saluto particolarmente cordiale agli il-lustri oratori, alle Autorità e ai gentili ospiti che conla loro presenza onorano il Senato.

Il 13 maggio 2004 l’allora Prefetto della Congre-gazione per la Dottrina della Fede, Cardinale JosephRatzinger, tenne proprio in Senato la Lectio magistralissulle radici cristiane dell’Europa.

Nell’anniversario di quell’incontro, viene oggi pre-sentato il volume Liberare la libertà, che ripercorre letappe fondamentali della riflessione di Benedetto XVItra fede e politica nel terzo millennio, con un testoinedito del Papa Emerito inviato il 20 settembre 2014a Marcello Pera, già Presidente del Senato.

Ho avuto modo di leggere e approfondire i con-tenuti del volume e mi propongo di limitare il mio in-tervento ad alcune considerazioni essenziali, con unaavvertenza preliminare che ritengo necessaria. Vi è unrapporto dialettico e non statico tra autore e lettore.La pagina scritta vive nel cuore e nella mente di chilegge attraverso la comprensione, l’interpretazione, ilcommento che inevitabilmente derivano dalla forma-zione e dalle storie personali dei lettori. Anche nel miocaso la comprensione, l’interpretazione, la riflessionesul volume che viene oggi presentato risentono di unaspecifica lente di ingrandimento che è quella del diritto,che per esperienza personale, professionale ed istitu-

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zionale connota inevitabilmente la mia breve intro-duzione.

Il rapporto tra religione e Stato, da un lato, e fedee politica, dall’altro, gravita attorno ad una polarizza-zione che nell’età moderna si è affermata come distin-zione tra “dogma” e “storia”.

Nella tradizione del diritto romano, tale contrap-posizione non esisteva, perché l’ordinamento giuridiconon era un prius rispetto alla dinamica di svolgimentodei rapporti tra individui, ma si definiva ed emergevacome regula juris proprio dal riconoscimento che soggettipubblici e privati attribuivano ai singoli comportamenti.Ecco perché – come opportunamente affermava Rudolphvon Jhering – «non tutto ciò che accade è storia», inquanto diventa storia, cioè diritto, quando è riconosciuto,accettato, e, solo alla fine, prescritto o vietato.

La scissione tra “dogma” e “storia”, assente nellatradizione del diritto romano, ha invece assunto i trattidi una vera e propria ideologia in epoca moderna e hatrovato l’espressione più marcata nell’idea di positivi-smo giuridico che ha connotato fino ai nostri giornila riflessione dei giuristi, ben al di là della stessa im-postazione originaria di Kelsen. Contro tale ricostru-zione, soprattutto a partire dal Novecento, è emersauna differente interpretazione del fenomeno giuridicointeso come esperienza, realtà di vita, mutuo ricono-scimento di princìpi e valori.

La riflessione di Benedetto XVI si colloca in unambito distinto: quello teologico, filosofico, esistenziale,parallelo rispetto alla dialettica che ha visto contrap-

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porsi le impostazioni giuridiche di stampo giuspositi-vistico e giusnaturalistico, a quelle connotate dalle di-verse declinazioni che il realismo giuridico ha assuntonel corso del XX secolo.

Benedetto XVI supera la logica della scissione,della segmentazione dei saperi e delle esperienze, di-mostrando come “dogma” e “storia” non si collochinoal di fuori della realtà (comunque la si voglia declinare).Per un giurista è davvero dirimente cogliere il signi-ficato del diritto e della giustizia come movimenti nonrelegabili, alternativamente, alla sfera dell’“aldilà” ov-vero dell’“aldiqua”, perché come ci suggerisce chiara-mente Joseph Ratzinger, il punto cruciale è superarela finzione che divide il mondo reale secondo categoriedi pensiero o, peggio, lo stesso pensiero, dalla realtà.In altri termini, il dogma vive dentro la storia ed è lastoria a rivelare il dogma, rendendo giustizia a ciò cheè vero rispetto a ciò che è falso.

L’impostazione di Benedetto XVI ha una ricadutadiretta nella stessa definizione di “soggetto di diritto”.Come è noto, nel diritto romano classico, non tutti gliindividui sono soggetti di diritto e titolari di capacitàgiuridica. Diversamente dalle esperienze contempora-nee, il diritto romano in definitiva considera lo stessouomo come “oggetto di diritto”, a capacità giuridicarelativa al suo specifico status personae.

In questo caso il pensiero moderno e contempo-raneo disvela la contraddizione degli antichi e proponedi considerare l’uomo non come oggetto, bensì, sempree comunque come “soggetto di diritto”.

MARIA ELISABETTA ALBERTI CASELLATI

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La riflessione portata avanti nel corso della suaintera vita da Joseph Ratzinger chiaramente indica co-me la logica della scissione e della discontinuità oltread essere fallace sul piano logico, si rivela altresì in-coerente rispetto a quello fattuale. Dogma e storia nonsono scindibili, così come è fuorviante ridurre l’uomoa essere considerato in modo parziale semplicementeoggetto o soggetto di diritto. La traduzione giuridicadi tale impostazione può così sintetizzarsi. L’auctoritasdello Stato contrapposta alla libertas dell’individuonega il fondamento del diritto come giustizia, mentreil riconoscimento da parte dello Stato della “persona”come limite dell’azione pubblica diventa la giustifica-zione, la legittimità, la legittimazione delle Istituzionie più in generale degli ordinamenti giuridici.

In uno scritto del 384 d.C. che non esiterei a definirestraordinario, San Gerolamo racconta di un sogno du-rante il quale di fronte al Tribunale del Giudice egliveniva interrogato su quale fosse la sua identità. Nelsogno egli rispondeva di essere “un cristiano”. Ma ilGiudice così sentenziò: «Tu menti, tu non sei cristiano,ma un ciceroniano, perché laddove è il tuo tesoro, làè il tuo cuore». In un altro scritto lo stesso Gerolamoaffermava: «aliae sunt leges Caesaris, aliae Christi,aliud Papinianus, aliud Paulus noster praecepit».

Cosa significa contrapporre l’essere cristiano e l’es-sere ciceroniano? Significa spezzare l’unitarietà delpensiero e della vita concreta rispetto alle ideologie.

Ratzinger fin dalla fondamentale Introduzioneal Cristianesimo del 1968, dimostrava l’incoerenza

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di una statualità intesa in modo assoluto, di unaideologia sinonimo di fede e di una fede derivatadalla ideologia. L’attualità di quella intuizione restaintatta: distinguere fede e politica, Stato e individuoè tanto necessario quanto riconoscere che la politicanon possa concepirsi al di sopra, ma sia calata den-tro il «giudizio della ragione, che è la madre del di-ritto», secondo la nota affermazione di Federico IIdi Svevia.

Ed è dirompente la provocazione di Ratzinger chegià nel 1968 afferma: «Dio è pratico». È evidente, nellasua riflessione, la correlazione proposta da RomanoGuardini tra verità e giustizia: «da ciò che è vero nascequanto è giusto».

Per il giurista, per un rappresentante delle Istitu-zioni, per il cittadino questa provocazione ha un si-gnificato concreto: viviamo nell’età dei diritti, ma lapersona diventa pienamente soggetto di diritto proprioquando assume su di sé la logica del dovere.

Il processo di Gesù di fronte a Pilato fa emergerela centralità della domanda: «che cosa è la verità?»,ma non supera l’altro interrogativo fondamentale «checosa è la libertà?».

Alfonso Maria De’ Liguori riconosce che «la libertàè il requisito necessario della moralità», ma è propriosulla linea di confine tra verità, libertà, moralità cheReligione e Stato sono chiamate a confrontarsi e ri-conoscersi nella logica dei diritti umani, che per defi-nizione supera l’idea di “confine” e si proietta versoquella di “universalità”.

MARIA ELISABETTA ALBERTI CASELLATI

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Nella lettera inedita del Papa Emerito si proponedopo Sant’Agostino di recuperare appieno il pensierodi Aristotele. Questa non è solo una notazione, ma unvarco ineludibile sia per i cittadini sia per i loro rap-presentanti politici. Non c’è diritto senza dovere; nonc’è ordinamento giuridico senza giustizia; non c’è veritàsenza libertà e viceversa. Questo significa che non èpossibile votare sulla verità e allo stesso tempo chenon è possibile negare la libertà, che il “potere” nonpuò sostituirsi al “sapere”, in definitiva che le azionidegli individui e le decisioni delle Istituzioni devonofermarsi di fronte all’idea di “persona”, che non è piùsolo “appartenenza” ad una singola religione o ad unsingolo Stato, ma “identità” imprescindibile e irrinun-ciabile per ogni religione e per ogni Stato.

Concludo riprendendo dal punto iniziale della miaintroduzione. Per il grande giurista Pietro Bonfante, ildiritto romano universale – jus gentium – venne su-perato dalla influenza dell’Oriente ellenistico in quelloche definì diritto elleno-romano. Per un altro grandegiurista come Salvatore Riccobono, invece, il supera-mento del jus gentium avvenne con l’emersione deldiritto romano-cristiano.

Ed infine per Giuliano Crifò non fu tanto il pensierocristiano a irrompere nelle strutture e nel diritto romano,quanto invece le categorie del diritto romano classico avertebrare sul piano istituzionale il pensiero cristiano.

Il Papa Emerito supera queste ricostruzioni storio-grafiche tra loro alternative, dimostrando come l’in-contro tra religione cristiana e res publica avvenne

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quando l’idea di “persona” e di “ragione” si saldarononon più solo in una prospettiva di “potere”, ma di “cul-tura”. La ragione per chi esercita una funzione pubblicasignifica innanzitutto “ragionevolezza” e consapevolerinuncia a contrapporre la legge – nell’accezione ci-ceroniana di “scelta” – al diritto, inteso da FelicianoSerrao come jus ossia insieme di tradizioni, consue-tudini, interpretazioni e comportamenti.

Per Paolo VI «il mondo soffre per mancanza dipensiero» ed è proprio la “porta della cultura” la stradache Benedetto XVI propone a ciascuno di noi per nonrestare confinati dentro le angustie di un pensiero néforte, né debole, ma più semplicemente autoreferenziale.In definitiva è la cultura la via maestra per rendere lalibertà strumento di giustizia.

MARIA ELISABETTA ALBERTI CASELLATI

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GEORG GÄNSWEINPREFETTO DELLA CASA PONTIFICIA

E SEGRETARIO PARTICOLARE DEL PAPA EMERITO

Comincio con una captatio benevolentiae che nonè scritta nel testo, ma che è scritta nel cuore: quandosono partito per venire qua mi ha detto Papa Benedetto,il Papa Emerito: «Allora, per favore saluta tutti, chiun-que sia. Porta i saluti di Papa Benedetto».

Presidenti, Eminenze, Eccellenze, Senatori, Amicinon posso dire cari Fratelli e Sorelle, dico Signore eSignori, dopo il saluto del Presidente del Senato, ilmio intervento sarà breve. Ho cercato di, come dire,raccontare un po’ della persona con la quale vivo datanti anni e anche dello spirito in cui vive e ha vis-suto. Sono certo che questo colore che do arrivi atutti voi.

Prima di diventare Papa Benedetto XVI, JosephRatzinger crebbe tedesco, forse ancora di più bavarese.E tuttavia, per origini familiari, da bambino il suosguardo sempre si volse al Salisburghese, all’Austria,avendo davanti agli occhi la cultura dell’antica Casad’Asburgo, forse pensando anche a sua nonna originariadel Sudtirolo, oggi Alto Adige. Gli attraversamenti difrontiera caratterizzano la sua vita, sempre sullo sfondodell’orizzonte infinito della cattolicità. Dunque, sindalla sua fanciullezza, la sua patria politica fu rappre-sentata non da frontiere, ma dall’Occidente nella suainterezza, perfino nei giorni in cui la furia scatenata

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del totalitarismo tentò di precipitare il nostro Continentenell’abisso.

Così non c’è da meravigliarsi che ben presto l’Eu-ropa divenne la passione politica del giovane semina-rista, del giovane studioso. E perciò nemmeno sorprendeche il giovane Joseph Ratzinger fu affascinato da Kon-rad Adenauer e dalla politica risoluta con la quale ilprimo cancelliere della Germania del dopoguerra –contro tutte le lusinghe e le promesse dell’Unione so-vietica e dopo la «cesura di civiltà» della Germaniasotto i nazionalsocialisti – impose nuovamente l’an-coraggio della nuova Repubblica Federale al sistemadi valori liberale, proprio della storia giudaico-cristianae dell’Occidente latino-occidentale.

Unicamente qui, in questa storia – come ben prestoriconobbe Joseph Ratzinger –, il Dio di Giacobbe erastato conosciuto non come il Dio che si adira, ma in-nanzitutto come colui che ama, che non costringe gliuomini, ma che cerca di conquistarli. Solo qui, solo inquesto spazio culturale fu perciò scoperta, sviluppatae difesa quell’imparagonabile «Libertà del cristiano»della quale parlò Lutero cinquecento anni fa e che giàmille anni prima aveva animato San Colombano: quellaconsapevolezza per cui «Si tollis libertatem, tollis di-gnitatem», parole che ancora oggi adornano la Cappelladi San Colombano, posta nelle fondamenta della Ba-silica di San Pietro. «Se togli la libertà, togli la dignità»fu il motto che guidò il grande missionario irlandesedel VI secolo. In questo luogo – nelle “Grotte” sottol’Altare papale, nella Confessio che Bernini edificò

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sopra la tomba di Pietro, Principe degli Apostoli – leparole di Colombano vengono perciò in certo qual mo-do a costituire parte integrante delle fondamenta delpapato. Fu questo lo spirito con cui i monaci pellegriniirlandesi nel VI secolo cristianizzarono l’Europa occi-dentale, quasi rifondandola nel mezzo dell’emigrazionedei popoli: di ciò Joseph Ratzinger fu persuaso da su-bito. Così il bel titolo del libro Liberare la libertà po-trebbe quasi considerarsi un cantus firmus nella vitadi Joseph Ratzinger-Benedetto XVI.

Perché il Papa che proveniva dalla Germania comeuomo, pensatore e docente maturò in certo qual modo“nell’epoca cattolica” del dopoguerra: nel tempo in cuiErich Przywara, il maestro di Josef Pieper, concepivail suo L’idea d’Europa, e quando Konrad Adenauer,Robert Schuman e Alcide De Gasperi si assunsero ilrischio di intraprendere una rifondazione dell’Europadalle sue rovine, ovvero dall’eredità dell’Occidente ca-rolingio. Fu in questo tempo che il giovane homo hi-storicus Joseph Ratzinger, ben presto estremamentecolto, quasi naturalmente divenne homo politicus. Lasua idea più politica già allora venne a coincidere conil concetto teologico più importante del giovane sa-cerdote: ovvero la «verità», che più tardi egli inserì nelmotto del suo stemma arcivescovile, nel quale egliesprime il desiderio di conquistare cooperatori propriodi questa verità, cooperatores veritatis. Perché «se cidistacchiamo dal concetto di verità, ci distacchiamodalle fondamenta», spiegava nel febbraio del 2000 alsuo biografo Peter Seewald, durante un soggiorno sul

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fatidico monte dell’Europa, Montecassino, la casa madredelle abbazie di San Benedetto; e continuava: «Quellosul fuoco è uno dei più significativi detti di Gesù sullapace, ma mostra contemporaneamente che carica con-flittuale abbia la pace autentica. Quanto la verità valgasofferenza e anche conflitti. Dimostra come non sipossa accettare la menzogna pur di “vivere tranquilli”.Nessuno ha più il coraggio di dire che ciò che dice lafede è verità».

Cercare la verità e battersi per essa divenne cosìil filo rosso della vita di Joseph Ratzinger-BenedettoXVI perché, di questo egli è convinto, essa non è unaverità che si possa «avere o possedere», ma alla qualeci si può unicamente avvicinare: infatti, per la fededei cristiani e conformemente alla loro comprensionedella verità, essa è divenuta persona: in Gesù Cristo,nel quale Dio ha mostrato il suo volto. Questo con-vincimento fece perciò sì che il teologo cattolico di-venisse un interlocutore particolarmente rispettato daJürgen Habermas, il grande filosofo tedesco dichiara-tamente «privo di orecchio religioso», e con il qualeegli tuttavia conveniva sul fatto che il modello giu-daico-cristiano dell’uomo fatto a immagine di Dio de-termini il nucleo essenziale dell’Europa. Da questa «se-colarità fondata teologicamente» – che per Josef Piepercaratterizza il nostro mondo occidentale – più tardi ilcostituzionalista Ernst-Wolfgang Böckenförde trassela nota conclusione per cui «lo Stato liberale secola-rizzato vive di presupposti che non è in grado di ga-rantire».

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Il credente e il non credente si incontrerebbero epotrebbero farlo qui, «nel dubbio», che condividonoognuno a modo suo, affermava Ratzinger decenni pri-ma, nel suo Introduzione al cristianesimo di ormai cin-quanta anni fa. E tuttavia, nello spazio culturale del-l’Europa, l’incontro fra credenti e non credenti è pos-sibile non solo nel dubbio, ma allo stesso modo anchenella verità, come testimonia ancora una volta il dialogofra Ratzinger e Habermas, contenuto nel libro che oggipresentiamo. Per questo, però, con tanta più nettezzaPapa Benedetto XVI intese anche mettere in rilievo lefrontiere di questo spazio culturale unico rispetto atutte le altre culture, come intrepidamente fece il 12settembre 2006 nel suo famoso “Discorso di Ratisbona”.In questo senso evidenziò come l’affermazione decisivadell’argomentazione dell’imperatore Manuele II controla conversione mediante violenza fosse, proprio par-tendo dalla sua immagine cristiana di Dio, quella percui «non agire secondo ragione, non agire con il logos,è contrario alla natura di Dio». E concludeva: «È a que-sto grande logos, a questa vastità della ragione, cheinvitiamo nel dialogo delle culture i nostri interlocutori».

Quando, nella prefazione al volume, Papa Fran-cesco sottolinea che questi testi, insieme alla Operaomnia del suo predecessore, «possono aiutare tutti noia comprendere il nostro presente e a trovare un solidoorientamento per il futuro», quasi spontaneamente misono venute in mente le incisive parole pronunciateda Benedetto XVI per la difesa del diritto naturale il22 settembre 2011 di fronte ai parlamentari della Re-

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pubblica Federale Tedesca riuniti nell’edificio del Rei-chstag. Con esse intendo concludere questo mio breveintervento: «“Togli il diritto – e allora che cosa distinguelo Stato da una grossa banda di briganti?” ha senten-ziato una volta Sant’Agostino». Spiegava allora PapaBenedetto ai parlamentari, da insegnante e docente,quale è sempre stato, e proseguì: «Noi tedeschi sappiamoper nostra esperienza che queste parole non sono unvuoto spauracchio. Noi abbiamo sperimentato il se-pararsi del potere dal diritto, il porsi del potere controil diritto, il suo calpestare il diritto, così che lo Statoera diventato lo strumento per la distruzione del diritto– era diventato una banda di briganti molto ben or-ganizzata, che poteva minacciare il mondo intero espingerlo sull’orlo del precipizio. Servire il diritto ecombattere il dominio dell’ingiustizia è e rimane ilcompito fondamentale del politico. In un momentostorico in cui l’uomo ha acquistato un potere finorainimmaginabile, questo compito diventa particolar-mente urgente. L’uomo è in grado di distruggere ilmondo. Può manipolare se stesso. Può, per così dire,creare esseri umani ed escludere altri esseri umani dal-l’essere uomini. Come riconosciamo che cosa è giusto?Come possiamo distinguere tra il bene e il male, tra ilvero diritto e il diritto solo apparente?».

La richiesta del saggio re Salomone al Dio di Gia-cobbe – «Concedi al tuo servo un cuore docile, perchésappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distin-guere il bene dal male» (1Re 3,9) – resta dunque decisivaper i compiti e le sfide che oggi i politici e la politica

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sono chiamati ad affrontare; perché quel “momentostorico” del quale il Papa emerito parlò sei anni fa aBerlino, alla lunga non è ancora concluso.

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ANTONIO TAJANIPRESIDENTE DEL PARLAMENTO EUROPEO

Signora Presidente del Senato, Eminenze Reve-rendissime, Eccellenze, caro professor Azzaro, OnorevoliDeputati e Senatori, Signore e Signori,

questo libro ci spinge ad una riflessione profonda,come chiedeva il professor Azzaro. Spinge tutti noi po-litici a riflettere sugli scritti del più grande teologo eforse filosofo di questo secolo e del secolo passato. E,leggendo questo libro, mi è tornata in mente un’omeliache l’allora cardinale Ratzinger pronunciò nella chiesadi Santa Aurea, qualche anno prima di diventare Papa.Si soffermò a lungo – era il momento del dibattito sullaConvenzione sull’avvenire dell’Europa – sulla necessitàdi inserire nel testo di quella che doveva essere la futuraCostituzione, che poi non venne mai approvata, il rife-rimento alle radici giudaico e cristiane. Il riferimento,cioè, alla nostra identità; e non è – lo voglio dire difronte a tanti religiosi – una questione di fede. È unaquestione storica. Diceva giustamente Benedetto Croce:«Non possiamo non dirci cristiani», perché emerge nelvolume di Papa Ratzinger qual è la nostra vera identitàdi europei. E poi è l’identità che è in questa bandiera,sono le dodici stelle, la tribù di Israele che cingono latesta della vergine Maria e la bandiera è blu perché è ilcolore del mantello della Vergine. Alcuni dicono chesono gli Stati, ma non c’entrano niente gli Stati: è unabandiera che dimostra le nostre radici cristiane.

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Ebbene tutto questo libro ci spinge a riflettere sullanostra identità, su quella che deve essere l’identità deipolitici, e non si può fare politica se non si crede neivalori, non esiste l’Europa se non esistono i valori.

Papa Ratzinger in questi scritti sottolinea quantosiano importanti i valori sui quali si fonda la civiltàeuropea: sono i valori del cristianesimo; sono i valoridell’umanesimo; sono i valori del diritto naturale; sonoi valori che regolano le nostre norme e che pongonodei limiti allo Stato, al potere dello Stato nei confrontidell’uomo. Quei valori che mettono in risalto quale siail filo conduttore della storia dell’Europa. Il filo con-duttore è una parola: «Libertà», che i greci considera-vano come libertà territoriale, poi, con il passare deisecoli, si cominciò a guardare più alla libertà dell’uomo,e con il cristianesimo la parola libertà ha avuto un si-gnificato ben più alto: anche libertà da ciò che è in-giusto.

Io credo che il punto fondamentale di questi scrittisia il racconto del processo a Gesù. Il rapporto traPilato, che deve scegliere se condannare o assolvereGesù, e l’imputato Gesù. Quando Pilato chiede a Gesùche cos’è e che cosa vuole, qual è il suo regno, e luigli risponde che il suo non è il regno terreno, che luinon sta agendo contro Roma, Ponzio Pilato si rendeconto che Gesù è innocente, anche per Roma. E lì pur-troppo manca l’etica del politico. Pilato non ha il co-raggio di rispettare la sostanza del diritto, ma si muovepuntando sulla forma, di fatto condannando Gesù per-ché nel momento in cui chiede: «Volete libero Gesù o

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Barabba», Pilato ha già condannato Gesù, rispondendopiù alla sua voglia di essere gradito alla maggioranzadella plebe che applaudiva nel cortile, piuttosto cherispondere a quello che era il suo convincimento etico.Lui sapeva che Gesù era innocente; ha avuto paura eha detto: «Bene, adesso mi rimetto al giudizio del popoloebraico». E il popolo vota non per un “ladrone”, è de-scritto molto bene. Barabba era un capo della rivoltacontro Roma e il popolo vota per quello che chiede laliberazione da Roma, non per colui che chiede la li-berazione dell’uomo – messaggio più difficile. E Gesùviene condannato, ma è lì il messaggio sui limiti anchedella democrazia.

Quando Pilato fa scegliere alla maggioranza, lamaggioranza, è vero, sceglie Barabba e non Gesù, maanche nella storia, la democrazia è la miglior formadi Governo – lo dice in maniera molto chiara PapaRatzinger –, però, anche la democrazia ha i suoi limiti.Quando la democrazia non è ispirata al diritto naturalee non è ispirata all’etica, anche la democrazia può com-mettere errori. Hitler è salito al potere con voto demo-cratico. Quante ingiustizie sono state commesse innome di una falsa democrazia. Se non ci sono i valoriche ispirano, se non c’è la verità che ispira.

Ecco l’altro tema che sottopone, anche, all’atten-zione del politico: la ricerca della verità che non puòessere la verità soggettiva. Non è facile trovare la verità,perché ognuno è sempre portato ad accontentarsi, atrovare soddisfazione nella propria verità, perché quellaoggettiva è più scomoda. E questo Papa Ratzinger lo

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fa capire in maniera molto, ma molto chiara in questovolume, che consiglio a tutti i miei colleghi parlamentaridi leggere: cercare sempre e comunque la verità, chenon è cosa facile, non è cosa semplice.

La verità significa che quando tu la trovi devianche ribellarti alla legge, se la legge va contro laverità. E quando lui esalta San Tommaso Moro, lo faperché, pur essendo un uomo rispettoso dello Stato,rispettoso delle regole, è costretto dalla sua coscienza,dall’etica, a dire: «No, io non posso rispettare delleregole che vanno contro la verità e che vanno controla mia coscienza».

Ecco il limite dello Stato. Il passaggio, la trasfor-mazione dallo Stato romano, dall’Impero romano alloStato cristiano è questo. Lo Stato era tutto, mentre conil Cristianesimo lo Stato è solo uno strumento. Ma loStato ha dei limiti. Lo Stato è al servizio dell’uomo esoltanto le dittature sono Stati che costringono l’uomoa essere al loro servizio. E lui lo racconta molto benee lo sottolinea molto bene.

Le due dittature del secolo passato, il nazionalso-cialismo e il comunismo sono, di fatto, due facce dellastessa medaglia; sono figlie di un materialismo, unostorico e l’altro biologico, ma di uno Stato che cancellaogni visione trascendente, ogni visione etica, perchésia nello Stato comunista, sia nello Stato nazionalso-cialista, come dice Papa Ratzinger nel suo scritto, siconsidera legittimo tutto ciò che fa il bene, non del-l’uomo, ma fa il bene e l’interesse del nazionalsocia-lismo, oppure del comunismo. Quindi, qualche cosa

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che non fa il bene dell’uomo. Quindi, tutto è permesso,purché faccia il bene e l’interesse dello Stato materia-lista.

Ieri, visitando a Madrid il museo Thyssen, ho vistodue opere di Chagall, una degli anni della Rivoluzionerussa, dove si esaltava l’importanza della Rivoluzionee un’altra di qualche anno dopo, dove Chagall si erareso conto che quella Rivoluzione era una rivoluzioneimmanente, che in realtà non liberava l’uomo. Ecco,Papa Ratzinger nel suo libro ricorda altre due opere diChagall: una dove c’era il prevalere del benessere uma-no, della rivoluzione umana, l’altra dove c’era il pre-valere della rivoluzione dell’etica, della rivoluzione delCristiano. E Chagall era di religione ebraica, ma congrande interesse per la Passione, per il Cristianesimo.

E poi tutto ciò che Papa Ratzinger dice sul Rela-tivismo, che è il grande problema, il problema dei pro-blemi. Perché, se noi consideriamo che è bene tuttociò che in quel momento è nostro interesse, rischiamodi fare il male dell’uomo, di non difendere veramentela libertà.

Ecco un libro che io considero utilissimo per tuttiquanti noi. E vorrei citare due parti in maniera moltobreve che mi hanno colpito. Una è quella che riguardal’Europa, come Presidente del Parlamento europeo,quando lui dice: «Lo dico proprio in vista dell’Europa,in cui vasti ambienti cercano di riconoscere solo il po-sitivismo come cultura comune e come fondamentocomune per la formazione del diritto, riducendo tuttele altre convinzioni e gli altri valori della nostra cultura

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allo stato di una sottocultura. Con ciò si pone l’Europa,di fronte alle altre culture del mondo, in una condizionedi mancanza di cultura e vengono suscitate, al con-tempo, correnti estremiste e radicali».

E lui conclude questa parte, quando dice: «A questopunto dovrebbe venirci in aiuto il patrimonio culturaledell’Europa», per riscoprire noi stessi. «Sulla base dellaconvinzione circa l’esistenza di un Dio creatore sonostate sviluppate l’idea dei diritti umani, l’idea dell’ugua-glianza di tutti gli uomini davanti alla legge, la cono-scenza dell’inviolabilità della dignità umana in ognisingola persona». Siamo l’unico continente al mondo,e lo dobbiamo sempre ricordare, dove non esiste lapena di morte, dove nessuno può arrogarsi il dirittodi togliere la vita anche al peggior criminale, nellasperanza che anche il peggior criminale si possa redi-mere prima di morire. Anche questa è tutela e difesadella libertà dell’uomo, del libero arbitrio, che puòesercitare fino all’ultimo istante della vita ogni essereumano. È la consapevolezza della responsabilità degliuomini per il loro agire.

Ecco, quando parla dei diritti e dei doveri, PapaRatzinger sottolinea anche l’importanza dei doveri.Sottolinea l’importanza dell’impegno per la difesa deidiritti umani, quelli veri, non quelli che vengono usatiper creare falsi miti. Anche i diritti umani hanno unlimite. E lui sottolinea quanto si fosse battuto GiovanniPaolo II per difendere i diritti umani nei Paesi sotto-messi dalla dittatura dell’Unione sovietica, del Co-munismo.

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Ecco, è tutta la civiltà europea che scorre nelle pa-role di Papa Ratzinger, la continuazione del pensierodi Giovanni Paolo II.

Io ricordo anche gli scritti di Giovanni Paolo IIsull’Europa. E credo che noi se vogliamo guardare,in un momento di grande difficoltà, in un momentodi passaggio della storia dell’Unione europea con piùottimismo al futuro, non possiamo ricominciare dadove Lei Eccellenza ricordava, hanno iniziato dopola Seconda Guerra mondiale, i padri dell’Europa: daivalori.

Se noi non ricominciamo dai valori, possiamoavere la più bella Banca centrale, possiamo avere l’Euro,possiamo avere il mercato interno, possiamo avereSchengen, possiamo anche veder crescere l’economia.Ma non è quello. Non è quello che ci identifica. Nonè quello che ci fa sentire europei.

E senza questi valori, e senza questa identità, anchein un momento in cui è difficile aprirsi agli altri, lo sipuò fare perché chi non ha un’identità difende il proprioterritorio con la paura.

Allora c’è una reazione negativa nei confronti sem-pre di chi arriva da un’altra parte del mondo: soltantochi ha un’identità forte, ha il coraggio e la possibilitàdi integrare l’altro, perché quelle identità sono queivalori che ci permettono di farci sentire sul serio eu-ropei.

E non mancano nelle parole – e concludo –, diPapa Benedetto XVI, anche insegnamenti per noi po-litici, in questi giorni.

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«Il primo servizio che la fede fa alla politica è dun-que la liberazione dell’uomo dalla irrazionalità dei mitipolitici, che sono il vero rischio del nostro tempo.Essere sobri ed attuare ciò che è possibile, e non re-clamare con il cuore in fiamme l’impossibile, è semprestato difficile; la voce della ragione non è mai cosìforte come il grido irrazionale. Il grido che reclama legrandi cose ha la vibrazione del moralismo; limitarsial possibile sembra invece una rinuncia alla passionemorale, sembra il pragmatismo dei meschini. Ma laverità è che la morale politica consiste precisamentenella resistenza alla seduzione delle grandi parole concui ci si fa gioco dell’umanità dell’uomo e delle suepossibilità. Non è morale il moralismo dell’avventura,che intende realizzare da sé le cose di Dio. Lo è invecela lealtà che accetta le misure dell’uomo e compie,entro queste misure, l’opera dell’uomo. Non l’assenzadi ogni compromesso, ma il compromesso stesso è lavera morale dell’attività politica».

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GIAMPAOLO CREPALDIARCIVESCOVO DI TRIESTE

Illustri Presidenti, Eminenze, Eccellenze, SignoriSenatori e Signore e Signori, nel libro che oggi hol’onore di presentare convergono tre Pontefici, e questolo rende veramente singolare e di grande interesse.

Ci sono testi scelti del teologo Joseph Ratzingerinsieme ad alcuni suoi insegnamenti espressi duranteil suo Pontificato, c’è la prefazione di Papa Francescoe c’è anche un rinvio implicito a San Giovanni PaoloII. Infatti il titolo del volume Liberare la libertà è ripresodal paragrafo 86 della Veritatis Splendor ed esprimeil senso e gli intenti dell’intera Enciclica sulla morale.

Questa convergenza è, come dicevo, di grande in-teresse perché segna la continuità e nello stesso tempola novità – la novità nella continuità, si potrebbe dire– degli insegnamenti della Chiesa sul tema dei rapportitra la fede e la politica.

La politica, la morale, la fede: questi sono i tretermini che fanno da cornice ai contenuti del libro eche, occorre riconoscerlo, costituiscono il quadro del-l’intera dottrina sociale della Chiesa. La politica habisogno della morale. Essa non è direttamente morale,perché ha una sua legittima autonomia di criteri e dimetodi. Però non può prescindere dalla morale, cometestimoniano i comuni cittadini che sono spesso ri-gorosi nel giudicare la politica proprio dal punto divista etico, e come testimoniano anche gli uomini

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politici che sentono sempre il bisogno di giustificaresecondo il bene e la giustizia le scelte che operano.Non c’è nessun uomo politico che non presenti come“buona” e “giusta” l’azione che sta per intraprendere.Anche il raggiungimento di obiettivi di ordine ma-teriale – per esempio di carattere economico o pro-duttivo –, in politica assume sempre anche una giu-stificazione legata al bene comune. Su quest’ultimosi hanno visioni spesso diverse, ma ciò non impedisceai politici, per primi, di appellarvisi nella giustifica-zione delle loro scelte. E proprio questo dimostra chela politica, pur essendo autonoma, non si fonda dasé. Cerca la sua legittimità non nei risultati raggiuntiné, a ben vedere, nel mandato elettorale, ma nel benecomune, ossia nel bene di tutti e di ciascuno, che essaè chiamata a realizzare. Oggi viviamo in un contestodi pluralismo etico. Però tutti ci riconosciamo in alcuniprincìpi morali di fondo, che sono anche presentinella nostra Costituzione repubblicana. Ciò significache si tratta di un pluralismo “inquieto”, che da unlato sente il richiamo della libertà, ma nello stessotempo avverte l’attrattiva per la verità. Non è per casoche la stessa discussione politica tocchi spesso tema-tiche di grande significato etico, non solo di moraleindividuale, ma anche di morale pubblica. Non è que-sto il senso di un pluralismo “inquieto”? Pluralismoche testimonia, pur nel conflitto delle interpretazionie delle valutazioni, che la politica non basta mai ase stessa e che i politici sono lì anche per qualcosad’altro dalla politica. E che proprio questo – il fatto

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di essere al servizio di altro da sé – dona alla politicala sua ultima dignità.

È a questo punto che entra in gioco la fede – sot-totitolo del libro è: Fede e politica nel Terzo millennio–, la quale apre sia alla politica che alla morale dellefinestre che esse non sarebbero in grado di aprire dasole. Nella vita umana tutto ha bisogno di essere salvatodai pericoli di involuzione che porta con sé. Se la po-litica assolutizza se stessa si trasforma in tecnica o inideologia. Se la morale assolutizza se stessa diventauna serie di divieti legalistici. Il respiro della fede cri-stiana può aiutare l’una e l’altra – non rendendole essestesse fede, ma lasciandole nella loro autonomia – of-frendo loro un fine ulteriore, una spinta della coscienzaverso l’alto e verso il largo, eco di un richiamo da oltree verso un oltre. Da ciò non può derivare nessun dannoné alla politica né alla morale, che non vengono negate,ma confermate e, potremmo dire, con Papa Ratzinger“fatte respirare meglio”.

Mi sono soffermato su questi tre passaggi – la po-litica, la morale, la fede cristiana – perché questo lororapporto di reciproca implicazione e “purificazione”rappresenta uno dei punti più interessanti degli inse-gnamenti di Benedetto XVI in questo libro, qui con-fermati da Papa Francesco.

Infatti, non è solo la fede a purificare la politicae la morale, ma anche il contrario.

Si tratta di una circolarità virtuosa. Nel famosodibattito del 2004 con Habermas, il Cardinale Ratzingernotava che «il nichilismo politico ha bisogno della pu-

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rificazione della fede, così come il fondamentalismoterrorista ha bisogno della purificazione della ragione.Tra ragione e fede c’è circolarità».

La vita politica dei rappresentanti del popolo, lescelte dei legislatori deputati a ciò dalla volontà po-polare, rappresentano un alto ruolo istituzionale, macon ciò non sono esenti dai problemi di coscienza, untema che è stato richiamato anche dal Presidente Tajani.Anzi – se così si può dire – questi problemi qui sonoancora più centrali. Nell’opera che stiamo presentandosono presenti anche Sant’Agostino e il Cardinale New-man, autori molto amati da tutti e tre i Pontefici coin-volti in questa pubblicazione.

I due grandi pensatori, Sant’Agostino e il CardinaleNewman, come ben sappiamo, hanno indagato a fondola coscienza umana, offrendo spunti impareggiabilianche per la coscienza del politico.

La coscienza è l’ultimo tribunale per il nostro agire,ma non è l’unico. Benedetto XVI ci ha insegnato che lacoscienza ha bisogno di una autorità che metta in motola sua anamnesis, il recupero cioè più profondo dellasua storia e delle proprie motivazioni. Motivo ultimo percui c’è bisogno dell’autorità è che essa induce questoprocesso di verifica continua della coscienza con se stessa.

Ecco perché nella Chiesa c’è l’Autorità ecclesiastica,ed ecco perché nella società e nella politica esiste un’al-tra Autorità che consiste nella verità. Il tribunale dellaverità al quale Socrate intendeva sottoporre i suoi stessigiudici. Quando la coscienza, anche quella dell’uomopolitico, rientra in se stessa e si concede al processo

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dell’anamnesis – spiega Benedetto XVI – essa incontrala verità, che abita in interiore homine, la verità cheunifica, mentre le opinioni dividono.

La politica è attività e talvolta attivismo, ma nellostesso tempo sente il bisogno di questo sguardo inte-riore, perché la verità è conosciuta sia dall’intellettoche dal cuore. Papa Francesco, nella «Prefazione» allibro, indica molte di queste verità che anche per lapolitica devono rimanere tali: il rispetto della vita, latutela della famiglia, la ricerca della giustizia per tutti.La coscienza personale è in grado di vederle anchequando, nell’agone politico, essa subisce scossoni estrattoni e quando lo fa si accorge che non lo fa solocon l’intelletto ma anche con il cuore.

Nella sua «Prefazione», Papa Francesco insiste moltoa segnalare l’importanza di uno sguardo d’amore. Infin dei conti, anche riconoscere la dignità della persona,il valore della famiglia, della vita umana, dell’educazionedei giovani secondo il bene e la virtù sono atti diamore, di amore per la verità delle cose, che precede iParlamenti e le Costituzioni. C’è qualcosa che precedela politica – come ho già detto in precedenza – e il te-nerne conto da parte della politica non implica unasua diminuzione, ma il riconoscimento del suo onoree della sua vera dignità. Nel famoso discorso al Bun-destag tedesco, tenuto da Benedetto XVI nel 2011, sidiceva appunto che la maggiore virtù del politico èquella chiesta da Salomone a Dio: la saggezza di sapereguidare gli uomini nel bene, perché la politica non èamministrazione di cose, ma governo di uomini.

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Il libro ospita anche un inedito di Benedetto XVIsul tema dei diritti umani e del loro fondamento, se-gnalando il pericolo che la moltiplicazione dei dirittiporti con sé la distruzione dell’idea stessa di diritto,processo questo che credo sia evidente ai nostri giorni.I diritti umani appartengono all’uomo come soggettodi diritto, ma per la loro legittimazione presuppongonoi doveri che derivano dall’ordine naturale finalistica-mente inteso. In molti casi i diritti vengono invece as-solutizzati e, quindi, infinitamente moltiplicati. Ci sichiede perché ciò avvenga. La risposta data da Bene-detto XVI nel suo inedito è che il piano naturale nonriesce a mantenersi tale, e quindi a raggiungere i suoifini naturali, senza il piano soprannaturale. Senza ilriferimento al Creatore, l’ordine naturale si indeboliscee poco a poco viene perso di vista. Concezione questache Papa Francesco conferma nella sua «Prefazione».Si fonda qui il ruolo pubblico della fede cattolica chevanta la pretesa di onorare fino in fondo le esigenzenaturali della persona e della società in quanto “reli-gione dal volto umano” e chiede che questo suo ruolole venga riconosciuto anche dalla politica. Si tratta diuna richiesta – esigente – di libertà religiosa.

Il libro che stiamo presentando è un libro denso dicontenuti e va letto come tale, ma è anche foriero disperanza e come tale va pure valorizzato. Nelle attualidifficoltà, probabilmente non diverse da quelle di altriperiodi, ma a noi più evidenti perché più presenti evivide, la politica può essere ancora fonte di speranza.Può sembrare temerario ed avventato affermarlo, ma la

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fede è in grado di trasfondere anche nella vita politica,un “realismo cristiano”. Esso certamente consiste nelnon chiudere gli occhi davanti alla realtà, anche nellesue forme più crude, e nel non tralasciare di perseguiretutte le vie concretamente in nostro possesso per risolverei problemi e trovarvi giuste soluzioni. Ma consiste anchenel non cessare di confidare nell’aiuto di Dio, che è ilSignore della storia. Il cristianesimo è una religione disperanza, come Benedetto XVI ha bene illustrato nel-l’Enciclica Spe salvi. Questa è una virtù teologale, manon perciò essa non si estende anche in ambiti che po-tremmo considerare profani o laici. La vita politica habisogno di presupposti – come ho più volte ricordato –che essa non sa darsi. Uno di questi presupposti è propriola speranza. Essa ha aiutato tanti valenti uomini politicia fare scelte contro il proprio interesse e li ha spinti aforti rinunce pur di mantenersi fedeli al bene del proprioPaese e del proprio popolo. Ciò è avvenuto – si badibene – non solo per uomini politici credenti, ma ancheper uomini politici che, almeno espressamente (ma èsolo il Signore che giudica cosa si agita nel profondodei cuori) non esprimevano una fede religiosa.

La speranza è un valore cristiano ed è un valoreumano. È un valore umano che Cristo ha elevato avirtù divina.

La fede religiosa dona alla vita sociale molti aiuti:uno di questi è proprio la speranza. E il libro che stiamopresentando contiene un confortante e incoraggiantemessaggio di speranza, per tutti. Anche per questo sia-mo grati a Papa Benedetto.

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APPENDICE

JOSEPH RATZINGEREuropa. I suoi fondamenti spirituali

ieri, oggi e domani

Biblioteca del Senato, 13 maggio 2004

L’Europa – Cos’è essa propriamente? Questa domandaè stata sempre nuovamente posta, in maniera espressa,dal cardinale Józef Glemp in uno dei circoli linguistici delSinodo Episcopale sull’Europa: dove comincia, dove finiscel’Europa? Perché ad esempio la Siberia non appartiene al-l’Europa, sebbene essa sia abitata anche da europei, la cuimodalità di pensare e di vivere è inoltre del tutto europea?E dove si perdono i confini dell’Europa nel sud della co-munità di popoli della Russia? Dove corre il suo confinenell’Atlantico? Quali isole sono Europa, e quali invece nonlo sono, e perché non lo sono? In questi incontri divenneperfettamente chiaro che Europa solo in maniera del tuttosecondaria è un concetto geografico: l’Europa non è uncontinente nettamente afferrabile in termini geografici,ma è invece un concetto culturale e storico.

1. Il sorgere dell’Europa

Questo risulta in modo assai evidente se tentiamodi risalire alle origini dell’Europa. Chi parla dell’origine

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dell’Europa, rinvia solitamente ad Erodoto (ca. 484-425 a. C.), il quale certamente è il primo a conoscerel’Europa come concetto geografico, e la definisce così:«i Persiani considerano come cosa di loro proprietàl’Asia e i popoli barbari che vi abitano, mentre ritengonoche l’Europa e il mondo greco siano un paese a parte».I confini dell’Europa stessa non vengono addotti, maè chiaro che terre che oggi sono il nucleo dell’Europaodierna giacevano completamente al di fuori del campovisivo dell’antico storico.

Di fatto con la formazione degli stati ellenistici edell’Impero Romano si era formato un continente chedivenne la base della successiva Europa, ma che esibivatutt’altri confini: erano le terre tutt’attorno al Medi-terraneo, le quali in virtù dei loro legami culturali, invirtù dei traffici e dei commerci, in virtù del comunesistema politico formavano le une insieme alle altreun vero e proprio continente. Solo l’avanzata trionfaledell’Islam nel VII e all’inizio dell’VIII secolo ha tracciatoun confine attraverso il Mediterraneo, lo ha per cosìdire tagliato a metà, cosicché tutto ciò che fino adallora era stato un continente si suddivideva adessooramai in tre continenti: Asia, Africa, Europa.

In Oriente la trasformazione del mondo antico sicompì più lentamente che in Occidente: l’Impero Ro-mano con Costantinopoli come punto centrale resistettelaggiù – anche se sempre più spinto ai margini – finoal XV secolo. Mentre la parte meridionale del Medi-terraneo attorno all’anno 700 è completamente cadutafuori di quello che fino ad allora era un continente

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culturale, si verifica nel medesimo tempo una semprepiù forte estensione verso il nord. Il limes, che sino adallora era stato un confine continentale, scompare esi apre verso un nuovo spazio storico, che ora abbracciala Gallia, la Germania, la Britannia come terre-nucleovere e proprie, e si protende in maniera crescente versola Scandinavia.

In questo processo di spostamento dei confini lacontinuità ideale con il precedente continente mediter-raneo, misurato geograficamente in termini differenti,venne garantita da una costruzione di teologia dellastoria: in collegamento con il libro di Daniele, si con-siderava l’Impero Romano rinnovato e trasformato dallafede cristiana come l’ultimo e permanente regno dellastoria del mondo in generale, e si definiva perciò lacompagine di popoli e di Stati che era in via di forma-zione come il permanente Sacrum Imperium Romanum.

Questo processo di una nuova identificazione sto-rica e culturale è stato compiuto in maniera del tuttoconsapevole sotto il regno di Carlo Magno, e qui emergeora nuovamente anche l’antico nome di Europa, in unsignificato mutato: questo vocabolo venne ora impie-gato addirittura come definizione del regno di CarloMagno, ed esprimeva al tempo stesso la coscienza dellacontinuità e della novità con cui la nuova compaginedi stati si presentava come la forza propriamente caricadi futuro. Carica di futuro proprio perché si concepivain continuità con la storia del mondo fino ad allora eultimamente ancorata in ciò che permane sempre.

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Nell’autocomprensione che andava così formandosiè espressa parimenti la consapevolezza della definitività,così come al tempo stesso la consapevolezza di unamissione.

È vero che il concetto di Europa è pressoché nuo-vamente scomparso dopo la fine del regno carolingioed è rimasto solamente conservato nel linguaggio deidotti; nel linguaggio popolare esso trapassa solamenteall’inizio dell’epoca moderna – certo in connessionecon il pericolo dei Turchi, come modalità di autoiden-tificazione –, per imporsi in generale nel XVIII secolo.Indipendentemente da questa storia del termine, il co-stituirsi del regno dei Franchi come l’Impero Romanomai tramontato e ora rinato significa di fatto il passodecisivo verso ciò che noi oggi intendiamo quandoparliamo di Europa.

Certo non possiamo dimenticare che c’è anche unaseconda radice dell’Europa, di un’Europa non occiden-tale: l’Impero Romano aveva in effetti, come già detto,resistito a Bisanzio contro le tempeste della migrazionedei popoli e dell’invasione islamica. Bisanzio intendevase stessa come la vera Roma; qui di fatto l’Impero nonera mai tramontato, ragion per cui si continuava adavanzare una rivendicazione nei confronti dell’altrametà, quella occidentale, dell’Impero. Anche questoImpero Romano d’Oriente si è esteso ulteriormenteverso il nord, fin dentro il mondo slavo, e si è creatoun proprio mondo, greco-romano, che si differenziarispetto all’Europa latina dell’occidente in virtù di unadiversa liturgia, una diversa costituzione ecclesiastica,

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una diversa scrittura, e in virtù della rinuncia al latinocome comune lingua insegnata.

Certamente ci sono anche sufficienti elementi uni-ficanti, che possono fare dei due mondi un unico, comunecontinente: in primo luogo la comune eredità della Bibbiae della Chiesa antica, la quale del resto in entrambi imondi rinvia al di là di se stessa verso un’origine cheora giace al di fuori dell’Europa, e cioè in Palestina; inoltrela stessa comune idea di Impero, la comune comprensionedi fondo della Chiesa e quindi anche la comunanza dellefondamentali idee del diritto e degli strumenti giuridici;infine io menzionerei anche il monachesimo, che neigrandi sommovimenti della storia è rimasto l’essenzialeportatore non solamente della continuità culturale, bensìsoprattutto dei fondamentali valori religiosi e morali,degli orientamenti ultimi dell’uomo, e in quanto forzapre-politica e sovra-politica divenne portatore dellesempre nuovamente necessarie rinascite.

Tra le due Europe, pur in mezzo alla comunanzadell’essenziale eredità ecclesiale, c’è tuttavia ancorauna profonda differenza, alla cui importanza ha ac-cennato specialmente Endre von Ivanka: a BisanzioImpero e Chiesa appaiono quasi identificati l’uno conl’altro; l’Imperatore è capo anche della Chiesa. Egli in-tende se stesso come rappresentante di Cristo, e in col-legamento con la figura di Melchisedek, che era altempo stesso Re e Sacerdote (Gen 14,18), porta dal VIsecolo il titolo ufficiale di re e sacerdote. Per il fattoche a partire da Costantino l’Imperatore se ne era andatovia da Roma, nell’antica capitale dell’Impero poté svi-

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lupparsi la posizione autonoma del vescovo di Romacome successore di Pietro e pastore supremo della Chie-sa; qui già dall’inizio dell’era costantiniana viene in-segnata una dualità di potestà: Imperatore e Papa hannoin effetti potestà separate, nessuno dispone della totalità.Il Papa Gelasio I (492-496) ha formulato la visione del-l’Occidente nella sua famosa lettera all’Imperatore Ana-stasio e ancor più chiaramente nel suo quarto trattato,dove egli di fronte alla tipologia bizantina di Melchi-sedek sottolinea che l’unità delle potestà sta esclusiva-mente in Cristo: «questi infatti, a causa della debolezzaumana (superbia!), ha separato per i tempi successivi idue ministeri, affinché nessuno si insuperbisca» (c. 11).Per le cose della vita eterna gli Imperatori cristianihanno bisogno dei sacerdoti (pontifices), e questi a lorovolta si attengono, per il corso temporale delle cose,alle disposizioni imperiali. I sacerdoti devono seguirenelle cose mondane le leggi dell’Imperatore insediatoper ordine divino, mentre questi deve sottomettersinelle cose divine al sacerdote. Con ciò è introdotta unaseparazione e distinzione delle potestà, la quale divennedi massima importanza per il successivo sviluppo del-l’Europa, e che per così dire ha posto i fondamenti diciò che è propriamente tipico dell’Occidente.

Poiché da ambo le parti di contro a tali delimi-tazioni rimase vivo sempre l’impulso alla totalità, labrama di porre il proprio potere al di sopra dell’altro,questo principio di separazione è divenuto anche lasorgente di infinite sofferenze. Come esso debba es-sere vissuto correttamente e concretizzato politica-

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mente e religiosamente rimane un problema fonda-mentale anche per l’Europa di oggi e di domani.

2. La svolta verso l’epoca moderna

Se in base a quanto sin qui detto possiamo consi-derare il sorgere dell’Impero Carolingio da una parte, ela continuazione dell’Impero Romano a Bisanzio e la suamissione verso i popoli slavi dall’altra parte come la verae propria nascita del continente Europa, l’inizio dell’epocamoderna significa per ambedue le Europe una svolta, uncambiamento radicale, che concerne sia l’essenza diquesto continente, sia i suoi contorni geografici.

Nel 1453 Costantinopoli venne conquistata daiTurchi. O. Hiltbrunner commenta questo evento in ma-niera laconica: «gli ultimi ... dotti emigrarono... versol’Italia e trasmisero agli umanisti del Rinascimento laconoscenza dei testi originali greci; ma l’Oriente spro-fondò nell’assenza di cultura». Questa affermazionepuò essere formulata in maniera un po’ troppo rozza,poiché in effetti anche il Regno della dinastia degliOsman aveva la sua cultura; ma è vero che la culturagreco-cristiana, europea, di Bisanzio trovò con ciò lasua fine. Così una delle due ali dell’Europa rischiò intal modo di scomparire, ma l’eredità bizantina non eramorta: Mosca dichiara se stessa come la terza Roma,fonda ora un proprio patriarcato sulla base dell’ideadi una seconda translatio imperii e si presenta dunquecome una nuova metamorfosi del Sacrum Imperium

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– come una propria forma di Europa, che tuttavia ri-mase unita con l’Occidente e si orientò sempre piùverso di esso, fino a che Pietro il Grande tentò di farladiventare un paese occidentale. Questo spostamentoverso nord dell’Europa bizantina portò con sé il fattoche ora anche i confini del continente si misero in mo-vimento ampiamente verso oriente. La fissazione degliUrali come frontiera è oltremodo arbitraria, in ognicaso il mondo a oriente di essi diventò sempre più unaspecie di sottostruttura dell’Europa, né Asia né Europa,essenzialmente forgiato dal soggetto Europa, senzapartecipare però esso stesso del suo carattere di sog-getto: oggetto, e non portatore esso stesso della suastoria. Forse con ciò è definita, tutto sommato, l’essenzadi uno stato coloniale.

Possiamo dunque, a riguardo dell’Europa bizantina,non occidentale, all’inizio dell’epoca moderna, parlaredi un duplice evento: da una parte vi è il dissolvimentodell’antica Bisanzio con la sua continuità storica neiconfronti dell’Impero Romano; dall’altra parte questaseconda Europa ottiene con Mosca un nuovo centro eamplia i suoi confini verso oriente, per erigere infinein Siberia una specie di pre-struttura coloniale.

Contemporaneamente possiamo constatare anchein occidente un duplice processo con notevole signi-ficato storico. Una grande parte del mondo germanicosi distacca da Roma; sorge una nuova, illuminata formadi cristianesimo, cosicché attraverso l’occidente scorred’ora in poi una linea di separazione, la quale formachiaramente anche un limes culturale, un confine tra

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due diverse modalità di pensare e di rapportarsi. Certoc’è anche all’interno del mondo protestante una frattura,in primo luogo tra luterani e riformati, ai quali si as-sociano metodisti e presbiteriani, mentre la chiesa an-glicana tenta di formare una via di mezzo tra cattolicied evangelici; a ciò si aggiunge poi anche la differenzatra cristianesimo sotto la forma di una chiesa di Stato,che diventa contrassegno dell’Europa, e chiese libere,che trovano il loro spazio di rifugio nel Nordamerica,sulla qual cosa dovremo tornare a parlare.

Facciamo attenzione in primo luogo al secondoevento, che caratterizza essenzialmente la situazionedell’epoca moderna di quella che un tempo era l’Europalatina: la scoperta dell’America. All’allargamento versoest dell’Europa in virtù della progressiva estensione dellaRussia verso l’Asia corrisponde la radicale uscita del-l’Europa fuori dai suoi confini geografici, verso il mondoche sta al di là dell’Oceano, che ora riceve il nome diAmerica; la suddivisione dell’Europa in una metà lati-no-cattolica e una metà germanico-protestante si tra-sferisce e si ripercuote su questa parte della terra occupatadall’Europa. Anche l’America diventa in un primo tempouna Europa allargata, una colonia, ma essa si crea con-temporaneamente con il sommovimento dell’Europa adopera della Rivoluzione francese il suo proprio caratteredi soggetto: dal XIX secolo in poi essa, sebbene forgiatanel profondo dalla sua nascita europea, sta tuttavia difronte all’Europa come un soggetto proprio.

Nel tentativo di conoscere la più profonda, interioreidentità dell’Europa attraverso lo sguardo sulla storia

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abbiamo adesso preso in osservazione due fondamentalisvolte storiche: come prima la dissoluzione del vecchiocontinente mediterraneo ad opera del continente delSacrum Imperium, collocato più verso nord, in cui siforma a partire dall’epoca carolingia la Europa comemondo occidentale-latino; accanto a questo la conti-nuazione della vecchia Roma a Bisanzio, con il suoprotendersi verso il mondo slavo. Come secondo passoavevamo osservato la caduta di Bisanzio e il conse-guente spostamento da una parte dell’Europa versonord e verso est dell’idea cristiana di Impero, e dall’altraparte l’interna divisione dell’Europa in un mondo ger-manico-protestante e un mondo latino-cattolico, e oltrea ciò la fuoriuscita verso l’America, a cui si trasferiscequesta divisione e che alla fine si costituisce come unsoggetto storico proprio, che sta di fronte all’Europa.Ora noi dobbiamo porci davanti agli occhi una terzasvolta, il cui fanale ben visibile fu formato dalla Rivo-luzione francese. È vero che il Sacrum Imperium comerealtà politica già a partire dal tardo Medioevo era con-cepito in dissolvimento ed era divenuto sempre più fra-gile anche come valida e indiscussa interpretazionedella storia, ma soltanto adesso questa cornice spiritualeva in frantumi anche formalmente, questa cornice spi-rituale senza cui l’Europa non avrebbe potuto formarsi.Questo è un processo di portata considerevole, sia dalpunto di vista politico, sia da quello ideale. Dal puntodi vista ideale questo significa che la fondazione sacraledella storia e dell’esistenza statuale viene rigettata: lastoria non si misura più in base ad un’idea di Dio ad

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essa precedente e che le dà forma; lo Stato viene oramaiconsiderato in termini puramente secolari, fondato sullarazionalità e sul volere dei cittadini.

Per la prima volta in assoluto nella storia sorge loStato puramente secolare, che abbandona e mette daparte la garanzia divina e la normazione divina del-l’elemento politico, considerandole come una visionemitologica del mondo e dichiara Dio stesso come affareprivato, che non fa parte della vita pubblica e dellacomune formazione del volere. Questa viene ora vistasolamente come un affare della ragione, per la qualeDio non appare chiaramente conoscibile: religione efede in Dio appartengono all’ambito del sentimento,non a quello della ragione. Dio e la sua volontà cessanodi essere rilevanti nella vita pubblica.

In questa maniera sorge, con la fine del XVIIIsecolo e l’inizio del XIX, un nuovo tipo di scisma, lacui gravità noi percepiamo ora sempre più nettamente.Esso non ha in tedesco alcun nome, poiché qui si è ri-percosso più lentamente. Nelle lingue latine viene de-lineato come divisione tra cristiani e laici. Questa la-cerazione negli ultimi due secoli è penetrata nelle na-zioni latine come una frattura profonda, mentre il cri-stianesimo protestante in un primo tempo ebbe vitafacile nel concedere spazio alle idee liberali e illuministeall’interno di sé, senza che la cornice di un ampio con-senso cristiano di fondo dovesse in tal modo venir di-strutta. L’aspetto di politica realistica della dissoluzionedell’antica idea di Impero consiste in questo, che oradefinitivamente le Nazioni, gli Stati che sono divenuti

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identificabili come tali in virtù della formazione diambiti linguistici unitari, appaiono come i veri e uniciportatori della storia, e dunque ottengono un rangoche ad essi in precedenza non spettava così tanto. Ladrammaticità esplosiva di questo soggetto storico oraplurale si mostra nel fatto che le grandi Nazioni europeesi sapevano depositarie di una missione universale,che necessariamente doveva portare a conflitti fra diloro, il cui impatto mortale noi abbiamo dolorosamentesperimentato nel secolo ora trascorso.

3. L’universalizzazione della cultura europea e la suacrisi

Infine dobbiamo qui considerare ancora un ulte-riore processo, con cui la storia degli ultimi secoli tra-passa chiaramente in un mondo nuovo. Se la vecchiaEuropa precedente all’epoca moderna nelle sue duemetà aveva conosciuto essenzialmente solo un dirim-pettaio, con il quale doveva confrontarsi per la vita eper la morte, ossia il mondo islamico; se la svolta del-l’epoca moderna aveva portato l’allargamento versol’America e in parti dell’Asia senza propri grandi sog-getti culturali, così ora ha luogo la fuoriuscita verso idue continenti sinora toccati solo marginalmente:l’Africa e l’Asia, che adesso parimenti si tentò di tra-sformare in succursali dell’Europa, in colonie. Fino adun certo punto questo è anche riuscito, in quanto adessoanche Asia e Africa inseguono l’ideale del mondo for-

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giato dalla tecnica e del suo benessere, cosicché anchelà le antiche tradizioni religiose entrano in una situa-zione di crisi e strati di pensiero puramente secolaredominano sempre più la vita pubblica.

Ma c’è anche un effetto contrario: la rinascita del-l’Islam non è solo collegata con la nuova ricchezzamateriale dei paesi islamici, bensì è anche alimentatadalla consapevolezza che l’Islam è in grado di offrireuna base spirituale valida per la vita dei popoli, unabase che sembra essere sfuggita di mano alla vecchiaEuropa, la quale così, nonostante la sua perdurantepotenza politica ed economica, viene vista sempre piùcome condannata al declino e al tramonto.

Anche le grandi tradizioni religiose dell’Asia, so-prattutto la sua componente mistica che trova espres-sione nel buddismo, si elevano come potenze spiritualidi contro ad un’Europa che rinnega le sue fondamentareligiose e morali. L’ottimismo circa la vittoria dell’ele-mento europeo, che Arnold Toynbee poteva sostenereancora all’inizio degli anni sessanta, appare oggi stra-namente superato: «di 28 culture che noi abbiamoidentificato ... 18 sono morte e nove delle dieci rimaste– di fatto tutte tranne la nostra – mostrano che essesono già colpite a morte». Chi ripeterebbe oggi ancorale stesse parole? E in generale – cos’è la nostra cultura,che è ancora rimasta? La cultura europea è forse la ci-viltà della tecnica e del commercio diffusa vittoriosa-mente per il mondo intero? O non è questa forse piut-tosto nata in maniera post-europea dalla fine delle an-

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tiche culture europee? Io vedo qui una sincronia pa-radossale: con la vittoria del mondo tecnico-secolarepost-europeo, con l’universalizzazione del suo modellodi vita e della sua maniera di pensare, si collega intutto il mondo, ma specialmente nei mondi strettamentenon-europei dell’Asia e dell’Africa, l’impressione cheil mondo di valori dell’Europa, la sua cultura e la suafede, ciò su cui si basa la sua identità, sia giunto allafine e sia propriamente già uscito di scena; che adessosia giunta l’ora dei sistemi di valori di altri mondi, del-l’America pre-colombiana, dell’Islam, della misticaasiatica.

L’Europa, proprio in questa ora del suo massimosuccesso, sembra diventata vuota dall’interno, para-lizzata in un certo qual senso da una crisi del suo si-stema circolatorio, una crisi che mette a rischio la suavita, affidata per così dire a trapianti, che poi però nonpossono che eliminare la sua identità. A questo interiorevenir meno delle forze spirituali portanti corrispondeil fatto che anche etnicamente l’Europa appare sullavia del congedo.

C’è una strana mancanza di voglia di futuro. I figli,che sono il futuro, vengono visti come una minacciaper il presente; essi ci portano via qualcosa della nostravita, così si pensa. Essi non vengono sentiti come unasperanza, bensì come un limite del presente. Il confrontocon l’Impero Romano al tramonto si impone: esso fun-zionava ancora come grande cornice storica, ma in pra-tica viveva già di quelli che dovevano dissolverlo, poichéesso stesso non aveva più alcuna energia vitale.

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Con questo siamo giunti ai problemi del presente.Circa il possibile futuro dell’Europa ci sono due diagnosicontrapposte. C’è da una parte la tesi di Oswald Spengler,il quale credeva di poter fissare per le grandi espressioniculturali una specie di legge naturale: c’è il momentodella nascita, la crescita graduale, la fioritura di unacultura, il suo lento appesantirsi, l’invecchiamento e lamorte. Spengler arricchisce la sua tesi in modo impres-sionante, con documentazioni tratte dalla storia delleculture, in cui si può intravedere questa legge del decorsonaturale. La sua tesi era che l’Occidente sarebbe giuntoalla sua epoca finale, che corre inesorabilmente incontroalla morte di questo continente culturale, nonostantetutti i tentativi di scongiurarla. Naturalmente l’Europapuò trasmettere i suoi doni ad una cultura nuova emer-gente, come è già accaduto nei precedenti declini di unacultura, ma in quanto soggetto essa ha ormai il suo tem-po di vita alle sue spalle.

Questa tesi bollata come biologistica ha trovato ap-passionati oppositori nel tempo tra le due guerre mondialispecialmente in ambito cattolico; in maniera impressio-nante le si è mosso contro anche Arnold Toynbee, certocon postulati che oggi trovano poco ascolto. Toynbeemette in luce la differenza tra progresso materiale-tecnicoda una parte, e dall’altra progresso reale, che egli definiscecome spiritualizzazione. Egli ammette che l’Occidente –il mondo occidentale – si trova in una crisi, la cui causaegli la vede nel fatto che dalla religione si è decaduti alculto della tecnica, della nazione, del militarismo. Lacrisi significa per lui, ultimamente: secolarismo.

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Se si conosce la causa della crisi, si può indicareanche la via della guarigione: deve essere nuovamenteintrodotto il fattore religioso, di cui fa parte secondolui l’eredità religiosa di tutte le culture, ma specialmentequello «che è rimasto del cristianesimo occidentale».Alla visione biologistica si contrappone qui una visionevolontaristica, che punta sulla forza delle minoranzecreative e sulle personalità singole eccezionali.

La domanda che si pone è: è giusta questa dia-gnosi? E se sì – è in nostro potere introdurre nuova-mente il momento religioso, in una sintesi di cristia-nesimo residuale ed eredità religiosa dell’umanità? Ul-timamente la questione tra Spengler e Toynbee rimaneaperta, perché noi non possiamo vedere nel futuro. Maindipendentemente da ciò si impone il compito di in-terrogarci su che cosa può garantire il futuro, e su checosa è in grado di continuare a far vivere l’interioreidentità dell’Europa attraverso tutte le metamorfosistoriche. O ancora più semplicemente: che cosa ancheoggi e domani promette di donare la dignità umana eun’esistenza conforme ad essa.

Per trovare una risposta a ciò dobbiamo gettarelo sguardo ancora una volta dentro il nostro presentee al tempo stesso tener presenti le sue radici storiche.In precedenza eravamo rimasti fermi, in effetti, allaRivoluzione francese e al XIX secolo. In questo temposi sono sviluppati soprattutto due nuovi modelli europei.Ecco qui allora nelle nazioni latine il modello laicistico:lo Stato è nettamente distinto dagli organismi religiosi,che sono attribuiti all’ambito privato. Lo Stato stesso

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rifiuta un fondamento religioso e si sa fondato sola-mente sulla ragione e sulle sue intuizioni. Di frontealla fragilità della ragione questi sistemi si sono rivelatifragili e facili a cadere vittima delle dittature; essi so-pravvivono, propriamente, solo perché parti della vec-chia coscienza morale continuano a sussistere anchesenza i precedenti fondamenti e rendono possibile unconsenso morale di base. Dall’altra parte, nel mondogermanico, esistono in maniera differenziata i modellidi Chiesa di Stato del protestantesimo liberale, nei qualiuna religione cristiana illuminata, essenzialmente con-cepita come morale – anche con forme di culto garantitedallo Stato – garantisce un consenso morale e un fon-damento religioso ampio, al quale le singole religioninon di Stato devono adeguarsi. Questo modello in GranBretagna, negli Stati scandinavi e in un primo tempoanche nella Germania dominata dai prussiani ha ga-rantito per lungo tempo una coesione statuale e sociale.In Germania, tuttavia, il crollo del cristianesimo diStato prussiano ha creato un vuoto, che poi parimentisi offrì come spazio vuoto per una dittatura. Oggi lechiese di Stato sono dappertutto cadute vittima del lo-goramento: da corpi religiosi che sono derivazionidello Stato non proviene più alcuna forza morale, e loStato stesso non può creare forza morale, ma la deveinvece presupporre e costruire su di essa.

Tra i due modelli si collocano gli Stati Uniti delNord-America, che da una parte – formatisi sulla basedelle chiese libere – prendono le mosse da un rigidodogma di separazione, dall’altra parte, al di là delle

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singole denominazioni, vengono plasmati tuttavia daun consenso di fondo cristiano-protestante non for-giato in termini confessionali, il quale si collegavacon una particolare coscienza della missione, nei con-fronti del resto del mondo, di tipo religioso e così davaal fattore religioso un significativo peso pubblico, chein quanto forza pre-politica e sovra-politica potevaessere determinante per la vita politica. Certo non cisi può nascondere che anche negli Stati Uniti il dis-solvimento dell’eredità cristiana avanza incessante-mente, mentre al tempo stesso il rapido aumento del-l’elemento ispanico e la presenza di tradizioni religioseprovenienti da tutto il mondo cambia il quadro. Forsesi deve qui osservare anche che gli Stati Uniti pro-muovono ampiamente la protestantizzazione dell’Ame-rica Latina e quindi il dissolvimento della Chiesa cat-tolica ad opera di forme di chiese libere, per la con-vinzione che la Chiesa cattolica non potrebbe garantireun sistema politico ed economico stabile, in quantodunque fallirebbe come educatrice delle Nazioni, men-tre ci si aspetta che il modello delle chiese libere ren-derà possibile un consenso morale e una formazionedemocratica della volontà pubblica, simili a quelli ca-ratteristici degli Stati Uniti. Per complicare ulterior-mente il quadro si deve ammettere che oggi la Chiesacattolica forma la più grande comunità religiosa negliStati Uniti, che essa nella sua vita di fede sta decisa-mente dalla parte dell’identità cattolica, che però icattolici a riguardo del rapporto tra Chiesa e politicahanno recepito le tradizioni delle chiese libere, nel

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senso che proprio una Chiesa non confusa con lo Statogarantisce meglio le fondamenta morali del tutto, co-sicché la promozione dell’ideale democratico apparecome un dovere morale profondamente conforme allafede. In una posizione simile si può vedere a buon di-ritto una prosecuzione, adeguata ai tempi, del modellodi Papa Gelasio, di cui ho parlato sopra.

Torniamo all’Europa. Ai due modelli di cui parlavoprima se ne è aggiunto ancora nel XIX secolo un terzo,ossia il socialismo, che si suddivise presto in due diversevie, quella totalitaria e quella democratica. Il socialismodemocratico è stato in grado, a partire dal suo punto dipartenza, di inserirsi all’interno dei due modelli esistenti,come un salutare contrappeso nei confronti delle posizioniliberali radicali, le ha arricchite e corrette. Esso si rivelòqui anche come qualcosa che andava al di là delle con-fessioni: in Inghilterra esso era il partito dei cattolici,che non potevano sentirsi a casa loro né nel campo pro-testante-conservatore, né in quello liberale. Anche nellaGermania guglielmina il centro cattolico poteva sentirsipiù vicino al socialismo democratico che alle forze con-servatrici rigidamente prussiane e protestanti. In moltecose il socialismo democratico era ed è vicino alla dottrinasociale cattolica, in ogni caso esso ha considerevolmentecontribuito alla formazione di una coscienza sociale.

Il modello totalitario, invece, si collegava con unafilosofia della storia rigidamente materialistica e ateistica:la storia viene compresa deterministicamente come unprocesso di progresso che passa attraverso la fase religiosa

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e quella liberale per giungere alla società assoluta e de-finitiva, in cui la religione come relitto del passato vienesuperata e il funzionamento delle condizioni materialipuò garantire la felicità di tutti. L’apparente scientificitànasconde un dogmatismo intollerante: lo spirito è pro-dotto della materia; la morale è prodotto delle circostanzee deve venir definita e praticata a seconda degli scopidella società; tutto ciò che serve a favorire l’avventodello stato finale felice è morale. Qui il capovolgimentodei valori che avevano costruito l’Europa è completo.Ancor più, qui si realizza una frattura nei confronti dellacomplessiva tradizione morale dell’umanità: non ci sonopiù valori indipendenti dagli scopi del progresso, tuttopuò, in un dato momento, essere permesso e persino ne-cessario, può essere morale nel senso nuovo del termine.Anche l’uomo può diventare uno strumento; non contail singolo, ma unicamente il futuro diventa la terribiledivinità che dispone sopra tutti e sopra tutto.

I sistemi comunisti frattanto sono naufragati innan-zitutto per il loro falso dogmatismo economico. Ma sitrascura troppo volentieri il fatto che essi sono naufragati,più a fondo ancora, per il loro disprezzo dei diritti umani,per la loro subordinazione della morale alle esigenze delsistema e alle sue promesse di futuro. La vera e propriacatastrofe che essi hanno lasciato alle loro spalle non èdi natura economica; essa consiste nell’inaridimentodelle anime, nella distruzione della coscienza morale. Iovedo come un problema essenziale della nostra ora perl’Europa e per il mondo questo, che non viene mai con-testato il naufragio economico, e perciò i vetero-comunisti

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sono diventati senza esitazione liberali in economia; in-vece la problematica morale e religiosa, di cui propria-mente si trattava, viene quasi completamente rimossa.Pertanto la problematica lasciata dietro di sé dal marxismocontinua a esistere anche oggi: il dissolversi delle certezzeprimordiali dell’uomo su Dio, su se stessi e sull’universo– la dissoluzione della coscienza dei valori morali in-tangibili, è ancora e proprio adesso nuovamente il nostroproblema e può condurre all’autodistruzione della co-scienza europea, che dobbiamo cominciare a considerare– indipendentemente dalla visione del tramonto di Spen-gler – come un reale pericolo.

4. A che punto siamo oggi?

Così ci troviamo davanti alla questione: come de-vono andare avanti le cose? Nei violenti sconvolgimentidel nostro tempo c’è un’identità dell’Europa, che abbiaun futuro e per la quale possiamo impegnarci con tuttonoi stessi? Non sono preparato per entrare in una di-scussione dettagliata sulla futura Costituzione europea.Vorrei soltanto brevemente indicare gli elementi moralifondanti, che a mio avviso non dovrebbero mancare.

Un primo elemento è l’“incondizionatezza” concui la dignità umana e i diritti umani devono esserepresentati come valori che precedono qualsiasi giuri-sdizione statale. Questi diritti fondamentali non ven-gono creati dal legislatore, né conferiti ai cittadini,«ma piuttosto esistono per diritto proprio, sono da sem-

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pre da rispettare da parte del legislatore, sono a luipreviamente dati come valori di ordine superiore».Questa validità della dignità umana previa ad ogniagire politico e ad ogni decisione politica rinvia ulti-mamente al Creatore: solamente Egli può stabilire valoriche si fondano sull’essenza dell’uomo e che sono in-tangibili. Che ci siano valori che non sono manipolabiliper nessuno è la vera e propria garanzia della nostralibertà e della grandezza umana; la fede cristiana vedein ciò il mistero del Creatore e della condizione di im-magine di Dio che egli ha conferito all’uomo.

Ora oggi quasi nessuno negherà direttamente laprecedenza della dignità umana e dei diritti umanifondamentali rispetto ad ogni decisione politica; sonoancora troppo recenti gli orrori del nazismo e dellasua teoria razzista. Ma nell’ambito concreto del cosid-detto progresso della medicina ci sono minacce moltoreali per questi valori: sia che noi pensiamo alla clo-nazione, sia che pensiamo alla conservazione dei fetiumani a scopo di ricerca e di donazione degli organi,sia che pensiamo a tutto quanto l’ambito della mani-polazione genetica – la lenta consunzione della dignitàumana che qui ci minaccia non può venir miscono-sciuta da nessuno. A ciò si aggiungono in manieracrescente i traffici di persone umane, le nuove formedi schiavitù, l’affare dei traffici di organi umani a scopodi trapianti. Sempre vengono addotte finalità buone,per giustificare quello che non è giustificabile. In questisettori ci sono nella Carta dei diritti fondamentali alcunipunti fermi di cui rallegrarsi, ma in importanti punti

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essa rimane troppo vaga, mentre invece proprio quine va della serietà del principio che è in gioco.

Riassumiamo: la fissazione per iscritto del valoree della dignità dell’uomo, di libertà, eguaglianza e so-lidarietà con le affermazioni di fondo della democraziae dello stato di diritto, implica un’immagine dell’uomo,un’opzione morale e un’idea di diritto niente affattoovvie, ma che sono di fatto fondamentali fattori diidentità dell’Europa, che dovrebbero venir garantitianche nelle loro conseguenze concrete e che certamentepossono venir difesi solamente se si forma sempre nuo-vamente una corrispondente coscienza morale.

Un secondo punto in cui appare l’identità europeaè il matrimonio e la famiglia. Il matrimonio monogamico,come struttura fondamentale della relazione tra uomoe donna e al tempo stesso come cellula nella formazionedella comunità statale, è stato forgiato a partire dallafede biblica. Esso ha dato all’Europa, a quella occidentalecome a quella orientale, il suo volto particolare e la suaparticolare umanità, anche e proprio perché la forma difedeltà e di rinuncia qui delineata dovette sempre nuo-vamente venir conquistata, con molte fatiche e sofferenze.L’Europa non sarebbe più Europa, se questa cellula fon-damentale del suo edificio sociale scomparisse o venisseessenzialmente cambiata. La Carta dei diritti fondamentaliparla di diritto al matrimonio, ma non esprime nessunaspecifica protezione giuridica e morale per esso e nem-meno lo definisce più precisamente. E tutti sappiamoquanto il matrimonio e la famiglia siano minacciati –

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da una parte mediante lo svuotamento della loro indis-solubilità ad opera di forme sempre più facili di divorzio,dall’altra attraverso un nuovo comportamento che si vadiffondendo sempre di più, la convivenza di uomo edonna senza la forma giuridica del matrimonio. In vistosocontrasto con tutto ciò vi è la richiesta di comunione divita di omosessuali, che ora paradossalmente richiedonouna forma giuridica, la quale più o meno deve venirequiparata al matrimonio. Con questa tendenza si escefuori dal complesso della storia morale dell’umanità,che nonostante ogni diversità di forme giuridiche delmatrimonio sapeva tuttavia sempre che questo, secondola sua essenza, è la particolare comunione di uomo edonna, che si apre ai figli e così alla famiglia. Qui nonsi tratta di discriminazione, bensì della questione di cos’èla persona umana in quanto uomo e donna e di comel’essere assieme di uomo e donna può ricevere una formagiuridica. Se da una parte il loro stare assieme si distaccasempre più da forme giuridiche, se dall’altra l’unioneomosessuale viene vista sempre più come dello stessorango del matrimonio, siamo allora davanti ad una dis-soluzione dell’immagine dell’uomo, le cui conseguenzepossono solo essere estremamente gravi.

Il mio ultimo punto è la questione religiosa. Nonvorrei entrare qui nelle discussioni complesse degli ultimianni, ma mettere in rilievo solo un aspetto fondamentaleper tutte le culture: il rispetto nei confronti di ciò cheper l’altro è sacro, e particolarmente il rispetto per il sacronel senso più alto, per Dio, cosa che è lecito supporre ditrovare anche in colui che non è disposto a credere in

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Dio. Laddove questo rispetto viene infranto, in una societàqualcosa di essenziale va perduto. Nella nostra societàattuale grazie a Dio viene multato chi disonora la fededi Israele, la sua immagine di Dio, le sue grandi figure.Viene multato anche chiunque vilipenda il Corano e leconvinzioni di fondo dell’Islam. Laddove invece si trattadi Cristo e di ciò che è sacro per i cristiani, ecco cheallora la libertà di opinione appare come il bene supremo,limitare il quale sarebbe un minacciare o addirittura di-struggere la tolleranza e la libertà in generale. La libertàdi opinione trova però il suo limite in questo, che essanon può distruggere l’onore e la dignità dell’altro; essanon è libertà di mentire o di distruggere i diritti umani.

C’è qui un odio di sé dell’Occidente che è strano eche si può considerare solo come qualcosa di patologico;l’Occidente tenta sì in maniera lodevole di aprirsi pienodi comprensione a valori esterni, ma non ama più sestesso; della sua propria storia vede oramai soltanto ciòche è deprecabile e distruttivo, mentre non è più in gradodi percepire ciò che è grande e puro. L’Europa, per so-pravvivere, ha bisogno di una nuova – certamente criticae umile – accettazione di se stessa, se essa vuole davverosopravvivere. La multiculturalità, che viene continua-mente e con passione incoraggiata e favorita, è talvoltasoprattutto abbandono e rinnegamento di ciò che è pro-prio, fuga dalle cose proprie. Ma la multiculturalità nonpuò sussistere senza costanti in comune, senza punti diorientamento a partire dai valori propri. Essa sicuramentenon può sussistere senza rispetto di ciò che è sacro. Diessa fa parte l’andare incontro con rispetto agli elementi

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sacri dell’altro, ma questo lo possiamo fare solamentese il sacro, Dio, non è estraneo a noi stessi. Certo, noipossiamo e dobbiamo imparare da ciò che è sacro pergli altri, ma proprio davanti agli altri e per gli altri ènostro dovere nutrire in noi stessi il rispetto davanti aciò che è sacro e mostrare il volto di Dio che ci è apparso– del Dio che ha compassione dei poveri e dei deboli,delle vedove e degli orfani, dello straniero; del Dio cheè talmente umano che egli stesso è diventato un uomo,un uomo sofferente, che soffrendo insieme a noi dà aldolore dignità e speranza.

Se non facciamo questo, non solo rinneghiamol’identità dell’Europa, bensì veniamo meno anche ad unservizio agli altri che essi hanno diritto di avere. Per leculture del mondo la profanità assoluta che si è andataformando in Occidente è qualcosa di profondamenteestraneo. Esse sono convinte che un mondo senza Dionon ha futuro. Pertanto proprio la multiculturalità cichiama a rientrare nuovamente in noi stessi.

Come andranno le cose in Europa in futuro nonlo sappiamo. La Carta dei diritti fondamentali puòessere un primo passo, un segno che l’Europa cercanuovamente in maniera cosciente la sua anima. Inquesto bisogna dare ragione a Toynbee, che il destinodi una società dipende sempre da minoranze creative.I cristiani credenti dovrebbero concepire se stessi comeuna tale minoranza creativa e contribuire a che l’Europariacquisti nuovamente il meglio della sua eredità e siacosì a servizio dell’intera umanità.

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La foto su bandella sulla sovracoperta di Incontri in Senato n. 18 è di Mondarte [CC BY-SA 4.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0)],

from Wikimedia Commons.La foto su bandella sul risvolto della sovracoperta di Incontri in Senato n. 18

proviene dall’Archivio fotografico del Senato.

Finito di stampare presso la tipografiaMarchesi Grafiche Editoriali S.p.A.

nel mese di novembre 2018

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