SE75 EMOZIONI PERICOLOSE

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© 1991 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Romanzi Americani luglio 1991 Prima edizione Harmony Pack gennaio 1999 Prima edizione Harmony Jolly Tour giugno 2002 Questa edizione Harmony Special Edition aprile 2010 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano Harmony è un marchio registrato di proprietà Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved. Traduzioni di Claudia Cavallaro, Tiziana Tursi e Clemente Peluso ATTIMI SOSPESI

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Titoli originali delle edizioni in lingua inglese: Second Nature

Nightshade The Right Path

Silhouette Special Edition Silhouette Intimate Moments Silhouette Intimate Moments

© 1986 Nora Roberts © 1993 Nora Roberts © 1985 Nora Roberts

Traduzioni di Claudia Cavallaro, Tiziana Tursi e Clemente Peluso

Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto

di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con

Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

persone della vita reale è puramente casuale.

Harmony è un marchio registrato di proprietà Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved.

© 1991 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

Prima edizione Harmony Romanzi Americani luglio 1991 Prima edizione Harmony Pack gennaio 1999

Prima edizione Harmony Jolly Tour giugno 2002 Questa edizione Harmony Special Edition aprile 2010

HARMONY SPECIAL EDITION

ISSN 1722 - 067X Periodico trimestrale n. 75 del 28/4/2010

Direttore responsabile: Alessandra Bazardi Registrazione Tribunale di Milano n. 102 del 24/2/2003 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale

Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione

Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti

contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171

Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano

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ATTIMI SOSPESI

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PrologoPrologoPrologoPrologo

... La luna piena splendeva bianca e fredda. Lui vide le ombre muoversi e rabbrividire come esseri viventi sul-la neve gelata. Nero su bianco. Cielo nero, luna bian-ca, ombre nere, neve bianca. Nient'altro. Un vuoto e una totale assenza di colori. L'unico suono percepibi-le, il fruscio degli alberi battuti dal vento. Ma lui sa-peva di essere senza scampo e avvertì un brivido di paura. Sul terreno ghiacciato improvvisamente si ma-terializzò un'ombra nera. Nessuna speranza di fuga... Hunter tirò una boccata di fumo, lo sguardo fisso sullo schermo del computer. Michael Trent era morto. Lo aveva creato soltanto per quell'atto finale, freddo e pietoso, al chiarore della luna piena. Provò soddisfa-zione, piuttosto che rimorso, per avere finalmente di-strutto quel personaggio che ormai gli sembrava di conoscere meglio di se stesso. Volutamente trascurò di fornire i dettagli di quell'as-sassinio per lasciare campo libero all'immaginazione dei lettori, consapevole che quell'abitudine di narrare misteri senza poi svelarli del tutto deludeva e allo stes-so tempo affascinava il suo pubblico. Poiché proprio quello era il risultato che si proponeva di conseguire,

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ne provò compiacimento. Non era una cosa che gli capitava spesso. Creava storie di orrore, esplorava gli incubi più cupi della mente umana e con fredda precisione li rendeva tangibili. L'impossibile diventava plausibile e il so-prannaturale consueto. Da cinque anni ormai veniva considerato un maestro in quel genere di letteratura e di quattro dei suoi best-seller era stata realizzata la riduzione cinematografica. I critici l'osannavano, le vendite aumentavano vertigino-samente e i fan gli scrivevano da tutto il mondo. Tutto ciò, però, lo lasciava indifferente. Scriveva so-prattutto per se stesso, perché raccontare una storia era ciò che sapeva fare meglio e, anche se non avesse avuto successo, avrebbe comunque continuato a scri-vere. Il lavoro e la privacy erano le due cose fonda-mentali della sua vita. Non si considerava un recluso, né un asociale. Si limitava a vivere come preferiva, senza lasciarsi condizionare dalla fama e dal denaro. Ascoltava solo ciò che voleva sentire, vedeva solo ciò che sceglieva di vedere e non scordava mai nulla. Si accinse a scrivere il capitolo successivo. Ecco che cosa veramente contava per lui: creare nuove parole, nuovi capitoli, nuovi libri. Quel giorno stava lavorando già da sei ore, ma in-tendeva proseguire per almeno altre due. Le sue storie erano narrate sempre con sufficiente realismo da rendere l'orrore un evento comune e plau-sibile. Un'entità aleggiava nei suoi romanzi e incarna-va la paura inconscia e radicata saldamente nel cuore di ogni essere umano. Schiacciò l'ennesimo mozzicone nel portacenere.

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Fumava troppo e ciò, forse, costituiva l'unico segno esteriore della tensione che lo pervadeva nell'atto crea-tivo. Si era imposto di finire il libro entro la fine del mese. Seguendo uno dei suoi rari impulsi di disponibi-lità verso l'esterno, aveva acconsentito a partecipare a un convegno di scrittori che si sarebbe tenuto a Flag-staff nella prima settimana di giugno. In genere non amava quel tipo di manifestazione, ma questa volta, chissà perché, aveva accettato di es-sere il relatore davanti a un uditorio di duecento scrit-tori, professionisti e aspiranti tali. Era pomeriggio inoltrato quando il cane accucciato ai suoi piedi alzò la testa. «È ora, Santana?» gli chiese Hunter, accarezzandolo. Soddisfatto di sé e già deciso a riprendere il lavoro più tardi, spense il computer. Passò dal caos del suo studio all'ordinato soggiorno dalle grandi vetrate e dal soffitto a travi. Dopo avere aperto le porte che davano sul patio, guardò i boschi circostanti. Lo proteggevano dal resto del mondo. A-veva bisogno di pace, di mistero e di bellezza, nonché del rifugio delle alte pareti rocciose del canyon che si ergevano intorno alla casa. Fu allora che la vide camminare lungo il sentiero. Il cane cominciò a dimenare la coda. A volte, guardan-dola come in quel momento, Hunter riteneva quasi impossibile che una creatura così bella potesse appar-tenergli. Il suo aspetto era fragile, i tratti delicati, ma si muoveva con sicurezza e spontaneità. Era Sarah, la sua vita. Per lei valeva la pena di lottare e di soffrire. Per lei avrebbe fatto qualsiasi follia. Notandolo, lei gli sorrise. «Ciao, papà!»

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Durante la settimana in cui una rivista come Celebrity veniva impaginata, il caos regnava sovrano. In quasi tutti gli uffici della redazione la luce restava accesa fi-no a notte fonda e l'odore di caffè e tabacco era onni-presente. Dopo cinque anni, Lee considerava quel momento di panico mensile un evento inevitabile. Celebrity, le cui vendite garantivano un fatturato annuo di milioni di dollari, pubblicava servizi sul bel mondo, articoli di eminenti giornalisti e psicologi, in-terviste rilasciate da grandi personaggi, fossero essi statisti o stelle del rock. L'apparato fotografico era al-l'altezza di quello testuale: i critici della rivista parla-vano di pettegolezzo, ma sempre di qualità. Insom-ma, si trattava di uno dei mensili più prestigiosi del paese e Lee Radcliffe non si sarebbe accontentata di meno. «Com'è andato il pezzo sulle sculture?» Lee alzò lo sguardo su Bryan Mitchell, una delle mi-gliori fotografe della West Coast. Accettò con gratitu-dine la tazza di caffè che le porgeva. Negli ultimi quat-tro giorni aveva potuto dormire non più di venti ore in tutto. «Bene» rispose. Bryan scosse il capo. «Quando mi hanno detto di

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fotografare quel groviglio di fili rossi e neri, sono stata tentata di andarmene all'istante... Mi devi credere.» «Lo hai reso quasi mistico.» «Potrei rendere mistico anche un deposito di robi-vecchi con l'illuminazione giusta» ribatté Bryan, se-dendosi sul bordo della scrivania per sorseggiare il caf-fè. «Come vanno le tue ricerche su Hunter Brown?» Lee si accigliò. Hunter Brown stava diventando per lei quasi un'ossessione. Forse proprio perché lo scrit-tore si mostrava apparentemente inaccessibile, lei era ben determinata a essere la prima a svelarne il mistero. La sua tenacia era nota a tutti e in un modo o nell'al-tro sarebbe riuscita a portare a termine l'impresa. «Per ora ho soltanto il nome del suo agente e il nu-mero telefonico dell'editore. Non ho mai conosciuto persone così reticenti nel fornire informazioni banali.» «Il suo ultimo libro è in testa alle classifiche di ven-dita della settimana scorsa.» Con fare distratto, Bryan raccolse un foglio da una pila di incartamenti. «Lo hai già letto?» «Non ne ho avuto ancora il tempo.» «Non scegliere una notte senza luna per farlo» le consigliò Bryan, gettando all'indietro la lunga treccia bionda. Terminò il suo caffè e rise. «Mio Dio, sono stata co-stretta a dormire con tutte le luci accese. Non so come ci riesca.» Lee alzò di nuovo lo sguardo dall'espressione calma e fiduciosa. «È proprio una delle cose che intendo sco-prire.» Bryan annuì. Conosceva Lee da tre anni e non dubi-tava delle sue capacità. «Perché?»

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«Perché nessun altro ha avuto successo come lui» rispose lei prima di finire il caffè. A prima vista, si sarebbe detta una conversazione casuale fra due donne attraenti in un ufficio moderno e raffinato. Osservando meglio, sarebbero però apparsi i contrasti. Bryan, in jeans e maglietta attillata, appari-va completamente rilassata. Lee, invece, portava un completo blu molto elegante e il suo nervosismo era tradito dal continuo movimento delle mani. I capelli biondi con calde sfumature tizianesche mettevano in risalto la carnagione chiara. Quella mattina si era truccata con cura per nascon-dere i segni della stanchezza. I tratti delicati del viso contrastavano con la bocca piena e ben disegnata. Le due donne avevano stili e gusti del tutto diversi, ma, stranamente, erano diventate amiche fin dal primo momento in cui si erano conosciute. Bryan non ap-provava sempre la tattica aggressiva di Lee mentre quest'ultima le rimproverava sovente l'eccessiva disin-voltura, tuttavia, il loro rapporto era solido. «Allora, qual è il tuo piano?» domandò Bryan, mor-dicchiando una barretta di cioccolato. «Continuare a scavare» rispose lei, sorridendo. «Ho delle conoscenze alla Horizon, la sua casa editrice.» Senza rendersene conto, cominciò a tamburellare con le dita sulla scrivania. «Accidenti, pare che quell'uomo non esista. Non so nemmeno dove viva.» «Secondo le voci che circolano, abita in una specie di caverna piena di pipistrelli. È probabile che scriva i manoscritti originali intingendo la penna in sangue di pecora.» «E immoli delle vergini a ogni luna piena.»

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«Non mi stupirebbe» disse Bryan, dondolando i pie-di. «Comunque è un uomo strano.» «Urlo silenzioso ha avuto critiche entusiastiche.» «Non ho detto che non sia bravo» ribatté l'amica. «Ma che è un tipo strano.» Scosse il capo. «Ti giuro che ieri sera, mentre cercavo invano di addormentar-mi, ho imprecato contro Hunter Brown.» Lee si alzò e si avvicinò alla finestra: la vista di Los Angeles non la interessava affatto, aveva solo bisogno di muoversi. «Che tipo di mente potrà mai avere? Che genere di vita condurrà? Sarà sposato? Avrà sessanta o vent'anni?» Si voltò. «Perché hai letto il suo libro?» «Perché era avvincente» rispose Bryan senza esita-zione. «Dopo aver letto le prime pagine, ero già così coinvolta nella storia che non saresti riuscita a strap-parmi il libro di mano nemmeno minacciandomi con una pistola.» «Eppure sei una donna intelligente.» «E che significa?» domandò Bryan, sorridendo. «Perché le persone intelligenti leggono storie che le terrorizzano?» «Sbaglio o colgo una nota di disapprovazione?» «Può darsi. Hunter è eccezionale: se descrive la stanza di una vecchia casa riesce a fartene sentire l'o-dore di stantio. Le sue caratterizzazioni sono così reali da indurti a credere di avere già conosciuto i suoi per-sonaggi. Eppure impiega il suo talento per scrivere rac-conti che tolgono il sonno. Voglio scoprire perché.» Bryan gettò via la carta di un cioccolatino. «Cono-sco una donna che ha una mente con eccezionali ca-pacità analitiche: riesce a trasformare fatti oscuri in storie interessanti che suscitano curiosità. È ambizio-

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sa, sa scrivere, ma lavora per una rivista e lascia i suoi romanzi incompiuti in un cassetto. È bella, ma esce di rado con gli uomini, se non per ragioni di lavoro. Co-me mai si comporta così?» Lee la guardò e sorrise. «Tu come giornalista non vali molto.» Poiché non era sua abitudine seguire i consigli, Lee si sistemò nel letto, accese l'abat-jour sul comodino e aprì l'ultimo romanzo di Hunter Brown. Si era ripro-messa di sfogliarne soltanto un paio di capitoli e di addormentarsi presto. La sua camera da letto era arredata nei toni del beige e dell'azzurro. Aveva acquistato e disposto sapiente-mente alcuni morbidi cuscini ben rigonfi, un grande tappeto persiano e un mobiletto antico con un'urna piena di piume di pavone. L'ultimo tocco di classe lo conferiva il grande ficus vicino alla finestra. Nel tranquillo tepore della sua camera, Lee si rifu-giava ogni notte per rilassarsi e per essere pronta a ri-prendere l'indomani la lotta per il successo. Dopo mezz'ora di lettura, si sentì turbata, a disagio, ma completamente coinvolta: se la sarebbe presa con l'autore se non fosse stata troppo ansiosa di voltare a pagina successiva. La prosa fluiva senza artifici o diffi-coltà e il dialogo era così naturale da far quasi evocare le voci dei personaggi. Era consapevole che la storia le avrebbe procurato non poche difficoltà quando si sa-rebbe trovata sola al buio, ma non riusciva a smettere di leggere. Quella era la magia di un grande romanzie-re. Quando improvvisamente il telefono squillò sul comodino, la tensione che provava fu tale che il libro

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le volò via dalle mani. Sempre imprecando, ma contro se stessa, Lee alzò il ricevitore. Il disappunto svanì subito: afferrò una matita e co-minciò a scarabocchiare sul blocco degli appunti vici-no al telefono, poi depose la matita e sorrise. Non sa-rebbe mancata l'occasione per ricambiare il favore e-norme fattole dalla sua conoscenza di New York. Per il momento, doveva pensare a organizzare un viaggio a Flagstaff, in Arizona, dove avrebbe partecipato a un convegno di scrittori. Indubbiamente la bellezza del paesaggio era tale da incantare. Come sua abitudine, Lee aveva lavorato du-rante il volo da Los Angeles a Phoenix, tuttavia, una volta presa la coincidenza per Flagstaff, si era lasciata conquistare dallo splendido panorama. Aveva ammira-to le cime e i declivi dell'Oak Creek Canyon, provando un'eccitazione piuttosto insolita per una donna non facile agli entusiasmi. Se avesse avuto più tempo... Lee sospirò scendendo dall'aereo. Il tempo non ba-stava mai. Fuori del piccolo aeroporto non trovò nemmeno un taxi. Mettendosi la sacca da viaggio a tracolla, imprecò fra sé: la pazienza non era mai stata una sua virtù. Stanca e affamata, si avvicinò a uno dei banchi delle informazioni. «Dovrei raggiungere la città» si limitò a dire. L'uomo in maniche di camicia e cravatta allentata smise di digitare sul suo computer. Notando la sua espressione irritata, raddrizzò le spalle automaticamen-te. «Desidera noleggiare un'auto?» Lei rifletté per un attimo, poi decise di no. «Voglio

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solo essere accompagnata a Flagstaff.» Gli diede quin-di il recapito del suo albergo. «Hanno per caso un ser-vizio dall'aeroporto?» «Certo. Telefoni a quell'apparecchio laggiù e man-deranno qualcuno a prenderla.» L'uomo la guardò raggiungere la cabina telefonica con aperta ammirazione prima di riprendere il proprio lavoro. Lee compose il numero dell'albergo e le venne assi-curato l'arrivo di un'auto entro venti minuti. Soddi-sfatta, si comprò un hot-dog e si sedette a sbocconcel-larlo nella sala d'attesa. Avrebbe raggiunto lo scopo che si era prefissa, si disse guardando le montagne in lontananza. Dopo tre mesi di insuccessi, avrebbe finalmente incontrato per-sonalmente Hunter Brown. Non le era stato facile far approvare quel viaggio dal suo direttore, ma infine lo aveva convinto che ne sa-rebbe valsa la pena. Ripassò mentalmente le domande con cui intendeva mettere alle corde Hunter Brown. Le sarebbe bastato trascorrere un'oretta con lui e gli avrebbe strappato informazioni sufficienti per un'e-sclusiva eccezionale. Aveva agito allo stesso modo con il riluttante vincitore dell'Oscar di quell'anno e con un candidato alla presidenza decisamente a lei o-stile. Era probabile che ambedue gli aggettivi si adat-tassero anche a Brown, si disse accennando un sorri-so. Se avesse voluto una vita semplice, si sarebbe spo-sata con Jonathan e in quel preciso momento, forse, si sarebbe trovata a un garden party invece di essere in procinto di tendere un agguato a un famoso scrittore. Lee fu sul punto di scoppiare a ridere. Feste, canaste

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e circolo della vela. Quella sarebbe stata la vita che la sua famiglia avrebbe tanto desiderato per lei, ma vole-va di più. Diede un'occhiata all'orologio e, lasciando il baga-glio vicino alla sedia, si diresse alla toilette. Si era ap-pena chiusa la porta alle spalle, quando l'uomo che tanto ambiva incontrare fece il suo ingresso nell'atrio. Lui non compiva spesso buone azioni e, quando avveniva, riguardavano solo persone che godevano del suo affetto. Hunter si era recato infatti all'aeroporto a prendere la responsabile della sua casa editrice. Si av-vicinò allo stesso impiegato a cui si era rivolta Lee po-co prima. «Il volo 471 è in orario?» «Sissignore, è atterrato dieci minuti fa.» «Ne è scesa una donna?» Hunter guardò la sala qua-si deserta. «Attraente, sulla trentina...» «Sissignore» lo interruppe l'impiegato. «È appena andata alla toilette. Il suo bagaglio è laggiù.» «Grazie.» Soddisfatto, Hunter si avvicinò alla sedia occupata dalla sacca di Lee. Lee lo notò non appena rientrò nell'atrio. Le voltava le spalle, così ebbe soltanto l'immagine di un uomo alto e snello, con lunghi capelli mossi sul collo. Pun-tuale, pensò, raggiungendolo. «Sono Lee Radcliffe.» Quando lui si voltò, Lee rimase di sasso e il sorriso le si raggelò in volto. Sul momento non ne capiva la ragione. L'uomo era attraente... forse troppo. Un viso scarno, ma non duro: il naso era diritto e aristocratico, mentre la bocca era delicata e sensibile come quella di un poeta. Era spettinato, come se avesse guidato per

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ore con il finestrino abbassato. Ma non furono quei dettagli che la impressionarono, bensì l'espressione degli occhi. Non ne aveva mai visti di tanto scuri e inquietanti. Sembravano trafiggerla. In pochi secondi parevano a-ver scoperto tutto di lei. Lui vide un viso stupendo: la pelle chiara metteva in risalto gli occhi scuri sgranati per lo stupore. La bocca era morbida e femminile. Vide forza, testardaggine e capelli ramati lucenti come seta. Vide una donna ap-parentemente padrona di sé, in realtà tesa e ansiosa che profumava come una serata di primavera e che non avrebbe sfigurato sulla copertina di Vogue. «Sì?» «Be', io...» Costretta a deglutire, Lee si interruppe. Si infuriò con se stessa, non si sarebbe certo lasciata in-timidire da un autista. «Se è venuto a prendermi, quel-lo è il mio bagaglio.» Perplesso, lui non disse nulla. Il malinteso era evi-dente. Avrebbe potuto chiarirlo subito, ma aveva sem-pre creduto di più agli impulsi irrazionali che alle spie-gazioni logiche. Chinandosi, raccolse la sacca e se la mise a tracolla. «La macchina è qui fuori.» E, così di-cendo, si incamminò. Lee si sentì molto più padrona di sé quando lui le voltò le spalle. Attribuì la propria reazione alla stan-chezza per il lungo viaggio. Gli uomini non la stupiva-no mai, né la facevano balbettare. Le ci voleva un ba-gno e qualcosa di più sostanzioso di un panino. La macchina risultò essere una jeep. Non lo trovò strano, dato il brutto fondo stradale e gli inverni rigidi della zona.

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Si muoveva bene, pensò lui, e il vestito era impec-cabile. Notò tuttavia che si rosicchiava le unghie. «È di queste parti?» le chiese mentre salivano. «No. Sono qui per il convegno degli scrittori.» Hunter richiuse la portiera. «Scrive anche lei?» Lee pensò ai due capitoli del manoscritto che aveva porta-to con sé nel caso le servisse una copertura. «Sì.» Uscito dal parcheggio, lui infilò la strada che porta-va alla tangenziale. «Che cosa scrive?» «Articoli e qualche racconto» rispose Lee con since-rità. Poi aggiunse ciò che aveva confidato soltanto a pochi: «Ho iniziato anche un romanzo». Lui teneva una velocità piuttosto alta, ma Lee non vi fece caso. «Intende terminarlo?» le domandò. «Dipenderà da molti fattori.» Lui le diede un'altra occhiata. «Per esempio?» Lee si sforzò di restare immobile sul sedile malgrado la sensazione crescente di disagio. «Dalla qualità di ciò che ho scritto finora.» Lui trovò assai ragionevole quella risposta infastidi-ta. «Partecipa spesso a questo tipo di convegni?» «No, è la prima volta.» Ciò poteva spiegare il suo nervosismo, rifletté Hun-ter, senza però essere certo di avere trovato la giusta spiegazione. «Spero che sia per me un'esperienza utile» proseguì lei, sorridendo. «Ho prenotato all'ultimo momento quando ho saputo della presenza di Hunter Brown. Non ho saputo resistere.» Lui si accigliò. Aveva accettato di esporre una rela-zione solo a condizione che non fosse pubblicizzata. Nemmeno gli iscritti al convegno avrebbero dovuto

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venirne a conoscenza fino all'indomani. Come aveva fatto quella ragazza dai capelli rossi e con le scarpe ita-liane a scoprirlo? Superò un camion. «Chi?» «Hunter Brown» ripeté lei. «Il romanziere.» Di nuovo Hunter lasciò che l'istinto avesse la me-glio. «È bravo?» Sorpresa, lei si voltò a studiare il suo profilo. «Non ne ha mai sentito parlare?» «Temo di no.» «Scrive storie di orrore. Forse a lei non piace leggere con tutte le luci accese e le porte chiuse a chiave.» «Demoni e serpenti?» «Non proprio» disse Lee dopo un momento. «Non è così semplice. Riesce a esprimere a parole le paure più recondite dell'animo umano.» Lui rise, compiaciuto. «Così, a lei piace essere spa-ventata?» «No.» «Allora perché lo legge?» «Me lo chiedo sempre anch'io alle tre del mattino mentre sto terminando uno dei suoi libri.» Lee scrollò le spalle mentre la macchina rallentava prima di lascia-re la tangenziale. «È irresistibile. Secondo me, dev'es-sere un tipo molto strano» mormorò quasi fra sé. «Di-verso dagli altri.» «Davvero?» chiese lui, parcheggiando di fronte al-l'albergo. «Ma per scrivere non basta possedere una fervida immaginazione e sapere usare le parole giu-ste?» Di nuovo lei scrollò le spalle. «Non credo sia molto piacevole vivere con un'immaginazione come quella di Brown. Vorrei tanto conoscere la sua opinione.»

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Divertito, Hunter scese dalla jeep per prenderle il bagaglio. «Gliela chiederà?» «Sì» rispose lei, scendendo a sua volta. Per un attimo rimasero fermi e in silenzio sul mar-ciapiede. Dal modo in cui lui la guardava, Lee percepì qualcosa di diverso dall'ovvio interessamento di un autista conosciuto da dieci minuti. Hunter si diresse verso l'albergo con la borsa in mano. Lei lo seguì, rendendosi conto solo allora di avere conversato senza interruzione di argomenti che esula-vano dalle solite facezie da turisti. Osservandolo avvi-cinarsi alla reception, sentì che emanava un'aura di fredda sicurezza di sé non scevra di tracce di arrogan-za. Perché mai un uomo così faceva l'autista?, si chie-se. In fondo, non erano affari suoi, concluse. Aveva ben altro a cui pensare. «Lenore Radcliffe» disse al portiere. «Sì, signorina Radcliffe.» Le passò una scheda da compilare e, dopo avere preso nota della sua carta di credito, le consegnò la chiave. Fu Hunter a prenderla, dandole così modo di notare il suo strano anello al mignolo, quattro sottili lamine d'oro e d'argento in-trecciate. «L'accompagno» si offrì lui. Attraversò l'atrio con Lee al suo seguito e infilò un corridoio sulla sinistra fi-no a raggiungere la porta della camera assegnatale. La stanza dava sul giardino, notò subito lei con pia-cere. Mentre si guardava intorno, Hunter accese il te-levisore e controllò il condizionatore. «Nel caso le ser-va qualcosa, chiami la reception» le disse, sistemando-le il bagaglio. «D'accordo.» Lee frugò nella borsetta e ne estrasse

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una banconota da cinque dollari. «Grazie» disse, ten-dendola all'uomo. I loro sguardi si incrociarono e lei provò la stessa in-descrivibile sensazione che l'aveva raggelata all'aero-porto. Poi lui sorrise in modo affascinante. «Grazie a lei, signorina Radcliffe.» Senza batter ci-glio, Hunter prese la banconota e uscì dalla stanza.

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Questo volume è stato stampato nel marzo 2010 da Grafica Veneta S.p.A. - Trebaseleghe (Pd)