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Prefazione 4 Introduzione 7 Gli screening sul campo 10 Promozione della qualità 15 Lotta alle diseguaglianze 16 Ricerca e innovazione 19 Le domande di fondo 21 I numeri dello screening 25 Indice

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Prefazione 4

Introduzione 7

Gli screening sul campo 10

Promozione della qualità 15

Lotta alle diseguaglianze 16

Ricerca e innovazione 19

Le domande di fondo 21

I numeri dello screening 25

Indice

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Prefazione

ALL’INSEGNA DELLA STEWARDSHIP

Anche se alcune attività sono ancora in corso, con la fine del 2009 è terminata la pianificazione speciale portataavanti dal 2005 con i Piani nazionali screening.Questo sforzo di pianificazione ha dato i suoi frutti principali nel promuovere e rafforzare l’infrastruttura regiona-le destinata agli screening e nel rafforzare il sistema nazionale mediante l’Osservatorio nazionale screening, ilsistema informativo, il supporto alle Regioni.

Da quest’anno gli obiettivi per i programmi di screening li ritroviamo nel più ampio approccio del Piano nazio-nale della Prevenzione 2010-12.

Questo Piano propone alcuni aspetti di grande importanza per la prevenzione in Italia, ma anche per chi si occu-pa di screening: privilegiare gli interventi di sanità pubblica, organizzare l’attenzione alla persona (nell’ampia

Piano nazionale della Prevenzione 2010-2012: obiettivi e azioni per gli screening dei tumori della mammella, colon retto e cervice uterina

Obiettivi generali di salute Sottobiettivi Linee di supporto Linee di intervento

Riduzione della mortalità per carcinoma della mammella, della cervice uterina e del colon retto (da valutare su dati Registri tumori)

Potenziamento omiglioramento dei programmidi screening organizzati, per carcinoma cervice uterina,carcinoma mammario,carcinoma colon retto, che verifichino adesionee parametri di qualità

Gestione sistema informativo e divalutazione (tramite NSIS e Osservatorionazionale screening)

Realizzazione dell’accreditamento perfunzioni dei programmi organizzati discreening

Supporto alla programmazione regionale(tramite Osservatorio nazionalescreening)

Estensione dei programmi di screening

Integrazione base dati nazionali (Iss, Istat-Multiscopo, Ons)

Promozione del coinvolgimento deisoggetti fragili che non aderiscono aiprogrammi di screening oncologici

Innovazione screening cancrodella cervice uterina

Avvio di sperimentazioni per l’utilizzotest Hpv-Dna come test di screeningprimario

Integrazione con i programmi divaccinazione anti Hpv

Innovazione screening cancro colorettale

Coinvolgimento dei Mmg Definizione di percorsi articolati perrischio individuale (almeno rischio peretà e rischio per familiarità)

Sperimentazione/valutazione di nuovetecnologie (costo-efficacia dellacolonscopia virtuale e della colonscopiaendoscopica come test di primo livello)

Effettuazione esperienze pilota roundannuale con test per sangue occultofecale Programmi di sorveglianza per casi di storia neoplastica

Innovazione screening cancromammella

Definizione di percorsi articolati per rischio individuale (almeno rischioper familiarità e seno denso)

Estensione fasce di età

Valutazione digitale e Cad

Estensione registri tumori Istituzione registri tumori regionali

Rendere sostenibili iprogrammi di popolazione per lo screening del cancro di mammella, cervice uterina e colon retto

Reingegnerizzare lo screeningopportunistico

Valutazione dei dati sullo screeningspontaneo e predisposizione di progettiche ne verifichino la qualità eadeguatezza

Contrastare lo screening opportunisticoo alternative non istituzionali

Definire protocolli e percorsi per chi sisottopone spontaneamente ascreening

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accezione di empowerment), adottare modelli organizzativi che integrino tutte le risorse presenti sul territorio perraggiungere gli obiettivi fissati, diffondere e utilizzare i sistemi informativi, promuovere il ricorso ai dati delle sor-veglianze.

Ancora più importante è il fatto che le Regioni e il Ministero hanno condiviso (e stabilito con l’Intesa del 29/4/10)che l’approccio strategico che dovrà informare di sé i rapporti tra istituzioni e stakeholder in un contesto di devo-luzione, sia quello della stewardship. Rimandando ad altre sedi l’approfondimento di questo modello di governance, va tuttavia sottolineato quantoquesto sia innovativo nell’intento esplicito di essere più efficienti ed efficaci nel governare e attuare la pianifica-zione per la prevenzione.

Per quanto riguarda i programmi di screening, gli obiettivi e le azioni stabilite rispondono a due indirizzi strate-gici principali: rafforzare e innovare. Nella tabella sono riportati gli obiettivi e le azioni da attuare, distinti per gliambiti di responsabilità del Ministero e per quelli di responsabilità regionale. La principale innovazione affidata al sistema sanitario non è tanto quella delle strumentazioni (per la quale,comunque, prevale la ricerca di evidenze che le possano sostenere nella pratica) ma quella che persegue la ricer-ca dell’ appropriatezza e dell’eccellenza, negli assetti istituzionali di accreditamento.

All’inizio di questo triennio, c’è solo da augurarsi che tutti coloro che sono coinvolti nei programmi di screeningrapidamente comprendano le sfide che il Piano identifica e stabilisce e che, per il miglior beneficio della popola-zione, si applichino a vincerle. Tutti insieme.

Antonio FedericiDirezione Generale della Prevenzione Sanitaria,

Ministero della Salute

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L’OSSERVATORIO NAZIONALE SCREENING

L’Osservatorio nazionale screening (Ons) è nato dall’esperienza dei gruppi di operatori dei programmi di screening: Gisma (Gruppoitaliano screening mammografico),Gisci (Gruppo italiano screening del cervico carcinoma),Giscor (Gruppo italiano screening tumoricolorettali).

Dal 2001 al 2003 è stato supportato dalla lega italiana per la lotta ai tumori (Lilt).

Dal 2004 è diventato l’organo tecnico per il monitoraggio e la promozione dei programmi di screening oncologico di riferimento delleRegioni e del ministero della Salute - dipartimento della Prevenzione.

Comitato di indirizzo:• Un rappresentante per ogni Regione e uno per il ministero della Salute

Comitato esecutivo:• Direttore Ons: Marco Zappa, Istituto per lo studio e la prevenzione oncologica Firenze, Regione Toscana• Carlo Naldoni, Assessorato alle politiche per la salute, Bologna - Regione Emilia Romagna• Eugenio Paci, Laziosanità, Agenzia di sanità pubblica, Roma - Regione Lazio• Nereo Segnan, Centro di riferimento per l’epidemiologia e la prevenzione oncologica (Cpo) in Piemonte, Torino - Regione Piemonte

Funzioni:• Monitoraggio e valutazione dei programmi di screening• Formazione• Promozione della qualità• Comunicazione e informazione

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ovverosia la percentuale di donnefra i 50 e i 69 anni di età che vivonoin un’ area dove è attivo un pro-gramma di screening. Nel 2009 abbiamo raggiunto il 90%del territorio nazionale. È evidenteil, seppur lento, crescere dell’esten-sione. Al Centro-Nord abbiamoraggiunto sostanzialmente il 100%,mentre nel Sud la percentuale arri-va al 77%. Una differenza che siaccentua, però, se si considera ladiffusione degli inviti.

Introduzione

Figura 1.Estensione teorica dei programmi discreening del tumore della mammellaper zona geografica 2003-2009

82,4

95,4100

30,3 30,2

39,144,6

6268,7

77,2

64,468,9

74,678,1

84,690

93,1

100 100

8287

100 100

89,4 87,1

100 100

74,3

0%

20%

40%

60%

80%

100%

120%

2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009

Nord Centro Sud Italia

PROVE PRATICHE DI QUALITÀ

Gli inviti sono stati quasi duemilioni e cinquecentomila, cuihanno fatto seguito oltre un milionee quattrocentomila test. Sono i risul-tati dello screening mammograficonel 2009 in Italia, che partecipa cosìai quasi nove milioni di inviti effet-tuati dai tre programmi di screeningorganizzati (mammella, colon retto,utero) e agli oltre quattro milioniduecentomila test eseguiti. La figura1 riporta l’estensione teori-ca dei programmi dal 2003 al 2009,

Lo screening mammografico è quasi diventato universale. È offerto infatti sul 90 per cento del territorio nazionale, seppur con sostanziali differenzetra Nord, Centro e Sud. Nonostante ciò restano molte questioni aperte: per esempio, il ricorso allo screening spontaneo e il tema della sovradiagnosi.

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Sud la qualità raggiunta è inferiorerispetto al Centro-Nord. Insomma,ci sono ancora ampi spazi permigliorare.

La sorveglianza «Passi»Quest’anno abbiamo affiancatoquesta survey universale con l’inda-gine che il gruppo di lavoro Passi(l’acronimo sta per Progressi delleAziende Sanitarie per la Salute inItalia) esegue annualmente sulleattività di prevenzione. È un’indagi-ne campionaria attraverso intervi-ste telefoniche, che tra le altre coseprevede di chiedere alle donne cheaccettano di rispondere se hannoeseguito una mammografia ascopo preventivo negli ultimi dueanni. Nel caso la risposta sia affer-mativa si domanda anche se il test èstato eseguito all’interno di un pro-gramma organizzato e in forma gra-tuita, oppure con qualche forma dipagamento (ticket o pagamentodella prestazione occasionale).Questo tipo di indagine tende asovrastimare la reale coperturadella popolazione. Al contrario, la

La figura 2 riporta infatti l’estensioneeffettiva degli inviti, cioè quantedonne della popolazione bersaglioricevono regolarmente la lettera diinvito che dà il via al processo. Ebbe-ne, registriamo mediamente lo stes-so risultato dell’anno scorso: un valo-re di poco superiore al 70% comemedia nazionale, che tuttavia diven-ta solo il 37% se si considera il Sud. La differenza con il valore dell’e-stensione teorica è dovuta essen-zialmente al fatto che non tutti iprogrammi (specialmente al Sud)sono in grado di rispettare il previ-sto intervallo di tempi di due anni eche alcuni nuovi programmi noncoprono ancora per intero tutto ilterritorio di competenza . La sezione dedicata ai “numeridegli screening” (a pagina 25) pre-senta i principali indicatori con cuimisuriamo la qualità dei program-mi: da quei numeri emerge ancheche la risposta all’invito è più bassaal Sud. Il che comporta che le diffe-renze di cui abbiamo appena parla-to si allargano ulteriormente.Anche altri indicatori di qualità ciconfermano che mediamente al

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Introduzione

67,8

75,8

82,9

90,1 90,3

17,921,2 22,9

25,8

37,4 37,2

51,7 51,4 50,9

57,961,7

70,767,4

64,165,1 65,770,1

73,1

81,7 82,8

65,6

18

70,7

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

80%

90%

100%

2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009

Nord Centro Sud Italia

Figura 2.Estensione effettiva dei programmi discreening del tumore della mammellaper zona geografica 2003-2009

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survey universale Ons tende a sot-tovalutare leggermente il numerodi esami effettivamente eseguiti nelprogramma di screening. Confron-tare i due flussi di informazioni con-sente di capire meglio quello chesuccede sul territorio.

I dati Passi dimostrano che media-mente il 68% delle donne riferiscedi aver fatto una mammografianegli ultimi tre anni (circa tre quartinell’ambito dei programmi organiz-zati, l’altro quarto spontaneamen-te). Ma questa valore significa il 75%al Centro, e l’80% al Nord, ma solo il48% al Sud. Questa ampia differen-za fra le diverse aree geograficheitaliane è dovuta alla minore quotadi test effettuati nell’ambito deiprogrammi organizzati delle regio-ni del Sud, mentre il numero dimammografie eseguite in regime di

pagamento è sostanzialmente lostesso nelle diverse regioni La con-seguenza logica di questo stato dicose è che se vogliamo recuperare ilgap fra il Centro-Nord e Sud dob-biamo sviluppare i programmiorganizzati al Sud.

Su questo problema il rapportopresenta tuttavia due nuove espe-rienze incoraggianti: quella dellaRegione Sicilia, dove si tenta final-mente di dare un coordinamentounitario all’azione sui programmi discreening , e la nuova, promettenteesperienza della città di Taranto.

Criticità e soluzioniLa contrapposizione tra screeningorganizzato e spontaneo, comun-que, rimane e se ne parla con unintervento che prova a mettere a

confronto l’efficienza dei duemodelli. Di tutt’altro segno la riflessione sudue aspetti al centro di un dibattitorecente: l’estensione delle fasce dietà di invito e il problema dellasovradiagnosi. L’Emilia Romagnaha già reso operativa la scelta diallargamento ed è passata all’invitoattivo delle donne comprese tra i45 e i 74 anni: si ragiona quindi suirelativi problemi organizzativi e suiprimi risultati raggiunti. Per quantoriguarda la sovradiagnosi si raccon-ta una esperienza di valutazioneche a partire dall’Italia coinvolgetutti i paesi Europei dove esistonoprogrammi nazionali di screeningmammografico.L’efficacia di un programma discreening non sta, ovviamente, solonel numero di lettere che spediscema soprattutto nei meccanismi diorganizzazione e di verifica chemette in atto, è l’occasione per met-tere a confronto le soluzioni locali eil rapporto ne propone alcune. Popolazioni immigrate e accessoalla prevenzione oncologica, eccoun’altra grande sfida di fronte allaquale i programmi di screening nonsi tirano indietro come testimonia labella riflessione sulla necessità diimparare a comunicare con tutti.

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L’efficacia di un programma di screening non sta solo nel

numero di lettere che spedisce, ma soprattutto nei meccanismi

di organizzazione e verifica che mette in atto

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cioè il Dipartimenti delle cure pri-marie — a cui afferiscono peresempio i Consultori maternoinfantili—, il Dipartimento chirurgi-co, quello oncologico e quello deiservizi. Sono questi i veri e propribracci operativi dello screening».

Capillarità e concentrazio-ne: la ricetta del successo

Un’ampia popolazione da raggiun-gere dispersa su un territorio altret-tanto vasto e articolato ha richiestoai programmi di screening un’orga-nizzazione che consentisse di ero-gare il servizio vicino alla cittadi-

nanza, ma nel rispetto della qualitàe della sostenibilità per il sistemasanitario regionale. La soluzioneindividuata è stata la capillarità delprimo livello e, laddove possibile, laconcentrazione della lettura deitest e degli accertamenti di secon-do livello. Lo screening per il cancro del collodell’utero, per esempio, si avvale dicinque punti erogativi delle presta-zioni nella città, più 33 disseminatisul territorio. Più difficile una similearticolazione per lo screeningmammografico: sono tre i punti incittà (uno dei quali presso l’Aziendaospedaliero universitaria Policlini-co Sant’Orsola Malpighi, che hainstaurato una proficua collabora-

zione su più livelli con lo screeningbolognese) e sette disseminati sulterritorio. In più, il programma siavvale di un’unità mobile per rag-giungere i comuni più disagiati. È il binomio farmacisti-ambulatori,invece, la chiave del primo livellodello screening per il tumore delcolon retto. Le farmacie, sia privatesia comunali, distribuiscono il kit aicittadini che poi lo riconsegnanoagli ambulatori territoriali. Questi, aloro volta, le spediscono al centrodi riferimento entro 24 ore. La lettura dei Pap test e delle mam-mografie e l’analisi del sangueocculto nelle feci, invece, avvienein maniera centralizzata (o avvalen-dosi della collaborazione delSant’Orsola). Analoga scelta per i test di secondolivello, la cui organizzazione inparte è gestita direttamente dalcentro screening: «nel caso delloscreening del cancro del colon, peresempio, le gastroenterologie dicinque strutture territoriali hannoriservato settimanalmente deglispazi e siamo noi a gestire le agen-de», spiega Manfredi.

Gli angeli dello screeningL’organizzazione quasi marzialedello screening bolognese, però,cammina di pari passo con l’atten-zione all’utente. «Quando questoaccede al secondo livello, in tutti etre i programmi di screening vieneaccolto da un infermiere casemanager o da un’ostetrica che loseguirà in tutto il suo percorso. Saràquesta figura a occuparsi dell’acco-glienza, a dare le prime informazio-ni, a fare una prima valutazionedella persona e degli esami cheinvitiamo a portare con sé. In tutti icasi, inoltre, sono disponibili figure

Un territorio che va dalla pianuraall’Appennino e molto attrattivoper immigrati e universitari. E 300mila utenti da raggiungere ognianno. Questo il contesto in cui si muovel’Azienda Usl di Bologna, unica refe-rente per gli screening in provinciadopo l’accorpamento di tre azien-de sanitarie. «Unica area esclusa èImola, che per ragioni storiche affe-risce a una propria Asl», spiegaMarilena Manfredi, coordinatricedell’Unità assistenziale Centroscreening dell’Azienda Usl di Bolo-gna.Manfredi illustra l’architettura che

ha consentito ai programmi discreening bolognesi di raggiunge-re nel primo semestre del 2010 il 65per cento di adesione al primolivello dello screening per il tumoredel collo dell’utero, il 64,6 per centoper quello mammografico e il 50per cento per il colon. «La testa degli screening, il Centroscreening, è inserito nel Diparti-mento di Sanità Pubblica dell’A-zienda conformemente alle indica-zioni regionali», dice Manfredi. «Èstata una decisione presa almomento dell’accorpamento delleaziende Usl e che ha reso più chiarii rapporti tra i diversi dipartimenti:il Dipartimento di sanità pubblica siinterfaccia infatti con gli erogatori

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Gli screening sul campo

LO SCREENING ALL’OMBRA DELLE TORRIOrganizzazione ferrea e attenzione al singolo cittadino. Con questa ricetta i programmi di screening dell’Asl di Bologna riescono a rispondere aibisogni di un’area vasta, popolosa e caratterizzata da una forte presenza migratoria. Coniugando qualità e ottimizzazione delle risorse.

«Avere una persona di riferimento è importante: evita che il

percorso dello screening venga vissuto come un labirinto

incomprensibile»

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autonomia vengono tenuti d’oc-chio. «Chiediamo loro l’autorizza-zione a poterli contattare per sape-re quali siano stati i responsi degliesami successivi e l’esito di even-tuali interventi», racconta la coordi-natrice. «Ciò ci consente di avereuna sorveglianza continua dellapopolazione, ma soprattutto dimantenere i contatti con il pazienteche, in un qualunque momento,può accedere nuovamente ai pro-grammi di screening». È noto, infat-ti, che sono proprio le personerisultate positive al primo esame eche non intendono proseguire il

mediche che intervengono nell’e-ventualità in cui ci sia la necessità diulteriori attività», dice Manfredi.«Avere una persona di riferimentoè importante», aggiunge. Evita cheil percorso di screening venga vis-suto come un labirinto.

Nessuna informazione vadaperduta

L’attenzione allo screening intesocome percorso è maniacale. Anchei pazienti che, risultati positivi agliesami di primo livello, decidono diintraprendere gli stop successivi in

percorso degli screening quelleche hanno il maggior rischio di svi-luppare un tumore. Questo approccio si è dimostratoutile soprattutto con gli stranieri: «èfacile che queste persone abbianodifficoltà a muoversi nel serviziosanitario e che si registri unadispersione tra il primo e il secondolivello». «Per questo, nonostante i nostrinumeri siano significativi, proce-diamo in questo modo: tutte levolte che non vediamo ritornare unutente, lo contattiamo direttamen-te», conclude Manfredi.

Piccoli screening cresconoSi moltiplicano le esperienze sul territorio nazionale. A Taranto, per esempio, lo screening per la diagnosi precoce del cancro al seno in un solo annoè riuscito a raggiungere il 43 per cento di adesione. Con mille difficoltà e la consapevolezza che una maggiore organizzazione è necessaria.

Pian piano la cultura dello scree-ning sta permeando tutto il territo-rio nazionale e un po’ dappertuttosi affacciano nuovi programmi. A Taranto, per esempio, lo scree-ning mammografico è iniziato nelgennaio 2009: «Abbiamo un baci-no d’utenza di circa 28 mila donnee a pochi mesi dalla fine del primoround abbiamo invitato il 90 percento del target con un’adesionedel 43,5 per cento», illustra Giusep-pe Melucci, radiologo presso Ospe-dale “SS. Annunziata” di Taranto.«Lo consideriamo un successo,visto che si partiva da zero e chenel territorio è molto forte l’attivitàdi screening spontaneo». I dati si riferiscono soltanto a Taran-to città, mentre la provincia scontaancora le difficoltà connesse alrecente inizio.

Un segnale forte«Raggiungere questi risultati, ci ècostato uno sforzo importante, mavolevamo dare un segnale forte»,aggiunge Melucci.

«Siamo consapevoli che il pro-gramma in futuro dovrà esserepotenziato dal punto di vista della

segreteria organizzativa, che occor-rerà mutuare aspetti da qualchepercorso già consolidato. Ma pernoi era importante ottenere risulta-ti fin da subito».Taranto è infatti una città che hacriticità importanti dal punto divista ambientale. Perciò l’esi-genza di un programma discreening mammografico eraavvertita da tempo. «Toccheràad altri stabilire se l’inquinamentoambientale fa sì che a Taranto ci siammala di tumore più che nel restod’Italia. L’attivazione di un programma discreening però ci consente, oltreche la diagnosi precoce, di avere

informazioni sul cancro della mam-mella». I primi dati non sono rasserenanti:«abbiamo riscontrato un tasso diidentificazione di carcinomi del 9,5-10 per mille», dice Melucci. Ma questa potrebbe essere la con-seguenza dell’assenza di program-mi di screening negli anni passati.

OttimismoPer ora, però, gli organizzatori sonoottimisti: «abbiamo acquistato dapoco un mammografo digitale cheè diventato l’unico impiegato pergli screening, in modo da facilitare

l’archiviazione». E i dati di adesione ottenutifanno ben sperare. «Abbiamoconseguito questi risultati sol-tanto con l’invito per lettera e

con il passaparola. Speriamo che nel prossimo bien-nio si possa mettere a punto unacampagna di informazione checontribuisca a un ulteriore aumen-to dei tassi di adesione», concludeMelucci.

«Lo consideriamo un successo, visto che si

partiva da zero e che sul territorio

è molto forte l’attività di screening

spontaneo»

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organizzato lo screening e dareanche una buona impressione delservizio offerto». Ma, accanto a questi compiti colla-terali, la cosa più importante che glisi richiede è «eseguire in pochiminuti un esame di qualità».Produttività e qualità: è questo ilbinomio essenziale richiesto negliscreening. «Occorre che l’esame sia eseguitoin un tempo limitato, circa dieciminuti. Ma questo non può inficia-re la sua qualità. Se si fa una cosamale si rischia la vita della pazien-te».

L’arte della qualitàLa qualità, spiega Artuso, «dipendedall’operatore, da come sa lavorare,da come sa manipolare il seno.Ogni donna è diversa dall’altra e

per ognuna è necessario applicareuna strategia che consenta di pren-dere sempre la maggiore quantitàpossibile di mammella. È un’abilità che richiede moltotempo per essere appresa almeglio e migliora col tempo. Lamanualità è una cosa artistica». Maè l’unico modo per ridurre il rischio«che si perda una lesione che puòcomplicarsi gravemente nel tempoche intercorre fino al successivoesame».

delle volte con esito negativo, nonsia logorante, risponde che «ese-guire una radiografia al torace a unmalato terminale per cui non puoifare nulla, se non assistere alla suamorte, quello è logorante. Ma se trai tanti esami fatti riesci a diagnosti-care un tumore in fase precoce haifatto qualcosa di importante, haisalvato la vita a una persona».

Un ruolo di primo pianoArtuso racconta il cambiamentodello screening dalla sua postazio-ne privilegiata: «la qualità tecnicadell’immagine in venti anni è enor-memente migliorata così come lacapacità diagnostica. Inoltre, manmano che lo screening mammo-grafico si diffondeva, diminuivanole dimensioni dei tumori che vede-vamo. Un tempo non erano rari i

tumori di grandi dimensioni, ades-so quelli che troviamo sono dipochi millimetri».Ma questi non sono gli unici cam-biamenti: «quando ho iniziato, lamammografia la eseguivano sol-tanto i medici». Invece oggi, all’interno dei pro-grammi di screening, il tecnicoradiologo «è l’unica figura sanitariache vede la donna». È una grandedifferenza con la clinica. «Il tecnico radiologo deve seguiretutto il rapporto con la paziente,darle le informazioni su come è

«“I tumori nella popolazione cisono. Voi dovete trovarli”. È questo il primo insegnamentoche abbiamo ricevuto». FrancaArtuso, tecnico radiologo pressol’Azienda ospedaliero universitariaSan Giovanni Battista - Molinette diTorino racconta i suoi ultimi 20 annipassati all’interno di uno screeningmammografico. «Credo nello screening. È un lavo-ro che, un po’ come tutti quelli incampo sanitario, a volte è ripetiti-vo e richiede una forte motivazio-ne interiore. Io sono riuscita a tro-varla e a trasmetterla a chi lavoracon me».Quando le si chiede se svolgeredecine di esami al giorno, il più

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Gli screening sul campo

La motivazione più grande? Salvare una vitaSono i primi e il più delle volte gli unici a vedere la donna che accede ai programmi di screening mammografico. I tecnici radiologi hanno dovuto rein-ventare la loro professione per poter operare all’interno degli screening, un mondo totalmente diverso dalla clinica e che richiede produttività e qualità.

«Credo nello screening. Se tra i tanti esami fatti riesci a

diagnosticare un tumore in fase precoce ha salvato la vita a

una persona»

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Caltanissetta, tra le province sici-liane è quella con la più antica sto-ria di screening. Nel 1994, tra leprime città in Italia, lancia un pro-gramma di screening mammogra-fico, nel 2000 la Regione Siciliafinanzia un progetto per gli scree-ning oncologici femminili. E i risultati sono buoni, circa il 30per cento di adesione sia nelloscreening mammografico sia inquello citologico. Finché l’avvicendarsi di direzioniaziendali, la mancata percezionedei programmi di screening comelivelli essenziali di assistenza, laconflittualità tra aziende territorialie ospedaliere non rallentano,prima, e frenano poi del tutto l’e-sperienza. Dal 2005 gli screening sparisconodalla provincia.

Un nuovo inizioRicompaiono nel 2009 «quandoarriva un nuovo direttore generalealla Azienda sanitaria provincialedi Caltanissetta che ritiene che iprogrammi di screening siano unelemento prioritario di assistenzasul territorio al punto da istituireun’unità operativa complessa perla loro gestione», illustra MarcellaPaola Santino, coordinatrice deiprogrammi di screening per l’Aspdi Caltanissetta «Nel frattempouna legge regionale aveva accor-pato le aziende ospedaliere e terri-toriali ponendo fine alla competiti-vità». Si comincia a lavorare ai nuoviscreening nell’ottobre del 2009 e ilprimo passo è il varo di un nuovomodello organizzativo: «costituia-mo un ufficio di coordinamentocon tutti gli attori del sistemascreening - racconta Santino - edecidiamo di partire prima con lamammella, poi con la cervice uteri-

na e, infine, primi in Sicilia, con ilcolon retto».

Si ricomincia!Lo screening mammografico partenel febbraio 2010: «avevamo già adisposizione i radiologi in grado dileggere la mammografia, in piùsono stati acquistati mammografidigitali e tutti i radiologi sono statimessi in rete. Ripartire non è statoquindi difficile e la sensibilità delledonne a questo tema ha ripagatoin fretta. Al 30 settembre abbiamoinvitato il 35 per cento della popo-lazione target con un’adesione chesi aggira intorno al 55 per cento».Purtroppo i 5 anni di interruzionedello screening hanno lasciatopesanti strascichi dal momento che«abbiamo trovato una prevalenzaparticolarmente elevata di lesioni».Un mese più tardi rispetto alloscreening mammografico si dà ilvia a quello per il cancro del collodell’utero. «Il personale era moltomotivato a riprendere - raccontaSantino - non aveva vissuto bene lachiusura precedente che li avevacostretti a non poter risponderealle richieste delle donne». Anchein questo caso i risultati sono statiottimi: al 30 settembre è stata invi-tato il 34 per cento della popolazio-ne bersaglio con un tasso di ade-sione prossimo al 40 per cento.

La novità colonLa sfida più difficile era però loscreening del colon retto, «unanovità in Sicilia, quindi non sapeva-mo come avrebbe reagito la popo-lazione». Né sono mancati i disac-cordi in fase di programmazione. «Igastroenterologi temevano che loscreening avrebbe prodotto unincremento di accesso al secondolivello con carichi di lavoro ingesti-

bili. E anche la definizione del testda utilizzare non è stata semplice.Alla fine si optato per il test immu-nochimico, per essere quanto piùstandardizzati possibile, e si è scel-to un unico centro per la lettura per

avere la massima garanzia di qua-lità. Infine, abbiamo firmato un pro-tocollo d’intesa con le farmacie chesono state ben liete di aderire alprogetto a titolo gratuito per distri-buire e ritirare i test». E lo screening è partito. Con qual-che difficoltà all’inizio, che harichiesto il coinvolgimento anchedei presidi ambulatoriali per ladistribuzione del kit e dei medici difamiglia per la sensibilizzazione deipazienti.

Anche il vescovo scende incampo

Il successo dell’esperienza di Calta-nissetta, oltre che all’impegno ealla ristrutturazione dell’organizza-zione dell’offerta, passa anche per ilcoinvolgimento delle organizzazio-ni di volontariato, «che hannoavuto un ruolo importantissimo»,afferma Santino.Altrettanto importante è stata unafortunata iniziativa di comunicazio-ne che ha visto la partecipazione di8 testimonial noti in provincia: atle-ti, musicisti e perfino due vescovi,quello di Caltanissetta e quello diPiazza Armerina. «Sono stati disponibili a comparirein una locandina accompagnati dauno slogan pro-screening: “Un pec-cato non farlo…” diceva l’uno. “È

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Screening, è un peccato non farloÈ stata tra le prime città ad avere un’esperienza di screening. Poi, a Caltanissetta, lentamente le cose si sono fermate. Ma ora, grazie a un nuovodirettore generale gli screening sono ripartiti. E tra nuova organizzazione e singolari esperienze di comunicazione i risultati si stanno già vedendo.

«Il personale era molto motivato a riprendere:

non aveva vissuto bene la chiusura

precedente che li aveva costretti a non poter

rispondere alle richieste delle donne»

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tre indagini in un solo giorno. Però,se il modello si dimostrerà efficacecercheremo di applicarlo ad altripiccoli centri, dal momento che èun modo per evitare che vivere inaree poco accessibili si traduca inun mancato accesso a un serviziosanitario essenziale».

dello screening per il cancro delcolon retto a tutta la popolazionetarget. Inoltre, l’amministrazionecomunale ha messo a disposizioneun autobus per portare tutte ledonne interessate all’iniziativa aeseguire la mammografia nellastruttura con mammografo piùvicina. Nella stessa sede per chi lodesideri è possibile sottoporsianche al Pap test». Insomma, nellostesso giorno diventa possibile ese-guire tutti e tre gli screening.«Per ora si tratta solo di un esperi-mento - conclude Santino - nonsappiamo come la popolazionerisponderà, né se possa essere un’e-sperienza troppo stressante offrire

quasi un miracolo…” faceva ecol’altro». La campagna si è dimostra-ta efficace «e si ha l’impressioneche lo screening stia entrando nellacultura della popolazione. Rispon-dono agli inviti e credo che questasensibilità non ci consentirà più difermarci».

Tre screening in un giornoIntanto si cerca anche di risponde-re a problemi organizzativi, comel’accesso ai programmi di scree-ning da parte della popolazioneche vive in aree disagiate. A finenovembre, il paesino di Bompen-siere (700 abitanti) ha visto l’offerta

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Gli screening sul campo

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Muovere i vetrini o far spostare ipatologi? In Veneto hanno pensatoche nessuna delle due modalitàfosse necessaria per aggiornare sulcampo i patologi degli screening.Ai tempi del villaggio globale bastauno scanner, un database, unpotente server e un semplice colle-gamento a internet. «La mobilità è oggi è uno dei limitipiù importanti alla formazione per-manente e ai controlli di qualità»,spiega Antonio Rizzo, coordinatoredel Gruppo regionale Veneto deipatologi dello screening mammo-grafico. «Pensiamo ai piccoli servizidi provincia, dove l’anatomia pato-logica lavora su tre screening conrisorse umane limitate. Costringereil personale a spostarsi per le gior-nate di formazione rischia di rallen-tare notevolmente il servizio. Perquesto bisogna trovare le modalitàper rendere accessibile la formazio-ne».

Vetrini avatarLa soluzione del Veneto è stata lavirtualizzazione dei vetrini. I vetriniderivanti dall’attività di screeningvengono selezionati per aree criti-che. «Il gruppo decide quale tipo diproblema affrontare», spiega Rizzo.

«Per esempio in questi anni cisiamo focalizzati, per la citologia,sulla diagnostica preoperatoriasecondo categorie C1 e C5, cercan-do di scegliere vetrini rappresenta-tivi di tutta la patologia. Lo stesso

viene fatto per l’istologia».Dopo la scelta, i vetrini sono inviatiall’Azienda Ulss 18 di Rovigo, dovevengono scannerizzati, inseriti inun database e resi disponibili online. A quel punto i centri e gli operatorihanno accesso ai vetrini con unanormale connessione Adsl: si stabi-lisce un certo periodo di tempo incui si possono guardare i vetrini,fare le proprie diagnosi e inviarle alcentro coordinatore.«È proprio questo il vantaggio delvetrino virtuale: è possibile consul-tarlo dalla propria postazione dilavoro o da casa e questo evita lanecessità che si spostino i vetrini o ipatologi», aggiunge Rizzo. Dopo questa fase, a scadenze pre-

stabilite, «le diagnosi vengonovalutate e i casi più discordantivengono discussi nella giornataannuale di formazione residenziale.I casi più complessi vengono valu-tati anche alla luce degli esiti postoperatori. I vetrini, poi, rimangonoon line per dare la possibilità ai par-tecipati di rivederli dopo la riunio-ne, alla luce critica della discussio-ne multiprofessionale». Un modello, quello dei vetrini vir-tuali, impiegato in Veneto anchenel caso dello screening per iltumore del collo dell’utero.

Utilità riconosciutaLa modalità di aggiornamentosembra funzionare. Inoltre, «ilnuovo sistema di accreditamentoEcm che adesso consente di attri-buire crediti, oltre che a chi parteci-pa ai corsi residenziali, anche aquanti svolgono la formazione sulcampo, ci ha permesso di destinarea chi partecipa a tutte le fasi del-l’aggiornamento 22 crediti», con-clude Rizzo.

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Promozione della qualità

FORMAZIONE VIRTUALE, QUALITÀ REALEFormare i patologi senza farli muovere dalla loro scrivania. In Veneto ci sono riusciti “virtualizzando” i vetrini e rendendoli disponibili on line, doveogni professionista li può consultare e fare in remoto una diagnosi. Un modello di formazione a cui sono stati riconosciuti ben 22 crediti ECM.

«La mobilità è uno dei limiti più importanti

alla formazione permanente e ai controlli di

qualità. Costringere il personale a spostarsi

può rallentare il servizio»

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dell’immigrazione. Molto più di noisanno i servizi sociali: è lì che sisono strutturate negli anni le com-petenza sul fenomeno. Abbiamoquindi capito che dovevamo muo-verci cercando l’esperienza deglialtri pur avendo noi la capacità divalutare i dati», commenta Petrella. Preziosi si sono rivelati i mediatorilinguistici e culturali, persone che

appartenevano alle diverse comu-nità ma che erano sufficientementeintegrati nella nostra società. «Ègrazie al loro contributo che abbia-mo iniziato a conoscere gli stranieriall’interno del loro contesto di vita,accorgendoci che per gli immigratilo screening non è la priorità: ven-gono prima il permesso di soggior-no, il lavoro, un’abitazione. E solodopo le cure e, infine, la prevenzio-ne e gli screening. L’adesione, poi, è

passo è stato «muoversi verso gliimmigrati con l’idea di conoscerlimeglio, per capire in cosa sonodiversi, ma anche in cosa ci somi-gliano». Un’impresa non semplice, che si èscontrata innanzitutto con la plura-lità di lingue parlate dagli stranieri.«Abbiamo scoperto che non soloqueste persone parlano decine di

lingue diverse, ma che a volte nonparlano la lingua ufficiale del loroPaese d’origine e che molto spessonon sanno leggere. La traduzionedei nostri materiali non era la solu-zione per metterci in contatto conloro».Per avvicinarsi alla popolazionestraniera in Italia gli screeninghanno perciò dovuto «accettare l’i-dea che non siamo quelli chehanno una maggiore conoscenza

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Lotta alle diseguaglianze

GLI SCREENING DEVONO PARLARE A TUTTILa sfida della società multietnica comincia a toccare anche i programmi di screening che devono imparare nuove strategie per mettersi in contatto con glistranieri presenti in Italia. Un compito non semplice, che costringe gli screening ad aprirsi all’esperienza di chi da anni si confronta con l’immigrazione.

Non esiste un modello di comunicazione universale che si

costruisce in anticipo a tavolino, al contrario va discusso

insieme alla comunità cui è destinato

«La popolazione immigrata aderi-sce di meno ai programmi di scree-ning. Per questo l’attenzione degliscreening a questa fascia dellapopolazione era scontata», affermaMarco Petrella, responsabile delprogramma aziendale screening,Ausl 2 Umbria. «Tuttavia, questa sensibilità sconta-ta non poteva produrre soluzionialtrettanto scontate». L’anno trascorso ha visto perciò larealizzazione di diverse iniziative,tra cui un corso organizzato daGianni Saguatti e Rosa Costantinodell’Azienda Usl di Bologna, nel-l’ambito del Progetto integratooncologia (Pio) e con il contributodell’Osservatorio nazionale scree-ning Il corso ha visto la partecipazione diLai Fong Chiu, ricercatrice ingleseda tempo impegnata nello studiodell’impatto delle diseguaglianzesociali nell’accesso agli screeningoncologi.

Parola d’ordine: ascolto«Abbiamo voluto fare un grossolavoro di arricchimento e autocriti-ca rispetto alla nostra quasi inge-nua propensione a occuparci deltema», racconta Petrella. E il primo

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diventata soltanto una parte delproblema, dal momento che abbia-mo cominciato a chiederci cosasuccede a una persona che dalloscreening riceve una diagnosi posi-tiva e quale possa essere il modoper inserire queste persone in unpiù ampio percorso finalizzato allatutela della salute».

Imparare dagli immigratiCominciare a vedere più da vicinogli immigrati ha significato per gliscreening cominciare a capire «chenon esiste un modello comunicati-vo universale che si costruisce inanticipo a tavolino: occorre discu-terlo e metterlo a punto con lacomunità a cui sarà destinato. Siarriva a una strategia comunicativasoltanto dopo aver capito chi sonole persone, quali problemi hanno,quali sono le peculiari difficoltà dacontrastare». Ma c’è almeno un insegnamentogenerale che gli screening hannoappreso dal confronto con la popo-lazione straniera: «la necessità dielaborare e impiegare un messag-gio semplice». Un insegnamento che si riveleràutile anche nel rapporto con i citta-dini italiani. «Perché — concludePetrella — esistono ampie fascedella popolazione italiana, menoriconoscibili degli immigrati, mache vivono difficoltà socioecono-miche e di accesso ai programmi discreening del tutto comparabili aquelle degli stranieri. Anche conloro dobbiamo imparare a parla-re».

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DOVE C’È SCREENING, C’È UGUAGLIANZA

È noto che i programmi di screening organizzato, se benfunzionanti, contribuiscono alla riduzione dellediseguaglianze in termini di accesso alla prevenzionesecondaria. La conferma arriva anche dal sistema di rilevazione Passiche «intercetta l’adesione allo screening non soltantoall’interno dei programmi organizzati, ma anche neipercorsi spontanei», spiega Nicoletta Bertozzi deldipartimento di Sanità pubblica dell’Ausl di Cesena.Un’informazione preziosa che consente di avere il quadrocomplessivo dell’attività di prevenzione nella popolazione.

Screening livellatoreI dati relativi al 2009 mostrano che sia nel caso delloscreening mammografico, sia nel caso dello screening per ilcancro del collo dell’utero le fasce più disagiate dellapopolazione - identificate attraverso il basso livello diistruzione e la presenza di difficoltà economiche - sisottopongono meno frequentemente agli esami discreening (per i dettagli vedi la sezione “I numeri delloscreening”).Tuttavia, aggiunge Bertozzi, «ala situazione è totalmentediversa laddove ci sono programmi di screeningorganizzato efficaci, cioè in grado di invitare almeno il 50per cento della popolazione target. In tal caso la forbice trafasce più disagiate della popolazione e quelle più agiate siriduce notevolmente». Nel caso dello screening del cancro della mammella ladifferenza di adesione tra le fasce più istruite e quelle menoistruite è del 4 per cento (mentre supera il 20% laddove iprogrammi di screening sono meno efficienti), quella tra lefasce più ricche e quelle più povere è del 6,9% (contro il17,8%). Meno ampia la riduzione delle diseguaglianze nelloscreening del cancro del collo dell’utero: la differenza diadesione tra le fasce più istruite e quelle meno istruite è del7,4 per cento (contro il 10,1%), quella tra le fasce più ricchee quelle più povere è del 6,2 per cento (contro il 10,3%).In entrambi i casi, però, gli screening dimostrano di «ridurrele diseguaglianze. Ed è questo uno degli obiettivi dellasanità pubblica», conclude Bertozzi.

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in quasi tutte le Asl d’Italia. Avvicinare gli immigrati ai servizisanitari è una necessità che nonpuò più essere procrastinata. Tutta-via - aggiunge - occorre farlo inmaniera equa e appropriata, facen-do loro capire che non è soltantocon gli atti sanitari complessi che sigarantisce la salute, ma ancheattraverso l’educazione sanitaria,l’adozione di stili di vita corretti e dipratiche di prevenzione come gliscreening». Il progetto sembra funzionare,anche se spesso si scontra con«risorse economiche insufficientiche non consentono di utilizzare imediatori». Ancora, purtroppo, «sifa fatica a percepire questa spesacome investimento. Occorre unarivoluzione culturale che facciacomprendere che la spesa inizialeriduce le spese future e, soprattut-to, serve a migliorare la salute dellapopolazione», conclude Morrone.

prevede il divieto, per il personalesanitario, di segnalare agli organi dipolizia la condizione di irregola-rità». Nonostante ciò, il rapporto degliimmigrati con i servizi di prevenzio-ne non sembra cambiare e ha con-seguenze devastanti sulla loro salu-te, soprattutto nel caso dei tumori:«da una nostra piccola rilevazioneabbiamo osservato, per esempio,che i tassi di cancro dell’utero sonofino a tre volte più frequenti nellestraniere. E quasi sempre in stadioavanzato».

Parlare la lingua degli immigrati

Serve quindi un cambiamentoforte nei servizi sanitari, che sem-pre più sono chiamati a diventaremulticulturali e ad affiancare all’e-rogazione di prestazioni sanitarieuno sforzo comunicativo a cui nonsempre sono abituati.«Dal febbraio 2009 abbiamo dato ilvia a un importante progetto chemira proprio alla creazione di unponte tra strutture sanitarie e

popolazione immigrata. Si chiama“Promozione dell’accesso dellapopolazione immigrata ai servizisociosanitari e lo sviluppo delleattività di informazione ed orienta-mento socio-sanitario nelle Asl ita-liane”e consiste nella formazione di200 mediatori linguistici e culturali

«Non siamo ancora riusciti a crea-re un modello culturale per inserireefficacemente gli stranieri nelleattività di prevenzione». Aldo Mor-rone, direttore generale dell’Istitu-to nazionale per la promozionedella salute delle popolazionimigranti e il contrasto alle malattiedella povertà, illustra il rapportoche gli immigrati presenti in Italiahanno con la propria salute. Nelnostro Paese: «gli immigrati usanoancora le strutture sanitarie pubbli-che soltanto in presenza di patolo-gie eclatanti. Per questo si rivolgo-no quasi esclusivamente al prontosoccorso e soltanto quando lemalattie sono in uno stadio avanza-to. Non è un caso che dall’analisidelle schede di dimissione ospeda-liera emerga che il parto e i traumisono le prime ragioni di accesso aiservizi sanitari», dice Morrone.

La legge non bastaEppure, «abbiamo una dellemigliori leggi al mondo per quantoriguarda l’accesso ai servizi sanitari:la Turco-Napolitano che dà la possi-

bilità di rivolgersi al Servizio sanita-rio nazionale anche a quanti nonsono in regola con il permesso disoggiorno. Si tratta di un ottimostrumento per controllare e moni-torare tutte le patologie, anchenegli immigrati irregolari. Il comma 5 dell’articolo 35, poi,

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Lotta alle diseguaglianze

Quanto è lontana la prevenzioneGli immigrati che vivono in Italia accedono al Servizio sanitario nazionale quasi esclusivamente per patologie in stato avanzato, traumi o per par-torire. Occorrono un nuovo modello culturale e personale specificamente formato per sensibilizzare gli stranieri all’importanza prevenzione.

A dispetto delle buone leggi il rapporto degli immigrati con i

servizi di prevenzione non sembra cambiare nel tempo, con

conseguenze pesanti sulla loro salute

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de sanitarie, era riuscito a invitarepoco meno del 70 per cento delledonne appartenenti alle nuovefasce: il 60% di quelle comprese trai 45 e i 49 anni e la quasi totalità diquelle tra i 70 e i 74 anni. Ottima anche la risposta delledirette interessate: ha aderito alloscreening più del 60% della fasciapiù giovane e il 65% di quella piùanziana. Valori non distanti daquelli delle fasce di età che sono

tradizionalmente invitate a sotto-porsi allo screening.Se nella popolazione più in là congli anni questi tassi di adesione dasubito così alti si possono spiegarecon l’abitudine a sottoporsi ai test

periodici, per la popolazione piùgiovane potrebbe esserci una chia-ve di lettura particolarmente allet-tante: «stiamo intercettando ledonne che si sottopongono abi-tualmente allo screening sponta-neo. È infatti la fascia di età 45-49quella che più ricorre a questaforma di prevenzione», sottolineaNaldoni. Parte del merito va sicuramentealle campagne di informazione che

«hanno contribuito a creare la con-sapevolezza. Ma quello che conta econvince la donna a prendere parteallo screening è la lettera di invitorecapitata a casa», conclude ilresponsabile regionale.

Ricerca e innovazione

ESTENSIONE DELLE FASCE… A CHE PUNTO SIAMOPer prima tra le Regioni italiane, l’Emilia Romagna lo scorso gennaio ha esteso lo screening mammografico alle donne tra i 40 e i 49 anni e a quel-le tra i 70 e i 74 anni, con un impegno organizzativo ed economico notevole. Buona, per ora, la risposta dei programmi regionali e delle donne.

A gennaio del 2010, l’EmiliaRomagna, prima Regione in Italia,ha ampliato l’offerta dello scree-ning mammografico, estendendo-lo anche a fasce di età che tradizio-nalmente non sono invitate a sot-toporvisi: le donne tra i 45 e i 49anni (con una periodicità annuale)e quelle tra i 70 e i 74 anni (conperiodicità biennale). «Evidenze scientifiche dimostranoche l’estensione della mammogra-fia fino a comprendere la fascia dietà 45-74, riduce la mortalità. Eccoil razionale della nostra scelta»,spiega Carlo Naldoni, responsabiledei programmi di screening onco-logici per la Regione Emilia-Roma-gna.

Una sfida complessaTuttavia, l’aumento della popola-zione obiettivo e il fatto di doverricomprendere nei programmifasce di età fino a quel momentonon abituate a sottoporsi alloscreening, comporta uno sforzoorganizzativo notevole e il succes-so di una simile iniziativa non è pernulla scontato. Nel caso dell’Emilia Romagna, lapopolazione target è passata dacirca 550mila donne a oltre850mila per biennio, con unaumento di oltre l’80 per cento.Ebbene: secondo rilevazioni perio-diche effettuate, la risposta sia intermini organizzativi sia di adesio-ne da parte delle donne è «più chesoddisfacente», afferma Naldoni.«Quasi sorprendente».

Risultati incoraggiantiAl 30 settembre 2010, il program-ma di screening della Regione, purcon qualche differenza tra le azien-

«Stiamo intercettando le donne che si sottopongono

abitualmente allo screening spontaneo. È infatti la fascia di

età 45-49 quella che più ricorre a questa forma di prevenzione»

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impatto degli screening sulla morta-lità e tassi più alti di sovradiagnosi. «Sono studi che contestiamo dalpunto di vista metodologico –afferma Paci - o perché hannotempi di osservazione moltobrevi».

Un concetto chiaveIn ogni caso il dibattito sulla sovra-diagnosi continua. E non si trattasoltanto di discettazioni tra tecnici:un maggiore tasso di sovradiagnosisignifica un aumento dei tratta-menti non necessari e quindi unpeggiore rapporto beneficio/rischio dello screening mammogra-fico. In definitiva, dall’ampiezza diquesta “entità” dipende anche l’ac-cettabilità dello screening stesso. Ed è su questo dato che puntanogli oppositori dei programmi orga-nizzati di screening: «Ci sono sem-pre stati - spiega Paci - e sostengo-no che piuttosto che sugli scree-ning si dovrebbe investire su altro,per esempio sulla terapia. Unalunga discussione che ha spessotrovato il sostegno di importantiriviste scientifiche».Intanto quest’anno c’è ulterioreelemento sul tavolo: quanto l’e-stensione delle fasce beneficiariedello screening mammograficopossa contribuire ad aumentare itassi di sovradiagnosi. «Non esisto-no ancora dati in merito data lanovità delle esperienze ma ritengoche abbia un impatto minimo che,al più, riguarderà le donne nellefasce più anziane», conclude Paci.

l’European Screening Network. Imaggiori esperti di screening euro-pei si stanno confrontando peravviare una valutazione condivisadei programmi di screening attivinel continente. Dopo una revisionedei lavori scientifici fin qui prodotti,questa collaborazione produrràentro la primavera del 2011 unposition statement che esprimeràl’opinione condivisa su rischi ebenefici dei programmi di scree-ning mammografico».

La discussione continuaForse non sarà sufficiente a chiude-re la discussione sulla sovradiagno-si, «ma ci sarà una riduzione del

disaccordo e avremo cercato didarci una metodologia comune»,sottolinea l’epidemiologo. Il primo workshop si è tenuto aFirenze nel mese di novembre 2010e nel corso dell’incontro sono statipresentati ulteriori dati relativi alprogramma di screening mammo-grafico fiorentino, «che conferma-no sia la riduzione della mortalitàottenuta grazie allo screening, siaun rischio contenuto di sovradia-gnosi». Dati in contrasto con molti studipubblicati nel corso dell’anno cheevidenziavano, invece, un ridotto

Anche il 2010 è stato un annopassato sotto i riflettori per lasovradiagnosi, dopo la pubblica-zione su importanti riviste interna-zionali di diversi studi che discuto-no l’efficacia dello screening mam-mografico.«Il problema rimane ancora l’inter-pretazione corretta dei dati prodot-ti e la definizione di questa entitàche chiamiamo sovradiagnosi»,spiega Eugenio Paci dell’Istitutoper lo studio e la prevenzioneoncologica di Firenze.

Definire e misurareLa definizione corrente è: «il nume-ro di casi di tumore che non sareb-

bero diventati clinicamente rile-vanti se non si fosse eseguito loscreening». Ma tradurre questa descrizione intermini operativi e rendere quindila sovradiagnosi un oggetto misu-rabile è molto più complesso: «lasovradiagnosi si può misurare soloepidemiologicamente e dopomolti anni di attività di un pro-gramma di screening», aggiungePaci. Per farlo occorrono solide basimetodologiche che consentano diprevenire futuri disaccordi: «è perquesta ragione che è stata avviatauna collaborazione nell’ambito del-

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Ricerca e innovazione

Sovradiagnosi, un’entità in cerca di definizioneContinua il dibattito sulla sovradiagnosi dopo la pubblicazione di diversi studi che giudicano particolarmente elevato il suo impatto. I maggiori esper-ti di screening europei elaboreranno nei prossimi mesi un position statement che esprimerà l’opinione condivisa su rischi e benefici degli screening.

«Il problema rimane ancora l’interpretazione corretta dei dati

prodotti e la definizione della sovradiagnosi, un concetto che si

può misurare solo epidemiologicamente e dopo anni di attività»

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l’offerta e di costruzione del percor-so diagnostico e terapeutico neicasi in cui il test di screening risultipositivo.Ma non è fatica sprecata. Questacapacità di organizzazione, oltre aessere di beneficio per ipazienti, si traduce in unmiglioramento complessivodei processi di cura. Quando ci si abitua a un per-corso che segue il paziente intutte le fasi, quando si struttu-ra un intervento terapeutico cheprevede anche un monitoraggiopost trattamento, si fa tesoro diquesta esperienza e la si estendeanche a coloro che hanno manife-stato la patologia al di fuori degliscreening. L’intero sistema ne escemigliorato».

E come la mettiamo con i costi?Sembra necessario un forteimpegno economico, il cui impat-to è ancor più rilevante in unmomento di crisi come quelloattuale in cui, non solo l’econo-mia globale è alle prese con unadifficile congiuntura economica,ma molte Regioni versano ingravi difficoltà. «Nel caso dell’Emilia Romagna, perfortuna, non ci sono particolari dif-ficoltà economiche. Tuttavia, c’è un aspetto spesso sot-taciuto. Nonostante la loro com-plessità, gli screening non assorbo-no una quantità così elevata dirisorse. Per rimanere al caso dell’E-milia Romagna, nel 2009, la spesaper i servizi offerti dal servizio sani-tario regionale ammontava a circa8,2 miliardi di euro. I programmi discreening hanno contribuito peruna parte piccolissima (il 2 permille) a questa cifra. E l’estensione

dello screening mammografico alledonne con età compresa tra 45 e49 anni e tra 70 e 74 anni (vedi box)porta questa la spesa per gli scree-ning al 2,6 per mille. Parliamo dicirca 20 milioni di euro: è davvero

una piccola fetta.Tanto per fare un confronto,nel 2009, la spesa per farmacioncologici utilizzati in ambitoospedaliero o a distribuzionediretta è stata di circa 125milioni di euro: più di 6 volte la

spesa per i programmi di scree-ning».

C’è un ultimo aspetto che sem-brerebbe giocare a sfavore degliscreening: i risultati che consen-tono di ottenere, in termini diriduzione dell’incidenza deitumori e di mortalità, sono cosìlontani nel tempo da renderlipoco spendibili sul piano politico. «Il ritorno dei programmi di scree-ning di certo non è immediato, maè presumibile che nel tempo pos-sano consentire di ottenere unamigliore aspettativa di vita inbuona salute per i cittadini e unminor ricorso ai servizi sanitari equindi una riduzione della spesaper il servizio sanitario. La buona politica è quella che rie-sce con le risorse disponibili a farein modo che i bisogni di salute rile-vanti siano soddisfatti attraversol’offerta di servizi di qualità e acces-sibili. In sostanza, la buona politica èquella che dà ai cittadini quello cheserve e che ha dimostrato di essereefficace. E lo dà a tutti quelli che nehanno bisogno. E questo è un tratto che connota iservizi di prevenzione collettivacome gli screening».

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PERCHÉ SCEGLIERE I PROGRAMMI DI SCREENINGColloquio con Mariella Martini, Direttore Generale Sanità e politiche sociali della Regione Emilia RomagnaALTRA RIGA SOMMARIO

Le domande di fondo

I programmi di screening sonoun intervento costoso per laSanità pubblica, complessi daorganizzare e ancor più da gesti-re nella loro realtà quotidiana. Perché dunque, un decisore,dovrebbe sostenerli e promuo-verli?«Credo che sia un dovere, per chi sioccupa di pianificazione dei serviziche possono contribuire a miglio-rare la salute della popolazione,offrire in maniera proattiva quelleprestazioni di diagnosi e terapiache le evidenze di efficacia mostra-no essere necessarie. Gli screening fanno parte di questogruppo di prestazioni. Non si parte con un programma discreening se non ci sono robusteevidenze scientifiche sulla sua effi-cacia nel consentire una diagnosiprecoce, né lo si attiva se non sidispone di un test adeguatamentesensibile e specifico. Ma quandoesistono questi due elementi, allo-ra è opportuno, raccomandabile eperfino doveroso da parte di unServizio sanitario universalisticooffrire questa modalità di indaginea tutta la popolazione. E occorre farlo in maniera proattiva,senza aspettare che siano gli indivi-dui a richiedere la prestazione. Eancora non basta: serve una solleci-tazione per recuperare i nonrispondenti, in modo che tuttiquelli che possono trarre beneficioda questo intervento siano messi incondizione di aderire».

Ciò non toglie che mettere inpiedi un programma di scree-ning costi gran fatica...«Certo, organizzare un programmaè impegnativo, richiede una robu-sta capacità di pianificazione del-

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tando la strada dell’integrazione trale due modalità di prevenzione.

Come valutare lo screeningspontaneo

«La cosa più importante è nondisperdere le informazioni e sotto-porre a valutazione anche lo scree-ning spontaneo», spiega GiorgiRossi che auspica che «si prenda attoche esistono entrambi i percorsi e sitenti di riportare lo screening spon-

taneo a protocolli più appropriati».La raccolta delle informazioni è ilpasso essenziale: anche all’internodei percorsi spontanei è necessarioche vengano registrati «il numero diesami fatti, la proporzione di risulta-ti positivi e negativi, tra i casi positi-vi quanti sono stati confermaticome tumori e quanti non confer-mati. Infine, a due anni da un esitonegativo, quanti cancri intervallosono stati diagnosticati. È una misu-ra, quest’ultima, dei fallimenti intermini di falsi negativi», aggiunge.Soltanto attraverso il recupero diqueste informazioni è possibilevalutare lo screening spontaneo ericondurre le donne a un regime diappropriatezza, riducendo i percor-si fai da te che finiscono con aumen-tare i costi e tutti i possibili effetticollaterali connessi ai test di scree-ning: sovradiagnosi sovratratta-mento, troppi approfondimenti nonnecessari e ansia per le donne.

Al di là della limitata disponibilitàdi tempo dei professionisti, che èspesso all’origine di lunghe liste diattesa, «la doppia lettura garantisceun’altissima qualità nell’abbassa-mento dei falsi negativi. In pratica,la mammografia effettuata in regi-me di screening garantisce unaqualità maggiore in un minoretempo».E questo è un gran guadagno per ladonna e per il Ssn. Tuttavia sembraesistere una percentuale incompri-

mibile di donne che ricorrono alloscreening spontaneo. Per questaragione, da tempo, a fianco al ten-tativo di recupero delle donne aiprogrammi di screening, si sta ten-

La mammografia è il più costosotra gli esami di primo livello all’inter-no dei programmi di screening. Perquesta ragione ogni procedurainappropriata crea un danno piùgrande al Servizio sanitario naziona-le in termini di costo e opportunità. «È difficile stimare il costo reale diuna mammografia all’interno delServizio sanitario nazionale», spiegaPaolo Giorgi Rossi, dell’Agenzia disanità pubblica della Regione Lazio. «Un aspetto però è certo: la diffe-renza tra una mammografia fatta inregime di screening e una fatta inregime clinico è enorme. Se unamammografia di screening occupaun mammografo per 8 minuti, unain regime clinico ne occupa 20. Dif-ferenze importanti si riscontranoanche se si valuta il tempo spesodal radiologo per effettuare l’esamee per la lettura del referto. In regimeclinico, il radiologo è presente pertutta la durata dell’esame (20 minu-ti), mentre nel caso degli screeningsi “spendono” 2 minuti per ciascunalettura, (i programmi di screeningprevedono sempre una doppia let-tura della mammografia)».

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Le domande di fondo

Quanto costa la spontaneitàÈ ancora elevato il numero di donne che si sottopone agli esami al di fuori dei programmi di screening. Tuttavia, nel caso della mammografia, i costiper il Servizio sanitario nazionale sono ben più alti che negli altri test di screening. E senza qualità aggiuntiva per la donna. Anzi.

Bisognerebbe prendere atto che esistono entrambi i percorsi e

tentare di riportare lo screening spontaneo a protocolli più

appropriati senza disperdere le informazioni

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Si ritorna a parlare di screeningdel cancro alla prostata. La pubblicazione di due studi ran-domizzati - i primi - che hanno evi-denziato la capacità del test del Psa(Prostate-specific antigen) di ridurrela mortalità nel lungo periodo ecampagne di comunicazione chene hanno promosso un ricorso dimassa hanno rischiato di creareconfusione su un esame la cui effi-cacia come test di screening èancora tutta da valutare. «Siamo di fronte a uno dei proble-mi tipici della medicina moderna:l’incertezza», spiega Marco Zappa,direttore dell’Osservatorio naziona-le screening. La valutazione della semplice effi-cacia di un test, infatti, non è suffi-ciente a giustificarne l’impiegocome fondamento di un program-ma di screening. È necessario infat-ti che si compia anche una “pesatu-ra” dei rischi che comporta.

Evidenze da pesareI due studi, in particolare il trialeuropeo ERSPC (European Rando-mized Study of Screening for Pro-state Cancer), iniziato nei primianni ‘90, ha mostrato che a 9 annidall’inizio dei periodici controlli peril Psa, la popolazione sottoposta altest presentava una riduzione dellamortalità del 27% rispetto a chinon aveva effettuato l’esame. «A questo punto abbiamo la sicu-rezza che la diagnosi precoce puòridurre la mortalità», aggiungeZappa. «Il problema che si pone,però, è che questo avviene al prez-zo di effetti negativi molto alti,come confermano gli elevati tassidi sovradiagnosi (intorno al 50 percento). Ciò significa che vengonotrovati molti tumori che non sareb-bero mai comparsi nella storia dellapersona».

Non solo: dal momento che «ogginon siamo in grado di riconoscerequali tumori sono aggressivi e qualino, si è costretti a trattarli tutti, ocon la chirurgia o con la radiotera-pia. E gli effetti di questi trattamentipossono essere molto pesanti:incontinenza e impotenza sonoquelli più comuni, ma in alcuni casisi può arrivare fino la morte». In cifre, lo studio ERSPC mostra cheper ogni vita salvata dallo scree-ning è necessario sottoporre al testdel Psa più di 1400 uomini e dia-gnosticare - e quindi trattare - 48tumori alla prostata aggiuntivi.Ecco l’incertezza. Che ha portatonel 2009 un gruppo di professioni-sti degli screening coordinato dal-l’Ons a produrre un documentosottoscritto da numerose societàscientifiche e associazioni.

La posizione Ons«In questo documento si fa il puntodella questione, si affrontano leincertezze e si danno delle racco-mandazioni che sono utili ai profes-sionisti e a chi si occupa della pro-grammazione regionale», spiegaZappa.«Innanzitutto si raccomanda chenon vengano attivati programmi disanità pubblica che prevedanol’impiego del test del Psa comeesame per la diagnosi precoce deltumore della prostata, dal momen-to che il bilancio benefici/rischi aoggi è svantaggioso. Sul piano indi-viduale - prosegue - è un problemadi scelta personale». Nonostante le incertezze sulla suaefficacia, il test del Psa è impiegatoda circa un terzo della popolazionemaschile con più di 18 anni, secon-do uno studio del 2004. «Questa estesa diffusione del test ei nuovi dati sull’efficacia dell’esame

impongono che il cittadino siainformato nel migliore dei modi -aggiunge Zappa - mettendo in lucechiaramente i benefici e i rischi». L’informazione, tuttavia, deve esse-re il risultato di una cura ancoramaggiore nel caso in cui sono leistituzioni a fornirla: « è strategicoformare le Regioni perché intra-

prendano campagne informativacorrette. Abbiamo esempi di cam-pagne che spingono in manieraacritica a fare il test del Psa: sonointerventi sbagliati e disinformativi.Invece, occorre coinvolgere nel-l’informazione i professionisti sani-tari, come l’urologo o il medico dibase» sottolinea il direttore di Ons. Infine dal documento arriva unaraccomandazione perentoria per lepersone con più di 70 anni: «sopraquesta soglia di età il test va disin-centivato. L’aspettativa di vita èinsufficiente per godere dei van-taggi, mentre i rischi sono ancorapiù elevati che nella popolazionepiù giovane». Il documento, tuttavia, secondo gliestensori, non mette il punto finealla vicenda. «C’è la volontà diandare avanti, di seguire gli studi incorso e adeguarlo sulla base dellenuove prove di efficacia che, even-tualmente, verranno prodotte»,conclude Zappa.

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Nella letteratura scientifica cominciano a emergere studi clinici che confermano la capacità del dosaggio del Psa di ridurre la mortalità per tumoredella prostata. Ma i rischi di sovradiagnosi e sovratrattamento sono ancora troppo alti per poterlo raccomandare in programmi di sanità pubblica.

Psa: novità, ma insufficienti

La diffusione estesa del testi e i nuovi dati

sull’efficacia dell’esame impongono che il

cittadino sia informato nel migliore dei

modi

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I dati che presentiamo nelle prime pagine di questa sezione sono stati forniti dai singoli programmi discreening della mammella attraverso una scheda di raccolta dati standardizzata. Le informazioni contenute in ciascuna scheda, validate dai rispettivi centri regionali di riferimento, ven-gono poi aggregate a livello nazionale dall’Osservatorio nazionale screening (che ha sede presso l’Ispodi Firenze) su mandato del Ministero della Salute.

Il monitoraggio dell’attività utilizza come riferimento gli indicatori di qualità per la valutazione dei pro-grammi di screening, definiti dal Gruppo italiano screening mammografico (Gisma). Per la gran parte diquesti indicatori sono stati anche identificati livelli standard accettabili e desiderabili, che costituisco-no il riferimento per la valutazione dei risultati raggiunti e per il confronto tra i diversi programmi.

Il nostro ringraziamento va ai moltissimi operatori che si sono adoperati per raccogliere questi dati inmaniera accurata e tempestiva.

I dati presentati nelle pagine 29 e 30 provengono dal Sistema di sorveglianza Passi. Nel 2006 il ministero della Salute ha affidato al Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e pro-mozione della salute (Cnesps) dell’Istituto superiore di sanità il compito di sperimentare un sistema disorveglianza della popolazione adulta (Passi: Progressi delle Aziende Sanitarie per la Salute in Italia).

L’obiettivo del sistema è stimare la frequenza e l’evoluzione dei fattori di rischio per la salute, legati aicomportamenti individuali, oltre alla diffusione delle misure di prevenzione. Tutte le 21 Regioni o Pro-vince Autonome hanno aderito al progetto. Un campione di residenti di 18-69 anni viene estratto conmetodo casuale stratificato dagli elenchi delle anagrafi sanitarie. Personale delle Asl, specificamenteformato, effettua interviste telefoniche (circa 25 al mese per ogni Asl) con un questionario standardiz-zato. I dati vengono successivamente trasmessi in forma anonima via internet e registrati in un archiviounico nazionale.

Nel 2009 sono state realizzate 39.233 interviste, di cui 16.182 donne nella fascia d’età di 25-64 anni.Per maggiori informazioni, visita il sito www.epicentro.iss.it/passi.

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Tabella 1. I dati che presentiamo sono una sintesi di quelli raccolti annualmen-te e si riferiscono al periodo 2005-2008, per il quale sono disponibili tutti i risul-tati conseguenti al test di screening positivo. Solo per l’adesione riportiamo ilrisultato anche per l’anno 2009.Confrontando i due bienni si registra un incremento del numero di donne italia-ne invitate ad effettuare una mammografia, che passano da quasi 3.900.000 aoltre 4 milioni e 600mila, con un incremento del 19%. Il 2009 mostra un ulterio-re ampliamento. L’adesione all’invito mostra un lievissimo calo nel secondoperiodo, passando dal 57% al 56%, valore che si registra anche per il 2009. Siconferma una maggiore partecipazione nelle due classi di età centrali.Ogni 100 donne esaminate, circa 6 vengono chiamate a effettuare un supple-mento di indagine, solitamente una seconda mammografia, un’ecografia e unavisita clinica. Il numero di carcinomi diagnosticati allo screening arriva vicino a 12.000 unitànel biennio 2006-07 (contro quasi 2.000 lesioni benigne), con un tasso di identi-ficazione dei tumori abbastanza stabile nei due periodi: circa 5 casi ogni 1.000donne sottoposte a screening.

Tabella 1Dati nazionali di attività discreening mammografico

2005-2006 2007-2008 2009

Numero totale di donne invitate 3.882.465 4.618.502 2.464.701

Numero di donne aderenti all’invito * 2.225.032 2.579.655 1.370.272

Adesione all’invito 57% 56% 56%

Classi di età

50-54 54% 53% 52%

55-59 60% 59% 59%

60-64 60% 60% 60%

65-69 56% 56% 58%

Numero di donne esaminate (nel periodo considerato) * * 2.229.568 2.554.759

Numero di donne richiamate per approfondimenti 139.617 144.049

Percentuale di donne richiamate per approfondimenti 6,3% 5,6%

Numero di biopsie benigne 2.138 1.964

Numero di carcinomi diagnosticati allo screening 10.529 11.707

Numero di carcinomi duttali in situ diagnosticati allo screening 1.215 1.421

Numero di carcinomi invasivi ≤ 10 mm diagnosticati allo screening 2.892 3.258

* numero di donne che hanno accettato di fare una mammografia in seguito ad invito effettuato nel periodo considerato;

* * numero di donne che hanno effettuato una mammografia nel periodo considerato, indipendentemente da quando è stato mandato l’invito.

I numeri dello screening

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I numeri dello screening

Tabella 2. Valutando i principali indicatori raccolti e confrontandoli con gli stan-dard di riferimento derivanti dall’esperienza di programmi sia italiani sia europei,si conferma un buon andamento complessivo dell’attività italiana di screeningmammografico. L’adesione supera il livello accettabile del 50%, il tasso di richiami si assesta suvalori medi intorno al 6%, il rapporto tra diagnosi istologiche benigne e malignenelle donne sottoposte a biopsia chirurgica o intervento è pienamente al disotto della soglia raccomandata.Anche altri indicatori che valutano in modo più diretto la sensibilità del pro-gramma, come il tasso di identificazione dei tumori invasivi e quello dei tumoricon diametro inferiore ai 10 mm, si dimostrano positivi. Da tenere sotto control-lo l’indicatore relativo al trattamento chirurgico conservativo dei tumori con dia-metro inferiore ai 2 centimetri: si nota, infatti, una lieve flessione nel biennio2007-2008, anche se siamo ancora alla soglia dell’accettabilità.

Tabella 3. Il periodo di tempo che intercorre tra la mammografia e il momentoin cui è possibile riferire il referto negativo o, per i casi con dubbio diagnostico,il momento in cui si effettua una seduta di approfondimento o l’intervento chi-rurgico, sono indicatori fondamentali della qualità di un programma di scree-ning. Purtroppo un gran numero di programmi italiani continua a essere in difficoltànel garantire nel tempo la buona qualità di questi indicatori. Inoltre, a esclusio-ne del tempo per la refertazione della mammografia, gli altri due indicatorimostrano una lieve tendenza al peggioramento.

Tabella 3.Tempi di attesa

Tabella 2.Principali indicatori: adesione agli standard diqualità

2005-06 2007-08 2009 Standard accettabile Gisma

Adesione grezza all’invito 57% 56% 56% > 50%

Percentuale di donne richiamate per approfondimenti

6,3% 5,6%Primo esame: < 7%

Esami succ.: < 5%

Rapporto biopsie benigne/maligne 0,20 0,17Primo esame: ≤ 1 : 1

Esami succ.: ≤ 0,5 : 1

Tasso di identificazione dei tumori 5,81‰ 5,43‰ -

Tasso di identificazione dei carcinomi invasivi ≤ 10 mm 1,57‰ 1,5‰ -

Percentuale di trattamento chirurgico conservativo nei tumori invasivi ≤ 2 cm

88,6% 84,9% > 85%

2005-2006 2007-2008 Standard accettabile Gisma

Invio dell’esito per i casi negativi entro 21 giorni dall’esecuzione della mammografia 70,4% 71,7% 90%

Approfondimento entro 28 giorni dall’esecuzione della mammografia 66,9% 65,5% 90%

Intervento entro 60 giorni dall’esecuzione della mammografia 57,7% 56,7% -

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La tabella 4 presenta i dati per macroaree geografiche: Nord, Centro, Sud eIsole. Appare subito chiaro lo scollamento tra i risultati del Nord e Centro Italia equelli delle zone meridionali e insulari. Il divario riguarda sia il numero di inviti(nel Sud l’attivazione dei programmi è molto più recente e incompleta rispettoal resto del Paese), sia la qualità degli indicatori presi in considerazione, anche senel 2009 alcuni di questi suggeriscono una tendenza al miglioramento per learee meridionali.Al Nord l’adesione si mantiene stabile intorno al 61%, mentre al Centro si regi-stra un lieve calo nel 2009 (si passa dal 56% al 54%), pur mantenendosi sempreal di sopra della soglia di accettabilità. Nel 2009 il Sud mostra un incremento diquasi 5 punti percentuali, ma l’adesione presenta ancora valori di circa un 15-25% in meno rispetto al Centro-Nord, e non riesce mai a raggiungere la soglia diaccettabilità. Anche il numero di donne richiamate al secondo livello, il tasso di identificazio-ne dei tumori e la percentuale di donne con lesioni piccole sottoposte a tratta-mento chirurgico conservativo presentano lo stesso divario se confrontati con idati delle aree del Centro-Nord.

Tabella 4.Principali indicatori perarea geografica

Nord Centro Sud e Isole

2005-06 2007-08 2009 2005-06 2007-08 2009 2005-06 2007-08 2009

Numero totale di donne invitate 2.425.892 2.778.513 1.439.671 964.326 1.110.565 600.102 492.247 729.424 424.928

Numero di donne aderenti all’invito *

1.493.243 1.697.933 879.157 544.201 622.604 320.752 187.588 259.118 170.363

Adesione all’invito 62% 61% 61% 56% 56% 53% 38% 35% 40%

Numero di donne esaminate nel periodo * *

1.519.549 1.706.529 534.051 585.073 175.968 263.157

Proporzione di donne richiamateper approfondimenti

6,3% 5,4% 5,8% 5,5% 7,8% 7,6%

Biopsie benigne 1.612 1.332 368 458 158 174

Tasso di identificazione dei carcinomi

6,05‰ 5,35‰ 5,63‰ 6,05‰ 4,08‰ 4,47‰

Tasso di identificazione dei carcinomi invasivi ≤ 10 mm

1,57‰ 1,46‰ 1,68‰ 1,9‰ 1,3‰ 0,84‰

Percentuale di trattamento chirurgico conservativo nei tumori invasivi ≤ 2 cm

90% 85,8% 90% 83,4% 63,9% 79,8%

* numero di donne che hanno accettato di fare una mammografia in seguito a invito effettuato nel periodo considerato;

* * numero di donne che hanno effettuato una mammografia nel periodo considerato, indipendentemente da quando è stato mandato l’invito.

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Tabella 5. Una parte dei programmi di screening italiani (in termini di volume diattività, questi programmi coprono circa la metà degli esami di screening effet-tuati in Italia) forniscono informazioni dettagliate sull’indagine diagnostica esulla terapia dei casi trovati allo screening, nell’ambito della cosiddetta surveySQTM. Dal 1997 questa indagine permette di disporre di una fotografia precisadell’intero percorso assistenziale generato dallo screening. Il confronto degliindicatori SQTM raccolti nei due periodi è confortante e permette di cogliere ungenerale sforzo di correzione con alcuni miglioramenti misurabili. L’indicatore sulla diagnosi pre-operatoria è sensibilmente migliorato. È infattiimportante che il chirurgo, al momento dell’intervento, sia a conoscenza delladiagnosi e possa operare subito in modo definitivo. La diagnosi attraverso loscreening di tumori in situ piccoli e a prognosi favorevole consente di conserva-re la mammella nella grande maggioranza dei casi (oltre il 90% in entrambi iperiodi). Nei pochi casi in cui si rende necessaria la mastectomia, sia in caso dicarcinoma invasivo che di tumore in situ, l’intervento dovrebbe essere accompa-gnato dalla ricostruzione della mammella. Questa procedura è in aumento dal44% al 58% nei due bienni. Negli ultimi anni la dissezione ascellare è stata gra-dualmente sostituita dalla pratica del linfonodo sentinella, molto più gradita alledonne per la semplicità e il minor tasso di complicanze. L’obiettivo è che questa tecnica venga praticata in almeno il 95% dei casi in cui ilinfonodi non sono affetti dalla malattia. Da questo punto di vista il progresso trai due periodi di tempo è stato notevole (dal 76% all’86%), anche se occorre incre-mentare ulteriormente gli sforzi.

D’altro canto, l’obiettivo sui tempi di attesa non è stato raggiunto e poco piùdella metà delle donne esegue l’intervento entro un mese dalla decisione dioperare. Anche se l’efficacia dell’intervento non è compromessa, un’attesaeccessiva può indurre ansia e riflessi negativi sulla qualità della vita. Questi risul-tati devono pertanto suscitare attenzione ed essere corretti, pur mantenendo laraccomandazione di servirsi dei centri clinici di maggiore qualità e preferibil-mente dedicati in modo specialistico al tumore della mammella.

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I numeri dello screening

2005-2006 2007-2008 Standard accettabile Gisma

Disponibilità della diagnosi pre-operatoria 74,2% 76,2% > 70%

Chirurgia conservativa (in situ entro 2 centimetri) 90,9% 91,1% > 85%

Ricostruzione immediata dopo mastectomia 44,4% 58,1% -

Solo linfonodo sentinella nei carcinomi invasivi con linfonodi negativi 76,1% 85,6% > 95%

Intervento entro 30 giorni dalla prescrizione 60% 54,7% > 80%

Tabella 5.Dati di trattamento – survey SQTM (screening mammografico)

Il progetto SQTM

SQTM (l’acronimo sta per Scheda sulla qualità della diagnosi e della terapia del carcinoma mammario) è

un software che si propone di facilitare il monitoraggio della qualità della diagnosi, del trattamento e del

follow up del carcinoma mammario e degli indicatori di efficacia dello screening mammografico.

Il progetto è condotto da un gruppo multidisciplinare del Gisma. Coordina il progetto l’unità di

Epidemiologia del Centro di riferimento regionale per l’epidemiologia e la prevenzione oncologica (CPO-

Piemonte) di Torino.

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LO SCREENING DEL TUMORE DELLA MAMMELLA, VISTO DA «PASSI»

Sulla base dei dati raccolti dal sistema di sorveglianza Passi, si stima che in Ita-lia nel 2009 circa due donne 50-69enni su tre (68%) abbiano eseguito una

mammografia preventiva. La copertura complessiva al test di screening rag-giunge valori più alti al Nord (80%) e al Centro (75%) ed è significativamente piùbassa al Sud (48%), come indicano le figure 1 e 2.Il sistema Passi informa sulla copertura complessiva al test, comprensiva sia dellaquota di mammografie effettuate all’interno dei programmi di screening orga-nizzati sia di quelle effettuate come prevenzione individuale (vedi box). Per quanto riguarda il ricorso ai test al di fuori dei programmi di screening orga-nizzati, le donne eseguono la mammografia in percentuale più bassa rispetto alPap test: a livello nazionale si stima infatti che poco meno di una donna su cin-que (18%) abbia eseguito lo screening mammografico come prevenzione indi-viduale (range: 8,5% Umbria – 41,1% Liguria) rispetto a circa una donna su tredello screening cervicale (37%).

50%

17%17%

19%

63%58%

29%

18%

68%

80%75%

48%

Pool di Asl Nord Centro Sud

al di fuori dello screening organizzatoall’interno dello screening organizzato

Fig. 1 Mammografia eseguitanegli ultimi 2 anni (%)donne 50-69enni (%) Pool PASSI 2009 (n. 7349)

Fig. 2 Mammografia eseguitanegli ultimi 2 anni (%)donne 50-69enni (%) Pool PASSI 2009 (n. 7349)

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I numeri dello screening

Tra le Regioni partecipanti al Passi sono presenti significative differenze nellacopertura, come indica la figura 3 si va dal 39% della Campania all’86% dellaLombardia.L’età media alla prima mammografia è di 45 anni: il 61% delle donne ha riferitodi aver effettuato una mammografia preventiva almeno una volta nella vita nellafascia pre-screening 40-49 anni, percentuale significativamente più bassa al Sud(53%).

all’interno screening organizzato al di fuori dello screening organizzato

73 76

55 72 71 67 64 60

34

64 50

58 48 50 57

44 30 32 28 27 31 24

13 9 29

11 12 15 18 21

41

9 22 13

22 18 6 19

28 17 20 20 13 15

0 10 20 30 40 50 60 70 80 90

100

Lombard

ia* To

scana

P.A. B

olzano

P.A. T

rento

Emilia

-Rom

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Lazio

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Campania

%

Fig. 3 Mammografia eseguitanegli ultimi 2 anni (%) per Regione donne50-69enni (%) Pool PASSI 2009 (n. 7349)

*regioni che non hanno aderito con un campione regionale

Il confronto tra organizzato e spontaneo: il pagamento come indicatore

La stima della copertura dentro e fuori dai programmi di screening organizzati è stata effettuata mediante

un indicatore proxy sull’aver pagato o meno l’esame. Per pagamento si intende sia quello relativo al costo

completo dell’esame che quello del solo ticket. L’utilizzo di questo indicatore può comportare una leggera

sovrastima della copertura effettuata all’interno dei programmi principalmente per tre motivi: alcune

donne effettuano l’esame gratuitamente anche al di fuori dei programmi di screening organizzati (per

esempio in base all’articolo 85 della legge 338/2000 - finanziaria 2001). Alcune donne non ricordano

esattamente la data di esecuzione (effetto telescopico). Le rispondenti all’intervista effettuano

probabilmente la mammografia in percentuale maggiore rispetto alle non rispondenti.

Screening_MAMMO NEW 30-11-2010 12:44 Pagina 30