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Anno XVII – Numero 108 – Marzo/Aprile 2015 – Registrazione del Tribunale di Milano N°789 del 24-12-1999 ACCADEMIA DEL DIALETTO MILANESE SCIROEU de MILAN www.sciroeu.it L’ACCADEMIA E LA LINGUA DIALETTALE MILANESE Più volte abbiamo avuto modo di comuni- care che l’Accademia, ancorché non abbia una propria sede con le conseguenze orga- nizzative che ne derivano, si prodiga afin- ché il dialetto milanese possa continuare a vivere e ad essere apprezzato, conosciuto e conservato. Per adempiere a questo compito statutario, tramandatoci dai nostri predecessori, padri e fondatori dell’Accademia, i componenti del consiglio direttivo si impegnano in di- verse occasioni e manifestazioni. Oltre ai consueti corsi che i nostri soci pos- sono leggere nella rubrica “Appontament e manifestazion”, che peraltro non riportano tutte le attività svolte anche per modestia di alcuni consiglieri, vi sono quelle estem- poranee, come la collaborazione in qualità di partner nel percorso dei “30 Artisti per Expo” di cui vi abbiamo dato notizia sui Sciroeu passati. A tutte queste attività si aggiungerà, dal 3 marzo prossimo, la collaborazione con il museo Martinitt e Stelline dove si effettue- ranno periodiche “chiacchierate” sulla lin- gua dialettale. Questi pomeriggi – che si terranno tutti i primi martedì del mese dalle ore 15.00 alle ore 16.30 circa – tratteranno di grammatica, letteratu- ra, modi di dire, proverbi, mestieri e tutto quanto deriva dalla cultura dialettale della nostra città. Il primo incontro vedrà protagoniste le regole della fonetica, alcuni modi di dire ma, soprattutto vista la vicinanza delle date, liriche di Giovanni Rajberti riguardanti le 5 Giornate, tratte dalla let- teratura del prof. Claudio Beretta. Il Museo dei Martinitt Stelline è sito in Corso Magenta n. 57 e a questi incontri con il dialetto potranno accedere tutti senza alcun onere. Conidiamo quindi di trovarvi numerosi così che possiate anche conoscere il Museo che merita di essere visitato per le sue caratteristiche di inte- rattività e per la storia davvero interessante che riguarda la nostra città. Gianfranco Gandini

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Anno XVII – Numero 108 – Marzo/Aprile 2015 – Registrazione del Tribunale di Milano N°789 del 24-12-1999

ACCADEMIA DEL DIALETTO MILANESE

SCIROEU de MILANwww.sciroeu.it

L’ACCADEMIA E LA LINGUA DIALETTALE MILANESEPiù volte abbiamo avuto modo di comuni-care che l’Accademia, ancorché non abbia una propria sede con le conseguenze orga-nizzative che ne derivano, si prodiga afin-ché il dialetto milanese possa continuare a vivere e ad essere apprezzato, conosciuto e conservato.Per adempiere a questo compito statutario, tramandatoci dai nostri predecessori, padri e fondatori dell’Accademia, i componenti del consiglio direttivo si impegnano in di-verse occasioni e manifestazioni.Oltre ai consueti corsi che i nostri soci pos-sono leggere nella rubrica “Appontament e manifestazion”, che peraltro non riportano tutte le attività svolte anche per modestia di alcuni consiglieri, vi sono quelle estem-poranee, come la collaborazione in qualità di partner nel percorso dei “30 Artisti per Expo” di cui vi abbiamo dato notizia sui Sciroeu passati.A tutte queste attività si aggiungerà, dal 3 marzo prossimo, la collaborazione con il museo Martinitt e Stelline dove si effettue-ranno periodiche “chiacchierate” sulla lin-gua dialettale.Questi pomeriggi – che si terranno tutti i primi martedì del mese dalle ore 15.00 alle ore 16.30 circa – tratteranno di grammatica, letteratu-ra, modi di dire, proverbi, mestieri e tutto quanto deriva dalla cultura dialettale della nostra città.Il primo incontro vedrà protagoniste le regole della fonetica, alcuni modi di dire ma, soprattutto vista la vicinanza delle date, liriche di Giovanni Rajberti riguardanti le 5 Giornate, tratte dalla let-teratura del prof. Claudio Beretta.

Il Museo dei Martinitt Stelline è sito in Corso Magenta n. 57 e a questi incontri con il dialetto potranno accedere tutti senza alcun onere. Conidiamo quindi di trovarvi numerosi così che possiate anche conoscere il Museo che merita di essere visitato per le sue caratteristiche di inte-rattività e per la storia davvero interessante che riguarda la nostra città.

Gianfranco Gandini

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SOMMARIO

2 Sciroeu de Milan - Marz/April 2015

EDITORIALEL’Accademia e la lingua dialettale milanesedi Gianfranco Gandini

1

PROGRAMMI E SEGNALAZIONI 3

Bramante a Milanodi Francesca Piragine

4

CARLO PORTAda “Letteratura dialettale milanese” di Claudio Beretta

6

Al tempo di Tiberio di Osmano Cifaldi

8

POESIA E STILE 9

IN CARTA 10

MILAN... LA COGNOSSI? di Giorgio Moro Visconti

Via San Giovanni sul Muro11

SCIROEU DE LA PRÒSAMazzoleni, Paredi, Bossi

13

LEGGIUU E SCOLTAA 16

VEDRINA DE LA BOTANICA a cura di Fior-ella

Aglio respinge streghe e incantesimi21

Il Manzoni che non conosciamo di Osmano Cifaldi

Quella lite durata 16 anni22

CUNTA SÙ di Ella Torretta

El Taccoin23

VOS DE RINGHERA 24

SALUTE A MILANO di Filippo Bianchi

Facciamo i nostri calcoli25

FIRIFISS 27

Accademia

del Dialetto Milanese

Quote annue di adesione del 2015

Soci Aderenti da € 35,00Soci Effettivi da € 52,00Soci Sostenitori da € 180,00

La quota può essere versata su

Banca Popolare del Commercio e

dell’Industria

Iban IT24H0504801613000000003602

Agenzia 33 – via Secchi 2 – Milano

oppure: C/C Postale N°24579203

“Accademia del Dialetto Milanese”

SCIROEU de MILANEdito dall’Accademia del Dialetto Milanese

Bimestrale fondato nel 1999Reg. Trib. di Milano N°789 del 24-12-99

Direttore: Gianfranco Gandini

Fax 02 8266463

www.sciroeu.it

ACCADEMIA DEL DIALETTO MILANESESede c/o Centro Culturale di Milano

Via Zebedia 2 - 20123 MilanoTel. 3336995933 Fax 028266463C.F. 97206790152 NAT. GIUR. 12

Presidente onorario: Gino Toller Melzi

Presidente: Gianfranco Gandini

Vicepresidente: Mario Scurati

Consiglieri: Ella Torretta - Segretaria Edoardo Bossi

Lucio Calenzani

Redazione: Edoardo Bossi,

Gianfranco Gandini,

Francesca Piragine

Gino Toller Melzi, Ella Torretta,

Marialuisa Villa Vanetti

Filippo Bianchi, Osmano Cifaldi,

Fior-ella,

Giorgio Moro Visconti

E-mail: [email protected]

Realizzazione e disegni di:

Marialuisa Villa Vanetti

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PROGRAMMI

Sciroeu de Milan - Marz/April 2015 3

www.sciroeu.it

RADIO MENEGHINA

Radio Meneghina, fondata da Tullio Barbato nel 1976, sta riposizionando la sua presenza sul territorio a Milano-centro in via Caffaro e in via Trasimeno. Trasmette interventi di Luca Barbato, Mario Censabella, Ada Lauzi, Enzo Ravioli, Roberto Carusi, Gianfranco Gandini, Roberto Marelli, Giuliano Fournier, Roye Lee, Piero Bianchi, Liliana Feldman, Ella Torretta, Pierluigi Amietta, Natale Comotti, Vincenzo Barbieri, Roberto Biscardini, Michaela Barbato, Lorenzo Barbato e le dirette delle partite di calcio casalinghe dell’Inter dallo stadio Meazza. Radio Meneghina è l’emittente che riserva il maggiore spazio alla produzione dialettale di canzoni, poesie, prose.

APPONTAMENT E MANIFESTAZION:

Sabato 14 marzo h. 15.00 Sciroeu di Poetta

c/o Circolo Filologico Milanese Via Clerici 10

Manifestazion di amis

ADA LAUZI “I AMIS DE LA POESIA”

ogni terzo lunedì del mese alle 15.30presso la Sala Leonardo Murialdo della omonima parrocchia,

via Padre Leonardo Murialdo, 9 - 20147 Milano

Per ulteriori informazioni prendere contatto con Ada Lauzi al numero 02 48302536

Gino Toller Melziconversazioni

“Storia di Milano”

da giovedì 9 ottobre

dalle 16.30 alle 17.30

UNITREvia Ariberto 11 - Milano

Ella Torrettadal 30-10-2014

continuale conversazioni

“Freguj de milanes”

quindicinalmenteil giovedì alle 15.30

ed alle 16.30 “Scrivemm in milanes”

Humaniter

via S. Barnaba, 48 - Milano

El Pontesell - Biblioteca Fra’ Cristoforo - via Fra’ Cristoforo 6 - Milano

XVII Corso di Lingua e Cultura Milanese

dal 29-9-2014 tutti i Lunedì dalle 16.45 alle 19.15

Docenti: Paola Cavanna, Gianmaria Ferrari, Gianfranco Gandini, Bianca Mancuso, Pietro Passera,

Mario Torchio con la partecipazione di altri esperti. “Giornate riservate al poeta amico” e“Giornate dedicate a canzoni di tradizione e cori”

Informazioni telefoniche dalle 17,00 alle 19,00 - 02 89530231 - 02 88465806 - 02 26145172

ATTENZIONE IMPORTANTE: La riunione dei poeti è anticipata alle ore 15.00 in quanto successivamente presenzieremo alla conferenza del dottor Tullio Barbato, come da informazione a pag. 5.RACCOMANDO LA MASSIMA PARTECIPAZIONE!

Per il mese di Aprile non vi sarà la consueta riunione in funzione del salone del mobile che vedrà impegna-

to anche il Circolo Filologico. Stiamo valutando attività alternativa che verrà comunicata per tempo.

IMPORTANTE! la visita avrà inizio alle ore 15.30 quindi sarà opportuno essere presenti alle 15.15 per poter consentire le operazioni necessarie per l’accesso, grazie.

Mercoledì 11 marzo ore 15.30 visita guidata al Museo Martinitt e Stelline: prenotarsi entro mercoledì 4 marzo telefonando a Gandini 027610548 – 3336995933

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ACCADEMIA

4 Sciroeu de Milan - Marz/April 2015

Rimarrà aperta ino al 22 marzo la rassegna “Bra-mante a Milano. Le arti in Lombardia 1477-1499”. Si tratta di un’esposizione estemporanea allestita alla Pinacoteca di Brera e comprendente circa cin-quanta esemplari di grande prestigio. Con essa si intende rendere doveroso omaggio, in occasione del cinquecentenario della sua morte, ad uno degli artisti di maggior rilievo nel passaggio tra il XV e XVI secolo. Protagonista del Rinascimento italiano, Bramante fu uomo dalla personalità decisamente poliedrica. Egli si formò ad Urbino, stando a contatto con arti-sti di grande talento, attivi presso il duca Federico, come Piero della Francesca che ha giocato un ruolo fondamentale per la sua formazione. La sua fama è collegata al rinnovamento artistico portato avan-ti da Giulio II nella Roma del Cinquecento, al suo essere inventore di illusioni spaziali, alle sue genia-li progettazioni architettoniche. Ma non meno im-portante fu la sua presenza, nelle ultime due decadi del Quattrocento, nell’ambiente artistico del ducato milanese. Qui, accolto dall’aristocrazia locale, egli interagì con la vita culturale degli Sforza, ambiente in cui contemporaneamente operava, come artista di corte, Leonardo da Vinci.

La curiosità di Donato si ri-volse alle tec-niche artistiche più varie che vanno dalla pittura all’inci-sione, dalla la-vorazione della terracotta alle vetrate. Nel suo soggiorno lombardo, per molti versi an-cora legato ad un sapore tar-dogotico, egli fu capace di in-luenzare tutte le arti igurati-ve e di rinno-

vare il gusto di chiese, stanze e di ogni ambien-te in cui fu chia-mato ad operare direttamente o a prestare la sua collaborazione. Nell’evocare i momenti salien-ti della forma-zione artistica di Bramante, oltre alle ope-re del Maestro, la mostra rac-coglie capola-vori di artisti lombardi rina-scimentali che hanno subito il

suo forte fascino. A testimonianza delle ripercus-sioni profonde del linguaggio bramantesco sono presenti all’esposizione opere di Vincenzo Foppa, Bergognone e Bramantino.“Bramante a Milano” espone alcune tra le più signi-icative realizzazioni pittoriche dell’urbinate, come Uomini d’arme e il bellissimo Cristo alla colonna, unica tavola conosciuta dell’artista, opera con la quale si confrontò Vincenzo Foppa nel Martirio di

San Sebastiano. Non manca la testimonianza grai-ca nota col nome di Incisione Prevedari dal cogno-me dell’orafo e incisore Bernardino che tradusse col bulino una visione architettonica bramantesca. L’incisione, che rappresenta un grandioso interno di ediicio antico in rovina, può quasi considerarsi un manifesto contenente le tematiche fondamentali che l’artista svilupperà nel suo soggiorno in Italia settentrionale. Moltissimi furono gli artisti lombardi che s’ispirarono agli elementi strutturali e decora-tivi di questa visione e tante le opere che tentarono di realizzarne quel particolare stile architettonico. Prima fra tutte la chiesa di Santa Maria presso San Satiro che cattura chiunque vi entri per la straordi-naria illusione prospettica di un into coro ricavato nella parete di fondo.

Bramante a Milanodi Francesca Piragine

Fantasia architettonica incisa da Bernardo

Prevedari su disegno di Bramante.

Castello Sforzesco, Civica Raccolta delle

Stampe Achille Bertarelli

Cristo alla colonna, attribuito al

Bramante, Pinacoteca di Brera

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ACCADEMIA

Sciroeu de Milan - Marz/April 2015 5

La mostra ha un grande pregio: quello di stimolare il visitatore a ricercare le tante tracce della pre-senza di Bramante in terra lom-barda. Così, oltre a San Satiro, vero e proprio tesoro nascosto a due passi da Piazza Duomo, la mano dell’artista è nella Cano-nica e nei chiostri conventuali di Sant’Ambrogio o nella tribuna di Santa Maria delle Grazie o, ancora, nella Ponticella al Ca-stello Sforzesco, identiicata nel ponte coperto sul fossato ester-no al lato nord est.Ma il tour alla ricerca dell’im-pronta bramantesca potrebbe spingersi oltre ed arrivare ino alla Certosa, o alla cripta del Duomo di Pavia o nella bellissi-ma piazza di Vigevano, città nel-la quale l’artista giunge nel 1494 per dedicarsi ai progetti della corte sforzesca.

Le mostre non dovrebbero ser-vire solo per premetterci di ammirare gran-di capolavori. Come questa alla Pinacoteca di Brera esse spesso ci chie-dono di impara-re ad osservare e, soprattutto, di non smette-re di cercare la bellezza. Alme-no quella che sta così vicina a casa.

Gli Uomini d’arme sono una serie di otto affreschi strappati

di Donato Bramante, conservati nella Pinacoteca di Brera a

Milano. Costituivano parte della decorazione a fresco di una

sala di palazzo Visconti, poi Panigarola, un tempo esistente in

via Lanzone a Milano.

Eraclito e Democrtito, 1486-87, Milano, Pinacoteca di Brera

Sezione di Cultura Milanese

BOMBE SU MILANO

la montagna de San Sir…

Conferenza del Dott.Tullio Barbato

giornalista, fondatore e direttore di Radio Meneghina

Sabato 14 marzo 2015 ore 16,30

Sala colonneCircolo Filologico Milanese - Via Clerici 10 - Milano

Con il Contributo del Comune di Milano

La S.V. è cordialmente invitata sino ad esaurimento dei posti disponibili

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ACCADEMIAda “LETTERATURA DIALETTALE MILANESE” di Claudio Beretta

Carlo Porta

6 Sciroeu de Milan - Marz/April 2015

Dalla letteratura di Claudio Beretta:

Ricorda il prof. Claudio Beretta, nella sua Letteratura, che Dante Isella colloca la composizione di questo

poemetto tra marzo e aprile del 1819 e che ogni sestina sia stata conquistata lottando sia con gli impegni

professionali, sia con il disagio isico e morale. Si tratta i una critica alle ‘damazze’, un tipo di signora milanese altolocata, ricca che affoga nella propria albagia, pari solo alla sua ignoranza. Lirica improntata a schietto

realismo, senza metafore, senza allegorie, il cui effetto satirico viene ottenuto attraverso immagini ed espressioni

iperboliche, vicine però alla realtà o almeno ad alcuni casi limite

LA NOMINA DEL CAPPELLAN

Alla Marchesa Pavola Cangiasa, vuna di primm damazz de Lombardia,gh’era mort don Gliceri, el pret de casa,in grazia d’ona peripneumoniache la gh’ha faa quistà in del sforaggiassa mennagh sul mezz dì la Lilla a spass.

L’eva la Lilla ona cagna maltesatutta goss, tutta pel e tutta lard,e in cà Cangiasa, dopo la Marchesa,l’eva la bestia de maggior riguard,de moeud che guaja al ciel falla sguagnì,guaja sbeffalla, guaja a dagh del tì.

El l’ha savuda el pover don Galdin,che in de la truscia de l’elevazionavendegh inscì in fall schisciaa el covingh’è toccaa lì a l’altar del pret cojon,e el sò bon tibi, appenna in sacrestia,de mett giò la pianeda e trottà via.

In mezz a questa appenna don Gliceril’ha comenzaa a giugà a l’amora el iaa,è cors da tutt i part on diavoleride reverendi di busecch schisciaaper vedè de ottegnì la bona sortde slargaj foeura in loeugh e stat del mort.

Chè inin di in, se in cà de donna Pavolano gh’era per i pret on gran rispett,almanca gh’era on ioretton de tavolade fà sarà sù on oeucc su sto difettminga domá a on gallupp de on cappellan,ma a paricc di teologh de Milan.

Alla Marchesa Paola Cangiasi,

una delle prime damazze di Lombardia

era morto don Glicerio, il prete di casa

in grazia di una pperipneumonia

che lei gli aveva fatto acquistare nell’accaldarsi a menarle, sul mezzogiorno, la Lilla a spasso.

Era la Lilla una cagna maltese

tutta gozzo, tutto pelo e tutta lardo,

e in casa Cangiasi dopo la Marchesa,

era la bestia di maggior riguardo,

di modo che guai al cielo farla guaire,

guai sbeffeggiarla, guai darle del tu.

E l’ha saputa il povero Don Galdinoche, nel fervore dell’elevazione,avendole così in fallo schiacciato il codino,

gli è toccato lì, all’altare, del ‘prete coglione’,e il suo ‘bonum tibi’ appena in sagrestia,da mettere giù la pianeta e trottar via.

In mezzo a questa [situazione] appena a don Glicerio

ha cominciato a giocare alla morra il iato,è corso da tutte le parti un diavolerio

di reverendi dalle budella schiacciate

per vedere di ottenere la buona sorte

di allargarle fuori in luogo e stato del morto.

Che inin delle ini, se in casa di donna Paolanon c’era per i preti un gran rispetto,almeno c’era un iorettone di tavolada far chiudere un occhio, su questo difetto,

non soltanto ad un galoppino di cappellano,

ma a parecchi teologi di Milano.

LA NOMINA DEL CAPPELLANO

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ACCADEMIA

Sciroeu de Milan - Marz/April 2015 7

Gh’era de gionta la soa brava messaa trenta borr, senza manutenzion,allogg in cà, lavandaria, soppressa,ciccolatt, acqua sporca a colazion,bona campagna, palpiroeu a Natal,sicché, se corren, cazz, l’è natural!

Ma la Marchesa che no la vorevaseccass la scufia con la furugadal’ha faa savè a tucc quij che concorrevache dovessen vegnì la tal giornada,che dopo avej veduu e parlaa con tuttl’avria poi fatt ciò che le foss piacciutt.

Ecco che riva intant la gran mattina,ecco el palazz tutt quant in moviment,pret in cort, pret suj scal, pret in cusina,pienn i anticamer de l’appartament,gh’è i pret di feud, el gh’è i Còrs, gh’è i nost,par on vol de scorbatt che vaga a post.

El gran rembomb di vòlt, el cattabujde la mormorazion che ghe fan sott,el strusament di pee, di ferr de mujche gh’han sott ai sciavatt quij sacerdott,fan tutt insemma on ghett, on sbragalismo,ch’el par che coppen el Romanticismo.

Baja la Lilla, baja la Marchesatutt e dò dessedaa del gran baccan;i pret che hin solit a sbraggià anca in gesaghe la dan dent senza rispett uman,quand on camerleccaj dolz come on orsel corr a strozzagh lì tucc i discors.

Semm in piazza, per Dio, o indove semm?Sangue de dì, che discrezion l’è questa!Alto là, citto: quij duu in fond... andemm...ché la Marchesa la gh’ha tant de testa!Hin mò anch grand e gross, e on poo de quella,per Dio sacrato, el sarav temp de avella!

Dopo quell poo de citto naturalche ven de seguit d’ona intemerada,vedend sto ambassador del temporalche nol gh’ha intorna on’anima che iada,el muda vos, el morbidiss la cera,e el seguita el discors in sta manera.

C’era per giunta la sua brava messa

a trenta soldi, senza manutenzione,

alloggio in casa, lavanderia, stireria

cioccolato, acqua sporca a colazione,

buona campagna, bustarella a Natale,

sicchè, se corrono, cazzo, è naturale!

Ma la Marchesa che non voleva

seccarsi la cufia con il serra serra, ha fatto sapere a tutti quelli che concorrevano

che dovessero venire il tal giorno

che dopo averli veduti e parlato con tutti

“l’avria poi fatt ciò che le foss piaciutt”.

Ecco che arriva intanto la gran mattina,

ecco il palazzo tutto quanto in movimento,

preti in corte, preti sulle scale, preti in cucina,

piene le anticamere dell’appartamento,

ci sono i preti di feudo, ci sono i Corsi, ci sono i nostri,

pare un volo di corvi che vada a posto.

Il gran rimbombo delle volte, il ribollire

del mormoreggiare, che ci fanno sotto,

lo strascicare dei piedi, di ferri da mulo

che hanno sotto le ciabatte, quei sacerdoti,

fatto tutti insieme un ghetto, uno sbraitio

che par che accoppino il Romanticismo.

Abbaia la Lilla, abbaia la Marchesa

tutt’’e due svegliate dal gran baccano;

i preti che, sono soliti a sbraitare anche in chiesa

ce la danno dentro senza rispetto umano,

quando un lacchè-cameriere dolce come un orso

corre a strozzargli lì tutti i discorsi.

“Siamo in piazza, per Dio, o dove siamo?

Sangue di Di, che discrezione è questa?

Alto là, silenzio: quei due in fondo...andiamo...,

che la Marchesa ha tanto di testa!

Sono mo anche grandi e grossi, un po’ di quella,

per Dio sacrato, sarebbe tempo di averla”.

Dopo quel po’ di silenzio naturale

che viene di seguito a un’intemerata,

vedendo questo ambasciator del temporale

che non ha intorno un’anima che iata,muta la voce, ammorbidisce la cera,

e seguita il discorso in questa maniera:

[continua nel prossimo numero]

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ACCADEMIA

8 Sciroeu de Milan - Marz/April 2015

Al tempo di TiberioGesù e Pilato: il colloquio ove era in gioco la verità di Osmano Cifaldi

Continua a pag. 12

Stiamo per narrare una fase nodale della Storia. Con-fesso che la mano ci trema un poco perché dovremo accennare alla igura di Gesù Cristo.Parleremo pure dell’altro protagonista di questa breve descrizione: Ponzio Pilato. Due uomini che vissero il loro percorso esistenziale al tempo dell’imperatore Tiberio che governò l’impero, dal silenzio dorato di Capri, attraverso l’invadente e potente igura di Seia-no abile arrampicatore e afilato provocatore.I due protagonisti di quel momento storico, Gesù e Pilato, rimangono ormai deinitivamente disegnati dalla storiograia accademica, ma vorremmo riani-marli e riportarli fra noi afinchè possano di nuovo raccontarci la loro umana “verità”.Facciamo dunque piano e procediamo in punta di pie-di, avendo cura di non grafiare le coscienze.Ciò che rende credibile la Storia è il fatto che è stata determinata da uomini come noi, anzi la Palestina del 29 d.C. ha visto addirittura l’azione di Gesù, il Mes-sia, Dio fattosi uomo.Chi fu veramente Pilato? Il procuratore imperiale del-la Giudea che tentò di mandare assolto Gesù, ma alla ine “se ne lavò le mani”, fu un politico ambizioso e astuto che strumentalizzò la vicenda per qualche di-segno recondito?La famiglia dei Ponzi sembra essere di origine sanni-tica. Il cognome Pilato è poco presente in quel tempo e potrebbe essere rimandato al “pilum”, o giavellotto d’onore, di cui era stato decorato.Dovette la sua carriera per merito della moglie Claudia Procula che sarebbe stata iglia illegittima di Claudia, sposa dell’imperatore Tiberio e nipote di Augusto.Di Pilato ne parlano gli storici Filone e Flavio Giu-seppe che lo giudicano un burocrate ostinato e pu-sillanime. Altri cronisti del tempo lo trovano venale, corrotto e ambizioso (mirava alla prefettura di Egitto una delle quattro più importanti dell’impero). Altri ancora debole, astuto e opportunista. Insomma da due millenni Pilato riesce a sfuggire ad una deinitiva connotazione anche perché il ruolo che ebbe nella “vicenda Gesù” ne ha reso dificile l’interpretazione.Tuttavia nel caso di Gesù cercò di comportarsi cor-rettamente; gli chiese se era veramente convinto di essere re sperando che l’accusato gli rispondesse di no. Invece Gesù gli rispose di si spiegando che regno

intendesse instaurare. E Pilato con riluttanza conse-gnò Gesù alla Croce; decisione derivante da quella confessione.Ma andiamo con ordine. Ponzio Pilato ottiene la no-mina a procuratore di Giudea nell’anno 26 d.C. su-bentrando al truce e malaccorto Valerio Grato. La Giudea dipendeva dalla prefettura di Siria. Il procu-ratore abitualmente abitava a Cesarea anche se spes-so si spostava a Gerusalemme. Disponeva di truppe mercenarie reclutate fra Samaritani, siri, greci (esclu-si gli ebrei), provvedeva alla riscossione delle impo-ste, aveva un suo tribunale (Jus Gladii) che entrava sovente in conlitto di competenze col tribunale del Sinedrio composto da sacerdoti; istituzione che non poteva emettere sentenze di morte ma solo proporle.Il governo di Giudea era considerato un incarico dif-icile e intricato. Ma Pilato non doveva far altro che obbedire agli ordini di Seiano che miravano a seguire una linea antisemita. La provincia di Giudea era stra-colma di fermenti patriottici, di fanatismi religiosi, di litigiosità sociale. Comunità che doveva essere am-mansita e messa sotto deinitivo e stretto controllo.In questo coacervo fece capolino Gesù di Nazareth, un singolare personaggio dalle persuasive e originali predicazioni. La clamorosa rottura con i sacerdoti del Sinedrio avvenne quando annunziò di essere lui il i-glio dell’Uomo.Sulle prime Pilato vide di buon occhio l’entrata in campo di Gesù perché lo considerava una possibile testa di ariete per produrre l’attesa breccia nel Tempio degli ebrei. Poi però ipotizzò il pericolo che il Galileo fosse portatore di idee messianico-nazionaliste volte a sovvertire l’ordine romano. E andò quindi più cauto nel muoversi in quel ginepraio.Sappiamo tutti come è andata. Pilato non sapendo come fare per lasciare libero Gesù dopo avergli even-tualmente somministrato una energica lavata di capo, considerata la posizione del gran sacerdote Caifa che con le sue manovre preparò la trappola che fece scat-tare la condanna a morte, volle parlare direttamente con Gesù.Di certo sappiamo dai Vangeli che tra loro ci fu un colloquio (Giovanni cap.18) ove arrivarono a scam-biarsi alcune considerazioni.

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POESIA E STILE

9 Sciroeu de Milan - Marz/April 2015

La nostra Accademia si è posta quali obiettivi la tutela e la difesa del dialetto milanese in tutte le sue manifestazioni, con particolare riguardo alla poesia – art. 2 dello Statuto.Ogni poesia, dovrebbe rispettare due momenti ben precisi determinati dalla poetica e dalla prosodia, elementi questi che vengono, ahimè, troppo spesso ignorati.Ben lo sapeva il compianto prof. Claudio Beretta che richiamò il nostro senso poetico con vari arti-coli apparsi in una rubrica, sui Sciroeu di diversi anni or sono e che vogliamo riproporre, credendo che possano essere propedeutici ai nostri odierni poeti afinché ne traggano insegnamento.

Dalla rubrica “Poesia e Stile” a cura del prof. Claudio Beretta.

Continua a pag. 19

CARLO PORTA: il brindisi all’imperatore France-sco I – parte seconda

Meneghino, il cantore, si lamenta perché non gli portano da bere: <Ohè baroni, Brugnoni, Slandroni! Pientamm chì Giuradì! De parmì On trattin Col mar-tin Senza vin? On intort De sta sort Al bosin? Prest canaj, Razzapaj, Mort o Vin!> È il colmo della stizza in versi di quattro sillabe (tronchi, come normale per il milanese, lingua gallo-romanza) a rima accoppiata.Poi il canto si distende, il vino è arrivato, Meneghino si era sbagliato: <Pas, pas, pas, - che l’è chì lu el bom-bas. Canegraa – del Modron?... Sanguanon! Pas, pas, pas – hoo fallaa – i mè brugnon> L’invocazione alla pace è più che esplicita, ma qui subentra la prima ri-chiesta uficiale d’autonomia del nostro Risorgimen-to. Il verso si fa decasillabo. La strofa è libera: una sestina a rima alternata; dieci versi a rima accoppiata; una quintina a rima baciata e accoppiata.Il decasillabo tronco del milanese diventa novenario, accentato terza, sesta e nona e viene a corrispondere ad un anapesto greco, che era il passo di carica delle falangi. Porta ci sapeva fare. De vojann giò de bev col boccaa Fior de scabbi pas-sant e salaa, Fior de scabbi mostos e suttir Di nost vign, di nost ronch, di nost ir.// Vin nostran, vin no-stran torni a dì De trincà col coeur largh e a memoria, Chè di vin forestee la gran boria Per el pù la va tutta a fornì In d’on poff, fumm e scumma, e bott lì!>Questo diceva la nostra città, per bocca del suo bosin, all’Imperatore che aveva siancato Napoleone e che credeva di arrivare in mezzo a cortigiani scodinzolan-ti. E il dialetto non sigurava davanti alla lingua italia-na, che era usata solo per le espressioni uficiali.Ed ecco l’inno alla pace: <Cara pas, santa pas sospi-rada, Tant cercada – comprada e pagada, T’emm cat-

tada pur anch se Dio voeur! Ah stà chì! pientet, scep-pa, radisa, No destacchet mai pù del nost coeur!> Della coscienza del proprio ‘potere contrattuale’ è segno inequivocabile la chiusa del poemetto, chiu-sa identica al ‘brindisi’ scritto cinque anni prima per Napoleone: <Trinche vain, trinche vain, femm ban-doria, Che l’è quest el temp giust de sciallalla, “e onoremm tucc i ann la memoria De sto dì col glo glo, con la balla”>Questo è il messaggio che Milano mandava all’Im-peratore per bocca del suo bosin vivente: un mes-saggio metricamente perfetto, poeticamente ispirato, garbato e rispettoso delle ‘Loro Cesaree Maestà’, ma preciso e deciso. Porta ci sapeva fare. Altrettanto interessante il messaggio di Goldoni, morto da una ventina d’anni, per il Veneto: al Teatro Patriottico, il Filodrammatici, avrebbe dovuto essere rappresentata ai primi di marzo, davanti alle ‘Loro Maestà’, la commedia Il padre di famiglia scritta qualche decennio prima.È la storia di un commerciante veneziano, che ha fatto i soldi lavorando duramente, al quale è morta la moglie lasciandogli un iglio quasi ventenne che continuerà l’azienda del padre. L’uomo si risposa con una vedova, che ha a sua volta un iglio di circa sedi-ci anni. Per la nuova moglie il iglio di lui è carico di tutti i difetti, il suo proprio di tutte le virtù. Assumen-do un precettore, questi lo chiama ‘illustrissimo’, il commerciante replica che quel titolo si addice forse a qualche nobile, magari squattrinato, ma che lui non ne ha bisogno: sa quel che compra e quel che ven-de, quanto gli costa e quanto guadagna. La moglie mette la servitù contro di lui e contro suo iglio, di qui la decisione: la Signora sarà coninata in un pae-sino in campagna; suo iglio ripristinato all’azienda;

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IN CARTA

10 Sciroeu de Milan - Marz/April 2015

Onesto, diretto, schietto. Ironico e ilosofo a suo modo. Forse potrei trovare altri aggettivi che deini-scono Piero Beretta ma questi sono ridondanti quan-do penso a lui. Voce stentorea non ha bisogno del microfono per farsi sentire e spesso lo rifugge.E queste sue caratteristiche le riversa nei suoi scritti, ora compresi nella silloge “Segond conforma...” che, appunto, sembra un compendio di queste sue virtù. “Segond conforma...” ci propone le sue osservazio-ni che lasciano poco spazio all’immaginario, anche quando la metafora fa capolino.

...ma la vita l’è stravòlta

sora e sòtt la te rivòlta

la scilòria del destin,

la mett in al teatrin...

È così che Piero Beretta scrive e recita, con impeto, quasi con prepotenza, per rimarcare che ciò che ci racconta non sono altro che verità.

Eccoci al quinto libro che Mario Scurati ha voluto dedicare alle sue prose e poesie, rigorosamente in lingua dialettale milanese.“Cara el mè Mond” è il titolo col quale Scurati ha dato corpo alle sue rilessioni intimistiche messe in prosa, colloquiando col “suo” mondo, ed alle sue poesie che spaziano dalle considerazioni ilosoiche, alle distrazioni ludiche, particolari questi che gli per-mettono di non cadere nel vuoto lamento del poeta, troppo spesso motore e stimolo per la trasposizione dei pensieri.E Scurati non le manda a dire al “suo” caro mondo, ma esprimendosi con l’esperienza e la saggezza di chi, come lui, ha avuto la fortuna di assaporare altri tempi, altri “mondi”, forse meno caustici di quelli odierni.Ecco quindi questi suoi assunti, raccolti nel “Cara el mè mond.”

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ACCADEMIAMILAN... LA COGNOSSI? a cura di Giorgio Moro Visconti

Via San Giovanni sul Murodi Giorgio Moro Visconti

Sciroeu de Milan - Marz/April 2015 11

L’antica chiesa di S. Maria della Consolazione ed il Teatro dal Verme caratterizzano questa via centra-le, ma breve, da Corso Magenta a Largo Cairoli. Da “Le strade di Milano” di Valentino De Carlo e Guido Lopez, ed. Newton, 1991, p. 862, apprendiamo che il toponimo storico è confermato dalla delibera comu-nale del 13 settembre 1865, che la assegnava alla “già contrada di S. Giovanni sul Muro ino allo sbocco sul Foro Buonaparte e la già Stretta dei Vecchi”. La chiesa di Santa Maria della Consolazione è anche conosciuta come chiesa di Santa Maria o Madonna del Castello, essendo nelle vicinanze dello stesso e anche perché in origine si venerava un’immagine di nostra Signora della Consolazione; nel 1471, per volontà di Galeazzo Maria Sforza venne fondato anche un oratorio. Raf-faele Bagnoli nella sua enciclopedia “Le Strade di Mi-lano”, ed. Effetti 1970, pag. 846, fornisce indicazioni particolari. Citiamo soltanto che dal vicolo S. Giovanni sul Muro, che si apre tuttora sul lato destro della stra-da, dopo la demolizione dell’antico accesso, costruito da un massiccio androne, e sostituito dall’attuale in-gresso, più ampio e moderno, che agevola il trafico. Il vicolo ha vissuto un momento di celebrità archeo-logica, in seguito a scavi d’assaggio, eseguiti nella primavera del 1955 dalla Commissione per la Forma urbis Mediolani, per localizzare la romana Porta Gio-via. Nella zona di via San Giovanni sul Muro, nel 500 gli orti producevano primizie durante l’inverno. Chi passa attorno al Teatro Dal Verme forse ci è già entra-to o forse si domanda ciò che rappresenta nel doppio senso di cosa è e cosa produce. Il luogo “Teatro” ha in generale una storia millenaria e ai nostri giorni può

essere ancora considerato un richiamo policentrico e collettivo. Il Teatro Dal Verme fu co-struito nel 1871 su progetto dell’Arch. Giuseppe Pe-stagalli sopra un’area prima utilizzata dal Circo Ci-nisello: questo politeama suscitava diversi problemi a chi abitava negli ediici vicini, che erano di proprie-tà del Conte Francesco Dal Verme, il quale nel 1864 comprò il terreno e successivamente fece costruire il teatro, che ha preso il suo nome. Dopo La Scala era il principale teatro lirico milanese. Fu inaugurato il 14 settembre 1872 con l’opera “Gli Ugonotti” di Giaco-mo Meyerbeer. Nella storia del teatro si ricordano tan-ti musicisti e artisti, tra cui Pietro Ma scagni, che il 31 maggio 1874 vi rappresentò le Villi del collega Gia-como Puccini. Nel 1888 vi cominciò la carriera Artu-ro Toscanini, che pochi anni dopo diresse l’opera “I Pagliacci” di Ruggero Leoncavallo. Il 27 aprile 1907 ebbe enorme successo la presentazione de “La vedo-va allegra” di Franz Lehar. Questo importante teatro d’opera milanese fu acquistato nel 1930 dalla Suvini e Zerboni, che lo adibirono a cinematografo con varietà. Negli anni 50 ospitò grandi riviste, come “Addio vec-chia periferia”, “Sotto i ponti del Naviglio”, di Alfredo Bracchi con interpreti Pina Renzi, Mario Carotenuto, Pietro De Vico, Dorian Gray. Danneggiato dalla guer-ra venne ristrutturato nel 1946. Il 27 novembre 1945 era stata costituita l’Orchestra “I Pomeriggi Musica-

li”, che attualmente è tra le maggiori attrazioni del teatro. Il primo sindaco milanese del dopo-guerra Antonio Greppi in quell’occasione lanciò il motto “per Milano: pane e musica”, espressio-ne che bene si prospetta anche in occasione di Expo 2015. Tra i grandi direttori che hanno dato prestigio all’istituzione ricordiamo Hindemith, Boulez, Bernstein, Abbado, Muti, Pollino, Gatti, Michelangeli. Nel 1981 il Comune e la Provin-cia e poi la Regione ne diventarono proprietari. In seguito fu gestito dalla Rai ino al 1994. Nella via ci sono ediici moderni e antichi, anche a due piani. Molti antiquari e negozi di vari settori. La Parrocchia è quella di Santa Maria alla Porta.

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ACCADEMIA

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Dalla nostra affezionata socia d’oltralpe:

Quand vegn la primavera.

A Milan, quand ven la primavera,l’aria l’è inscì dolza anca de sera.I morositt se tegnen per mane i veggett pensen pù al pès di ann.

La Madonina la lusis ammò pusseee i iolett giughen a corres adree.I campann, cont el sò din-dancascen via tutta la malinconiae spanden in de l’aria l’allegria.

Come l’è bell el mè Milan de primaverame par quasi de vèss pròppi in Riviera!

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SCIROEU DE LA PRÒSA

LA SCOMMESSAAugusto Mazzoleni

Dovevi incontrà l’Egisto per rivedè i cunt del noeuv stabiliment che doveva sostituì el vecc per la produ-zion de l’Alluminio e che adess l’era in periferia de Milan. Quel noeuv però occorreva modiical e rivedè anca i prezzi.Con l’Egisto, che l’era el càpp cantier de l’Impresa, gh’eren, anca quella volta el sò Impresari con l’Ar-chitett. Ma la discussion la vegneva longa e lor dise-ven de avegh on alter appontament in la mattina. S’è inii de rimandà tuttcòss a la settimana dòpo.In del saludà l’Egisto, col stringiom la man el me sping fra i did ona moneda che dòpo hoo poduu vedè, quand ch’hinn andaa, e hoo vist che l’era quel-la d’argent de 500 lirett che avevom scommiss e che l’Egisto l’aveva perduu. Su ona faccia se vedeva in riliev la statoa de la Repubblica Italiana, a l’invers ona Quadriga in corsa, con la data de la fondazion del 1861, poeu quella de l’emission 1961, poeu del valor de L.500.Soo nò come quella moneda la sia inida allora in del mè pòrtaciav, ma pensavi che la me portass fortuna e inscì l’è restada in del mè portaciav, dandom spe-ranza e sicurezza perchè podevi dì de avegh l’argent in saccòccia.

Soo nò se l’è vera, ma m’hann dii che quella moneda pararia che la sia diventada ona rarità del Mercaa.

EL PESS D’AVRILElena Paredi

El “pess d’Avril” l’è spantegaa in tutta Euròpa, ma minga tucc sann che l’è ona usanza antiga.L’era on rito colletiv, gioios, ligaa a la Primavera, temp de nascita a noeuv! In de l’Equinòzzi de Pri-mavera tutta la Natura la se desseda e la terra la dà la soa cavada (frutt) e i giornad se slonghen pussee. El sô l’è semper pussee cald e alt in del ciel, se desse-da foeura tusscòss in del mond. La mitologia antiga celtega la liga ’sto period chì cont el simbol solar per eccelenza: Belenos e Belisama, el pess l’è on simbol de trasformazion, attiv e solar, element fecondador; el venerdì eren sòlit paccià pess perchè inscì podeven ciappà tutt i fòrz beneich di ’sti divinità... el gioeu-gh, el scrizz, l’era ona sòrta de “sacriizzi” per juttà la rigenerazion di gent.

EL SERPENT DEL MOSÈEdoardo Bossi

Mosè el ven regordaa a Milan cont ona statoa che se troeuva in la cort de l’Arcivescovaa insèma a quèl-la del fradèll Aronne. Ma in ona forma indirètta, i milanes el regorden anca in Sant Ambroeus. De fatt, quand se va denter in Sant Ambroeus e se guarda l’altar, in su la sinistra gh’è ona colònna e in cima gh’è el famos “Serpent del Mosè” che da pussee de milla ann el se po’ rimirà. La tradizion la voeur ch’el serpent de bronz el sia rivaa a Milan in del 1002, por-taa dal vèscov Arnolfo II quand l’era tornaa da Co-stantinopoli, doe l’era andaa per cunt de l’Imperador Ottone III per domandà la man de Stefania, la tosa de l’Imperador d’Orient. Quèst, l’ha nò domà concèss la man de la principèssa (che l’era dree a vegnì in Italia insèma al Vèscov) ma l’ha caregaa el pòr Arnolfo de tanti regai de consegnà a l’Ottone III. Tra i tanti regai costos, gh’era anca on serpent de bronz che second la tradizion l’era staa forgiaa dal Mosè. Miss in scima a ’na colònna d’avanti a l’accampament di ebrèi, el difendeva el pòpol d’Israèl dai serpent velenos del desèrt. Ma intanta che l’Arnolf l’è adree a fà el viagg per tornà indree, el ven a savè che l’Imperador Otto-ne III l’è mòrt, de manera che la pricipèssa Stefania l’è tornada a Costantinopoli e el Vèscov l’è tornaa a Milan cont el prezios serpent. Quand l’Arnolf II l’è rivaa a Milan, i milanes hann miss el serpent in su ’na colònna, quèlla che se po’ vedè anmò al dì d’incoeu. Col temp, el serpent l’è diventaa on simbol de vene-razion per i milanes che l’hann semper consideraa el miglior, fra tutti i rimedi, contra i dolor de venter e in particolar l’era veneraa dai mamm ambrosian che per tanti sècol hann portaa i sò bagai a toccà la colònna miracolosa che la liberava dai vèrmen. On quaivun el va ancamò incoeu.

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Poeti di LombardiaAlda Merini

Alda Giuseppina Angela Merini nasce il 21 marzo 1931 a Milano. La sua famiglia è di condizioni eco-nomiche modeste. Il padre, Nemo Merini è dipenden-te presso una compagnia di assicurazioni e la madre, Emilia Painelli, casalinga. Alda è la seconda di tre igli, Anna, nata il 26 novembre 1926 ed Ezio, nato il 23 gennaio 1943 - che la scrittrice fa comparire, sia pure con un certo distacco, nella sua poesia. Della sua infanzia si conosce quel poco che lei stessa scrisse in brevi note autobiograiche in occasione della seconda edizione dell’Antologia di Spagnoletti: che era una ragazza sensibile e dal carattere malinconico, piut-tosto isolata e poco compresa dai suoi genitori ma molto brava ai corsi elementari: “...perché lo studio

fu sempre una mia parte vitale”.

Dopo aver terminato il ciclo elementare con voti molto alti, frequenta i tre anni di avviamento al la-voro presso l’Istituto “Laura Solera Mantegazza” in via Ariberto a Milano e cerca di essere ammessa al Liceo Manzoni, ma non riesce perché non supera la prova di italiano. Nello stesso periodo si dedica allo studio del pianoforte, strumento da lei particolarmen-te amato. Esordisce come autrice giovanissima, a soli quindici anni, sotto la guida di Giacinto Spagnoletti che scoprì il suo talento artistico. Nel 1947, Merini incontra “le prime ombre della sua mente”e viene internata per un mese nella clinica Vil-la Turro a Milano. Quando ne esce alcuni amici le sono vicini e Giorgio Manganelli, che aveva cono-sciuto a casa di Spagnoletti insieme a Luciano Erba e David Maria Turoldo, la indirizza in esame presso gli psicoanalisti Fornari e Musatti. Giacinto Spagnoletti sarà il primo a pubblicarla nel 1950, nell’Antologia

della poesia italiana contemporanea 1909-1949, con le liriche “Il gobbo”, datata 22 dicembre 1948, e “Luce”, del 22 dicembre 1949, dedicata a Giacinto Spagnoletti. Nel 1951, su suggerimento di Eugenio Montale e di Maria Luisa Spaziani, l’editore Giovan-ni Scheiwiller stampa due poesie inedite dell’autrice in “Poetesse del Novecento”.Nel periodo che va dal 1950 al 1953 Merini frequenta per lavoro e per amicizia Salvatore Quasimodo. Ter-minata la dificile relazione con Giorgio Manganelli, il 9 agosto 1953 sposa Ettore Carniti, proprietario di alcune panetterie di Milano, ed esce, presso l’editore Schwarz, il primo volume di versi intitolato “La pre-

senza di Orfeo”. Nel 1955 esce la seconda raccolta di versi intitolata “Paura di Dio” con le poesie che vanno dal 1947 al 1953 alla quale fa seguito “Nozze

romane” e nello stesso anno, edita da Bompiani, vie-ne pubblicata l’opera in prosa “La pazza della porta

accanto”.Nasce in quello stesso anno la prima iglia, Emanue-la, e al medico curante della bambina, Pietro De Pa-schale, Alda Merini dedica la raccolta di versi “Tu

sei Pietro” che viene pubblicata nel 1962 dall’editore Scheiwiller. Dopo “Tu sei Pietro” inizia un dificile periodo di silenzio e di isolamento, dovuto all’inter-namento al “Paolo Pini”, che dura ino al 1972, con alcuni ritorni in famiglia durante i quali nascono altre tre iglie.Si alterneranno in seguito periodi di salute e malat-tia, probabilmente dovuti al disturbo bipolare, della quale hanno patito anche altri grandi poeti ed artisti quali Charles Baudelaire, Ernest Hemingway, Fran-cis Scott Fitzgerald, George Gordon Byron, August Strindberg e Virginia Woolf. Nel 2007 con “Alda e Io – Favole”, scritto a quattro mani con il favolista Sa-batino Scia, vince il premio Elsa Morante Ragazzi. Il 17 ottobre 2007 la poetessa ha ottenuto la laurea “Ho-noris Causa” in “Teorie della comunicazione e dei linguaggi” presso la Facoltà di Scienze della Forma-zione dell’Università di Messina tenendo una “Lectio Magistralis” sui meandri tortuosi del suo vissuto.Muore il 1º novembre 2009 a causa di un tumore os-seo (sarcoma) all’ospedale San Paolo di Milano.Dopo l’allestimento della camera ardente, aperta il 2 e il 3 del mese, i funerali di stato sono stati celebrati nel pomeriggio del 4 novembre nel Duomo di Mila-no. Nel 2010 esce postumo l’album Una piccola ape

furibonda – Giovanni Nuti canta Alda Merini, conte-nente undici brani (otto poesie inedite) e una traccia fantasma con Alda Merini che canta con Giovanni Nuti Prima di venire.Nel marzo 2010 il Comune di Milano appone una targa sul muro dell’abitazione della poetessa sui Na-vigli.Nel 2013 è omaggiata da Norman Zoia (con lei a Milano nel 1990 alla sesta rassegna internazionale di poesia) a pagina 19 di Passi Perversi: Nobile grazia

di Venere e coraggio di Madre / dolcezza dell’umano

genere / diangelo di stile”.

Il liuto

Dalle mani magniiche del cuore sei percorso nobile strumento

che stai dentro le labbra del signore.

E il tocco è bianco

come di una corda che vibra

e come la mia rima

che dovrebbe essere una parola

e invece è un pensiero

una canzone.

Una donna sul palcoscenico.

La poesia inedita di Alda Merini scritta per il ilm-documentario di Damato:

Un giorno io ho perso una parola

sono venuta qui per dirvelo e non perché voi abbiate risposta.

Non amo i dialoghi o le domande: mi sono accorta che cantavo in una orchestra che non aveva voci.

Ho meditato a lungo sul silenzio, al silenzio non c’è risposta.

Io le mie poesie le ho buttate

non avevo fogli su cui scriverle.

Poi mi si sono avvicinati strani animali come uomini di antenate bestie da manicomio

qualcuno mi ha aiutato a sentirmi unica, mi ha guardato.

Pensavo che per loro non c’erano semafori, castelli e strade.

Questo posto sgangherato come il mio cervello che ha trovato solitudini.

Poi è venuto un santo che aveva qualcosa da dare

un santo che non aveva le catene, non era un malfattore,

l’unica cosa che avevo avuto in questi anni.

L’avrei seguito

inché un giorno non sapevo più innamorarmi.È venuto un santo che mi ha illuminato come una stella.Un santo mi ha risposto: perché non ti ami? È nata la mia indolenza.Non vedo più gente che mi picchia e non vedo più i manicomi.Sono morta nell’indolenza.

Come ramo che si rattrappisce

Come ramo che piano si rattrappisce

sul suo dorso nel nodo di corallo

che parte dentro un’arida radice.

Così son io, invecchio quando penso

che debba domandarti un’altra volta

un rapido pensiero.

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LEGGIUU E SCOLTAA“Sciroeu di poetta” ospita, così come ci sono pervenute le composizioni, “lette e ascoltate”, noi le pubblichiamo, correggendo qualche palese refuso, convinti di stimolare la volontà

di chi sente spontaneo il desiderio di esprimersi, interloquendo con la musa, in dialetto milanese e con l’augurio che queste pagine possano scoprire nuovi talenti.

16 Sciroeu de Milan - Marz/April 2015

L’AMOR

L’è l’amor ona canzoncantada tutt’i dìsia per mì che per tìdal sabet al venerdì.

Gh’è l’amor per i daneegh’è l’amor de la passionma senza sentiment ghe saria pù nissun.

La vita la corr viael temp l’è pòcch ò pùciappemela ’me sia.......................................

Parlom d’amor Mariù!

Piero Beretta

MI GHE CREDI A LA BEFANA!

Mì spetti la Befanaquella sciora sgraziadacon la negra sottanacon la faccia crespada

Lee la riva a cavalld’ona scoa che la volaLa me pòrta on regallo el carbon per la stua?

Ghe prepari on brodinon biccer con la grappa?Chì fa on fregg de barbin......La ven giò da la cappa

bordeghenta e giazzadala me varda de sbiezz-Fòrsi son sperlusciada?Famm vedè, damm on spegg!-

-Te see in ordin, davveradisaria ’n igurin-Sì, son minga sincerama gentil, a la in..

-Te prepari on caffè?--Lassa stà, son nervosa...- -Che peccaa... ma perchè?--L’è ona stòria noiosa...-

-Tant gh’emm temp cunta daiSettes sù l’ottomana...--L’è che adess i bagaicreden pù a la Befana

E de stuv ghe n’è minga:a chi pòrti el carbon?El progress me siringae me senti on magon...-

-Se son chì che te spetticome quand seri tosa!Mì ghe credi, ripetti:dess fà nò la bisiosa!

Vist che semm d’argomentin del sacch che gh’è chì:on quaicòss sbarlusentte gh’hee denter per mì?-

-...Verament mì pensaviche la stua te funziòna...e l’altr’ann, ragionavite see nò stada bòna...-

-Minga bòna? On berin!Mai cattiva o inzigosaDolza ’me ’n zuccherine poeu mai malmostosa!-

-Beh, va ben, a la incosa gh’hoo de lassatt?Avria chì on pacchettinch’el sbalusa de matt...-

-Quell l’è ’l mè certamentte ringrazi. Che bell!-La va via sveltamentnanch la fuss on fringuell

Dervi el mè pacchettinfaa de carta doradae faa su col nastrin’me ’na stringa argentada...

L’era on bell niggottin!’Vì capii, ballossett?La Befana perinla saveva el spillett!

Coi man voeui e rabbiosapensi: -Và che rufianaChe fregada grandiosa!Credì pù a la Befana!

Paola Cavanna

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LEGGIUU E SCOLTAA

Sciroeu de Milan - Marz/April 2015 17

EL “MARÙCA” (el “matt” del paes)

L’è ’dree vegnì scur,i lampioni impizzaaintornavia el mur de preia e medoni,fann lusì i basèi de rizzadadi streccioeur scarlighentche pòrta al tanabus tarneghent…el pòst ’dattaa a cà del Marùca,che de lumaga stòrta l’è negaa in del clintoncont ona cioccache le faseva topiccà,sbandà de per tutt’i canton.Vanza, dal tabar tacconaa,spuzza de sudor, de fadiga,de pòrcrist,de òmm malandaa.Sbertii el smiccia ruffaldon’involada de scorbattche graggia e inziga.

Cressuu in colleg…senza el vorè ben di sò gent…’na vita bandonada,rosegada, fada de nient,ligada a la leg di malnatt,a tirà làcon quell pòcch trabescà’me smòrbi villanper compassion di paisan,per poeu, defatt scassà cont el vini penser fognaa del doman.Sul pajon pioggiatt,tra ’l dormì e ’l dessedass,la requia la vita sbiavidad’on pòrcrist… ciamaa “matt”.

Bico (Alberico Contursi)

LA VITA VERDE

Pussee che a la mia vitami voeuri ben ai Piant che vannsenza paura a toccà ’l cielche crèssen e vann sù,vann sùin a vedè i santissim di Sant del Paradis ma stann a ianchde l’òmm cont on amor che ’l dura.

Anca quij solitari in mezz ai bricch,che ’l mar de sabbia ha circondaae i alter che sù la scima, sia el vent che ’l gel, stann a sidà e fann vedèa la gént se ’l costa ’l ris’c, se pròppivar la pèna, cont ona vita sola, quellprecipizzi de tentà.

Anca a la Pobbia mi ghe voeri benche maestosa a in de primaveracont i sò ior che vola, la sbiancastrad e praa e poeu perchè i sò foeujche moeuren de la voeuia de ballà, in bràsc al vent che je carezza senza mairisc’cià, se metten tucc bei luster a danzà.

Con la soa carta, ferma i ricòrd de l’òmmche poeu tramanda, senza pagà, ma per vedej durà, resta compagn fedel de chija scritt quand che la da per l’òmm tuttquell che la natura gh’ha prestaa.E là dessora i nivol, che sann tusscòss,giren e vann per tegni insèma el mond.

Augusto Mazzoleni

L’ALBA

L’alba la derva i oeuggi stell s’hinn dislenguaain del ciaror del ciel,e nass on’alter dì!

Anmò pocciaa in del marcol sò crappon foghenton sô sornion el ruzagh’ha pressa de sortì!

...el sponta...

’Dess cambien i colorde terra... e ciel... e marbasaa da la soa lusche se spantega in gir!

E inalmente el mondel tira on gran sospircontent e soddisfaa...la vita la va innanz...!

Mario Scurati

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18 Sciroeu de Milan - Marz/April 2015

LEGGIUU E SCOLTAA

INDOVINELL

La prima nòta per cantà l’amor,n’apòstrof tra i promèss di innamoraa.Cosa l’è mai? ’dèss ve ’l descrivi mì.L’è on véll de pèll sottil ’me el ciel de nòttche on’ongiada de luna le sgrafigna.Dedree de ’sto sipari fann ogginapòcch paròll de poètta di alter tempde legg tutt in d’on boff e senza vos,coi oeugg in bada come gelosii,e i bocch che se dervissen meneman che boffen dent el iaa d’on alter iaa.Voeuja de deslenguass nel carezzàcoi laver ’sta bornìs de latt e mel.E dent in del sciroeu de ’sto bombon, moresin come ganassin de ioeu, on nisciorin ch’el moeur de vèss sgagnaa.’Na mordudina dolza sbilza foeurad’infra la lengua e i dent. Come siparise saren i palpér arent ai sògn.Chi l’è che l’indovina cosa l’è?“Cosa l’è? L’è on basin. Sì ma… Perugina!”

Adriana Scagliola

DESMENTEGADA

Cara Sciora,

Questa l’è ona lettera de protesta.Da quand l’è rivadaquella del sò moros,bella bloeu sbarlusenta,senza pensagh sora tròppson stada missa in del “box”.Mì son chì tutta grisa,dent e foeura, e anca d’umorperchè me senti bandonada.Per fortuna gh’è ona lusche la ven denter da i ilidure inscì pòdi sbarloggià el panòrama.Duu mur bianch on armadiett e ona spicciola.Seri invece abituadaa andà in gir con leetutt’i dì per la città.Serom andaa anca al mar!Scoltavom musica insèma e hoo sentii anca ona quai telefonada personal.Anca se la me nettava pòcche di vòlt la me caregava come on asninseri contenta e me sentivi util.L’è mai vegnuda a trovammma soo che prima ò dòpola vegnarà a cercamm.Me par de vedella:de prèssa, tutta infolarmada, cont i ciav in man,ma mì per dispett partiroo nò.Ona soddisfazion piscinina.Gh’hoo domà quellama saroo semper a soa disposizionse la me vorarà ancamò.

Gianna Bernocchi

SENTEE DE MONTAGNA

Stanòtt altra ioccada a l’improvvis,’dess el sentee l’è tutt quattaa de nev.Cammini pian pianin in mezz al boschdenter a ’sto silenzi... tanta pas.

On fregg de biss che me pizziga i òssel me ten compagnia in del mè andà,d’on bòtt vedi rivà guardand in alton ròsc de usei tutt negher ’me scorbatt,s’incorren e sgoratten, giren... girenformand in ciel on serc sora de mì.

Pareva de vedè come on ballettma quell gragià (forsi per lor de festa)m’hann faa mancà el respir, quasi stremì.Poeu come per incant hinn slisaa via.

Torna de noeuv silenzi adess intorna.me invii tranquill vers la gesettache vedi là lontann travers i larese in fond al coeur me nass on’orazion.

Alarico Zeni

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LEGGIUU E SCOLTAA

Sciroeu de Milan - Marz/April 2015 19

LA MEGERA

La megera l’è ona sciora piscinina,cavei bianch, ’na facia ’me on bulldòghduu oggitt de ièna assassina la boia semper adree a on quaidun.On meter e quaranta, cattiva e maliziosa,la cred de savè tusscòss domà lee,i alter hinn di stupid bon a nient,e la ghe vosa a tucc, dent per dent.La canta ai sett or de la mattina, canzon senza grazia, senza sens,la sifolà e a dì di parolàsc a l’è la prima,contra i politich che ghe l’hann sù con lee ’na povera veggia senza danee!!!L’è minga vera: l’è voeuna che la scond i danee in del materazz! L’è mèj lassala stà perchè gh’ède cor el ris’c che la te ’riva in cà cont on cortèll in man... chissà...Me piasaria fagh on bell regall, e vist che la par pròppi ona stria: ona bella scoa motorizzada,inscì, intanta che in ciel la vola,cont el fregg la se s’ciariss on poo i idei e, fòrsi, la rivara sù ’n alter pianetaà fà compagnia a Eta Beta!

Micaela Baciocchi

CHE BELL…

Che bell cœur, pitturaa in sul piattcont el gius de moron…l’è tutt rossross ’me foeugh.

I moron eren dolzel penser, anca quell.

La grandezza, l’amorvegnen foeura, anca in gioeughgioeugh de ioeu giamò grand…anmò bon de giugà.

Mara Chierichetti

Continua da pag.21 - Poesia e stile

il iglio di lei afidato ad un amico, capitano di nave, afinché viaggiando per cinque anni, diventi uomo; alla giovane cameriera, sincera e fedele, farà una dote, afinché si sposi; si libererà di tutto il personale di servizio superluo, introdotto dalla moglie, che aveva cercato di mentirgli.Così è convinto di essersi comportato da ‘buon padre di famiglia’. Tanto avrebbe detto il capocomico, al termine dello spettacolo davanti ai Sovrani. Senon-ché Francesco I, che si era informato in tempo, tro-

vò il pretesto di un mal di pancia per non assistere alla commedia e due giorni dopo ripartì quasi alla chetichella per Vienna. Quell’episodio segnò l’inizio di una rottura del governo centrale dell’impero con Milano, rottura che avrebbe portato allo Spielberg e al ’48.Come appare da questa vicenda, i tempi erano tutt’al-tro che tranquilli. Goldoni, da morto, e Porta, vivente svolsero una funzione molto importante nell’espri-mere la volontà del popolo milanese e il nostro poeta venne poi sempre tenuto d’occhio dalla polizia.

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20 Sciroeu de Milan - Marz/April 2015

LEGGIUU E SCOLTAAFOEURA DEL CAVAGNOEU

TABAR (solilòqui)

Pòrti el “Tabar” a roeuda in Pontevetero davanti a on’ostaria veggia-Milan doe trii mè ioeu, dò mè ne-vod e on bell gener, non an’mò sposaa, hann voruu festeggià el mè compleamus, mangià polito come ’se convegn in di circostanz, tutt de prima qualità come ai temp, quand i nòster gent s’ceppaven el salvada-nee in certi occasion per dà tutt quell che se podeva per festeggià i vecc ancamò in pee.Jersera, donca, seri insèma a lor, e pròpi a mì che in chi di chì avevi già decis de restà biott come ’l dì che son nassuu, lor me regalen on “Tabar”. Inscì mì resti biott cont el “Tabar”.L’è forsi on poo longh, ma se capiss, lor cont el sò ben me veden grand, lor resten di bagaj, e me parlen del sò ben grand come ’l mar, magara senza in come l’è ’l ciel e ancamò pussee, slargand i brasc.E biott, quasi a faraost, cont el “Tabar” mì son chì a spettà l’inverna!?

E già! A la mia età, chì tutt sudaa a curà l’inverna con la soa scighera che in del passà via, la lassa vedè tu-scòss bell biott e poeu la quatta tutt col sò “Tabar”.De gentilomm cont el “Tabar” mì spettaroo l’inverna e scondaroo quell che gh’è adess per desquattà quell che gh’è pù nel nost Milan.Andaroo in stondera, sora i pont, a guardà giò, sul Ti-cines, e in Momfòrt, doe son nassuu e l’inverna, che se sà, el se fa sentì el me restarà in di oss, ma la nev?! la nev che la ven giò in silenzi e la sbianca i tecc di cà e el Navilli che ’l diventa de cristall coi lustritt sul giazz de l’acqua, a sbarlusì e a fà la gibigianna ai bej gabbian che volen bass, me restarànn in del coeur.Quanti robb jersera, cari ioeu, con vialter in Ponte-vetero jersera girava la mia storia in d’on gioeugh de la magia, che col “Tabar” se compagnava.

Joreste

Continua da pag.8 - Al tempo di Tiberio

Pilato gli disse: “Dunque tu sei re?” Rispose Gesù: “Tu lo dici, io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto al mondo per dare testimonian-za alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce”.E Pilato: “Che cos’è la verità?” E detto questo, uscì di nuovo verso i Giudei…” (Giovanni 18-37-38).L’incontro s’interrompe alla parola verità. Per un ebreo verità era “emet” (fermezza), per un romano “veritas” (realtà delle cose), in greco “aletheia”, lin-gua nella quale ci è giunto il Vangelo di Giovanni.“Verità” era una parola che creò paura nella mente di Pilato e da lì probabilmente ebbe origine il gesto “di lavarsi le mani”, anche se quel gesto nasconde forse altri signiicati ancora da decifrare.Nel Vangelo di Nicodemo, Gesù risponde alla doman-da di Pilato “La verità è dal cielo” Al che Pilato: “Non c’è verità sulla Terra?” Insomma i due protagonisti del colloquio erano totalmente diversi nel ruolo e nel

modo di pensare.Però Gesù aveva dalla sua una vita irreprensibile, un pensiero nuovo portato avanti in modo paciico, una predicazione che ha rivoluzionato gli animi, la sua azione complessiva volta alla costruzione di una spe-ranza nuova.Pilato governò la Giudea per un lungo tempo dal 26 al 36 d.C., ma quando Elio Seiano cadrà in disgrazia anche il procuratore a stento salvò la pelle: fu rimosso dal suo incarico e coninato nelle Gallie ove inì i suoi giorni avvolto nel silenzio.Non viene dimenticato però da un paesino dell’Abruz-zo, S.Vito in Fontecchio (ove sembra sia nato), dove da secoli si ripete in uno spettacolo il dramma di Pon-zio Pilato.Anche questo rende bene il mistero e l’interesse di cui ancora oggi è impregnata la igura dell’aspirante alla prefettura d’Egitto.L’altro protagonista, Gesù Cristo, vive invece insie-me a noi da oltre due millenni, testimonianza di Fede e Speranza.

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Sciroeu de Milan - Marz/April 2015 21

Aglio respinge streghe e incantesimidi Fior-ella

VEDRINA DE LA BOTANICAa cura di Fior-ella

Continua a pag. 26

Pianta erbacea perenne, l’Allium sativum apparte-nente alla famiglia delle Agliacee o Liliacee, soffusa di zolfo che, come confermava Shakespeare, turbano il raccoglimento spirituale. Molte persone hanno motivo di avversione dovuto all’odore pungente ed acre per l’essenza antisettica solforata, l’Allicina, che impregna l’alito di chi lo consuma sia crudo che cotto. Per sprigionare il suo aroma è necessario schiacciarlo prima dell’uso, to-gliendo delicatamente la “tunica”, la sottile pellicola che avvolge ogni spicchio.Il bulbo contiene oltre all’Allicina, vitamine A-B1-B2 e C, e sali minerali. La raccolta dei bulbi è effettuata in estate quando la porzione aerea della pianta è secca. I bulbi dell’Aglio si conservano senza la necessità di essere essiccati.La pianta dell’Aglio non esiste allo stato spontaneo, ma è coltivata in terreni sabbiosi e fertili negli orti o su scala industriale. Le foglie alla base sono saldate a tubo poi nella por-zione libera sono iliformi, istolose e sottili all’estre-mità.I iori, riuniti ad ombrella, sono provvisti di sei sepali bianchi racchiusi prima della ioritura in una brattea detta “spata” che l’avvolge.Spicchi di aglio, erano somministrati agli schiavi egiziani che costruivano le piramidi con la convin-zione che sarebbero stati preservati da infezioni ed avrebbero avuto maggiore forza isica. Aglio e cipolle per anni furono protettori del cammi-no dei viandanti nelle notti magiche, come quelle del solstizio estivo. A Roma se ne nutrivano atleti e lottatori.Pianta infera era offerta con ghirlande di aglio e ci-polle dai Greci alla Dea Ecate poi associata ad Osiri-de, Dio protettore dei morti.In Romagna il 24 di giugno si svolge il mercato del-l’Aglio, simbolo di abbondanza.Plinio il Vecchio affermava che per fare crescere l’aglio senza odore, si deve seminare la pianta quan-do la luna si trova sotto l’orizzonte e che mangiato sia crudo che cotto, allevia l’asma.L’elenco delle virtù terapeutiche presentate da Plinio potrebbe continuare, ma un tempo erano considera-ti sorprendenti i risultati ottenuti con la cosiddetta

“Mostarda del Diavolo” impasto di grasso ed aglio pestato per curare chi era affetto da malattie nervo-se. La preparazione a base di aglio giova a persone con pressione sanguigna alta, agisce per stimolare la se-crezione della bile, risulta ottimo rimedio contro i di-sturbi dei fumatori, cioè la presenza di catarro croni-co, oltre ad essere considerato eficace antidiabetico, diuretico, espettorante e tonico. Utilizzato nelle affezioni polmonari pare sia una te-rapia valida anche contro contro i reumatismi, l’iper-tensione e la tenia. Prassagora era convinto che mescolando nel vino spicchi d’aglio maciullato curava i malati di itterizia, cotto nel latte e tritato con formaggio attenuava il ca-tarro e la raucedine dei fumatori.Vi erano anche personaggi che evitavano il consu-mo dell’aglio come Alfonso di Castiglia che ritene-va questa pianta così ripugnante da ordinare ai suoi cavalieri di non presentarsi a corte qualora avessero consumato aglio e cipolle almeno da un mese.Aglio talismano, collegato al solstizio d’estate, per difendersi ed allontanare gli spiriti malvagi, vampi-ri e streghe si consiglia di portare una collana con spicchi d’aglio nella notte di San Giovanni quando le streghe si recano al sabba annuale e volano tra le tenebre della notte.Aristotele considerava questa pianta un’erba magica contro gli spiriti e valida protezione nei confronti di incantesimi, come presentato da questa leggenda.

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ACCADEMIA

22 Sciroeu de Milan - Marz/April 2015

IL MANZONI CHE NON CONOSCIAMO

Quella lite durata 16 anni di Osmano Cifaldi

Manzoni fu in causa con l’editore Le Monnier per

i diritti d’autore, si mostrò un abile toga e vinse il

“Garbuglio”

Cominciò a scrivere i “Promessi sposi”, anzi “Fer-mo e Lucia”, nel 1821, mentre stava per ultimare “l’Adelchi”. La prima idea gli venne nella villa di Brusuglio leggendo le pagine storiche del Ripamon-ti. Nacquero così i personaggi del suo romanzo: Fer-mo Spolino, il Renzo del domani e Lucia Zarella, la Mondella futura, poi il cardinale Federico Borromeo, Francesco Visconti, l’Innominato, il dottor Azzecca Garbugli, Don Abbondio, fra Cristoforo etc.Trovò il periodo in cui far vivere l’opera, quella in cui Fernandez de Cordoba occupava la carica di go-vernatore di Milano (1627): un governo quello della Lombardia spagnola arbitrario, feroce, con una le-gislazione assurda. E così nacque a poco a poco il romanzo moderno di successo che si chiamò inine i Promessi sposi, questo dopo che il testo fu riscac-quato in Arno.Il suo editore divenne Felice Le Monnier, un impren-ditore del libro di grande spessore, che possedeva in Firenze anche un’affermata tipograia. Pubblicò le opere di Dante – Petrarca – Machiavelli – Guerrazzi – Massimo d’Azeglio. Stampò inoltre le opere del Leopardi che altri editori avevano riiutato. Insomma un editore di prestigio ma che come tutti gli editori dell’epoca fu restio ad accettare le nuove leggi (1840) che tutelavano il diritto d’autore pubblicando libri di contemporanei senza permesso. Litigò per questo con il Manzoni e siorò la lite pure con Cantù e Grossi. La lite con Don Lisander per la stampa di una edizione economica non autorizzata dei Promessi Sposi causò un celebre processo durato ben 16 anni.Il “Gran lombardo”, i cui legittimi interessi erano continuamente danneggiati dalle stampe abusive, si arrabbiò non poco con Le Monnier che aveva pub-blicato nel 1845 la sua storia senza chiedergli l’au-torizzazione.Ebbe così inizio un clamoroso processo in materia di diritto d’autore. I primi due gradi di giudizio svoltisi a Firenze durarono ben 14 anni e furono favorevoli al Manzoni. Ma la grande partita inale si svolse in

Cassazione, allora con sede a Firenze, nel 1862. Gli avvocati di Le Monnier sostennero che le stampe del famoso romanzo furono licenziate su un testo degli anni ’20, cioè prima che nascessero le norme del 1840 che tutelavano i diritti d’autore e quindi non po-tevano comprendere uno scritto antecedente quella data. Protestando in aggiunta la totale buona fede del loro assistito. Ma l’affondo di Le Monnier non ebbe l’esito sperato in quanto entrò in campo il Manzoni che nelle vesti di un’abile “toga” sorprese tutti dimo-strando che la retroattività non c’entrava in quanto la legge non proibiva i fatti passati ma le attuali ri-stampe. Lo scrittore lombardo colse con afilato iu-to giuridico il segno e così la Cassazione condannò deinitivamente Le Monnier a risarcire l’autore con la rilevante somma di 150.000 lire. Dopo settimane d’incontri, gli autori del “garbuglio” si accordarono per 34.000 lire.Le Monnier soccombette con dignità senza che i suoi meriti di editore fossero intaccati.Conte per parte di padre, marchese per parte di non-no, iglio naturale di un primo amante della madre (Verri) ed erede universale di una seconda iamma (Imbonati), Manzoni ebbe molti onori ma anche tan-te pene. Fu vedovo due volte e sette dei nove igli gli premorirono. L’ultimo venti giorni prima che mo-risse anche lui ottantottenne. S’era il 22 maggio del 1873.Nacque a Milano in via S. Damiano 20 - venne bat-tezzato nella chiesa di S.Babila - visse in via Morone a Milano 1 – Morì a causa di una caduta davanti alla chiesa di S. Fedele.

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Sciroeu de Milan - Marz/April 2015 23

CUNTA SÙa cura di Ella Torretta

El Taccoindi Ella Torretta

Continua a pag. 26

Quaivun l’avarà sentii parlà del “Pescador de Cia-ravall”, taccoin stòrich ch’el pubblicava notizi che se riferiven a stagion, lun, stell in del irmament e i prevision del temp, in milanes ciamaa: “Taccoin de Ciaravall”. In del 1635 el famos Astrònom e Pescador de Cia-ravall l’ha cominciaa a fà stampà per la libreria de Piazza Mercant a cura de Lodovico Monza, quell che poeu el doveva ciamass el “Ciaravallin”, nassuu in d’on convent. Questa l’è la soa stòria. Intorna a l’Abbazia de Ciaravall gh’era ona ronsgetta che la garantiva ona bòna pescosità, senza fà tanta fadiga, perchè on fraa el se metteva a la inestra, el slongava giò ona redina ò ona canna de pesca con taccaa l’amiscioeu e el disnà per i confradei l’era as-sicuraa. El Pescador de Ciaravall intanta ch’el spettava ch’el pess el boccass, el preparava i notizi de pubblicaa sul taccoin... e inscì el s’é ciamaa el taccoin del Pescador de Ciaravall. Gh’era on òmm che i primm dì de l’ann, el passava per i strad de Milan e el vosava: - “Gh’è rivaa el Ciaravall, l’è chi el Ciaravallin!...”I dònn andaven giò in cort per comprà con pòch ghei el taccoin de l’ann ’pena cominciaa.El Pescador de Ciaravall el gh’ha ormai 350 ann de stòri pubblicaa, come el sò concorrent “l’Almanac-co del Barbanera” de Foligno, stampaa e distribuii in del territòri di “Appennini” che la gent la consultava per savè i prevision meteorològich. De spess sia i editor del Barbanera che del Ciara-vall se rubaven ò se copiaven notizi e client, perchè gh’era nananmò la “proprietà letteraria”, ma, come affermava el poeta milanes Luigi Medici, i messagg di taccoin confermaven che -... “L’è la vos de cent’ann che se tramanda dal pader ai nòster ioeu come ona danda de sentiment de la gent che se voeur ben…”El se ciama anca “Lunari”, perchè el ripòrta notizi sui stell e i moviment de la luna in del irmament.L’Almanacch, stampaa de corsa e su carta de scart, de spess el rappresentava l’unica possibilità per la pòvera gent de avegh taccaa sul mur de la cusina l’indicazion di sant del dì, i nòmm di protettor di me-stee, i numer bon del lòtt, i prevision del temp, i dì

del mercaa de la zòna, consili de vita e curiosità per la coltivazion in de l’òrt de la verdura e la frutta de stagion. Gh’aveven inscì l’unica occasion de avegh sòtt’oe-ugg notizi de cultura spicciola, s’intend per la popo-lazion che la saveva leg ò segnà cont on lapis coloraa i giornad de ricordà per on anniversari particolar. El primm calendari italian l’è staa stampaa a Vene-zia in del 1476 con l’introduzion de la stampa e cont on linguagg elementar, ma con la pomposa scritta in “grassetto”:- “Questa opera da ogni parte è un libro in dono,non vi fu più preziosa gemmadel calendario che tratta assai cosecon gran facilità…”Anca el famos “Nostradamus” l’ha scritt sui primm Taccoin i sò trattaa de “astrologia” che se mes’ciaven ai prevision catastròich del mond. In Italia l’era cia-maa “Nostro Adamo, profeta francese”Tra el ’700-800 anca i dialett hann trovaa la possibi-lità de vess inserii sui taccoin e a propòsit va minga desmentegà el nòster Carlo Porta che in del 1793 l’ha traa insema el taccoin dal titol “El lavapiatt del Me-neghin ch’è mòrt”. In del ’700 nassen di alter taccoin pubblicaa da reli-gios, per esempi in del - 1729 “Il Rustico Indovino”, “El rustegh indovin”- 1770 “Milano Sacro” - a la in del ’700 “La luna in corso”, la “Vesta verde” e “La pellegrina celeste”. Per i nòbil, per la gent de cultura, per i letteraa, per i politich, per i damm se stampaven calendari parti-colar che metteven in evidenza la “moda”, notizi de medesina, consili de comportament in società ò ma-nifestazion de stima per quell personagg ò Monscior important al moment.Per i perrucchee se stampaven librett profumaa con disegn de dònn quasi biòtt che i perrucchee de òmm daven in omagg ai client pussee affezionaa.Dopo el 1814 tanti alter taccoin vegnen pubblicaa, ma mal vist da la censura, come “Il nipote di Vesta Verde “. Cesare Correnti dal 1848 al 1859 el torna a fà stampà “Il nipote del Vesta Verde de Milan”, titol d’on anti-gh lunari de prevision Lombardo - Veneto e cont el

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VOS DE RINGHERA

24 Sciroeu de Milan - Marz/April 2015

Il popolo milanese ha sempre avuto una speciale arguzia nel forgiare detti e motti di particolare eficacia, mai mancanti di generosa ironia che si avverte anche nelle locuzioni più cupe. Ve ne proponiamo alcuni in questa pagina connessi alle motivazioni della loro origine.

Se la và... la gh’ha i gamb!.

Capita spesso nella vita di trovarsi di fronte al dubbio se un tentativo abbia o meno possibilità di successo.Talora nel valutare la possibilità serve l’esperienza o l’intuito, spesso il caso o la fortuna decidono coinci-denze felici.Da tutto questo la saggezza del popolo milanese ha tratto il detto che mira a dimostrare che spesso è il caso che decide.Perciò, scherzosamente, quando qualcuno tenta una iniziativa spericolata ma che con un po’ di fortuna potrebbe andare bene, dice ilosoicamente: se la

và... la gh’ha i gamb! Se mi riesce, sono fortunato.

Ciapel, pelel, mangel.

Prendilo, pelalo, mangialo. Sintesi di tre operazioni diverse e successive, si usa per segnalare la rapidità, spinta alla precipitazione, di un’azione o un gesto.Accade a volte che chi ha raggiunto qualcosa di mol-to desiderato subito ne usi con evidente precipita-zione, questa fretta inelegante viene causticamente commentata da bonaria ironia dicendo a chi dimostra tanta furia: Ciapel, pelel, mangel!

Foeura di strasc.

Son foeura di strasc! Antico detto per esprimere in-dignazione, me l’hanno fatta troppo grossa! Sono fuori di me. Il detto ha una origine singolare, infatti una delle prime manifestazioni di pazzia è quella di levarsi i panni, come fece Orlando quando divenne furioso. Gli abiti, per il popolo, sono poveri panni, strasc, e perciò il detto signiica sono fuori dime, sto per impazzire.

A Milan anca i moron fann l’uga.

Questo vecchio detto deinisce Milano come la città del miracolo economico, a Milano anche i gelsi fan-no l’uva.Per comprenderlo bisogna ricordare che il gelso era una pianta tradizionale della Lombardia, coltivata per fornire le foglie ai bachi da seta, i bigatt, con le quali si nutrono. Il gelso ha un legno gramo e non da frutti apprezzabili, dire che a Milano i gelsi fanno l’uva signiica affermare che Milano è città capace di ricavare frutta da tutto, con coraggio, lavoro e capa-cità organizzativa.

Ghe la doo mì la carna grassa!

Riferito all’atteggiamento indisponente di un avver-sario malizioso... crede di fare il furbo? ma ghe la

doo mì la carna grassa! Per comprendere il motto basta pensare che la carne grassa è di per sè l’im-magine del benessere, dello star bene, vuol dire iro-nicamente: penserò io a farlo star bene, a metterlo a posto!

Seccaperdee.

Il perdee è il ventriglio degli uccelli e quindi anche del pollo. Il popolo immagina che i seccatori, che non danno respiro, riducano il perdee a una morta-le aridità. Così accade di sentire qualche milanese al colmo della sopportazione per l’assillo di persona noiosa e petulante, esprimere la propria impazienza brontolando... che seccaperdee!

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Sciroeu de Milan - Marz/April 2015 25

SALUTE A MILANOa cura di Filippo Bianchi

Facciamo i nostri calcoli di Filippo Bianchi

La calcolosi della colecisti, chiamati anche colelitìa-si o, impropriamente, “calcolosi del fegato”, è una patologia caratterizzata dalla presenza di formazioni dure come sassi, di dimensioni variabili, presenti nel-la colecisti, dette per l’appunto calcoli. Questa parola deriva dal latino calculus, che signiica “sassolino”; infatti, gli antichi Greci e Romani eseguivano opera-zioni con i numeri disponendo ordinatamente alcuni sassolini su una supericie piana. La colelitiasi è una patologia abbastanza frequente, giacché interessa il 10-15% della popolazione adulta, con particolare pre-dilezione per il sesso femminile; si associa spesso a gravidanze multiple, obesità e a rapidi cali ponderali. La colecisti (chiamata anche cistifellea), è un organo a forma di pera, lungo circa 7-10 cm, che si trova nell’addome proprio sotto il fegato, e la cui princi-pale funzione è quella di conservare e concentrare la bile, un liquido marrone-verdastro prodotto dal fegato, necessaria per la digestione e l’assorbimento dei cibi grassi e di vitamine. La bile è prodotta dal fegato e normalmente contiene una sostanza grassa chiamata colesterolo, che normalmente non precipita grazie all’equilibrio che si forma con altri costituenti della bile, chiamati sali biliari e i fosfolipidi. Se però per vari motivi questo equilibrio si altera, si forma una bile satura di colesterolo; ciò determina la pre-cipitazione del colesterolo e la formazione di picco-li cristalli, che agglomerandosi tra di loro, formano i calcoli veri e propri, che con il tempo tenderanno ad accrescersi sempre più. Almeno la metà delle persone con calcolosi della colecisti rimane asinto-matica per molti anni, ed i calcoli vengono scoperti per caso durante accertamenti diagnostici eseguiti per altri motivi. La manifestazione clinica più fre-quente è comunque la colica biliare post-prandiale che insorge generalmente dopo aver fatto un pasto particolarmente ricco in grassi, e che si caratterizza per l’improvvisa insorgenza di dolore penetrante e opprimente, localizzato in ipocondrio destro (la zona subito sotto lo sterno, a destra) di durata (30 minuti-3 ore) e intensità variabile, che si risolve spontanea-mente. Il dolore può irradiarsi posteriormente alla scapola destra e si può associare a nausea e vomito. La diagnosi si fa tenendo conto della sintomatologia clinica e dell’esame obiettivo, e viene confermata

con l’ecograia epatica, che resta l’indagine di scelta per la diagnosi della colelitiasi e che permette, ol-tre che di individuare la presenza di calcoli, anche di visualizzare le pareti della cistifellea e il circostante parenchima epatico. E’ un esame sicuro, ripetibile e, se eseguito da un buon operatore, può fornire tutte le informazioni per trattare questa patologia. Come si curano i calcoli della colecisti? Per i calcoli silen-ti, cioè asintomatici, non è indicata alcuna terapia; invece, se si soffre di attacchi frequenti, il medico con ogni probabilità consiglierà l’asportazione della cistifellea con un intervento detto colecistectomia. Si può anche tentare, in particolari casi, una terapia medica a base di acidi biliari (acido chenodessossi-colico e acido ursodesossicolico) somministrati per via orale, con lo scopo di sciogliere i calcoli in fram-menti più piccoli, che quindi possono essere escreti tramite le vie biliari nell’intestino. Prima che i calcoli si sciolgano completamente possono essere necessari mesi o anni di terapia. Entrambi i farmaci possono causare lieve diarrea. L’intervento chirurgico è inve-ce risolutivo, e consiste nell’asportazione della cole-cisti L’intervento di rimozione della cistifellea (che, ricordiamo, è un organo non essenziale) è uno degli interventi chirurgici più comuni nella popolazione adulta, richiede generalmente una breve ospedaliz-zazione dopodiché si potranno riprendere le normali attività dopo alcuni giorni di convalescenza a casa. Siccome la miglior cura è la prevenzione, sapendo di essere affetti da colelitiasi è consigliabile segui-re una dieta speciica. Bisogna innanzitutto preferire pasti piccoli e frazionati durante la giornata; vanno evitati pasti ricchi di grassi, soprattutto se di origine animale: l’olio extra vergine d’oliva è il condimento migliore e più salutare; sono da evitare gli alcolici mentre è consigliabile un consumo quotidiano e ab-bondante di ibre.

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ACCADEMIA

26 Sciroeu de Milan - Marz/April 2015

Continua da pag.21 - Aglio respinge streghe e incantesimi

In una cascina nei dintorni di Affori alloggiava una bambina con una vecchia che l’aveva adottata, ma la maltrattava, perché era sempre alla inestra attratta dalla luminosità della luna, quindi l’aveva chiamata Figlia della Luna, anche perché non sapeva chi fos-sero i suoi genitori. La vecchia con un incantesimo la costringeva a fare i lavori più umili, le faceva ingoiare spicchi di aglio mattina e sera e portare una collana fatta con sassi ed aglio che credeva potesse preservarla dai frequenti disturbi causati dalla tenia che sostava nel suo inte-stino.

Continua da pag.23 - El Taccoin

consens de la “censura” del Governo, el scriveva: - “il nostro paese bisogna amarlo e non per niente si chiama Patria…”- “L’Almanacco illustrato della pace” dal titolo “Ban-dera bianca”, “Giù le armi”, el nass vers el 1898 a cura del “Premio Nobel Ernesto Moneta”. Ona raccòlta de taccoin milanes l’è conservada in de l’archivi de la “Civica Raccolta Bertarelli”, ospitada al “Castello Sforzesco” e dal 1931, per chi l’è inte-ressaa, anca in di locai de la “Biblioteca della Fami-glia Meneghina” che adess l’è ospitada a la “Società del Giardino” – in via San Paol a Milan. Chi vendeva i taccoin in strada se ciamaven: Tac-coinatt, Taccoinee ò quell di Taccoin noeuv, e chi el cercava e el trava a insema i notizi de pubblicà, Tac-coinista. Al dì d’incoeu diversi hinn i taccoin che se troven sul mercaa. - “El Milanes” grand ò piscinin, pubblicaa da la “Li-breria Meravigli”, con proverbi e informazion su Mi-lan e personagg stòrich - “El Menabon” semper pubblicaa da la “Libreria Meravigli”, almanacch tascabil e “portafortuna”- quell del “Frate Indovino” con proverbi vun per dì e tanti alter notizi- quell stampaa da l’ “Associazione di ex Martinitt” con la riproduzion de quader e la pubblicazion de

poesii in milanes, dedicaa a ògni mes de l’ann.On poo de mes prima de l’inizi de l’ann, in ottober-november, in d’on local avert al pubblich interessaa, el ven presentaa dai pittor e dai poeta che hann con-tribuii a la realizzazion de sta bella iniziativa che la dura ormai da diversi ann. - el Taccoin per l’ann… “Agenda letteraria” in lin-gua milanesa de la “Famiglia Meneghina” l’è on bell librett, curaa da l’attor Roberto Marelli, e da Gianni Rizzoni, ch’el comprend poesii, disegn, notizi de As-sociazion, de bottegh stòrich, foto de tanti personagg milanes del dì d’incoeu e del temp passaa. Tutti i milanes dovarien avegh in cà ona còpia del taccoin Ambrosian per contribuì a la soa divulgazion, fà minga desmentegà i tradizion d’ona vòlta che cun-ten sù la vita de personagg de nascita ò adozion mi-lanesa, i avveniment pussee important capitaa in de la nostra città, i proverbi e i massim popolar riportaa mes per mes sul calendari.

GLOSSARIO

Ronsgetta = rigagnolo

Amiscioeu = amo da pesca Lapis = matita Menabon = portafortuna Danda = dondolio

Lei non riusciva a liberarsi da questa situazione in che, diventata una ragazzina, una notte, ancora con il viso incollato alla inestra per ammirare la lumi-nosità dei raggi lunari, vide che un folletto a cavallo della luna, sempre più velocemente scendeva ino a lei e quando le giunse vicino con un ramo coperto di stelle, le strappò la collana di sassi e spicchi d’aglio che rotolarono sul pavimento e sparirono. Rotto così l’incantesimo, il folletto si trasformò in un giovane che la portò via con sè in alto, in cielo dove illuminati dai raggi lunari, trovarono la felicità. In milanese Aglio si traduce in Aj, un capo d’aglio, on cô d’aj, mentre uno spicchio d’aglio, l’è ona fesa

d’aj.

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Firifiss

Marisa Vanetti

sculture in terracotta

La miglior vendetta? La felicità. Non c’è niente che

faccia più impazzire la gente che vederti felice.

Non cercate di prendere i poeti vi scapperanno tra

le dita.

Mi sveglio sempre in forma, mi deformo attraverso

gli altri.

Nessuno è felice, come chi sa di essere amato.

Le mosche non riposano mai perché la merda è ve-

ramente tanta.

La bellezza non è che il disvelamento di una tene-

bra cadente e della luce che ne è venuta fuori.

La casa della poesia non avrà mai porte.

Alda Merini

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SCIROEU de MILAN

Come tutti gli anni le immagini delle copertine e della pagina centrale hanno un tema

per il 2015 sarà “Poeti di Lombardia”

In copertina: Alda Merini

Alda Giuseppina Angela MeriniMilano, 21 marzo 1931 – Milano, 1 novembre 2009

La sua famiglia è di condizioni economiche modeste. Il padre, Nemo Merini è dipendente presso una compagnia di assicurazioni e la madre, Emilia Painelli, casalinga.Alda è la seconda di tre figli. Della sua infanzia si conosce quel poco che lei stessa scrisse in brevi note autobiografi-che in occasione della seconda edizione dell’Antologia di Spagnoletti: che era una ragazza sensibile e dal carattere malinconico, piuttosto isolata e poco compresa dai suoi genitori ma molto brava ai corsi elementari: “...perché lo

studio fu sempre una mia parte vitale”.

Ti aspetto e ogni giornomi spengo poco per voltae ho dimenticato il tuo volto.Mi chiedono se la mia disperazionesia pari alla tua assenzano, è qualcosa di più:è un gesto di morte issache non ti so regalare.

(Clinica dell’abbandono, Einaudi, 2003 - 2004)