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a cura di Aspen Institute Italia

Piazza Navona, 114 00186 - Roma

Tel: +39 06 45.46.891 Fax: +39 06 67.96.377

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Scienza, politica, società: diverse velocità, sfide comuni

Novembre 2020

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II EDIZIONE

PROGETTO SULL’INNOVAZIONE IN MEDICINA

Scienza, politica, società: diverse velocità, sfide comuni

in collaborazione con Novartis

CON I CONTRIBUTI DI

MIRKO DE MALDÈ, ANDREA GRIGNOLIO, MAURO MARÈ,

FABIO PAMMOLLI, GAIA PANINA, GIUSEPPE POMPILIO, ROSANNA SOVANI

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INDICE DEI CONTENUTI CAPITOLO 1: LA SALUTE DEL FUTURO – FRA AVANZAMENTO SCIENTIFICO, EVOLUZIONE

SOCIALE, E COMPLESSITÀ ORGANIZZATIVE ...................................................................................... 3

1.1 La medicina del futuro fra innovazione, invecchiamento della popolazione e riorganizzazione dei servizi......................................................................................................... 3

1.2 L’opportunità Europea: trasformare la crisi Covid e le relative misure europee in una opportunità per lo sviluppo e l’esecuzione di una strategia di lungo periodo di innovazione sanitaria .................................................................................................................... 4

1.3 Le sfide della crisi Covid-19 e le risposte della tecnologia ................................................ 6

CAPITOLO 2: FRA DISINFORMAZIONE, EDUCAZIONE, ED EMPOWERMENT – LA SFIDA VERSO UNA

NUOVA ALLEANZA FRA STATO E CITTADINI PER COMBATTERE LA DISINFORMAZIONE E CREARE

UN AMBIENTE FAVOREVOLE ALL’INNOVAZIONE ............................................................................ 11

2.1 Colmare il divario tra scienza e società: la necessità di stabilire nuova fiducia fra enti pubblici, enti privati e cittadini ................................................................................................. 11

2.2 – Cittadini e sanità: come dare vita ad un rapporto capace di mantenere le aspettative e combattere la disinformazione .......................................................................... 17

2.3 – Articolare un nuovo discorso pubblico su big data e privacy alla luce dell’esperienza della pandemia – verso un nuovo patto di cittadinanza digitale e una sanità basata sulla prevenzione e sulla centralità del cittadino ............................................................................. 22

CAPITOLO 3: L’EVOLUZIONE DELL’R&D VERSO LE TERAPIE AVANZATE ..................................... 35

3.1 Terapie avanzate - definizione ............................................................................................ 35

3.2 Processi di ricerca e sviluppo innovativi ........................................................................... 35

3.3 Esempi di nuove terapie innovative e analisi costi-benefici ........................................... 39

CAPITOLO 4: COME DEVONO EVOLVERE IL SISTEMA E I MODELLI DI PAGAMENTO E

FINANZIAMENTO? L’IMPORTANZA DI NUOVI SCHEMI DI COLLABORAZIONE PUBBLICO-PRIVATO

............................................................................................................................................................ 41

4.1 Come deve evolvere il sistema per integrare l’innovazione nella salute pubblica e facilitare l’accesso di tutti alle terapie all’avanguardia? ........................................................ 41

4.2 Il ruolo della sanità nella sostenibilità economica e sociale, tra digitalizzazione e terapie avanzate ........................................................................................................................... 42

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CAPITOLO 1: LA SALUTE DEL FUTURO – FRA AVANZAMENTO SCIENTIFICO, EVOLUZIONE SOCIALE, E COMPLESSITÀ ORGANIZZATIVE 1.1 LA MEDICINA DEL FUTURO FRA INNOVAZIONE, INVECCHIAMENTO DELLA POPOLAZIONE E

RIORGANIZZAZIONE DEI SERVIZI La sanità e la medicina sono attraversate da una fase di intensa innovazione scientifica, tecnologica e organizzativa. Sul fronte della ricerca scientifica e tecnologica, le evidenze più recenti segnalano la tendenza verso il rafforzamento delle dinamiche innovative, con la disponibilità di nuovi trattamenti terapeutici (come diffusamente discusso nel capitolo 3), caratterizzati da meccanismi di azione sempre più specifici e fondamentali, capaci d’intervenire, talvolta, su più patologie e su una molteplicità di specifiche indicazioni terapeutiche.

Allo stesso tempo, sta iniziando a scorgersi, all’orizzonte, una nuova generazione di strumenti di diagnosi, prevenzione e cura, basata su una gamma inedita di materiali biologici intelligenti e sugli avanzamenti poderosi sul fronte delle capacità computazionali e delle tecnologie derivate dalla fisica dei quanti, in termini di capacità di calcolo e di possibilità di conservazione e comunicazione dei dati, con soluzioni a elevata sicurezza e con l’ulteriore potenziamento delle capacità di calcolo, trasmissione e analisi di dati da fonti e formati eterogenei (incluse le nuove fonti di dati da dispositivi indossabili e mobili – come verrà più avanti esposto).

Le dinamiche innovative in campo farmaceutico e sanitario indurranno un’ulteriore espansione della frontiera della ricerca scientifica e tecnologica. Le sfide per i sistemi Paese, e per l’Italia in particolare, sono molteplici:

a) la sfida della sostenibilità di lungo periodo dei conti pubblici in relazione all’offerta e alla domanda di salute e allo sviluppo impetuoso della spesa per il welfare anziano, con un incremento di spesa riconducibile alla maggiore aspettativa di vita e ai costi di trattamento;

b) la sfida associata alla necessità di ripensare l’organizzazione dei percorsi di trattamento e di cura. La pandemia di Covid-19 ha reso ancora più saliente nell’agenda pubblica l’esigenza di una profonda modernizzazione organizzativa della sanità. Da un lato, con la ridefinizione del perimetro di lavoro delle strutture ospedaliere, sempre più concentrate su servizi ad alto valore aggiunto e sostenuti da dotazioni tecnologiche e da layout adeguati. Da un altro lato, con il potenziamento delle reti di assistenza territoriale e di telemedicina, per aumentare la qualità del servizio offerto ai cittadini, integrando sempre più assistenza e servizi sanitari. In questo contesto, un rilievo assolutamente prioritario assumono le capacità di elaborazione dei dati e l’integrazione dei sistemi informativi per la gestione delle cronicità e per la costruzione dei profili di rischio.

Sicuramente, si tratta di linee d’intervento che investono i rapporti e gli assetti istituzionali di riferimento. Basti pensare, in questa sede, ai rapporti tra Stato e Regioni, alla necessità di una gestione integrata, tempestiva e coordinata delle informazioni sanitarie su scala nazionale, alla costruzione di percorsi integrati di assistenza e di cura.

Allo stesso tempo, si tratta di affermare una capacità nuova, da parte dell’attore pubblico, su due fronti diversi eppure complementari. In primo luogo, costruendo una cultura delle valutazioni

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d’impatto economico e sociale delle politiche pubbliche in campo sanitario. Su questo fronte, gli avanzamenti delle tecnologie e dei metodi di analisi dei dati ci dicono che la sfida non è tecnica, ma organizzativa. Servono competenze e organizzazione, per far sì che le scelte di prezzo, rimborso e organizzazione dei servizi siano guidate da valutazioni accurate, accompagnate da adeguati esercizi di analisi controfattuale. In secondo luogo, valorizzando una nuova alleanza necessaria tra pubblico e privato, sia con riferimento agli strumenti di finanziamento - superando la logica del fondo perduto - sia con riferimento alle soluzioni di trattamento, in una logica di partnership pubblico privato. 1.2 L’OPPORTUNITÀ EUROPEA: TRASFORMARE LA CRISI COVID E LE RELATIVE MISURE EUROPEE IN UNA OPPORTUNITÀ PER LO SVILUPPO E L’ESECUZIONE DI UNA STRATEGIA DI LUNGO PERIODO DI INNOVAZIONE SANITARIA Come già indicato poco sopra, la diffusione di Covid-19 ha reso evidente la necessità di un’accelerazione significativa da imprimere alla modernizzazione del sistema sanitario nazionale, accrescendone la resilienza rispetto al rischio di epidemie.

La possibilità di accedere a un insieme articolato di linee di finanziamento aggiuntive dedicate alla recovery dalla pandemia dovrebbe consentire di disegnare e attuare un Programma di Emergenza Sanitaria che rafforzi il Paese nella capacità di gestire le malattie infettive e le emergenze epidemiche. L’intervento si propone di rafforzare alcuni snodi e strutture chiave del sistema sanitario, con evidenti benefici complessivi.

Le linee d’intervento prioritarie dovrebbero ricomprendere sia programmi da finanziare ex novo che la copertura di stanziamenti già esistenti. Come messo in evidenza in alcune elaborazioni recentemente messe a punto dall’Associazione “Minima Moralia” e dalla Fondazione CERM, sono necessari interventi finalizzati alla modernizzazione della rete degli ospedali dal fronteggiare le malattie infettive al rafforzamento delle strutture di prossimità e di residenza assistita, al potenziamento della rete di monitoraggio sanitario e biosorveglianza, alla costituzione di un’adeguata capacità installata per lo svolgimento di test diagnostici di laboratorio, al rafforzamento della medicina generale e delle attività di telemedicina e teleassistenza.

Le diverse misure dovranno essere coerenti con un quadro di programmazione pluriennale, che ne assicuri la sostenibilità, senza determinare un innalzamento della spesa pubblica corrente a regime.

Il focus primario è sulla modernizzazione del sistema sanitario, in termini di strutture edilizie, dotazioni tecnologiche, infrastrutture digitali, con l’obiettivo di raggiungere un efficace bilanciamento tra attività di prevenzione, assistenza territoriale e sanità ospedaliera e con soluzioni capaci di assicurare la continuità ospedale-territorio, in linea con le previsioni del DM 70/2015.

L’esecuzione delle diverse misure da realizzare dovrà necessariamente prevedere l’identificazione di un soggetto responsabile del programma, che curerà la progettazione, l’attuazione e la rendicontazione, assicurando tempi certi per la realizzazione, l’aggiudicazione e il monitoraggio delle attività programmate e dei relativi bandi di gara.

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È importante che la struttura responsabile dell’attuazione del programma possa anche fungere da stazione appaltante o lasciare che le amministrazioni bandiscano le gare direttamente, assicurando comunque l’esecuzione del piano definito.

Nel complesso, è possibile identificare almeno cinque linee principali d’intervento: La prima linea, che in termini finanziari dovrebbe assumere un peso prevalente, prevede un programma urgente per l’ammodernamento della rete ospedaliera nazionale, realizzando nuove strutture in sostituzione delle esistenti o il retrofit di strutture esistenti, per renderle pandemic-compliant. Il programma potrebbe confermare gli standard vigenti di numeri di posti letto per 1.000 abitanti, così come i rapporti tra acuzie, lungodegenze e post acuzie. La linea d’intervento dovrebbe inoltre consentire la realizzazione di una rete nazionale per la cura e la gestione delle malattie infettive, con un livello di ridondanza distribuito sul territorio nazionale e in modo da preservare, in caso di pandemia, il normale funzionamento delle strutture ospedaliere. Per ciascuna Regione, si dovrebbe identificare un numero congruo di ospedali pandemic compliant. Lo stanziamento effettivo dovrebbe basarsi sui documenti di programmazione regionale, sull’analisi della composizione per età e delle dotazioni degli ospedali esistenti e sulla costruzione di ospedali dimensionati adeguatamente, dotati di terapie intensive, dotazioni tecnologiche, profili energetici e layout idonei.

In Italia, ancora troppi ospedali sono vecchi. Oltre il 30 per cento delle strutture sono state realizzate prima del 1940, mentre l’età media dei circa 800 ospedali presenti sul territorio nazionale è superiore a 50 anni. I ritardi nei contratti di appalto e le lungaggini burocratiche dei dialoghi competitivi hanno ritardato il rinnovamento della rete ospedaliera. Gli ospedali vecchi sono anche inefficienti ed eccessivamente costosi da mantenere, oltre che inefficienti sotto il profilo dei consumi energetici. La realizzazione di nuove strutture in sostituzione delle esistenti o il retrofit di strutture esistenti per renderle energeticamente efficienti può tradursi, oltre che in un layout pandemic compliant, in una riduzione dei costi operativi di un ospedale in modo sostanziale (riduzione di almeno il 20% dei costi energetici).

Con riferimento ai fondi europei, è necessario prevedere che la linea di finanziamento consenta di realizzare un effetto blending. In particolare, si richiede che la linea d’intervento attivi, grazie alla collaborazione con la Banca Europea degli Investimenti (BEI), una piattaforma di coinvestimento capace di promuovere il blending tra finanziamento in forma di grant e prestiti di lungo periodo, con la contestuale costituzione di SPV dedicati. Soluzione che permetterebbe di realizzare un effetto moltiplicatore sul lato del finanziamento e, inoltre, di mobilitare le competenze tecniche, finanziarie e gestionali di investitori istituzionali specializzati, per realizzare strutture sostenibili sotto il profilo energetico e inserite adeguatamente all’interno dei sistemi di trasporto. Si stima, in prima approssimazione, che il rinnovo della rete ospedaliera possa assorbire uno stanziamento pari a circa 30 miliardi di euro.

La seconda linea d’intervento dovrebbe concentrarsi sull’adeguamento delle strutture intermedie di cura, delle strutture di prossimità e delle residenze sanitarie assistenziali (RSA), per renderle pandemic-compliant. In questo caso, la disponibilità di linee di finanziamento europee consente di attivare, ad esempio attraverso la collaborazione con la BEI, linee di coinvestimento sulle strutture intermedie di cura e di residenza sanitaria assistenziale. Questa linea d’intervento potrebbe senz’altro rafforzare la rete extra ospedaliera per la gestione di problemi medici non gravi e per la gestione delle fasi di cura e assistenza post acuta. Si stima, in prima approssimazione, che l’ammodernamento della rete delle strutture di assistenza e cura possa richiedere un

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finanziamento complessivo pari a circa 7,5 miliardi di euro, con la necessità di prevedere anche una linea di finanziamento per formazione del personale

La terza linea di azione dovrebbe riguardare la realizzazione di una rete nazionale permanente di monitoraggio sanitario e biosorveglianza, con la previsione di un forte coordinamento centrale e con il contestuale rafforzamento e coordinamento delle reti regionali e territoriali. Tale linea d’intervento, che prevede la realizzazione di adeguate soluzioni di interoperabilità tra basi di dati diverse (anagrafe, fascicolo sanitario, esenzioni, anagrafe tributaria, anagrafe delle imprese etc.) appare di particolare importanza per l’introduzione di piani integrati di gestione delle cronicità e delle comorbidità, per la costruzione di modelli predittivi per l’analisi dei fattori di rischio e, in caso di epidemie, per la tempestiva localizzazione dei focolai d’infezione. Si stima, in prima approssimazione, che la costruzione della rete nazionale di monitoraggio sanitario e biosorveglianza e il contestuale rafforzamento delle reti regionali e territoriali, possano richiedere un finanziamento complessivo pari a circa 6 miliardi di euro, anche in questo caso da ripartire su un orizzonte pluriennale.

In quarto luogo, è necessario prevedere il rafforzamento della rete di diagnostica e assistenza domiciliare. Serve senz’altro realizzare, in coordinamento con la medicina generale, una rete per la telemedicina e la teleassistenza. Si stima, in prima approssimazione, un finanziamento complessivo pari a circa 5 miliardi di euro su cinque anni. Dovrà essere prevista una linea di finanziamento per formazione del personale infermieristico. Il sistema va integrato con il fascicolo sanitario e integra le cartelle cliniche del paziente.

L’obiettivo è quello di rafforzare alcune attività chiave:

a. Diagnostica, triage, supporto alla decisione medica; b. Visite in remoto; c. Supporto del mantenimento della salute del paziente; d. Monitoraggio e gestione delle condizioni croniche; e. Supporto delle fasi preoperatorie e post-acute.

Infine, quinta linea, serve investire nel rinnovamento delle dotazioni tecnologiche sanitarie, realizzando una rete nazionale di laboratori per lo svolgimento di test diagnostici, con particolare riferimento ai test RT-PCR. In questo caso, l’obiettivo è quello di imprimere un’accelerazione all’adeguamento delle dotazioni strumentali delle strutture sanitarie e, inoltre, di assicurare un numero congruo di centri di rilevamento e una congrua capacità installata per la produzione di reagenti di laboratorio, sul territorio nazionale. Si stima, in prima approssimazione, uno stanziamento di risorse pari a circa 4,5 miliardi di euro, da ripartire lungo un orizzonte pluriennale.

1.3 LE SFIDE DELLA CRISI COVID-19 E LE RISPOSTE DELLA TECNOLOGIA Come dianzi accennato, ciò che rende vitale l’avvio di un nuovo sistema di offerta dei servizi sanitari non è soltanto un elemento di natura economica e di sostenibilità nel lungo periodo (con la necessaria gestione dell’impatto dell’invecchiamento della popolazione), ma principalmente il fatto che una migliore offerta sanitaria è possibile e alla portata dei sistemi sanitari nazionali e dei cittadini, grazie alle nuove possibilità tecnologiche e terapeutiche, che solo una sistematica riorganizzazione dei servizi potrà rendere pienamente operative. Un ulteriore motivo per

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perseguire i nuovi modelli di cura offerti dalle tecnologie viene ora dall’esperienza del Covid-19. In un futuro sempre più minacciato da pandemie globali capaci di colpire la vita collettiva e individuale – toccando aspetti economici e benessere psicofisico allo stesso modo – si pongono sfide che richiederanno la collaborazione sempre più capillare fra istituzioni, cittadini e strutture private di ricerca e sviluppo, in modo da far fronte a nuove emergenze in modo sempre più efficiente, minimizzando gli impatti di futuri eventi simil-Covid. La tendenza all’invecchiamento della popolazione nei paesi occidentali è nota. Entro il 2070, la popolazione europea con più di 65 anni di età sarà il 51,2% rispetto alla popolazione 15-64, mentre l’aspettativa di vita media alla nascita sarà cresciuta di 7,8 anni1. Tuttavia, una popolazione che invecchia non deve necessariamente diventare progressivamente meno sana e vivere relativamente peggio. Sebbene l’avanzare dell’età renda gli individui più fragili, tale fragilità non si deve automaticamente tradurre in cattiva salute e in scarsa qualità della vita. Le tecnologie, in questo senso, potrebbero aiutare a monitorare con precisione lo stato di salute della popolazione anziana anche in assenza di specifiche patologie, con l’obiettivo di allungare il più possibile il tempo di vita libero da patologie. In questo contesto, le patologie croniche – che già oggi sono responsabili per il 71% delle morti a livello globale2,3 – assorbiranno sempre maggiori risorse per la gestione e la cura. Sarà, in questo senso, di fondamentale importanza rafforzare le strutture e i modelli di cura fuori dall’ambito ospedaliero, andando verso una strategia sempre più centrata sul paziente, sulla sua capacità di gestione autonoma della patologia, e su una analisi continuativa dell’andamento delle patologie e dei rischi ad essa associati (p.e. comorbidità – che occorrono sempre più spesso – con costi addizionali di gestione significativi4), facendo uso intensivo dei dati generati dai pazienti nei loro luoghi di vita e lavoro. Le patologie croniche sono anche un importante settore dove testare strategie di analisi del rischio e di prevenzione, considerando che molte di esse sono in effetti prevenibili (si pensi al diabete o all’obesità)5. L’accesso ai dati generati dai pazienti tramite dispositivi indossabili e mobili potrebbe avere un impatto enorme in quest’area, facilitando il compito ai sistemi sanitari. LA SALUTE DIGITALE E IL COVID-19 L’emergenza Covid ha fatto risaltare un bisogno urgente – nei paesi colpiti – di una migliore capacità di analisi e controllo della salute della popolazione, nonché di maggiore coordinamento fra gli enti preposti alla gestione della risposta alla pandemia. Comunicazione e informazione dei cittadini sono anche fra le funzioni che strumenti tecnologici possono assolvere, cosa che – vista l’esperienza dei mesi trascorsi – ha una cruciale importanza per massimizzare l’efficacia delle misure di contenimento6. Le opportunità offerte dalle tecnologie digitali sono state immediatamente identificate nel loro grande potenziale per facilitare il controllo della pandemia, facilitare il contact tracing, abilitare il

1 The 2018 Ageing Report, Underlying Assumptions & Projection Methodologies, Institutional Paper 065, European Union, November 2017. 2 https://www.who.int/news-room/fact-sheets/detail/noncommunicable-diseases 3 OECD/EU (2018), Health at a Glance: Europe 2018, OECD Publishing, Paris/European Union, Brussels. 4 A. ADLER-WAXMAN, “This is the biggest challenge to our health”, articolo per World Economic Forum, dicembre 2017. https://www.weforum.org/agenda/2017/12/healthcare-future-multiple-chronic-disease-ncd/ 5 https://www.who.int/nutrition/topics/2_background/en/ 6 WHITELAW, S., MAMAS, M. A., TOPOL, E., & VAN SPALL, H. G. (2020), “Applications of digital technology in Covid-19 pandemic planning and response”, The Lancet Digital Health.

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monitoraggio ambientale e rendere più efficienti le eventuali quarantene e i lock down di specifici territori. In Italia, l’app Immuni, sebbene fra varie vicissitudini e non grande successo in termini di adozione, è un chiaro esempio di tecnologie digitali al servizio della salute pubblica, in questa delicata fase di gestione della pandemia. Strumenti più avanzati di analisi basati su intelligenza artificiale potrebbero – usando i dati dei cittadini – svolgere analisi di rischio più approfondite, guidando il decisore pubblico nella messa in opera di misure di contenimento e prevenzione sempre più accurate ed efficaci7. In tal senso, alcuni osservatori hanno commentato che se l’Italia (ma in generale i sistemi sanitari nel mondo) avesse investito di più e prima in tecnologie digitali per il settore sanitario e avesse spinto di più per l’adozione, la gestione della pandemia avrebbe potuto essere molto diversa e molte misure drastiche, come il lock down completo, forse avrebbero potuto essere evitate. Tuttavia, nel periodo immediatamente precedente all’esplodere dell’emergenza globale Covid-19, la salute digitale stava vivendo un periodo di declino: secondo un report Accenture, negli Stati Uniti l’adozione di soluzioni digitali da parte di cittadini individuali era calata di quasi il 15 % dal 2018 al 2020, anche a causa di una offerta non integrata con i sistemi sanitari8. La pandemia ha riportato la questione della salute digitale al centro, facendo salire significativamente e stabilmente la domanda di servizi digitali in sostituzione di prestazioni tradizionali. Proprio negli Stati Uniti, si può notare come – sebbene in declino rispetto ai più critici della pandemia – la domanda di servizi di telemedicina sia rimasta stabile al 20% sul numero totale di visite ambulatoriali9. Una tendenza simile si è potuta osservare in Francia10. In Italia, recenti evoluzioni regolatorie (si veda ad esempio la recente iniziativa della Conferenza Stato Regioni in materia, con l’approvazione del documento “Erogazione delle prestazioni di specialistica ambulatoriale a distanza - servizi di Telemedicina”) si stanno muovendo verso una piena adozione delle soluzioni di telemedicina come servizi base inseriti nell’offerta del SSN. QUALI STRUMENTI? Molto si è detto relativamente alle varie tecnologie destinate a impattare fortemente i sistemi sanitari nazionali. Si pensi alle alle potenzialità delle soluzioni basate sull’intelligenza artificiale, in particolare in ambito diagnostico, dove algoritmi e medici umani appaiono già essere in diretta competizione11. O ancora ai sistemi basati su Internet of Things (IoT) per registrare dati ambientali relativi allo sto di salute rilevanti per la pratica medica. Tale settore è stato ritenuto tanto promettente da creare una specifica categoria di IoT medicali (Medical IoT – MIOT) per identificare sensori, dispositivi mobili, indossabili e anche applicazioni mobili specificamente dedicate alla analisi e gestione di particolari condizioni patologiche (anche nell’ambito del c.d. digital diagnostic, che già ha potuto dimostrare interessanti casi d’uso).

7 BUDD, J., MILLER, B. S., Manning, E. M., LAMPOS, V., ZHUANG, M., EDELSTEIN, M., ... & SHORT, M. J. (2020), “Digital technologies in the public-health response to COVID-19”, Nature medicine, pp. 1-10. 8 Z. LAROCK, “New data shows digital health was in trouble pre-pandemic”, Business insider, 9 settembre 2020. 9 B. FOX, O. SIZEMORE, Telehealth: Fad or the Future, Epic Health Research Network, agosto 2020. 10 Secondo un recente comunicato stampa di DoctoLib, fornitore di servizi di telemedicina, delle 4,6 milioni di visite a distanza offerte dall’avvio del servizio (inizi 2019), 4,5 sono avvenute negli ultimi sei mesi. 11 https://spectrum.ieee.org/static/ai-vs-doctors

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In questa analisi divideremo il settore fra tre fondamentali categorie, con un approfondimento sulla seconda. La prima categoria è quella della raccolta di dati. Gli appena considerati dispositivi IoT e indossabili - assieme alle applicazioni mobili per la raccolta di dati ambientali e personali (o meglio “generati dai pazienti”) - rappresentano uno strumento di grande rilevanza per la creazione e/o di quella nuova categoria di dati generati dai pazienti e dal loro ambiente di vita e lavoro, che dovrà assumere un ruolo sempre più importante per i percorsi di profilazione, prevenzione e personalizzazione delle cure. Nella seconda categoria rientrano le tecnologie pensate per facilitare lo scambio e l’analisi sicura e privacy-preserving dei dati. Si dirà di queste soluzioni poco avanti. Infine, le tecnologie dedicate allo sfruttamento sensato e intensivo dei dati disponibili, di cui le soluzioni basate sull’intelligenza artificiale sono un esempio noto (come noto è la loro dipendenza diretta da raccolte di dati ricche, coerenti, robuste, eterogenee, e - soprattutto - accessibili). Il motivo di un approfondimento sulla seconda categoria è presto detto: se è vero che siamo in grado di generare sempre maggiori quantità di dati tramite nuovi dispositivi sempre più vicini al singolo individuo, e se è vero che questa potenzialmente enorme mole di dati è di fondamentale importanza per sviluppare, educare e testare nuovi sistemi basati su intelligenza artificiale, è principalmente vero che l’uso legittimo e trasparente, così come sicuro e controllabile, dei dati generati dai cittadini e pazienti è un elemento cruciale per garantire i cittadini in termini di privacy, assicurando un uso appropriato dei dati. Sistemi che sappiano contemporaneamente consentire modalità appropriate di preservazione e sicurezza dei dati, senza impedire innovazione e sviluppo clinico e tecnologico, sono pertanto necessari per poter sviluppare correttamente l’ecosistema di scambio e analisi dei dati. Tali tecnologie rivestono un ruolo particolarmente importante, in quanto propedeutiche sia all’uso delle nuove tecnologie per la raccolta di dati sia allo sviluppo delle nuove soluzioni di sostegno alla diagnosi e alla terapia che su quei dati fondano la loro validità. In sostanza, l'architettura tecnologica di gestione e scambio dati dovrà essere capace di garantire trasparenza e tracciabilità nell’uso di dati, provenienza e autenticità dei dati, controllo individuale sui dati, e soprattutto privacy. Stiamo parlando di soluzioni che facilitino l’aggregazione di dati (anche per abilitare modalità di gestione collettiva del bene-dato, come verrà discusso nel paragrafo 2.2) garantendo allo stesso tempo modalità di manipolazione in grado di offrire livelli di privacy in linea con le più recenti indicazioni normative (come la GDPR).

Molte sono le soluzioni presentate, in particolare da giganti dell’IT come Google e Apple, i cui protocolli non a caso sono serviti a superare i limiti dell’iniziale impostazione della nota applicazione Immuni in termini di privacy e sicurezza. Un approccio interessante è stato sostenuto dal MIT, che già da tempo sta investendo su questi temi, sviluppando soluzioni in grado di usare i dati nel rispetto di principi fondamentali come centralità dell'utente, controllo individuali, interoperabilità e policies di accesso basate sulle preferenze individuali. Sulla base di questi principi, già da tempo il MIT sta esplorando la piattaforma decentralizzata ENIGMA, basata su un protocollo (abilitato dalla tecnologia blockchain) capace di offrire contemporaneamente una facile condivisione dei dati, allo stesso tempo offrendo ai proprietari dei dati un controllo capillare sui dati messi a disposizione, nel rispetto della privacy e con alti livelli di sicurezza. ENIGMA essenzialmente sfrutta soluzioni di analisi (come la c.d, secure multi-party computation) per “porre domande” al database disponibile, ottenendo non già i dati ma le risposte basate su quei dati. Tale sistema consente ai dati di non lasciare il loro repository originale, richiedendo dunque al sistema di analisi di muoversi verso i dati, piuttosto che il contrario, così garantendo riservatezza e sicurezza.

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Come già accennato, altri sistemi di analisi sicura e privacy preserving dei dati sono stati sviluppati (anche da giganti come Google, Apple e Microsoft). Un esempio fra tutti è quello c.d. local differential privacy, un sistema capace di offrire livelli molto avanzati di riservatezza nel processo di analisi e messa in comune di dati personali, così da impedire ai malintenzionati di raccogliere informazioni personali sull’utente tramite l’accesso al dato.

La zero-knowledge proof è un’altra interessante soluzione che rende possibile verificare la veridicità di una affermazione senza rivelare il dato sottostante, rendendo disponibile solo le informazioni necessarie per una eventuale transazione, e non l’intero record. Infine, vale la pena di menzionare, sebbene alcune limitazioni tecnologiche ne impediscano il pieno utilizzo in ambienti operativi, la c.d. homomorphic encryption, una tecnica crittografica che consente di effettuare analisi sui dati (e vari tipi di operazioni), senza decrittare i dati prima dell’analisi.

Vale infine la pena di menzionare le c.d. discusse tecnologie dei registri distribuiti (distributed ledger technologies, DLT, di cui la tecnologia blockchain è la più nota espressione), che consentono di mobilitare i dati garantendo tracciabilità, rispetto delle regole di acceso e condivisione, e gestione diretta da parte del titolare dei dati. Queste tecnologie consentono di facilitare l’attribuzione di una proprietà certa sul dato (e qualunque asset digitale), facilitando allo stesso tempo i titolari del dato di definire regole di accesso, che dovranno poi essere rispettate da tutti gli operatori in un dato network. Si tratta di una tecnologia abilitante di quello che potrà divenire un ecosistema per lo scambio di dati basato sul controllo degli utenti (come si discuterà più diffusamente nel par. 2.2.). Le DLT potranno abilitare, entro quell’ottica, lo sviluppo dei c.d. personal data account (PDA), interfacce in grado di offrire all’individuo concreti strumenti di controllo dei dati personali e di gestione degli accessi12. A loro volta, questi PDA abilitano l’individuo a partecipare all’ecosistema pubblico di scambio e gestione dei dati, garantendo allo stesso tempo protezione della privacy, portabilità dei dati e facilità di accesso e scambio dei dati. A completamento dell’insieme di tecnologie necessarie per lo sviluppo di detto ecosistema di scambio dati, è importante indicare i nuovi modelli di identità che finiranno – presto o tardi – per sostituire i sistemi di identità odierni, ancora troppo ancorati alla separazione – ormai obsoleta – fra mondo reale e mondo virtuale e ancora incapaci di rappresentare e garantire l’identità personale nel mondo digitale. I nuovi modelli di identità decentralizzata13 rappresenteranno in questo senso un passaggio fondamentale per offrire legittimità e trasparenza all’ecosistema, altresì facilitando la protezione della privacy e il rispetto delle regole sul consenso informato.

In conclusione, sistemi basati sulle DLT, sistemi di apprendimento distribuito per la tutela dei dati, soluzioni per l’analisi in sicurezza dei dati, sono tutte le componenti tecnologiche necessarie a rendere possibile una nuova e diversa gestione dei dati, con la creazione di ecosistemi aperti fondati sull’interesse pubblico e la centralità del cittadino, nonché sul rispetto di diritti fondamentali.

12 Esistono già diversi esempi di applicazioni mobili, come Digi.me, Solid, e Hu-manity, che puntano a offrire agli individui sistemi di “personal data account” (PDA). Hu-manity è una società statunitense, nata nel 2018, che offre agli utenti una applicazione mobile che consente agli individui di rivendicare il diritto alla proprietà dei loro dati. Seguendo un modello molto simile, app come Digi.me e Solid consentono di separare i dati dalle applicazioni, così da permettere al singolo di decidere come utilizzare i propri dati, dove conservarli, e con chi condividerli, conservandone sempre controllo e accesso, dal momento che i dati rimangono sempre con l’individuo. 13 Di cui si è detto più estesamente qui: https://www.agendadigitale.eu/cittadinanza-digitale/identita-digitale/privacy-i-nuovi-modelli-di-identita-per-la-dimensione-onlife/

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CAPITOLO 2: FRA DISINFORMAZIONE, EDUCAZIONE ED EMPOWERMENT – LA SFIDA VERSO UNA NUOVA ALLEANZA FRA STATO E CITTADINI PER COMBATTERE LA DISINFORMAZIONE E CREARE UN AMBIENTE FAVOREVOLE ALL’INNOVAZIONE 2.1 COLMARE IL DIVARIO TRA SCIENZA E SOCIETÀ: LA NECESSITÀ DI STABILIRE NUOVA FIDUCIA

FRA ENTI PUBBLICI, ENTI PRIVATI E CITTADINI Negli ultimi anni, diverse democrazie occidentali stanno sperimentando un preoccupante aumento di false informazioni che circolano attraverso i social media e i siti web. Non è un caso che l’Oxford Dictionaries abbia deciso che la parola chiave del 2016 fosse post-truth, che definisce come: “circostanze in cui i fatti oggettivi sono meno influenti, nella formazione della pubblica opinione, del richiamo alle emozioni e alle convinzioni personali». Sulla diffusione delle “fake news”, l’Unione europea ha condotto uno studio approfondito14 per capire la natura del fenomeno —distinguendo tra mis-information, dis-information e mal-information, ovvero, rispettivamente, tra un'informazione falsa o sbagliata veicolata senza dolo, un'informazione falsa veicolata con dolo, un'informazione vera veicolata per creare polarizzazioni o minare l’immagine dell’avversario (hate speech e leaks)— per poi lanciare nel 2018 il progetto Social Observatory for Disinformation and Social Media Analysis (SOMA15), una piattaforma condivisa dai diversi stati per il monitoraggio e controllo della disinformazione.

Sebbene dalla donazione di Costantino ai protocolli dei Savi di Sion, le false notizie e la propaganda siano state spesso utilizzate per manipolare la percezione sociale e orientare le scelte politiche, molte ricerche di settore tendono a interpretare l’attuale fenomeno della verità post-fattuale come nuovo per estensione ed effetti. Da un lato, tali analisi mettono anzitutto in luce alcune novità strutturali degli attuali modelli di comunicazione digitale, in cui, cioè, l’informazione è allo stesso tempo capillarmente individuale e globalizzata, caratterizzata da una inedita velocità di propagazione che la distribuisce a ondate virali (flame) e tra gruppi di appartenenza tra loro contrapposti (cluster tribali) che rilanciano continue contro-informazioni e smentite reciprocamente ignorate (bias di conferma e di ritorno di fiamma), dove le fonti sono prive di autori e riferimenti cronologici e geografici (quindi non perseguibili giuridicamente) e le competenze sono ignorate se non sbeffeggiate (disintermediazione e bias del false balance). Dall’altro, tali ricerche convergono nell’identificare due principali conseguenze sociali della misinformazione, ovvero che le notizie false, anche in ambito scientifico, si diffondono più velocemente, più in profondità e in modo più ampio di quelle vere facendo leva sulle emozioni e la novità16,17,18, e che il proliferare delle fake news è una potenziale minaccia della democrazia, avendo giocato un ruolo significativo sul crollo della fiducia (trust) nelle istituzioni democratiche, nella stampa e nella politica19,20,21,22. Le tendenze

14 WARDLE C., DERAKHSHAN H. (Eds.), Information disorder: Toward an interdisciplinary framework for research and policy making, Council of Europe, 2017. 15 EU SOMA: https://www.disinfobservatory.org/the-observatory/ 16 NICHOLS, T. (2017), The Death of Expertise. The Campaign against Established Knowledge and Why It Matters, Oxford University Press. 17 LAZER DMJ, BAUM MA, BENKLER Y, ET AL, “The science of fake news”, Science 2018, 359(6380), pp. 1094-1096. 18 VOSOUGHI, S., ROY, D. & ARAL, S, “The spread of true and false news online”, Science 2018, 359, pp. 1146–1151. 19 NICHOLS, T. (2017), The Death of Expertise, op. cit.

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dell'Eurobarometro per i cittadini dell'Unione europea mostrano che i livelli medi di fiducia per i parlamenti nazionali e i governi sono scesi a circa il 30%, in calo di una dozzina di punti rispetto ai livelli registrati prima della crisi finanziaria del 200823 .

A sua volta, tuttavia, il calo della fiducia dei cittadini nelle istituzioni mina la credibilità delle informazioni ufficiali nelle notizie e apre il pubblico a fonti di controinformazione e (dis)informazione alternativa: un pericolo cui sono particolarmente soggette le nuove generazioni. Secondo uno studio dell’Università di Stanford, l’82% dei liceali nordamericani, nativi digitali, non è capace di valutare correttamente la credibilità delle informazioni trovate navigando sulla rete, non è cioè in grado di distinguere l’autenticità di un’immagine o di capire se un testo è sponsorizzato, basando la propria fiducia non sulla provenienza e autorevolezza delle fonti bensì su quanto la notizia è condivisa e sui like ricevuti. Un risultato che gli stessi autori definiscono "sconcertante", "tetro" e "[una] minaccia per la democrazia" (Stanford 2016). In Europa, un recente sondaggio francese riporta che il 51 % dei cittadini d’oltralpe sono interessati ai temi complottisti, e ben il 36 % dei giovani tra i 15 e i 24 anni ritiene reale l’esistenza di una società occulta che governa il mondo, un dato che ha spinto il governo, nella figura dell’ex ministro dell’istruzione francese Najat Vallaud-Belkacem, a inaugurare nel 2016 una campagna per le scuole intitolata “ti manipolano!” (On te manipule!), concepita per sensibilizzare gli studenti gli insegnanti nelle scuole, con materiali pedagogici ad hoc (media literacy)24.

Come accennato, un altro ambito in cui si manifesta la disinformazione è quello scientifico. Vaccini, organismi geneticamente modificati (OGM), staminali embrionali, sperimentazione animale, cambiamento climatico, uso civile del nucleare e terapie cosiddette alternative per malattie oncologiche e neurodegenerative sono alcuni dei temi sui quali negli ultimi anni si sono manifestati con più chiarezza i complessi meccanismi della post-verità. Meccanismi che hanno inquinato il dibattito pubblico con la diffusione di falsità e percezioni del rischio che hanno ritardato, e tutt'ora ritardano, il pieno sviluppo scientifico, economico e democratico di molte nazioni avanzate25,26. Per citare solo i recenti casi italiani, basti ricordare il caso Stamina basato su una inesistente "terapia" con staminali per malattie neurodegenerative27, il calo della copertura vaccinale nazionale del morbillo che ha causato un richiamo all’Italia dell'OMS nel 2015, oppure i diversi decessi di giovani pazienti oncologici che hanno rifiutato protocolli medici di comprovata efficacia come la chemioterapia per inseguire inefficaci trattamenti "alternativi" come il metodo Hamer o Gerson28. Nel mondo occidentale si è dunque prodotta una radicale frattura (knowledge divide) tra quelle che gli scienziati difendono come posizioni sostenute da fatti e quello che i cittadini credono, mettendo in discussione i fatti. Per esempio., circa il 90% degli scienziati giudica

20 CORBELLINI, G., GRIGNOLIO, A. (2018). “L’Europa come antidoto contro l’anti-scienza”. In: Europa. Le sfide della scienza, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani, pp. 405-412. 21 HOPF H, KRIEF A, MEHTA G, MATLIN SA, “Fake science and the knowledge crisis: ignorance can be fatal”. R Soc Open Sci, May 2019; 6(5): 190161. 22 TENOVE C., “Protecting Democracy from Disinformation: Normative Threats and Policy Responses”, The International Journal of Press/Politics, 2020; 25(3), pp. 517-537. 23 BENNETT WL, LIVINGSTON S., “The disinformation order: Disruptive communication and the decline of democratic institutions”, European Journal of Communication, 2018; 33(2), pp. 122-139. 24 On Te Manipule: http://www.gouvernement.fr/on-te-manipule 25 CORBELLINI, G., Scienza quindi democrazia, Einaudi, Torino (2011). 26 CORBELLINI, G., Scienza, Bollati Boringhieri, Torino (2013). 27 CATTANEO E., DE FALCO J., GRIGNOLIO A., Ogni giorno. Tra scienza e politica, Mondadori, Milano, 2016.. 28 GRIGNOLIO A., “Post-verità, vaccini, democrazia”, Future of Science and Ethics, vol. 2 (1), 2017, pp. 75-88..

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sicuri gli OGM, contro il 35% circa dei cittadini; per i vaccini il rapporto è 90% contro 70%; sul cambiamento climatico siamo al 95% contro il 65% e sulla teoria dell’evoluzione il rapporto è 98% contro 65%.

Ricerche nel campo della web sentiment analysis e del neurodiritto dimostrano come su diversi temi di innovazione tecno-scientifica e biomedica la percezione del rischio - e le conseguenti scelte politiche della cittadinanza - sia polarizzata verso posizioni estremiste contrapposte (partisan bias) e si distribuisca secondo una logica tribale, basata sul ragionamento motivato (motivated reasoning) e sulla condivisione di valori politico-culturali simili29,30. Negli Stati Uniti, chi ha un atteggiamento e delle frequentazioni orientate verso posizioni egalitarie-comunitarie (progressisti) tende a valutare come poco rischioso il vaccino HPV per il papilloma virus che si somministra ai figli in età d’esordio sessuale, a differenza di chi è su posizioni individualistico-gerarchiche (conservatori) che lo reputa ad alto rischio; uno scarto sul quale gioca una differente posizione sui valori politico-culturali verso la sessualità, non sulla propensione ai vaccini. Lo stesso, a parti invertite, vale per il porto d’armi, dove i progressisti lo giudicano rischioso a differenza dei conservatori. Questi ultimi, contrariamente ai progressisti, valutano non rischioso (sino talvolta a negarlo) il cambiamento climatico. I dati sul rischio dei precedenti temi scientifici sono ben noti, trasparenti e dimostrabili a entrambi i gruppi sociali, eppure essi li percepiscono in modo diverso, distribuendosi a seconda dei diversi atteggiamenti settari di tipo valoriale31 .

Tali divisioni sui temi scientifici avvenuti sulla stampa e sui social media hanno generato l’idea di una sorta di complotto per il quale – sulla base di false credenze – si accusano una, più persone o un’organizzazione di aver causato o nascosto un fatto attraverso una macchinazione, allo scopo di perseguire un preciso obiettivo malevolo, dannoso e spesso illegale. Una attitudine che si è manifestata con grande evidenza durante lo scoppio della pandemia di Covid-19, tanto sull’origine del virus quanto sull’efficacia del candidato vaccino32,33. È dalla scoperta del fenomeno della dissonanza cognitiva che la psicologia cognitiva studia le dinamiche dell’attaccamento emotivo delle persone a credenze assurde basate su idee cospirative. La dissonanza cognitiva suggerisce che di regola le persone non abbandonano quello in cui credono di fronte a prove contrarie, ma manipolano i fatti e gli argomenti per conciliare le contraddizioni. La diffusione del complottismo peggiora anche la trasparenza delle decisioni politiche e rafforza ideologie dominanti. I sostenitori delle idee cospirative sono tendenzialmente meno egualitari rispetto ai diritti umani (inclinano verso la xenofobia) e sono maggiormente predisposti alla violenza politica. Sono state studiate anche le differenze individuali, ossia la predisposizione delle diverse persone a sviluppare credenze in piani cospirativi. I tratti psicologici associati più frequentemente a forti credenze cospirative riguardano caratteristiche come: sfiducia nell’autorità, cinismo politico, bassi livelli di

29 GUESS A., NAGLER J., TUCKER J., “Less than you think: Prevalence and predictors of fake news dissemination on Facebook”, Science advances 5(1):eaau4586 (2019). 30 PENNYCOOK, G. - D.G. RAND, “Lazy, not biased: Susceptibility to partisan fake news is better explained by lack of reasoning than by motivated reasoning”, Cognition, 2019. 188, pp. 39-50. 31 KAHAN, D.M., JENKINS-SMITH, H., & BRAMAN, D., “Cultural Cognition of Scientific Consensus”, Journal of Risk Research, 2011, 14 (2), pp. 147-74. 32 HARRISON E.A., WU J.W., “Vaccine confidence in the time of COVID-19”, Eur J Epidemiol., Apr 2020; 35(4), pp. 325-330. 33 BALL P., “Anti-vaccine movement might undermine pandemic efforts”, Nature 2020, 581, 251.Ball P. (2020),

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autostima, autoritarismo e credenze nel paranormale. Credere in teorie cospirative, inoltre, si correla spesso con il rifiuto delle scoperte scientifiche34 .

Accanto alle analisi sulla natura cognitiva, sociale, comunicativa e politica della disinformazione e delle sue conseguenze a livello globale, sono state avanzate due soluzioni in ambito internazionale per migliorare i rapporti tra scienza, cittadinanza e decisori politici.

1) In primo luogo, appare di primaria rilevanza dotare i cittadini di una alfabetizzazione scientifica (scientific literacy). Occorre tuttavia operare in modo innovativo rispetto al passato, ovvero puntando non al nozionismo, ma all’insegnamento dei metodi della scoperta scientifica da un lato e alla conoscenza dei meccanismi della architettura delle scelte e della “razionalità limitata” dall’altro.

Secondo i dati di un rilevamento di Eurobarometro sulla percezione pubblica della scienza, della ricerca e dell’innovazione nell’Unione Europea (Eurobarometro 201435), l’Italia è tra i paesi con la più bassa comprensione del metodo scientifico e con la più bassa fiducia nella capacità della scienza di migliorare la qualità della vita, della salute e dello sviluppo economico.

Le nuove generazioni non danno segnali incoraggianti: i recenti dati OCSE-PISA 2018 sui livelli di competenza dei quindicenni di 79 paesi in lettura, matematica e scienze indicano che gli studenti italiani sono inferiori alla media OCSE in scienze e nelle competenze che riguardano la lettura e quindi, negli strumenti che permettono lo sviluppo del pensiero critico (PISA36). Inoltre, in Italia la bassa alfabetizzazione scientifica si somma all’alto livello di analfabetismo funzionale di ritorno, ossia all’incapacità di un individuo di usare in modo efficiente le abilità di lettura, scrittura e calcolo, che un tempo possedeva, nelle situazioni di vita quotidiana. Si tratta di due lacune culturali che ne implicano una terza, segnalata dal Rapporto Italia 2013 di Eurispes, il quale punta il dito sulla ridotta capacità di critica della società italiana, e sulla sua disabitudine al dubbio analitico e alla pacata discussione civile (Eurispes 201337).

La mancanza di questi strumenti del pensiero o di «concetti per capire criticamente e apprezzare la modernità», per usare le parole del noto psicologo dell’intelligenza australiano James R. Flynn38 , mette a rischio la democrazia, perché la cittadinanza (e la politica) è più soggetta a oscillare dal nichilismo radicale dei cospirazionisti, che dubitano di cure efficaci come i vaccini, alle false certezze degli imbonitori di turno, che gridano alla ‘cura miracolosa’. Le società occidentali sono oggi ‘società della conoscenza’, così una parte sempre più considerevole delle economie si regge sui più avanzati saperi della ricerca tecno-scientifica: un arco di discipline e tecnologie, peraltro sempre più interconnesse, che va dalle nanoparticelle all’informatica, alla genomica, alle tecnologie geo-spaziali e così via.

Sarà dunque opportuno iniziare a insegnare alle nuove generazioni i nostri limiti cognitivi (bias) e gli strumenti per superarli, inserendoli nei programmi didattici. È ciò che suggerisce James Flynn, il più autorevole psicologo dell’intelligenza vivente: dopo aver dimostrato che il quoziente

34 CORBELLINI, G., GRIGNOLIO, A. (2018), L’Europa come antidoto contro l’anti-scienza, op. cit. 35 Special Eurobarometer 419, Public Perceptions of Science, Research and Innovation, Report, ottobre 2014. 36 PISA 2018: Insights and Interpretations. 37 EURISPES, 25° Rapporto Italia 2013, pp. 7-11. 38 FLYNN, J.R. (2013), Osa pensare: venti concetti per capire criticamente e apprezzare la modernità, Mondadori Università, Milano (ed. or., How to Improve Your Mind Twenty Keys to Unlock the Modern World, 2012).

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intellettivo è aumentato nel corso del Novecento (il cosiddetto “effetto Flynn”) grazie agli ambienti liberi e stimolanti creati da scienza e tecnologia nelle democrazie occidentali, nelle sue recenti ricerche si è occupato di analizzare quali siano gli strumenti minimi del pensare da consegnare a un ragazzo affinché possa capire in modo critico, e apprezzare, la modernità. Una modernità resa sempre più incomprensibile sia da una crescente astrazione del sapere disciplinare, sia da diverse istanze e ideologie anti-moderniste e anti-scientiste. Flynn, in sostanza, ha analizzato quali sono i bias più frequenti che ci impediscono di capire la realtà odierna, e quali gli strumenti cognitivi più razionali e critici attraverso cui i futuri cittadini possono superarli, e riuscire a compiere scelte più efficaci e moralmente migliori nell’interesse delle persone e della società.

Per ottenere un simile risultato, egli ritiene sia necessario insegnare nei licei e nelle università venti “concetti-chiave”, tra cui: come funziona il mercato economico, come si costruisce un campione statistico, qual è la differenza tra correlazione e causazione, cos’è l’effetto placebo, cosa sono il criterio di falsificabilità, un gruppo di controllo, una percentuale e una proporzione, come si misura il quoziente intellettivo (QI) e infine come evitare gli errori cognitivi e le fallacie logiche rappresentate da relativismo, antirealismo, finalismo e spiegazioni che usano strumentalmente il ricorso alla natura per giustificarsi (fallacia naturista) – molti di questi strumenti, si sarà notato, sarebbero utili a valutare correttamente non solo l’efficacia e la sicurezza dei vaccini ma, più in generale, l’impatto delle innovazioni biomediche e delle terapie avanzate.

Per Flynn l’ambiente sociale deve essere sufficientemente vario e libero da permettere alle predisposizioni genetiche, più o meno promettenti in ciascun individuo, di potersi realizzare in maniera equa, e giunge alla conclusione che sebbene: «pensare criticamente non abbia mai rappresentato un’automatica garanzia di potere, chi si doterà dei venti concetti-chiave potrà tuttavia contare sul genere di mente liberata senza la quale nessuna autonomia personale è possibile»39,40. Anche il Parlamento europeo sta lanciando diversi progetti e piattaforme, alcuni destinati all’educazione secondaria, per formare la cittadinanza sulla media literacy allo scopo di contrastare la mis- e dis-informazione (EU Media Literacy41).

2) In secondo luogo, per arginare la disinformazione le istituzioni e la politica devono ristabilire un rapporto fiduciario solido e costante con gli scienziati e integrare alcuni aspetti del metodo scientifico42,43,44). È ad esso che si riferisce la letteratura denominata “politica basata sulle prove d’efficacia” (evidence-based policy-making), applicabile dal fisco alle pensioni sino alle strategie per lo sviluppo agricolo e le politiche ambientali, costruita su evidenze e dati rigorosamente controllati, trasparenti pianificazioni dotate di scopi chiari e misurabili, e su continui controlli con conseguenti incentivi o sospensioni45,46 . Tale approccio ha iniziato a guadagnare notorietà con il governo Blair nel Regno Unito ed è poi stato applicato in Australia, negli USA e a livello internazionale sia con una coalizione globale che ne promuove e monitora l’efficacia (Coalition4Evidence), sia con il

39 Ibid. 40 GRIGNOLIO A., Vaccines: Are They Worth a Shot?, With a Foreword by Paul A. Offit, New York, Springer (2018). 41 EU Media Literacy: https://ec.europa.eu/digital-single-market/en/media-literacy 42 BECCARIA G., & GRIGNOLIO, A. (2014), Scienza & Democrazia. Come la ricerca demolisce i nostri pregiudizi e può migliorarci la vita, Edizione La Stampa/40k. 43 CATTANEO E., DE FALCO J., GRIGNOLIO A., Ogni giorno. Tra scienza e politica, op. cit. 44 GRIGNOLIO A., Vaccines: Are They Worth a Shot?, op. cit. 45 CAIRNEY, P. (2016), The Politics of Evidence-Based Policy Making, Palgrave Macmillan.. 46 MAJCEN, S. (2016), “Evidence Based Policy Making in the European Union: The Role of the Scientific Community”, Environ Sci Pollut Res Int, 24(9), pp. 7869-7871.

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progetto ROMA per i Paesi in via di sviluppo per il coinvolgimento dei cittadini nell’implementazione di politiche agricole e sanitarie allo scopo di ridurre le disuguaglianze (ODI- ROMA47).

Un ulteriore strumento nei rapporti tra decisore politico e cittadinanza è offerto dalle scienze cognitive che usano l’analisi della condivisione di valori tribali sottesi al rischio di innovazioni tecnico-scientifiche, dei bias cognitivi (errori sistematici di giudizio), degli incentivi e meccanismi che governano l’architettura delle scelte sociali per orientare razionalmente i cittadini sulle scelte politiche, specie quelle che riguardano la salute e l’innovazione48,49. Alcuni paesi si stanno già attrezzando, in primis il Regno Unito: per la propria campagna di riforme il governo Cameron trasse ispirazione da un testo di neuroscienze cognitive, "Nudge. La spinta gentile"50 , allo scopo di sfruttare la conoscenza dei fattori cognitivi-comportamentali che influenzano le decisioni dei cittadini per promuovere condotte virtuose e socialmente utili. Inserita nel governo britannico nel 2010, la nudge unit (“unità pungolo”) - poi parte del Behavioural Insights Team - ha svolto un lavoro mirato a diminuire le spese e rendere più efficace la burocrazia, ad esempio inviando testi personalizzati agli evasori, spronando i cittadini ritardatari nei pagamenti delle imposte con messaggi che sfruttavano la reciprocità sociale, aumentando la partecipazione a iniziative istituzionali, allegando l’invito a una lotteria con in palio piccoli premi, o eliminando gli errori delle prescrizioni mediche grazie a messaggi semplificati e precompilati. Nel 2015, anche l’ex presidente degli Stati Uniti Obama istituì una nudge unit alla Casa Bianca e di recente l’ha fatto anche il governo australiano. L’idea del pungolo nasce dal fatto che, nell’architettura delle scelte degli individui, anziché proibire o imporre alcune scelte al fine di migliorare il benessere delle persone, le istituzioni possono ottenere risultati apprezzabili anche solo orientando le scelte nella giusta direzione: invece di proibire il cibo spazzatura, sostiene la 'teoria nudge', è sufficiente mettere il cibo salutare a portata di naso e nei luoghi giusti. Si tratta di mantenere la libertà di scelta dei cittadini, sostituendo gli ordini con incentivi cognitivamente orientati: un approccio che Sunstein e Thaler — che per le sue ricerche nel 2017 è stato insignito del premio Nobel in economia — definiscono “paternalismo libertario”. Sono strumenti in grado di offrire alla cittadinanza un ruolo attivo nelle fasi di discussioni politica – e lo stesso vale per le scelte che riguardano la scienza e l’innovazione, sempre a patto (e ciò è imprescindibile) che ci sia un’assunzione di responsabilità e sia adottato il metodo scientifico. Chi vuole partecipare al dibattito potrà farlo, ma basandosi non su un mero 'sentito dire' bensì sul metodo e la conoscenza dei fatti, pena l’esclusione. Acquisire conoscenza e metodo servirà dunque alla cittadinanza anche per evitare potenziali abusi di tali strumenti51 52.

Infine, una terza via per un rapporto virtuoso tra scienza e società è offerta dagli science advisors. All’estero, in anni recenti, in tale ambito sono emerse alcune figure professionali specifiche, i cosiddetti 'consiglieri scientifici': si tratta di scienziati che, privi di conflitti di interesse, decidono di mettersi al servizio delle istituzioni, agendo come intermediari tra la comunità scientifica e le scelte politiche, offrendo consulenze, suggerendo campi di sviluppo per l’innovazione e arginando le

47 ODI-ROMA: https://www.odi.org/features/roma/home 48 HALPERN, D. (2019), Inside the Nudge Unit : How Small Changes Can Make a Big Difference, W.H. Allen. 49 KAHAN, D.M., JENKINS-SMITH, H., & BRAMAN, D. (2011). Cultural Cognition of Scientific Consensus, op. cit. 50 THALER, R H., & CASS R. S., (2008), Nudge: Improving Decisions About Health, Wealth, and Happiness., Yale University Press. 51 BECCARIA G., & GRIGNOLIO, A. (2014), Scienza & Democrazia, op. cit. 52 GRIGNOLIO A., Vaccines: Are They Worth a Shot?, op. cit.

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numerose proposte pseudoscientifiche e le frodi a cui gli organi statali – non ultimo il Parlamento italiano – sono spesso soggette.

La Presidenza della Commissione Europea si è dotata di questa figura (l’ultimo incarico è stato assegnato ad Anne Glover, EU Chief Scientific Adviser) fino al 2014; il Presidente degli Stati Uniti si serve regolarmente di uno science advisor (che può inoltre contare su un gruppo di consiglieri sui temi di scienza e tecnologia, il PCAST); nel Regno Unito, ogni dipartimento del governo possiede un consigliere scientifico, coordinato da un ufficio che informa il Primo Ministro — il POST, Parliamentary Office for Science and Technology, è costituito da 11 membri, ovvero 8 consulenti scientifici di diverse aree che relazionano con 14 parlamentari, 4 scienziati e lo staff tecnico del Parlamento; anche Australia e Nuova Zelanda hanno sviluppato diversi gabinetti politici per gli science advisors. In Francia, vi è l'Office parlementaire d'évaluation des choix scientifiques et technologiques (OPECST) e anche Germania, Catalogna, Svezia, Belgio, Grecia, Finlandia, Danimarca, Norvegia, Paesi Bassi e Svizzera sono dotati di uffici di consulenza scientifica, che sono membri della rete paneuropea EPTA Network. La Spagna si sta allineando grazie all’iniziativa "Ciencia en el Parlamento", mentre l’Italia ne è sprovvista, sebbene Stefano Rodotà propose già a metà degli anni ottanta del secolo scorso un ufficio di consulenza scientifica e tecnologica, che fu reso operativo tra il 1997 e il 2013 come Comitato per la Valutazione delle Scelte Scientifiche e Tecnologiche (VAST), interno all'Ufficio di Presidenza della Camera53 .

Tale deficit italiano si è manifestato con particolare evidenza, anche nella percezione sociale, durante l’inizio dell’epidemia Covid-19 ,mostrando una pletora di comitati tecnico-scientifici con inevitabili problemi gestionali e comunicativi, una difficoltà di raccordo e reciproche responsabilità tra i decisori politici e gli scienziati, e financo paventati sospetti di conflitti di interessi potenziali tra gli attori in gioco.

2.2 – CITTADINI E SANITÀ: COME DARE VITA AD UN RAPPORTO CAPACE DI MANTENERE LE

ASPETTATIVE E COMBATTERE LA DISINFORMAZIONE Il rapporto tra scienza e società sta rapidamente cambiando negli ultimi anni. Da un lato, l’iperspecializzazione disciplinare della scienza, con il conseguente sviluppo di linguaggi e temi sempre più tecnici —si pensi alla virologia o alle avanzate terapie geniche e cellulari (ATMP)— rischia di allontanare gli scienziati da un aperto e comprensibile dialogo con la cittadinanza. Dall’altro, mai come in questa fase della crisi delle competenze e della fiducia nelle istituzioni sarebbe necessario un coinvolgimento degli scienziati sui temi sociali dell’innovazione, della salute e della sostenibilità ambientale.

Tale nuova alleanza tra scienza e società, molto sentita anche a livello internazionale, va preparata a livello istituzionale e sociale e certo non può avvenire nell’immediato, per il semplice fatto che storicamente è una novità. Dopo il consolidarsi del pensiero scientifico nel 1600, l’ampliarsi della comunità degli studiosi e delle società nazionali — si pensi ai Lincei in Italia o alla Royal Society in Inghilterra — sino al diffondersi delle università come oggi le conosciamo, hanno portato gli

53 SABELLI, C. (2 Aprile 2019),” Parte l'appello Scienza in Parlamento”, Scienza in rete: https://www.scienzainrete.it/articolo/parte-lappello-scienza-parlamento/chiara-sabelli/2019-04-02

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scienziati a vivere isolati. Un tempo foraggiati da regnanti, poi da magnati e dai contributi pubblici e privati, gli studiosi non hanno mai dovuto dar conto alla popolazione delle proprie ricerche.

L’alfabetizzazione della cittadinanza e l’odierna diffusione del web hanno offerto per la prima volta ai cittadini l’accesso virtuale ai laboratori. Nessun cittadino, o pochissimi, sino a qualche anno fa, chiedeva conto delle reazioni avverse dei vaccini (le più basse di tutti i farmaci disponibili), del benessere degli animali negli stabulari (il migliore è nei Paesi occidentali, gli unici a essere criticati), o del rischio di “contaminazione” (inesistente) tra mais OGM e tradizionale. Mentre la società e i cittadini hanno fatto ingresso come spettatori (per ora) sulle riviste scientifiche e nei laboratori, gli scienziati non hanno “opposto” una spinta uguale e contraria alla chiamata – che riteniamo giusta nei suoi termini partecipativi – della società. Invece, tutte le indagini internazionali dimostrano che le resistenze sociali verso le innovazioni scientifiche si attenuano quando migliora il rapporto di fiducia (trust) tra cittadini e istituzioni politiche e scientifiche.

È dietro il mancato contrasto individuale e quotidiano verso dati falsi, manipolazioni, illusioni e interpretazioni stravaganti che crescerà la prossima Stamina o il rifiuto contro il candidato vaccino anti-Covid-1954,55,56 . Reagire a ideologie antiscientifiche limitandosi, come fatto finora, a scrivere (autorevoli) lettere dall’alto di un’istituzione o associazione scientifica, con centinaia di firme, raccolte per settimane, in attesa dell’approvazione collettiva, non è più sufficiente di fronte ai ben più veloci metodi della comunicazione via web e social. Quella del 2001 a difesa degli OGM, che di firme ne contava 1164, nota come “protesta dei Nobel”, tra cui gli italiani Dulbecco e Montalcini, ebbe impatto nullo, visto che i decisori politici hanno opposto una serie di pregiudizi o strategie dilatorie (principio di precauzione) nei confronti del miglioramento genetico delle piante, indifferenti e inconsapevoli del disastro a cui hanno condannato l’agricoltura italiana e la bilancia commerciale agroalimentare.

In un recente articolo su Nature57 si argomentava come gli scienziati non possano più come un tempo occuparsi solo della correttezza dei dati, dell’espressione genica in una terapia avanzata o di allineare correttamente i laser perché, altrimenti, rischiano di perdere il loro mandato sociale e dimenticare il ruolo sociale delle proprie scoperte. Lo scienziato che pensa che il suo compito sia “fornire dati inoppugnabili”, “mettere la propria scoperta sul bancone del laboratorio” o “consegnare dati e risultati nelle mani del decisore politico, affinché decida cosa farne”, magari dichiarando di “voler restare fuori dalla discussione pubblica”, specie se complessa o divisiva, rischia di aumentare il preoccupante solco di divisione e incomprensioni che in questi anni si è posto tra scienza e società. Metodo e dati affidabili sono naturalmente ineludibili. Solo che tutto ciò, oggi, non è più sufficiente. E il public engagement potrebbe non essere “una perdita di tempo” per lo scienziato ma un modo per valorizzare il suo impegno sociale e il coraggio di sostenere e guidare l’innovazione. In quanto parte integrante della società, gli scienziati non possono più percorrere la propria strada nella solitudine dei loro laboratori e saranno sempre più costretti a uscire e confrontarsi nel dibattito sociale58.

54 BALL P. (2020), Anti-vaccine movement might undermine pandemic efforts, op. cit. 55 CASTELLINI G. ET AL. (2020), Fase 2 del COVID-19: tra preoccupazioni e comportamenti di consumo, EngageMinds HUB Cattolica, Giugno 2020, Report 04. 56 HARRISON E.A., WU J.W., Vaccine confidence in the time of COVID-19, op. cit. 57 BOSCH, G., “Train PhD students to be thinkers not just specialists”, Nature, 2018, 554(7692), p. 277. 58 CATTANEO E, GRIGNOLIO A, “Scienziati che spiegano la scienza”, Il Sole 24 Ore (Domenica del), p. 21, 17 Aprile, 2018.

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Occorre dunque pensare una nuova forma di public engagement degli scienziati nell’era dei social e della post-verità. La diffusione della disinformazione tra i cittadini è oggi diventata una delle maggiori sfide della comunità scientifica59. Alcune università e centri di ricerca, tra cui l’Environmental Protection Agency degli Stati Uniti, hanno promosso lo sviluppo di tecniche per contrastare la disinformazione e i movimenti antiscientisti. I ricercatori si sono dimostrati capaci di rilevare modelli di contrasto al negazionismo della scienza, basati sulla comparazione di precedenti storici60, sulle motivazioni cognitive alla base del rifiuto della scienza61 e sui meccanismi comunicativi alla base della diffusione delle false affermazioni dei negazionisti sui social media62.

Ciò che è emerso è che anzitutto il sistema della disinformazione è governato da un principio di asimmetria per cui la quantità di energia necessaria per confutare le notizie false e la pseudoscienza è di un ordine di grandezza maggiore rispetto a quella necessaria per produrla (la cosiddetta legge di Brandolini). Ciò emerge in modo esemplare nella frode scientifica sulla finta relazione vaccini e autismo promossa nel lontano 1998 da Andrew Wakefield con un singolo studio sulla rivista The Lancet su dodici bambini, relazione tuttora molto viva e sostenuta da una consistente parte dei cittadini, nonostante l’articolo della ricerca sia stato ritrattato e confutato da oltre cento studi condotti su milioni di individui nei vent’anni successivi. Una delle ragioni di tale persistenza di questa influente misinformazione è stata la mancanza di correzione e demitizzazione da parte degli esperti (debunking), rinforzata da ben dodici anni impiegati dalla rivista The Lancet prima della ritrattazione dell’articolo. Fenomeni simili sono stati riscontrati anche nella disinformazione che ha colpito la sicurezza e l’utilità degli OGM e alcune terapie biomediche innovative. Per tale ragione, nonostante l’asimmetria e il conseguente dispendio di energie, le ricerche di settore insistono sulla necessità di un rapido coinvolgimento diretto degli scienziati nel contrastare sul nascere i fenomeni della pseudoscienza e della disinformazione, sfatando sul nascere le idee sbagliate.

Inoltre, la propagazione di tali informazioni attraverso i social network presenta molte somiglianze con l'evoluzione e la trasmissione delle malattie infettive63 per cui, come accennato, i gruppi sociali sul web oltre a tendere alla tribalizzazione, polarizzazione e omofilia tendono anche a contagiarsi seguendo ondate di disinformazione che se non arginate continuano a propagarsi con continui ritorni. Nella battaglia contro la disinformazione, dunque, è meglio prevenire che curare. Il vantaggio dell'“inoculazione preventiva” delle notizie autentiche è che può diffondersi anche online e tramite il passaparola contagioso. I notiziari e il pubblico possono aiutarsi a vaccinarsi a vicenda per ottenere l'immunità sociale contro la disinformazione64,65 .

59 SCHMID, P. - C. BETSCH, “Effective strategies for rebutting science denialism in public discussions”, Nat Hum Behav, 2019. 3(9), pp. 931-939. 60 ORESKES, N. & CONWAY, E. M., “Defeating the merchants of doubt”, Nature 465, pp. 686–687 (2010). 61 LEWANDOWSKY, S. & OBERAUER, K., “Motivated rejection of science”, Curr. Dir. Psychol. Sci. 25, pp. 217–222 (2016).). 62 VOSOUGHI, S., ROY, D. & ARAL, S., “The spread of true and false news online”, Science 359, pp. 1146–1151 (2018). 63 KUCHARSKI, A., “Study epidemiology of fake news”, Nature, 2016, 540(7634), p. 525 ss. 64 VAN DER LINDEN S, MAIBACH E, COOK J, LEISEROWITZ A, LEWANDOWSKY S., “Inoculating against misinformation”, Science, Dec 1 2017; 358(6367), pp.1141-1142. 65 COOK, J., LEWANDOWSKY, S. & ECKER, U. K. H., “Neutralizing misinformation through inoculation: exposing misleading argumentation techniques reduces their influence”, PLoS One 12 2017, e0175799.

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Per questi motivi strutturali della disinformazione è dunque opportuno che gli scienziati e le loro associazioni scientifiche anticipino le campagne di disinformazione e misinformazione e sviluppino proattivamente strategie online, consorzi e piattaforme internet per contrastarle quando si verificano. L’invito che queste ricerche fanno agli scienziati è dunque quella di un loro public engagement sull’autorevolezza, affidabilità e trasparenza delle informazioni scientifiche, declinato attraverso il monitoraggio di reti, canali e piattaforme web note per diffondere informazioni scientifiche false e fuorvianti, in modo da essere in grado di rispondere rapidamente con una campagna di “confutazione compensativa”, basata su informazioni accurate tramite Facebook, Twitter e altre forme di social media66 .

È dunque utile riassumere le diverse strategie comunicative di debunking che la letteratura ha prodotto per arginare la diffusione tra i cittadini della disinformazione scientifica online.

1) Perché l'informazione correttiva sia efficace e produca effetti è necessario discutere dettagliatamente sia l'oggetto specifico della disinformazione sia i ragionamenti che la sostengono e che costruiscono il "contesto" in cui la disinformazione ha attecchito.

2) Iniziative pubbliche e aperte mirate a formare e alimentare il pensiero critico e uno stato mentale scettico sono strumenti utili che facilitano la correzione di specifiche azioni di disinformazione.

3) Argomentare dettagliatamente l'informazione correttiva appena si presenta la disinformazione, anziché semplicemente etichettare o deridere la disinformazione come falsa. Sebbene questa strategia vada talvolta temperata o adeguata al tema, poiché in specifici contesti gli effetti possono essere controproducenti o inattesi, offrendo dignità scientifica a notizie senza fondamento.

4) Le tempistiche del dibattito e del confronto devono essere monitorate poiché a volte il contrastare efficacemente la disinformazione, si correla positivamente anche con la persistenza temporale di questa disinformazione (misinformation-persistence effect), specie nei gruppi più radicali che traggono vantaggio indiretto dall’attenzione mediatica67 .

5) La suscettibilità alla disinformazione si spiega perlopiù con "ragionamento motivato", ovvero con la rinuncia al pensiero analitico, assecondando le nostre credenze e preconcetti. Tuttavia, in una porzione significativa di casi anche la tendenza alla “pigrizia” mentale e al ragionamento può essere responsabile, dato che capacità cognitive sviluppate risultano protettive verso le fake news, indipendentemente dalla loro aderenza o meno alla propria visione politica o scientifica (partisan bias)68.

6) La disinformazione è correlata positivamente alla percezione del rischio delle innovazioni scientifiche, specie quelle biomediche. La “teoria della razionalità limitata” del premio Nobel Daniel Kahneman (ispirata ai precedenti lavori del Nobel Herbert Simon) spiega che l’Homo sapiens tende ad accettare il rischio non in un contesto (frame) di guadagno, ma solo davanti a possibili perdite. Ai genitori esitanti è quindi non opportuno comunicare l’efficacia e sicurezza dei vaccini – se non c’è percezione del rischio infettivo, i guadagni in termini di salute vengono ignorati – quanto insistere sui reali rischi della perdita di salute

66 LYENGAR, S., & MASSEY, D.S., (2019), Scientific Communication in a Post-Truth Society, Proceedings of the National Academy of Sciences, 116 (16), pp. 7656-7661. 67 CHAN, M.S. ET AL., “Debunking: A Meta-Analysis of the Psychological Efficacy of Messages Countering Misinformation”, Psychological Science, 2017. 28(11), pp. 1531-1546. 68 PENNYCOOK, G. - D.G. RAND, “Lazy, not biased: Susceptibility to partisan fake news is better explained by lack of reasoning than by motivated reasoning”, Cognition, 2019, 188, pp. 39-50.

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quando si è privati dello scudo vaccinale. È quello che suggerisce un’importante ricerca su PNAS del 2015 nella quale si misurava il tipo e l’efficacia dei messaggi per ridurre le percezioni errate sui vaccini, e incrementarne la diffusione (Horne 2015).

A un gruppo è stato chiesto di leggere le informazioni sui rischi di morbillo, parotite e rosolia, comunicate in tre modi differenti: il racconto di una madre sull’esperienza di avere il proprio bambino di dieci mesi affetto da una forma di morbillo quasi letale; tre fotografie di tre bambini affetti da forme gravi di morbillo, parotite e rosolia; tre semplici avvertimenti su quanto sia importante vaccinare i propri bambini. Un altro gruppo è stato invece sottoposto alla lettura di una serie di informazioni mirate a correggere l’idea che il vaccino provochi l’autismo, mostrando anche alcuni estratti, comprensibili e convincenti, di tre differenti studi scientifici che provavano l’assenza di ogni relazione. Il dato interessante è che i partecipanti – compresi gli antivaccinisti radicali – quando venivano informati dei rischi per loro e i propri figli, miglioravano le proprie attitudini di partenza verso le vaccinazioni.

Gli autori hanno cioè focalizzato la propria attenzione sugli effetti dei “bias di conferma” (confirmation bias) e del “ritorno di fiamma” (backfire effect), e hanno dimostrato che se si è in grado di evitarli (evitando cioè informazioni correttive in un setting vaccinale, che non va confuso con il setting dei social network) si evita di indurre una chiusura cognitiva e di rinforzare le idee di partenza dei partecipanti antivaccinisti — gli autori, va precisato, si opponevano a un altro studio in cui erano state usate solo informazioni correttive e sfidanti senza considerare i bias, e l’effetto era stato opposto, cioè quello di rinforzare le posizioni no-vax (Nyhan 2014). Gli autori, in sostanza, hanno dimostrato che - gestendo correttamente alcuni bias - si è in grado di sostituire, o meglio reindirizzare, la (falsa) percezione del rischio verso i vaccini con la (vera) percezione dei rischi verso le malattie infettive. Il flusso comunicativo (che va a colmare il gap informativo) funziona, ma solo a certe condizioni, che riguardano il rischio percepito dall’informazione fornita: dipende, quindi, se abbiamo a che fare con genitori esitanti (circa il 10%), molto esitanti (5% ca.) o addirittura con i talebani no-vax (3% ca.).

7) infine, il debunkig va calibrato sul contesto culturale delle persone a cui è diretto ed è quindi necessario profilare su queste caratteristiche gli utenti per poter inoculare il messaggio in modo efficace. Le influenze contestuali (derivanti da fattori storici, socio-culturali, ambientali, sanitari/istituzionali, economici o politici), quelle individuali e di gruppo (derivanti dalla percezione personale del vaccino o dalle influenze dell’ambiente sociale o degli esperti) e quelle vaccino specifiche (direttamente correlate al vaccino o alla vaccinazione) sono in grado di spiegare dati e comportamenti, sinora perlopiù sfuggiti alle teorie della comunicazione scientifica, avulse da un approccio neurocognitivo che tenga conto della architettura delle scelte.

Il combinato disposto di queste categorie spiega perché - mentre sulle questioni sanitarie generali il livello economico e di istruzione dei cittadini è generalmente collegato a una buona capacità di processare (calculation propensity) le informazioni sanitarie che li spinge a curarsi meglio, mantenendo uno stato di salute migliore e una maggiore longevità - nel caso dei vaccini questa relazione si inverta, descrivendo come maggiormente esitanti i genitori più istruiti e abbienti (occorre però non confondere le diverse categorie di esitanti: refusals, un-vaccined e under-vaccined children). Oppure spiega perché alcuni paesi in cui la vaccinazione è obbligatoria (ad esempio, alcuni paesi baltici) non sempre raggiungono una copertura migliore o simile a quella di nazioni dove non v’è l’obbligo (per esempio, quelli scandinavi); mentre allo stesso tempo alcuni paesi privi d’obbligo, come l’Inghilterra, hanno avuto cali di copertura tali da indurre alcune epidemie di

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pertosse e morbillo che altri paesi dotati di obbligo (alcuni paesi dell’Est Europa) non hanno avuto grazie a tassi di vaccinazione attorno al 95%.

Le teorie della esitanza vaccinale e della compliance spiegano bene che la comunicazione è centrale per convincere gli indecisi e funziona secondo un approccio “personalizzato”, noto come Tailoring Immunization Programmes (TIP), ovvero secondo i Programmi di immunizzazione personalizzati, promossi dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), che suddivide accuratamente le diverse strategie comunicative a seconda dei diversi gruppi di esitanti. È quindi importante tenere sempre ben presente, anche quando si parla di stile divulgativo, il contesto comunicativo e la personalizzazione del messaggio.

Siamo a pieno titolo nella società della conoscenza e della post-verità, molte democrazie avanzate che studiano il fenomeno lo hanno ben capito e avanzano diverse soluzioni. Accanto all’accountability della scienza, non dobbiamo dimenticare il critical thinking e l’engagement sociale. È forse giunto il momento, come suggerito da uno stimolante articolo di Nature69, che sia necessario chiamare a raccolta anche quel “nuovo umanesimo” auspicato da Rita Levi Montalcini, capace di fare da collante tra le visioni e le conquiste della scienza e la necessità partecipativa dei cittadini.

Alcune politiche occidentali sembrano inclinare verso forme di democrazia diretta, nelle quali i cittadini verranno interpellati per valutare saperi un tempo appannaggio degli esperti. Se gli scienziati non usciranno dai laboratori per parlare di metodo e ricerche ai non-esperti, saranno questi ultimi a entrare nei laboratori e che l’esito sarà positivo non è affatto scontato70.

2.3 – ARTICOLARE UN NUOVO DISCORSO PUBBLICO SU BIG DATA E PRIVACY ALLA LUCE

DELL’ESPERIENZA DELLA PANDEMIA – VERSO UN NUOVO PATTO DI CITTADINANZA DIGITALE E

UNA SANITÀ BASATA SULLA PREVENZIONE E SULLA CENTRALITÀ DEL CITTADINO GESTIRE I BIG DATA – SFIDE E PROSPETTIVE La società occidentale e le democrazie più avanzate dovranno affrontare una grande sfida nel corso dei prossimi tre decenni: trovare un modo per gestire il sovraccarico informativo offerto dai Big Data, offrendo strumenti che siano in grado di permetterne ampio uso a fini scientifici, specie per dati di tipo biomedico, tutelando la privacy dei cittadini, e offrire strumenti educativi alla cittadinanza per gestire la percezione del rischio e le notizie manipolate. Si tratta di una sfida a cui probabilmente è legata la capacità stessa di sopravvivenza di queste società.

Diversi indicatori suggeriscono che nel 2050 la terra dovrà sfamare oltre nove miliardi di persone, che in Europa e Stati Uniti il numero di individui affetti da malattie neurodegenerative e demenza senile triplicherà, e che la densità abitativa, specie nelle metropoli, raddoppierà. Ciò significa più cibo, meno spreco di acqua ed energie, nonché medicina, prevenzione e farmaci più efficaci. L’unico modo per raggiungere tali obiettivi è affidarsi allo sviluppo scientifico e tecnologico e a un nuovo approccio gestionale dei dati; ma non potremo lasciare gli scienziati da soli di fronte a

69 BOSCH, G., “Train PhD students to be thinkers not just specialists”, Nature, 2018, 554(7692), p. 277. 70 CATTANEO E., GRIGNOLIO A., “Scienziati che spiegano la scienza”, Il Sole 24 Ore (Domenica del), p. 21, 17 Aprile, 2018.

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simili, soverchianti, responsabilità, né tantomeno continuare a dialogare con loro come abbiamo sinora fatto, ovvero sollevando dubbi irrazionali e sottopagando (specie in Italia) le loro ricerche.

La comunità scientifica è unanime nel sostenere che l’aumento della produzione di cibo avverrà solo grazie allo sviluppo delle biotecnologie applicate all’agricoltura, ovvero agli OGM, gli unici già oggi in grado di aumentare la resa per ettaro —risparmiando acqua, energia solare, terreno coltivabile, concime, pesticidi— e di resistere meglio in contesti di siccità o inondazioni, secondo un approccio noto come ”agricoltura integrata” perché coinvolge tutte le competenze innovative disponibili, dai mezzi meccanici a quelli genetici e tecnologici, che conducano ad una misurabile e oggettiva riduzione delle varie forme d’impatto ambientale. Gli scienziati sono inoltre concordi nel sostenere che occorrerà ridurre le emissioni di gas serra e di inquinanti, per puntare invece su una produzione di energia a basso impatto ambientale. Infine, tutti i ricercatori in campo biomedico sostengono che per ottenere farmaci sempre più efficaci e personalizzati è ancora necessario utilizzare la sperimentazione animale, concentrarsi sull’analisi genomica delle popolazioni e sviluppare terapie avanzate e nuovi vaccini preventivi e terapeutici, capaci cioè di fronteggiare gli effetti di enormi flussi migratori, alte concentrazioni abitative e pandemie.

Però, a parte un consenso generico per le energie rinnovabili, su tutti gli altri temi – ovvero OGM, sperimentazione animale, divulgazione dei dati genomici e vaccini – una crescente parte della società occidentale esprime perplessità, se non una vera e propria opposizione; opposizione che, come accennato, proviene proprio dalla parte più colta e benestante della società che ha accesso (e un conseguente sovraccarico informativo) ai dati, quindi da quella cittadinanza potenzialmente più influente da un punto di vista politico ed economico. Spesso tuttavia la cittadinanza, e talvolta anche alcune istituzioni pubbliche, risentono di atteggiamenti ideologici, credenze e pregiudizi cognitivi (bias del complotto). Mai come oggi, invece, avremmo bisogno di accettare le sfide del progresso in modo razionale, disincantato e autentico, affrontando a viso aperto anche i rischi insiti nel percorso d’innovazione. Occorre dunque rivedere i rapporti tra dati scientifici, istituzioni e cittadinanza per ridurre tali incomprensioni, in nome di una futura fiducia basata sulla massima trasparenza dei dati, sull’evidenza scientifica e l’aperta collaborazione di tutti gli stakeholders.

A tal riguardo, l’epidemia di Covid-19 e le terapie geniche e cellulari (ATMP) offrono due possibili spunti di riflessione.

È ormai ampiamente noto che è la terza volta in vent’anni che assistiamo a un salto di specie del coronavirus da un animale serbatoio all’uomo: ci fu la SARS originata nella regione cinese di Gaundong nel 2002-3, poi la MERS nella penisola araba nel 2012-14 (con casi sporadici negli anni successivi) e oggi nel Hubei il virus SARS-CoV-2 con letalità, rispettivamente, del 10, 34, e 1-3 per cento. In tutti i casi, le ricerche oggi disponibili ci dicono che l’organismo serbatoio principale è rappresentato da alcune specie di pipistrello e che da queste per arrivare all’uomo il virus abbia usato alcune specie intermedie come ad esempio lo zibetto, il dromedario e il pangolino. A parte il caso meno chiaro della MERS, negli altri due la scintilla epidemica è scoppiata nei wet market, ovvero mercati dove si macellano e si vendono animali selvatici vivi, che nella prosperosa Cina del nuovo millennio non è più uno strumento di sostentamento per le popolazioni rurali, ma è diventato un status symbol noto come “yewei”, che in cinese mandarino significa moda delle specialità selvatiche, che ha portato parte della cucina cinese nell’“era del sapore selvaggio”.

Alcune analogie sono riscontrabili in un'altra recente epidemia virale che ha colpito parte del continente africano. A partire dalla Guinea e dalla Repubblica Democratica del Congo tra il 2014 e

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il 2016 e poi nel 2018 si sono diffuse diverse epidemie di Ebola, una temibile febbre emorragica con una letalità attorno al 50 percento (che può arrivare al 90), un virus che alberga nei pipistrelli della frutta e che usa altri animali (ad esempio i maiali che si infettano con le feci dei volatili) per arrivare all’uomo, che entra in contatto con essi per via di abitudini alimentari e nuovi insediamenti abitativi in prossimità delle foreste. Nel 2003, la Cina fece molta fatica a rendere pubblici i dati epidemiologico-sanitari sulla SARS, che durò circa otto mesi e riuscì ad arrivare sino in Canada: una tempestiva comunicazione dei dati e una quarantena avrebbe salvato molte delle 8000 vittime, ma la Cina cedette alla trasparenza dei dati solo dopo una forte pressione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Nell’attuale epidemia di Covid-19, dopo una fase opaca di quasi due mesi, in parte dovuta alla confusione con i sintomi similinfluenzali, la Cina ha deciso di rendere noti i dati, ma a singhiozzo e con parametri non standardizzati che hanno impedito agli scienziati di vari paesi di valutare lo tsunami epidemico globale. Il caso Ebola in Africa scontò invece un sistema sanitario non efficiente e uno sviluppo scientifico poco radicato, che hanno causato un’inefficiente gestione dei dati epidemici e dei casi clinici, con un conseguente alto numero di decessi.

Per capire cosa ci suggeriscono per il futuro l’Africa e la Cina, i pipistrelli, le pandemie e la trasparenza dei dati scientifici dobbiamo guardare alla libertà della ricerca scientifica, al libero accesso ai dati e al coinvolgimento della cittadinanza e delle istituzioni nella scienza. Rafforzare lo stato di diritto e benessere della popolazione attraverso una piattaforma transazionale che diffonda i valori del metodo scientifico: rispetto dei fatti, rifiuto dell’autorità, trasparenza delle critiche, libertà di accesso alle ricerche sono alcuni dei temi centrali delle attuali società della conoscenza che condividono lo stesso obiettivo politico e civico futuro. I wet market cinesi, la densità abitativa urbana, la globalizzazione e il flusso dei trasporti continueranno, come pure i pipistrelli continueranno a infettarci (sono un quarto dei mammiferi e volano), possiamo però creare una rete diffusa di dati che offra i potenti strumenti preventivi della scienza alle popolazioni locali, per proteggersi e per proteggere noi stessi.

Le attese della comunità scientifica globale sono verso una piattaforma internazionale per la trasparenza e la condivisione dei real world data standardizzati sulle malattie infettive emergenti e la diffusione epidemica71,72 . I progressi nel machine learning e nell'uso del crowdsourcing aprono la possibilità di sviluppare un atlante delle malattie infettive continuamente aggiornato. Le possibilità di sviluppo sono molteplici. Tali strumenti possono offrire mappe dinamiche del rischio di malattie infettive liberamente disponibili per un'ampia gamma di professionisti sanitari, ma anche dei decisori politici che devono stabilire priorità nella allocazione di risorse limitate ai singoli presidi medici. Inoltre, gli approcci di machine learning sui Big Data epidemiologici servono per automatizzare il posizionamento geografico delle segnalazioni di malattie, specialmente se combinati con la supervisione umana e il crowdsourcing (attività di outsourcing online ai volontari).

La rivoluzione dei Big Data è già in corso e lo sfruttamento delle informazioni utili in queste nuove fonti di dati implica collaborazioni con scienziati informatici esperti nel machine learning e con i diversi stakeholders che hanno capacità di coinvolgere e aggregare le comunità di esperti e

71 HAY, S.I. ET AL., “Big Data Opportunities for Global Infectious Disease Surveillance”, PLOS Medicine, 2020, 10(4), p. e1001413. 72 BANSAL, S. ET AL., “Big Data for Infectious Disease Surveillance and Modeling”, J Infect Dis, 2020, 214(suppl_4), pp. S375-S379.

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partecipanti73 . L'evidenza mostra che motivare la cittadinanza a dedicare parte del proprio "surplus cognitivo" al crowdsourcing è possibile, a condizione che i prodotti e i benefici siano immediatamente disponibili per il bene comune. Un caso empirico di successo riguarda l'aumento della sorveglianza dell'influenza tramite crowdsourcing con sistemi partecipativi come Flu Near You negli Stati Uniti (www.flunearyou.org) e Influenzanet nell'UE (www.influenzanet.eu), che complessivamente vantano quasi 100.000 volontari. Fin dall'inizio tutti i dati sulle malattie infettive e le mappe derivate dovrebbero essere rese disponibili gratuitamente per garantire il coinvolgimento. Ciò potrebbe stimolare anche la raccolta di nuove risorse e la loro considerazione da parte dei decisori politici. A tal fine sarà necessario completare l'investimento principale nella piattaforma software e una volta strutturata la comunità, la sostenibilità tende ad aumentare quando le richieste di input dell'utente diminuiscono via via che il software apprende e gli output mappati diventano sempre più stabili. L’orizzonte è quello di democratizzare la piattaforma fornendo il codice di accesso a tutte le autorità, pubbliche e private, interessate74.

Lo sviluppo delle promettenti terapie geniche e cellulari avanzate (ATMP, Advanced Therapy Medicinal Product), che con uno o pochi trattamenti hanno la capacità di curare o trasformare la storia naturale di malattie rare, incurabili o degenerative, sta rivoluzionando i sistemi sanitari globali sia per adeguare i sistemi regolatori sia quelli economico-sanitari per permettere un ampio accesso alle cure. In tale logica, un ruolo chiave lo avranno i registri dei Real Life Data finalizzati a monitorare l’efficacia della cura nei pazienti (appropriatezza prescrittiva, responders vs. non-responders, monitoraggio dei farmaci nella vita reale, ecc.) e il controllo della spesa farmaceutica e sanitaria (gestione degli accordi sul prezzo, rimborso adattativo, ecc.). Emerge dunque una nuova esigenza di potenziare la raccolta dei cosiddetti “dati di vita reale” (real world data) per analizzare nel tempo l’impatto globale delle terapie avanzate sulla vita dei pazienti e delle famiglie, che si traduce in dati quantificabili, utilizzabili, affidabili.

L’uso di Big Data e l’implementazione della telemedicina (comunicazione attraverso canali digitali tra medico e paziente) è di particolare rilevanza non solo nelle condizioni imposte dalla pandemia di Covid-19, che hanno impedito o ridotto gli accessi agli ospedali dei pazienti affetti da tutte le altre patologie, ma anche per il futuro in un’ottica di migliore gestione delle spese sanitarie e personalizzazione delle cure. Esemplare in tal senso è il modello di una malattia cronica come il diabete di tipo 2, nota per avere una scarsa aderenza terapeutica in una quota significativa di pazienti: un problema che Big Data, telemedicina e dispositivi sanitari indossabili (wearable health devices) si accingono a risolvere75.

Oggi è noto che la prevenzione del diabete di tipo 2 (T2D) nella popolazione mondiale può essere soddisfatta solo mediante controlli ravvicinati e regolari per la diagnosi precoce dei segni di progressione nella malattia. Uno strumento che consente l'autovalutazione delle persone sulla base dei parametri dello stile di vita, per quanto approssimativo, rimane dunque il mezzo più potente per aumentare la consapevolezza del rischio di T2D. Al giorno d'oggi, strumenti di questo tipo

73 KAMEL BOULOS MN, RESCH B ET AL., “Crowdsourcing, citizen sensing and Sensor Web technologies for public and environmental health surveillance and crisis management: trends, OGC standards and application examples”, Int J Health Geogr, 2011, 10, p.67 ss.. 74 HAY, S.I. ET AL., “Big Data Opportunities for Global Infectious Disease Surveillance”, op.cit. 75 STOLFI P., VALENTINI I., PALUMBO M.C., TIERI P., GRIGNOLIO A., CASTIGLIONE F., “Potential predictors of type-2 diabetes risk. Machine learning and wearable health devices”, IEEE International Conference on Bioinformatics and Biomedicine (BIBM), November 2019, pp. 2214-2221.

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sono alla portata della tecnologia grazie all'ampio utilizzo di dispositivi di monitoraggio in grado di tenere traccia degli schemi di esercizio e alimentazione e, allo stesso tempo, l'approssimarsi di metodi computazionali (machine learning, synthetic data e real world data) che stimano il rischio di passare dalla condizione sana (cioè pre-diabetica) a quella patologica. Smartphone, tablet, orologi da polso e dispositivi indossabili sono oggi sempre più utilizzati come strumenti alla moda con il potenziale però di promuovere uno stile di vita sano, motivando cognitivamente gli utenti con effetti misurabili.

Oggi, tuttavia, la capacità di stimare il rischio di traiettoria di un singolo paziente in tempo reale rimane scarsa. La conoscenza del profilo di rischio dinamico di un paziente può invece consentire ai medici di modificare cambiamenti mirati e graduali nel piano di cura per il T2D che hanno la possibilità di alterare positivamente la traiettoria dei risultati del paziente. Al momento attuale, gli strumenti di calcolo che sfruttano la disponibilità di enormi dati real life raccolti da dispositivi personali mediante tecniche di machine learning sono al centro di una grande quantità di sforzi di ricerca. Considerando i recenti miglioramenti nelle tecnologie di sostegno all'assistenza sanitaria come le applicazioni per smartphone, la connettività dei dispositivi, l'intelligenza artificiale e la tecnologia di machine learning, vi sono forti opportunità per raggiungere una migliore efficienza nella cura del diabete e migliorare il coinvolgimento dei pazienti nell'autogestione del diabete. Ciò può sensibilmente ridurre l'ondata di diabete e le spese sanitarie correlate, aprendo la strada allo scenario futuro di una cura del diabete guidata dal paziente nell'era della tecnologia a distanza76. Inoltre, questo nuovo approccio ha un grande potenziale come strumento di monitoraggio a basso costo delle abitudini alimentari e dell'attività fisica di diversi segmenti della popolazione, consentendo ai loro utenti di raggiungere conoscenze difficilmente comprensibili anche dai migliori esperti.

In prospettiva, dunque, la capacità di collegare i parametri del soggetto con dispositivi di misurazione come quelli dei sistemi di comunicazione portatili (smartphone e orologi da polso) consentirà lo sviluppo di sistemi sanitari collegati in tempo reale per emettere allarmi, avvertimenti o semplici raccomandazioni al paziente. Nel prossimo futuro, l'esecuzione “real time” del modello, con parametri di input completamente personalizzabili, potrà essere prevista come un servizio bioinformatico dedicato, in grado di fornire un'assistenza sanitaria sempre più personalizzata e facilitando l'autocontrollo e l’uso di incentivi cognitivi personalizzati. Guardando al prossimo futuro, è possibile prevedere due possibili sviluppi di ricerca. Si sta aprendo una nuova era della medicina che combina i “dati tradizionali” degli studi clinici randomizzati con nuovi dati “real world” —raccolti da registri, fascicoli o cartelle cliniche elettroniche, social media e dispositivi indossabili— che producono evidenze del mondo reale, questa combinazione potrà condurre la comunità scientifica sia scoprire a potenziali nuovi fenomeni predittivi del diabete sia a scoprire la parziale inadeguatezza delle modellizzazioni sinora raccolti con i dati tradizionali provenienti dai campioni di popolazioni arruolati nei trial clinici77.

Infine, resta urgente la necessità di aprire un dibattito bioetico (oltre e rispetto al GDPR dell'UE o ad altre normative nazionali) su come utilizzare e proteggere i dati sanitari sensibili ottenuti dai

76 ASHRAFZADEH S., HAMDY O., “Patient-Driven Diabetes Care of the Future in the Technology Era”, Cell Metab. vol. 29, pp. 564-575, March 2019. 77 STOLFI P., VALENTINI I. ET AL., “Potential predictors of type-2 diabetes risk..”, op.cit.

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dispositivi indossabili, poiché in gioco ci sono questioni etiche sulle pratiche volte a monetizzare i dati dei pazienti piuttosto che a migliorare la qualità terapeutica78.

Occorre dunque contribuire alla costruzione di un nuovo clima socioculturale che crei un ponte tra la ricerca scientifico-tecnologica dei Big Data e la società e favorisca lo sviluppo di una Citizen Science, prospettiva cui si ispira la stessa Commissione Europea nella definizione dei suoi programmi sulla ricerca e la salute79. È questo il suggerimento che viene anche in campo vaccinale da un articolo uscito lo scorso aprile dal titolo significativo “Vaccine confidence in the time of COVID-19”, in cui si suggerisce la necessità di passare dalla esitanza alla fiducia (confidence) verso i vaccini (Harrison 2020). La fiducia della cittadinanza verso i programmi di vaccinazione dipende infatti da una più ampia fiducia verso il lavoro che tutti gli stakeholders della sanità, dal decisore politico alle aziende produttrici, sapranno svolgere per riannodare il patto di cooperazione sociale e trasparenza per il bene della salute collettiva. Una strategia sistemica, dunque, per un tema sistemico e multidisciplinare qual è quello dell’esitanza vaccinale.

Nell’era post-Covid è quindi auspicabile promuovere una sorta di Institutional and Citizen Advocacy, ovvero una partecipazione circolare della cittadinanza e delle istituzioni. Un’alleanza strategica che partendo dalle innovazioni biomediche di frontiera, ad esempio le terapie avanzate, sia capace di coinvolgere le istituzioni politiche e regolatorie (policy making) e la cittadinanza (public perception), intesa come “pubblico consenso” all’impresa collettiva dell’innovazione biomedica e sanitaria. In tale nuovo quadro, le aziende farmaceutiche devono diventare partner dell’interlocutore pubblico e questo, a sua volta, deve iniziare a percepirle non come un antagonista dei bisogni sociali bensì come un alleato e un’opportunità di cura.

VERSO MODELLI TRASPARENTI E SOSTENIBILI PER LA GESTIONE E IL CONTROLLO DEI DATI

Man mano che i dati personali, e in particolare quelli riguardanti la salute degli individui, verranno correttamente percepiti come estensioni digitali del corpo e parte costitutiva della persona, non violabili se non a rischio di compromettere l’integrità individuale e i fondamentali diritti umani, si porranno importanti questioni rispetto alla loro gestione, accesso e uso.

Se è vero che la vita dei cittadini si svolge ormai in modo sempre più concreto e pervasivo in quell’intersezione fra mondo reale e mondo digitale, e che molta parte delle nostre vite passa e si manifesta attraverso i nostri dati e la nostra “impronta digitale”, una corretta, consapevole, e trasparente gestione dei dati diventa un elemento di importanza fondamentale – al pari dei diritti politici, civili e umani ormai consolidatisi nella coscienza collettiva dei paesi occidentali. Diventa chiaro come il principio alla base della privacy sia: “non il principio di proprietà privata, ma quello di personalità inviolata. […] Il diritto alla privacy, in quanto parte del più generale diritto all’immunità della persona, [è] il diritto alla propria personalità”80.

Non a caso, la questione della gestione dei dati sta passando sempre più dalla sfera tecnologica a quella della governance e dovrà diventare un importante tema di politiche pubbliche nell’immediato futuro.

78 BASCH E., SCHRAG D., “The Evolving Uses of "Real-World" Data”, JAMA 321, pp. 1359-1360, 2019. 79 Eu-Citizen Science: https://eu-citizen.science/# 80 WARREN, S., BRANDEIS, L.D. (1890), “The right to privacy”, in Harward Law Review, 4,5, pp.193-220, citato in FLORIDI, L. (2017), La quarta rivoluzione: come l'infosfera sta trasformando il mondo, Raffaello Cortina.

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Gli elementi di criticità nella gestione dei dati personali sono già emersi, con importanti limiti ad una gestione trasparente e rispettosa dei diritti umani, inclusa la privacy, nell’ampio spazio di manovra lasciato alle aziende private. Allo stesso tempo, come è stato diffusamente discusso nel paragrafo precedente, i dati stanno diventando una risorsa assolutamente irrinunciabile per una serie di utilizzi, in particolare in ambito medico.

Una serie di fattori concomitanti renderà l’uso dei dati per applicazioni biomedicali sempre più indispensabile. Da un lato, i noti trend di invecchiamento della popolazione che – in combinazione con la “cronicizzazione” di diverse patologie – renderà sempre più importante un approccio preventivo e partecipativo al processo di cura. Non soltanto, infatti, si dovrà compiere un importante sforzo per la valutazione preventiva del rischio-malattia (attraverso l’analisi dei dati in cluster di pazienti con caratteristiche simili), ma si dovrà anche investire molto di più sul mantenimento dello stato di salute e la riduzione dell’incidenza di patologie e/o comorbidità. Allo stesso tempo, la gestione autonoma delle patologie croniche da parte dei pazienti, con l’uso massiccio di soluzioni di medicina digitale (digital therapeutic) e di telemedicina, sarà un elemento fondamentale per garantire cure all’intera popolazione e appropriatezza degli interventi, garantendo al contempo la sostenibilità complessiva del sistema.

Dall’altro lato, la sempre più grande efficacia degli strumenti basati su intelligenza artificiale, e la crescente importanza di dati generati dagli ambienti di vita e di lavoro dai pazienti, nonché – ancor più rilevante – l’importanza dei dati generati direttamente dai pazienti tramite dispositivi indossabili e applicazioni mobili, renderà pressoché obbligatorio l’uso di questi strumenti e di conseguenza, dei dati personali generati tramite queste nuove modalità.

Per questo, modelli efficaci di gestione, accesso e uso dei dati diventano una questione urgente di politiche pubbliche (in particolare sanitarie) che si dovrà porre il duplice obiettivo di massimizzare l’usabilità e l’accesso ai dati, allo stesso tempo tutelando la privacy ed educando i cittadini a una gestione autonoma e consapevole dei propri dati personali, anche attraverso la fornitura di soluzioni tecnologiche utili a questo scopo. Il tutto dovrà avvenire in un contesto particolarmente veloce e in costante evoluzione, con grandi aziende tecnologiche sempre impegnate a massimizzare la loro disponibilità di dati e l’uso per la produzione di nuove soluzioni nel settore medicale.

“ACQUA DAPPERTUTTO E NEMMENO UNA GOCCIA DA BERE”81 : DAL PARADOSSO PUBBLICO “DATA

RICH-INFORMATION POOR” ALLA “CORSA ALL’ORO” PRIVATA Per comprendere appieno la problematica in oggetto, sarà il caso di effettuare una breve ricognizione sul crescente ruolo dei dati in particolare in ambito sanitario. Se il mondo produce qualcosa come 2,5 quintilioni (2,5x1018) byte di dati ogni giorno82 (con trend continuamente in crescita grazie alle nuove fonti dati come dispositivi IoT, sensori, dispositivi indossabili, smartphone e simili), nel settore sanitario in particolare si assiste ad una vera e propria esplosione di dati – proprio guidata da nuovi dispositivi indossabili e da quella nuova categoria dei dati generati direttamente dai pazienti (real world data, diversi dal dato sanitario/clinico generato in

81 S. T. COLERIDGE, The Rime of the Ancient Mariner, 1798. 82 IBM (2017), “10 Key Marketing Trends for 2017 and Ideas for Exceeding Customer Expectations”, https://www-01.ibm.com/common/ssi/cqi-binissialias?htmlfid=WRL12345USEN

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ambito ospedaliero): queste nuove categorie sono cresciute – secondo le stime disponibili83 – del 300% fra il 2017 e il 2020 (con il numero di applicazioni mobili passato da 1,7 a 3,7 miliardi di applicazioni per la salute scaricate in soli quattro anni, dal 2013 al 201784).

Al di là della valenza di questi dati in ambito clinico – ancora tutta da sperimentare e consolidare a livello pratico – questi dati sono anche portatori di un importante valore economico: un recente rapporto pubblicato da Ernst & Young85 ha stimato che i dati detenuti dal NHS britannico potrebbero tradursi in un valore economico di circa 11,5 miliardi di euro per anno. Il calcolo include i possibili risparmi operativi/organizzativi determinati dall’uso dei dati, così come il miglioramento dei risultati delle cure e da una spinta all’efficenza generale dell’offerta, con ricadute positive sull’economia in generale. Il rapporto ha stimato che i soli dati genetici di un individuo possano valere fino a 1.700€ e la loro combinazione con altri dati clinici fino a 5.800€ per record/paziente. Viene così a sostanziarsi quella previsione di ormai dieci anni fa del World Economic Forum, che definiva i dati personali una nuova forma di asset dal fondamentale valore economico86.

In un simile contesto, tuttavia, si verifica la paradossale situazione per cui le istituzioni sanitarie pubbliche si trovano ad essere contemporaneamente molto ricche di dati, ma povere di informazioni utili al miglioramento delle loro attività. L’OCSE ha stimato che il mancato utilizzo dei dati sanitari disponibili è foriero di diversi svantaggi, sia in termini di risultati (con addirittura un 10% di pazienti che subisce danni nel corso del trattamento) che in termini di gestione (con un 15% di risorse spese proprio per far fronte agli effetti delle inefficienze)87. Oltre al danno emergente, il mancato uso di dati rappresenta un'enorme opportunità sprecata sotto una serie di profili, dalla più accurata valutazione del rischio, alla ottimizzazione dei percorsi terapeutici per pazienti affetti da patologie croniche, fino alla più capillare e valutazione ed analisi delle prestazioni, dell’appropriatezza e adeguatezza delle cure e dell’utilizzo generale delle risorse. Infine, è inevitabile che un mancato uso sistematico e avanzato dei dati impedisca un vero passaggio verso quella “assistenza centrata sul paziente” che dovrebbe essere il perno dei nuovi modelli di offerta sanitaria.

Se è vero che le istituzioni sanitarie non stiano sfruttando ancora appieno il grande patrimonio di dati a loro disposizione, è altrettanto vero che anche i cittadini non riescano ancora ad esercitare un qualche tipo di controllo sui propri dati, trovando che solo un 43% di quei cittadini in grado di accedere alla propria cartella clinica riesce davvero a interagire con i propri dati in modo sensato, in un contesto dove – in ogni caso - la grande maggioranza degli ospedali non consente ai pazienti di accedere ai propri dati88. Ancor meno sono i pazienti che – pur avendo piena capacità di accesso, sfruttano effettivamente questa opportunità. Dati, questi, che confermano una preoccupante mancanza di consapevolezza da parte di cittadini e pazienti circa l’importanza di capire e gestire i propri dati in maniera più proattiva, che ancora sconta una troppo forte abitudine ad affidarsi al

83 FUTURE AGENDA, The Future of Patient Data, Approfondimenti da molteplici discussioni di esperti in tutto il mondo, 2018. 84 OECD Report, Health in the 21st Century: Putting Data to Work for Stronger Health Systems, 2019. https://www.oecd-ilibrary.org/sites/e130fcc2-en/index.html?itemId=/content/component/e130fcc2-en 85 ERNST&YOUNG, Realising the value of health care data: a framework for the future, 2019. 86 SCHWAB, K., MARCUS, A., OYOLA, J. O., HOFFMAN, W., & LUZI, M. (2011), Personal data: The emergence of a new asset class, An Initiative of the World Economic Forum. 87 OECD Report, Health in the 21st Century…, op. cit. 88 OECD Report, Health in the 21st Century…, op.cit.

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medico e alle strutture cliniche di vario genere per la gestione e l’utilizzo del dato. Operazioni di health literacy dovrebbero, in questo senso, orientarsi proprio verso un percorso educativo sui dati che oggi appare essere assente89.

Mentre istituzioni pubbliche e cittadini faticano sia ad accedere ai dati che a farne un uso capillare e sensato, le grandi aziende private riescono sistematicamente ad accedere a grandi quantità di dati clinici, tramite rapporti diretti con operatori e con fornitori di sistemi di cartelle cliniche, senza porsi particolari problemi in termini di rispetto della privacy. L'ultimo esempio è quello del progetto Nightingale di Google, con cui la big tech è riuscita a raccogliere - attraverso un accordo con l’operatore Ascension - dati provenienti da centinaia di migliaia di pazienti, aggirando completamente sia pazienti che medici90,91, così che di recente è finito nel mirino di una investigazione da parte del Dipartimento della Salute US (United States Department of Health and Human Services)92. Un plastico esempio della “corsa all’oro” dei dati che sta avvenendo nel far west senza regole in cui sembra trovarsi questa fase nascente dell’economia dei dati personali.

Però non si tratta solo di Google: molte sono le aziende specializzate che accedono a ingenti quantitativi di dati personali di natura medica: si pensi ad IQVIA – la più grande CRO al mondo – che è in grado di fornire ai suoi clienti accesso a dati provenienti da oltre 600 milioni di pazienti provenienti da 100 paesi. Oppure alla IBM, che ha acquisito Truven Health, ottenendo l'accesso immediato alle cartelle cliniche di 200 milioni di pazienti, o ancora a FlatIron (che è stata acquisita da Roche nel 2018), che accede regolarmente ai dati medici relativi a duecento tipologie di tumore in tutta Europa93. Un caso italiano è quello dei dati genetici dell’Ogliastra in Sardegna e dell’iniziativa SharDNA, conclusasi in tribunale e forse oggi pronta a ripartire. L’iniziativa SharDNA, avviata nel 2000 con l’intenzione di studiare il patrimonio genetico sardo nella speranza di trovare i motivi per la super longevità presente nell’isola, si era conclusa con una acquisizione all’asta della società (e del suo enorme patrimonio di materiale genetico) da parte di Tiziana Life Sciences, società inglese molto attiva nel settore della ricerca dei farmaci antitumorali. Tale acquisizione e la prospettiva di un utilizzo commerciale e vendite anche all’estero, aveva scatenato le ire dei donatori, che si sono costituiti in una associazione per pretendere il recupero del materiale genetico donato. Dopo anni di attese e polemiche, e anche grazie a un duro intervento del Garante della Privacy (che di fatto impediva l’utilizzo del materiale genetico senza prima una nuova richiesta di consenso informato), la vicenda sembra essere sul punto di risolversi, con la definitiva revoca dell’iniziale consenso e il ritorno del materiale genetico sotto il controllo dell’associazione di cittadini che ne sono legittimi proprietari, con successiva costituzione di una

89 L’elemento culturale è di fondamentale importanza ed è certamente fra le concause per il fallimento di iniziative come Google Health e Microsoft HealthVault (servizi interrotti rispettivamente nel 2012 e nel 2019). Il dibattito accademico all’inizio di quella fase fu tutto centrato sull’elemento tecnologico e sul grande ruolo che avrebbero avuto i c.d. Patient-controlled health records (PHCR – si veda, ad esempio, MANDL, K. D. – I. S. KOHANE, "Tectonic shifts in the health information economy", The New England journal of medicine 358.16 (2008), p. 1732 ss.), senza considerare i molteplici elementi culturali, etici, regolatori, che avrebbero determinato il deragliamento delle prime iniziative private in questo settore. 90 GRIGGS, M. B. (November 11, 2019). "Google may be secretly gathering millions of personal health records with alleged 'Project Nightingale'", The Verge. 91 PILKINGTON, E. (November 12, 2019). "Google's secret cache of medical data includes names and full details of millions – whistleblower", The Guardian. 92 GARCIA, A. (November 13, 2019). "Google's 'Project Nightingale' center of federal inquiry", CNN, Turner Broadcasting System. 93 Ibid.

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Fondazione (già costituita) che userà il materiale genetico per rimetterlo al servizio della ricerca pubblica94.

Questo sbilanciamento fra attivismo privato (anche ispirato alla cultura del “move fast break things” che è anche quella di fare qualcosa al limite dell’illegale salvo poi scusarsi in caso si venisse colti in fragrante) e lentezza pubblica potrebbe avere conseguenze di lungo periodo non indifferenti, laddove le grandi aziende tecnologiche stanno progressivamente maturando un vantaggio competitivo insormontabile sia nei confronti dei concorrenti più piccoli che delle istituzioni sanitarie pubbliche. Un vantaggio che domani potrebbe tradursi in un ruolo crescente di attori privati (“big AI health” da affiancare ai “big pharma” di oggi95) con cui le istituzioni pubbliche e i cittadini si dovranno confronteranno per ottenere servizi sanitari avanzati basati sui dati.

Per tutti questi motivi, è sempre più urgente trovare modelli concreti da offrire a istituzioni pubbliche e cittadini per controbilanciare il crescente potere privato e salvaguardare i propri interessi, insieme alla privacy e agli altri diritti fondamentali della persona96.

ALTERNATIVE AGLI OLIGOPOLI PRIVATI DI DATI: DONAZIONI, COOPERATIVE, E “DATI COME

LAVORO” Considerata la natura dei dati personali (da ritenersi estensioni della persona e finanche del corpo, specialmente laddove si tratti di data sanitari) e il principale scopo che ci si dovrebbe prefiggere tramite il loro uso (ovvero il miglioramento delle condizioni di salute delle persone e – più in generale – il benessere pubblico), appare di fondamentale importanza dare spazio a modelli alternativi alla mera commercializzazione e valorizzazione economica dei dati. Se le società private tendono a raccogliere dati per scopi economici, e nuove iniziative vanno verso l’idea di marketplace97 di dati individuali, offrendo agli individui di monetizzare i propri dati personali,

94 https://www.lanuovasardegna.it/nuoro/cronaca/2020/02/29/news/il-dna-torna-in-sardegna-la-ricerca-puo-ripartire-1.38533468 95 Lungo queste linee, un osservatore ha sostenuto che, se nel 2009 nessuna delle aziende top 5 di Fortune500 erano data-intensive, nel 2018 tutte erano aziende data-intensive, in altri 10 anni le top5 Fortune 500 potrebbero ben essere aziende nel settore delle scienze della vita (si veda: K. FARRINGTON, “The Convergence of AI and blockchain in healthcare”, in Blockchain in Healthcare – Innovations that empower patients, connect professionals and improve care - Ed. D. METCALF, J. BASS, M. HOOPER, A. CAHANA, V. DHILLON, HIMSS e CRC Press, gennaio 2019). 96 Uno scenario alternativo a quello di un nuovo robusto patto di cittadinanza digitale con al centro i diritti umani (inclusa la privacy) e i cittadini, necessario per guidare cittadini e istituzioni pubbliche nel mondo ibrido fra virtuale e reale che sarà sempre di più la nostra casa del futuro, ci viene offerto dall’esperimento cinese del social credit system (sistema di credito sociale). Il sistema si propone di raccogliere una serie disparata di dati dei cittadini, dai dati finanziari ai dati di posizione, dalle abitudini di consumo alle misurazioni relative alla salute e al benessere (tramite applicazioni di automonitoraggio), fino alla posizione fisica dei cittadini. Il tutto verrà sintetizzato in una sorta di punteggio che a sua volta determinerà l’affidabilità dei cittadini, decidendo di fatto le possibilità di accesso al credito, di ricoprire posizioni in istituzioni pubbliche e private, e anche i “livelli di sorveglianza” cui ciascun cittadino sarà sottoposto, determinando una analisi pervasiva dei comportamenti ad ogni livello dell’esperienza di vita della persona. Naturalmente, al di là di uno strumento per garantire le interazioni socioeconomiche, si tratta di un potente strumento di sorveglianza del regime, con importanti ricadute sulle libertà personali e la privacy, già messa a dura prova dai sistemi di riconoscimento facciale e finanche la analisi facciale delle emozioni. 97 La stessa Unione Europea ha incoraggiato attività di ricerca e sviluppo in questo settore, con una call dal titolo “ICT-13-2018-2019 - Supporting the emergence of data markets and the data economy”.

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anche di salute, sembra opportuno esplorare approcci che superino l’idea della valorizzazione meramente monetaria (peraltro assai problematica anche per la difficoltà di sviluppare un modello di prezzi robusto per i dati).

Tali modelli alternativi potrebbero fondarsi su due elementi di grande importanza: da un lato, l’attitudine individuale alla condivisione dei dati personali (in particolare quelli sanitari). Dall’altro, la possibilità di lanciare nuove iniziative collettive di gestione e scambio dati, per rafforzare il ruolo dell’individuo rispetto alle attività dei grandi gruppi privati.

Riguardo al primo aspetto, studi recenti – condotti nel Regno Unito – hanno fatto emergere interessanti aspetti riguardo le attitudini dei cittadini allo scambio di dati sanitari: per un verso, si è riscontrata ancora una grande eterogeneità di vedute, fra quanti non sono affatto preoccupati per la raccolta e l'uso delle proprie informazioni personali e quanti, invece, non sono disposti a fornire accesso ai dati anche laddove detto accesso fosse direttamente correlato al miglioramento dei servizi sanitari98. Per altro verso, si è potuta invece rilevare una relativa disponibilità della popolazione alla condivisione di informazioni cliniche, ma tale condivisione sarebbe accordata solo a fronte della presenza di alcune condizioni di base, come una buona motivazione per l’accesso e la credibilità dell’istituto di ricerca richiedente. Tuttavia, si è potuto riscontrare un elemento altruistico non trascurabile, laddove molti individui sarebbero disposti ad offrire accesso ai propri dati sanitari per sostenere le attività di ricerca effettuata da organismi pubblici, mentre il successivo accesso da parte di enti privati sarebbe fonte di preoccupazione99.

Più in generale, si riscontra la convinzione comune che l’accesso e l’uso dei dati debba avvenire a beneficio dell’intera società, e che l’uso commerciale dei dati dei pazienti (anche da parte di enti privati) debba risultare in un beneficio per i sistemi sanitari nazionali, che dovrebbe ottenere accesso facilitato a nuovi servizi e tecnologie100.

Venendo al secondo aspetto, tutti questi elementi portano a rivolgere lo sguardo verso modelli di aggregazione e gestione comune dei dati principalmente rivolta a sostenere attività di ricerca e sviluppo, a beneficio generale della collettività. Fra questi modelli, quello che ha attirato maggiormente l’attenzione del mondo accademico negli ultimi anni è quello del modello delle cooperative di dati. Le cooperative di dati sono presentate, in questo contesto, come un elemento di riequilibrio dello strapotere privato in questo settore, offrendo ai cittadini la possibilità di esercitare un potere negoziale per regolare accesso e utilizzo dei dati. Il punto di partenza di simili iniziative è proprio la consapevolezza del fatto che i dati personali dei cittadini sono oggi sfruttati “senza che venga restituito un valore sufficiente all'individuo"101 e che sia pertanto necessaria l’organizzazione di istituzioni collettive simili al sindacato, in grado di rappresentare i diritti sui dati delle persone102.

Istituzioni e modelli che consentano il passaggio da un approccio individualistico alla gestione del dato – basato su una (minima) compensazione economica (modello che svantaggia il singolo

98 CurvedThinking & Understanding Patient data, Understanding public expectations of the use of health and care data, Report commissioned by OneLondon, luglio July 2019. 99 Summary of the report Public attitudes to patient data use. 100 THE ACADEMY OF MEDICAL SCIENCE, Our data-driven future in healthcare - People and partnerships at the heart of health related technologies, November 2018. 101 T. HARDJONO, – A. PENTLAND. "Data Cooperatives: Towards a Foundation for Decentralized Personal Data Management.", arXiv preprint arXiv:1905.08819 (2019). 102 Ibid.

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cittadino offrendogli poco o nullo potere negoziale allo stesso tempo togliendogli non soltanto il dato ma anche – molto spesso – un sostanziale diritto alla privacy), ad un approccio collettivo che sia basato principalmente su diritti, responsabilità e standardizzazione per l’acceso e l’uso dei dati, in grado di fare l’interesse collettivo dei membri dell’organizzazione contemporaneamente proteggendoli da rischi di discriminazione e perdita della privacy103.

Le cooperative di dati sono definite come una collaborazione volontaria di un gruppo di individui per la messa in comune e l’aggregazione sensata dei dati personali a vantaggio del gruppo stesso104. È interessante notare che, accanto alla necessità di controbilanciare il potere dei grandi player privati nella raccolta e gestione dei dati, una delle motivazioni chiave per l’organizzazione di simili cooperative è quella di ottenere conoscenza aggiuntiva tramite l’aggregazione di dati, cosa che sarebbe altrimenti impossibile mantenendo i dati isolati e inaccessibili. Tre elementi fondamentali vengono inoltre identificati per il corretto funzionamento di una cooperativa di dati: 1) la possibilità – regolata anche dal punto di vista legale - per i singoli membri di controllare in maniera capillare i propri dati (inclusa aggiunta, rimozione, predisposizione di regole di accesso, tramite strumenti tecnologici forniti dalla cooperativa stessa). È importante notare come gli individui siano anche i soggetti meglio posizionati per agire come aggregatori dei dati; 2) la governance collettiva, che investe sia le modalità di condivisione dei dati messi a disposizione dai membri, offrendo meccanismi di supervisione collettiva per regolare l'accesso ai dati per gli istituti di ricerca (stabilendo regole e possibilmente compensazioni per l'accesso ai dati), sia le modalità di controllo e gestione della cooperativa stessa; 3) la presenza di un vantaggio diretto per i membri.

Tale vantaggio non deve essere necessariamente di carattere monetario (per esempio tramite dividendi), ed è piuttosto da interpretarsi nell’ottica del vantaggio derivante dalla messa in comune dei dati a sostegno della ricerca e per migliorare la pratica clinica. L'assistenza sanitaria è davvero un chiaro esempio del tipo di vantaggio che i membri potrebbero ottenere dalla condivisione dei dati. Non sorprende che le cooperative di dati siano state indicate come possibile soluzione per migliorare la ricerca medica e gestire in modo equo i dati sanitari sensibili105,106.

L'idea alla base delle cooperative di dati è che attualmente siamo in una sorta di feudalesimo digitale, con le aziende digitali nel ruolo di avidi feudatari che lasciano poco o nulla del “raccolto” di dati ai legittimi produttori – i cittadini – configurando quasi una forma di schiavitù o servitù dei dati (sebbene in parte si possa parlare di servitù volontaria). In questo senso, è stato affermato che i problemi attuali con l'accesso e l'utilizzo dei dati, e il successivo sfruttamento dei dati da parte delle grandi aziende tecnologiche, siano determinati dal trattamento dei dati come capitale piuttosto che come lavoro. La differenza tra i due paradigmi (Data as Capital - DaC e Data as Labour - DaL) sarebbe che DaC tratta i dati come "prodotto secondario del consumo che deve essere raccolto dall'azienda" (consentendo alle aziende di trarre profitto dall'elaborazione dei dati, lasciando principalmente inconsapevole del valore dei loro dati). Nell’approccio DaC, lo scenario di lungo periodo vede un ruolo crescente dell’intelligenza artificiale in sostituzione della forza lavoro

103 PENTLAND, A., HARDJONO, T., (MIT Connection Science), PENN, J., COLCLOUGH, C., (UNI Global Union), DUCHARME, B., MANDEL, L. (MIT Federal Credit Union), Data Cooperatives: Digital Empowerment of Citizens and Workers, Whitepaper, MIT Connection Science, 2019. 104 Così in Data Cooperatives: Digital Empowerment of Citizens and Workers, op. cit. 105 E. HAFEN, "Personal Data Cooperatives–A New Data Governance Framework for Data Donations and Precision Health." The Ethics of Medical Data Donation, Springer, Cham, 2019, pp. 141-149. 106 BLASIMME, A., E. VAYENA & E. HAFEN. "Democratizing Health Research Through Data Cooperatives.", Philosophy & Technology 31.3, 2018, pp. 473-479.

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umana, con la necessaria susseguente istituzione di un qualche reddito di base universale, finendo in ultima istanza per esacerbare disuguaglianze e la polarizzazione ricchezza-povertà. Nell’approccio DaL, al contrario, i dati sono trattati come frutto del lavoro delle persone che li producono e vengono riconosciuti come fondamentale fattore produttivo necessario al training degli algoritmi di intelligenza artificiale, che deve pertanto essere riconosciuto in quanto tale, con l’appropriata attribuzione di un ruolo economico ai cittadini nella produzione di dati e di valore, ottenendo allo stesso tempo una concreta salvaguardia della “dignità digitale” umana. Tale salvaguardia avverrebbe anche grazie al coinvolgimento di istituzioni pubbliche atte a proteggere i diritti dei cittadini/lavoratori/fornitori di dati rispetto ai possibili abusi dei giganti tecnologici privati (come, ad esempio, le cooperative o i sindacati dei dati e/o dei “data workers”, in grado finanche di indire “scioperi dei dati”)107,108.

Tuttavia, tale visione di Data as Labour deve affrontare una serie di importanti sfide, da un livello completamente diverso di coinvolgimento individuale rispetto alla gestione dei dati personali fino allo sviluppo di una sorta di nuova forma di "coscienza di classe dei dati"109, ancora tutta da immaginare.

Come conclusione, vale la pena ricordare alcune iniziative esistenti nel settore delle cooperative di dati. L'iniziativa MiData.coop, ad esempio, presentava un modello in grado di consentire ai cittadini di archiviare le proprie informazioni in un luogo sicuro, consentendo loro di decidere se condividere i dati con gli operatori sanitari o partecipare a iniziative di ricerca. Allo stesso modo, HealthBank.coop e la fondazione HIT, hanno proposto un approccio molto simile, introducendo però un ulteriore elemento di compensazione, tramite criptovalute dedicate. I singoli cittadini che condividono i dati possono ottenere vantaggi diretti tramite compensazione monetaria o accesso ai servizi.

107 I. ARRIETA-IBARRA ET AL. "Should We Treat Data as Labor? Moving beyond" Free", aea Papers and Proceedings, Vol. 108, 2018. 108 “Data workers of the world, unite”, The Economist, July 7, 2018. 109 Ibid.

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CAPITOLO 3: L’EVOLUZIONE DELLA R&D VERSO LE TERAPIE AVANZATE 3.1 TERAPIE AVANZATE – DEFINIZIONE Facendo riferimento al regolamento 1394/2007 CE e alla Direttiva 2001/83 CE, i medicinali per terapie avanzate possono essere classificati in quattro gruppi principali110:

• Medicinali di terapia genica: contenenti geni che portano a un effetto terapeutico, profilattico o diagnostico. Funzionano attraverso l'inserimento di DNA "ricombinante" nell’organismo del paziente, ovvero di un tratto di DNA che viene creato in laboratorio.

• Medicinali di terapia cellulare somatica: contenenti cellule o tessuti che sono stati manipolati per cambiare le loro caratteristiche biologiche o cellule o tessuti non destinati a essere utilizzati per le stesse funzioni essenziali originali.

• Medicinali di ingegneria tessutale: che contengono cellule o tessuti che sono stati modificati in modo da poter essere utilizzati per riparare, rigenerare o sostituire tessuti umani.

• Medicinali di terapia avanzata combinati: contenenti uno o più dispositivi medici come parte integrante del medicinale. Un esempio sono le cellule fatte crescere su matrici biodegradabili o supporti sintetici.

Non sono terapie avanzate gli emoderivati, i trapianti di midollo e l’utilizzo di cellule staminali. La differenza sta nel fatto che queste ultime terapie comportano un semplice processo di aferesi, sterilizzazione o liofilizzazione, mentre le terapie avanzate sono tali in quanto comportano una “manipolazione” in laboratorio tale da modificare le cellule del donatore per ottenere un effetto terapeutico. Gli scopi terapeutici principali che si stanno esplorando con le terapie avanzate sono la correzione di mutazioni geniche, la ripopolazione di numero insufficiente di cellule o l’attivazione di cellule del sistema immunitario (per es. tecnica CAR-T per neoplasie ematologiche), la rigenerazione di tessuti danneggiati. Mediante le terapie avanzate, si aprono nuovi scenari terapeutici per i pazienti, le istituzioni sanitarie e l’intera comunità scientifica, principalmente nell’ambito delle malattie rare e nell’ambito dell’oncologia/onco-ematologia. Le terapie avanzate hanno il potenziale di curare le cause di queste patologie, piuttosto che agire solo a livello sintomatico. Stanno pertanto offrendo e offriranno sempre più vantaggi terapeutici senza precedenti. 3.2 PROCESSI DI RICERCA E SVILUPPO INNOVATIVI Abbiamo assistito negli ultimi decenni ad una accelerazione della ricerca scientifica. A livello di ricerca di base, esplorativa, sono state spesso forme di partenariato pubblico-privato a portare ad avanzamenti significativi, sia attraverso l’incontro, la valorizzazione e la messa a sistema delle rispettive conoscenze e specializzazioni sia attraverso investimenti industriali di quote di capitale "a fondo perduto" per la ricerca di base pubblica, in cambio di un diritto di opzione su eventuali esiti di questa ricerca ritenuti interessanti (proprietà intellettuale, successiva ricerca industriale). La promessa dei nuovi modelli di network innovation in ricerca e sviluppo è di formulare cure in tempi più rapidi, più efficaci e più sicure.

110 Così come riproposti in AIFA, Terapie avanzate, maggio 2016.

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Sono state le discipline omiche a consentire la caratterizzazione sempre più dettagliata dei processi biologici, siano essi genetici, cellulari o biochimici, correlati ai diversi fenotipi, e la loro integrazione (principalmente genomica, trascrittomica, proteomica e metabolomica) in quella che viene definita come la biologia dei sistemi complessi. La biologia dei sistemi complessi e le varie tecnologie omiche a essa correlate hanno letteralmente rivoluzionato negli ultimi anni l’approccio allo studio dei processi fisiologici e fisiopatologici, consentendo una identificazione sempre più puntuale delle differenze interindividuali e di spostarsi verso la medicina “personalizzata o di precisione”111.

Per molti anni la diagnosi e il trattamento delle patologie si sono focalizzati sulla generalizzazione di dati ottenuti su grandi casistiche di pazienti, senza tenere conto delle eterogeneità genetiche e fenotipiche dei singoli individui, che possono determinare prognosi differenti e differenti risposte ai farmaci.

Con la medicina personalizzata principalmente si identificano biomarcatori che consentono di effettuare diagnosi precoci, prevedere il rischio di malattia, scegliere il trattamento più appropriato. Si tratta di un approccio innovativo che parte dalle caratteristiche individuali e va a definire piani personalizzati di prevenzione e di trattamento.

Al momento la medicina personalizzata è prevalentemente connessa ai dati genomici e di fatto è ancora una realtà che potremmo definire emergente, anche perché da un lato non vi sono ancora livelli di evidenza considerati sufficienti ad associare in maniera univoca alcune varianti genetiche sia con il fenotipo individuale sia con una specifica patologia e dall’altro lato non vi sono ancora risorse sufficienti da destinare all’implementazione che le tecnologie -omiche richiedono. L’avanzamento delle conoscenze nel campo della biologia molecolare è sorprendente. Tuttavia, la strada della conoscenza è lunga (e affascinante). Pensiamo che solo il 3% delle proteine umane sono ad oggi un target farmacologico. Altre proteine sono teoricamente “aggredibili” farmacologicamente, ma oltre un migliaio non lo sono, a causa della loro stessa conformazione. E la biologia va anche oltre le proteine – per esempio, il 60% del materiale genetico non codifica per proteine. Dunque, che ruolo svolge? I computer sono oggi in grado di analizzare rapidamente enormi quantità di dati e di identificare dei pattern andando ben oltre le capacità dell’essere umano. Intelligenza artificiale, deep learning, machine learning sono ampiamente in uso nei processi di drug discovery. Con queste tecnologie è possibile approfondire la conoscenza di dati chimici e biologici, generare insight e identificare nuovi targets terapeutici. È un terreno, quest’ultimo, sul quale si aprono prospettive inedite per lo sviluppo di una farmacologia di tipo nuovo, che prenda le mosse, per esempio, da analisi incrociate dei miliardi di dati che si sono accumulati in anni e anni di sperimentazioni.

Oggi, per uno scienziato in laboratorio che necessita di settimane per analizzare i dati di uno studio, un computer può generare delle risposte in pochi secondi. L’intelligenza artificiale ha il potenziale di consentire l’individuazione di nuove soluzioni terapeutiche con elevata probabilità di successo una volta portate nella sperimentazione nell’uomo.

111 EUROPEAN COMMISSION, Use of '-omics' technologies in the development of personalised medicine, Commission Staff Working Document, Bruxelles, 25 ottobre 2013. Disponibile online qui: https://ec.europa.eu/research/health/pdf/2013-10_personalised_medicine_en.pdf.

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Modelli in silico riproducono fenomeni di natura chimica e biologica in una simulazione matematica al computer. Le indagini in silico consentono un maggior livello di dettaglio delle conoscenze mediante l’applicazione dei più innovativi metodi di calcolo. In silico è possibile uno screening più ampio di molecole, con l’indubbio vantaggio di rapidità ed economicità. Piattaforme terapeutiche innovative già oggi consentono di curare alcune patologie altrimenti devastanti. In molti casi l’innovazione viene dal dinamico mondo delle biotech e aziende leader in campo farmaceutico, come Novartis, che hanno dovuto aprirsi al mondo esterno e cercare al di fuori dei propri laboratori le competenze necessarie. Proprio Novartis ad esempio ha potuto acquisire, attraverso l’acquisizione di Avexis, una piattaforma avanzata di terapia genica con asset late-stage nonché una significativa pipeline e prezioso know-how in ricerca e sviluppo. Affinché la tecnologia possa veramente trasformare tutto il settore della ricerca, si è reso necessario per il settore farmaceutico – settore tradizionalmente orientato al mondo della biologia – abbracciare il cambiamento e convergere con il mondo più agile della tecnologia, mettendo a fattor comune competenze, esperienze e cultura nel tendere verso un unico obiettivo: la scoperta e lo sviluppo di terapie più avanzate e più efficaci nella cura di un numero sempre maggiore di patologie. Anche nella ricerca clinica l’informatizzazione ha consentito enormi passi avanti. Le aziende utilizzano tecniche di machine learning e predictive analytics per migliorare e velocizzare le decisioni inerenti all’inizio, svolgimento e gestione dei trials clinici. La tecnologia applicata alle fasi di sviluppo di nuove soluzioni terapeutiche consente non solo la contrazione dei tempi di esecuzione della ricerca, ma anche un miglioramento della qualità dei dati. Attraverso l’integrazione di app e sensori, è possibile raccogliere numerose informazioni che forniscono dati real-time sulla qualità di vita del paziente, informazioni che aumentano la comprensione della patologia. La prospettiva di avere terapie avanzate sta aprendo nuovi e importanti scenari terapeutici per i pazienti, per le istituzioni sanitarie e per l’intero mondo scientifico. L’evoluzione tecnologica in questo ambito sta facendo passi enormi e vi è attesa di grandi benefici dal punto di vista terapeutico. Essi, tuttavia, hanno una velocità di sviluppo così elevata da sfidare il sistema normativo e i servizi sanitari per il loro sviluppo e per l’implementazione a vantaggio dei pazienti e del sistema.

L’entusiasmo per le terapie avanzate è condiviso dalle agenzie regolatorie, cui spetta il compito di garantire un’appropriata valutazione mediante il controllo della qualità, della sicurezza e dell’efficacia dei metodi, delle procedure e dei trattamenti oltre che di contemperare le legittime aspettative dei malati di accesso tempestivo e senza disparità. Un ruolo che si esplica per l’intero ciclo di vita del farmaco, dalla fase della ricerca e della sperimentazione a quella del monitoraggio dell’uso nella pratica clinica quotidiana.

L’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) - riconoscendo come le scienze omiche e la loro applicazione rappresentano ormai una realtà nel mondo dello sviluppo farmaceutico - le ha incluse tra i cinque obiettivi strategici nel documento “EMA Regulatory Science to 2025, a strategic

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reflection”112, indicando come la valutazione regolatoria, nell’ambito dei processi autorizzativi, debba essere ulteriormente sviluppata per essere al passo con farmaci sempre più complessi designati e prodotti per uno specifico individuo e non più per gruppi eterogenei di individui.

Fondamentale sarà per le Autorità regolatorie il rapporto sia con il mondo accademico e scientifico che con le aziende, in una partnership che consenta di conoscere a fondo cosa la scienza e le nuove tecnologie possono portare e come. Del resto, la stessa valutazione separata tra dispositivi, procedure mediche e farmaci non sarà più possibile in futuro.

La convergenza delle tecnologie impone anche una convergenza delle valutazioni regolatorie. La velocità di sviluppo delle tecnologie impatta tutti i settori e gli aspetti organizzativi della società e si passerà progressivamente dal regolamentare la prescrizione dei farmaci a organizzare la somministrazione di terapie complesse: ciò richiederà una evoluzione della legislazione che dovrà favorire l’integrazione di tutte le attività di valutazione dei farmaci, ma anche dei dispositivi e dei processi113. Quanto sopra richiederà anche investimenti da parte delle Autorità Regolatorie nell’informatizzazione, nella raccolta e analisi dei dati nonché nella comprensione dei modelli innovativi della ricerca clinica.

L’AIFA Agenzia Italiana del Farmaco, dispone di tutti gli strumenti necessari per favorire l’accesso delle soluzioni innovative nel Servizio Sanitario Nazionale. Sebbene persistano problematiche legate alla necessaria riorganizzazione dell’assistenza sanitaria, cruciale per l’adozione di queste nuove soluzioni terapeutiche, AIFA sta sviluppando nuove modalità di appraisal, vedi l’apertura al dialogo con le aziende mediante gli strumenti di Early Dialogue a garanzia di un accesso tempestivo alle innovazioni tecnologiche, nel rispetto dei requisiti regolatori. Riguardo al monitoraggio precoce delle tecnologie in arrivo nello scenario nazionale, AIFA ha rafforzato le attività di Horizon Scanning con l’obiettivo di indirizzare le decisioni delle commissioni tecnico consultive sulla base di preventive valutazioni e prioritizzazioni. AIFA sta altresì mantenendo e sviluppando l’applicazione di accordi basati sulla condivisione del rischio o Managed Entry Agreements la cui implementazione è legata allo strumento consolidato dei Registri di monitoraggio. Ultimo nato fra questi è il Payment at Result, schema che aggiunge al Payment by Result una prima tranche di pagamento alla somministrazione del trattamento, vincolando comunque il saldo agli esiti clinici misurati in seguito. Vista la natura delle terapie avanzate, che spesso esitano nella cura delle patologie target e la dilatazione dell’arco temporale in cui possono essere apprezzati gli effetti della terapia, la possibilità di valutare un ritorno sull’investimento resta vincolata all’esigenza di spostare la prospettiva del Payor dal solo “efficientamento” della spesa SSN verso la prospettiva del Welfare a lungo termine. Solo questo shift permetterà di valorizzare elementi come la riacquisita produttività degli assistiti. Anche in linea con questo, AIFA sta valutando la possibilità di un sistema di pagamento per annuities che permetterebbe di dilazionare l’impegno economico in più anni vincolando il pagamento a valutazioni cliniche programmate con l’azienda.

112 EUROPEAN MEDICINES AGENCY, EMA Regulatory Science to 2025 – Strategic reflection, 2018, https://www.ema.europa.eu/en/documents/regulatory-procedural-guideline/ema-regulatory-science-2025-strategic-reflection_en.pdf 113 E. CIANI, “Le tecnologie a supporto delle scienze omiche”, Conference Paper, XXI congresso Nazionale SIPAOC, Foggia, Settembre 2014.

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La velocità con cui evolvono la scienza, le metodologie di valutazione e l’adeguamento del contesto legislativo sono e saranno sempre differenti, però, l’obiettivo a cui tendere è quello di ridurre quanto più possibile tali differenze di velocità per consentire all’innovazione tecnologica di non fermarsi e al contempo di poter contare su un sistema normativo al passo con i tempi. 3.3 ESEMPI DI NUOVE TERAPIE INNOVATIVE E ANALISI COSTI-BENEFICI La storia recente della ricerca sulle terapie avanzate ci ha mostrato percorsi condotti nel rispetto dei requisiti normativi e regolatori che hanno reso disponibili nuove terapie destinate a trattare bisogni terapeutici altamente insoddisfatti. Le potenzialità della terapia genica spaziano dalle malattie genetiche ereditarie fino al cancro, malattie autoimmuni e malattie infettive. In fase di sviluppo avanzata troviamo terapie geniche per malattie genetiche ereditarie, quali la talassemia, l’emofilia, l’anemia falciforme e malattie da deficit enzimatici. Si è assistito negli ultimi anni a un importante sviluppo delle terapie con le CAR-T in alcune malattie del sangue (Linfomi e Leucemia Acuta). Con la sigla Chimeric Antigen Receptor T-cell (cellule CAR-T) si intende un procedimento in cui alcune cellule del sistema immunitario vengono prelevate dal paziente, geneticamente modificate in laboratorio per poter riconoscere le cellule tumorali e poi re-infuse nello stesso paziente. Si tratta pertanto di una terapia cellulare, però sulle cellule che vengono prelevate e successivamente ri-trasfuse nel paziente è operata in laboratorio una modifica del materiale genetico. Attualmente queste terapie sono registrate nelle leucemie linfoblastiche acute (ALL) e in alcuni linfomi non Hodgkin (DLBCL). In sviluppo ci sono attualmente CAR-T in altre malattie ematologiche e tumori solidi particolari. Tra gli esempi recenti di sviluppo clinico e registrazione di terapie avanzate possiamo citare onasemnogene abeparvovec per la terapia della SMA Atrofia Muscolare Spinale, Strimvelis per la terapia della Immunodeficienza grave combinata da Deficit di Adenosina Deaminasi (ADA-SCID), Holoclar per la terapia delle lesioni corneali, Zalmoxis, tisagenlecleucel e axicabtagene ciloleucel in alcune forme di leucemie e linfomi e non ultimo Luxturna (a base di voretigene neparvovec) per la cura di una delle forme più gravi di retinite pigmentosa. In particolare, onasemnogene abeparvovec (AVXS-101), è un prodotto di terapia genica sviluppato come trattamento per l'Atrofia Muscolare Spinale - una grave malattia neuromuscolare causata da una mutazione nel gene SMN1 con conseguente deficit di proteina del motoneurone di sopravvivenza (SMN). AVXS-101 è un farmaco biologico costituito da capsidi di virus AAV9 che contengono un transgene SMN1. È somministrato per via endovenosa o intratecale. Al momento della somministrazione, il vettore virale AAV9 consegna il transgene SMN1 ai nuclei cellulari, dove il transgene inizia a codificare la proteina SMN, agendo sulla causa della malattia.

La terapia a base onasemnogene abeparvovec, sviluppata con il supporto del programma PRIME Priority Medicines, ha ricevuto parere positivo dal CAT Committee for Advanced Therapies, per l’indicazione “pazienti affetti da SMA Tipo I diagnosticata clinicamente con mutazione bi-allelica del gene SMN1 o pazienti con mutazione bi-allelica del gene SMN1 e almeno 3 copie del gene SMN2”, in data 26 marzo 2020. In Italia, onasemnogene abeparvovec ha raggiunto l’attenzione dei decisori istituzionali italiani: la Commissione Tecnico Scientifica di AIFA nella seduta di settembre

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2020 ha infatti espresso parere favorevole per l’inserimento del farmaco nell’elenco istituito ai sensi della Legge n.648/96 per la sopracitata indicazione a conferma del grande valore di questa innovazione tecnologica. Ora l’impegno che dovranno mettere in atto da una parte l’Azienda e dall’altra AIFA sarà di identificare le condizioni di rimborso più adeguate al fine di riconoscere e remunerare il valore ed il potenziale dirompente di questa nuova soluzione terapeutica.

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CAPITOLO 4: COME DEVONO EVOLVERE IL SISTEMA E I MODELLI DI PAGAMENTO E FINANZIAMENTO? L’IMPORTANZA DI NUOVI SCHEMI DI COLLABORAZIONE PUBBLICO-PRIVATO 4.1 COME DEVE EVOLVERE IL SISTEMA PER INTEGRARE L’INNOVAZIONE NELLA SALUTE PUBBLICA E

FACILITARE L’ACCESSO DI TUTTI ALLE TERAPIE ALL’AVANGUARDIA? Il Servizio Sanitario Nazionale Universalistico che ha caratterizzato l’offerta di salute in Italia per oltre 40 anni e che ha garantito fino ad oggi il mantenimento di standard assistenziali molto alti si trova di fronte ad un momento di svolta. Il superamento della crisi di sostenibilità innescata dall’aumento dei bisogni di salute legati all’invecchiamento e alla cronicità, richiede una trasformazione dei modelli di cura basata sulla massimizzazione del valore e sulla riduzione degli sprechi. Allo stato attuale il Sistema Salute è guidato da una gestione finalizzata a minimizzare i costi piuttosto che massimizzare e rendere tracciabile il valore generato dalle terapie, anche quelle cosiddette innovative e all’avanguardia.

L’assistenza sanitaria dovrà orientarsi verso soluzioni che trovino d’accordo tutti gli stakeholder: pazienti, professionisti sanitari, aziende, decisori e pagatori, riconoscendo i valori in gioco dalle diverse prospettive. L’implementazione di attività e modelli che rendano possibile la misurazione del valore terapeutico aggiunto di farmaci e servizi all’interno dei percorsi di cura, potrà garantire l’allineamento di tutti i protagonisti di questo Sistema Salute sull’urgenza e necessità di questo tipo di approccio.

Contestualmente alle azioni di riallocazione delle risorse da aree non più costo efficaci o rispondenti a reali bisogni di salute, i farmaci biosimilari e l’uptake di innovazione incrementale giocano un ruolo altrettanto importante sullo scenario farmaceutico italiano.

La sostenibilità generata dovrebbe verosimilmente garantire il potenziamento del finanziamento sul fondo dei farmaci innovativi. Un piano di investimenti strategici su programmi di prevenzione e su terapie avanzate avrebbe altresì il potere di scongiurare perdite di produttività degli assistiti e importanti riduzioni dei costi sanitari diretti e indiretti.

La farmacoeconomia può svolgere un ruolo importante, con il costante miglioramento dei modelli economici e statistici necessari per valutare o dimostrare i benefici a lungo termine degli investimenti in salute. Gli schemi di ‘Value Based Pricing’, ad esempio, possono rappresentare un riferimento importante per definire i termini di riferimento per la fissazione dei prezzi riferiti a soluzioni terapeutiche avanzate. Per procedere in questa direzione, sono necessari sia un’evoluzione profonda nelle capacità di valutazione e nelle competenze dell’attore pubblico, sia l’ulteriore intensificazione, da parte delle imprese, della propensione a elaborare proposte di valore efficaci e condivisibili su più livelli.

Il Valore Terapeutico Aggiunto dovrà divenire un elemento centrale di riferimento a sostegno delle valutazioni. La proposta di prezzo per un nuovo farmaco va messa in relazione al livello di valore terapeutico aggiunto da esso apportato.

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Un prezzo appropriato implica la necessità di catturare e quantificare con evidenze solide il valore percepito da tutti gli stakeholder. L’implementazione di un modello di assistenza sostenibile non può tuttavia prescindere dall’adozione di una serie di misure da mettere in atto nell’immediato futuro, quali il superamento di barriere rigide e di veri e propri silos di spesa o l’individuazione di nuovi schemi di rimborso utili per la remunerazione di terapie che, nel breve periodo, possono risultare ad alto impatto sul budget per poi però rivelarsi costo efficaci nella prospettiva sociale.

4.2 IL RUOLO DELLA SANITÀ NELLA SOSTENIBILITÀ ECONOMICA E SOCIALE, TRA

DIGITALIZZAZIONE E TERAPIE AVANZATE LE TRASFORMAZIONI TECNOLOGICHE SANITARIE IMPONGONO NUOVI PARADIGMI PER GARANTIRE

EQUITÀ E SOSTENIBILITÀ La società si trova nel mezzo di un cambiamento tecnologico, economico e sociale senza precedenti. La diffusione delle tecnologie digitali e delle piattaforme web ha profondamente cambiato il nostro modo di vivere, lavorare e studiare. Klaus Schwab, nel suo libro “La quarta rivoluzione industriale” afferma che siamo davanti a una rivoluzione che sta cambiando radicalmente il modo in cui viviamo, lavoriamo e ci relazioniamo. Questa quarta rivoluzione industriale è molto ampia e diffusa ed è caratterizzata da una fusione di tecnologie attraverso domini fisici, digitali e biologici, che sta:

I. sconvolgendo quasi tutti i settori e le industrie in ogni paese, creando un enorme cambiamento in modo non lineare a una velocità senza precedenti;

II. e sta trasformando la salute e la medicina grazie ai progressi fulminei nella genomica, nell’ingegneria genetica, la biologia sintetica, la nanotecnologia, la data science, l’IA, la robotica e le terapie digitali.

La Sars-CoV-2 ha accelerato questo passaggio e sta aprendo la strada a cambiamenti senza precedenti che trasformeranno profondamente la salute e l'assistenza sanitaria, per diventare molto più connessa, efficiente, preventiva, precisa e si spera democratizzata. Non solo migliorando la salute delle persone, ma riducendo anche gli squilibri tra le aree geografiche, stimolando le economie e l'occupazione, un fattore chiave per il benessere e la salute della società. È ormai chiaro che la sfida posta da Sars-Cov-2 obbliga i governi a mettere in campo risorse eccezionali e a cambiare velocità e approccio. Non si tratta più e solo di affrontare una pandemia grave e senza precedenti, si tratta di cambiare paradigma di interpretazione della società e di porre al centro della stessa la sostenibilità sanitaria e ambientale e i relativi settori strategici per la sua affermazione. Questa nuova rivoluzione tecnologica e industriale ci sta portando verso una sanità non più centrata sul consumo, piuttosto sulla persona, dove la medicina personalizzata, curativa, trasformativa, preventiva e predittiva sarà al centro dell’industria e della società. Ma perché i pazienti possano accedere equamente a questa rivoluzione, è necessario che i sistemi nazionali sanitari si evolvano e si adattino al cambiamento, investendo sulle infrastrutture e studiando strumenti innovativi di finanziamento e accesso, che impongono necessariamente un cambio di paradigma profondo e in tutte le direzioni. La sfida non è solo sul piano della tecnologia produttiva – su cui l’Italia ha una posizione di molto competitiva, con un’industria farmaceutica importante e di eccellenza – ma anche della governance del sistema e delle risorse finanziare e

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umane necessarie per continuare a investire e a crescere e in termini di equità di accesso alle cure essenziali. LE TERAPIE AVANZATE L’approvazione di ChondroCelect (prodotto di ingegneria tissutale utilizzato per la riparazione di danni a carico della cartilagine del ginocchio negli adulti) nel 2009 segna la nuova pietra miliare di questa rivoluzione: l’avvio delle Terapie Avanzate (ATMP), farmaci costituiti da cellule (terapie rigenerative), geni (terapie geniche) e prodotti di ingegneria tissutale. Con le ATMP cambia completamente il paradigma della medicina, si passa dalla cura del sintomo alla cura della causa, si affrontano in modo diretto le ragioni di alcune patologie prima incurabili legate al DNA. Queste terapie “one shot” sono trasformative (e spesso anche curative) della vita naturale di un paziente affetto da alcune tipologie molto serie, come alcune forme tumorali o molte altre patologie croniche o autoimmuni. È una rivoluzione fondamentale nella qualità della medicina, nell’approccio alla cura della persona, soprattutto sul piano tecnologico e industriale. Sono profili terapeutici relativamente costosi, che richiedono investimenti significativi in R&S e organizzativi, ma in grado di cambiare in modo radicale le prospettive di vita e la produttività potenziale (in termini di capacità di studio e di lavoro) di molte persone, con ovvi effetti di esternalità sistemici. Tali terapie avanzate appaiono prima facie farmaci (anche sotto il profilo regolatorio), ma si differenziano enormemente da un farmaco tradizionale in quanto:

a. vengono somministrate con un unico trattamento (i farmaci e i protocolli tradizionali prevedono cure ripetute e regolari che durano molti anni);

b. intervengono in modo diretto sulle cause della malattia; c. producono notevoli benefici in termini clinici, terapeutici, sociali ed economici per i

sistemi sanitari e la salute dei pazienti; d. richiedono un lungo e più complesso processo di preparazione rispetto ai farmaci

tradizionali; e. possono essere somministrate solo in centri qualificati e specializzati e nascono da

piattaforme estremamente innovative e complesse; f. generano benefici ulteriori in termini di recupero della produttività sul lavoro per lunghi

periodi della vita che risulta migliorata nei suoi aspetti economici, psicologici, relazionali e sociali;

g. generano impatti sugli altri livelli di assistenza del sistema sanitario in quanto implicano il coinvolgimento di risorse ospedaliere nell’ambito del processo di cura.

Ad oggi si stima che entro il 2030 potrebbero essere lanciate fino a 60 nuove Terapie Avanzate a livello globale, che potrebbero riguardare complessivamente circa 350.000 pazienti e 50.000 pazienti ogni anno. Una enorme sfida per i sistemi sanitari nazionali, ai quali si impone un vero cambio sistemico e di approccio e ovviamente un intenso sforzo finanziario. In particolare, queste terapie richiederanno un investimento significativo in centri altamente specializzati, che dovranno essere omogeneamente distribuiti su tutto il territorio nazionale, e il superamento degli schemi tradizionali di rimborso e allocazione dei budget, che risultano adesso largamente inadeguati. Allo stesso tempo sarà necessario studiare nuovi strumenti di finanziamento (ad esempio, individuare un apposito LEA/DRG) e innovativi metodi di

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valutazione economica, poiché queste terapie, anche se di per sé costose (tra 1 e 2 milioni di euro a somministrazione), presentano un evidente disallineamento tra costi iniziali e benefici futuri, con un impatto in termini di risparmio di spesa considerevole, in termini di recupero di produttività, ma soprattutto di costi sociali evitati (diretti e indiretti), di stile di vita e di capacità di studio, il cui valore va adeguatamente analizzato e determinato nel medio-lungo termine. LE TERAPIE DIGITALI L’approvazione di Reset (terapia cognitivo-comportamentale-CBT) nel 2017, segna la seconda pietra miliare di questa rivoluzione. L’era di Digital Therapeutics, le Terapie Digitali (DTx). Si tratta di nuove terapie, nelle quali il principio attivo non è una molecola, ma un algoritmo terapeutico (software) che rappresenta l’elemento responsabile dell’effetto clinico, con cui sarà possibile trattare malattie croniche quali le depressioni, le forme di schizofrenia, il diabete, l’insonnia, ecc. Non si tratta di programmi di sostegno al paziente (PSP) o di “medicine digitali” – un farmaco con integrati alcuni sensori, che una volta ingerito dal paziente comunica con una applicazione per verificare la corretta assunzione di un medicinale e dunque monitora l’aderenza terapeutica – piuttosto (come definiti dalla Digital Therapeutics Alliance) sono interventi terapeutici su pazienti mediati da un software basato sull'evidenza e valutato clinicamente per trattare, gestire e prevenire un ampio spettro di malattie e disturbi comportamentali, mentali e fisici. I prodotti DTx possono essere utilizzati indipendentemente o in tandem con la terapia farmacologica prescritta dal medico curante, con la finalità di ottimizzare i risultati clinici del paziente. Le Terapie Digitali, alla stregua dei farmaci, vengono sottoposte a sperimentazioni cliniche, raccolgono risultati di vita reale (RWE) e si basano su principi fondamentali incentrati sul paziente e sulle migliori pratiche di sviluppo del prodotto, tra cui progettazione del prodotto, sicurezza dei dati e standard sulla privacy. Il mercato DTx è destinato a crescere, secondo alcune stime, di dieci volte nei prossimi tre-cinque anni, con un valore previsto di mercato di circa 9 miliardi di $ per il 2025. Tuttavia, questo sviluppo presenta ovvie sfide in termini di come la tecnologia sarà regolata, come gli operatori sanitari risponderanno a questo cambio eccezionale di paradigma, come e quanto queste tecnologie verranno rimborsate. Ed infatti al momento le Terapie Digitali non hanno una chiara regolamentazione e in Italia, in particolare, risulta ancora controverso se debbano essere trattate come dispositivi medici o come farmaci-terapia alla stregua delle sopra menzionate Terapie Avanzate. Definire una chiara regolamentazione, aiuterebbe a far emergere il reale valore terapeutico aggiunto, nonché il guadagno in termini di salute delle stesse e il correlato risparmio per il servizio sanitario nazionale; certo è che, come per le Terapie Avanzate, non si tratta di farmaci (anche se devono seguire le rigorose regole delle sperimentazioni cliniche), in quanto, diversamente da questi e ugualmente alla Terapie Avanzate, prevedono una fase di “programmazione” che non è presente nella categoria dei farmaci.

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Da un recente studio di McKinsey114 in collaborazione con la German Managed Care Association, risulta che – alla stregua delle Terapie Avanzate – anche le Terapie Digitali generano un importante risparmio di costi per i servizi sanitari nazionali. In particolare, si è stimato un potenziale di circa 4,3 miliardi di euro di risparmi sanitari che avrebbero potuto essere realizzati nel 2018, se il sistema sanitario tedesco avesse implementato le Terapie Digitali allora disponibili sul mercato. Con le Terapie Avanzate e le Terapie Digitali, siamo dunque di fronte a una rivoluzione straordinaria che porta con sé anche un inevitabile e rilevante cambiamento di tutto il sistema sanitario. Si tratta di terapie che imporranno a tutti paesi ad economia avanzata un profondo cambiamento nella gestione della salute individuale e dell’assistenza sanitaria, innescando un cambiamento dei principali paradigmi su cui si basano i prodotti farmaceutici tradizionali. Soprattutto, il profilo significativo dei costi dovrà essere affrontato con adeguate strategie di finanziamento e meccanismi innovativi di pricing. IL SETTORE LIFE SCIENCES Il settore delle Life Sciences ha una caratteristica fondamentale: essendo legato sostanzialmente a dinamiche demografiche ed epidemiologiche di lungo periodo, che non solo non sono state cambiate dalla diffusione della Sars-CoV2, ma anzi si sono nettamente rafforzate, è per definizione poco sensibile all’andamento dei cicli economici115. La diffusione dell’epidemia ha ribadito come la salute sia un valore in sé essenziale delle nostre società e ha evidenziato “l’importanza di rispondere repentinamente alla domanda emergenziale nel breve periodo di vaccini” e di sviluppare e somministrare terapie efficaci nel medio periodo. Le chiavi essenziali delle Life Sciences sono la ricerca e sviluppo e la disponibilità di un capitale umano di livello elevato sul piano internazionale. Questo settore per continuare a crescere, data la sua rilevanza strategica, richiede un’attenta valutazione degli incentivi al settore privato, del potenziamento delle possibili economie di scala, date dal raggiungimento di dimensioni adeguate sul piano internazionale, soprattutto di ripensare le forme di intervento pubblico, sia sul piano della regolamentazione, sia di promozione dei percorsi di innovazione e di ricerca e sviluppo. Oltre agli investimenti e alla collaborazione con le università e i centri di ricerca di eccellenza, sarà decisiva anche la definizione di intese internazionali e di percorsi di partnership strategiche, necessarie per affrontare l’accesso al mercato delle molecole e dei principi attivi e le loro possibili carenze. Come è noto, la loro produzione si caratterizza per una forte concentrazione geografica; essa può essere perciò un ostacolo essenziale allo sviluppo dell’industria farmaceutica e al raggiungimento di un assetto adeguatamente concorrenziale dell’industria nazionale sul piano internazionale. LA SANITÀ NON SOLO COSTO MA INVESTIMENTO CRUCIALE PER LA SOSTENIBILITÀ SOCIALE ED

ECONOMICA L’esperienza dell’epidemia di Sars-CoV-2 ha messo in evidenza che la sanità è un elemento fondamentale della sostenibilità sociale di qualsiasi paese. Gli indicatori di sostenibilità

114 Si veda McKinsey 2020. 115 Si veda Settore Life Sciences e Covid-19: scenario, impatti, prospettive, CDP, E&Y, LBS, settembre 2020.

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economica e ambientale si sono molto arricchiti ed estesi ad aree che possono condizionare il benessere complessivo delle popolazioni. La nuova situazione sanitaria ed economica prodotta dall’epidemia ha reso evidente che la salute, le tecnologie sanitarie e la filiera produttiva sanitaria sono un elemento chiave della competitività e della sostenibilità di un paese. Negli ultimi decenni, i progressi raggiunti nello studio del DNA hanno radicalmente trasformato la modalità di trattamento delle patologie basate sul genoma. Si sono affermate nuove terapie geniche e cellulari che hanno fronteggiato in modo promettente diverse patologie prima considerate non trattabili. La diffusione dell’epidemia Sars-CoV-2 e la spasmodica ricerca di un vaccino per affrontarla hanno reso chiaro che la salute, insieme all’ambiente, sono due fattori critici decisivi che determinano in modo inequivocabile la sostenibilità economica e sociale di un paese. Larga parte della spesa sanitaria è considerata come spesa corrente. È evidente che ciò sia indiscutibile per molte voci di spesa, da larga parte dei farmaci al profilo delle remunerazioni. Ma in modo sempre più evidente, una parte crescente dei nuovi protocolli sanitari (come le terapie avanzate e gli stessi vaccini) sta assumendo evidenti caratteristiche di spesa per investimenti. La diffusione dell’epidemia ha adesso messo chiaramente in evidenza che la sanità è un investimento fondamentale per qualsiasi paese. Una parte crescente della spesa sanitaria presenta caratteristiche evidenti di investimento, in grado di produrre benefici su un arco temporale pluriennale e di lungo periodo. Per le norme prevalenti di contabilità pubblica nei paesi OCSE, le spese di investimento individuano tutte le spese che incidono direttamente o indirettamente sulla formazione del capitale nazionale, fisico e umano. Nella definizione corrente, gli investimenti pubblici sono rappresentati dal: “volume delle spese che lo Stato e le altre Amministrazioni pubbliche sostengono con l’obiettivo di incrementare lo stock di capitale fisico e tecnologico a disposizione del paese”. Come è noto la distinzione tra spesa corrente e spesa in conto capitale non è agevole ed è un argomento sul quale da decenni gli economisti si interrogano. In termini generali, si può dire che la distinzione resta controversa, perché essenzialmente basata sull’accertamento della durata dell’effetto prodotto dai beni e servizi ottenuti con le varie spese. Le spese dovrebbero essere valutate come correnti se riferite all’acquisto di beni e servizi la cui: “utilità economica si esaurisce nell’esercizio contabile in cui ha avuto luogo la spesa”; sarebbero invece in conto capitale quando l’effetto si ripercuote su più anni. La necessità di considerare la componente di investimento di alcune spese pubbliche è emersa già da tempo nel sistema di conti nazionali armonizzato tra paesi Onu (SCN) e in sede dell’Unione europea (nel sistema Esa 2010 Ue, ad esempio, le spese per la difesa). Sarà forse opportuna, per affrontare questo cambio di scenario, una ampia revisione dei criteri di contabilità pubblica e delle procedure di contabilità statistica nazionali. Il cambio di paradigma che ci appare necessario riflette non solo le trasformazioni tecnologiche e sanitarie occorse in questi ultimi anni, ma anche la consapevolezza dell’importanza di alcune aree tematiche per il progresso economico e civile del pianeta.

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La richiesta di una modifica delle pratiche contabili internazionali correnti è emersa da diversi anni come uno dei passaggi chiavi per affrontare la nuova governance economico mondiale. Sono stati effettuati molti studi in materia e anche alcune commissioni ufficiali hanno sottolineato l’importanza di includere nel calcolo dei PIL nazionali nuove voci, che impattano fortemente sul livello di benessere di una nazione. Questa esigenza non è un astuto escamotage studiato da qualche esperto di contabilità pubblica, per aggirare i limiti di finanza pubblica dei bilanci nazionali e praticare forme sofisticate di creative accounting – come alle volte, forse legittimamente, si è sospettato in sede europea. Essa vuole solo ribadire che alcune spese, in particolare la spesa per l’istruzione e quella sanitaria, le spese ambientali, hanno un impatto diverso, e decisamente sul lungo termine, sulle potenzialità di crescita e di sostenibilità di un paese; hanno cioè una componente di investimento indiscutibile, che influenza il capitale umano e la produttività di un paese in modo decisivo. LA VALUTAZIONE ECONOMICA DELLE ATMP Lo sviluppo delle terapie avanzate (ATMP, Advanced Therapy Medicinal Products) presenta nuove opportunità per il trattamento di una varietà di patologie (genetiche e oncologiche). È prevedibile che in qualche anno emergerà una forte domanda per queste terapie che porrà evidenti problemi di finanziamento, di pricing e di accesso alle terapie. L’aspetto più rilevante è che avendo le ATMP evidenti elementi di spesa con benefici differiti nel tempo, esse possono essere assimilabili a una spesa di investimento. Si tratta ovviamente di trovare un adeguato modo di stimare, contabilizzare e finanziare per il settore pubblico l’impatto dell’adozione di queste terapie. E questo processo va fatto il prima possibile, per essere realisti e responsabili nel capire quante risorse di finanza pubblica possano essere destinate a questo impiego. Le ATMP producono un evidente disallineamento tra costi e benefici: i primi sono concentrati sostanzialmente su un anno specifico, quello in cui emerge l’esigenza finanziaria di spesa e le obbligazioni contabili di bilancio; i secondi sono invece pluriannuali. Queste terapie producono benefici nel tempo di tipo diretto e indiretto: l’aumento della speranza di vita, il miglioramento delle qualità della vita umana, il risparmio di cure, di consumo di farmaci e di servizi sanitari; la riduzione dei costi relativi alla riduzione della capacità produttiva e all’onere sulle famiglie e le strutture sanitarie. Sul piano dell’analisi economica, le ATMP rappresentano una nuova sfida per i sistemi sanitari pubblici. Si tratta di capire quali terapie saranno possibili, date le risorse disponibili, e secondo quale processo finanziario e contabile. Questa asimmetria tra distribuzione dei costi e dei benefici sul piano temporale richiede che le terapie avanzate siano valutate con un nuovo approccio ad hoc, sia sul piano economico (valutazione costi-benefici), sia contabile, sia di flussi dei pagamenti. È perciò necessario individuare uno schema di pagamento adeguato, che mitighi i costi sopportabili dai sistemi sanitari pubblici nel breve periodo, ma eviti forme di razionamento (o di non accesso tout court) e di scelta morale e permetta un utilizzo di queste terapie ragionato e sostenibile. LE NUOVE TERAPIE E PROTOCOLLI SANITARI COME BENE PUBBLICO EUROPEO E MONDIALE Lo stesso approccio può essere utilizzato anche per la ricerca sui vaccini, la loro produzione e distribuzione per la corrente epidemia e per quelle che purtroppo probabilmente saremo

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chiamati ad affrontare in futuro. È ormai evidente che la protezione per le epidemie insieme ad altri protocolli sanitari siano diventati, insieme alle tematiche ambientali, un vero e proprio public good mondiale, per la cui offerta è opportuno lavorare con forme di accordi e di cooperazione transnazionale – e per l’Italia soprattutto sul piano europeo. Il bilancio dell’Unione Europea ha ancora una caratteristica fortemente distributiva, nel senso che finanzia attività di spesa con caratteristiche prevalentemente nazionali – agricoltura, spesa regionale, fondo sociale, ecc. Esso è del tutto carente per la parte di offerta di veri e propri beni pubblici su scala europea: si pensi anzitutto all’ambiente, alla protezione delle frontiere, alle politiche di sicurezza e ovviamente a tematiche sanitarie con dimensione europea e mondiale – come è ormai evidente nel caso delle epidemie o della ricerca e la produzione di vaccini. L’Unione L’Europa ha davanti a sé una sfida rilevante che richiede che siano fortemente stimolate le capacità di ricerca e tecnologiche, di capacità produttiva sanitaria che nei prossimi anni sarà decisiva, vista la probabilità che epidemie come Sars-CoV-2 possano ripetersi e diffondersi con maggiore gravità. Quindi serve un’azione coraggiosa a livello del Consiglio europeo e della Commissione europea nella definizione delle risorse e della composizione del bilancio europeo per spostare larga parte delle risorse da beni con caratteristiche nazionali a settori con esternalità su scala europea. L’offerta comune di protocolli sanitari in materia di vaccini e di nuove terapie avanzate potrebbe facilmente essere giustificata e promossa, appunto, su scala comunitaria, dal rilievo che queste tematiche hanno assunto nell’ultimo anno. Naturalmente, l’offerta di beni genuinamente pubblici sul piano dell’Unione potrebbe anche permettere di definire vere forme di prelievo comuni di finanziamento del bilancio europeo – potenziamento del ruolo dell’IVA o forme di prelievo ad hoc, come un’imposta sulle transazioni digitali – più facili da identificare e da accettare, proprio perché legate a chiari obiettivi comuni e condivisi sul piano dell’Unione. Se una spesa sul piano europeo rispondesse a un’esigenza chiara e condivisa per i cittadini dell’Unione, in grado di aumentare l’efficacia e l’efficienza dell’intervento, rispetto alla scala nazionale, sarebbero evidenti le ragioni per finanziarla in modo collettivo, con forme più accettabili e sopportabili di finanziamento e di entrata.