Scienza e filosofia ... · filosofi d’oggi / a colloquio con simon blackburn La verità nei...

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n. 285 DOMENICA - 16 OTTOBRE 2016 Il Sole 24 Ore 35 Scienza e filosofia divulgare le neuroscienze Ma non perdiamo la testa! Un progetto macabro e assurdo ha preso piede tra i media: il trapianto di testa. Un caso esemplare di disinformazione di Gilberto Corbellini Fiorenzo Conti T re anni fa il neuroscienziato e divulgatore David Eagelman pubblicò un manifesto sulla divulgazione scientifica, di- scusso su queste pagine (Il So- le 24 Ore-Domenica, 11 agosto 2013), dove chiamava i neuroscienziati a un impegno civile per evitare che le neuro- scienze, sempre più oggetto di attenzioni mediatiche, entrassero nel tritacarne della pseudoscienza. In altre parole, per aiutare i cittadini a capire quali sono le sfide della ri- cerca, ma anche i limiti, quindi a orientarsi e non essere ingannati da ciarlatani. Le ma- lattie neurologiche e psichiatriche sono particolarmente devastanti e, date le cre- scenti attese, è prevedibile un’incursione di imbroglioni. La Società Italiana di Neuroscienze (SINS) ha pensato di raccogliere l’invito di Eagelman e organizza, in collaborazione con la Fondazione Antonio Ruberti, la pri- ma Scuola di comunicazione neuroscienti- fica specificamente rivolta a ricercatori che siano interessati a capire come funziona il giornalismo scientifico e a interagire con i media. La Scuola, che si terrà il 17 e 18 otto- bre nella Sala Napoleonica dell’Università Statale di Milano, si avvarrà di una faculty che comprende giornalisti scientifici e neuroscienziati (http://www.sins.it/EN/ index.xhtml). Senza ripetere perché è importante per gli scienziati capire come circola la scienza nei media, è forse più utile ragionare su un esempio di disinformazione che al mo- mento rimane circoscritto nei sui effetti, ma che è incredibilmente discusso nei mezzi di informazione in modi neutrali. Quando si tratta di un caso di autopromo- zione a spese dell’ignoranza neuroscienti- fica generale di base. Parliamo del chirurgo torinese Sergio Canavero, che vorrebbe di- ventare famoso per essere il primo a tra- piantare una testa umana e sta esponendo la medicina italiana al ridicolo su scala in- ternazionale. Un’altra volta! Se ne era uscito l’anno scorso con il ma- cabro e insano proposito. Recentemente è tornato alla carica pubblicando un articolo che “chiama alle armi” i coraggiosi – so- prattutto se hanno soldi e per questo si ri- volge a Gates, Page, Zuckerman, etc. – di- sposti ad aiutarlo in un’impresa che egli pa- ragona alla rivoluzione galileiana, a quella microbiologica, etc. Le sue uscite sono state riprese da numerosi siti e riviste di divulga- zione scientifica. Canavero equipara la sua ambizione a quelle realizzate da giganti della scienza, solo per il fatto che anche loro erano avversati dalla comunità scientifica del loro tempo. Ma poi Galileo, Semmelweis, Pasteur, etc. (li cita davvero, alla faccia della modestia!) hanno avuto ra- gione. Sostenere che solo perché la comu- nità scientifica è avversa, allora si è auto- maticamente dei nuovi Galileo, è uno dei segni patognomonici del ciarlatano. Nell’articolo in questione e in altri inter- venti pubblici sempre in ambito di assoluta irrilevanza scientifica, non mancano altri sintomi: mette sotto accusa il sistema della peer review, dichiara che esiste la tecnologia per effettuare l’operazione (ma solo lui la conosce, perché non dà alcuna indicazione precisa o le indicazioni sono fuorvianti), in- sulta chi gli dice che «è fuori di testa» (per esempio, Arthur Caplan, il più influente bio- eticista statunitense) definendo “populisti” i bioeticisti che lo criticano. Naturalmente la spara grossa (un altro tratto da ciarlatano) promettendo un successo del 99% per i tra- pianti di testa che eseguirà – un modo per accalappiare persone disperate. E un pove- ro paziente russo, affetto da una gravissima malattia degenerativa si sarebbe già messo a disposizione. Trapiantare la testa è un’idea balzana, ma non nuova, che però ha perso di sensatezza con l’avanzare delle conoscenze scientifi- che. Tutte le operazioni già eseguite su ani- mali sono state un disastro. Stante che non esistono dati preclinici, cioè su animali, che dimostrino una minima probabilità di suc- cesso nei Primati, è fuori discussione che un crimine del genere non sarà mai approvato nel mondo civile da un comitato etico. Giu- sto in Cina, dove Canavero dice che glielo la- scerebbero fare, sarebbe forse possibile. C’è da dubitare, però, che le autorità di quel pae- se, dove certo l’etica clinica non funziona al meglio, vorranno farsi una delle peggiori pubblicità agli occhi dell’occidente; per esempio essere equiparati ai nazisti per la li- bertà lasciata a medici sociopatici di fare sperimentazioni atroci su pazienti. Non vogliamo negare la possibilità che un giorno sarà possibile un simile trapianto. Allo stato vi sono argomenti definitivi per non consentire tale macabra esperienza. In- tanto non si tratterebbe di un trapianto di testa, ma se mai di un corpo decapitato (tronco e arti inferiori) su una testa, che è il paziente/persona che ha necessità del tra- pianto. Nel trapianto esiste un donatore, che nella fattispecie deve essere cerebral- mente morto, e un ricevente, che ha perso il funzionamento di qualche organo: è la testa del ricevente, la persona/paziente vivo, che necessita eventualmente il trapianto, e quindi ciò che è trapiantato non è la testa ma l’insieme di tronco e arti inferiori del dona- tore. Del resto il cervello è la persona (anche se Canavero, sempre un passo davanti alle idee correnti, sostiene che la coscienza non sia generata dal cervello), per cui l’identità sarà quella di chi aveva bisogno di un nuovo corpo fisiologicamente funzionante. È plausibile aspettarsi che una volta at- taccata la testa a un nuovo tronco e arti fun- zionanti, il cervello prenda il controllo dei nuovi organi, muscoli, tessuti, etc.? Se la neurobiologia insegnata nei manuali più aggiornati è corretta, no. L’idea del nostro è che si possano utilizzare sostanze “fusoge- ne” e “stimolazioni elettriche”, cioè che ba- sti impiastricciare i milioni di assoni del mi- dollo spinale che collegano il cervello con la periferia del corpo, perché le connessioni a livello centrale intercettino miracolosa- mente l’assone corretto e leggano automa- ticamente i segnali periferici. Ridicolo. Il cervello contiene mappe precise del corpo di quell’individuo, che non sono uguali a quelle di nessun altro (nemmeno del gemel- lo monozigote) che si sono formate nel cor- so dello sviluppo a opera di meccanismi molto complessi e ancora in larga parte ignoti. È da iatromeccanico, cioè da fisiolo- go del seicento, pensare che i nervi siano delle specie di corde, o volendo usare una metafora tardo ottocentesca, dei fili elettrici aggiuntabili e distribuiti secondo uno sche- ma universale dell’impianto nervoso. Senza trascurare che l’espressione della stragran- de maggioranza dei segnali molecolari che hanno permesso lo sviluppo ordinato delle connessioni nervose è silenziata nell’adul- to. E dimenticando che dal punto di vista medico è facilissimo ipotizzare che questo intervento provocherebbe quasi certamen- te un tipo molto grave di dolore, detto dolore neuropatico, per il quale la terapia potrebbe essere un altro intervento neurochirurgico! Non accadrà di certo che il Canavero si metta a fare trapianti di tronco e arti a qual- che testa in giro per l’Italia, ma anche even- tuali inutili e crudeli esperimenti su animali alimenterebbero e in modo giustificato le proteste degli animalisti. Andrebbe detto chiaramente che questo signore è un esalta- to, privo di alcun credito presso la comunità scientifica. Onde evitare che i giornalisti gli corrano appresso e che qualche mezzo d’in- trattenimento ne faccia una sorta di vittima dell’invidia degli scienziati e dell’establish- ment medico conservatore (e magari delle multinazionali o dei poteri forti) che gli im- pedirebbero di realizzare una rivoluzione epocale nella chirurgia dei trapianti, che lui sostiene cambierebbe la vita a migliori di persone con lesioni spinali. Non vogliamo immaginare gli effetti di una discussione pubblica sull’argomento, analoga ai casi Di Bella, Stamina, etc. Queste pseudocure era- no meno macabre e più comprensibili, ma al peggio non c’è mai limite. © RIPRODUZIONE RISERVATA filosofi d’oggi / a colloquio con simon blackburn La verità nei sentimenti di  Carla Bagnoli P er chi si occupa di filosofia prima o poi arriva il momento dell’imba- razzante domanda (ingenua o po- lemica) su che cosa fanno di preciso i filosofi. È successo anche a Simon Black- burn. Blackburn racconta che avrebbe pre- ferito essere presentato come un «ingegne- re concettuale», perché questo fa il filosofo. Certo, si tratta di una definizione discutibi- le, ma rappresenta in maniera piuttosto fe- dele il mestiere del filosofo analitico. È con questo atteggiamento filosofico che Black- burn si è avvicinato all’etica, segnandone profondamente lo sviluppo, fin dalla metà degli anni settanta. Blackburn ha insegnato a Oxford, alla Università del North Carolina e, infine, a Cambridge. I suoi scritti hanno esercitato un’influenza determinante in molti dibattiti sulla conoscenza, sulla meta- fisica e sull’etica. Negli anni ottanta Blackburn ha elabora- to una teoria del discorso morale che ha sovvertito la contrapposizione tradizionale tra realismo morale e anti-realismo. Secon- do questa nuova teoria, detta quasi-reali- smo, i giudizi etici non sono asserzioni su stati di cose reali. Eppure, c’è qualcosa di realistico a pro- posito dell’etica. La prova è che non possia- mo dare due giudizi etici diversi su due casi simili; bisogna per forza che la differenza di giudizio sia giustificata in base a una ca- ratteristica descrittiva dei casi su cui riflet- tiamo. Ma ciò non significa che i giudizi eti- ci siano rappresentazioni di caratteristi- che della realtà. Si tratta, piuttosto, di sofi- sticate proiezioni dei nostri sentimenti. Non c’è niente al mondo che sia in sé buono o cattivo, desiderabile o odioso, bello o brutto. Piuttosto, la mente è una facoltà produttiva, che si proietta sulla realtà, in- dorando o sporcando, come diceva Hume. Per Blackburn è proprio questa proiezione che ci autorizza a parlare di verità e di og- gettività in etica. Che i giudizi etici siano proiezioni dei nostri sentimenti non li ren- de banalmente soggettivi e illusori, né ren- de meno concreto e doloroso il conflitto morale. Ma come risolverlo? Blackburn si dichiara scettico riguardo al valore della razionalità o la ragione, che è centrale nella tradizione kantiana ma an- che nella teoria dell’agente razionale del- l’economia e della teoria dei giochi. «Il mio scopo è mostrare che l’etica non perde niente di importante in questo passaggio e, in particolare che non cade nel nihilismo o dal relativismo. I nostri valori possono es- sere generati dai nostri sentimenti, ma so- no anche le cause determinanti di come ci sentiamo a proposito delle cose e ci danno le conseguenti motivazioni e comporta- menti. La ragione mostra il contesto nel quale si agisce, ma i valori e i sentimenti de- terminano che cosa fare. Questa divisione del lavoro si contrappo- ne alla rappresentazione platonica della ra- gione e del logos che comandano i cavalli della passione e dello spirito: la ragione senza il sentimento è inerte». Questa è la te- si centrale di Ruling Passions: a Theory of Practical Reasoning (Oxford University Press, 1998). «Il titolo è volutamente ambi- guo: può essere inteso nel senso del gover- no delle passioni oppure nel senso che le passioni ci governano. Governiamo le pas- sioni quando, diciamo, esercitiamo auto- controllo e resistiamo alle tentazioni. Ma quando governiamo le passioni lo facciamo mobilitando altre passioni, ricordando che un certo comportamento avrà come costo certe altre cose che ci premono. Il bilancio è piuttosto delicato. E naturalmente, c’è il problema di difendere una concezione del- la verità nell’area dei sentimenti. Questo ha creato qualche imbarazzo tra i filosofi mo- rali. Spero che i risultati che ho raggiunto rendano di nuovo apprezzabile e sicuro l’approccio sentimentalista di Hume e Adam Smith. Ho tentato di mostrare che l’opposizione tra espressivismo e realismo, che hanno dominato la teoria etica del ven- tesimo e anche del ventunesimo secolo, può essere affievolita e perfino superata. Per quel che mi riguarda, il realismo e l’intui- zionismo sono tentativi fallimentari di of- frire una qualche teoria perspicua e utile della natura della moralità. Invece, la tradi- zione sentimentalista, fino alla sua versio- ne più recente, l’espressivismo, fa tutto ciò che è necessario e offre un resoconto veri- tiero, realistico dal punto vista psicologico, della natura degli agenti razionali». Nella prospettiva sentimentalista, di- venta particolarmente importante la cate- goria dei sentimenti rivolti al sé, che spiega- no molti fenomeni relativi all’identità per- sonale e l’integrità morale. Il ruolo del- l’amore di sé è al centro di Mirror, mirror: The Uses and Abuses of Self-love (Oxford Univer- sity Press, 2014), un saggio acuto e garbato, in cui Blackburn si mostra ancora una volta capace di attrarre lettori interessati ai gran- di temi filosofici, piuttosto che alle diatribe di scuola. «Credo che come ci si sente a pro- posito di sé stessi ha conseguenze imme- diate per come si pensa a proposito di altre cose e di altre persone. Per esempio, è im- probabile che le persone risentite siano molto generose nel valutare gli altri, le mo- tivazioni e azioni altrui. Se manca l’autosti- ma, è improbabile che si abbiano aspettati- ve alte rispetto agli altri. John Milton ritiene che un’autostima appropriata sia una con- dizione necessaria per la buona condotta, la generosità e la simpatia. E, naturalmente, si può eccedere anche nell’autostima, sconfi- nando nella vanità, nell’arroganza, nel nar- cisismo, tutte modalità autodistruttive. Co- me succede spesso in filosofia morale, l’ide- ale sta nel mezzo tra i due estremi». Ma l’eccesso, in questo caso, è un vizio particolarmente pericoloso per chi ne è af- fetto. «Sbagliare nel collocare sé stessi ap- propriatamente nel mondo delle relazioni umani, come una persona tra le altre, è un abuso fatale. Può manifestarsi come vanità, che è prevalentemente la sete di fama, insie- me a una certa indifferenza per la questione se la lode sia davvero meritata. Può manife- starsi come arroganza, che rende il sé invul- nerabile al giudizio degli altri, al consiglio e alla critica. Nel caso estremo del narcisismo, la vittima vede e sente solo le proprie lodi. Nel mito greco, è proprio questo che uccide Narciso, che lascia il nulla dietro di sé». Per tornare alla domanda iniziale, Black- burn alla fine pensa alla filosofia come una disciplina necessaria all’autonomia perso- nale. È interessante che qui si esprima ri- prendendo una certa concezione kantiana di autodeterminazione. «Se non controlli le tue idee, le idee controlleranno te. Ma le idee che ti controllano provengono da altre per- sone che hanno le loro agende particolari e altre forze nella cultura e sono spesso forze maligne e superstiziose. Il motto di Kant è sapere aude. Comprendere noi stessi e le nostre idee è importante quanto compren- dere l’ambiente naturale. C’è una tradizione incredibilmente ricca, dall’antica Grecia ai giorni nostri. Una generazione senza le ri- sorse per orientarsi nella filosofia è destina- ta a essere preda di demagoghi, privata dei modi appropriati di coltivare sé stessi, inca- pace di alcuna critica sulla produzione ster- minata di idee cattive o fuorvianti». © RIPRODUZIONE RISERVATA 19 - Continua (le puntate precedenti sono state pubblicate dalla Domenica nei numeri dal 5 giugno al 9 ottobre) exomars Toccare il suolo marziano di  Patrizia Caraveo L’ Europa, attraverso la sua agenzia spaziale, in collabora- zione con l’agenzia russa Ro- scosmos, vuole inaugurare una nuova stagione nell’esplorazione marziana. Il 14 marzo scorso è stata lan- ciata la sonda EXOMARS, composta dal Trace Gas Orbiter (TGO), che dovrà svol- gere il suo compito dall’orbita marziana, e dal modulo di atterraggio dedicato al nostro Schiaparelli. Il lungo viaggio in- terplanetario è agli sgoccioli.Oggi Schia- parelli si staccherà dal TGO e ognuno continuerà da solo il suo viaggio. Il gior- no della verità sarà mercoledì 19 quando Schiaparelli dovrà ammartare mentre TGO dovrà inserirsi in orbita. Si tratta di due manovre difficili, che le sonde devono eseguire in totale autono- mia, dal momento che le distanze in gio- co impediscono contatti in tempo reale con il centro di controllo. Tutto è stato previsto nei minimi dettagli, anche per- chè la complessità delle manovre da fare non lascia spazio all’improvvisazione e le sonde perse per errori più o meno ba- nali sono un monito che non si può di- menticare. Tutte le potenze spaziali che hanno tentato di toccare il suolo marziano han- no incontrato gloria e delusioni. Per pri- ma è arrivata l’Unione Sovietica nel lon- tano 1971, ma la sonda Mars 3 funzionò per appena 13 secondi. Nel 1976 è stata la volta della NASA con le splendide missio- ne Viking, composte da orbiter e lander che hanno fatto registrare un successo totale. Dopo 20 anni di pausa, la NASA lanciò Pathfinder con il suo piccolo rover, una novità che riaccese l’interesse del pubblico per il pianeta rosso. Ma andare su Marte è un’impresa dif- ficile e le glorie passate non sono una ga- ranzia per il futuro. All’inizio del nuovo millennio, la sfortuna colpisce senza guardare in faccia a nessuno. NASA, ESA, Roscosmos e Jaxa, l’agenzia spa- ziale giapponese, hanno problemi, a vol- te parziali, più spesso fatali, che costrin- gono a ripensare i programmi. Dopo aver perduto Mars Climate Observer e Mars Polar Lander la NASA, imparata la lezione, riprende alla grande infilando una sequenza di successi. Prima Spirit e Opportunity, poi Phoenix, poi Curiosity. Nel 2003 l’ESA lancia la sua prima mis- sione a Marte. Il nome è un programma: Mars Express. Alla fine del 2003 la sonda entra in orbita marziana e rilascia un piccolo lander chiamato Beagle II, in onore della nave di Darwin. Mentre l’or- biter ha subito funzionato e continua a mandare foto bellissime della superficie di Marte, Beagle si è perso tra le sabbie del pianeta. Forse i pannelli solari non si sono aperti o forse qualcosa d’altro non ha funzionato, peccato. Ma anche gli in- successi servono, bisogna imparare ed ora Schiaparelli non ripeterà gli errori del passato. Dopo avere rallentato la sua corsa con i paracadute, si servirà di re- trorazzi per la frenata finale a conclusio- ne dei sei minuti cruciali per la sonda. Facciamo il tifo perché tutto vada nel migliore dei modi, anche perché, oltre al nome, Schiaparelli trasporta stru- menti targati Italia, frutto della collabo- razione tra ASI, INAF, Università e in- dustrie spaziali. Mentre il modulo Schiaparelli farà una prova generale della tecnologia europea di ammartaggio, lo strumento Amelia re- gistrerà la discesa e, una volta a terra, en- trerà in funzione la stazione meteorolo- gica Dreams che lavorerà fino all’esauri- mento della batteria, all’incirca per 4 sol, il nome dei giorni marziani, di appena mezz’ora più lunghi di quelli terrestri. Schiaparelli manderà i suoi dati al TGO, che, nel frattempo, si sarà inserito nella sua orbita, oppure ad uno dei satelliti che pattugliano lo spazio marziano. Il più vi- cino risponderà e trasmetterà i dati a Ter- ra, dove sapremo “che tempo che fa” su Marte e potremo congratularci con Fran- cesca Esposito e Francesca Ferri le scien- ziate italiane che guidano Dreams e Ame- lia. Finito di dare supporto alla stazione Schiaparelli, TGO inizierà la sua missio- ne di studio approfondito dell’atmosfera marziana : abbiamo ancora molto da im- parare sul nostro vicino planetario e, se vogliamo davvero colonizzarlo, dobbia- mo conoscerlo molto più a fondo. © RIPRODUZIONE RISERVATA ingegnere concettuale Simon Blackburn Il viaggio intraplanetario è agli sgoccioli e mercoledì il modulo Schiaparelli dovrà «ammartare». Scienziate italiane nel team Tra narcisismo e autostima Lo scorso 25 settembre Nicla Vassallo recensiva il libro di Simon Blackburn «Mirror Mirror. The Uses and Abuses of Self-Love». Secondo la Vassallo Blackburn distingue tra l’autostima e il narcisismo. Ed è quest’ultimo che presenta ossessioni come selfie, chirurgia estetica, abusi di cosmetici www.archiviodomenica.ilsole24ore.com Illustrazione di Guido Scarabottolo

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n. 285 DOMENICA - 16 OTTOBRE 2016 Il Sole 24 Ore 35

Scienza e filosofiadivulgare le neuroscienze

Ma non perdiamo la testa!Un progetto macabro e assurdo ha preso piede tra i media:il trapianto di testa.Un caso esemplaredi disinformazione

di Gilberto Corbellini e Fiorenzo Conti

T re anni fa il neuroscienziato edivulgatore David Eagelmanpubblicò un manifesto sulladivulgazione scientifica, di-scusso su queste pagine (Il So-le 24 Ore-Domenica, 11 agosto

2013), dove chiamava i neuroscienziati a unimpegno civile per evitare che le neuro-scienze, sempre più oggetto di attenzionimediatiche, entrassero nel tritacarne dellapseudoscienza. In altre parole, per aiutare icittadini a capire quali sono le sfide della ri-cerca, ma anche i limiti, quindi a orientarsi enon essere ingannati da ciarlatani. Le ma-lattie neurologiche e psichiatriche sonoparticolarmente devastanti e, date le cre-scenti attese, è prevedibile un’incursione diimbroglioni.

La Società Italiana di Neuroscienze(SINS) ha pensato di raccogliere l’invito diEagelman e organizza, in collaborazionecon la Fondazione Antonio Ruberti, la pri-ma Scuola di comunicazione neuroscienti-fica specificamente rivolta a ricercatori chesiano interessati a capire come funziona ilgiornalismo scientifico e a interagire con imedia. La Scuola, che si terrà il 17 e 18 otto-bre nella Sala Napoleonica dell’UniversitàStatale di Milano, si avvarrà di una facultyche comprende giornalisti scientifici eneuroscienziati (http://www.sins.it/EN/index.xhtml).

Senza ripetere perché è importante pergli scienziati capire come circola la scienzanei media, è forse più utile ragionare su unesempio di disinformazione che al mo-mento rimane circoscritto nei sui effetti,ma che è incredibilmente discusso neimezzi di informazione in modi neutrali.Quando si tratta di un caso di autopromo-zione a spese dell’ignoranza neuroscienti-fica generale di base. Parliamo del chirurgotorinese Sergio Canavero, che vorrebbe di-ventare famoso per essere il primo a tra-piantare una testa umana e sta esponendola medicina italiana al ridicolo su scala in-ternazionale. Un’altra volta!

Se ne era uscito l’anno scorso con il ma-cabro e insano proposito. Recentemente ètornato alla carica pubblicando un articoloche “chiama alle armi” i coraggiosi – so-prattutto se hanno soldi e per questo si ri-volge a Gates, Page, Zuckerman, etc. – di-

sposti ad aiutarlo in un’impresa che egli pa-ragona alla rivoluzione galileiana, a quellamicrobiologica, etc. Le sue uscite sono stateriprese da numerosi siti e riviste di divulga-zione scientifica. Canavero equipara la suaambizione a quelle realizzate da gigantidella scienza, solo per il fatto che anche loroerano avversati dalla comunità scientificadel loro tempo. Ma poi Galileo,Semmelweis, Pasteur, etc. (li cita davvero,alla faccia della modestia!) hanno avuto ra-gione. Sostenere che solo perché la comu-nità scientifica è avversa, allora si è auto-maticamente dei nuovi Galileo, è uno deisegni patognomonici del ciarlatano.

Nell’articolo in questione e in altri inter-venti pubblici sempre in ambito di assolutairrilevanza scientifica, non mancano altrisintomi: mette sotto accusa il sistema dellapeer review, dichiara che esiste la tecnologiaper effettuare l’operazione (ma solo lui la

conosce, perché non dà alcuna indicazioneprecisa o le indicazioni sono fuorvianti), in-sulta chi gli dice che «è fuori di testa» (peresempio, Arthur Caplan, il più influente bio-eticista statunitense) definendo “populisti”i bioeticisti che lo criticano. Naturalmente laspara grossa (un altro tratto da ciarlatano)promettendo un successo del 99% per i tra-pianti di testa che eseguirà – un modo peraccalappiare persone disperate. E un pove-ro paziente russo, affetto da una gravissimamalattia degenerativa si sarebbe già messoa disposizione.

Trapiantare la testa è un’idea balzana, manon nuova, che però ha perso di sensatezzacon l’avanzare delle conoscenze scientifi-che. Tutte le operazioni già eseguite su ani-mali sono state un disastro. Stante che nonesistono dati preclinici, cioè su animali, chedimostrino una minima probabilità di suc-cesso nei Primati, è fuori discussione che un

crimine del genere non sarà mai approvatonel mondo civile da un comitato etico. Giu-sto in Cina, dove Canavero dice che glielo la-scerebbero fare, sarebbe forse possibile. C’èda dubitare, però, che le autorità di quel pae-se, dove certo l’etica clinica non funziona almeglio, vorranno farsi una delle peggioripubblicità agli occhi dell’occidente; peresempio essere equiparati ai nazisti per la li-bertà lasciata a medici sociopatici di faresperimentazioni atroci su pazienti.

Non vogliamo negare la possibilità cheun giorno sarà possibile un simile trapianto.Allo stato vi sono argomenti definitivi pernon consentire tale macabra esperienza. In-tanto non si tratterebbe di un trapianto ditesta, ma se mai di un corpo decapitato(tronco e arti inferiori) su una testa, che è ilpaziente/persona che ha necessità del tra-pianto. Nel trapianto esiste un donatore,che nella fattispecie deve essere cerebral-

mente morto, e un ricevente, che ha perso ilfunzionamento di qualche organo: è la testadel ricevente, la persona/paziente vivo, chenecessita eventualmente il trapianto, equindi ciò che è trapiantato non è la testa mal’insieme di tronco e arti inferiori del dona-tore. Del resto il cervello è la persona (anchese Canavero, sempre un passo davanti alleidee correnti, sostiene che la coscienza nonsia generata dal cervello), per cui l’identitàsarà quella di chi aveva bisogno di un nuovocorpo fisiologicamente funzionante.

È plausibile aspettarsi che una volta at-taccata la testa a un nuovo tronco e arti fun-zionanti, il cervello prenda il controllo dei nuovi organi, muscoli, tessuti, etc.? Se laneurobiologia insegnata nei manuali piùaggiornati è corretta, no. L’idea del nostro èche si possano utilizzare sostanze “fusoge-ne” e “stimolazioni elettriche”, cioè che ba-sti impiastricciare i milioni di assoni del mi-dollo spinale che collegano il cervello con laperiferia del corpo, perché le connessioni alivello centrale intercettino miracolosa-mente l’assone corretto e leggano automa-ticamente i segnali periferici. Ridicolo. Ilcervello contiene mappe precise del corpodi quell’individuo, che non sono uguali aquelle di nessun altro (nemmeno del gemel-lo monozigote) che si sono formate nel cor-so dello sviluppo a opera di meccanismimolto complessi e ancora in larga parteignoti. È da iatromeccanico, cioè da fisiolo-go del seicento, pensare che i nervi sianodelle specie di corde, o volendo usare unametafora tardo ottocentesca, dei fili elettriciaggiuntabili e distribuiti secondo uno sche-ma universale dell’impianto nervoso. Senzatrascurare che l’espressione della stragran-de maggioranza dei segnali molecolari chehanno permesso lo sviluppo ordinato delleconnessioni nervose è silenziata nell’adul-to. E dimenticando che dal punto di vistamedico è facilissimo ipotizzare che questointervento provocherebbe quasi certamen-te un tipo molto grave di dolore, detto doloreneuropatico, per il quale la terapia potrebbeessere un altro intervento neurochirurgico!

Non accadrà di certo che il Canavero simetta a fare trapianti di tronco e arti a qual-che testa in giro per l’Italia, ma anche even-tuali inutili e crudeli esperimenti su animalialimenterebbero e in modo giustificato leproteste degli animalisti. Andrebbe dettochiaramente che questo signore è un esalta-to, privo di alcun credito presso la comunitàscientifica. Onde evitare che i giornalisti glicorrano appresso e che qualche mezzo d’in-trattenimento ne faccia una sorta di vittimadell’invidia degli scienziati e dell’establish-ment medico conservatore (e magari delle multinazionali o dei poteri forti) che gli im-pedirebbero di realizzare una rivoluzioneepocale nella chirurgia dei trapianti, che luisostiene cambierebbe la vita a migliori di persone con lesioni spinali. Non vogliamoimmaginare gli effetti di una discussionepubblica sull’argomento, analoga ai casi DiBella, Stamina, etc. Queste pseudocure era-no meno macabre e più comprensibili, ma alpeggio non c’è mai limite.

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filosofi d’oggi / a colloquio con simon blackburn

La verità nei sentimenti di Carla Bagnoli

Per chi si occupa di filosofia prima opoi arriva il momento dell’imba-razzante domanda (ingenua o po-lemica) su che cosa fanno di preciso

i filosofi. È successo anche a Simon Black-burn. Blackburn racconta che avrebbe pre-ferito essere presentato come un «ingegne-re concettuale», perché questo fa il filosofo.Certo, si tratta di una definizione discutibi-le, ma rappresenta in maniera piuttosto fe-dele il mestiere del filosofo analitico. È conquesto atteggiamento filosofico che Black-burn si è avvicinato all’etica, segnandoneprofondamente lo sviluppo, fin dalla metàdegli anni settanta. Blackburn ha insegnatoa Oxford, alla Università del North Carolinae, infine, a Cambridge. I suoi scritti hannoesercitato un’influenza determinante inmolti dibattiti sulla conoscenza, sulla meta-fisica e sull’etica.

Negli anni ottanta Blackburn ha elabora-to una teoria del discorso morale che hasovvertito la contrapposizione tradizionaletra realismo morale e anti-realismo. Secon-do questa nuova teoria, detta quasi-reali-smo, i giudizi etici non sono asserzioni sustati di cose reali.

Eppure, c’è qualcosa di realistico a pro-posito dell’etica. La prova è che non possia-mo dare due giudizi etici diversi su due casisimili; bisogna per forza che la differenzadi giudizio sia giustificata in base a una ca-ratteristica descrittiva dei casi su cui riflet-tiamo. Ma ciò non significa che i giudizi eti-

ci siano rappresentazioni di caratteristi-che della realtà. Si tratta, piuttosto, di sofi-sticate proiezioni dei nostri sentimenti.Non c’è niente al mondo che sia in sé buonoo cattivo, desiderabile o odioso, bello obrutto. Piuttosto, la mente è una facoltàproduttiva, che si proietta sulla realtà, in-dorando o sporcando, come diceva Hume.Per Blackburn è proprio questa proiezioneche ci autorizza a parlare di verità e di og-gettività in etica. Che i giudizi etici sianoproiezioni dei nostri sentimenti non li ren-de banalmente soggettivi e illusori, né ren-de meno concreto e doloroso il conflittomorale. Ma come risolverlo?

Blackburn si dichiara scettico riguardoal valore della razionalità o la ragione, che ècentrale nella tradizione kantiana ma an-che nella teoria dell’agente razionale del-l’economia e della teoria dei giochi. «Il mioscopo è mostrare che l’etica non perdeniente di importante in questo passaggio e,in particolare che non cade nel nihilismo odal relativismo. I nostri valori possono es-sere generati dai nostri sentimenti, ma so-no anche le cause determinanti di come cisentiamo a proposito delle cose e ci dannole conseguenti motivazioni e comporta-menti. La ragione mostra il contesto nelquale si agisce, ma i valori e i sentimenti de-terminano che cosa fare.

Questa divisione del lavoro si contrappo-ne alla rappresentazione platonica della ra-gione e del logos che comandano i cavallidella passione e dello spirito: la ragionesenza il sentimento è inerte». Questa è la te-si centrale di Ruling Passions: a Theory ofPractical  Reasoning  (Oxford UniversityPress, 1998). «Il titolo è volutamente ambi-guo: può essere inteso nel senso del gover-no delle passioni oppure nel senso che lepassioni ci governano. Governiamo le pas-sioni quando, diciamo, esercitiamo auto-controllo e resistiamo alle tentazioni. Maquando governiamo le passioni lo facciamomobilitando altre passioni, ricordando cheun certo comportamento avrà come costocerte altre cose che ci premono. Il bilancio èpiuttosto delicato. E naturalmente, c’è ilproblema di difendere una concezione del-la verità nell’area dei sentimenti. Questo hacreato qualche imbarazzo tra i filosofi mo-rali. Spero che i risultati che ho raggiunto

rendano di nuovo apprezzabile e sicurol’approccio sentimentalista di Hume eAdam Smith. Ho tentato di mostrare che l’opposizione tra espressivismo e realismo,che hanno dominato la teoria etica del ven-tesimo e anche del ventunesimo secolo, puòessere affievolita e perfino superata. Perquel che mi riguarda, il realismo e l’intui-zionismo sono tentativi fallimentari di of-frire una qualche teoria perspicua e utiledella natura della moralità. Invece, la tradi-zione sentimentalista, fino alla sua versio-ne più recente, l’espressivismo, fa tutto ciòche è necessario e offre un resoconto veri-tiero, realistico dal punto vista psicologico,della natura degli agenti razionali».

Nella prospettiva sentimentalista, di-venta particolarmente importante la cate-goria dei sentimenti rivolti al sé, che spiega-no molti fenomeni relativi all’identità per-sonale e l’integrità morale. Il ruolo del-l’amore di sé è al centro di Mirror, mirror: TheUses and Abuses of Self­love (Oxford Univer-sity Press, 2014), un saggio acuto e garbato,in cui Blackburn si mostra ancora una voltacapace di attrarre lettori interessati ai gran-di temi filosofici, piuttosto che alle diatribedi scuola. «Credo che come ci si sente a pro-posito di sé stessi ha conseguenze imme-diate per come si pensa a proposito di altrecose e di altre persone. Per esempio, è im-probabile che le persone risentite siano molto generose nel valutare gli altri, le mo-tivazioni e azioni altrui. Se manca l’autosti-ma, è improbabile che si abbiano aspettati-ve alte rispetto agli altri. John Milton ritieneche un’autostima appropriata sia una con-dizione necessaria per la buona condotta, la

generosità e la simpatia. E, naturalmente, sipuò eccedere anche nell’autostima, sconfi-nando nella vanità, nell’arroganza, nel nar-cisismo, tutte modalità autodistruttive. Co-me succede spesso in filosofia morale, l’ide-ale sta nel mezzo tra i due estremi».

Ma l’eccesso, in questo caso, è un vizioparticolarmente pericoloso per chi ne è af-fetto. «Sbagliare nel collocare sé stessi ap-propriatamente nel mondo delle relazioniumani, come una persona tra le altre, è unabuso fatale. Può manifestarsi come vanità,che è prevalentemente la sete di fama, insie-me a una certa indifferenza per la questionese la lode sia davvero meritata. Può manife-starsi come arroganza, che rende il sé invul-nerabile al giudizio degli altri, al consiglio ealla critica. Nel caso estremo del narcisismo,la vittima vede e sente solo le proprie lodi.Nel mito greco, è proprio questo che uccideNarciso, che lascia il nulla dietro di sé».

Per tornare alla domanda iniziale, Black-burn alla fine pensa alla filosofia come unadisciplina necessaria all’autonomia perso-nale. È interessante che qui si esprima ri-prendendo una certa concezione kantianadi autodeterminazione. «Se non controlli letue idee, le idee controlleranno te. Ma le ideeche ti controllano provengono da altre per-sone che hanno le loro agende particolari ealtre forze nella cultura e sono spesso forzemaligne e superstiziose. Il motto di Kant èsapere aude. Comprendere noi stessi e lenostre idee è importante quanto compren-dere l’ambiente naturale. C’è una tradizioneincredibilmente ricca, dall’antica Grecia ai giorni nostri. Una generazione senza le ri-sorse per orientarsi nella filosofia è destina-ta a essere preda di demagoghi, privata deimodi appropriati di coltivare sé stessi, inca-pace di alcuna critica sulla produzione ster-minata di idee cattive o fuorvianti».

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19 ­ Continua (le puntate precedenti sonostate pubblicate dalla Domenica nei numeri

dal 5 giugno al 9 ottobre)

exomars

Toccareil suolomarziano

di Patrizia Caraveo

L’Europa, attraverso la suaagenzia spaziale, in collabora-zione con l’agenzia russa Ro-scosmos, vuole inaugurare

una nuova stagione nell’esplorazionemarziana. Il 14 marzo scorso è stata lan-ciata la sonda EXOMARS, composta dalTrace Gas Orbiter (TGO), che dovrà svol-gere il suo compito dall’orbita marziana,e dal modulo di atterraggio dedicato alnostro Schiaparelli. Il lungo viaggio in-terplanetario è agli sgoccioli.Oggi Schia-parelli si staccherà dal TGO e ognunocontinuerà da solo il suo viaggio. Il gior-no della verità sarà mercoledì 19 quandoSchiaparelli dovrà ammartare mentreTGO dovrà inserirsi in orbita.

Si tratta di due manovre difficili, che lesonde devono eseguire in totale autono-mia, dal momento che le distanze in gio-co impediscono contatti in tempo realecon il centro di controllo. Tutto è statoprevisto nei minimi dettagli, anche per-chè la complessità delle manovre da farenon lascia spazio all’improvvisazione ele sonde perse per errori più o meno ba-nali sono un monito che non si può di-menticare.

Tutte le potenze spaziali che hannotentato di toccare il suolo marziano han-no incontrato gloria e delusioni. Per pri-ma è arrivata l’Unione Sovietica nel lon-tano 1971, ma la sonda Mars 3 funzionò per appena 13 secondi. Nel 1976 è stata lavolta della NASA con le splendide missio-ne Viking, composte da orbiter e lander

che hanno fatto registrare un successototale. Dopo 20 anni di pausa, la NASAlanciò Pathfinder con il suo piccolo rover,una novità che riaccese l’interesse delpubblico per il pianeta rosso.

Ma andare su Marte è un’impresa dif-ficile e le glorie passate non sono una ga-ranzia per il futuro. All’inizio del nuovomillennio, la sfortuna colpisce senzaguardare in faccia a nessuno. NASA,ESA, Roscosmos e Jaxa, l’agenzia spa-ziale giapponese, hanno problemi, a vol-te parziali, più spesso fatali, che costrin-gono a ripensare i programmi. Dopoaver perduto Mars Climate Observer eMars Polar Lander la NASA, imparata lalezione, riprende alla grande infilandouna sequenza di successi. Prima Spirit eOpportunity, poi Phoenix, poi Curiosity.Nel 2003 l’ESA lancia la sua prima mis-sione a Marte. Il nome è un programma:Mars Express. Alla fine del 2003 la sondaentra in orbita marziana e rilascia unpiccolo lander chiamato Beagle II, inonore della nave di Darwin. Mentre l’or-biter ha subito funzionato e continua amandare foto bellissime della superficiedi Marte, Beagle si è perso tra le sabbiedel pianeta. Forse i pannelli solari non sisono aperti o forse qualcosa d’altro nonha funzionato, peccato. Ma anche gli in-successi servono, bisogna imparare edora Schiaparelli non ripeterà gli erroridel passato. Dopo avere rallentato la suacorsa con i paracadute, si servirà di re-trorazzi per la frenata finale a conclusio-ne dei sei minuti cruciali per la sonda.

Facciamo il tifo perché tutto vada nelmigliore dei modi, anche perché, oltreal nome, Schiaparelli trasporta stru-menti targati Italia, frutto della collabo-razione tra ASI, INAF, Università e in-dustrie spaziali.

Mentre il modulo Schiaparelli farà unaprova generale della tecnologia europeadi ammartaggio, lo strumento Amelia re-gistrerà la discesa e, una volta a terra, en-trerà in funzione la stazione meteorolo-gica Dreams che lavorerà fino all’esauri-mento della batteria, all’incirca per 4 sol,il nome dei giorni marziani, di appenamezz’ora più lunghi di quelli terrestri. Schiaparelli manderà i suoi dati al TGO,che, nel frattempo, si sarà inserito nellasua orbita, oppure ad uno dei satelliti chepattugliano lo spazio marziano. Il più vi-cino risponderà e trasmetterà i dati a Ter-ra, dove sapremo “che tempo che fa” suMarte e potremo congratularci con Fran-cesca Esposito e Francesca Ferri le scien-ziate italiane che guidano Dreams e Ame-lia. Finito di dare supporto alla stazioneSchiaparelli, TGO inizierà la sua missio-ne di studio approfondito dell’atmosferamarziana : abbiamo ancora molto da im-parare sul nostro vicino planetario e, sevogliamo davvero colonizzarlo, dobbia-mo conoscerlo molto più a fondo.

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ingegnere concettuale Simon Blackburn

Il viaggio intraplanetarioè agli sgoccioli e mercoledìil modulo Schiaparelli dovrà «ammartare».Scienziate italiane nel team

Tra narcisismo e autostimaLo scorso 25 settembre Nicla Vassallo recensiva il libro di Simon Blackburn «Mirror Mirror. The Uses and Abuses of Self-Love». Secondo la Vassallo Blackburn distingue tra l’autostima e il narcisismo. Ed è quest’ultimo che presenta ossessioni come selfie, chirurgia estetica, abusi di cosmeticiwww.archiviodomenica.ilsole24ore.com

Illustrazione di Guido Scarabottolo