Scamarcio con Il dubbio e la speranza - FICEsulla fratellanza ma anche, perché no, sulla morte;...

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6 VIVILCINEMA settembreottobre18 ••• Film sulla fratellanza ma anche, perché no, sulla morte; dall’altro lato della barriera rispetto all’esordio Miele, perché qui l’ultimo respiro è allontanato. Forse per questo Valeria Golino ha deciso di intitolarlo Euforia, un sostantivo che la rappresenta. Al centro due fratelli che più distanti, per carattere e ambizioni, non potrebbero: da una parte il maggiore Ettore (Valerio Mastandrea), schivo e idealista, dall’altra Matteo (Riccardo Scamarcio), imprenditore di successo, espansivo e innamorato della bellezza. Una malattia del primo li riporta vicini, almeno così sembra… Alla base di questo lavoro c’è una storia vera? Nella genesi di Euforia non ci sono persone particolari, solo la vicenda di un amico che ha dato il primo spunto. Certamente ogni cosa che facciamo riguarda noi stessi: sebbene io sia riluttante a raccontare fatti che riguardano me o la mia famiglia, ci sono degli spunti ma nulla di preciso. Non avevo pensato ai due film come a un dittico sulla morte, quando gliene ho parlato il direttore della fotografia Gergely Pohàrnok ha reagito scherzando: “Death is a superstar again”. Eppure sia il titolo che il tono di Euforia fanno pensare a un film sulla vita: si può raccontare la vita attraverso i sentimenti che accompagnano la morte? Raccontando i sentimenti della vita in cui si percepisce la presenza della morte, questi stessi sentimenti si acutizzano, tutto diventa più vivido e interessante. Il racconto della morte è quanto ci fa più paura, dunque è drammaturgicamente molto forte: si tratta delle cose ultime, dell’emergenza dell’essere. Bisogna fare molta attenzione a non scadere nella volgarità, non ci si può approfittare di questa cosa per ridurre al sentimentalismo i pensieri e i sentimenti che circondano la morte (paura, rimozione, attesa, negazione): sarebbe scandaloso. Fra esordio e opera seconda sei partita dai temi più complessi e fondativi dell’essere umano: una bella scommessa. Avere aspirazioni alte non vuol dire riuscire a raccontarle! Puoi farti domande più che dare delle risposte, che poi è quanto è chiamato a fare il cinema, che ponendo le giuste domande può spostare le coscienze. Mettere in scena il mistero, il dubbio, la speranza che non sono mai definitivi, ecco ciò che vorrei realizzare attraverso la regia, quanto meno avvicinarmici. In altre parole, si tratta di diluire domande etiche e profonde dentro una storia personale e universale. Come ci si distacca dal racconto di queste “cose ultime”? Il trascorrere del tempo spinge con naturalezza verso l’oblio e la fabbricazione del film si allontana come fosse un oggetto solido. Accanto al tempo viene ad agire la percezione degli altri nel momento in cui il film inizia ad avere vita propria e autonoma. Questo non significa che chi l’ha fatto ne resti indifferente, ma comincia a confrontarsi con lo sguardo esterno, che è fondamentale. L’atteggiamento di Valeria Golino sceneggiatrice e regista sembra a sottrarre. È così? Tendenzialmente sì, ma questo accadeva più in Miele. In Euforia per mantenere un tono agrodolce, a tratti di commedia, era necessario avere coraggio e correre dei rischi a non togliere troppo. Per me non è stato affatto semplice. È più complesso per te lavorare sulla scrittura o sulla regia? È più difficile la fase di scrittura: con la regia puoi ancora modificare ma nella creazione della sceneggiatura devi dare forma a tutto: le parole, il linguaggio, il tono, il ritmo. Fortunatamente le mie co-sceneggiatrici, insieme all’apporto di Walter Siti, sono stati perfetti; io non li ho mai abbandonati, ero sempre al loro fianco. Un’attrice del tuo calibro è certamente abituata a esporsi, ma è sbagliato pensare che stare dietro la macchina da presa sia un’esposizione ancora maggiore? Non è per nulla sbagliato, anzi. Penso che stare “dietro” lo sguardo sia molto più intimo, rischioso, anche se il corpo non è esposto. Nella regia il rischio è più profondo perché non si interpreta il pensiero o il punto di vista di un altro (in qualche modo recitare deresponsabilizza) bensì il proprio, lo si tira fuori e lo si butta addosso agli altri. Stai valutando se proseguire il lavoro di regista anche fuori dai confini italiani, magari con attori stranieri? Sì, potrei farlo, anzi mi piacerebbe davvero provarci, ma non in senso carrieristico, al contrario in senso ontologico, perché io stessa sono mezza straniera e questa dimensione internazionale mi appartiene. Dovrei trovare la storia giusta, però. ANNA MARIA PASETTI 6 Valeria Golino Il dubbio e la speranza Riccardo Scamarcio e Valerio Mastandrea: due fratelli agli opposti riavvicinati dalla malattia. “Euforia” è un’opera seconda sorprendente e di grande impatto emotivo LE REGIE - Miele (2013), Euforia (2018) cover story Riccardo Scamarcio e Isabella Ferrari Scamarcio con Valerio Mastandrea

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••• Film sulla fratellanza ma anche,perché no, sulla morte; dall’altro lato dellabarriera rispetto all’esordio Miele, perchéqui l’ultimo respiro è allontanato. Forse perquesto Valeria Golino ha deciso di intitolarloEuforia, un sostantivo che la rappresenta. Alcentro due fratelli che più distanti, percarattere e ambizioni, non potrebbero: dauna parte il maggiore Ettore (ValerioMastandrea), schivo e idealista, dall’altraMatteo (Riccardo Scamarcio), imprenditoredi successo, espansivo e innamorato dellabellezza. Una malattia del primo li riportavicini, almeno così sembra…Alla base di questo lavoro c’è una storiavera?Nella genesi di Euforia non ci sono personeparticolari, solo la vicenda di un amico cheha dato il primo spunto. Certamente ognicosa che facciamo riguarda noi stessi:sebbene io sia riluttante a raccontare fattiche riguardano me o la mia famiglia, ci sonodegli spunti ma nulla di preciso. Non avevopensato ai due film come a un dittico sullamorte, quando gliene ho parlato il direttoredella fotografia Gergely Pohàrnok hareagito scherzando: “Death is a superstaragain”.

Eppure sia il titolo che il tono di Euforiafanno pensare a un film sulla vita: sipuò raccontare la vita attraverso isentimenti che accompagnano lamorte?Raccontando i sentimenti della vita in cui sipercepisce la presenza della morte, questistessi sentimenti si acutizzano, tutto diventapiù vivido e interessante. Il racconto dellamorte è quanto ci fa più paura, dunque èdrammaturgicamente molto forte: si trattadelle cose ultime, dell’emergenzadell’essere. Bisogna fare molta attenzione anon scadere nella volgarità, non ci si puòapprofittare di questa cosa per ridurre alsentimentalismo i pensieri e i sentimenti checircondano la morte (paura, rimozione,attesa, negazione): sarebbe scandaloso.Fra esordio e opera seconda sei partitadai temi più complessi e fondatividell’essere umano: una bellascommessa.Avere aspirazioni alte non vuol dire riuscirea raccontarle! Puoi farti domande più chedare delle risposte, che poi è quanto èchiamato a fare il cinema, che ponendo legiuste domande può spostare le coscienze.Mettere in scena il mistero, il dubbio, lasperanza che non sono mai definitivi, eccociò che vorrei realizzare attraverso la regia,quanto meno avvicinarmici. In altre parole,si tratta di diluire domande etiche eprofonde dentro una storia personale euniversale.Come ci si distacca dal racconto diqueste “cose ultime”?Il trascorrere del tempo spinge connaturalezza verso l’oblio e la fabbricazionedel film si allontana come fosse un oggettosolido. Accanto al tempo viene ad agire lapercezione degli altri nel momento in cui ilfilm inizia ad avere vita propria e autonoma.Questo non significa che chi l’ha fatto neresti indifferente, ma comincia a

confrontarsi con lo sguardo esterno, che èfondamentale.L’atteggiamento di Valeria Golinosceneggiatrice e regista sembra asottrarre. È così?Tendenzialmente sì, ma questo accadeva piùin Miele. In Euforia per mantenere un tonoagrodolce, a tratti di commedia, eranecessario avere coraggio e correre dei rischia non togliere troppo. Per me non è statoaffatto semplice.È più complesso per te lavorare sullascrittura o sulla regia?È più difficile la fase di scrittura: con la regiapuoi ancora modificare ma nella creazionedella sceneggiatura devi dare forma a tutto:le parole, il linguaggio, il tono, il ritmo.Fortunatamente le mie co-sceneggiatrici,insieme all’apporto di Walter Siti, sono statiperfetti; io non li ho mai abbandonati, erosempre al loro fianco.Un’attrice del tuo calibro è certamenteabituata a esporsi, ma è sbagliatopensare che stare dietro la macchina dapresa sia un’esposizione ancoramaggiore?Non è per nulla sbagliato, anzi. Penso chestare “dietro” lo sguardo sia molto piùintimo, rischioso, anche se il corpo non èesposto. Nella regia il rischio è più profondoperché non si interpreta il pensiero o ilpunto di vista di un altro (in qualche modorecitare deresponsabilizza) bensì il proprio,lo si tira fuori e lo si butta addosso agli altri.Stai valutando se proseguire il lavoro diregista anche fuori dai confini italiani,magari con attori stranieri?Sì, potrei farlo, anzi mi piacerebbe davveroprovarci, ma non in senso carrieristico, alcontrario in senso ontologico, perché iostessa sono mezza straniera e questadimensione internazionale mi appartiene.Dovrei trovare la storia giusta, però.

• ANNA MARIA PASETTI

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Valeria Golino

Il dubbio e la speranzaRiccardo Scamarcio e Valerio Mastandrea: due fratelli agli opposti riavvicinati dallamalattia. “Euforia” è un’opera seconda sorprendente e di grande impatto emotivo

LE REGIE - Miele (2013), Euforia (2018)

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Riccardo Scamarcio e Isabella FerrariScamarcio conValerio Mastandrea

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Edoardo De Angelisi n t e r v i s t a

••• In quella crepitante, demonizzataTerra dei Fuochi sul fiume Volturno “larealtà può essere anche magica”. È questo ilfocus narrativo che Edoardo De Angelis haacceso per raccontare ne Il vizio dellasperanza, su sceneggiatura sua e diUmberto Contarello e personale sguardoregistico, la svolta di una donna, sottomessatraghettatrice di traffici malavitosi. Dopo laseparazione “miracolosa” delle gemellesiamesi di Indivisibili, il regista casertanoracconta la riunione col proprio animo di unpersonaggio femminile scisso fra dolore esogno. “Quel fiume, magnifico alla fonte mavia via avvelenato, è centro propulsore diquesta storia. Sono innamorato di unterritorio così controverso e difficile, vi hopassato del tempo per incontrare persone eluoghi da descrivere, in un film che parte insenso realistico ma sfocia in epifania magica,in una sintesi non disordinata di cuore ecorpo, più profonda della realtà: la verità”.Una verità al femminile.Al 100%. Maria, impersonata da Pina Turco,è una donna che riassume una certaumanità, vive con la madre matrona (CristinaDonadio) e lavora per un’altra donna capo(Marina Confalone) secondo codici dimatriarcato archetipico, non solo nel sudItalia. Sono femminilità vittime quantocarnefici di se stesse. In assenza di uomini, senon dannosi, Maria all’inizio figura come ilricettacolo dei detriti che il fiume porta finoalla foce, ma dentro ha una purezza che ledarà la forza giusta per sovvertire l’ordine disopraffazione.È un percorso compiuto da attriciemblematiche e potenti.È così. Pina Turco vive senza sogni nédesideri, traghettando per ordine maternoverso il male delle prostitute che devonoliberarsi di un ingombro non voluto; ignoraqualunque eventuale diversità di vita,

educata col marchio dell’immunità dal viziodella speranza, fino a sbocciare fiera…Donadio, in modo opposto al suo ruolo nellaserie Gomorra, si è lasciata andare del tuttoper un personaggio anch’essa avviata allascoperta di un’altra se stessa. Confalone èartista totale, dà un passo diverso alle cosequando appare a capo del business didisperati.Torniamo sul luogo della storia. Quantacarnalità c’è nel film?Tutta quella di sempre. Da noi la terra hacarnalità, stando assieme agli altri elementiprimordiali. Anche nell’imbolgiato 2018 imovimenti umani sono primordiali: pertrasformarsi in vita bisogna trasportare sestessi nel tempo. Come? In maniera magica,cioè procreando… Solo così si cambia larealtà, da nera a solare.La vita quindi non sogno ma miracolo,grazie alla speranza.Certo! Anche se lavoriamo con fantasia, lavita resta la base di ogni storia. Nel cinemace l’ha magistralmente ricordato il primoGuerre stellari: il passato come unicachiave per accedere al futuro. Se astraiamo ilpensiero dalla vita che comunque finisce, eguardiamo da lontano anche la nostracontemporaneità, la vita vince sempre,perché oltre noi c’è un domani cui noi stessidiamo vita. È quanto alla fine fa Maria,antica immutabile parabola.Il percorso del film ècominciato non a Veneziama a Toronto, e oraprosegue alla Festa diRoma e al LondonFestival.Toronto è stata unaperfetta provagenerale per l’uscita inItalia: sale piene,addetti e spettatori

coinvolti e reattivi. Per me sono piùimportanti le emozioni che constato delleconsiderazioni che leggo. Faccio film sempreper gli esseri umani, all’inizio cercandod’inquadrarli da personaggi immersi nelleloro vite, a film fatto per dare al pubblicostimoli ed emozioni.Cosa pensa della polemica verso i nuovisoggetti produttivo/distributivi cheeviterebbero i momenti coinvolgentidel cinema in sala?L’audiovisivo mondiale è in velocetrasformazione, Netflix e altri immettonodenaro nel sistema quindi rinnovano. Masiamo ancora in fase intermedia, quasisregolata, ed esistono dubbi versol’entusiasmo del nuovo. Da autore tengosoprattutto al rispetto dei nostri dirittiprimigeni. Non mi addentro oltre perchénon sono esperto di questo macrofenomeno, in cui sarebbe opportunostabilire regole caso per caso fra festival,distributori, esercenti, finestre disfruttamento in esclusiva eccetera, in primisrispettando le idee degli autori.

• MAURIZIO DI RIENZO

FILMOGRAFIA - Mozzarella Stories (2011), Perez (2014), Indivisibili (2016), Vieni a vivere a Napoli (episodio “Magnifico shock”, 2017), Il vizio della speranza (2018)

Sulle rive del fiumeUna donna traghettatrice di anime perse ne “Il vizio della speranza”, con un triodi donne protagoniste: Pina Turco, Cristina Donadio, Marina Confalone

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Cristina DonadioMarina Confalone e Pina Turco

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Valerio Mastandreai n t e r v i s t a

••• “È un film che viene da lontano,dall’inizio degli anni Duemila. Mi hannosempre colpito i racconti delle mogli, dellecompagne, dei figli, dei genitori di personemorte in incidenti eclatanti. Ogni volta chechiudevo il giornale mi domandavo cosasarebbe accaduto due mesi dopo, quandooltre alla perdita avrebbero dovutofronteggiare il totale disinteresse deimedia”. Valerio Mastandrea sceglie con curale parole per la genesi di Ride, primo film daregista dopo una carriera passata davantialla macchina da presa. “Cosa fa il tempoalle persone che subiscono il dolore di unaperdita più ingiusta della morte stessa? Cosaaccade dopo una lunga ed eccessivaattenzione da parte di giornali e televisioni?Per rispondere a queste domande ho sceltodi girare un film sul dopo, quando si inizia avivere il dolore in maniera autentica”.Cosa è cambiato in queste due decadi diriflessioni?Il definire la storia e raccontare la vigilia diun funerale pubblico, dove si celebra lamorte di un operaio. Si parla della mogliedell’uomo, che peraltro è interpretata dallamia compagna Chiara Martegiani, insiemealla sua famiglia durante quello che è un“coprifuoco emotivo” prima di arrivare aquesti funerali. Ci sono voluti anni prima chequesto film prendesse forma, perché volevoraccontare come sia diventato impossibilepiangere per qualcosa che si è perso;soprattutto, il tempo mi ha indicato ladirezione di una narrazione corale. Così èdiventato un film sulla velocità e sullavoracità dei rapporti, arrivato al momentogiusto della mia vita e della mia carriera.

A realizzare Ride mi hanno portato incontri,storie, situazioni e la possibilità di lavorarcicon il mio sceneggiatore Enrico Audenino.Cosa l’ha spinta ad esordire alla regiacon questa storia?Ho fatto l’attore non per scelta, ma pernecessità emotiva e per sana ambizionespudorata. Lo stesso è accaduto con questofilm e la regia. Un’esperienza che mi haconfermato la vocazione personale nelraccontare solo quello che mi è necessario: ilprincipio attivo per cui sono in questaprofessione non cambia, a trasformarsi èsolo il punto di vista.Diventare regista dopo i 40 fa appelloa una certa saggezza? Ha conosciuto ilsuccesso, è diventato padre, hamaturato uno sguardo diverso sullavita…Quando si dirige un film per la prima voltasi è sempre molto incoscienti. Dopo 25 annidi carriera da attore posso portare in donoalla regia una buona dose di esperienza,che mi aiuta a riconoscere i difetti del film,che conoscevo già durante le riprese e almontaggio. Per me era importantelavorare sull’autenticità della storia,evitando il rischio di essere un po’paraculo, insistendo sugli aspetti piùenfatici e strappalacrime. Da attore sonocascato poche volte in film del genere equelle poche volte mi sono fatto così maleda imparare tanto. Era importanteaffrontare questo racconto con un certopudore, trovare la giusta distanza.Come ha scelto i suoi protagonisti?Ho avuto un approccio istintivo: ho scelto lamia compagna, venendo meno al principiodi separazione delle carriere, perché era un

po’ demotivata. Voleva lasciare perdere,così le ho detto “Fai questo film, poi sevorrai ancora lasciare vorrà dire che è statacolpa mia. Se riparti, invece, sarà meritotuo”. Ero affascinato dal suo senso digenuino smarrimento nei confronti delpersonaggio, volevo pescare dal suosbigottimento e, poiché è un voltosconosciuto alla maggioranza del pubblico,offrire agli spettatori la possibilità diinnamorarsi del personaggio senzapreconcetti. Poi ho potuto lavorare conRenato Carpentieri e Stefano Dionisi: dueinterpreti straordinari da cui ho compresodi dover imparare molto nel rapporto congli attori: sono sempre stato abituatoall’immediatezza e a una certa velocità dipensiero. Come mi ha detto Carpentieri, glialtri attori non possono recitare tutti comeme: una battuta illuminante, mi ha fattocapire come un regista non debbarappresentare se stesso, ma valorizzare illavoro degli altri.C’è qualche ispirazione?Non l’ho nemmeno sfiorato, ma per me unpunto di riferimento importante è GianniZanasi, capace di affrontare temi enormicon grande ironia. Io sono molto piùpesante di lui, però sentivo di volere un filmcome i suoi, che hanno un tono magico.Un’esperienza che vorrebbe ripetere?Spero di sì, a patto di riuscire a fare ilcinema che sento il bisogno di fare. Primabisogna “liberare” questo: come disse ilpresidente Viola dopo il primo scudettodella Roma, “Abbiamo liberato la squadrae i tifosi dalla prigionia del sogno”. Ancheper un film e per un regista è così.

• MARCO SPAGNOLI

A fari spentiL’esordio alla regia dopo 25 anni di carriera: “Ride” affronta il momento che precedel’attenzione mediatica dopo la morte sul lavoro del marito operaio

LE PRINCIPALI INTERPRETAZIONI - Cronaca di un amore violato (1995), Cuore cattivo (1995), L'anno prossimo vado a letto alle dieci (1995), Cresceranno i carciofi a Mimongo(1996), Tutti giù per terra (1997), In barca a vela contromano (1997), Viola bacia tutti (1997), L'odore della notte (1998), La carbonara (2000), Zora la vampira (2000), Domani (2000),Ultimo stadio (2002), Velocità massima (2002), Gente di Roma (2003), Il siero della vanità (2004), Lavorare con lentezza (2004), L'orizzonte degli eventi (2005), Piano 17 (2006),Il caimano (2006), N - Io e Napoleone (2006), Notturno bus (2007), Tutta la vita davanti (2008), Non pensarci (2008), Un giorno perfetto (2008), Giulia non esce la sera (2009), Goodmorning Aman (2009), La prima cosa bella (2010), Ruggine (2011), Romanzo di una strage (2012), Gli equilibristi (2012), Il comandante e la cicogna (2012), Viva la libertà (2013),Pasolini (2014), La felicità è un sistema complesso (2015), Perfetti sconosciuti (2016), Fiore (2016), Fai bei sogni (2016), The Place (2017), Tito e gli alieni (2017), Euforia (2018)

Chiara Martegiani

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Steve McQueeni n t e r v i s t a

••• “Avevo 13 anni quando ho vistola miniserie Le vedove in tv e mi ha fattosubito una grande impressione. Mi sonoidentificato con queste donne, trattate daincapaci e giudicate solo dalle apparenze”,spiega Steve McQueen, che torna al cinemacon una storia fortemente al femminileinterpretata da Viola Davis, MichelleRodriguez, Cynthia Erivo ed ElisabethDebicki. “Donne apparentemente invisibiliper la società, che occupavano spaziopiuttosto che avere qualcosa da dire o dadare. E io, bambino nero adolescente nellaLondra del 1983, mi sono sentito come loro”.Widows - Eredità criminale èl’adattamento della fortunata serie di LyndaLaPlante, sceneggiato da McQueen assiemealla scrittrice Gillian Flynn (L’amorebugiardo) spostando l’azione a Chicago. Ilfilm combina una storia criminale con unmondo molto realistico: la trama èincentrata su un gruppo di donne in gravedifficoltà dopo che i loro mariti, criminali dicarriera, sono stati uccisi nel corso di uncolpo andato storto. Il quartetto ha bisognodi una grande quantità di denaro, così laloro leader Veronica (Viola Davis) decide diseguire il piano del colpo successivopianificato dal marito. Al loro fianco ci sonoLiam Neeson, Colin Farrell, Robert Duvall,Daniel Kaluuya e Jon Bernthal.

Ha incontrato Lynda LaPlante, creatricedella serie originale?La cosa divertente è che l’ho incontrata aBuckingham Palace. C’è stato un evento perla Regina, poi alcuni di noi sono stati invitatia una sorta di incontro privato. Quando misono avvicinato le ho chiesto: “Cosa èsuccesso a Widows?” Da lì è nata l’idea ditrasformare la serie in un film.C’è voluto qualche anno?L’idea dell’adattamento mi è venuta nel2011, dopo Shame, perché ero stabilmentea Hollywood. Ho iniziato ad andareregolarmente a Chicago e parlare con gentedell’FBI, ex criminali, politici, pastori dellechiese locali. È stato interessante trasportarela storia dalla Londra del 1983 alla Chicagodi oggi, una città molto estrema dal puntodi vista sia politico che razziale. In questosenso era il luogo perfetto dove ambientarela mia storia. Anche se si tratta di unracconto di finzione, desideravo immergerlonella realtà di una metropoli piena dicontraddizioni.C’è un romanzo, un autore poliziescoche l’ha ispirata in particolare? No, Chicago è stata la mia ispirazione, è unarealtà che volevo trascinare dentro la tramadella serie originale.Rispetto alla serie, il suo filmsembrerebbe enfatizzare l’elementopolitico.La cosa interessante è che non ci sonopoliziotti nel mio film. La polizia è complicedel sistema della città, volevo evidenziarel’aspetto politico del racconto e mostrarecome viviamo, come proviamocostantemente a cambiare il pantano dellanostra vita. A volte ci sentiamo cosìparalizzati dal mondo in cui viviamo chenon ne abbiamo la possibilità, ma penso chein qualche modo ci sforziamo di farlo. Sepiove, almeno puoi scegliere il colore del

tuo impermeabile: anche questa è unadecisione concreta, ti stai aggrappando aqualcosa con le tue mani.Parliamo delle vedove: come le hascelte, quanto ci è voluto perindividuare il loro mondo?È stato un processo lungo, perché ipersonaggi per me devono essere credibili.Per quanto riguarda Veronica, non sapevo aquale razza sarebbe appartenuta - latina,nera, bianca. Poi ho incontrato Viola e hocapito che era la persona giusta. Dal miopunto di vista lei è simile a KatharineHepburn e Bette Davis, a Joan Crawford eGreta Garbo! Ha questa gravitas personaleche porta sulla scena come facevano legrandi dive dei film realizzati negli anni ‘30,‘40, ‘50. I film che hanno lei perprotagonista, come quelli di settanta annifa, hanno qualcosa di epico. Per il resto, è unfilm che riguarda le donne: in caso didubbio tornavamo, sia in sceneggiatura cheal montaggio, dalle donne per capire comesi dovesse lavorare sui loro personaggi.Inoltre abbiamo scelto degli attori maschiaffinché portassero con sé un po’ diprofondità. Anche se erano piccoli ruoli,dovevano essere come degli iceberg: se è unruolo piccolo, infatti, devi percepireun’enorme massa sottostante. Penso che cel’abbiamo fatta, spero che il pubblicopercepisca la solidità e la profondità delracconto. Di sicuro è un film diverso da quelli cuici ha abituato…Forse, ma sono convinto che questo filmriguardi una situazione in cui oggi sitrovano in molti, in troppi… Ci sono cosìtante persone che si sentono comeimprigionate in una bolla. Il mio filmracconta cosa succede quando le personedecidono di rompere le bolle!

• MARCO SPAGNOLI

FILMOGRAFIA - Hunger (2008), Sha-me (2011), 12 anni schiavo (2013),Widows - Eredità criminale (2018)

Michelle Rodriguez Viola Davis

La Davis e Liam Neeson

Dimenticare ChicagoQuattro vedove imprigionate in una bolla che sembra non lasciare scampo: Viola Davis guidale donne alla riscossa di “Widows - Eredità criminale”, cambio di registro per l’autore inglese

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••• Da “ragazza del mondo” dueanni fa a figlia “fuori dal mondo”, passandol’anno scorso per snodabile “brutta ecattiva”. Parafrasando alcuni dei sette film,non molti ma molto significativi, da leiinterpretati, ecco Sara Serraiocco da Pescara:curiosa di rischiare, plasmabile fra dramma ecommedia, occhi luminosamente cangianti,insomma brava e ancora molto giovane(agosto 1990, si può rivelarlo). Lanciata nel2013, mentre studiava al CentroSperimentale di Cinematografia, da Salvo,folgorante debutto registico di Piazza &Grassadonia, confermatasi in altre opereprime, alla Berlinale 2015 in Cloro esoprattutto ne La ragazza del mondo alleveneziane Giornate degli Autori 2016. Annoanche di due diversissimi ruoli dacoprotagonista, nel tourbillongenerazionaleitaloamericano byVeronesi Non è unpaese per giovani enell’antropologicomistero sardo alfemminile deL’accabadora di Pau.Nel 2017, in Brutti ecattivi di Gomez sinotano i suoi… piedi,usati come mani nelruolo furbo sexy dicompagna ladra. E oraeccola protagonista, neipanni di figlia ignota, diIn viaggio con Adele:in Puglia esce da unacasa per ragazziproblematici dove vive

abbandonata dai parenti, per andare on theroad con il sorpreso Alessandro Haber,inviatole in soccorso perché… Bastaspoilerare In viaggio con Adele, ennesimaopera prima nel percorso della Serraiocco,diretto dal premiato cortista AlessandroCapitani, commedia su agnizione familiareed empatia fra opposti per età e per stile divita.Sara, ormai per te è naturale esserescelta da registi debuttanti.Sono stata e resto in evidente sintonia con lecreative insicurezze, con le paturnie di registial loro primo passo importante: si fidano delmio entusiasmo. In realtà Capitani fa un po’eccezione, è stato un debuttante più calmoche nevrotico, lui ha un precoce sguardoregistico e con sensibilità lascia andare gliattori verso la prestazione migliore. Ci siamoscelti, ho amato il suo corto Bellissima(vincitore del David di Donatello edistribuito nelle sale dalla Fice, NdR).Il film è scritto dal prolifico NicolaGuaglianone: approfondiamo questatua ragazza fuori dal mondo.Adele ha 25 anni e la sindrome diAsperger, quindi è come senza età:vera, buffa, sensibile,

melodrammatica, reagisce dabambina o da signora, con

dolcezza o durezza; vived’illusioni anche amoroseper nascondere il doloredella sua solitudine. Holavorato sull’accentofoggiano e sull’interazionecol magnifico Haber, di cuiquesta Adele è la vocina

interiore che un po’ lo

trasforma. Alessandro Haber è un artistacomplesso, ma questo è stato un bene perl’alchimia dei nostri personaggi. Nella realtàio sono calma e lui esuberante, tanto chefuori dal set sembravo la sua figlia materna!Quanto ti piace la commedia comegenere portante del cinema?Tantissimo, specie se svicola nel grottesco oha lampi di pura comicità. Faccio giusto duenomi: Paolo Virzì e Woody Allen. Hannostile, intelligenza, sottotesti drammatici. C’èin Italia un fermento di registi giovani,capaci di cose nuove in questo ambito, peresempio Sydney Sibilia. E dico grazie al filmdi Gomez, che mi ha chiesto diversità fisica estrana sensualità, un’esperienza che,amando lavorare sul corpo, ho sfruttato perIn viaggio con Adele.A Los Angeles e Berlino hai appenagirato la stagione 2 di Counterpart,serie thriller trasmessa negli USA con JKSimmons e Olivia Williams.In un’agenzia burocratica berlinese c’è unaporta-passaggio per un mondo parallelo. Iola oltrepasso, quindi interpreto duepersonalità: Nadia Fierro, italiana figlia di unmusicista, nel soprannaturale “altrove”diventa Baldwin, atletica assassina. Le dueme s’incontrano condividendo sentimenti ericordi, ma nell’altro mondo brutalità esessualità salgono di livello. Ho dovutoprepararmi a fondo per fare scene toste eacrobatiche. Poiché la serie è ancora unmistero per l’Italia (salvo per chi fastreaming compulsivo) di più non possodire. Aggiungo solo che assomiglioidealmente alla mitica Nikita di Besson.Dici poco...

• MAURIZIO DI RIENZO

Prossime uscite: 3 dicembre - 5 febbraiowww.fice.it

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Sara Serraioccoi n t e r v i s t a

Empatia tra oppostiUna delle attrici giovani più interessanti del nostro cinema, la pescarese predilige leopere prime, come conferma “In viaggio con Adele”, esordio di Alessandro Capitani

FILMOGRAFIA - Salvo (2013), Cloro (2015), La ragazza del mondo (2016), Non è un paeseper giovani (2017), L'accabadora (2017), Brutti e cattivi (2017), In viaggio con Adele (2017)

IN VIAGGIO CON ADELEBRUTTI E CATTIVI

LA RAGAZZA DEL MONDO

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••• Ancora fresco di studi liceali,sono rimasto a lungo convinto che il nomedel critico, storico e teorico del cinemaGuido Aristarco, di cui in questo mesericorre il centenario dalla nascita (1918-1996), fosse un vezzo linguistico “perantonomasia”, come lo era stato nelSettecento per il critico e scrittoreGiuseppe Baretti, che pungolava i suoicontemporanei con la Frusta letterariafirmandosi, appunto, Aristarco Scannabue;rifacendosi, peraltro, al pedantegrammatico e bibliotecario alessandrinodel II secolo a.C. Aristarco di Samotracia,unico legittimato a portare quel nome findalla nascita. Poi, qualche anno più tardi,quando già iniziavo ad affiancare allavisione disordinata di film e allafrequentazione dei cineclub anni ‘60 irudimenti di una formazione piùsistematica, m’imbattei in due dei suoiprimi, rilevanti contributi alla storia esoprattutto alle idee di cinema: Storiadelle teoriche del film (1951) e Ildissolvimento della ragione. Discorso sulcinema (1965). Aristarco non era quindiuno pseudonimo, era il padre vivente eautorevole della critica cinematografica, epiù ancora l’irriducibile combattente perelevare la Settima Arte al rango di tutte lealtre discipline umanistiche, componentefondamentale della cultura del Novecento.Sarà lui, infatti, insieme a Luigi Chiarini, avincere il primo concorso a cattedra inStoria e critica del cinema, all’Università diTorino dal 1973 e poi a Roma dal 1983,mentre la rivista Cinema nuovo, da luifondata e diretta dal 1952, con la suaimpostazione rigorosamente marxista egramsciana, per tanti cinefili del secondodopoguerra veniva a sostituire la letturadella cattolica Cineforum. Ho avuto inseguito la fortuna di incontrarlo e

conoscerlo più da vicino ai convegni, aifestival di schieramento come Pesaro oFiesole, con i suoi baffoni spioventi, gliocchi acutissimi e beffardi che fulminavanod’intelligenza da dietro le grandi lenti davista, e l’immancabile sigaro toscano,dall’odore acre come le sue battute. Nonho mai capito se sia stato lui, mantovano, adiffondere l’uso di quel fumo terragnonella folta schiera di cinemanuovisti checontornava il maestro fino a notte fonda,oppure se il “toscano” fosse una vagueimportata d’Oltralpe, dalla scuolaavversaria e non certo amata di Bazin eGodard. Personalmente, io che nonsopportavo quegli sbuffi pestilenziali eneanche troppo le conventicole riverenti,devo ad Aristarco, tra l’altro, dellesimpatiche lezioni sulle varietà di grappe edistillati. È stato anche attraverso quelleserate festivaliere e gli studi successivi che apoco a poco ho potuto ricostruire la staturaintellettuale di quel piccolo uomo tenace,critico nato fin dalla Voce di Mantova, cheancora in piena guerra osava denunciare ilpavido formalismo di tanti film letteraridegli anni Quaranta per sostenere la sfidacivile e stilistica di Luchino Visconti, che conOssessione (1943) sembrava avviare lasospirata rinascita del cinema italiano.Aristarco aveva trovato nell’aristocraticocomunista la luce-guida per guadare lapalude del ventennio fascista; per verificarenella pratica del film quelle teorielukacsiane ben assimilate ma ancoratroppo spigolose e astratte; per seguire davicino il faticoso passaggio dalle cronachepostbelliche del neorealismo, purnecessarie e innovative, al respiro piùprofondo del romanzo, l’unica formaritenuta attendibile, anche per il cinema,per registrare i movimenti e letrasformazioni sociali della storia, di ieri

come di oggi. L’arco esemplare andavaquindi per il critico da La terra trema(1948), dove già lo stile apparentementedocumentario s’innestava sul tessutonarrativo verghiano per sondare una“realtà seconda” e sommersa, a Senso(1954), che più che un “tradimento” delneorealismo ne era stato il superamentocosciente. Dibattere sui valori costitutivi,sociali ed etici del cinema era in queglianni, per Aristarco come per molti altricritici e studiosi, un modo diretto perparlare della storia del mondo, e sealcune querelles specifiche rimanevanoconfinate tra le pagine delle riviste dipunta - come per esempio il confronto suRossellini tra André Bazin e il direttore diCinema nuovo - altri temi di rilevanzaculturale, come realtà e realismoscaturito dalla lettura di Senso,investirono molti organi di stampa nonsolo italiani con i contributi critici piùdiversi. Il cinema, come sostenevaAristarco, doveva essere uno deiprotagonisti privilegiati del dibattitoculturale, una fonte primaria dellaconoscenza e della rielaborazioneideologica oltre che stimolo all’agirepolitico. Non statico e ottuso, maaggiornato allo sviluppo, oripiegamento, della storiacontemporanea, crisi e “dissolvimentodella ragione” compresi. Non a caso,quando l’astro viscontiano sembravaripiegarsi nelle spirali dell’intimismodecorativo (memorabile il corso 1985-1987 alla Sapienza di Roma su LuchinoVisconti, poeta e critico delladecadenza), Aristarco seppe individuarenell’utopia e nel dubbio del cinema deifratelli Taviani i segnali di una nuovamodernità, riaffermando così la“ragione” della critica e la sua necessità.

IL VALORE DEL CINEMACento anni dalla nascita di Guido Aristarco, padre della critica cinematografica,dal superamento del Neorealismo al sostegno della sfida civile e stilistica di Visconti

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Polvere di stelle a cura di GIOVANNI MARIA ROSSIr u b r i c h e

SENSO

OSSESSIONE

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THE UNTOUCHABLES

PIERO TOSIPalazzo delle Esposizioni, Roma

••• Il Centro Sperimentale di Cinematografiaorganizza un grande evento dedicato alnovantunennecostumista che, perquasi tre decenni, èstato fra i suoi piùillustri docenti. PieroTosi. Esercizi sullaBellezza. Gli anni delCSC 1988-2016 è iltitolo della mostracurata da StefanoIachetti e allestita alPalazzo delleEsposizioni, che finoal 20 gennaio neripercorrerà il lavoronei laboratori, con l’esposizione di costumi epezzi unici, atti a illustrare il metodod’insegnamento della materia. Ma non ètutto: grazie alle copie in 35 mm conservatenella Cineteca Nazionale sarà possibileammirare su grande schermo le creazionirealizzate in una carriera lunga oltre mezzosecolo. La retrospettiva Il senso del cinema, in programma fino al 2 gennaio, comprendepellicole di registi come Mauro Bolognini (Il bell’Antonio), Mario Monicelli (I compagni), Pier Paolo Pasolini (Medea),Liliana Cavani (Il portiere di notte) esoprattutto Luchino Visconti, al quale louniva la meticolosità nella ricostruzione deiparticolari. Cominciarono a lavorare insiemea teatro e non si separarono più; fu proprioVisconti a farlo esordire sul grande schermocon Bellissima nel 1951, poi arrivaronoSenso, Le notti bianche, Rocco e i suoifratelli, Il gattopardo fino ai lavori dellamaturità. Nell’occasione il CSC promuoveràanche due pubblicazioni: il volume Esercizisulla bellezza, curato da Stefano Iachetti chein una serie di fotografie ricostruisce il lavorodi Tosi con gli allievi, e un numero dellarivista Bianco e nero sulla sua attività incampo cinematografico.

POWELL & PRESSBURGERMuseo del Cinema, Torino

••• Anche quest’anno la retrospettiva delTorino Film Festival è organizzata sottol’egida del Museo del Cinema e curata dalladirettrice Emanuela Martini, esperta dicinema inglese. Verte non a caso su una delle

coppie di cineasti più note eprolifichedella GranBretagna:Michael Powelled EmericPressburger,che negli anniQuaranta eCinquantaraggiunserolivelli artisticialtissimi,firmando unaventina di film a

quattro mani, anche se all’interno deltandem i ruoli erano piuttosto ben definiti,con il primo regista e produttore (per la lorosocietà The Archers, gli arceri) e il secondosceneggiatore. D’altra parte, nei lavori

realizzati da entrambi in mezzaEuropa precedentemente al loroincontro, l’ungherese Pressburgeraveva avuto principalmente compitidi scrittura, mentre Powell si era giàcimentato numerose volte dietro lamacchina da presa, e ancora lo faràdopo lo scioglimento della lorounione, realizzando opere di pregio,la più riuscita delle quali è senz’altroL’occhio che uccide (1960),capolavoro citato in tutte le storie delcinema per la notevolesperimentazione visiva e la riflessionesull’atto della visione e sul cinema

stesso. Con l’aggiunta di alcunilungometraggi del solo Powell, la lorofilmografia verrà riproposta integralmente,con titoli dal grande virtuosismo tecnicoquali Duello a Berlino (1944), Scarpetterosse (1948), I racconti di Hoffmann(1951), che spiccheranno sul grande schermocoi loro fiammeggianti colori, cromatismiche faranno da contrappunto espressivo albianco e nero in maniera unica nel celebreScala al paradiso (1946).

JEAN EUSTACHEMuseo del Cinema, Torino

••• Una seconda retrospettiva del TorinoFilm Festival è dedicata a questo regista che,nella sua breve vita (nato nel 1938 e mortosuicida nel 1981), ha realizzato poche masignificative opere fra documentari, corti elungometraggi, riproponendo, in un’epocain cui era ormai sfumato, lo spirito originariodella Nouvelle Vague in tutto il suo rigore,sia nell’approccio alla tecnica di ripresa, agilee povera di infrastrutture, sia nelle tematichedi riflessione e critica della società, attraversoriferimenti autobiografici come il raccontodelle tradizioni del suo paese in Le cochon(1970) e La rosière de Pessac (1969 e 1979),girato in due versioni per confrontare icambiamenti sociali a distanza di undecennio. Il rigoroso approccio etico emorale alle sue storie non gli rese facile ilrapporto con il mercato, tuttavia il suo nomeè riuscito ad arrivare agli spettatori piùattenti, presso i quali ancora oggi gode diuna certa reputazione. Il pubblico più vasto,invece, lo conosce soprattutto per Lamaman et la putain (1973), il suocapolavoro di tre ore e mezza, conl’icona dellaNouvelle VagueJean-Pierre Léaudal centro di untriangoloamoroso, dovel’arte di Eustacheraggiunge l’apice,toccando toni siaironici chedrammatici.

FESTIVAL LUMIÈREInstitut Lumière, Lione

••• Partenza col botto nel 2009, ospite ClintEastwood, e poi via via Milos Forman, GérardDepardieu, Ken Loach, Quentin Tarantino,Pedro Almodovar, Martin Scorsese,Catherine Deneuve, Wong Kar-wai. Sonobastati dieci anni (nel 2018, dal 13 al 21ottobre, si è giunti alla decima edizione)perché il Festival Lumière di Lioneraggiungesse il vertice delle manifestazionidedicate alla storia del cinema, grazieappunto a ospiti di prestigio, a un’autenticacinefilia, ampie retrospettive e un tandem digrande competenza e doti organizzative,composto da Bertrand Tavernier presidentee Thierry Frémaux direttore. Ospite d’onoreè stata Jane Fonda, a cui è andata la targadel Prix Lumière e che è stata omaggiata conla selezione di una quindicina dilungometraggi ben rappresentativi di unalunga carriera, come La caccia (1966),Barbarella (1968), Non si uccidono cosìanche i cavalli? (1969), Una squillo perl’ispettore Klute (1971), Sindrome cinese(1979), Sul lago dorato (1981), dove recitaaccanto al padre Henry. All’attrice è statadata carta bianca per la selezione di unaserie di film che le sono cari, e lei ha scelto diomaggiare proprio papà Henry concapolavori immortali quali Furore (1940), Laparola ai giurati (1957), C’era una volta ilWest (1968). Ma Jane Fonda non è statal’unica ad intervenire in questa edizione; conlei un gruppo davvero nutrito: AlfonsoCuarón, Peter Bogdanovich, Javier Bardem,Claude Lelouch, Claire Denis, Liv Ullmann.Fra i protagonisti delle retrospettive, ilmaestro cinese del wuxia pian King Hu;Richard Thorpe, regista americano di tantepellicole d’avventura, fino alla ricognizione,con quindici lungometraggi, sulla carriera diHenri Decoin, uno dei tanti solidiprofessionisti su cui poteva contare lacinematografia francese per regalare ruolimemorabili a divi come Jean Gabin, DanielleDarrieux, Louis Jouvet. Fra le novità, illancio di un progetto pluriennale chesi propone di ripresentare l’interafilmografia di Jean-Luc Godard. Ilclima festoso di questo piccologrande festival, attraverso cuil’intera città di Lione si trasformaospitando mostre ed eventi, è statocompletato da iniziative come Lemarché dvd, con quasi cinquemilafilm in vendita, La librairie duvillage, con un’offerta di libridedicati alla Settima Arte e iconcerti, che ogni giorno hannoallietato il pubblico.

Detourr u b r i c h ea cura di UMBERTO FERRARI

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ASPIRANTISTARLETTEGiuseppe Palmaa cura di AntonioMaraldi, SocietàEditrice Il PonteVecchio

••• Tra i grandifotografi del passato c’è

Giuseppe Palmas, uno dei principalifotoreporter italiani del dopoguerra, ma inquesto bel libro fotografico - realizzato graziealla passione e alle ricerche di AntonioMaraldi - è il suo lavoro per il cinema adessere protagonista, in particolare le suefotografie di giovani aspiranti attrici estarlette degli anni Cinquanta. Sognavano didiventare star, ma la dolce vita l’hannoappena sfiorata e le foto scattate da Palmas,nel suo studio o “tra le anse di un Tevere dellaperiferia, le pinete dei dintorni e il mare diFregene o di Ostia”, avevano un finepromozionale: pose e acconciature di ragazzeitaliane come tante che sognavano di essereRita Hayworth, sorrisi maliziosi che oggisembrano ingenui per promuovere unacarriera che il più delle volte non è mainemmeno cominciata. Il libro propone unaraccolta di ritratti resa possibile grazieall’archivio privato della famiglia Palmas e allemeticolose annotazioni lasciate dal fotografo.“No, noi non le conoscevamo bene - scrivePiera Detassis nella sua bella prefazione - e diquasi tutte loro, ragazze timidamente discintedegli anni ‘50 e ‘60, ci resteranno solo questiscatti fatti su commissione, un po’ distratti,pensati per inseguire un sogno”.

SE SI MUOVONO...FALLI SECCHI! Vita di Sam Peckinpahdi David Weddle, edizioni Minimum Fax

••• Maestro del western conincursioni nel noir enell’oscuro della mente, uncinema estremo nella suaviolenza ma anche nella suavisualità, un carattererissoso, introspettivo, masoprattutto, prima di tutto, Il mucchioselvaggio. Sam Peckinpah è stato un registaunico, grandissimo, scomodo, controverso(forse), tanto odiato quanto adorato: odiatoin patria dagli studios (e non solo) per il suocaratteraccio e l’eccesso spettacolarizzato diviolenza nei suoi film, amato in Europa dacerti cinéphiles (non tutti) che vedevano,dietro alla violenza visiva, il significato politicodel suo cinema, che affondava le radicinell’America profonda. Vita e opere delregista californiano si intrecciano nellapreziosa biografia di David Weddle (autore eproduttore televisivo di Star Trek, The twilightzone, Battlestar galactica, CSI), tradotta perMinimum Fax da Anna De Vito: Peckinpah daragazzino andava a cavallo e sapeva sparare ei cowboy di quelle parti li conosceva bene. Ilmaschilismo dei suoi film più noti, quei

desiderio di Luis Buñuel, Fedora di BillyWilder, La signora della porta accanto diFrançois Truffaut, L’argent di RobertBresson, Les plages d’Agnès di AgnèsVarda. In appendice sono pubblicateinvece alcune lettere di Buñuel a Bresson.

CATALOGO DEL CINEMAGIULIANO DALMATAa cura di Alessandro Cuk, edito dall'Associazione NazionaleVenezia Giulia e Dalmazia

••• Difficile e complicato il rapporto tra ilcinema e la cosiddetta questione giulianodalmata. Alessandro Cuk raccoglie per laprima volta in un catalogo audiovisivoitaliano una trentina di “testimonianzefilmiche” che raccontano - con stili, modi,finalità e risultati molto diversi tra loro enell’arco di quasi settant’anni - unpezzetto di storia che è stato a lungosostanzialmente ignorato dal cinemaitaliano, eppure è stato ben testimoniato

da molti documentari (tra i primiquelli girati dall’esercito americanoe raccolti in Combat film e Triestesotto) ma poco raccontato dai filmdi finzione (uno per tutti è Cuorisenza frontiere di Luigi Zampa),allargando occasionalmente losguardo da temi strettamentestorici, sociali e, inevitabilmente,politici a temi di carattere sociale,geografico e di costume. Ilcatalogo raccoglie frammenti distoria e di storie, film esoprattutto

documentari, da Lacittà dolente diMario Bonnard del1948 (tra glisceneggiatori ancheFederico Fellini) adocumentarirecenti comeItaliani sbagliati diDiegoCenetiempo eL’ultima spiaggiadi Thanos Anastopoulos e DavideDel Degan.

cowboy coi jeans strappati e la bandana, ilsangue che zampilla, fanno parte diun’iconografia che ha modellato su quelloche vedeva e immaginava in quelle pianureda ragazzo ma anche su quella che vedevacome l’essenza dell’anima americana,mentre la fragilità delle sue tantedipendenze, della sua solitudine, dei suoidubbi laceranti hanno dato vita a film piùintimi e riflessivi, che rispecchiano un’altrafaccia di Peckinpah, come anche diquell’America fragile e violenta che hasplendidamente consacrato su pellicola.

SENTIERI DELCINEMATOGRAFOSguardi teorici e percorsi nella praticadi Giorgio Tinazzi, Marsilio Editori

••• Alcuni grandi maestri della storia delcinema verso la fine del loro percorsocinematografico hanno realizzato dei film“testamentari”, che rappresentano unasumma del loro cinema e del sentiero da loropercorso, sia nella teoria chenella pratica. Sentieridel cinematografo creaun proprio sguardo epercorso, evidenziandocome “pur nella diversitàdei sentieri autoriali, c’èin tutti la convinzione diun cinema possibile oltrele regole e icondizionamenti”. Laprima parte del libro èdedicata ad analizzare edescrivere quelle che

l’autore definisce“tracce di teoria” (dallaPeriodizzazione a quelli cheintitola Sprazzi di luce, passandoper capitoli che considerano losguardo del pensiero autoriale, letendenze, la sceneggiatura intesacome genere letterario, lascenografia, l’economia dellaforma) mentre la seconda parte èdedicata a quelli che l’autoredefinisce “film testamento” e cheindividua in Lola Montès di MaxOphuls, Quell’oscuro oggetto del

a cura di CHIARA BARBO

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Cinema di cartar u b r i c h e

PAT GARRETT E BILLY KID

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Colonna sonorar u b r i c h e a cura di MARIO MAZZETTI

Dan Jones e altri ON CHESILBEACH (DECCA)

••• Una passione ches’infrange come onde

sulle rocce, l’amore della novella sposa perla musica classica, sentimenti che faticano atrovare espressione compiuta, soprattuttonel sesso: con tali ingredienti la colonnasonora del film dal romanzo breve di IanMcEwan non poteva che essere musicaclassica, finemente arrangiata con la BBCNational Orchestra of Wales e il violinosolista della giovane Esther Yoo: unatessitura mai invadente, non troppo briosanel conferire consistenza ai personaggi. Laparte del leone sono gli estratti da Haydn,Mozart, Schubert, Beethoven, Bach.

Artisti Vari CRAZY RICHASIANS (WATERTOWER)

••• Questa commediaromantica sulla

contaminazione culturale, campioned’incassi negli USA e passata inosservata inItalia, si avvale di una piacevole colonnasonora pop made in Asia, con nomi che anoi non diranno nulla ma cherappresentano una ventata di freschezza emeticciato: dal vintage pop cinese (JasmineChen con tre brani jazzati, su tutti Waitingfor your return) a sonorità contemporanee(My new swag, molto cool) e coveroccidentali (tra cui Madonna e Coldplaytradotti in mandarino).

John Carpenter HALLOWEEN (SACRED BONES)

••• L’ultimo capitolodella serie horror vede ilsuo creatore nel ruolo di

produttore esecutivo, consulente creativo ecompositore, coadiuvato dal figlio Cody e

dal figlioccio Daniel Davies come nelrecente Lost themes. Fu lo stessoCarpenter a comporre le musiche delprimo Halloween nel 1978, innovandonella musica per sintetizzatori che conpoche risorse “crea un’atmosfera”: è iltema principale a dettare il passo anchequi, un motivetto che resta impressonella sua semplicità, accompagnato da unpiano sinistro e da sonorità di elettronicainquietudine: più soldi di un tempo, lastessa ansia.

Matthew Herbert DISOBEDIENCE (VARÈSE SARABANDE)

••• Musicista britannico,sperimentatore sonoroe dj dalle multiformi

identità e progetti, Herbert è allaseconda collaborazione con SebastianLelio dopo Una donna fantastica: per lastoria d’amore saffico all’interno dellacomunità ebrea ortodossa londinese lasua partitura è rarefatta, minimale,atonale: un tappeto sonoro da cuiemergono singoli strumenti earrangiamenti di composta, cripticaeleganza.

Stefan Will TRANSIT ••• Sulle piattaformedigitali è disponibile,più che la colonnasonora de La donna

dello scrittore (Transit), un’antologia chedocumenta il lavoro svolto dal 59ennecompositore tedesco per ChristianPetzold, costantemente al suo fianco tracinema e tv, dalla musica sperimentaleper pianoforte (Wölfe) al jazz raffinato(Phoenix, per cui rilegge Speak low) finoall’ultimo capitolo, con un temastruggente declinato per quartettod’archi, pianoforte e in un raffinatoarpeggio per chitarra, con un effettoipnotico a spirale.

Mogwai KIN(ROCK ACTION)

••• Una melodia per pianoforte esuoni elettronici, nitida e cupa: conEli’s Theme il quartetto scozzese,

che aveva già arricchito coi propri suoni le belleimmagini della serie tv Les revenants e alcunidocumentari, debutta ufficialmente nellacolonna sonora per il cinema con un film difantascienza americano. I suoni sonotipicamente Mogwai, dalla progressionepercussiva di Flee alla lunga e ipnotica Donuts.Basso ed effetti accompagnano la chitarra diStuart Braithwaite in un percorso strumentale(salvo la ballata conclusiva, molto anni ‘80)suggestivo e ricco di contrasti.

Alexandre Desplat OPERATION FINALE (SONY CLASSICAL)

••• Una marcia serrata e percussivacon archi nel finale bolero: pochisemplici tocchi e la nuova partitura

del maestro francese si dispiega con classe: è ilfilm di Chris Weitz sulla cattura di AdolfEichmann e Desplat, con sapiente architetturasonora, esibisce la consueta varietà di toni earrangiamenti, accentuando chiaroscuri etensione emotiva, affidata al violoncello solista.L’apice lo raggiungono Lost children ed Aircontrol, con l’inconfondibile coro.

Giorgio Giampà TIME SHARE (VARÈSE SARABANDE)

••• La fiaba grottesca di SebastianHoffman vede l’apporto delcompositore italiano, già notato ne

Il padre d’Italia e Fraulein, candidato al premioFenix del cinema messicano. Non nuovo alcinema internazionale, il 36enne Giampà creaun’atmosfera di forte presa emotiva con brevicomposizioni per tastiere, archi, marimba,percussioni, rumoristica in un crescendoentropico di sinistra efficacia, che dal gioiososcivola rapidamente nel minaccioso, in cui siriflettono le inquietudini dei personaggi.

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Mostri sacriMark Lanegan & Duke Garwood WITH ANIMALS (HEAVENLY)

••• Secondo album a quattro mani: l’americano dallemille fruttuose collaborazioni e il chitarrista britannicorinnovano un’intesa perfetta fatta di blues terroso, rock

crepuscolare, anime stanche in 12 brani di nuda analogica bellezza (ilcanto d’amore notturno My shadow life). Suoni “polverosi” ma lenitivi,da ascoltare preferibilmente a luci spente e occhi chiusi.

Elvis Costello LOOK NOW (CONCORD)

••• A 5 anni da Wise up ghosts coi Roots, a 20 daPainted from memory con Bacharach e dopol’annuncio della malattia (sconfitta), il grande

Costello ritrova gli Imposters per un’elegante raccolta di short storiesin musica (Stripping papers), tre brani con Bacharach, uno con CaroleKing. L’allievo ha superato i maestri, la voce pur meno limpida di untempo ha conservato il timbro unico.

IndipendentiFucked Up DOSE YOUR DREAMS (MERGE, 2 CD)

••• La band canadese è al quinto album,tanta adrenalina in un hardcore post-punksanguigno e fulmineo, la voce di ruggine di

Damian Abraham per sonorità oltre i confini del genere: inRaise your voice Joyce ecco un controcanto in stile Pixies eun finale per sax. Originali e vivaci, con echi dei Sonic Youth.

Mimosa HURRAH (LA TEMPESTA)

••• Attrice di cinema e teatro, la paveseMimosa Campironi esibisce un’autorialitàfatta di ricerca sonora e vocale e un

approccio alla forma canzone non banale. Sulle orme diL’Aura, al secondo album conferma la propria cifra concanzoni di stimolante fantasia e una cura particolare pergli arrangiamenti.