Sardegna Archeologica - La Civilta Nuragica - Giovanni Lilliu

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SARDEGNA ARCHEOLOGICA Reprints e studi sulla Sardegna antica Collana diretta da Alberto Moravetti la civiltà nuragica

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SARDEGNA ARCHEOLOGICAReprints e studi sulla Sardegna anticaCollana diretta da Alberto Moravetti

la civiltànuragica

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SARDEGNA ARCHEOLOGICAStudi e Monumenti 2

GIOVANNI LILLIU

la civiltànuragica

Introduzione diALBERTO MORAVETTI

Carlo Delfino editore

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La civiltà nuragica ha sempre costituito un tema dominante nell’archeologia sarda,tanto da aver mortificato per lungo tempo lo studio delle culture prenuragiche, dell’età feni-cio-punica e della Sardegna romana e altomedie vale. La particolare attenzione rivolta daglistudiosi a questo periodo della Sardegna antica, appare, però, ampiamente giustificata ove siconsiderino le migliaia di monumenti (nuraghi, villaggi, tombe di giganti, pozzi sacri)-spes-so grandiosi e sempre suggestivi - che segnano il territorio dell’Isola, quasi a fondersi conesso come parte integrante ed essenziale. Alla prepotente originalità deli ‘arch ite’ttura - chenon trova riscontro nell’ambito delle antiche civiltà del Mediterraneo - si aggiunge, poi, ilvalore delle manifestazioni artistiche (si pensi (li bronzi figurati e cilia statuaria di MontiPrama!) e il senso di stupore e di mistero che i nuraghi hanno suscitato, in ogni tempo, nelvisitatore.

E se gli studi e le ricerche di questi ultimi decenni sono stati particolarmente proficuiper la conoscenza del mondo fenicio-punico ed hanno dilatato in misura insospettata l’arcocronologico delle culture prenuragiche, arricchendone e definendone meglio il quadro cul-turale, è pur sempre la civiltà nuragica quella che ancora oggi esercita maggiore fascino sulpubblico non specialista e sugli stessi studiosi.

Chiarito fin dalla prima metà del secolo, soprattutto con gli scavi e le scoperte delTaramelli, il «mistero» della funzione dei nuraghi - che pure, di tanto in tanto, accende la fer-vida immaginazione di «astroarcheologi», «ufologi», ed altri-, sino agli anni Cinquanta, purconosciuta sufficientemente nei suoi aspetti generali, l’età nuragica si presentava ancoracome un blocco omogeneo scarsamente articolato, con pochi punti di rijèrimento sicuri,numerose incertezze e non pochi problemi da risolvere.

Con gli scavi di Barumini, condotti dal Lilliu fra il 1949 e il /956 e rimasti fondamen-talifino ai nostri giorni (G. Lilliu, Il nuraghe di Barumini e la stratigrafia nuragica, in «StudiSardi» XII-XIII (1952-54), 1955, pp. 1-354), venivano riconosciuti nel mondo nuragicomomenti di vita differenziati ai quali corrispondevano fasi edilizie distinte, precise formesocio-economiche, prodotti artistici e materiali d’uso. La pubblicazione di importanti mono-grafie (G. Lilliu, I nuraghi, torri preistoriche della Sardegna, 1962; Id., Sculture dellaSardegna nuragica, 1966), di lavori di sintesi, di saggi e di articoli-da parte dello stesso Lilliue di altri studiosi fondamentali i recenti contributi apparsi nel volume Ichnussa, 1981) ‘l’edi-zione critica di materiali, estesi scavi e fortunati ritrovamenti hanno notevolmente ampliato,nell’ultimo trentennio, il panorama delle nostre conoscenze sulla civiltà nuragica, confortan-do ipotesi già formulate ed aprendo nel contempo nuove tematiche che sono ben lungi dal-l’essere risolte.

In questo volume che apre la serie di Studi e monumenti, Giovanni Lilliu, il Maestroriconosciuto dell’archeologia sarda, presenta un aggiornato ed in parte nuovo quadro dellaciviltà nuragica. Abbandonato lo schema cronologico e culturale emerso a Barumini ed este-so poi all’intera età nuragica-troppo riduttivo e non sempre rispondente allo stato attuale

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della ricerca-l’Autore propone una articolazione per fusi della civiltà nuragica; vengono,infatti, individuale cinque fasi-svolgentesi dal Bronzo antico alla piena età del Ferro-nellequali sono collocati aspetti monumentali, categorie formali e morali, prodotti della culturamateriale e fisionomie inorfoantropologiche, interpretati sia nel loro divenire storico che inrelazione con ambiti culturali esterni.

Ma se le fasi 11-1V, dal Bronzo medio all’età del Ferro (1500-500 a.C.), mostrano unalinea di sviluppo coerente e sufficientemente definita, non poche perplessità sorgono in rela-zione alle fasi I e V

Alla fàse I, del Bronzo antico (1800-1500 a. C.), vengono riferiti esiti finali ed attarda-ti di Abealzu e M. Claro nonché la cultura di Bonndnaro, la quale, finora, è sempre stata con-siderata a sestante e strettamente legata a quella del vaso campaniforme; ne consegue unpolinwrfismno culturale nel quale la «linea» nuragica sembra essere ancora troppo esile eindeterminata. Un quadro, come si vede, piuttosto complesso e comfuso che però, a tutt’og-gi, almeno sulla base delle scarse prove archeologiche in nostro possesso, appare come l’u-nico proponibile. Infatti, a parte le indicazioni emerse dall’esplorazione dei protonuraghi diSa Korona e Bruncu Màdugui e la presenza di ceramica M. Claro segnalata presso numero-si nuraghi, particolare significato acquistano i fittili M. Claro rinvenuti di recente in unatomba di giganti di Lunamatrona, della quale viene data notizia per la prima volta in questovolume.

In quanto alla cultura di Bonndnaro, giova ricordare che, almeno allo stato attuale dellenostre conoscenze, essa si presenta caratterizzata quasi esclusivamente dalla produzionevascolare, mentre sembrano mancare testimonianze precise su tutti quegli aspetti civili emorali che concorrono a formare una cultura; né, d’altra parte, si può ignorare che cera-miche esclusive di questa cultura sono presenti in un numero sempre crescente di tombe digiganti, ed ora, seppure in misura episodica, anche in nuraghi.

E una fuse, questa, ove insieme ai germi di una civiltà nascente convivono ancora moti-vi eneolitici; occorrerà, quindi, vagliarne attentamente i vari elementi costitutivi e studiarnele interrelazioni al fine di poter distinguere sempre più nettamente il filo conduttore che segnala Sardegna del / Bronzo.

Per la fàse %’ dal 500 al 238 a.C., le difficoltà d’inquadramento culturale derivano dalfatto che si tratta di un’epoca particolarmente travagliata e assai poco studiata, nella qualela Sardegna nuragica cessa, probabilmente, di produrre cultura; per questo riesce estrema-mente difficile distinguere elementi culturali che per caratteristiche proprie possano definir-si nuragici.

Nuove scoperte, ricerche finalizzate e, la revisione critica di materiali già noti potrannodare risposta a questi e agli altri complessi problemi che ancora pesano sulla ricostruzionestorico-culturale della civiltà nuragica. Occorrerà spiegare, ad esempio, l’assenza dellaceramica a «pettine» nella Sardegna meridionale, ove, tra l’altro, è quasi del tutto scono-sciuta la tomba di giganti con stele centinata, largamente diffusa, invece, come quella stessaceramica, nel centro-nord dell’Isola. La mancanza, poi, di stratigrafie significative impone lostudio tipologico della ceramica, la quale, a causa dell’esclusività del suo patrimonio forma-le, offre un tenue quadro comparativo con la produzione vascolare delle contemporanee cul-ture del Mediterraneo, fornendo, di conseguenza, scarsi riferimenti cronologici. Si avverte,inoltre, nello studio dell’età nuragica, la carenza di esami chimici sii bronzi e di analisi suresti fizunistici e botanici, mentre sono poche e non sempre accettate le datazioni al C14.

Si sono voluti sottolineare alcuni punti critici che la stessa impostazione problematicadel libro ha suggerito; essi, tuttavia, non alterano in alcun modo la visione complessa, omo-

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genea e dinamica di una civiltà che per lungo tempo è parsa chiusa ed isolata e che ora siapre ed entra in un vasto e fervido contesto mediterraneo ed europeo di contatti fisici e idea-li.

Il volume si segnala, infine, per il ricco apparato illustrativo, grafico e fotografico, chenon vuole essere pura espressione documentaristica, ma tende a ftzr rivivere, attraverso leimmagini, una fra le più affascinanti e misteriose civiltà dei Mediterraneo.

All’Autore dobbiamo gratitudine per questo stimolante e prezioso contributo, mentreall’Editore vanno riconosciuti coraggio e sensibilità culturale per ii non lieve impegno edi-toriale.

Sassari, giugno 1982ALBERTO MORAVETTI

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La lunga tappa della civiltà protosarda,che si svolse durante le età del Bronzo e delFerro dell’Occidente europeo e medi-terraneo, è chiamata, comunemente e tradi-zionalmente, nuragica.

Col nome non si identifica un precisosoggetto etnico né una grande corrente idea-le. Fa da supporto, invece, al termine nu-ragico, il vistoso e singolare fenomeno ar-chitettonico del megalitismo a torre, definito,in lingua locale di antico sustrato me-diterraneo, « nuraghe» (anche nurake, nu-raki, nuraci, nuraxi, nuragi, naracu, ecc.).

E’ una denominazione ovviamente limi-tativa, ma non riduttiva, perché dietro l’aspet-to esteriore e formale del monumento stannocapacità tecnica, impegno economico e forteorganizzazione e aggregazione sociale. Ilnumero dei nuraghi (oltre settemila), la diffu-sione in tutto il territorio isolano (densità0,27 per kmq.), la continuità nel lungotempo, la loro emergente qualità costruttiva,rivelano una grande tradizione culturale col-legata con uno spiccato movimento storico eun assetto civile pluristratificato. Il fattoarchitettonico e ingegneristico del nuraghe è,per così dire, la visualizzazione e la cristalliz-zazione d’uno stato generale di civiltà, riccadi contenuti spirituali e materiali, identifica-bile in un soggetto nazionale uscito da unamalgama di tribù e popoli, che si è venutocostituendo nell’isola a cominciare dalBronzo antico, per continuare e definirsi, conprogetti e comportamenti di vita sempre piùautonomamente elaborati, sino ai tempipienamente storici del primo imperialismo.

Per tutto ciò, a parte l’uso ormai invalsonella letteratura archeologica, il termine di

civiltà nuragica resta valido e caratterizzante.Il nuraghe, infatti, tra i tanti altri aspetti chela compongono e la articolano nel susseguir-si dei secoli, rimane di tale civiltà la costantespecifica ed essenziale « significante », l’uni-co termine esplicito e fisso, per la continuità,di riferimento e definizione.

Il «segno» del nuraghe, con la civiltàorganicamente connessa, è quello che, al paridi noi moderni, ha colpito, in particolare, lastoriografia antica.

Del «nuraghe» è trasposizione mitogra-fica Norax, eroe fondatore di Nora la città piùvecchia della Sardegna, venuto con uno stuo-lo di iberici da Tartesso di Spagna (Sali.Kritz. fr. 9; Sot. IV, 1; Paus. X, 17, 5). Nelparagrafo 100 del de mir. ausc. dello Pseudo-Aristotile, si lege di edifizi sardi grandi ebelli fatti « al modo arcaico dei Greci », e di«tholoi» in specie di mirabili proporzioni.Nelle «tholoi» è esplicito il riferimento ainuraghi nei quali gli scrittori ellenistici, aconoscenza delle classiche costruzioni«micenee», notavano, in comparazione, l’ar-chitettura interna a volta, il gusto della«cavità» che è anche il significato della radi-ce nur del nuraghe. Con gli stessi nuraghi sipotrebbero forse identificare i «daidàieia»(da miceneo da-da-reio), che la tradizionevoleva opera di Dedalo, il costruttore pereccellenza della tarda saga minossica, rifu-giatosi in Sardegna dopo la fuga da Cretaprima e poi da Camico in Sicilia (Sali. Kritz.fr. 7; Paus., X, 17,3; Diodo. IV, 29 e 79,3-4).

Peraltro, nei frammentari e scarni cennidegli storici antichi sull’isola, si coglie anchela conoscenza di molteplici manifestazioni diproduzione materiale e di vita riferibili ai

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tempi più remoti e alla civiltà nuragica inparticolare. Essi scrivono di edifizi pubblici eprivati (tribunali, palestre, tombe, templi)fatti costruire a Dedalo dall’eroe Iolaos, unasorta di demiurgo nazionale collegato conl’etnico indigeno degli lolai (Iolaei) o lolen-ses/Ilienses, e le pianure Iolaia, denomina-zione il cui radicale Io! persiste nella topono-mastica locale di sustrato mediterraneopreindoeuropeo (Diod. IV, 29, V, 15; So!.1,61, IV, 2).

Nel racconto letterario si potrebbero indi-viduare due momenti della civiltà nuragica.Uno, più antico, colle « tholoi », i « daidaleia>, i monumenti costruiti al « modo arcaicodei Greci », corrisponderebbe ai tempi mice-nei (o protogreci). L’altro, più recente, sareb-be un momento che si svolge poco prima eparallelamente al fenomeno delle grandicolonizzazioni storiche dell’Occidente medi-terraneo. E’, quest’ultimo, il momento deglieroi coloni e fondatori (Sardo, Iolaos,Norax), d’un embrionale ordinamento giuri-dico, dell’organizzazione di strutture civiliurbane e del formarsi della stessa condizionepolitico-amministrativa urbana, della razio-nalizzazione dell’agricoltura (mito diAristeo).

Nel primo momento non si precisano no-mi di popoli, sebbene vi saranno stati, sup-poniamo distinti in comunità diverse con pro-pri territori. Ii secondo momento vede defini-ti gli etnici: gli Iloai nelle fertili pianure delCampidano e forse nella conca di 01bia, aNE; i Balari nel Logudoro; i Corsi nel luogomontano della Gallura; i Sardi nel Sud.Questi popoli sembrano organizzati in siste-ma di stati autonomi sovrani a livello territo-riale «cantonale», che non raggiunge ii gradonazionale nemmeno in forma federativa. Nonuno stato nazionale sardo, sebbene si possafigurare una nazionalità sarda, fondata sud’una omogeneità e comunanza di patrimo-nio di valori e di produzione materiale.

Molta forza e consistenza parrebbe ab-biano avuto gli lolai e i Bàlari i quali, ri-tiratisi dalla pianura alla montagna dopo la

rotta toccata alla fine del VI secolo a.C.,combatterono a lungo contro Cartaginesi eRomani. Più rilevanti ancora sembrerebberola struttura e il respiro statuale dei Sardi, se èlecito identificare con essi i Serdàioi nomina-ti in una tabella di bronzo del santuario diOlimpia, di poco posteriore alla metà del VIsecolo a.C. I Serdàioi stringono un patto diamicizia «per sempre» con i Sibariti e i loroalleati, garanti gli dei e la città di Posidonia.Potrebbe essere stata la risposta politico-militare di Sardi e Sibariti alla symmachiapunico-etrusca che nel 540 portò alla vittoriadi Alalia sui Greci, e all’espansione diEtruschi e Cartaginesi nel dominio dellepopolazioni residenti, rispettivamente,nell’Italia meridionale e nella Sardegna. Mala questione è assai controversa.

Queste notizie storiche indicano condi-zione della civiltà nuragica, competitiva, diapertura e di relazione con l’estero, nonché dimobilità. Lo confermano altri dati della tradi-zione letteraria: Sardi soliti a pirateggiare lecoste d’Italia e soprattutto quelle di Pisa(Strab. V, p. 225); andata degli lolai a Cuma(Diod. V, 15); «barbari» d’Occidente, abitan-ti la Sardegna, che inviano al santuario diApollo, in Delfi, una statua in bronzo del dioSardus Pater (Paus. IX, 17). A parte la nonpiena attendibilità dei riferimenti, ne esceuna conoscenza generale di rapporti com-merciali e di intrecci politici tra le popolazio-ni nuragiche e genti etrusche, dell’Italiameridionale e della Grecia, prima che la con-quista cartaginese dell’isola alla fine del VIsecolo troncasse ogni autonoma relazione deiSardi. Si rovescia, così, l’immagine tradizio-nale d’una civiltà indigena chiusa in se stes-sa e subalterna. Invece essa appare capaced’iniziativa, espansiva ed estroversa per lapienezza di identità e la forza culturale dimo-strate, nel riscontro archeologico, dai gran-diosi monumenti architettonici, dalle origina-li sculture e dalla ricchezza e singolarità delresto della produzione materiale fondata sustrutture economiche consistenti.Cenni degli scrittori antichi, su dirette infor-

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mazioni romane, consentono di intuire taluniaspetti della civiltà nuragica anche nel suomomento finale di regressione territorialeverso le zone interne montuose, di recessionesocio-economica e di decadenza civile. E’ unquadro di comunità anarcoidi, ribelli, involu-tesi in costumi barbarici, «barbariche » nellostesso nome: Barbaricini di GregorioMagno, Ep. XXVII, IV, civitates Barbariae diiscrizioni da Preneste e Forum Traiani, deltempo di Tiberio (G. SOTGIU, Iscriz. Lat.Sardegna, p. 125).

Dalla condizione urbana retrocedono allacultura di villaggio, quando non si ato-mizzano nell’abitazione sparsa e seminoma-de dentro grotte e capanne posticce (Paus. X,17; Strab. V, 224). E’ totale la conversioneall’economia pastorale dall’agricoltura cherifiutano; e si cibano, perciò, di latte e carne(Diod. IV, 5, V, 15; Strab. V, p. 225; Varr. d.r.r,I, 16,2). I « santuari » della guerriglia indige-na contro i Romani, nella dura resistenza dal238 al 111 a.C., furono spelonche nascostetra le selve (Zon. VIII, 18) e abitazioni sotter-ranee (Diod. IV, 30, V, 15,4) nelle quali sivogliono riconoscere nuraghi abbandonati esemisepolti dalla rovina, che si prestavanoall’occultamento e alle improvvise sortite inun terreno dove l’uomo poteva essere scova-to soltanto dal fiuto dei cani poliziotti (Zon.VIII, 18). Nuraghi, per altro verso, si ipotiz-zano nei «castra» ricordati da Livio per lacampagna del 177 a.C., finita con la vittoriadi T. Sempronio Gracco sulle forze congiun-te di Balari e Iliesi (Storie, XLI, 2). « Castru», « crastu », « castros », sono denominazio-ni di lingua sarda applicate ancor oggi anuraghi, per cui l’equazione semantica, nonetimologica, « castru » (m) - nuraghe è pos-sibile, se non certa.

In conclusione, la storiografia antica av-verte, sia pure per linee generiche, un’arti-colazione della civiltà delle popolazioni sar-de « nuragiche », e offre segni di quadri inmutamento con distinte caratteristiche po-litiche e socio-economiche, i quali, nell’in-terpretazione comune dei dati, si susseguono

dal «miceneo » sino all’età romana re-pubblicana. Questi periodi storico-culturalidella civiltà nuragica preistorica e proto-storica, li esplicita più concretamente con ric-chezza di particolari, la ricerca archeologica.

Sebbene sia collocabile dentro le età delBronzo e del Ferro, la diversità essenziale divicende della civiltà nuragica sconsiglia diadattarle schematicamente le suddivisioni inperiodi e le delimitazioni cronologiche diqueste età nell’Europa e nella Penisola italia-na da una parte e nell’Egeo dall’altra. Ciò,anche se non manchino parziali e molto limi-tate coincidenze e parallelismi di singolimateriali delle culture nuragiche con elemen-ti delle regioni europea ed egeica, peraltroprofondamente differenti nel loro camminocivile.

Pertanto, preferisco proporre una suc-cessione di fasi della civiltà nuragica, cosìarticolata e definita nel tempo.

Età del Bronzo:

Fase I: 1800-1500 a.C.;Fase II: 15001200; Fase III: 1200- 900.

Età del Ferro:

Fase IV: 900-500;Fase V: 500-38 a.C.

Tra fase e fase si indovinano leggeri stac-chi più che vere rotture; e il sustrato è comepercorso da una linea fondamentale di conti-nuità: appunto la linea «nuragica », segnatadallo specifico monumento che le dà il nome.Sembra, dunque, di percepire una storia a «morbida dialettica », che va per evoluzioneprogressiva (a parte l’involuzione finale)anziché per frattura o rivoluzione. Gli stacchipiù forti sono avvertibili nel passaggio tral’età del Bronzo e quella del Ferro (900 a.C.)e nel crinale tra la fase IV e la V che segna larecessione della civiltà nuragica nell’internoe la sua integrazione nel resto dell’isola pereffetto dell’imperialismo cartaginese.

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E’ questo il tempo dello stato nascente,della condizione aurorale, della liminaritàdella civiltà nuragica. Vengono i primi sti-moli, sono poste le premesse elementari, sicomincia a unire il tessuto delle culture dacui, in seguito di fasi, si formerà l’essenzaunitaria e omogenea, diffusa nell’intero ter-ritorio regionale, della piena civiltà nuragica.

All’inizio della fase, nel fenomeno delmegalitismo, già conosciuto nella precedenteetà del Rame se non nel neolitico recente indiverse manifestazioni (menhirs, dolmenssemplici di pianta rotonda o quadrangolare,dolmens a corridoio, « luogo alto» di M.d’Accoddi di Sassari, fortificazioni di S.Giuseppe di Padria e Monte Baranta diOlmedo), si specificano singole soluzionitecniche, particolari struttivi, schemi plani-metrici poi assunti e composti insieme nellaforma del nuraghe a torre cupolata.

Sono le costruzioni in grandi pietre asecco, dette appunto «protonuraghi », di SaKorona di Villagreca e di Brunku Màdugui-Gésturi, a rivelare il processo architettonico.Nelle stesse è anticipata la doppia valenzafunzionale di abitabilità e di guardia, che saràcaratteristica della maggior parte dei nuraghi.

Dominante, dall’alto d’una rupe calcare astrapiombo, sul sottoposto agglomerato dicapanne di S. Maria, di cultura M. Claro, SaKorona (fig. 1) mostra il disegno d’un’abita-zione circolare monocellulare, del diametroesterno di m. 10,30-11,70 e di rn 6,30-5,50nella camera, con spessore mura

rio medio di m. 2, aumentato a 3 nel lungostrombato corridoio d’ingresso esposto aSSE. Le strutture murarie sono di tecnica «

ciclopica », con massi di calcare poliedrici otondeggianti, composti a incastro, tranne chenel tratto presso la facciata dove si osserva unparamento a filari piuttosto irregolari. Formae struttura fanno vedere un edifizio con carat-teri d’un nuraghé arcaico. Manca solo lacupola, perché l’interno mostra di esserestato coperto con un tetto conico di palilignei a raggera e di strame intonacato d’ar-gilla di cui son restati pezzi improntati dairami. L’unico strato archeologico sul pianoregolarizzato di calpestio dette manufatti eresti di pasto (ossa d’animali e valve di mol-luschi marini) presso il focolare segnato daceneri e carboni. Tra gli oggetti litici, sonopresenti macinelli e pestelli, rotelle (forsefuseruole), « ghiande missili », teste di maz-

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Fig. 1. Pianta e sezione del «protonuraghe» Sa Korona,Villagreca (CA).

Età del Bronzo

Fase 1: 1800-1500 a.C.

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za, affilatoi, accette scheggioidi e un’accet-tina di roccia verde, ossidiane lavorate (puntadi freccia e schegge ritoccate). D’osso, siebbero punteruoli; di metallo, un pugnale dirame o bronzo. Come ornamento, conchigliedi « pectunculus » e di «cardium », forateall’umbone. Significative le ceramiche d’usonelle forme e tecniche delle culture Abealzue M. Claro, commiste nello stesso strato: vasia cestello e tripodi inornati della prima cultu-ra; frammenti di pareti di vasi ingubbiati dirosso, con orli semplici e a tesa, segnate dascanalature e

ornate da motivi incisi a reticolato e impressidi grossi punti inclusi in campi triangolari erettangolari, della seconda cultura. La crono-logia a C 14 di 1740 a.C., data da carbonidella grotta a cultura M. Claro di AcquaCalda di Nuxis, può essere estesa al «proto-

nuraghe» di Sa Korona.Più su, proprio all’inizio della Fase I, ci

porterebbe, se è giusta, la datazione media aCl4, di 1820 a.C., fornita da lastre di sugherocarbonizzato, rinvenute in una camera delBrunku Màdugui (fig. 2).

E’ questa una imponente costruzionepiazzata al filo del ciglio basaltico della giaradi Gésturi, nel risvolto di SE, all’altezza di600 m.l.m.; guarda feraci colline al piede. Lacostituisce una platea ellittica, con fronte ret-tilinea e retroprospetto convesso, dal perime-tro ondulato, dove si potrebbe scorgere lagenesi del gusto di linea concavoconvessa oserpentina, più tardi applicata, non infre-quentemente, in nuraghi trilobati e quadrilo-bati, in tombe di giganti, in templi di evolutaarchitettura geometrica. Nel prospetto dell’e-difizio, a SW, si apre la porta architravatadell’ingresso principale, dietro la quale èsubito una scala a ripiani che conduce all’al-to della piattaforma. A destra della scala rica-vata in un vano a sesto ogivale con pareti afilari e copertura a solaio piano (anticipazio-ne d’una varietà di sezione di anditi d’ingres-so di nuraghi a torre cupolata), si osserva unacelletta a lieve aggetto murario sovrastata dalastroni orizzontali: archetipo delle c.d. «ga-rette» dei citati nuraghi. Sulla sommità dellaplatea si dispongono, contigui, due ampiambienti tondeggianti, costruiti rozzamentecon piccole pietre e malta, coperti in origineda un tetto conico di frasche intonacateall’interno come nella torre-capanna di SaKorona, al cui vano gli ambienti di BrunkuMàdugui tornano anche per le misure diame-trali (m. 6/5,50). A questi ambienti superiori,emergenti col tetto sulla piattaforma, portava,oltre la scala frontale, una scaletta sussidiariaaperta alla destra d’un corridoio d’accessocon l’ingresso nel retroprospetto, in un modoche anticipa le scale d’andito dei successivinuraghi classici, a parte la variante in questiultimi dello svolgimento a spirale, mentre nelBruncu Màdugui il tracciato della scala èortogonale al corridoio longitudinale. Lastruttura della platea è « ciclopica », dai muri

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Fig. 2. Pianta e ricostruzione ideale del «protonuraghe»Brunku Màdugui, Gesturi (CA)

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a strapiombo con grossi massi poliedrici aincastro talvolta disposti a file assimmetri-che.

Abbondante la suppellettile, d’uso casa-lingo. L’industria litica si avvicina a quella diSa Korona: poche schegge e un raschiatoiosiliceo, lame punte e una cuspide di freccia inossidiana oltre numerosi elementi a «crois-sant», da ritenersi denti di falce.Numerosissimi, come a Sa Korona, i pestellisferoidi e cubici, le macine ellittiche; presen-ti le coti rettangolari e le teste di mazza. Inmetallo (rame o bronzo), un coltellino a lamafoliare con lungo codolo. Tra le stoviglie,copiose per quanto monotone nelle forme,con impasti a inclusi silicei compatti o friabi-li e farinosi, cangianti dal nero al nocciola, albruno e al rosato, dalle superfici di color noc-ciola dominante a volte con sfumature rosate,ma anche di aspetto nerolucido specie all’in-terno, alcune fogge riportano alla cultura diM. Claro: scodelle con orlo a tesa, vasi conscanalature e rilievi, « bollitoi » con rispetti-vi coperchi a disco, tegami. Vi sono, però,forme particolari e nuove: grandi vasi pithoi-

di per derrate solide e liquide, vasi globoidi acolletto verticale o riverso in fuori, tazze emi-sferiche e carenate, ciotole troncoconichecon orlo ingrossato e arrotondato, grandi ollecon orlo spesso e appiattito superiormente,larghe teglie. I fondi sono prevalentemente

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Fig. 3. Pianta dello «pseudonuraghe» Corcove, Orotelli(NU) (da Santoni)

Fig. 4. Piante delle tombe di giganti di Baddju Pirastru, Thiesi (SS) e dello «pseudonuraghe» di Crastu, Ghilarza (OR)(da Castaldi e Santoni)

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piani e ristretti in proporzione al corpo e allabocca dei vasi; scarse le anse, impostate perla maggior parte sotto l’orlo o a metà altezza(nei vasi pithoidi), nelle varietà a nastro o alinguetta talvolta accoppiata e forata perappendere i recipienti; in una ciotoletta èforata anche la carena, con lontanissimoricordo « chasseano ». Nel rapporto con laspecie liscia, la ceramica decorata è scarsissi-ma. Speciali vasi, carenati, con orlo ripiegatoad angolo in dentro, mostrano decorazioni ditriangoli con grosso punteggiato o impressio-

ni di cannuccia all’interno, e di costolatureverticali. Talune forme, tecniche e decorazio-ni preludono a quelle divulgate in monumen-ti (nuraghi e tombe di giganti) della successi-va Fase II.

Nel complesso l’aspetto degli oggetti, in-sieme ad alcune soluzioni architettoniche(specie riguardo alla copertura dei vani senzala tholos, e al megalitismo), rende abba-stanza affini, pur nelle disformità, i contestidi Sa Korona e di Brunku Màdugui, collo-candoli in un clima culturale con tradizioni

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Fig. 5. Planimetria di «pseudonuraghi» o «nuraghi a corridoio»:1. Nur. Sant’Alvera 8. Nur. Funtanedda, Sagama2. Nur. Cùnculu, Scano Montiferru 9. Nur. Lighedu, Suni3. Nur. Siligogu, Silanus 10. Nur. Perca ‘e Pazza, Bolotona4. Nur. Tusari, Bortigali 11. Nur. Budas, Tempio5. Nur Seneghe, Suni 12. Nur Tanca Manna, Tempio6. Nur. Gianna Uda, Bonarcado 13. Fronte Mola, Thiesi7. Nur. Mulineddu, Sagama

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neo-calcolitiche, ma anche con apporti nuovidell’età del Bronzo incipiente, i quali tro-veranno seguito, tanto nell’aspetto costrut-tivo quanto nella produzione manifatturiera,nei tempi della piena civiltà nuragica (FaseIT).

Vi sono in Sardegna altre forme di mo-numenti megalitici, denominati generica-mente pseudonuraghi o nuraghi a corridoio ea galleria, nei quali si coglie una nota diarcaismo che li distingue, a parte la diversitàformale, dai nuraghi classici. Una loro altacronologia, anche in questa Fase I, la potreb-bero suggerire taluni nessi iconografici earchitettonici con monumenti mediterranei eatlantico-europei di genesi e di estrazioneneolitiche. Così lo schema dei corridoi fian-cheggiati da cellette (schema a transetto)degli pseudonuraghi Tùsari, Siligogu, FronteMola ecc., ritorna a quello dei longbarrow »inglesi tardo neolitici del gruppo Severn-Costwold (2200-1700 a.C.), e di sepolcri acorridoio brettoni, coevi. In sepolcri delMorbihan e del Finistère trova confronto iltipo di pseudonuraghe con corridoio a letteraL (per esempio, Sant’Alvera-Ozieri, Perca ePazza-Bolòtana). La singolarità di tali costru-zioni sarde, al confronto con quelle franco-inglesi, sta nella diversa valenza funzionale(abitazioni, non sepolcri) e nel rendere construtture a giorno, subaeree, temi monumen-tali che, nei luoghi esterni di comparazione,mantengono il senso ipogeico. Per quantocostruiti in muratura a vista, l’aspetto di taliedifici ricorda quello del tumulo tombale.Anche la figura di certi interni di pseudonu-raghi accenna a somiglianza di pianta conquella di sepolcri megalitici della Sardegna.E’ il caso dello pseudonuraghe Crastu diGhilarza (fig. 4), una costruzione rotondacon due vani (di cui uno a « naveta » fornitolateralmente di due coppie di cellette) apertidistintamente all’esterno e tra di loro comu-nicanti. Lo schema planimetrico a doppiacamera parallela si rivede nella tomba digiganti di Baddju Pirastru di Thiesi (fig. 4); eil particolare delle quattro cellette si ripete

nella tomba di giganti di Làssia o Noazza diBiron (fig. 20), in prossimità dello pseudonu-raghe di Su Nurattolu. Pare dunque di poterindividuare nello pseudonuraghe un tipo ar-chitettonico polivalente che però, nello spe-cifico degli esempi citati, per la posizioneelevata, il particolare habitat, la vicinanza al-l’acqua e la prossimità a insediamenti abita-tivi, è funzionale alla vita umana e all’assettocivile del limitato compendio territoriale. Lostesso si dice degli pseudonuraghi Gazza diBolòtana, Santa Caterina’ di Macorner, SuMolinu di Birori, i quali, per connettersi adolmens ed allées couvertes (S. Basilio,Gode, Tanca sa Marchesa), sembrano rivela-re alta antichità, tale da collocarsi presumi-bilmente in questa fase nuragica I.

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Fig. 6. Piante di «pseudonuraghi» (a sinistra) e di«talaiots» (a destra):1. Corongiu ‘e Maria, Nurri (NU)2. Ses Païsses, Artà (Maiorca)3. Cunculu, Scanu Montiferru (NU)4. Rafal Roig, Mercandal (Minorca)5. Aidu Arbu, Bortigali (NU)6. S. Monica, S. Cristobal (Minorca)

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Fig. 7. Piante di «pseudonuraghi»:1. Friorosu, Mogorella (OR) 5. Sa caddina, Thiesi (SS)2. Nuyrattolu, Semestene (SS) 6. Sant’Alvera o Bottulo, Ozieri3. Mesu ‘e rios, Scanu Montiferru (OR) 7. Fenosu, Bonorva (SS)4. Narva, Seneghe (OR)

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La trasposizione architettonica, da « sot-terraneo » in « ipetrale », si osserva anchenello pseudonuraghe di Friorosu-Mogorella(figg. 7, 1): una costruzione ellittica di metri20x 11,05, di struttura « ciclopica » con gran-di massi poliedrici a incastro in murature diforte inclinazione, assai vicina, di stile, alBrunku Màdugui. La bassa e tozza massamuraria contiene tre corridoi, uno sul latobreve principale e due normali a un latolungo, che introducono ciascuno a celletteoblunghe di m. 5,26-4,87 x 2,62-2,10, coper-te da cupola embrionale di rude fattura. Ilmonumento è di notevole interesse. Il dise-gno planimetrico generale e lo schema in-terno a successione di vani affiancati cupo-lati, con corridoi uscenti all’esterno per luciseparate, offrono concordanze con la figuradei cairns allungati della Bretagna e dellaconca di Parigi e con i « sesi » di Pantelleria.Il manufatto dà l’impressione, per la sua ar-caicità di strutture, di essere il più antico edi-fizio a camera « voltata », sia pur roz-zamente, della civiltà nuragica. Si pone qui ilproblema se queste primitive « tholoi », chenel Friorosu potrebbero essere anche di natu-ra funeraria come nei sepolcri a corridoiocupolati indicati a confronto, siano da con-nettere con il più remoto filone di « tholoi »che dall’Oriente (Creta, Cicladi, Arpachiyah,Alaja) si espande in Occidente (Corsica,Minorca, Penisola iberica, Orcadi,Inghilterra, Scozia) sul finire del III e nelprincipio del IT millennio a.C. Se così fosse,il « mausoleo>’ di Friorosu sarebbe da porsinel primo inizio della nostra Fase I. Pertanto,non avrebbe nulla a che fare col fenomenoespansivo « miceneo » delle « tholoi » che,intorno alla metà del II millennio a.C., avreb-be toccato con grande incidenza la Sardegna,dando luogo ai nuraghi con torre a tholosdiventati tipici e diffusi dappertutto nell’iso-la.

A parte il possibile uso di tc>nba monu-mentale dell’edificio di Friorosu (resti abi-tativi, nelle vicinanze, lo indicherebbero tut-tavia pure di [unzione civile), nella prima

Fase si situano vari tipi di costruzioni, cer-tamente sepolcrali.

Innanzi tutto sono da ricordare gli ipogeia facciata architettonica, di origine e di tradi-zione neo-calcolitica, quelli in particolare asemplice figura di pianta monocellulare,rotonda, oblunga e rettangolare, formanti lamaggioranza dell’insieme; (la minoranza ècostituita dalle più antiche forme, distintedalla maggiore articolazione di vani e per ilrespiro ambientale nel solco dell’esperienzadegli ipogei della cultura di Ozieri). Se necontano, sinora, una cinquantina concentratinell’arca forse genetica del Sassarese, condiffusione rarefatta nel Goceano (Anela).Essi sono caratterizzati, oltre che dalla con-trazione spaziale, dalla presenza d’una stelearcuata scolpita nella roccia (talvolta al cen-tro d’una esedra semicircolare), provvistaalla sommità di tre incavi per accogliere pic-coli betili simbolici in pietra. Nell’ipogeoVIII di Sos Furrighesos di Anela si aggiunge,nell’interno, una complessa e oscura illustra-ziore grafica a base di temi astratti e animali-stici. Menziono, a mo’ di esempio, le grotti-celle elementari a riporto di stele sul prospet-to, di S. Giorgio, Ladrofurti e Molafà diSassari, Ittiari e S. Maria de Iscalas di Osilo,Mesu e Montes, S’adde Asile di Ossi,Pascialzos e Su Padru di Cargeghe, Sai,Leonardo e Sa Figu di Ittiri, Chercos eS’Iscia e sas Piras di Usini, Sas Puntas diTissi, Pedra Lada, S’iscala de su Casa, SaFigu Niedda e Su Calarighe di Florinas, SaRocca Ruja di Muros. Il motivo della stele etaluni schemi planimetrici saranno ripresi erielaborati in costruzioni a vista, in particola-re nelle tombe di giganti. Si dimostra cosìuna saldatura tra ipogeismo e megalistismofunerario, cominciato già dai primi tempidella I Fase.

Per il riflesso culturale e un riferimentocronologico del tipo monumentale nel suofinire, ci soccorre l’ipogeo con estradosso abotte e stele scolpita sul frontone, di CampuLontanu di Florinas (flgg. 14, 26-28), dovesono stati raccolti materiali ceramici di cultu-

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ra Bonnánnaro, anteriori, sembrerebbe, al1500 a.C.

Il genere ipogeico si incontra diretta-mente con quello megalitico in semplici grot-ticelle artificiali precedute da breve anditorettangolare a strutture ortostatiche tabulate,successivamente aggiunto all’ipogeo e colquale forma uno schema di tomba a corri-doio. Se ne conoscono, ad oggi, una dozzinadi esemplari: a San Salvatore (Berchidda),nel Dorgalese (Canudedda e Mariughia) (fig.13), sull’altopiano di Abbasanta (Mesu Enas,S’Angrone, Mura Iddari), a Orune (Conca dejanas), Cheremule (Moseddu) e Talana(Sillacacaro). Nell’ipogeo di Mariughia, unframmento di vaso tripode di culturaBonnánnaro, può suggerire i tempi di questacultura per l’aggiunta del corridoio « dol-menico ». Più significativa è la tomba mista

di Kùkkuru Craboni di Maracalagonis (fig.13). Il nucleo sotterraneo, costruito (par-rebbe) in tempi di cultura Monte Claro, fuampliato col vano megalitico d’accesso nelperiodo più antico della cultura di Bonnán-naro. Lo dimostra la presenza di vasi tripodiassociati a forme carenate e ad altre sagomeceramiche con anse a gomito, rinvenuteinsieme a schegge amorfe di ossidiana e aelementi discoidali di ornamento tratti daconchiglie.

Vorrei ascrivere alla I Fase nuragica laventina di allées couvertes sinora conosciute,tutte in struttura megalitica. Sono costituiteda un lungo corpo rettangolare absidato inpietre ortostatiche come nella camera, puressa rettangolare, coperta da solaio piano dilastroni, l’intera massa costruttiva nascostada tumulo. In un inquadramento più vasto

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Fig. 8. Ceramiche di cultura Bonnannaro dalla «domus dejanas» di Corona Moltna (Bonnannaro) (da FerrareseCeruti)

Fig. 9. Ceramiche di cultura Bonnannaro dalla «domus dejanas» di Corona Moltna (Bonnannaro) (da FerrareseCeruti)

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(eccettuatasi la presenza dell’abside che nonesiste nelle tombe comparabili), le alléessarde richiamano la figura delle «gallerie»dell’Europa occidentale mediterranea, gliesemplari catalani e del Midi francese,soprattutto del gruppo dell’Aude. Ma nonsono da trascurarsi nemmeno i riscontri conle allées apule del gruppo Bari-Taranto, inuso durante l’età del Bronzo e sino all’età delFerro, con inizio tra 2000 e 1800 a.C. (pro-toappenninico-cultura di Cellino San Marcodel Trump). Resta da dimostrare l’ipotesi cheindividua la ragione comune del tipo monu-mentale - anche della variante sarda - nell’e-sistenza d’un unico centro genetico di deriva-zione, che avrebbe avuto grande forza pro-pulsiva ed espansiva in varie direzioni. Sivuole che esso sia nell’area dove si concentra

e si sviluppa il gruppo di allées dell’Aude.

La fase è indicata in particolare da mate-riali dei nuclei ad allées di Li Loighi (fig. 21)e Coddu Vecchiu-Arzachena (fig. 21), poi ri-strutturati a tomba di giganti. A Li Lolghi,dalla parte di fondo della camera di m.3,70x0,95-1,00, proviene un gruppo di cera-miche caratteristiche di cultura Bonnánnaro:vasetti polipodi con bugnette sul corpo asezione d’uovo, ciotole ansate a fondo pianodi forma troncoconica e a segmento sferico,ollette biansate ovoidi con collo a gola e orloaggettante; presente, inoltre, una cuspide dilancia costolata in rame o bronzo. In altropunto della tomba, stava un’ansa «cornuta»tipica, anche essa, di orizzonte alto della cul-tura di Bonnánnaro. Un’ansa simile si è rac-

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Fig. 10. Ceramiche di cultura Bonnannaro dalla «domus dejanas» di Corona Moltna (Bonnannaro) 1-2, e dall’altare diMonte d’Accoddi (Sassari) 3-4 (da Ferrarese Ceruti)

Fig. 11. Vasi polipodi di cultura Bonnannaro dal Sulcis (?),1-4, e da Cuglieri (?) 5. (da Ferrarese Ceruti)

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colta presso la « allée » di Coddu Vecchiu.Vasetti polipodi e anse «cornute» segnanouna direttrice culturale non priva di qualcheaffinità con espressioni materiali di aspettidel Midi mediterraneo francese e dell’Italiasettentrionale (Folada), nei tempi del Bronzoantico.

Anse a gomito con appendice soprelevata,della tipologia di Bonnánnaro, vengono puredalle allées di S. Michele e Tramassunele diFonni (figg. 15-17), la prima con la « galleria» semisotterranea, di m. 6,80 x 1,10, senzarivestimento murario esterno, la seconda conla camera inclusa in un corpo in costruzione,entrambe protette da tumulo. Loro caratteri-stica è di avere la fronte rettilinea segnata alcentro da una stele monumentale, di lavoroben rifinito a scalpello, di forma trapezoida-le, scorniciata nel perimetro e con portelloalla base: la stele della prima tomba misuram. 4 (al piede)/2,30 (in alto) di larghezza e1,50 d’altezza, della seconda m. l,95-1,20x2.Precedenti formali e tecnici di questo tipo distele, anteriore come origine a quello di dise-gno centinato delle stele delle tombe digiganti, sono stati visti nelle porte finte diipogei di cultura Ozieri e in lastroni di chiu-sura delle facciate di dolmens (ad esempio, aSa Coveccada-Mores).

E’ presso le al!ées, come già prima inprossimità di dolmens e altre forme megali-tiche tombali, che vediamo continuare l’usoneolitico-calcolitico dei tnenhirs, di grandi epiccole dimensioni. Tra le 257 pietre sinoranote (25,125,9 e 98 rispettivamente nelleProvince di Sassari, Nuoro, Oristano e Ca-gliari), quelle peritafiche delle « gallerie » diS. Michele e Tramassunele di Fonni, Taerradi Berchidda e San Basilio di Lei, recano unpo’ di luce su una valenza magico-religiosa,di radice naturalistica-animistica, nella I Fa-se nuragica.

Osservazioni fatte nella tomba di gigantidi Aiodda-Nurallào (fig. 22), di recente sco-perta, consentono di situare l’inizio di taleforma di sepoltura, caratterizzata dall’ag-giunta d’uno spazio semicircolare a esedra

davanti al corpo rettangolare della « allée »,nella stessa fase. La tomba presenta le strut-ture, in calcare e arenaria, in gran parte ri-cavate da spezzoni di stele antropomorfe de-corate con segni simbolici (figure umane sti-lizzate capovolte, pugnali ecc.), da ritenersiaver fatto parte di allineamenti peritafici at-tribuibili al calcolitico (2000-1800 a.C.). Ciòsi arguisce dalla presenza al centro dell’ese-dra limitata per il resto da ortostati, d’unastele accuratamente lavorata nel contornoarrotondato ai lati verso la sommità piana enel mezzo variata, sulla fronte spianata, dalportello affiancato da riquadri incavati imi-tanti le false-porte delle grotticelle artificialidi cultura Ozieri. La stele, collocata in posi-zione rovescia, è di riuso, derivata da unaprecedente tomba megalitica, forse ad

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Fig. 12. Tanca Carboni, S. Michele, Fonni (NU): «tomba digiganti» includente un ipogeo (pianta e sezione)

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«allée», contemporanea o di poco posteriorealle stele antropomorfe, a loro volta na-doperate, disposte in filari orizzontali regola-ri leggermente aggettanti, nelle pareti dellacamera funeraria di forma a «naveta ». Al-l’esterno, un ammasso informe di medie epiccole pietre indicano la base del tumulo,che era inclinato dall’abside alla fronte delsepolcro, per lo sdoccio dell’acqua piovana.Tra le scarse suppellettili, ritrovate vicino ainumerosi scheletri, si distinguono un’ansa agomito e punteruoli di rame o bronzo appiat-titi a losanga al centro, in Sardegna associatialla cultura di Bonnánnaro (Kukkuru-Nu-raxi-Séttimo, Cuguttu-Alghero, Nuraghe SaFigu-Ittiri, nuraghe Palmavera-Alghero,TanìCarbonia ecc.), alla quale vengono dalla

cultura « beaker » (S. Elia-Cagliari, AngheluRuju-Alghero, Corongiu e Mari-Iglesias).Fuori dell’isola, il tipo di punteruolo è pre-sente

nella cultura iberica di El Argar (Bronce II) enelle culture centroeuropee di Adleberg eStraubing in contesti espansivi del « beaker>’. E’ interessante osservare, nella tomba digiganti di Aiodda, l’apparire, accanto allastruttura « ortostatica » (sulla fronte), quellaa «filari» (dentro la camera), che ètipicamente «nuragica ». Proporrei di collo-care l’uso della tomba in un punto intermediodella Fase I, e la costruzione piuttosto verso isuoi inizi, fino a prova contraria.

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Fig. 13. Pianta e sezione dell’ipogeo, preceduto da corridoio dolmenico, di Cuccuro Craboni, Maracalagonis (da Atzeni).A destra: pianta e sezione dell’ipogeo, preceduto da corridoio dolmenico di Canuddedda-Dorgali.(da Ferrarese Ceruti)

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Certi particolari della tomba di Aiodda (ese-dra con stele tendente ad arcuarsi, limitata dapietre a coltello), i quali si rivedono in altrisepolcri di giganti con stele centinata e strut-tura ortostatica, inducono a supporre ancheper tale varietà di sepoltura megalitica unaprecoce apparizione nella Fase I. Ciò è puresuggerito dall’osservazione che in alcuniesempi, provvisti o meno di stele ma sempredi struttura ortostatica, si presentano fram-menti ceramici di cultura Monte Claro. Miriferisco ad avanzi raccolti nelle immediateprossimità delle tombe di giganti diOllastedu e Pranu Follas a Gésturi e dentro lacamera a delimitazione di pietre ritte dietro lastele arcuata dell’esedra del sepolcro di SuCuaddu de Mixias (figg. 1819) aLunamatrona. Sc i materiali ritrovati presso iprimi sepolcri potrebbero non essere stretta-mente a questi associati, lo sono invece sicu-ramente nella tomba di Lunamatrona. Il chedimostra, in uno alla nascita assai remota neiprimi tempi del Bronzo antico del tipo sepol-crale a stele arcuata e muratura ortostatica, ilprolungarsi nella stessa età protoenea almenodi taluni aspetti ceramici (se non dell’interacultura) di Monte Claro.

Ciò richiama a recenti osservazioni dimateriali che, almeno sul terreno esterno,associano la cultura di Monte Claro a nuraghimonotorri della Marmilla e del Campidano,sebbene non ci siano prove d’un effettivolegame. La stessa problematica insorge aproposito di ceramiche in prossimità di nura-ghi semplici, riferite alla cultura diBonnánnaro, come a Su Senzu di Sìmala. Inrealtà in questa Fase, specie di frontp alla fre-quenza di costruzioni funerarie, appare assaiscarsa sinora la presenza di nuclei stabili diabitazione, mentre si è pensato piuttosto adaggregati posticci convenienti a una vita inparte seminomade di pastori. Perciò, notevo-le è il valore documentario dell’unico certoesempio di agglomerato di capanne, a muret-ti integrati da strutture lignee come la coper-tura: quello di Sa Turrìcula di Muros(Sassari). In vari livelli vi si rinvennero tega-

mi ansati, ciotole carenate manicate, tazzinecilindroidi, recipienti con coperchi e robusteanse a sopraelevazione più o meno accentua-ta e «cornute », vasi con anse orizzontali ebugne appiattite. Si tratta di forme, tutte ditipologia Bonnánnaro tranne il resto d’un«cuenco » decorato con motivi della culturadel vaso campaniforme. Carboni del focolared’una capanna, hanno dato cronologia a C14di 1510 a.C. Meno variato, perché si tratta diricognizioni di superficie, il quadro cerami-co, di tipologia Borìnánnaro, del piccolo cen-tro abitativo di Costa Tana di Bonarcado,mentre sarebbe da verificare sul terreno laconsistenza dei materiali (fra cui vasi tripodi)segnalati nei luoghi di Mannias e Sa GruttuaManna di Mògoro.

Altri problemi sono posti dallo scavo inatto del nuraghe Trobas di Lunamatrona, unmonotorre rifasciato in mama calcare, a 400metri a SE della tomba di giganti di SuCuaddu de Nixias, con la quale appare con-nesso e non soltanto ambientalmente. Neldeposito di fondo dell’ampia camera tondeg-giante con due nicchioni, dietro il largoingresso fornito di scala sulla sinistra, entrouna spessa massa di cenere sono venuti inluce elementi di suppellettile domestica, liti-ci e ceramici. Di pietra: macine, macinelli epestelli in lava, basalto e altra roccia dura.Nel contesto delle stoviglie, tutte d’impasto,si distinguono olle globulari a colletto e adorlo ingrossato, ciotole troncoconiche, tega-mi e grandi teglie; sul fondo esterno d’unateglia si conservano le impronte della pagliasu cui il vaso fu deposto ad essiccare. Unvasellino globulare a colletto, pluriansato,risalta per l’aspetto nitente, nero-lucido, dellasuperficie. Nella fattura sciatta e nell’impastoscadente di alcune ciotole troncoconiche siscorge la tradizione delle ceramiche di cultu-ra Bonnánnaro. Ma ciò che più colpisce, nelrepertorio vascolare del nuraghe di Trobas, èla presenza frequente della forma di recipien-te con orlo rientrato ortogonalmente decora-to sopra e sotto il bordo da triangoli punteg-giati e da motivo a scacchiera di rettangoli

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alternatamente lisci e tratteggiati. E’ un gene-re di vaso che nel Brunku Màdugui, nellatomba di Su Cuaddu de Nixias e nella grottafuneraria di Tanì (Carbonia) si associa a ce-ramiche di cultura M. Claro.

In sunto, nella Fase nuragica I, parrebbedi individuare un polimorfismo culturaleforse non disgiunto da un pluralismo etnicodistinto nel vasto territorio e diversificatosinel lungo tempo. Infatti, si colgono esiti delleculture M. Claro e Abealzu, quest’ultima conforme ceramiche vicine a quelle delle culturepeninsulari italiane Gaudo-Rinaldone delBronzo antico. Però è la cultura diBonnánnaro, con qualche rispondenza for-

male nella cultura di Polada, a far da fondo ea permeare di sé luoghi e cose della Fase I intutta la regione.

Si tratterebbe di gruppi etnici immigratiforse dall’Occidente mediterraneo (dallaCatalogna o dal Midi), che si integrano nellaprecedente grande tradizione della culturaneolitica di Ozieri, con costumi e produzioniproprie convenienti alla civiltà agropastorale.Parlano una lingua mediterranea, con parti-colare accentuazione basco-caucasica, che iglottologi hanno intravisto in relitti onoma-stici di sustrato, successivi a quelli panmedi-terranei delle genti di Ozieri.

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Fig. 14. Pianta, sezioni e veduta dall’alto della tomba di Campu Lontanu, Florinaas (da Contu)

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Come elementi dell’area transpirenaicacatalana ai quali si associa la cultura del vasocampaniforme, le popolazioni protosardenuragiche a cultura Bonnánnaro, sono di bra-chimorfi piano e curvioccipitali; e i loro restischeletrici, negli ipogei e nelle caverne fune-

rarie, si sovrappongono a quelli degli indige-ni di cultura Ozieri, dolicomorfi di sustratoprimitivo, talmente radicati che le formedurano ancora, specie nella parte meridiona-le dell’isola.Dal carattere in genere severo e pratico nel-

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Fig. 15 Pianta e sezioni della «allée couverte» di S. Michele, Fonni (NU)

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l’essenzialità delle attrezzature materiali (inparticolare nelle ceramiche prive di qualsiasidecorazione), si capiscono la natura e l’abitoguerrieri dei nuovi venuti e la spinta conflit-tuale che essi danno alla vita nell’isola. Liconferma la presenza di armi di pietra emetallo (rame e bronzo). Il metallo si divulgaanche negli oggetti d’uso (punteruoli di ramee bronzo), e ornamentali (anellini di bronzo elamine d’argento). Appare una riflessione più

acuta e drammatica, in queste popolazioni,rispetto al pensiero sereno della civiltà conta-dina delle origini. I simboli della natura rigo-gliosa (idolo femminile di tipo cicladico,segno taurino), caratteristici della culturad’Ozieri, spariscono del tutto nella culturanuragica di Bonnánnaro. Pare avvertirsi unacaduta di ideologie del vecchio mondo pre-

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Fig. 16. «Allée couverte» di Tramassunele, Fonni (NU);lastra della stele trapezoidale con la riquadratura a cornice.

Fig. 17. «Allée couverte» di Tramassunele, Fonni (NU);particolare della lastra di copertura con cuppelle nellasuperficie interna

Fig. 18-19. «Tomba di giganti» di Su Cuaddu de Nixias,Lunamatrona (CA): stele scorniciata a doppia traversa eparticolare del portello

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nuragico, corrispondente a una nuova svoltastorica. Nella tomba di giganti di Aiodda lesteli antropomorfe, riutilizzate nella strutturamuraria, sono state spezzate, forseintenzionalmente. Si infrangono così mate-rialmente gli idoli del passato, simbolica-mente si spezza il filo rosso di concezioni eideali che hanno fatto almeno in parte il lorotempo. L’arte ne registra il declino, essa stes-sa « sommergendosi ». Al mutamento mate-riale esteriore corrisponde una rottura spiri-tuale, anche se non si rinnega l’intera tradi-zione e non si determina una catastrofe poli-tica.

Si precisano alcune categorie morali. Lamorte violenta, sempre vicina in una societàin prevalenza di pastori-guerrieri in conflitto,si tenta di eluderla sino al possibile con l’in-

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Fig. 20. Pianta della «tomba di giganti» di Lassia o Noazzadi Birori (NU)

Fig. 21. Pianta delle «Allée» ristrutturata a «tomba di giganti», di Li Longhi, Arzachena (a sin); pianta e sezione della«allée», ristrutturata a «tyomba di giganti», di Coddu Vecchiu o Capichera Arzachena (a destra)

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venzione di tecniche operatorie che rag-giungono la sofisticata pratica della trapana-zione del cranio umano in vita. Lo stessocostume della deposizione funeraria, con-sistente nel mettere nei sepolcri (allées,tombe di giganti, ipogei) solo il cranio e po-che ossa, indica un modo sbrigativo di to-gliersi il morto o l’ucciso, diverso da quan-do, nei tempi della grande pace neolitica-calcolitica, il defunto si deponeva intero eben composto con tutto il corredo per la vitanell’oltretomba. Adesso c’è, al contrario, ilterrore che il morto, quasi nemico, ritorni trai vivi e si vendichi e, allora, lo si nasconde elo si carica d’un cumulo di rozze pietre, inuna sorta di lapidazione rituale (ipogei di SuCrucifissu di Sassari).

Si capisce che genti così forti e decise adaffermarsi e perpetuare nel tempo la dignitàpropria e del gruppo, dopo aver usato comesepolcri, in principio appena venuti, le grotti-celle artificiali costruite dalle popolazioni diculture Ozieri, Monte Claro e Abealzu-Filigosa e adoperate anche dai gruppi umania cultura « beaker », abbiano scelto ed infa-tizzato il genere megalitico, erigendo tombemiste ipogee-dolmeniche, allées couvertes,ciste dolmeniche e tombe di giganti di variotipo. Non meglio, espressioni monumentalirispondevano a caratteristiche psicologiche emotivazioni ideali severe e semplici come lastessa religione che si ritrovava nell’anticaforma del menhir, di pietra ed anche di legno,concepito come idolo a se stante, in valenzasolare o sessuale o altra o associato, comeabbiamo visto, ai sepolcri prossimi talvolta odentro le aree sacre dei centri abitati.

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Fig. 22. Pianta e sezione della «tomba di giganti» diAiodda, Nurallao (NU) (ril. Atzeni)

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Gli inizi di questa fase sono provatidalla datazione a C14 d’un trave di legnoconservato in struttura nel vano inferioredella torre primitiva del nuraghe diBarumini: 1460 ± 200 a.C., e da carbonidel nuraghe Ortu Comidu-Sardara: 1450-1400 ± 70 (area M). Un passaggio suc-cessivo lo si ha nella cronologia a C14 dicarboni dello strato di fondo della torreantica del nuraghe Pizzinnu di Posada:1399 ± 50, e della zona M del nuragheOrtu Còmidu: 1300-1270 ± 70. Del limi-te finale parla la data a C14 1220±250dello strato 6, camera n, del nuragheAlbucciu-Arzachena, la cui vita si è svol-ta, però, prevalentemente nella Fase III,durando nella IV.

Un orientamento cronologico loportano anche oggetti di bronzo d’undeposito di Ottana, nella Sardegna cen-trale. E’ costituito da una punta e da unpuntale di lancia, e da pugnali e daghe ditipi « ciprioto)’ e «Arreton Down »: ele-menti propri di ripostigli inglesi dellafase Wessex II e di diversi luoghidell’Europa centrale e occidentale, intempi fra 1550 e 1450. Questi materialisuggeriscono la presenza della Sardegnanuragica nelle correnti commerciali eculturali che, nel tardo minoico I, sidirigono dall’Egeo verso le regioni euro-pee, attraverso il Midi francese, lungo levie dell’approvvigionamento dello sta-gno e dell’ambra, e viceversa. Bastiricordare che in una tomba di Cnosso

sono stati rinvenuti pendenti e dischi diambra montati in oro della cultura diWessex e in questa (tomba di UptonLovell-Wilts), vengono dall’Egeo perledi pasta vitrea blu, usate come vaghi dicollana.

E’ nel quadro di tale movimento chesi ipotizza dai più l’arrivo in Sardegnadel modello della « tholos », applicatonel megalitismo a torre del nuraghe.

Il tema « miceneo » della cupola adogiva, affermato a Micene già nelleprime tombe a tholos (1500-1425 a.C.) econcluso nella sua evoluzione entro ilXIV secolo, avrebbe influenzato nonsolo il Continente greco (Orchomcnos,Menidi, Dimmi, Tirinto e Maratona), maanche la Sicilia (sepolcri a tholos dellacultura di Thapsos con ceramiche mi-cenee dei secoli XV-XIV) e la Sardegnanella specificazione del nuraghe e di altriedifizi quali i pozzi sacri.

Non si esclude l’ipotesi. Va peròsottolineato il particolare che nell’isolasarda la «tholos» non mantiene l’origina-ria funzione funeraria, rimasta inalteratanella Grecia e nella Sicilia, ma si trasfor-ma in un modulo costruttivo di fabbrichecivili e di culto. Inoltre, fattasi eccezionedei pozzi dove si conserva il carattereipogeico, la « tholos » si innesta in strut-ture, quali quelle dei nuraghi, subaereeed in elevazione della precedente tradi-zione megalitica locale, rispondenti alladiversa utilizzazione e all’ambiente e ai

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Età del Bronzo

Fase II: 1500-1200 a.C.

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Fig. 23. Planimetrie di nuraghi semplici:1 - Nur. Orrùbiu, Arzana (NU). 14 - Nur. Gurti Aqua, Nurri (NU).2 - Nur. S’Iscala e Pedra, Seméstene (SS). 15 - Nur. Sa Pedra Longa, Nuoro (NU).3 - Nur. Baiolu, Òsilo (SS). 16 - Nur. Su Fráile, Burgos (SS).4 - Nur. Mindeddu, Barisardo (NU). 17 - Nur. Giannas, Flussìo (NU).5 - Nur. Genna Masoni, Gáiro (NU). 18 - Nur. Madrone o Orolìo, Silanus (NU).6 - Nur. Sa Domo ‘e s’Orku, Ittireddu (SS). 19 - Nur. Tittirriola, Bolótana (NU).7 - Nur. Nuraddéo, Suni (NU). 20 - Nur. Abbaùddi, Scanu Montiferru (NU).8 - Nur. Marosini, Tertenia (NU). 21 - Nur. Sa Figu Ránchida, Scanu Montiferru9 - Nur. Mum de Sa Figu, Santulussurgiu (OR). (NU).

10 - Nur. S’Attentu, Orani (NU). 22 - Sa Cuguttada, Mores (SS).11 - Nur. Piandarma, Sassari (SS). 23 - Nur. Murartu, Silanus (NU).12 - Nur. S’Om’e s’Orku, S. Basilio (CA). 24 - Nur. Leortinas, ScnnarIolo (NU).13 - Nur. Karcina, Orrolj (NU). 25 - Nur. S. Antine, Torralba (SS).

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costumi differenziati della civiltà nu-ragica in progresso.

Va pure detto che, diversamente chenel mondo protogreco ed anche in regio-ni e culture occidentali dell’età delBronzo antico insulare (Pantelleria,Corsica, Minorca), in Sardegna il tipoarchitettonico della tholos viene assolu-tamente escluso dagli edifizi sepolcralidove continuano ad essere usate, quasiritualmente, le tradizionali soluzionicostruttive, a pianta rettangolare e acopertura di solaio piano, di stile « dol-menico », di area se non proprio di matri-ce occidentale, mediterranea ed atlanti-co-europea. Del resto non si può dire cheall’insorgere di questo imponente evistoso fenomeno nuragico della torre aiholos abbiano determinatamente contri-buito le preesistenze della Fase I, le qualisono assai rare per non dire eccezionali(edifizio di Friorosu). E soltanto in modosecondario, come a dire a latere, il feno-meno è da vedere preparato e parzial-mente avviato in pseudonuraghi o nura-ghi dalla camera oblunga o quadrango-

lare che passa a un’embrionale cupolaad aggetto (Sa Jacca di Busachi, Mesu erios di Scanu Montiferru). E’così straor-dinario e invadente territorialmente eurbanisticamente, nonché spettacolare,il fatto architettonico della tholo da esse-re considerato come una decisa novità euna svolta, venuta e sviluppatasi dietrouna spinta primaria esterna (anche quella« minoica-micenea ») senza nulla to-gliere al contributo evolutivo dellatradizione costruttiva già esistente nelluogo.

Non ci sono serie difficoltà perammettere che, nella Fase II, siano statecostruite, se non tutte, la massima partedelle torri nuragiche, sia quelle che rima-sero allo stato d’origine, nella forma ele-mentare, sia le altre arricchite, per lo più

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Fig. 24. Planimetria dello pseudonuraghe Sa Iacca, Busachi(OR)

Fig. 25. Piante di nuraghi (a sinistra) e di «torri» dellaCorsica (A destra):1. Nur. Murartu, Silanus (NU)2. « Torre » di Foce, Argiusta Moriccio (Petreto).3. Nur. Sa Coa Filigosa, Moca Croce.5. Nur. Tùsari, Bortigali (Nu).6. « Torre » di Torre, Portovecchio.

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Fig. 27. Veduta laterale della tomba di Campu Lontanu(SS)

Fig. 28. Prospetto della tomba di Campu Lontanu (SS)

Fig. 26. Interno della tomba di Campu Lontanu (SS)

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nella successiva fase, di corpi aggiunti divaria figura e consistenza architettonica.Appunto, lo spazio di trecento anni fra1500 e 1200 a.C., è tale da aver consen-tito di erigere gradatamente i settemila epiù nuraghi turriti, diffusi in tutta laregione come esigeva il tipo costruttivodi generale e non rinunziabile interesse,ma più o meno concentrato nel territorioa seconda dei bisogni delle comunità,della capacità e forza delle loro struttureproduttive e delle situazioni e condizionifisicoambientali.

E’ stato il carattere comune e l’usodivulgato del genere di edifizio a fissarloin uno schema standard organico, forma-

le e funzionale insieme, profondamenteconservativo nelle sue essenze archi tct-tonche I oiiclanicn tali: di un volumeesterno a tronco di cono elevato a girisovrapposti di file orizzontali di pietre inrisega dal basso in alto, e di un vuotointerno cupolato ad anelli aggettanti con-centrici gradualmente ristretti di diame-tro dalla base alla sommità chiusa da unalastra. Un corridoio conduce da fuori adentro la camera rotonda o ellittica, sem-plice di profilo o ampliata da uno o piùnicchioni perimetrali. Una scala a spira-le, ricavata nel vivo della spessa strutturamuraria, con partenza a fior di suolo nelcorridoio o ad altezza dal pavimento nelvano interno, porta ad uno o, dove esisto-no, più piani superiori e, infine, al terraz-zo terminale della costruzione, con osenza parapetto.

Nella forma fondamentale si coglie unaserie di variabili secondarie, dove giocal’inventiva delle maestranze, e interven-gono la natura dei materiali, il cresceredelle esperienze tecniche, i contatti inter-ni ed esterni, il lungo passare del tempoin senso sempre più progressivo e dina-mico.

All’esterno i volumi variano da sago-me svelte e longilinee (Su Nuraxi-Barùmini: diam. di base m. 10 x 18,60d’altezza calcolabile) a coni tronchi pro-porzionati, dall’ampia impostazione delpiede murario (Santu Antine-Torralba:diam. m. 14,40 x 22,00 h. d’altezza cal-colabile).

L’inclinazione dei muri esterni, tendea subire una lieve e lenta trasformazionedal profilo di volume troncoconico aforte scarpa (Su Nuraxi), a media pen-denza (S. Antine), sino a forme subcilin-driche appiattite (Altòriu-Scano

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Fig. 29. Stele con portello arcuato della «tomba di giganti»di Li Lolghi, Arzachena (SS)

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Montiferru); la linea d’inclinazionepassa da un gusto «dolce» (S. Bàrhara-Sindìa) a un segno «rigido>) (S. Sar-bana-Silanus). Nel rapporto massastruttivavuoto, si osserva una continua,anche se molto lenta e prudente, tenden-za all’ampliamento dello spazio, sebbenein nessun caso il vuoto interno del monu-mento giunga a svalorizzare il senso el’effetto massiccio che domina, rude esovrano, l’essenziale semplicità primiti-va dei nuraghi. Un calcolo fatto su 25torri che presentano diametri medi ditorre di m. 11,24 e di tholos di 4,08, conproporzione approssimata tra le duedimensioni di 2,75, mostrano indice

medio di massa spazio di 1,76. Ossia lasomma dello spessore dei muri misuratinella base della sezione diametrale, è di1,76 volte maggiore rispetto al vuotodella camera « voltataIl senso di massa risalta anche dallo spessore delle pareti che, nel gruppo citato di25nuraghi, varia dai m. 5,20 del Leortinas-Sennarìolo, ai m. 2,30 del Nuraddeo-Suni. Si tratta di valori interessanti, nonsolo in rapporto all’angustia predomi-nante come «essenza » negli spazi, maanche per mettere in evidenza la partico-lare tecnica costruttiva a secco con gran-di pietre, fondata sulla solidità e la stabi-

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Fig. 30. Tomba megalitica di Li Lolghi, Arzachena (SS): la allée couverte vista dall’abside del sepolcro

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lità dell’ampiezza del muro, in mancanzadella forza coesiva del cemento.

All’interno offre variabili strutturali,che non si sa quanto identificare con pre-cise variabili cronologiche, il rapportotra l’ampiezza e l’altezza del vano. Lesezioni strette e lanceolate delle camere aogiva sembrano essere più antiche, alme-no all’inizio, di quelle di proporzionequasi identica di pianta e alzato, e questeultime, a loro volta, appaiono originaria-mente più arcaiche rispetto a quelle di

proporzione in cui il diametro predominain modo decisivo, con il progressivo elogico abbassamento o appiattimentodella cupola. L’indice di questo rapportosembra decrescere col trascorrere deltempo e con l’arricchirsi dello spazio. Sipassa così dall’indice di 2,2 del nuragheD mu s’OrkuSarròk (tholos semplice conscala di camera), a 1,61 di Su Nuraxi(tholos a due nicchioni e « garetta » nelcorridoio), a 1,48 del Losa-Abbasanta(thu/os a tre nicchioni con garetta» e

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Fig. 31. Ricostruzione ideale della «tomba di giganti»

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scala di corridoio), a 1,45 di SantuAntine (tholos come l’anteriore, condeambulatorio concentrico), a 1,1 delnuraghe Altoriu-Scario Montiferru, nelquale si apprezzano caratteristichecostruttive dall’apparenza molto recente,e pertanto posteriori alle precedenti.

Finalmente, la variazione del profilodell’andito d’ingresso, costituisce undato dimostrativo della evoluzione cro-nologica della torre nuragica. La lineaobliqua dei soffitti dalla porta esterna,

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Fig. 32. Esedra con stele della «Tomba di giganti» Thomes,Dorgali (NU) prima degli scavi

Fig. 33. Pianta e sezioni della «Tomba di giganti» Thomes, Dorgali (NU) (da Moravetti)

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architravata e con spiraglio di scarico a]modo « micenco », allo sfocio nellacamera, all’inizio molto elevata, si va viavia riducendo sino ad appiattirsi nelsistema gradinato, passandogradualmente dalle sezioni a.igolari-tra-pezoidali-ogivali a quelle rettangolari, ascapito dell’illuminazione e dell’aerazio-ne del vano interno. In genere c’è una cuirispondenza organica delle sezioni diandito e camera con l’evoluzione gradua-le dall’obliquo all ‘orizzontale sino alloschiacciamento della cupola. Così si vaperdendo quella sveltezza e verticalitàche caratterizzano i nuraghi supposti piùantichi per acquistare poco a pocopreponderanza la dimensione di base,

carattere d’un’epoca più recente. Lostesso discorso va fatto per i nicchioni,mentre il vano della o (sebbene presentiraramente) delle scale elicoidali in strut-tura, tendono ad alzarsi con ta0o i ed ogi-vali per facilitare il pasi angolai saggiodel resto non sempre agevole a causadella strettezza del camminamento appe-na rischiarato (e non sempre) da finestri-ni di luce e per i gradini corti ed erti oltreche rozzi nella lavorazione.

Per quanto non lo si possa provare, èintuibile che le torri nelle quali sisovrappongono, per l’altezza, su quellainferiore una o più camere a cupoladecrescenti in diametro ed elevato e!ìnienti in un terrazzo piatto, rappresenti-

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Fig. 34. Esedra con stele della «Tomba di giganti» Thomes, Dorgali (NU)

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no lo svolgimento nel tempo del sempli-ce ed elementare archetipo provvistod’un unico vano terreno, la cui sommitàera accessibile da una scala lignea ester-na. Il sistema di scale incassate e nasco-ste dentro la muratura, sarà venutoovviamente in seguito: prima 1a variantedi camera, che rientra ad ogni piano neivani evitando di perforare l’intera massadel vivo murario senza compromettere lastaticità delle più robuste strutture; poi lavariante d’andito, quasi di norma sullasinistra di chi entra di fronte alla « garet-ta », che corre in continuità nel pieno delmuro, con una pausa ad ogni ripianosulla soglia delle « ogive illuminate daun finestrone architravato (talvolta alleg-gerito da spiraglio triangolare di scaricocome a Micene). E’ un ritrovato tecnicoquest’ultimo di maggiore confidenzacostruttiva, più progredito e recente del-l’altro, almeno in linea teorica.

Motivo delle torri a piani plurimi,oltre l’istanza monumentale pur comesegno di potere, fu quello di ottenere inelevazione lo spazio abbastanza carentein piano, negli stessi nuraghi di un certorespiro ambientale, come il Santu Antine(m. 5,46 di diametro x 7,93 d’altezza).Anche nelle torri a un solo piano con ter-razzo, sebbene raramente, si scomparti-sce in due sezioni orizzontali l’ogiva, permezzo d’un solaio di legno sospeso adaltezza dal pavimento su travi incastratein incavi delle pareti. E’ un espedienteriscontrato nel nuraghe Giorba-Alghero,un 1110110_ torre di calcare a file rego-lari di blocchi quadrangolari e rettango-lari, più grandi e meno curati alla base,con andito marginato da scala e « garetta», camera tondeggiante di m. 4,50-4,75di diametro, con tre celle a raggela nelladestra dalle quali muove dal piano una

scala intermuraria di servizio che rag-giunge, attraverso un’apertura sopraele-vata dal pavimento, il solaio ligneo. Unaconforme strutturazione sarebbe daimmaginare, almeno per meta dell’am-piezza, nella thu/os senza nicchie delnuraghe Is Paras di Isili, d’un sol pianoterrazzato in belle assise di calcare. Varilevato, però, che la divisione avrebbequi disturbato e alterato la continuitàarmonica della « tholos »: la maggioredella Sardegna (m. 6,40 di diam. x 11,30d’alt., indice 1,76), i cui 33 anelli di lun-ghi e scelti blocchi parallelepipedi ricor-dano per le fattezze le « Xo’c pao-rçp’o‘> dello scritto pseudoaristotelico.Una soffittatura tutta di legno, poggiatasu riseghe del vano-torre in corrispon-denza ai due piani superiori, sostituiva lasovrapposizione di ogive in muratura delnuraghe Oes di Torralba: un cono inbasalto, ampio e maestoso, dal profiloregolare e uniforme da ogni parte, a filedi pietre sempre minori nelle proporzio-ni e sempre più accurate nel lavoro sinoa determinare, nei giri prossimi alla som-mità svettata, un paramento quasi isodo-mo.

La struttura delle torri si realizza fon-damentalmente in due classi di opera

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Fig. 35. Parte inferiore della stele centinata della tomba digiganti di Preda Rhua Oliena (NU)

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muraria, che danno un aspetto abbastan-za differenziato alla costruzione, solidatuttavia e resistente all’usura degli uomi-ni e del tempo tanto da essere giunta sinoa noi, in ambedue i sistemi costruttivi.Una classe è costituita dall’opera « poli-gonale » o « ciclopica », dove la muratu-ra di blocchi poliedrici o tondeggiantiappena o punto sbozzati si accumulano,senza un ordine apparente, concatenan-dosi però a incastro di vuoto e pienonelle connessure di contatto che vengonointegrate con scaglie e zeppe più o menonutrite. Talvolta, le pietre salgono sulinee oblique fra di loro parallele, senzanette divisioni delle superfici mosse echiaroscurate. Si hanno esempi in porfi-rite (Domu s’Orku-Sarròk), in granito(Asoru-San Vito), di basalto (Su Nuraxi-Barùmini), di calcare (S’Orku-Domusnovas) ecc. L’altra classe diopera, « subquadrata », compone struttu-re a filari scanditi geometricamente inpiani orizzontali, di blocchi tagliati inquadro più o meno accuratamente, taloracon particolare eleganza. Risultano para-menti ben ordinati, spesso tersi e riposa-ti nella cadenza ritmica delle assise cre-scenti in regolarità e nel lavoro delle pie-tre col salire delle composte murature.Menziono, in questa tecnica costruttiva, icitati nuraghi Giorba e is Paras (in calca-re), S. Antine e Oes (in basalto), il Piscu-Suelli (in mama calcare), il Drònnoro-Fonni (in granito). Alla scelta dei duesistemi di opera muraria ha concorsocerto la qualità dei materiali a disposizio-ne, ma di più hanno influito le conoscen-ze tecniche e l’età che sembra più anticanelle torri col paramento « poligonale »,senza escludere parziali persistenze eparallelismi con i volumi realizzati nelmodo « subquadrato» a filari. Va rifiuta-

ta, comunque, l’identificazione delle dueclassi costruttive con popoli diversi (poligonale » = Ciclopi e « subquadrato »Asiatici, postulati dal Petit Radel).Infatti esse si esprimono in luoghi geo-grafici e in forme storico-culturali comu-ni della civiltà nuragica.

Ancor oggi continua il dibattito teori-co, cominciato nel secolo XVI, sulla fun-zione e uso di questi nuraghi a torri iso-late, che costellano a migliaia tutto il ter-ritorio regionale. La concomitanza conessi di numerose tombe megalitiche(tombe di giganti) porta a negarne ladestinazione funeraria, come un tempo sicredeva. Un argomento del genere non sipuò invece addurre per l’interpretazione,pure proposta, di monumenti del culto,perché, in realtà, per questa fase che vedemoltiplicarsi le torri, edifizi riconoscibilicome templi sono al confronto in nume-ro veramente esiguo e nemmeno di certaattribuzione cronologica alla fase stessa.Perciò si può capire che, tuttora come inpassato, vi sia chi caldeggi se non pertutti, per una parte dei nuraghi l’utilizza-zione cultuale, precisandone punti emodalità di manifestazioni. Senonchéquesta ipotesi, alla quale pure potrebberofar inclinare la forma monumentale e ilvolume a cono, quasi simbolico, delletorri che si elevano come un altare e lacollocazione spesso in luoghi dominantie attrattivi come quella di chiesa e di san-tuari montani moderni, trova molte eserie difficoltà e gravi obbiezioni peressere accettata. Il grande numero e laproliferazione sul terreno che, se si con-nettessero gli edifizi col fenomeno re-ligioso pur profondamente sentito daiSardi nuragici, figurerebbero l’immagineirreale e mitica cf’un’isola sacra e di unpopolo di

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« lotofagi » anziché di guerrieri quale fueffettivamente, ostano all’interpretazionetemplare non meno di altri dati struttura-li. Sono questi l’angustia dello spazio, ladifficoltà voluta di circolazione interna ela non accessibilità sull’alto delle torridall’esterno se non con mezzi retrattili, ilsistema complesso delle scale intermura-rie integrate con le posticce di legno o dicorda, l’interno dispositivo dei vani,scarsamente illuminati, concepito conuna sorta di gusto « labirintico », quasi

impeditivo e introverso e, comunque,pienamente fruibile soltanto da chi neconosceva l’intrico e la singola funziona-lità ambientale sin nel più segreto reces-so.

Si aggiunge che all’immagine diluogo sacro poco o nulla rispondono lapostura prevalente delle torri in posti ele-vati di largo dominio, il loro collegamen-to visuale e l’inserimento in complessireciprocamente funzionali, la conformitàa delimitazioni territoriali, alla morfolo-

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Fig. 36. Daghe in bronzo da località sconosciuta (da Lo schiavo)

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gia e ad altre condizioni naturali nonchéa risorse e strutture produttive vitalidiversificate economicamente.

Tali condizioni si adattano invece allaipotesi più attendibile e accreditatascientificamente circa la destinazione deinuraghi. Si ritiene cioè che essi sianostati usati, sin dall’origine, come abita-zione e difesa insieme. Che siano statiedifizi civili riservati ai capi e ai lorinuclei familiari opportunamente protetti,in vicinanza e a dominio del connesso edipendente villaggio, sede di vita e delleattività di gruppi tribali più o meno con-sistenti in rapporto col potere reale ocarismatico del piccolo sovrano e col li-vello economico e sociale della comunitàconsenziente. Nella modestia del j tessu-to di capanne dell’agglomerato abitativo,il nuraghe si distingueva, elevandosi conla forma turrita, per la potenza dellestrutture e l’architettura « voltata » del-l’interno. Il grosso edificio megaliticoera, per così dire, il simbolo del potere.Fungeva da vigile difesa del capo e degliabitanti. Era la residenza della famiglia

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Fig. 37. Piante delle «tombe di giganti» di Li Mizzani,Palau (SS) e di Su Monte de s’Ape, Olbia (SS)

(da castaldi)

Fig. 38. Pianta delle «tombe di giganti» di Goronna,Paulilatino (OR)

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reale, confortevole e igienica pur nellegrandi carenze, in confronto allo statoabitativo dei sudditi in dimore capanni-cole umide, a piano terra. Infatti i capialloggiavano, nelle torri a più piani e ter-razzo, nelle camere sopraelevate, cheerano asciutte, illuminate e ventilate.

Un recente studio sui fattori geografi-ci della distribuzione dei nuraghi nellaSardegna nord-occidentale (768 nuraghiin circa 3.963 kmq., densità di un nura-ghe ogni 4,81kmq.), porta un notevole contributoall’ipotesi interpretativa dell’abitabilità edel controllo di tali edifizi, nonché alloró assetto e uso territoriale. Il 53,7%occupa altitudini tra i 250 e i 500 metri,in zone essenzialmente di collina. Lungole coste, per una fascia profonda 10 km.,la densità è di un nuraghe ogni 11,44kmq., inferiore alla media, ma più deldoppio in corrispondenza agli approdinaturali (1 ogni 4,79 kmq.). Il 72,7% èsituato a meno di 400 metri dalla sorgen-te più vicina, ma per il 39,6% la distanzaè inferiore ai 200 metri. Non mai ubicatisulle vette dei rilievi principali, i nuraghidi norma si elevano lungo bordi spor-genti di altopiani, lungo particolari strut-ture di declivio o corrispondentemente agibbosità addossate a rilievi.Mancanti quasi totalmente nelle pianurealluvionali, si addensano di più nei terre-ni basaltici (1 nuraghe ogni 2,1 kmq.) etrachiandesitici (1 ogni 3,8) dove sonodisponibili in superficie blocchi a spigolivivi idonei per edificare a secco. Invecenei terreni metamorfici (1 nuraghe ogni16,9 kmq. e granititi (1 ogni 18,3) si regi-strano le densità minori poiché il mate-riale da costruzione o è assai scarso o èdisponibile soltanto in elementi ar-rotondati meno idonei a far muro. Il

51,1% dei nuraghi dista meno di 250metri dal corso d’acqua più vicino, masolo il 7,2% si trova a una distanza infe-riore ai 50 metri. Quasi tutti gli edifizihanno un’esposizione rispetto al rilievoche consente una facile osservazione avalle e tutti sono strettamente legati a fat-tori ambientali (approdi, corsi d’acqua,valichi, guadi) e a particolari strutturegeologiche e geomorfologiche del terre-no con specificità pedologiche connessecon un’economia agro-pastorale preva-lente, per non dire esclusiva. In definiti-va il nuraghe quantifica e qualifica sestesso da tali condizioni di liabi/ol e, nelcontempo, dà significato oggettivo eumano al medesimo, in una realtà quoti-diana cli vita e di lavoro.

Dei villaggi della Fase IT,contemporanei ai nuraghi monotorri, chedovevano essere numerosi, non si cono-scono ancora resti di sicura identificazio-ne culturale e cronologica. Essi dovette-ro essere assorbiti, se non cancellati deltutto, dagli agglomerati della Fase III,

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Fig. 39. Pianta delle «tombe di giganti» I di Tamuli,Macomer (NU)

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Fig. 40-41. Sassari, Museo Archeologico Nazionale: ceramiche dalla «tomba di giganti» I di Tamuli, Macomer (NU)

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Fig. 42. Ingresso visto dall’interno della tomba di giganti di Muraguada Bauladu (OR)

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Fig. 43. Prospetto della «tombe di giganti» di Muraguada, Bauladu (OR)

Fig. 44. Pianta e sezioni della «tombe di giganti» di Muraguada, Bauladu (OR)

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dei quali, a differenza dei primitivi,restano avanzi murari e elementi di indu-stria utili per individuare l’identità dicultura e la collocazione nel tempo.

Passando a considerare il generefunerario della Fase II, è da riferirgli unaparte delle 300 e più tombe di gigantisinora conosciute nell’isola. Vi apparten-gono sepolcri del tipo, a strutture ortosta-tiche con esedra segnata da stele centina-ta, e a struttura a filari mantenuta anchenello spazio semicircolare antistante,privo di stele. Sono sviluppi delle tombemegalitiche della fase precedente, informe progredite e meglio definite, non-ché più estese nel territorio in corrispon-denza al inoltiplicarsi delle torri con lequali sono per lo più connesse vi-sualmente e funzionalmente, costituen-done i sepolcri degli abitanti. Vi si sep-pellivano anche, collettivamente e spessocoli rito « secondario » dopo la scarnifi-cazione e scomposizione dello scheletro,i morti dei villaggi presso cui si situanole tombe, a qualche centinaio di metri didistanza quando non si approssimano ailimi ti. Le cataste di defunti eranoaccompagnate da scarsa suppellel ie perl’uso simbolico nell’aldilà. Frequenti enumerose, invece, le offerte di vasi interracotta e altri oggetti sulle banchine osul piano nudo dell’esedra, dove si cele-bravano cerimonie funebri nella ricorren-za dei morti e forse anche si effettuaval’incubazione per guarire i mali psichicie fisici, come informa la tradizione lette-raria antica.

Nel tipo di tomba di giganti coli strut-tura ortostatica e stele centinata, sono re-lativamente significativi in senso cultura-

le e cronologico, gli esempi di Goronnadi Pau]ilatino e Tamuli di Macornér,entrambi facenti parte d’un gruppo didue sepolcri megalitici del genere, nellecondizioni di vicinanza a nuraghi e vil-laggi, sopraccennate.

La maggiore delle tombe di Goronna(fig. 38), presenta un corpo rettangolareabsidato a profilo concavo-convesso, dim. 24,60 di lunghezza, con emiciclofrontale di iii. lO di corda. Contiene unacamera allungata per ben m. 18,25 elarga appena m. 1,31 (superficie mq.23,90; rapporto massa-spazio 3,45),chiusa, in origine, da lastroni piani dibasalto di cui se ne conserva soltantouno, all’altezza di m. 1,40 dal suolo (mc.2,16, peso t. 6,78). Rimane un frammen-to della stele arcuata, scorniciata e conlistello trasversale, dell’altezza origina-ria calcolabile in fll. 3,20, di poco infe-riore alla media m. 3,67 d’una dozzenadi questo tipo evoluto di stele; (la più altaè quella della tomba di giganti di Coddu-Vecchiu-Arzachena: m 4,04, la più bassaquella di Su Crastu CovaccaduBonorva:m. 2,60). Nell’esedra stavano betili coni-ci in funzione semantica e simbolica.Dall’emiciclo dalla «galleria» tombale siebbero suppellettili litiche e ceramiche:punte di freccia e schegge di ossidiana,un truogob con incavo tondeggiante(lampada?); vasi di impasto rozzo o dibuona fattura di aspetto « buccheroicle »,in forma di pentole bitroncoconiche ecilindrosferiche, scodelloni troncoconici,ciotole emisferiche, piatti e tegami. Tra imanici, a lingua, ad anello, anche il tipoa gomito con appendice rialzata diBonnànnaro, aspetto presente nel conte-

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Fig. 45. Betili dalla tomba di giganti di s’abbaia silanus(NU) ed ora presso la chiesa di San Lorenzo

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sto vascolare per la massima parte asuperfici lisce. Fa eccezione un vasobiconico, a spalle rientranti e orlo piega-to in dentro ad angolo, fornito d’ansa alargo nastro, con ornato di triangoli con-trapposti limitati da incisioii e riempiti difitto e grosso punteggiato. E’ in tipo diceramica che trova precedenti nelro!onu-raghe di Brunku Màdugui, nella tombadi giganti di Sii Cuaddu de Nixias e nellagrotta naturale funeraria di Tanì(Carbonia), nella quale si succedonostrati archeologici di cultura MonteClaro e Bonnánnaro. Ma si riproducesoprattutto nella Fase II in monumentidiversi dalle tombe di giganti della formain esame. Se ne sono trovati esemplarinell’ipogeo III di Sa Figu di Ittiri, un ma-

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Fig. 46. Quartucciu, Is Concias: pianta e sezioni della tomba di giganti di Sa Domu ‘e S’Orku (da Atzeni)

Fig. 47. Profili di ceramiche nuragiche dalla tomba digiganti di Sa Domu ‘e S’Orku Quartucciu (CA)

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nufatto aperto in roccia nella Fase I e ri-strutturato nella II applicando a parte sulprospetto rupestre una stele centinata.Altri elementi vengono dal nuraghe com-plesso di Domu Béccia di Uras, è da pre-sumere dalla torre centrale più antica chesi situa nella Fase II mostrando eccezio-nalmente materiali dell’epoca.

Simili vasi con orlo girato angolar-mente verso l’interno, variato da fori, edecorati con sistemi metopali o a scac-chiera, talora anche a triangoli pieni divi-si da uno zig-zag liscio, campiti con fittapunteggiatura impressa a crudo col petti-ne o strumenti affini, sono stati rinvenutinella tomba di giganti I di Tamuli-Macomér, con stele nel mezzo dell’ese-dra e betili conici, lisci e mammellati,vicini. Pare di cogliere, in questi duesepolcri, un momento avanzato dellacultura di Bonnánnaro, nel quale comin-cia timidamente a riemergere il gustoestetico della decorazione, evocandomotivi tradizionali neo-calcolitici. Ilgusto si svilupperà, nella tecnica dellaceramica a pettine, nella Fase III, ma visono eccezioni nel finale della Fase II.

Le tombe di Goronna e Tamuli,costruite dopo il 1500 a.C., potrebberoaver avuto uso pieno nel corso del seco-lo XV.

Per le caratteristiche architettoniche eil corredo funerario si stringe alla tombadi giganti di Goronna quella di Thomes(Dorgali) (figg. 32-34), recentementescavata. Alcune anse asciformi e «cornu-te)> e un piede cilindrico di vaso polipo-do vi rappresentano esplicitamente lacultura di Bonnánnaro In altri frammentivascolari di medie dimensioni ad orloappiattito e nervatura verticale, e in tega-mi, olle, scodelle e tazze pseudocarenatesono piuttosto da riconoscere elementi

significativi di cultura nuragica della fasesuccessiva, se non della fine della FaseII, chiarendo così un lungo uso del sepol-cro megalitico.

Non si possono staccare da questoperiodo le tombe di giganti di similestruttura di M. de s’Ape-Olbia, TancaOrrios-Benetutti, Sos Ozzastros e SuSerrati de s’Arriu (Tanca Regia)-Abbasanta, Sueredu-Dorgali. In essesono presenti esemplari ceramici di tipo-logia Bonnánnaro.

Posteriore (secolo XIV?) parrebbe,invece, la ristrutturazione a tomba digiganti del megalito di Li Lolghi-Arzachena (fig. 21). La camera aggiuntaall’originaria « galleria », due volte emezzo più lunga (m. 9,60) del nucleo ad« allée » e larga m. 1,15-1,00, mpstra la

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Fig. 48. Pianta e sezione della tomba di giganti di Sa Domu‘e S’Orku, Siddi (CA) (da Atzeni)

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struttura ortostatica integrata e regolariz-zata in piano da filaretti di piccole pietre.Nel mezzo dell’esedra, spicca la stelecentinata monolitica verso cui convergo-no crescendo d’altezza i lastroni a coltel-lo di contorno all’emiciclo. Tra i materia-li, nessun caratteristico segno di culturaBonnánnaro, ma neanche un esemplaredi ceramica a pettine, pochi vasi a collorientrante sottolineati all’esterno da brevinervature verticali; per il resto, tegamimono e biansati, ciotoloni a segmentosferico e cilindro-sferico biansati, ciotoleemisferiche monoansate, tazze carenatecon spalla rientrante rigida o concava,olle ovoidi biansate con fondo piatto delpari che tutto il repertorio vascolare. Nelgenere, per lo più liscio, staccano fram-menti di spiane, col fondo impresso dafile di brevi solchi a stecca, reminiscenzatecnica del neolitico.

Al termine della Fase II, suggeritodalla cronologia del collagene delle ossaurna 1220 ± 50 a.C., si colloca la tombadi Oridda-Sénnori. Si tratta di un ipogeoa galleria rettangolare (m. 7,45 dilunghezza x 0,85-0,75 di larghezza),rivestito nelle pareti da piccole pietre inopera incerta leggermente aggettantisotto il solaio piano chiuso a m. 1,15-1,65 d’altezza. La fronte del sepolcro èristrutturata a esedra di tomba di giganti,di m. 9,50 di corda, marcata nel mezzodalla stele scorniciata, qui di forma qua-drangolare, col portello ad archivolto inrilievo. Nelle suppellettili ceramiche, va-si a collo rientrante con nervature verti-cali si associano a un’ansa a gomito rial-zato di tipo Bonnánnaro (esemplare fina-le ditale cultura); per il resto, figurano,numerosi, i soliti tegami ansati, scodello-ni monoansati troncoconici, ciotole emi-sferiche e a tre quart” di sfera, tazze care-

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Fig. 49. Uri (SS): in alto nuraghe Pigalvedda, in bassonuraghe Su Igante

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nate e pseudocarenate ansate o meno,olle cilindro-coniche e globoidi the rien-trano verso la bocca. Tra i motivi di J-corazione, scarsi in rapporto alla quantitàdi esemplari lisci, si notano: coppelleimpresse a dito sulle olle globoidi, grup-pi di line verticali, alternate a spazi vuoticome in sequenza di triglifi e metope,graffite a cotto sulla spalla di ciotolecarenate « buccheroidi », zone concentri-che striate o serie di incavi stondatiimpressi dalla stuoia, sul fondo esternopiatto di recipienti indeterminati; tecni-che, anche queste, della tradizione neoli-

tica recente (cultura di Ozieri). In terra-cotta, da notare pure una fuseruola bico-nica, tanto piccola da ritenersi vago dicollana come una valva di cardiurn fora-ta. Indicativi dell’età del bronzo, punte-ruoli di tale lega, di cui uno col manicod’osso.

Assai meno ragguagliati, quanto astato culturale e posizione cronologica,siamo per le tombe di giganti di strutturaa filari, comunemente detta « nuragica ».La varietà strutturale sembra prediligerele zone meridionali della Sardegna dove,invece, a differenza che nel Centro-nord,è piuttosto scarsa, per non dire rara, lavarietà a struttura ortostatica con stele(Su Cuaddu de Nixias, Sa Perda Lada-Decimoputzu, Sulcis). La varietà a « fila-ri », senza stele, è il vero « pendant »architettonico funerario del megalitismocivile a torre del nuraghe, e non può nonavere seguito l’evoluzione costruttiva diquest’ultimo in uno alle vicende storico-culturali. Purtroppo, però, se le ricerchedi superficie dimostrano consistenzanumerica, la frequenza e anche il rilievoqualitativo di tale struttura tombale, ipochissimi scavi eseguiti non hannorestituito elementi di corredo di signifi-cato pari a quello dato dalla accurata eripetuta esplorazione nelle tombe a strut-tura « ortostatica» della remota tradizio-ne “dolmenica”. Il riferimento che fac-ciamo a questa Fase li di due tombe a“filari” tra le più rappresentative dalpunto di vista architettonico e monumen-tale, è solo ipotetico: basato sul rapportocon strutture di nuraghi monotorricostruiti in gran numero, con moduli enorme di estesa divulgazione, nel perio-do che si esamina.

E’ ben nota, nella letteraturaarcheologica, la tomba di giganti di

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Fig. 50. Pianta e sezione del nuraghe S. Sarbana, Silanus(NU)

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Domu s’Orku-Siddi (fig. 47), prossima aun abitato nuragico e in funzione forse,più largamente, di parte, se non di tutti,dei numerosi nuraghi posti a difesa delbrullo e sassoso alipia io basaltico della «giara » om3nima.

Il monumento ha il corpo principaleabsidato lungo m. 15,20, con facciata diprofilo leggermente falcato, ad ali tron-che alle estremità, di m. 18 di corda.Dietro il portello, la camera si allunga inun vano rettangolare di m. 9,50 x 1,10(superficie mq. 10,34, rapporto massa-spazio 4,5) che, in alto, a m. 2,10 dall’at-tuale riempimento, è chiuso da un solaiopiano di enormi lastroni, del volume damc. 4,16 a 1,59 e del peso da t. 12,48 a4,77. Sulla sinistra della camera, si apreuna celletta per deporvi oggetti d’offertao per qualche rito funerario oppure peradagiarvi un defunto distinto in posi-zione rannicchiata, mentre nel resto della“galleria” stavano, in origine, deposizio-ni collettive. La sezione esterna dellatomba è a chiglia di nave rovescia, del-l’altezza residua di m. 4,50, a forte incli-nazione di muri specie nella parte absi-dale (da 20 a 30°); la facciata, invece,cade verticale, a file di pietre sovrappo-ste. 11 paramento murario esterno sicompone, anche sui lati e nella parteposteriore, a filari orizzontali di pietrebasaltiche di medio spessore e allungate,sovrappo’. le a contatto diretto senza sca-glie (ciò che dimostra grande capacitànella scelta dei materiali e nel colloca-mento in opera). Pure l’interno mostramurature a file di pietre sovrapposte oriz-zontalmente, con ordine e cura nonminori che all’esterno, con regolarizza-zione di piani-posa e giunti per mezzo dizeppe e lavorazione per lo più grossolana(ma in alcune parti anche quasi rifinita)

dei blocchi i quali presentano facce overticali o sbiecate o bombate a secondache sono state toccate da strumenti olasciate al naturale. La sezione del vanomaggiore è trapezoidale, ripetendoall’interno, con bella coerenza formale estilistica, lo schema della sezione ester-na, cioè del corpo costruttivo che lo con-tiene: l’aggetto è di 8° (da m. 1,10 di lar-ghezza in base a 0,55-0,60 sotto ilsolaio), con fortissimo risalto del filareche sostiene il soffitto.

In questa tomba, come in altre ma conminore completezza, troviamo sorpren-denti rispondenze di forma e strutturacon la « nau» o «naveta» di foggia arcai-ca di Miforca. Se si toglie la facciata aesedra, che a Minorca invece fa luogo auna fronte rettilinea ristretta in alto, e sesi toglie il particolare, caratteristico in «navetas » minorchine, della presenza didue camere funerarie sovrapposte, ilsepolcro megalitico di Siddi potrebbeconfondersi, ad esempio, con la «nau »di Rafal Rubì-Mahòn. E’ forte la somi-glianza della cadenza parabolica nelritmo dei filari del corpo murario che fa-scia la camera. Colpisce inoltre la rispon-denza nel profilo, in piano ed elevato,nell’aggetto dei corsi, nella tecnica e per-sino nella lavorazione delle pietre (perquanto lo consente la differente adattabi-lità del basalto e del calcare). E’ interes-sante il particolare della celletta dilatoalla “galleria”. Essa ricorda schemi ico-nografici, simili o anche più complessi,in allées dell’Occidente mediterraneo eatlantico; si confronti ad esempio la «allée » del Bois-de-Monsieur (Assignan)nei Pirenei francesi, del tardo neolitico-calcolitico. In stesura ridotta, richiamaanche la citata tomba di giganti diLàssia-Bìrori (fig. 20), con la camera e la

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facciata senza stele a filari, mentre ilresto del perimetro presenta muratura digrandi ortostati. Qui la “galleria” è mar-ginata da una coppia di cellette per lato,come in sepolture megalitiche inglesi ebrettoni sopraricordate a proposito deglipseudonuraghi (Fase I).

La tomba di Is Còncias-Quartucciu,detta S’omu’ e s’Orku, presenta strutturain granito di m. 15,90 di lunghezza(11,60 il solo corpo principale absidato),

alta m. 3,30 residui sulla fronte e 4,50 ametà del corpo esteso da Nord a Sudverso cui si apre la facciata a esedra, colportello architravato, di m. 10 di corda. Ilparamento esterno, prevalentemente inopera « poligonale» di blocchi poliedricitendenti a tratti al « subquadrato », assu-me un aspetto meno rozzo nell’abside especie nella fronte costituita da grossimassi grezzi alla base passanti via via aforme curate e quasi regolari, decrescen-

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Fig. 51. Pianta e sezione del complesso nuragico di Cabu Abbas, Olbia (SS)

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ti in misura, per definirsi su piani di posaorizzontali sotto la sommità in leggeroaggetto. La “galleria” interna, di piantarettangolare con i lati lunghi un po’ con-cavi (tendenzialmente “navetoide”),lunga m. 7,80 e larga a metà 1,30, sulfondo mostra un bancone per offerte,come le « naus » di Es Tudons e RafalRubi, a Minorca. L’apparecchio murarioripete il tipo dell’esterno, con grandimassi di piede di m. 1,10 di altezza, suiquali salgono minori blocchi e lastre digranito e porfido dalle facce a vista pianeod oblique, rincalzati da zeppe, disposti afilari discontinui aggettanti e convergen-ti verso la chiusura del solaio. La linealongitudinale del soffitto declina legger-mente dalla parete interna dell’ingresso astruttura gradonata in forte aggetto, almuro verticale di fondo, da m. 2,10 a1,70. La sezione trasversale del vanomuta nel percorso: angolare verso laporta, troncoogivale nel mezzo, ogivalein prossimità del bancone. Ciò dimostraarte costruttiva non perfetta anche sedotata di capacità tecniche apprezzabili,dovuta al materiale usato di non facileimpiego in strutture nate per definirsinell’ordine geometrico dei filari compo-sti in determinate linee e pendenze tantopiù realizzabili nei moduli stabiliti quan-to più la pietra si lascia lavorare e adatta-re all’opera muraria. Sul lato sinistro del-l’esedra, si eleva un betilo troncoconico,dalla parte destra sono praticati nella roc-cia tre pozzetti d’offerta funeraria, cir-condati da un doppio giro di medie e pic-cole pietre (diam. m. 2,15 x 0,60 diprofondità), di cui uno conteneva unresto ceramico.

Dall’interno e dall’esterno dellatomba provengono piccole scheggeamorfe di ossidiana. Poche ceramiche

frammentarie furono raccolte nell’ese-dra, di più, ma non numerose, dentro lacamera, in vicinanza di disordinati pezzidi ossa lunghe umane. Si riconosconoforme di ciotole emisferiche ad orlo sem-plice ed ingrossato a cordone arro-tondato, olle a bocca rientrante con orloa spigolo dal dorso piano o convesso,vasi globulari a colletto. Appare superatala tradizione vascolare della cultura diBonnánnaro, così che i materiali, se nonla costruzione della tomba che li conte-neva forse nel momento finale d’uso,sono da riferire alla Fase nuragica III. Inverità, il tipo di sepolcro nuragico, aordine di filari, quale mostrano gli esem-pi di Siddi e Quartucciu (ma se nepotrebbero citare tanti altri della Mar-milla, della Trexerita e del Sulcis-Iglesiente) dà l’idea di essere posteriorenel tempo al tipo con struttura ortostaticadi tradizione dolmenica, e di averlo sop-piantato nell’uso almeno nella Sardegnameridionale, mentre nella parte centro-settentrionale dell’isola la tomba digiganti “dolmenica” sembra subire unaevoluzione tecnica verso un tipo ortosta-tico in opera “quadrata” nel quale la stelecentinata viene sostituita dalla stele o daun fregio « a dentelli ».

Sulla nascita e sull’evoluzione deltipo di tomba ordinata a filari, ha certa-mente e direttamente influito l’architet-tura del nuraghe a torre, date le comunicaratteristiche costruttive dei due generidi edifizi nel disporsi dei paramentiesterni, in coerenti soluzioni d’impiantoe di sezioni di vani, e nel gusto semplicedelle linee nonché nella tecnica d’impie-go dei materiali conveniente a norme ecalcoli obbligati nell’una e nell’altraforma monumentale di simili stile e cul-tura artistica. Anche la svolta estetica-

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concettuale che, nel nuraghe, tramuta laforma in origine ipogeica della “tholos”in un vano contenuto, anche se nonmostrato, dentro un volume “aereo”, perdi più pronunziato spesso in grande ele-vazione, vistoso e attraente, coinvolge iltipo di tomba di giganti a « filari ». Inquesto tipo, la struttura fuoriesce deltutto dal tumulo di pietre e terra che rico-pre e nasconde, additandola nello stessotempo, 1a tomba di tipo Il ortostatico”. Esi libera del segnale e del decoro architet-tonico della stele, perché a farne oggettodi attrazione visiva e concentrazione psi-cologica dell’osservatore e del devoto,basta la grande sagoma esterna salienteritmicamente a filari, scandita nellalunga linea rigida dei fianchi e nelle dolcicurve dell’abside e dell’esedra: unasagoma tutta a giorno, dal possente respi-ro strutturale e di gradevole geometrialineare. Per tutto ciò, anche se mancanosinora attendibili documenti di corredo aconfermai la, pare proponibile l’ipotesiche le tombe a filari possano essere natealmeno nel secolo XIV se non prima,quando erano sorte tante torri di nuraghecon caratteristiche tecniche e strutturalicomuni per continuare nel XIII nellaFase II, e per il corso della Fase III, nellaquale forse il tipo si conclude, almenoquanto a costruzione, salve accertateposteriori riutilizzazioni.

E’ nelle tombe di giganti dei due tipiche si presentano simboli allusivi allareligione nuragica della Fase II, connes-sa a particolari monumenti. In quella diSos Ozzastros-Abbasanta (102,2)appaiono rilievi a disco su lastroni del-l’esedra con banchina per offerte, indi-canti mammelle. Un rilievo mammillareè scolpito nella tomba di Perdu Cossu-Norbello, associato alla figura del « fallo

»: chiara simbologia dell’accoppiamentodi dea madre e toro, in funzione di recu-pero della morte, concezione appropriataalla forma di sepolcro che, nella tomba digiganti, ricalca in pianta il motivo dellaprotome taurina. L’ideologia della co-pulazione si ripete nei betili conici, liscie mammellati, della tomba di Tamuli, e ibetili semplici a cono e troncoconici del-le sepolture di Goronna e Is Concias, senon esprimono esplicitamente la finalitàmagico sessuale, racchiudono nella vivae nuda pietra concetti naturali della reli-gione della fertilità. L’idea sta di baseall’intera serie di betili conici sinoraconosciuti, ventitrè di numero, nellamassima parte collegati a tombe digiganti, per lo più in basalto a simboliz-zare forse, con la scelta del colore scurodella pietra, la tenebra del mon rispetti-vamente inquadrabili all’inizio e alla finedella Fase II. Dei recipienti a orlo rien-trato con decorazione di triangoli pun-teggiati di Domu beccia si è detto.Dall’interno di Sa Jacca, una costruzionetra nuraghe e pseudonuraghe, è statoestratto, nel deposito inferiore, un corre-do abbastanza omogeneo di ceramiche asuperfici lisciate sommariamente, dicolor nero fumo o brunastro, grossolanealla frattura e di cottura mediocre. Siriconoscono forme di pentole a prese,tazze cilindriche e troncoconiche per lopiù prive di anse, tegami lisci o con orlotaccheggiato, boccali monoansati, broc-chette a collo everso e manici a nastrosegnato superiormente da impressioni didita, vasi contenitori subsferoidali conansa robusta a bastoncello. Una parte delmateriale fittile si ascrive a contestogenericamente nuragico, un’altra parterispecchia una componente zonale del-l’aspetto culturale di Bonnánnaro.

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Fig. 52. Sardegna nord-occidentale: carta nuragografica; i puntini entro i grandi cerchi indicano i nuraghi nel retroterradegli approdi (da Brandis)

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Fig. 53. Sardegna nord-occidentale: carta idrografica in relazione ai nuraghi. ( da Brandis)

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Anche se la vita degli abitanti deinuraghi non prende rilievo in tutte le atti-vità materiali e spirituali, non mancanotaluni elementi utili alla rappresentazio-ne di caratteri etici. Abbiamo detto dellatradizione religiosa. Circa i costumifunerari, va segnato, accanto al modo diseppellimento secondario che sembraprevalente, quello della deposizione pri-maria in postura semirannicchiata. Delprimo sono testimoni gli avanzi schele-trici, ritrovati sconnessi nella tomba diOridda, di una ventina di adulti più seibambini e un feto. Per il secondo è indi-ce la salma, rinvenuta in posizione ana-tomica su un letto di frasche, della donnasepolta nella grotta naturale di Sisaia(Oliena), assieme al suo povero corredoceramico (una ciotola e un tegame), auna macina di granito e a tronchettilignei cornbusti di focolare: segni ideolo-gici della vita terrena domestica suppostacontinuare nell’al di là.

Nell’ordine della medicina, riservataa esperti « stregoni », continuano prati-che già conosciute dalla Fase I. Alladonna di Sisaia fu praticata, con raffina-ta manualità chirurgica, la trapanazionein vita del cranio e, nello stesso tempo,fu eseguito un intervento cranioplasticodi autotrapianto, reintegrando nel foro larondella ossea ritagliata. La pazientesopravvisse a queste operazioni frutto diesperienza e metodo forse mutuati attra-verso scambi etnoiatrici con gruppiumani europei o da questi ereditati perlunga tradizione. Sapienti nelle arti me-diche, quanto lo erano nel costruire isofisticati monumenti megalitici, i nura-gici del la Fase II traevano motivi peraffinare la loro specializzazione sanitariadal complesso quadro patologico dovutoa tare ereditarie, situazioni igieniche-

ambientali, fatti alimentari e altri fattoridi debilitazione e di distruzione fisica.Soggetti della tomba di Oridda presenta-no numerose alterazioni artrosiche acarico dei corpi vertebrali nelle sezionilombare e toracica, inspessimenti dellavolta cranica di origine morbosa en-demica, varismo omerale di tipo conge-nito. La donna di Sisaia era un coctail dimalattie: carie secondaria e incrostazionidi tartaro a carico del colletto dei denti;artrosi vertebrale (spondilite anchilosan-te); esostosi del sacro, neoformazione diorigine neoplastica; osteoporosi; fratturealla scapola e all’ulna dell’arto superioresinistro per caduta o per colpo di corpocontundente; persino un dente conoidesovrannumerario. Buon ultimo, un pro-babile tumore al cervello, che determinòla trapanazione cranica riuscita. Per unaserie di cause ereditarie e aggravanti delfisico, è breve la vita umana. Dall’esamedi un cranio femminile di Oridda si desu-me un’età vitale non superiore ai 30anni; la donna di Sisaia finì le sue penetra i 25 e i 30 anni.

Sono sempre i reperti scheletrici diOridda e Sisaia a fornire caratterimorfoantropologici della gente dellaFase II, anche se limitati a individui fem-minili (dei maschi si hanno dati moltiparziali e poco significativi). Le donne diSisaia e di Oridda hanno statura sotto lamedia: 150,07 e 150 rispettivamente. E’un valore squisitamente sardo che siriscontra nell’attuale di cm. 149,8 didonne dell’interno dell’isola. Ben lonta-no è questo indice staturale medionu-ragico dai cm. 156,5 di individui femmi-nili prenuragici di cultura Ozieri di capoS. Elia (Cagliari) e dai cm. 159,2 didonne di cultura Monte Claro di ConcaliCorongiu Acca (Villamassargia). Vicina

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invece è la statura di donne dell’età delBronzo di Ponte S. Pietro (Viterbo) dellacultura laziale di Rinaldone: cm. 154,5.Gli individui femminili di Sisaia eOridda hanno elevata capacità cranica(tipo aristencefalo): cc 1380 e 1305rispettivamente. Sono entrambi dolico-morfi, mesocranici e ortocranici, ovoidein norma superiore Oridda ed ellissoideSisaia. L’indice cranico (frontoparietale)è di 69 e 71,11 (metrioeurimetopo eeurimetopo), l’indice orbitale varia da71,43 (cameconco) a Sisasia a 69,7(cameconco) a Oridda, l’indice nasale da51,52 (camerrino) a 50 (mesoleptorrino),l’indice maxillo-alveolare da 120,50(brachiurano) e 102 (dolicourano).

In termini più semplici, le piccoledonne nuragiche di Sisaia e Oridda, dal-l’alto cranio e dalla fronte eretta legger-

mente incavata sopra le arcate sopracci-gliari ben accennate, presentano la facciasubquadratica complessivamente piccolacon le guance sporgenti, orbite e nasobassi, grandi mastoidi, mento appuntito.Clavicole corte e robuste, scapole giuste,omero euribrachico e poco robusto, baci-no piatto, arti inferiori corti con tibiaappiattita, piedi stretti: sono altri caratte-ri del loro fisico. Nell’insieme la morfo-logia va inquadrata nel tipo mediterraneo(ad apporto cromagnonoide) con un’i-dentità precisa sarda che la specifica,diversificandola, rispetto sia agli indi-vidui neocalcolitici della Sardegna sia aisoggetti dell’età del Bronzo tirrenicodell’Italia centrale, con i quali pure visono affinità sia nel soma sia nella suapatologia.

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Sono orientative per l’inizio e il progres-so cronologico di questa Fase, le datazioni aC14 di carboni dei nuraghi Ortu Comidu:1190-1170± 270 (Zona N) e Albucciu: 1000,990, 920 (strati 5 e 6 camera n), della capan-na 17 presso il nuraghe Genna Maria-Villa-novaforru: 1210-1190± 60 e del tempietto diMalchittu: 920± 70 a.C. Hanno pure valoretemporale indicativo della Fase III, i pani dirame « a pelle di bue », dei tipi ciprioti 11-111 Buchholz, con marchi di fabbrica del-l’alfabeto minoico-miceneo, del sec. XIII-XII a.C. Sono stati rinvenuti presso o dentronuraghi (Serra Ilixi-Nuragus, Nastasi-Tertenia, S. Antioco di Bisarcio-Ozieri, SaMandra de sa Giua-Ossi, Albucciu-Arza-chena), o in ripostigli o fonderie (Assernini,Capoterra, Perda Floris-Lanusei, Valle del-l’Isalle-Dorgali). Si aggiunge la presenza diceramiche dipinte micenee in zona non pre-cisata della Sardegna orientale (fig. 130) epresso il nuraghe Antigori di Sarrok (secoliXIIIXII a.C.) (fig. 129).

Il fenomeno più rilevante e caratteristicodella fase, che marca una grande evoluzionetecnica-architettonica se non propiio uncambiamento qualitativo, è costituito dall’o-rigine e dallo sviluppo del nuraghe plurimoo complesso, con tutta una ricca gamma ditipi e varietà, e di schemi e sistemi costrutti-vi fra i quali rientra pure la fusione dellaforma dello pseudonuraghe della Fase I conquella del nuraghe a torre cupolato, della IIFase. Alle torri elementari isolate, definitenegli elementi di pianta e alzato già descrit-ti, si aggiungono altri corpi di costruzione,

che, senza alterare sostanzialmente la formaarchitettonica (volume troncoconico e vuotoa cupola), la arricchiscono e la elevano consoluzioni molto elaborate, sino a culminarein monumenti grandiosi e organici di archi-tettura superiore. L’evoluzione formale siverificò lentamente, nel lungo spazio deicirca 300 anni, non sempre in manierauniforme, ma in dipendenza di ciascuno deisistemi cantonali nuragici, delle occorrenzeinventive dei costruttori, delle capacità tec-niche delle maestranze e della maggiore ominore relazione e accettazione degli appor-ti esterni.

L’addossamento dei nuovi corpi costrut-tivi ai coni primitivi, si realizzò in posizionefrontale, laterale e concentrica. Un cortile, avolte monumentale, fu l’elemento frequen-tissimo e importante, anche se non stretta-mente indispensabile, che coordinò e centròle masse periferiche.

L’ampliamento frontale si effettuò co-struendo la parte moderna nell’asse longi-tudinale della torre primitiva, di fronte allaporta d’ingresso esposta ai quadranti dimaggiore insolazione e illuminazione (daEst a Sud, eccezionalmente a W e N). Il tipopiù semplice consiste nell’aggiunta ai uncortile scoperto, a forma di 3gn1ento di cer-chio o rettangolare: nuraghi Giba ‘e Skorka-Barisardo, Su Nuraxi-Sìsini. Più articolatolo schema cosiddetto a « tancato »: corpotriangolare o a sezione circolare con torreminore nell’estremità opposta al cono anti-co, includente un cortile aperto tra le duetorri: nuraghi Nàrgius-Bonarcado, Pal-mavera-Alghero. L’addizione frontale può

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Età del BronzoFase III: 1200-900 a.C.

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avvenire anche con uno schema trasversaleall’ingresso dell’originaria costruzione, co-stituito da una cortina turrita ai due estremi,con cortile o corridoi d’accesso ai vanicupolati delle torri recenti: nuraghi Frida-Burgos, Krasta-Santulussùrgiu.

L’aggiunta laterale, ossia l’unione deglielementi costruttivi nuovi ai lati della primaforma, si produce per tangenza delle torrisemplici, in numero di due o tre: nuraghi Pùliga-Lorceri, Konkali-Tertenia; oppure dicorpi complessi monolobati, bilobati e tri-lobati con cortile: nuraghi Mudegu-Mògoro,Santa Sofia-Guspini, NodduleNùoro.

Le forme più elaborate e spettacolari deinuraghi plurimi o multipli si producono conla « addizione concentrica »: la torre primi-tiva resta nel centro, o quasi nel mezzo, di unbastione di murature di diversa figura, arti-colato agli angoli in torri minori unite permezzo di paramenti rettilinei o curvi. Questinuraghi vengono chiamati anche «po-lilobati», considerando ciascuna torricellacome lobi tra i quali si distacca la massa

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Fig. 54. Pianta e sezione del pozzo sacro di S. Anastasia,Sardara (CA)

Fig. 55. Pianta e sezione del pozzo sacro di Milis, GolfoAranci (SS)

Fig. 56. Pianta e sezione del pozzo sacro di Sa Testa, Olbia(SS)

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centrale dominata dal nucleo del cono mag-giore. Secondo il numero dei salientiturnformi, si distinguono nuraghi trilobati,con corpo triangolare e torri nei tre vertici, aprofilo di cortina rettilineo (Pranu Nuracci-Sinis), curvilineo concentrico (Longu-Cùgiieri) o concavo-convesso (Losa-Abbasanta,Santu Antine-Torralba); quadrilobati, concorpo quadrangolare o romboidale e torri neiquattro vertici, a cortine profilate in retta (SaSerra-Orroli, Su Nuraxi-Barùmini) od on-dulate (S. Bàrbara-Macomér); pentalobatied esalobati, con cinque o sei torri all’incon-tro dei muri rettilinei di congiunzione(OrrùbiuOrroli e Valenza-Nuragus per i

rispettivi schemi).I nuraghi polilobati, che a volte assumo-

no dimensioni gigantesche, costituiscono si-stemi difensivi i quali in seguito si amplia-rono con dispositivi architettonici molto piùimportanti, destinati a rinforzare la sicurezzadel già imponente ed efficace bastione delnuraghe complesso. Si tratta di esempi diarte militare molto evoluti, nei quali con-fluiscono, da una parte, il felice risultato diformule e soluzioni architettoniche della ci-viltà locale, e, per altra, il riflesso delle co-noscenze e degli insegnamenti dell’arte for-tificatoria di popoli esterni che non si riescebene a identificare. Questi grandiosi e com-plessi edifici fortificati - veri e propri castel-li si opposero all’impeto degli assalti a sor-

presa delle truppe indigene nelle guerretribali tra « cantone » e « cantone» nuragi-co. Ma, soprattutto, dovettero sostenere ilprolungato attacco di eserciti invasori, for-se armati di congegni militari tra i più ef-ficaci, come arieti e altre macchine diattacco e di tiro.Il sistema di massima sicurezza consiste

nel circondare il bastione polilobato con tor-ri e cortine munite di feritoie in unico oduplice ordine e talvolta espanse in ballatoisospesi su mensole usati come piombatoio(Su Nuraxi-Barùmini, Genna Maria-Villanovaforru, Santu Antine-Torralba). Siaggiunse, all’esterno, un grande antemuraleo sistema avanzato di torri unite da muri ret-tilinei, pur esso munito, nelle torri e nellecortine, di feritoie e di spalti per la ronda eper il tiro. Si tratta d’una concezione di-fensiva di linee concentriche terrazzate, nel-la quale cioè le differenti parti si vanno ele-vando in gradoni destinati all’artiglieria(frecce, giavellotti, pietre ed altri materialibellici) dal campo circondante al centro del-la fortezza. Il tutto culmina nel nucleo ri-servato all’osservazione e al posto centraledi comando. Il nuraghe di Barùmini permet-te di formarsi un’idea chiara delle diverse

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Fig. 57. Pianta del pozzo sacro di Abini, Teti (NU)

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fasce del sistema difensivo concentrico. Ilterrazzo esterno dell’antemurale aveva l’al-tezza di 10 metri, l’intermedio del bastionetetralobato lo sopravanzava di 5 metri e rag-giungeva pertanto la elevazione di 15; nelculmine dell’insieme emergeva il mastio coni suoi 20 metri d’altezza. In questo sistemadi muraglie a gradoni, dagli spalti e dentro lecamere a feritoie poteva manovrare e ope-rare una massa di circa 200 soldati di diffe-renti specialità: arcieri, frombolieri, addetti

al piombatoio di grosse palle litiche e di ma-teriali incendiari o comunque offensivi.

L’antemurale presenta figura poligonale,più o meno regolare. Nel Lugherras-Pauli-làtino è di forma quadrilatera con quattrotorri, una in ciascun angolo. Nel Palmavera-Alghero ha pianta pentagonale, con profilidi cortine rigidi o lievemente convessi, quat-tro torri e due ingressi opposti nei risvolti diSW e SE. Nel Su Nuraxi, nella strutturazio-ne definitiva cli Fase IV, osserva la pianta

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Fig. 58. Pianta di nuraghi:1. Nur Giba e Scorka, Barisardo (NU) 6. Nur. Molineddu Seneghe (OR)2. Nur Su Nuraxi, Sisini (CA) 7. Nur. Palmavera Alghero (SS)3. Nur. Su Covunu, Gesico (CA) 8. Nur. Monte s’Orku Tueri, Perdasdefogu (NU)4. Nur. Su Sensu Turri (CA) 9. Nur. Su Sensu, Pompu (CA)5. Nur. Nargius, Bonarcado (OR)

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eptagonale, con sette torri negli spigoli, unaridotta a tenaglia a ingresso indipendentesaldata alle torri della cortina di NE e dueporte opposte di accesso dall’esterno nellecortine di W e SSE, difese, a tiro incrociato,da feritoie frontali nella cortina e d’angolonella più prossima torre. Nel nuragheOrrubiu Il sistema fondamentale dell’ante-murale, costituito da cinque torri e quattrotratti murari rettilinei visibili nel lato SWNI,è variato, al lato ENE, da una successione dispalti a salienti e rientranze curvilinee e ret-tilinee. Nel nuraghe Domu s’Orku-Domusnovas, il baluardo avanzato, munitodi cinque torri unite da muraglie in linea

retta, non circonda totalmente il Corpo poli-lobato del bastione che forma una massaesagonoide con tre torri frontali e cortileintorno al nucleo. Al contrario, torce versola cuspide SE del bastione e gli si addossacon un’ampia curva, lasciando allo scopertoed esposto all’attacco diretto il lato NE delmedesimo. In modo analo , il nuraghe Losaresta coperto dalla difesa esterna, formata dadue torri congiunte da un tratto di muraglia,unicamente nel banco NE del bastione trilo-bato, mentre il resto appare aperto all’offesa.Il muro avanzato si costruì, in questo caso,per formare una specie di ridotto fortificatoa cremagliera verso l’esterno munita di feri-

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Fig. 59. Pianta di nuraghi con addizioni frontale e sviluppo trasversale:1. Nur. Frida, Illorai (SS) 4. Nur. Bonku, Bonarcado (OR)2. Nur. Sa Mura e Mazzala (NU) 5. Nur Krasta, Santulussurgiu (OR)3. Nur. Attentu, Ploaghe (SS) 6. Nur. Nuracc’e Deu, Gesturi (CA)

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Fig. 60. Volta a tholos del nuraghe Is PAras, Isili (NU)

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toie disposte di fronte e per angolo. Il ridottoserviva a proteggere un pozzo d’acqua pota-bile contenuto in una torre, e non per difen-dere il nucleo interno con una cintura dimura come in altri nuraghi. In cambio laautentica funzione protettiva era lasciata alvasto recinto ellittico-pentagonoide, di metri292 di lunghezza in senso NESW per 133 diampiezza media, che circonda totalmente eprotegge con le sue muraglie e torri il vastoabitato di capanne incluso nel recinto, allostesso tempo che il bastione trilobato sposta-to verso il lato nord della grande cinta dichiusura con ingressi a dipvion.

Si può osservare, in queste muraglieesterne, un’interessante varietà di espedientie sistemi di architettura difensiva. Le cortinerestano profondamente arretrate rispetto alletorri, senza dubbio con il fine di attrarre l’at-taccante e batterlo nello stretto spazio con i

tiri incrociati degli arcieri appostati dietro leferitoie all’interno delle torri del perimetrodifensivo. Con i profili a zig-zag delle mura-glie e con l’articolazione tortuosa degli spe-roni, si creavano angoli morti per sviare edisorientare gli assalitori. La ridotta a tena-glia del Su Nuraxi, serviva a frazionare ilnemico per colpirlo separatamente in luoghidi particolare efficacia offensiva. Lo stessodicasi della divisione a settori dei vasti spazitra antemurale e bastione (Domu s’Orkci diDomusnovas). Il ridotto del pozzo ccl Losa,con lo stretto passaggio antistante tra la torreN del bastione e il risentito angolo a feritoiedella cremagliera avanzata, era una specie dicamera della morte, e chi vi si avventuravanon aveva alcuna scappatoia.

Scontato l’impiego di ingenti materialilapidei tratti da vicine cave o di trasporto el’impegno d’una grande massa servile, gui-data da abili maestranze nell’erigerne lestrutture ora in opera poliedrica (Su Nuraxi)ora sub-quadrata a filari (Losa), il semplice

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Fig. 62. Pianta del nuraghe Is Paras, Isili (NU)

Fig. 61. Pianta del nuraghe Asoru, San Vito (CA)

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schema cadenzato cli cortine e torridell’ampio e staccato antemurale non esi-geva speciale estro costruttivo. La spessa enon molto elevata muraglia cli protezione,la foggia ad ogiva ormai di maniera nelle «tholoi » turrite, l’insieme continuo deglispalti terrazzati serviti da saltuarie scalettein costruzione addossate di fianco all’inter-no della cinta, rientravano nella norma d‘un ‘architettura per così dire scolastica. Diben altra inventiva ingegneristica necessita-va, invece, la realizzazione degli alti bastio-ni interni: sia di quelli a sequenza scanditadi tratti murari rettilinei e di convessità ditorri prominenti per attuarvi la difesa apunti (Su Nuraxi), sia degli altri dal profilofluente in lieve ondulazione adatti a unospiegamento difensivo continuo su tutto ilperimetro.

La raffinata manualità si esplicava sianei baluardi costruiti con muro di pietrepoliedriche finito in alto da un terso para-mento bicolore di basalto e mama alloscopo di adattarvi a perfezione le elegantimensole del ballatoio-piombatoio (SuNuraxi), sia con muratura di grossi e rozzimassi alla base per seguitare nel mezzo del-l’elevato in forme suhquadrate limitate allasommità da conci squadrati, con dimensionidei blocchi decrescenti via via dal piede allacima della costruzione avente le pareti divi-se geometricamente dai corsi orizzontali ingraduale e ritmico ritiro ([osa, S. Barbara,S. Antine etc.).

Particolare occhio era richiesto anchedalla composizione in insieme delle strut-ture dei bastioni i quali, a giudicare dal-l’esempio di Su Nuraxi, nascevanodall’unione di separati tronchi o corpi difabbrica affidati a diverse maestranze che, aun certo momento, collegavano il loro lavo-ro addossando torri a cortine o viceversa,come tanno vedere le linee di contatto o disutura. E una vera e propria scienza dellecostruzioni, acquisita empiricamente con

esperienze nel lungo tempo, presiedeva alcollegamento e proportionamen to formale eall’equilibrio strutturale di bastioni e di torriprimitive, sia nel far corrispondere in livelloi filari sia nel conformare il tipo di operamuraria nelle diverse superfici a tangenza oa contrasto. Ciò senza contare la scelta dimateriali coerenti, a parte il tradizionalemodo di montarli.

In una serie di opposti ritmi circolari fradi loro interdipendenti, si svolge la pura geo-metria del cortile del Su Nuraxi, alto m. 12 edi mq. 56,43 di superficie: un profondo spet-tacolare catino architettonico a mezzaluna,addossato all’antica torre di cui mantiene, inpezzame minore, la struttura « poliedrica ‘>.Un pozzo di perenne acqua potabile d’usointerno, scavato quasi per intero nella rocciamarnosa sino alla profondità di più di 20metri, accentua la cavità del recinto, che rac-coglieva aria e luce distribuendola fioca-mente agli ambienti circostanti, mentre lepareti incurvate in dentro alla sommità for-mavano un parziale riparo dalla pioggia. Lo

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Fig. 63. Piante di nuraghi ad addizione tangenziale latera-le:1. Nur. Puliga Loceri (NU)2. Nur. Su Konkali, Tertenia (NU)3. Nur. Mudegu, Mogoro (OR)4. Nur. S. Sofia Guspini (CA)5. Nur. Noddule (Nuoro (NU)

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spazio del coirtile è il fulcro d’uno studiatosistema di complicati raccordi in piano edelevato (attraverso anditi, corridoi anulari,scale intermurarie integrate da scale retratti-li in legno e corda), tra le camere cupolatedelle torri marginali, una cella a volta ricava-ta dentro la parete del recinto ad altezza dalpavimento, vani del mastio e terrazzo delbastione. Risulta un intrico voluto e inge-gnosamente elaborato per rendere disagevo-le il passaggio e la comunicazione interam-bientali, dove si vede che la ragione delladifesa fa premio su quella della difficoltàcostruttiva, dovuta ai materiali e alla tecnicamegalitica.

Si verifica però che allo sforzo di omo-geneizzare l’insieme architettonico, non ab-bia corrisposto in ogni dove un risultatocoerente nelle proporzioni e delle sagome.Così la misura di 1,83, media degli indicialtezzadiametro delle ogive nelle quattrotorri marinali del bastione, diverge dall’1,61della tholos » inferiore del mastio. La sezio-ne ogivale dell’andito d’ingresso alla came-ra della torre perimetrale Est (con la cupolapiù bassa del complesso: indice 1,93), si di-stacca dal resto dei corridoi profilati a taglio

angolare più o meno slanciato: al che puòavere concorso l’intervento di maestranzed’educazione diversa, ciascuna operantenella propria parte contemporaneamente.Quasi un capolavoro di tessitura di spazi e di

coordinamento di masse murarie vecchieC nuove, è stato compiuto nel nuraghe santuAntine, un blocco costruttivo che pare calco-lato secondo le norme dell’architetturarazionale. Anche in questo solenne monu-mento, è lo spazioso cortile trapezoidale, dimq. 95,59 di superficie e in. 7,40 d’altezzaresidua, provvisto di pozzo, a fungere daelemento di fusione tra gli scomparti delnucleo primitivo e le stanze cupolate delbaluardo trilobato, collegate su due piani daizalleric con feritoie, che ricordano quelle diTirinto nella forma e nell’atmosfera, e dauna doppia rampa di scala in muratura, fron-teggiante l’ingresso esterno sorvegliato aiclue lati da garette per il corpo di guardia.

Se qualche dubbio circa l’esclusivo uso(l’abitazione, difesa e controllo del territo-no, può rimanere ancora riguardo al tipo dinuraghe con torre isolata, tutte le incertezzecadono di fronte ai nuraghi complessi. Leesposte caratteristiche costruttive con i tantiespedienti e meccanismi atti ad assicurareprotezione respingendo attacchi interni edesterni di bande armate quando non di veri epropri eserciti, sono oltremodo significativee probanti. Si potrebbero aggiungere, a ulte-riore conferma, la robustezza delle mura e lapresenza di posteri11e e trabocchetti, diripostigli di armi e di silos per viveri etc.Specialmente le fabbriche più conformi allospirito della monumentalità, in forma dimaestosi castelli, altro non possono esserestate se non residenze di principi, protette dafidate guarnigioni, attrezzate, all’occasione,per sostenere lunghi ed estenuanti assedi.Integrate in un sistema di minori torri op-portunamente distribuite nel territorio e col-locate in punti strategici, queste fortezze chedominano dall’alto sull’abitato a contatto e

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Fig. 64. Pianta del nuraghe Tilariga Bultei (SS)

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sui contadini e pastori delle immediate per-tinenze, e rappresentano il luogo del poterein piccole cittu capitali, ospitavano monar-chi militari estendenti il comando a limitatistaterelli, senza assurgere a una forte signo-ria supercantonale. Dai palazzi- fortiliziemana un senso di vigorosa energia e di du-ro e virile carattere che trovavano il lievito eil consenso in una società organizzata, ben-ché chiusa, con forme di vita strettamentelegate alla terra e ai suoi prodotti naturali eanimali, nonché alle strutture produttiveindustriali delle comunità governate dai si-gnori nuragici.

Di questi prodotti manufatti diamo uncenno, anche perché confermano la natura ela funzione indicata dei nuraghi. Prendia-mo, come principale illustrazione, materia-li provenienti da vari livelli dello strato d’a-bitazione del nuraghe Chessedu-Uri (fig.65), un edifizio complesso ad addizionefrontale, estesa lateralmente, di due torricupolate unite da un corridoio parallelo allafacciata. Essi sono caratteristici della Fasenuragica III.Di pietra si sono avuti pestelli, coti e un vasodi forma bitruncoconica con orlo a ingrossa-mento anulare sottolineato da nervature ver-

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Fig. 66. Nuraghe Orolo, Bortigali (NU)

Fig. 65. Pianta del nuraghe Chessude di Uri (SS)Fig. 67. Pianta del nuraghe Logomake, Fonni (NU)

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ticali (li sezione rettangolare; anche elemen-ti di pomice e di ocra rossa. In metallo, unospillone o punteruolo di rame, montato sumanico d’osso. Presente soprattutto la cera-mica, [atta sul posto, a mano. E’ d’impastoargilloso, per lo più grossolano ma anchefine, con superfici, di colore chiaro o scuro,lisciato a stecca o fuscello o grezze, non dirado ingubbiate, talune con un velo biancodi aspetto gessoso, e lucidate specie nellavarietà « buccheroide ». Le forme sonocostituite da: olle e orci globoidi ed ovoidi, abocca stretta rientrante e a colletto cietto orovescio in fuori con orlo ingrossato a sezio-ne triangolare o a cordone tondeggiante; cio-tole a sezione sferica o troncoconiche; tazzecarenate e pseudocarenate; vasi cilindrici e abollitoio con relativi coperchi; coppe conpiede a fruttiera. Varie le anse: a gomito

rovesciato, a nastro, a ponte, ad anello e abastoncello; le prese sono a lingua o listelloforati o meno. Su tegami e spiane, emergen-ti quantitativamente tra le fogge vascolari,figura la decorazione a pettine impresso ostrisciato, con motivi disposti in un certoordine, costituiti da brevi fasce di solchiparalleli talvolta disposti a scacchiera sullaparete interna, e, sul fondo interno e lucida-to (l’esterno è ruvido), composti a raggera oa linee concentriche. Col punteruolo siottennero impressioni di grossi punti sulleanse di olle ed orci, e, in altri vasi (specieciotole), linee sottili orizzontali o incrociatee a reticolato e circoli segnati al centro dadue o tre punzonature; motivi circolari sidisegnano anche su fondi, ottenuti con can-nuccia. Infine, si notano elementi di decora-zione plastica: pastiglie a disco, bozze e ner-vature verticali sotto l’orlo, d’un tipo vistogià in vasi dalla tomba di giganti di LiLolghi, della Fase II.

Il contesto materiale del nuraghe Ches-sedu si riscontra, in molta parte, cori quellodel nuraghe Logomache di Formi (fig. 67).E’ questa una costruzione di pianta trilobatacon la facciata e i lati concavi e il retro-prospetto convesso, di m. 18 di lunghezzasull’asse cli mezzeria e 15 di larghezza alleespansioni di SE e SW, con ingresso a SSW.Il nucleo centrale a torre contiene la cameratondeggiante ampliata da tre nicchioni incroce, un tempo voltata, preceduta da anditosirombato con celletta sulla destra di chientra. Nelle prominenze convesse lateralipresso la facciata a esedra e nella parte retro-stante, il fasciame costruttivo, venuto su inunica stesura o subito dopo il corpo interno,include vani rotondi cupolati (ora le voltesono cioliate), accessibili per brevi scaleperché situati sotto il piano della torre primi-tiva a causa dell’irregolarità dello spuntonedi granito porfiroide sul quale, in grossimassi della stessa roccia, si cige l’edificiosfruttando i diversi livelli di pendenza. Le

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Fig. 68. Pianta generale del complesso nuragico di Losa,Abbasanta (OR)

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Fig. 69. Veduta aerea del nuraghe Losa, Abbasanta (OR)

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camere frontali sono collegate da un piccoloatrio scoperto di disimpegno; quella di SW èraccordata al locale del retroprospetto permezzo d’un angusto corridoio che segue laconvessità della torre centrale. Una partico-larità dei vani laterali è costituita oltre chedalle scalette in muratura, da nicchioni estipi alle pareti. L’insieme del nuragheLogomache è ùna versione locale iiTÌ-piccolita e variata secondo le esigenze d’unavù i semplice e arretrata, delle grandi molidel Losa e del Santu Antine che gli hannodato stimolo e modello. Si può suggerire chela costruzione sia stata realizzata, con unimpegno relativo e mezzi assai modesti con-venienti alla zona interna e a un’economiapoco avanzata, negli ultimi secoli del Il mil-

lennio a.C.Venendo all’esame dei materiali del Lo-

gornache, si sono avuti pestelli di granito,quarzo e altra pietra dura, e coti come nelChessedu, ma non pomice né ocra né vasilitici a nervature. Però sono stati raccolti inpiù ciottoli di schisto e granito rettangolari,ovali e tondeggianti usati forse anche perlevigare le ceramiche, macine e macinelli digranito e porfido, schegge, lame ed elemen-ti di ossidiana a segmento di cerchio chepossono essere interpretati come denti difalce innestati in un’armatura ricurva dilegno. Fatti in roccia locale tranne quelli diossidiana, da artigiani del posto, gli oggettisi riferiscono tutti ad attività pratiche relati-ve alla vita domestica e alla produzione

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Fig. 70. Piante di nuraghi tribolati:1. Nur. Longu Cugleri (OR) 4. Nur Losa, Abbasanta (OR)2. Nur. Pranu Nuracci, Siris (CA) 5. Nur Lugherras, Paulilatino (OR)3. Nur. Nuraddeo, Suni (NU) 6. Nur. S. Antine, Torralba (SS)

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agricola (le falci per miete Ve orzo o erba).Stanno dunque a provare, insieme alle carat-teristiche di [orma e alla disposizione degliambienti del nuraghe, il suo uso ad abitazio-ne, prevalente sulla stessa funzione di con-trollo sul territorio esercitato dall’alta posi-zione. Abitazione non comune, ma residen-za d’un capo e della famiglia presso il vici-no villaggio dove i sudditi dimoravano inpoche capanne di cui restano tracce affioran-ti dal terreno. A riprova si aggiungono imateriali ceramici, simili o somiglianti ingrandissima parte a quelli del Chessedu,taluni ritrovati ancora sullo strato del focola-re, come un grosso orcio e altri minori vasidel nicchione del vano di SE, altri con lecaratteristiche funzionali di recipienti dacucina, da mensa o di contenitori di provvi-ste di casa. Le forme, le tecniche di manipo-lazione e rifinitura, le decorazioni d’insieme

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Fig. 71. Nuraghe Santa Barbara di Macomer (NU)

Fig. 72. Piante di nuraghi quadrilobari e penralobati:1. Nu. S. Barbara, Macomer (NU)2. Nur. Coa Perdosa, Seneghe (OR)3. Nur Sa Serra, Orroli (NU)4. Nur. Su Nuraxi Barumini (CA)5. Nur. Orrubiu Orroli (NU)

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e nei particolari dei prodotti vascolari rien-trano nel quadro generale visto per ilChessedu. E, come in quest’ultimo, il reper-torio di Logomache è tutto [atto in postocome dimostrano gli ingredienti dell’impa-sto costituiti di degrassante in mica, ortose equarzo a cui si aggiungono filamenti carbo-niosi inclusi nell’argilla come riducente

oppure insinuatisi durante la cottura deldeposito di legna combusta del forno. Vanotato che del contesto vascolare delChesseclu mancano a Logomachc le fermecon nervature verticali. Ma in più ci sono,assai copiosi e caratterizzanti, i catini conorlo rientrante e ansa a maniglia orizzontale,del diametro alla bocca anche di cm. 35, le

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Fig. 73. Piante di nuraghi polilobati con antemurale:1. Nur. Lugherras, Paulilatino (OR)2. Nur. Su Nuraxi, Barumini (CA)3. Nur. S’Orku, Domusnova (CA)4. Nur. Orrubiu, Orroli (NU)

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spiane e, sebbene eccezionale, un tipo dilampada, tra i più antichi se non il più anticonella produzione nuragica, avente il fondopiatto con ansa a nastro impostata alla base,di fattura piuttosto grezza. Sono pure pre-senti a Logomache, mentre non lo sono alChessedu, taluni fittili che fanno la loroapparizione nella Fase HI, anche se non so-no propriamente tipici di essa. Mi riferisco afuseruole con foro centrale di sezione lenti-colare o biconica; a rotelline forate ritaglia-te da fondi di tegami o pareti di altri vasi; afornelli portatili a ferro di cavallo con unforo sul retro per la presa e aperti sul davan-ti per introdurvi la brace e soffiarvi sopra,con il giro limitato anteriormente da appen-dici sopraelevate a corno cilindrico sbiccatoalla sommità allo scopo di facilitare l’ap-poggio del vaso culinario da fuoco (pentola,ciotolone o altra forma a fondo concavo).Quanto agli oggetti di metallo, per la posi-zione alla base della stratigrafia ar-cheologica, può ascriversi alla Fase III unfrustolo di bronzo laminato rinvenuto nellacamera del retroprospetto. Altri elementi dibronzo e piombo, come utensili litici efogge ceramiche, per la collocazione in li-

velli alti del riempimento o a causa del rime-scolamento di strati anche profondi, saràmeglio riferirli alla Fase successiva di cuirivelano caratteristiche dimostrando la con-tinuità della vita nell’edifizio nuragico, conuna certa apertura al nuovo almeno nellemanifestazioni esterne.E’ soprattutto la varietà di ceramica decora-ta col pettine, che fa vedere la grande vitalitàdei nuraghi nella Fase Ill. Essa si trova,infatti, oltre che nel Chessedu e nelLogomache, nei nuraghi elementari o com-plessi di La Prisciona e Albucciu-Arzachena, Bullittas e Palmavera-Alghero,Don MichelePloaghe, Sa Iddazza, SaPigalvedda e S’Alzoledda e sa cudina-Valledel Cuea, S. AntineTorralba, Pizzinnu-Posada, S. Pietro-Torpé, Sa Viùda-Fonni,Losa-Abbasanta, LugherrasPaulilatino,MarfLldi-Barùmini. E’ una qualità di cera-mica caratteristica e diffusa nella Sardegna

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Fig. 74. Pianta del nuraghe Porcarzos di Borore (NU)

Fig. 75. Pianta e ricostruzione ideale del nuraghe comples-so Orrubiu Orroli (NU)

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centrosettentrionale, mentre è eccezionalenel Sud dove forse è stata importata.

Il repertorio litico e ceramico del nura-ghe Chessedu si ritrova, quasi per intero,nello strato profondo del nuraghe Albucciu,sopra citato. Si hanno in più, di pietra, ma-cinelli e accette e utensili di ossidiana e calcedonio, e una foggia di fornello tripode trale ceramiche. Il nuraghe Albucciu (fig. 83)rappresenta un significativo esempio dicompromesso architettonico tra la forma delnuraghe a torre con « tholos » e quella dellopseudonuraghe. La forte massa ellittica, digranito, di m. 23,50 di lunghezza x 11,50 dilarghezza e 7 m. d’altezza residua massima,dello pseudonuiaghe ha la forma esterna al-lungata e non molto elevata con strutturepiuttosto grezze e, nell’interno, la richiama-no il dispositivo dell’ingresso limitato dacunicoli e cellette anguste, la scala frontale,i vani a capanna con tetto stramineo intona-cato emergenti nel piano superiore col ter-razzo sospeso su piccole rozze mensole; (v.il Brunku Màdugui). L’influenza del nura-ghe a « tholos » si manifesta nel tagliotrapezoidale delle porte, quella d’ingressosormontata da spiraglio di scarico;nell’accorgimento del condotto, subito dopol’entrata, per farvi scorrere la fune su cuioscillava la pesante lastra lignea del portone(v. l’ingresso a fior di suolo del bastione delSu NuraxiBarùrnini); nella teoria delle men-sole; più decisamente nella forma di cellettee nicchiette con la copertura a falsa cupola,per quanto l’ogiva sia stata appiattitatroncandola fuori del comune una grandelastra (influsso dell’architettura a solaiopiano).

Più ovviamente, la fusione,possibilmente cominciata a verificarsi nellaFase III, tra le due forme architettoniche,appare negli edifizi dove lo schema dellopseudonuraghe, con la « galleria » transet-tata da celle e provvista talora di scala late-rale, si addossa, come i corpi aggiunti dei

nuraghi plurimi, all’antica torre cupolata, efunge da elemento di passaggio e di ingres-so a quest’ultima, di cui amplia lo spazio.Basti citare, per esemplificazione, i monu-menti a schemi innestati di Gurti Acqua-Nurri, Krástula-Bonàrcaclo, Su M1linu-Villanovafraiica, Tanca Manna-Formi ecc.Sono fabbriche che, se non raggiungono ilrilievo monumentale e la complessitàcostruttiva dei maggiori nuraghi multipli,segnano, tuttavia, un’emergenza soprattut-to a riscontro, quando sono presenti, dellecapanne dei dipendenti villaggi e delle con-nesse tombe di giganti (Tanca Manna). Inquesti edifizi, il carattere di abitazione, conspazi cli deposito di risorse alimentari e diattrezzi, fa premio sulla funzione di con-trollo (che pure continua a esistere), mentresi dilegua lo scopo della difesa organizzata,a grande spiegamento di forze militari.

Fenomeni cli ritardo e forse anche unasorta di revival architettonico dell’anticopossono spiegare la sopravvivenza, se nonpure la costruzione a nuovo nella Fase III,della forma a se stante dello pseudonura-ghe. Ne dà prova il Peppe Gallu di Un (fig.112): un edilizio rotondo che si assomigliaall’esterno al nuraghe classico monotorre,di m. 12,40/11,55 di diametro alla base, oraalto alla sommità svettata m. 5,80 con in-clinazione di muro di 10% in opera rozzadi trachite. Due aperture sopraelevate di in.l,60/,50, come quelle degli pseudonuraghiMesu e Rios-Scanu Montiferru e Scneghe-Suiìi,introducono a due anditi che si riuni-scono in uno ascendente in curva verso ilterrazzo; a destra, nella struttura della tor-re, una celletta oblunga in aggetto di m.2,40 x 1,50. L’insieme, che rivela prudenzae scarsa perizia costruttiva nell’angustiadei vani e nel rialzo degli ingressi (sulquale però può avere influito il fattore igie-nico di tenere gli ambienti sollevati da terraper ragioni di umidità), ricorda assai davicino il ialaioi di Fontredones de Baix-

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Fig. 76. Veduta aerea del nuraghe S. Antine, Torralba (SS)

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Minorca e ambedue sembrano il risultatod’un patrimonio monumentale comune alledue isole mediterranee, pur negli svolgi-menti autonomi del tipo costruttivo.

Il corredo litico, ceramico e di metallodel Pcppe Gallu contiene una serie di ele-menti comuni a quello dei nuraghi comples-si a tholos di Chessedu e Logomache non-che al contesto dell’edilizio misto di Albuc-ciu. Si notano schegge di ossidiana e speciedi selce, levigatoi e un dischetto forato inschisto (monile) in pietra; soprattutto tegamie vasi carenati ma anche olle chiuse verso la

bocca, tazze emisferiche e troncoconiche,catini e fuseruole in ceramica; lamine ver-ghette e piccole borchie bronzee a calottasferica in metallo. Spiccano, come diversitànell’insieme vascolare di comparazione, unvaso a « calamaio » nella tradizione dellacultura di Bonnànnaro e un recipiente a set-tori d’un tipo che sembra fare l’apparizione,anche altrove, in luoghi di vita e di culto del-l’età del bronzo finale. Concludendo nura-ghi e pseudonuraghi della Fase III induconoa figurarci accanto ad aree di notevole svi-luppo palese nella complessità delle costru-

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Fig. 77. Veduta aerea del complesso nuragico di Palmavera, Alghero (SS)

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zioni e nella ricchezza dei contenuti cultura-li, sacche di resistenza e di conservazioneclove l’elementarietà e la rozza tecnica degliedifizi va di pari passo con la presenza difogge arcaiche ed essenziali (si veda la man-canza di ceramiche decorate al pettine nelPeppe Gallu).

In particolare questa classe di cerami-che ornate, insieme a forme vascolari delquadro dei nuraghi esaminati, concorre aindividuare l’esistenza di villaggi definiti inassetti ben organizzati, nella Fase III. Questiaggregati abitativi ora sono situati su picco-le rocche naturali integrate da muraglie erecinti con istanze fortificatorie, includentipoche capanne di pietra e frasche taloracompletate da grotte e camminamenti in’-roccia (Punta Candela e Monte Mazzolu inGallura, Punta Casteddu a Lula). Ora pren-dono figura abbastanza razionale per itempi, di estesi agglomerati capannicoli,non di rado compiuti urbanisticamente danuraghi e tombe megalitiche, con ubi-cazione su altopiani (Serra Orrios-Dorgali,Brunku Màdugui-Gesturi) o su leggeri ri-lievi del terreno (Palmavera-Alghero, Elei-Olzai, Sos Cunzaos-Gavoi). In questi tessu-ti urbani più consistenti potremmo include-re la parte più antica (ossia i livelli profon-di) delle abitazioni del villaggio a contattocol nuraghe di Su Nuraxi-Barùmini, stratifi-cate come in un tell (Fase del Nuragico in-feriore).

Si capisce che l’esistenza di migliaia dinuraghi appartenenti a questa Fase III, iquali per lo più presuppongono la presenzadi altrettanti aggregati di dimora di sudditiin funzione del potere dei principi, fannoascendere il loro numero a ben oltre quellodel campionario citato. Le ristrutturazioni,avvenute in periodo di tempo successivi percause naturali e umane, dei più antichinuclei d’abitazione, non consentono di pre-cisare la consistenza quantitativa delle case,le quali, nella definitiva stesura edilizia,

variano nel numero dalle 40 alle 200: ciòche fa ipotizzare una popolazione da qual-che centinaio a un migliaio e più di indivi-dui. In effetti, non c’è possibilità di verifica,come ci sfugge il calcolo dello stato demo-grafico dell’isola che, se fosse valida la sup-posizione della presenza d’una trentina diabitanti in media sui 7.0008.000 nuraghi edimore pertinenti, oscillerebbe tra le 200 ele 250 mila unità. Allo stesso modo, nullasappiamo della grandezza degli eserciti edella forza lavoro, né come i primi fosseroreclutati e le seconde organizzate in unasocietà difficile anch’essa a definire nellesue articolazioni professionali e produttive.

A differenza dell’immagine dei centriabitati mediterranei, tortuosi, con scale e vi-

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Fig. 78. Pianta generale del complesso nuragico diPalmavera, Alghero (SS)

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coli, con case fatte a scatola addossate leune alle altre e con distacco fra quartieri diabitazione e sedi principesche, questi villag-gi protosardi, nelle forme più rilevanti e svi-luppate, si distendono in piano, al piede o inprossimità dei nuraghi. Il contesto edilizio èdisarticolato e diviso in gruppi di case, spa-ziati fra di loro, costituenti rioni in miniatu-ra. Il senso della comunità che sembra per-dersi a livello di villaggio per effetto di que-sta segmentazione, viene recuperato nel «gruppo » abitativo, familiare o plurifamilia-re (patriarcale). I vani della casa, ordinati in

cerchio intorno a un cortile centrale all’a-perto di fruizione collettiva, offrono visiva-mente l’immagine dell’individualismo digruppo: una costante psicologica e sociolo-gica che perdura in Sardegna, anche oggi.Gli ambienti domestici, a seconda dell’uso,presentano il focolare (rotondo o rettangola-re), banchine per sedile, nicchioni a muroper giaciglio, stipi per deporvi oggetti earnesi usuali i quali, anche, si sospendevanoalle pareti o penzolavano da piuoli a ganciofissati al tetto conico, come nelle moderne «pinnetas » dei pastori, relitto etnografico

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Fig. 79. Pianta generale del complesso nuragico di GennaMaria (CA) (ril. Atzeni)

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Fig. 80. Veduta aerea del complesso nuragico di Genna Maria Villanovaforru (CA)

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delle capanne nuragiche. Di norma, quandoè in prossimità dei nuraghi complessi, l’ag-gregato abitativo si svolge al di fuori dellacinta esterna di questi ultimi, così che risul-ta una sorta di voluta separazione fisica,oltreché sociale, tra la distinta residenza delprincipe, grande nella mole e forte nellastruttura, e la modestia della capanna di pie-tra e frasche dove abitano i soggetti con evi-dente distacco dal luogo del potere.

L’esempio del Palmavera è assai istruttivo,perché qui il recinto turrito del cosiddettoantemurale, più che funzione difensiva haquella di proteggere la riservatezza del capoe della famiglia nel palazzo escluso dallafruizione del ceto popolare ma ben in vista,nello stesso tempo, allo scopo di affermareil dominio principesco sul medesimo.

Dalle dimore rotonde dei villaggi, deldiam. interno medio di rn. 4/5 Con spessore

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Fig. 81. Pianta generale del villaggio di Su Nuraxi, Barumini (CA)

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Fig. 82. Veduta aerea del villaggio di Su Nuraxi, Barumini (CA)

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murario da I a 1,75, si distinguono più vastispazi rotondi a capanna forse con palo cen-trale per sostenere il grande e pesante tettoappuntito cli legno e stramaglia. Poiché con-tengono arredi e suppellettili della Fase IV,descriveremo più avanti i tipici esempi di SuNuraxi-Batiimini (n. 80: diametro esternom. 9,70 x 8,80, interno di 7,20 x 6,90) e diPalmavera (diametro esterno m. 12, interno5 in media). Erano rotonde, destinate alleassemblee del villaggio, accompagnate dariti propiziatori. Per cerimonie collettive, piùche pet’ uso familiare e individuale, potreb-bero considerarsi anche due ampi recinti cir-colari del villaggio di capanne di M. SiscriBasso nella Nurra di Alghero. Distanti 25 e75 metri rispettivamente dal grosso nuraghetrilobato omonimo, i recinti, limitati da unmuro di blocchi subquadrati di calcare spes-so m. 1, chiudono ciascuno uno spazio di m.11 e 10 di diametro, con al centro del pavi-

mento ben la stricato, un focolare rotondo dim. 3,60 e 3,40. Ai recinti, con l’ingresso a Ne S, si annettono due piccoli ambienti piùvolte restaurati come i vani maggiori, desti-nati forse a ripostigli o depositi di particola-ri oggetti e suppellettili. Del resto, presso ivillaggi non mancano vere e proprie sedi diculto: tempietti a « megaron» a Serra Orrios,pozzi sacri a Su Putzu-Orroli, a S. Vittoria-Serri (una fibula di bronzo ad arco di violinofoliato riporterebbe l’inizio del villaggio-santuario all’età del Bronzo finale: XI-Xsecolo a.C.), a S. Cristina-Paulilatino, dariferirsi alla Fase nuragica IV.

Esemplifichiamo situazioni della nostraFase in alcuni villaggi. Ceramiche decoratea pettine, rinvenute nelle capanne 3, 4, 13,15, 27 del Palmavera, ne dimostrano il pre-coce impianto nella Fase in esame, realizza-to nello ste.;so tempo dell’ampliamento edella ristrutturaziune del nuraghe dove nel

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Fig. 83. Veduta della fronte con mensole dello pseudonuraghe Albucciu, Arzachena (SS)

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Fig. 84. Tegame con decorazione a pettine dal nuraghe Chessude di Uri (da Contu)

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VII livello della aggunta torre Est furonoraccolti esemplari del a classe ceramica so-praindicata. Una parte dell’abitato di SerraOrrios risale certamente allo stesso periodo.Elementi di ossidiana e selce, coti e le-vigatoi, macine e macinelli di pietra; vasicarenati e pseudocarenati, olle panciute odovoidi a colletto o meno, con orlo espanso infuori o chiuse verso la bocca, tegami, vasi asettori, vasi a fruttiera, fornelli a ferro dicavallo e fuseruole fittili sono oggetti carat-teristici della Fase III, comuni al quadro cul-turale già visto nei nuraghi del tempo. ASerra Orrios è pure presente con-sistentemente, pur essa tipica, la ceramica(tegami in specie) ornata strisciando o im-primendo il pettine. E’ un repertorio in parteripetuto a Elei e a Sos Cunzaos dove sihanno anche piramidctte fittili con foro per-vio o meno e un catino col colatoio a ford’orlo.

Ad illustrare le caratteristiche delle sup-pellettili di villaggi d’un’area nella qualenon sono presenti le già viste ceramiche apettine che distinguono il gusto di popo-lazioni d’una vasta parte dell’isola nella Fa-se III, scelgo un repertorio campione datodai vani 135, 136, 150, 152 e 154 di Su Nu-raxi-Barumini (strato NI inferiore).

Le ceramiche sono d’impasto compattoprevalentemente scuro, le superfici in mag-gioranza di color bruno, di massima lisciate,per il 17,14% lucidate a stecca e ii 5,71% astralucido di aspetto metallico, per il 200/oingubbiate di rosso. Il 28,54% di fogge va-scolari lo costituiscono ciotole emisferiche etroncoconiche, in un esemplare con bec-cuccio forato. 11 57,l4°/o è di tazze carena-te, a spalla verticale, inclinata all’esterno oin dentro, rigida o concavo-convessa, con lacarena spigolosa o smussata (pseudocare-nate). II 17,14% di olle, globoidi ed ovoidi,metà, per metà sono ad orlo semplice in-grossato o a colletto in ciascuna foggia. Perii 2,85%, sono presenti vasi biconici, cale-

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Fig. 85. Sassari, Museo Archeologico Nazionale: frammen-ti fittili con decorazione a pettine, dal nuraghe S. AntineTorralba (SS)

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Fig. 87. Frammento fittile dalla tomba di giganti, Fonni(NU)

Fig. 86. Sassari, Museo Archeologico Nazionale: frammen-ti fittili con decorazione a pettine, dal nuraghe S. AntineTorralba (SS)

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Fig. 88. Vaso biansato con ciotola di copertura, contenente frammenti di lingotti di rame ed altri materiali bronzei, rinve-nuto sotto il pavimento del terrazzo dello pseudonuraghe Albucciu Arzachena (SS)

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Fig. 89. Vaso a bollilatte dal nuraghe Nastasi, Tertenia (NU)

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Fig. 90. Sassari, Museo Archeologico Nazionale: fsostegno-fornello dal nuraghe palmavera Alghero (SS)

Fig. 91. Sassari, Museo Archeologico Nazionale: fornellofittile con vaso, dal villaggio nuragico di PalmaveraAlghero (SS)

Fig. 92. Sassari, Museo Archeologico Nazionale: ciotola sufornello fittile dal nuraghe Don Michele Ploaghe (SS)

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fattoi (con nervature interne ed esterne eappendici linguiformi sopra l’orlo), tegami,spiane e lucerne. Notato anche il piede in-cavato d’una coppa a fruttiera. Distinto unboccale, di corpo globoide e collo largorovesciato in fuori, con ansa a cordone in-grossato piegata dall’orlo alla massimaespansione del collo; è stato accostato a for-me del Plemmirio-Siracusa (sec. XII) e diFinocchito-Noto e Cannitello-Reggio Cala-bria (sec. X-IX a.C.). Raccolte fuseruole. Dibronzo, si sono avuti un pugnaletto trian-

golare con dorso piatto, e un anello a se-zione circolare. Parecchi elementi si strin-gono a quelli dei nuraghi Chessedu, Logo-mache, Albucciu. Ma è assente del tutto laceramica impressa o tracciata col pettine,sebbene gli orizzonti culturali siano più omeno contemporanei. Resta ancora inespli-cabile questa ripulsa al gusto e all’uso ditale ceramica da parte delle popolazioni nu-ragiche della Sardegna meridionale. Si po-trebbe suggerire, come causa, il precoce ap-parire nel sud della ceramica con decora-

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Fig. 93. Sassari, Museo Archeologico Nazionale: fornello fittile con vaso a lunga ansa a gomito, dal villaggio nuragico diPalmavera Alghero (SS)

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zione protogeometrica, che vi è anche piùcopiosa, ricca di forme ed elaborata nell’or-nato rispetto al consimile e forse derivatoprodotto del resto dell’isola. Il fenomenolegato con una sensibilità estetica più evo-luta e aperta, quale quella del « geometrico», avrebbe impedito, nel sud, che sicontinuasse il filone tradizionale della vasa-ria nuragica, di ispirazione neo-calcolitica,avente, tra l’altro, il modo di ornare conmotivi lineari a pettine. Al contrario, que-st’ultima consuetudinaria produzione avreb-be durato indisturbata nelle regioni del nordmeno disposte al nuovo e soprattutto nellezone appartate centrali restie a ognicambiamento, quando nel meridione avevainiziato il suo cammino e prosperava già ilmercato interno ed esterno delle stoviglie distile decorativo geometrico, sembrerebbe apartire dal declinare del II millennio a.C. Aquesto proposito non sono prive comple-tamente di significato recenti osservazioniriguardo la presenza a Lipari (Sicilia) di

alcune forme di tale classe ceramica, rite-nute importate per commercio dalla Sar-degna, a cominciare dalla seconda metà delXII secolo sino al X- prima metà IX a.C.,7roprio nel periodo in cui, nel centro e nelba), e l’abside. Quest’ultima sale dalla baserestringendosi in alto attraverso la sovrap-posizione regolare, dal ritmo scandito,d’una serie di conci monolitici a sezioneorizzontale d’arco, sempre più rastremati incorrispondenza alla progressione in elevatoe più piccoli di misura, chiusi alla sommitàda una pietra di chiave a segmento di troncodi cono. La « galleria » ripete lo stesso ordi-namento ortostati-filari del prospetto, nellepareti inclinate, a sezione trapezia o tenden-zialmente ogivale, per l’aggetto dei conci iquali talvolta (Biristeddi-Dorgali) presenta-no la faccia a vista tagliata a sbieco per com-porre il profilo parabolico del vano (si con-fronti con le sezioni di vestiboli e cupole deitempli a pozzo di Su Tempiesu-Orune e S.Cristina-Paulilàtino).

Nelle tombe di giganti, di sofisticatastruttura, di Biristeddi e Iloghe-Dorgali e diBattos-Sédilo, il lastrone (li fondo della Ca-mera funeraria presenta un risalto in quadro,ottenuto con la risega della parte superiore.

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Fig. 95. Sassari, Museo Archeologico Nazionale: lisciatoiodal nuraghe S. Antine Torralba (SS)

Fig. 94. Sassari, Museo Archeologico Nazionale: pintade-dra di terracotta dal nuraghe S. Antine (SS)

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Fig. 96. Sassari, Museo Archeologico Nazionale: pintadedra dal nuraghe S. Antine Torralba (SS)

Fig. 97. Sassari, Museo Archeologico Nazionale: pintadedra dal nuraghe S. Antine Torralba (SS)

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Si tratta di rappresentazione della portafinta: la « porta inferi? ». Lastre quadran-golari e pentagonali, hen ritagliate a scal-pello, della « galleria » delle due tombe diTamuli-Macomer mostrano rilievi in formedi ogiva, triangolare e d’uno schema quadra-to che si restringe in alto a collo limitato da

sgusci concavi come a figurare le spalled’un antropomorfo stilizzato. Vi è contenutaun’oscura simbolica giocata su temi geome-trici essenziali in armonia con l’estetica li-neare della Fase III. Sono conformi a questogusto una serie di pezzi architettonici, sago-mati a scarpa o a gradini, verosimilmenteappartenenti all’alzo della facciata dellamaggiore delle due sepolture di giganti diBiristeddi.

Conosciamo sinora una ventina di tombedi stile « ortostatico-levigato », con stele ofregio a dentelli. Ve ne sono nel Fonnese,nelle Baronie, nell’altopiano di Sédilo ePaulilátino, nel Meilogu, nel Montiferru,nell’Ogliastra, ossia in una fascia centraledella Sardegna che va da costa a costa. Perlo più a questo tipo tombale si accompagna-no betili troncoconici, lisci o segnati.

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Fig. 98. Fregio a dentelli della tomba di giganti di NoeddasPaulilatino (OR)

Fig. 99. Fregio a dentelli della tomba di giganti S’ena ‘es’olomo Sindia (NU)

Fig. 100. Baunei, S. Pietro di Golgo: betilo antropomorfo

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Appunto di 23 betili a tronco di cono oggiconosciuti, in massima parte di basalto (nericordo la simbologia cromatica), 13mostrano succinti particolari figurativi cheriflettono concezioni del sacro rese astratta-mente come di norma. I più sono variati datre a cinque incavi rotondi o quadrangolari,situati tutto all’intorno nel terzo superioredelle pietre ben tagliate e profilate. Adducoesemplari delle tombe di Perclu Pes-Paulilátino, Sòlene-Macorner, Oragiana-CUglieri. Alti da m. 1,05 a 1,93 con cir-conferenza media di rn. 1,75, i tre quarti delgiro sono finemente levigati. La parterestante rimane liscia, allo stato naturaledella pietra, con lo ta’co netto d’un riquadrotrapezoidale che appiattisce decisrrnente ilsolido rotondo. Uno dei tre betili di PerduPes ed uno dei cinque di Oragiana presenta-no nel pieno centro della sommità una bozzatondeggiante in rilievo d’incerto significato.Il volume troncoconico stilizza una sagomaumana, la parte piatta rappresentando il pet-to e il resto convesso il dorso. Il simulacroantropomorfo è perfezionato dalla rappre-sentazione degli incavi-occhi, suggerenti,nella pluralità anormale, un essere sovruma-no, la vista del quale acquisisce uncaratteristico valore simbolico, funzionaleall’ideologia magico-religiosa.Poiché i monoliti del genere stanno in conti-guità topografica ed in rapporto ideale contombe di giganti di squisita fattura, sorge l’i-potesi d’una immagine di divinità, non sap-piamo se maschile o se femminile, che haocchi dappertutto, che vede tutto alIiigirocome si addice a un guardiano del sepolcro,a un custode potente e terribile che vigila,con occhi sempre aperti, sulla comunità deimorti sepolti nella tomba monumentale. Essivengono protetti e difesi, per la presenzamateriale e ideale di questi esseri o spiritidella pietra, da tutti i pericoli fisici e psichi-ci.Non è da escludere un’affinità tra le imma-

gini betiliche protosarde con molti occhi egli idoli di segno oculiforme (cosidetti «facce-occhi ») di area europea occidentale,più frequenti nella Spagna del sud durantel’età del rame. Il movimento ideologico-reli-gioso che, a cavallo tra il III e il II millennioa.C., divulgava in Europa, via mare, lo spe-cifico concettuale d’una divinità caratte-rizzata dal valore dato ai suoi occhi (valorefortemente sciamanico), toccò anche la Sar-degna. E’ significativo un ciottolo idolifor-me dall’abitato prenuragico a cultura Ozieri,di Puisteris-Mògoro, sulla cui liscia superfi-cie spiccano due cavità oculari. Vi si puòriconoscere un betilo in miniatura che, nellaforma troncoconica tondeggiante alla base eper gli occhi grandi e profondi sotto la som-mità piatta, pare il prototipo degli imponen-ti idoli di basalto messi a guardia delletombe megalitiche dell’avanzata età nu-ragica. Ma in questi ultimi, sulla tradizionesi innesta la novità della moltiplicazioneoculare, idea precedentemente ignota, perquanto sembra, sia alle regioni europee siaalla stessa Sardegna che pure conosce l’ite-razione, a scopo magico-riproduttivo, di altrisimboli religiosi (ad esempio, le protomibovine degli ipogei). Invece, nella stessa etànuragica, il concetto ripetitivo degli occhi losi rivede in periodo successivo a quello deibetili, in un elemento architettonico in cal-care dal pozzo sacro di S. Vittoria-Serri. I

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Fig. 101. Fregio a dentelli della tomba di giganti di PadruEbbas, Fonni (NU)

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due registri decorativi del pezzo mostranol’uno bande trapezoidali in rilievo e l’altrovarie brevi sporgenze perimetrali compren-denti cer,hielli incisi con punto centrale,interpretati come occhi posti fra le orecchie:il Milani volle vedervi un idolo «adorato in

espressione triopica semiantropomorfa ».Anche nelle statuine in bronzo di Abini-Teti,rappresentanti esseri sovrasensibili (divinitào demoni), la forza magica visiva si esprimecon un rendimento plastico polioftalmico.Questo richiamo di materiali di circa l’Vilisecolo a.C., insieme a betili oculari ritrovatidi recente nello heroon di Monti Prama-Cabras, consentono di apprezzare la lungadurata delle pietre del genere considerato, icui primi esemplari risalirebbero agli ultimitempi del II millennio a.C.

Su d’uno dei cinque betili troncoconicidella tomba dei giganti di Nurachi-Sédilo(altezza da m. 1,40 a 1,43, diametro basaleda cm. 83 e 87, superiore da 51 a 58) siosservano due linee incise orizzontalisovrapposte: includevano forse un visoumano dipinto. Meno oscuro un betilo da S.Pietro di Golgo-Baunei (fig. 100), alto m.1,21. A 36 cm. sotto la sommità piatta, sirileva un volto antropomorfo con gli essen-ziali tratti fisionomici di occhi, naso e bocca.Il contorno, morbido, sfuma nel fondo dellapietra, quasi vi si connaturasse. L’aniconicofa una sorvegliata concessione all’iconicolimitato a puro « sema ». Sa di « maschera)>applicata sul pilastro: una « tête coupée »,anomala, nella sua posizione mediana,rispetto a quella in alto, normale, delle sta-tue-menhirs. La testa suggerisce il confron-to con le protomi antropomorfe rilevate sulfusto troncoconico dell’insegna liturgica inbronzo di S. Maria di Tergu, di circa l’Vilisecolo a.C. Il viso, pur rimanendo nell’in-determinatezza personale, accentua la ten-denza verso la rappresentazione umana. Eciò, nella tenace tradizione della religioneaniconica e dell’arte che la segue, può indi-care un certo cambiamento, che va oltre lapresenza puramente magica, connesso conla storia dello spirito, avvenuto negli ultimitempi del IT o nel primo periodo del I mil-lennio a.C., data probabile del betilo diBaunei. Che cosa esso poi significhi, nella

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Fig. 102. Piante di tombe di giganti:1. funtana morta SorgonoSos Ozzastros Abbasanta3. Isarus Gonnesa4. S’Omu e Nanis, Esterzili5. Biristeddi, Dorgali6. Pedras Doladas, Scanu Montiferru

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Fig. 104. Pianta e sezione della tomba di giganti di Battos-Majore, Sedilo

Fig. 103. Fregio a dentelli archi monolitici e conci sagomati dalla tomba di giganti di Battos-Monte Majore Sedilo (NU)

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Fig. 105. Pianta e sezione della tomba di giganti di Bidistili Fonni (NU)

Fig. 106. Tomba di giganti di Bidistili, Fonni (NU) camera funeraria vista dall’abside

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serie variata dei betili troncoconici di-scendenti da archetipi dell’età del rame (LosMillares e Cabecico de Aguilar-Spagna, Platanos-Creta, Cicladi, Sesklo, Tebe ecc.), nonè facile precisano. L’idea di un idolo si alter-na a quella di un « ritratto intenzionale>) deldefunto, tenuto conto che il monolite si as-sociava a una tomba megalitica.

Per dare un’idea dell’aspetto culturale,descrivo brevemente i materiali litici, me-tallici e ceramici (rinvenuti piuttosto scarsidentro la camera e copiosissimi invece, nel-

l’esedra specie nella parte destra guardan-do), della tomba di Bidistìli-Fonni (figg.105107) scavata di recente.

Gli elementi in pietra si limitano a unmacinello di granito, due dischetti forati dlardesia, un piccolo cristallo di rocca e pochescheggioline e una lametta di ossidiana. Diferro, un braccialetto nastriforme, liscio, chenon può essere più antico del IX sec. a.C., e,pertanto, appartiene all’uso finale dellatomba nella Fase IV, mentre la sua co-struzione deve riportarsi ai primi tempi del-

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Fig. 107. Tomba di giganti di Bidistili, Fonni (NU): veduta dell’esedra con fregio a dentelli (a); particolare (b)

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la Fase III. Nelle ceramiche, tutte d’impastoa varia granulazione di componenti fisici de-rivati da terra granitica del posto, si distin-guono forme di olle globulari ed ovoidi conorlo ingrossato a spigolo piatto, convesso erovesciato in fuori, vasi panciuti a colletto,ciotole emisferiche e cilindro-coniche, tazzecarenate talvolta con presine a lingua, spia-ne e soprattutto tegami ansati o meno. Aqueste fogge vascolari appartengono anse anastro, a ponte, ad anello e presine a bugnae a linguetta talvolta forata.

Vi sono prodotti grossolani, di fortespessore di parete e ruvidi, altri di fine cera-

mica, a pareti sottili, con le superfici lisce,levigate e ingubbiate. Sono distinti parecchiesemplari di ciotole e altri vasi di color nera-stro opaco, bruno grigio e marrone all’ester-no e con l’interno trattato, per mezzo dellastecca, a stralucido nero con riflessi metalli-ci, quasi argentei. Nella decorazione dominaquella ottenuta col pettine, presente di mas-sima nei tegami. I motivi sono di linee piùspesso punteggiate ma anche lo tracciate,disposte in file parallele formanti riquadri in• qualche caso, o in cerchio, secondo undisegno ordinato geometricamente; in untegame lo spartito lineare compone astratta-mente un insieme cadenzato di schemiantropomorfi. In due vasi a colletto è la stec-ca a produrre l’ornato esterno di lievi solca-ture ricurve, a onda o a zig-zag, d’uno stilevicino a quello decorativo di recipienti, più omeno conformi, dello stratoprofondo, sotto-posto al livello con askoi di tipo « villano-viano », del pozzo del cortile del nuragheLugherras-Paulilatino. Compleia il cennosugli oggetti in terracotta, una minuscola

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Fig. 108. Planimetrie di tombe a tafone: Casanili (1-2), LeCasacce (3), Li Conchi (4-5) Malchittu (6-7) (da FerrareseCeruti)

Fig. 109. Arzachena loc. Malchittu tomba a tafone (daFerrarese Ceruti)

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fuseruola, o, forse meglio, grano di collana.E’ da notare che i pochi elementi del cor-

redo ceramico dei defunti nella camera pa-vimentata con cura, erano deposti ritual-mente « rovesciati », come vasi delle grottefunerarie neo-calcolitiche di S. Bartolomeo-Cagliari, S. Michele-Ozieri e Sa Ucca e suTintirriolu-Mara, secondo l’ideologia del«capovolto» applicata al mondo degli inferie agli spiriti dei morti ritenuti camminarecon la testa all’ingiù in contrapposto almondo all’insù dei vivi. I vasi e le salme(tutte andate in consunzione) non riposava-no direttamente sul lastricato pavimentale,ma soira un letto di ciottoli fluviali di 5/IOcm. di spessore. Si tratta d’un costumeovviamente rituale, che allude al viaggio deitrapassati sul fiume, e trova il simile nella«nau» di Es Tudons-Ciudadela (Minorca).Come in sepolcri galluresi, nella tomba diBidistili la quantità maggiore dei resti pre-sentati ai defunti, soprattutto ceramiche,stava davanti al portello e nella zona a destraguardando la fronte dell’esedra, mentrenella parte sinistra i materiali diminuivano.A Bidistili i particolare si può spiegare conla presenza, sulla diritta, d’un piccolomenhir betilico in granito, presso il qualedovevano moltiplicarsi le cerimonie propi-

ziatrici con i relativi numerosi doni. Ma nonsi esclude una pratica rituale connessa conuna scelta ideologica della posizione.

Sempre a Bidistili, alla base del muroricurvo dell’esedra corre una banchina diconci ben tagliati. In essa sedevano visitatorie vi deponevano piatti col cibo e ciotole eolle con la bevanda dei morti. Possiamoimmaginarvi anche piccoli vasi (taluni deic.d. tegami o le ciotoline), fungenti da lam-pade, con crocette di fieno e uno stoppino dilino acceso galleggianti nell’olio di lenti-schio (come le «lantias» dell’attuale mondoetnografico sardo). Infine, nella nostrasepoltura ccme in tutte le tombe di giganti diogni epoca, nello spazio cultuale dell’esedrasi levavano le preghiere, le lamentazioni,for..e si attuavano riti di « frammentazione’>di vasi e di altro affinché fosse conces al vi-vo di liberarsi completamente e definitiva-mente delle “sue” cose in favore del defun-to. Non ultima né infrequente doveva esserela pratica magica-religiosa dell’incubazione,allo scopo di avere sogni rivelatori e guari-gione dalle ossessioni e da mali fisici, per iltrasferimento nel morto (concepito come an-tenato-eroe) di miracolose virtù divine.

In qualche parte della Sardegna, come nGallura, accanto al costume di seppellire in

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Fig. 110. Luogosanto, loc. Balaiana: veduta della fronte, piante e sezione di tomba a tafone (da Ferrarese Ceruti)

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tombe monumentali, vigeva la pratica diinumare dentro anfratti naturali del granito(cosiddetti « tafoni »): un modo più diretto emeno costoso, da gente povera e arretrata, dicustodire i morti. Si tratta di grotticelle dipianta irregolare, di ampiezza modesta (dadue a quattro metri in lunghezza), provvistedi piccola apertura all’esterno chiusa per lopiù da un muretto a secco. Nell’interno, tal-volta, si presentano divisioni in simile mura-tura grezza, per allogare separatamente unao più deposizioni. Si sfruttano pure intersti-zi tra settori di roccia, coprendoli con unapietra e murando rozzamente alla boccal’improvvisato vano sepolcrale. Nei « tafoni‘> era usata la sepoltura individuale come laplurima. Si riconosce il costume della depo-sizione primaria del pari che la secondaria,

quest’ultima attestata (sembrerebbe) da restiumani semicombusti e con le ossa disartico-late, per effetto della pratica della scarnifica-zione cui erano riservati bassi recinti circo-lari scoperti, provvisti d’una rozza stelenella parete contro l’ingresso. I morti, con ipoveri corredi, venivano adagiati sul nudosuolo o su un battuto pavimentale. Si conta-no una cinquantina e più di « tafoni ‘> fune-rari, addensati nel versante orientale dellaGallura, specie nel compendio di Arzachena(circa 16 nelle località di Nicola Carta,Monte Mazzolu, Le Casacce, PuntaCandela, Monte di Oglio, Li Conchi,Maichittu, La Macciunitta, Li Muri,Donnicaglia, Li Vignali). Ma sono presentipure, numerosi, a S. Teresa di Gallura (20 traBrandali e Vigna Marina) e, in scarso nume-

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Fig. 111. Piante di nuraghi misti a tholos e a corridoio:1. Nur. Gurti Aqua, Nurri 4. Nur. Quau, Bonarcado2. Nur Serra Crastula Bonarcado 5. Nur Marasorighes, Ottana3. Nur. Santu Perdu, Nurri 6. Nur. ‘Izzana, Aggius

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ro, a S. Francesco d’Aglientu, (Mannucciu eCampavaglio), Luogosanto (Casanili eBalaiana), Tempio (Santa Chiara) e Olbia(Putzolu, Monte Tuvu, Mom e Alvu edEnas). La vicinanza delle grotticelle a nura-ghi a tholos semplici (Brandali, VignaMarina, Mannucciu) o complessi (LiConchi) con villaggi intorno, a colline forti-ficate contenenti abitazioni sotto roccia(Monte Mazzolu, Le Casacce, PuntaCandela, Monte Tuvu) e a contesti megaliti-ci di natura civile e religiosa (pseudonura-ghe e tempietto di Malchttu), le collocatopograficamente nell’ambiente nuragico.

E a queste periodo di civiltà, con inizionella Fase III, riporta anche lo scarso mate-riale archeologico ritrovato dentro e

all’esterno dei .< tafoni », dove era statodeposto a corredo o in offerta ai morti, Sinotano, in pietra, un lisciatoio e schegge elamelle d’ossidiana. La ceramica, scadenteper lo più, d’impasto molto granuloso e dicottura rudimentale, fatta in posto, è pocoarticolata nelle forme, rispondente nell’in-sieme alle limitate esigenze d’un ambientesegregato e alla semplice economia pastora-le. Comprende fogge di ciotole carenate,vasi a colletto, olle panciute con anse anastro e prese a lingua, piccoli recipienticilindrici con orlo riverso infuori, il coper-chio d’un vaso bollitoio, tegami in prevalen-za. Raccolte pure poche fuseruole fittili,biconiche. A Brandali è apparsa la specieceramica decorata col pettine, ciò che indu-

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Fig. 112. Pianta e sezioni dello pseudonuraghe Beppe Gallu di Uri (1) e del talaiot di Fontedrones de Baix, Mercadal(Minorca) (2)

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ce a collocare la cultura « gallurese » dei «tafoni » nella Fase nuragica in argomento.

Il contesto in genere di elementi archeo-logici e di consuetudini connesse con la re-ligione dei morti, si pone nello stesso quadronuragico nel quale trovano giusto posto pro-dotti di vita materiale presenti in altre tombedi giganti (Leporeris e MastalaFonni, Curtu-Nuoro, Su Monte e s’Ape, Li Lolghi eCoddu Vecchiu-Arzachena, Biristeddi-Dorgali), e in villaggi e nuraghi, come ab-biamo detto sopra. Si tratta di un tempo nu-ragico in cui la cultura di Bonnànnaro hachiuso sostanzialmente il suo lungo svilup-po, così che i luoghi citati non ne presenta-no più traccia. Anzi col revival decorativo,seppur rude e severo come la vita, manife-stato diffusamente nella produzione cera-mica (ma anche nelle stele a dentelli e neibetili), si annunzia il ritorno proprio d’unvalore - quello estetico - che le comunità diBonnánnaro avevano rimosso in quanto noncongeniale alla loro natura e al tenore di unvivere civile e sociale basato sul concreto esul pragmatico che non consentiva evasionedi sorta. Ciò non significa tuttavia che ilmutamento materiale esteriore fosse stato

frutto d’una rottura spirituale e di una cata-strofe politica.

Il cambiamento si individua bene in untipo singolare di architettura religiosa, di-verso da quello prevalente, già conosciuto,del tempio a pozzo. Dico del tempio a me-garon, ossia di uno schema di edificio ret-tangolare con partizioni o meno all’internoe all’esterno prolungato in ante. Si tratta diuna novità venuta da fuori perché, a partel’apparente coincidenza dell’impiantorettilineo ortogonale con quello di pseudo-nuraghi e prima ancora del monumento diMonte d’Accoddi, l’insieme non ha alcunadiretta relazione con tali costruzioni indige-ne, mentre rivela una propria autonomaindividualità di origine esterna. Il tipo archi-tettonico mostra un’applicazione sinoraassai modesta, limitato com’è nella colloca-zione geografica a pochi luoghi del centro-nord dell’isola, presso taluni gruppi isolati,perché le restanti comunità nuragiche piùestensivamente preferivano il consuetudina-rio pozzo sacro con il conseguente aspettodi religione delle acque. Eccetto i « megara» sacri di Serra Orrios-Dorgali, inseritiorganicamente nel tessuto urbanistico delvillaggio, quelli di Sos Nurattolos-Alà deiSardi e di Cuccureddì-Esterzili si isolano inluoghi montani, in vicinanza di poche altrestrutture funzionali al servizio religioso.

I due templi in antis di Dorgali - unogrande e uno piccolo - sono situati al centroe nella periferia del borgo, il primo riservatoforse ai soli abitanti del modesto centro divita, il secondo piuttosto di fruizione pubbli-ca intertribale in occasione della festa, quan-do convenivano molti pellegrini forestieri.Difatti quest’ultimo edificio è circondato daun vasto recinto di m. 35 x 40 di diametro,con due ingressi. Il maggiore, limitato da untemenos ristretto, presenta la cella rettango-lare provvista di sedili alla base delle paretie mostra una bozza simbolica sulla fronted’un’anta, all’esterno.

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Fig. 113. Gesturi, loc. Brunku Madugui: pianta di capannenuragiche

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Fig. 114. Ceramiche del villaggio nuragico di BrunkuMadugui, Gesturi (Ca): oltre a colletto e ad orlo semplice,dalle capanne 4 (nn. 3-4) ee 6 (nn. 1-2)

Fig. 115. Ceramiche del villaggio nuragico di BrunkuMadugui, Gesturi (Ca): ciotole a orlo rientrante ed emisfe-riche ansate o meno, dalle capanne 2 (n. 4), 5 (nn. 1,5) e 6(nn.3, 6-7)

Fig. 116. Ceramiche del villaggio nuragico di Brunku Madugui, Gesturi (Ca): ciotole carenate ansate o meno, dalle capan-ne 5 (nn. 2,4,5) e 6 (nn. 1,3)

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Il sacello di Sos Nurattolos, circondato eprotetto da un recinto ellittico di m. 16 x 13,comprende un’aula di m. 6,15 di lunghezzax 4 di larghezza, dentro murature di unmetro di spessore; vi introduce una portaarchitravata, di m. 0,90 di larghezza e altasul colmaticcio m. 1,20, rivolta a NW. Inprossimità stanno strutture fisse in muratura:una fonte lustrale coperta, all’interno d’uncortile circolare; un capace vano a capannarotonda con base di pietre e tetto conico dipali e frasche da supporre usato per il sog-giorno temporaneo del clero e per il deposi-to delle attrezzature cerimoniali; il detto spa-zioso temenos che include, oltre il megaTon,una costruzione in duplice cerchio concen-trico dove verosimilmente si racchiudevanogli animali destinati al sacrifizio, o si depo-nevano gli ex-voto, se non era anche riserva-to a pratiche oracolari.

Più monumentale è l’edificio di Cuccu-reddì (fig. 124), presso il Monte Santa Vit-

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Fig. 117. Ceramiche del villaggio nuragico di BrunkuMadugui, Gesturi (Ca): vasia conca e vasi con listello sottol’orlo, dalle capanne 3 (n. 3), e 5 (nn. 4-6) e 6 (nn. 1-2)

Fig. 118. Ceramiche del villaggio nuragico di Brunku Madugui, Gesturi (Ca): tegami ansati o meno dalle capanne 1 (n. 3)4 (n. 2) e 6 (n. 1)

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toria, a m. 978 di quota, non distante da unaborgatella di capanne rotonde, da un granderecinto ellittico e da una fonte costruita adarte. Esso ripete lo schema tripartito delmegaron. Racchiuso entro una area ellitticadi m. 48,50 x 28, presenta la figura d’unafabbrica rettangolare di m. 22,50x7,79 conmuri spessi m. 1,32, in pietre calcari a ordi-namento regolare continuo. La costruzionesi compone d’un vestibolo (m. 5,15 x 5),d’una stanza maggiore (m. 8 x 5,15), d’unastanza minore retrostante, una specie diSancta Sanctorum (m. 3,55 x 5,15). Nellaparte di retroprospetto, il tempio rientra amo’ di abside rettangolare aperta verso l’e-sterno (m. 5,15 x 2). Porte, a sezione tra-pezi’, mettono da un vano all’altro. La co-pertura, ora mancante, era fatta o a carena,con las’re aggettanti gradualmente al-l’interno delle .palle murare (come in certianditi di nuraghe), oppure a doppia falda dilegname e strame, in questo caso con faccia-ta a timpano.

A parte il diverso uso funzionale, è plau-sibile l’avvicinamento planimetrico di questitempli sardi nuragici, al disegno dei megaradi Troia II e tardomicenei di Micene, Tirintoe Pylos. Sono forme sviluppatesi in modoautonomo, anche se non si possono discono-scere del tutto comuni lontane origini, comeavviene per gli esemplari elladici, pelopon-nesiaci e anatolici. Forse l’età dei disadorniedifici di culto a megaron della Sardegna,non è lontana da quella dei sontuosi palazzimicenei della tarda età del Bronzo (Tardoelladico III B 1340-1210 a.C.). Si ricordache nell’ambito dell’aggregato abitativo checomprende i tempietti di Serra Orrios, sonostate raccolte ceramiche decorate con motivilineari impressi a pettine, in voga nell’isolanegli ultimi secoli del II millennio a.C.

Si avvicina al tipo del tempietto a me-garon, e, comunque, appare di figura nura-gica nell’impianto e nelle strutture, il sacellodi Maichittu-Arzachena (figg. 127-28). E’

situato tra le montagne di granito a pocadistanza da un gruppo di capanne circolari eda uno pseudonuiaghe che si annette dueripari sotto roccia. Si presenta lo schema ditempio a cella oblunga. L’edificio di contor-no ellissoidale, mostra i fianchi prolungatisulla fronte ad abbracciare il vestibolo ret-tangolare. Nella struttura, elevata a fortescarpa sui lati maggiori e nel retroprospetto,verticale sulla fronte a cuspide, lunga m.12,70 e larga 5, è contenuta l’unica cameradi piano ellittico, di m. 8x4. Illuminata da un

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Fig. 119. Ceramiche del villaggio nuragico di BrunkuMadugui, Gesturi (Ca): anfora e frammenti di broccheaskoidi, dalla capanna 6

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finestrino, essa presenta un bancone sullaparete di fondo, destinato ad altare per l’ido-lo aniconico e per le relative cerimonie; unfocolare rituale per i sacrifizi al centro delpavimento; quattro nicchiette a muro per glioggetti usati nel culto. Un tetto a doppiafalda copriva l’ambiente che, per tecnicamuraria e impianto, ricorda costruzioni dellavicina Corsica (Filitosa). Particolari struttu-rali e resti ceramici stringono questo monu-mentino di cultura nuragica «gallurese» alnon lontano nuraghe Albucciu, la cui esten-sione di vita, sulla base del C14, è stata sup-posta dal 1220 al 770 a.C. Carboni raccoltinel focolare del tempietto di Malchittu,offrono una cronologia a C 14 di 920± 70a.C.

Dei templi a pozzo, sorti nella Fase IT ech’ dobbiamo immaginare continuati acostruire nella Fase III (anche se non siconoscono finora prove certe consistenti di

materiali), si farà cenno a proposito dellaFase IV. Infatti, in questo periodo di tempo,di grande svolta storico-culturale, i pozzisacri assumono un meraviglioso sviluppo,talvolta con forme vistose e preziose,accompagnate da ricchezza di ex-voti.

Non stupisce che, di fronte a una civiltàcosì eminente se guardata nell’aspetto mae-stoso e numeroso dei suoi monumenti diprevalente segno militare, più volte ci si siapreoccupati di cercargli un nome storico dipopolo. A cominciare dall’800, e oggi anco-ra, il popolo dei Sherdanw, il cui nome e lacui immagine sono ricordati e ritrattati inmonumenti e documenti scritti egizi (rilievidei templi di Abu Simbel-Karnak e Medinet-Habu, papiro Wilbour), viene di tanto intanto evocato per accettarne o meno l’identi-ficazione con l’aggruppamento o gli aggrup-pamenti etnici nuragici, in particolare dellanostra Fase III. Al carattere fiero, coraggio-

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Fig. 120. Ceramiche dalla capanna 135 del villaggio Barumini (nuragico I inferiore)

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so e bellicoso dei costruttori delle rocche edei grandi castelli protosardi, si vorrebbeaccostare quello « dal cuore ribelle » deiSherdanw. Questo « Popolo del Mare » (sisa) ora combatte contro i Faraoni, in allean-za con gli Hittiti nella battaglia di Kadeshsull’Oronte di Siria nel 1285, con Marmajoncapo dei Lebu in quella di Paarisheps vintada Ramses II e, infine, coi TamaFienu e iMaschavasha libici ;confitti da Ramses III:1182-1151. Ma ne c istituisce anche la guar-dia del corpo e, per i servizi resi, ne traericompensi in cessioìi di terre in proprietàper se e le loro farn1glic (papiro Wibour deltempo di Ramses V: 1145-1141). Non tantoper l’assenta, ma assai vaga e generica,rispondenza dell’armatura dei Sherdanit’con quella delle più tardive figurine di bron-zo protosarde (della Fase IV), quanto per ilsuggestivo nesso onomastico Sherdanw-Serdàioi della citata tabella di bronzo e del

radicale serd persistente nella toponomasti-ca isolana, l’ipotesi della presenza nellaSardegna dello scorcio del IT millennio d’unpopolo piratesco che, con altri della legamediterranea contro l’Egitto, viene al deltanilotico o al confine libico-egizio dal mezzodel mare con proprie flottiglie, se non è daaccogliersi acriticamente non si può nem-meno scartare del tutto, aprioristicamente. Isecoli nei quali si svolgono le vicende deiSherdanw e dei confederati, che voglionoespandersi per contrastare l’egemonia dellapotenza faraonica, sono quelli che vedono lecomunità nuragiche guidate dai loro principitoccare il massimo splendore nell’ar-chitettura e sviluppare un consistente e or-ganizzato vivere civile, economicamenteprospero. Sono i secoli XIII-XII, quando,d’altra parte, gli Achei (gli Aqaiwasa, popo-li del mare menzionati insieme ai Sherdanwfra gli aggressori del faraone Merneptah:

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Fig. 121. Ceramiche del villaggio nuragico di Palmavera (Alghero)

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Fig. 122-123. Ceramiche del nuraghe Chessedu, Uri (SS)

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1227), mostrano un grande dinamismo indirezione del Mediterraneo occidentale sinoin Sicilia, oltre che verso le isole dell’Egeo el’Asia Minore.Lasciando impregiudicata la questione secostruttori di nuraghi siano stati i Sherdanw o altri popoli (si ipotizzano ancheSardi asiatico-caucasici) e abbiano parteci-pato o meno ai movimenti e a guerre medi-terranee, è certo, però, che tra protosardi epopolazioni insulari o rivierasche delMediterraneo dovettero intervenire, in que-sta Fase III, almeno rapporti e scambi dicarattere commerciale. Lo dimostrano ipani di rame e le ceramiche micenee tarde,che arrivano probabilmente da Cipro, isolacon la quale la Sardegna, per lungo tempodella protostoria e nei tempi storici, per iltramite fenicio intrattenne non poche e nonirrilevanti relazioni, tanto da essere segnatada un certo « sigillo » ciprioto.Oggi si discute se i pani di rame che, nelleterre occidentali, si rinvengono numerosi efrequenti soltanto in Sardegna, possano es-se stati prodotti, almeno in parte, localmen-te, benché rechino marchi di fabbrica del-l’alfabeto « egeo ». Si potrebbe supporre lapresenza nell’isola di gruppi di ciprioti-mi-cenei, esperti nella metallurgia del rame (daquesto metallo prende appunto nomeCipro), venuti non di loro iniziativa comeimprenditori-colonizzatori, ma chiamati daiprincipi nuragici per introdurre la ricerca ela metallurgia del rame e di altri metalli:forse dello stesso stagno presente, comel’argento, lo zinco e il piombo, nel sotto-suolo sardo. I tempi nuovi, di grande con-flittualità, esigevano e sollecitavano anchein Sardegna l’avvio di un processo di indu-strializzazione per lo sviluppo economico eil consenso alla politica dì potere dellesignorie nuragiche. Ci pare che, proprio aquesti fini egemonici a livello locale, i prin-cipi protosardi e la connessa classe socialenon potessero lasciare in altrui possesso e

profitto risorse tanto preziose come quelleminerarie e metallurgiche, mentre sembraplausibile l’ipotesi che essi consentissero ache le lavorassero estranei in veste di tecni-ci alloro servizio. I marchi « minoico-mice-nei » sui lingotti, caratterizzando l’originedei metallurghi, facilitavano, insieme, lacommercializzazione del prodotto sardo,avendo il nome egeo-acheo larga popolaritàe capacità e forza di introdursi nei piùimportanti centri del mercato mediterraneo.Questa ipotesi avrebbe senso più generale,se rapportata al fenomeno di regionalizza-

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Fig. 124. Pianta e sezione del tempio a megaron di Domude Orgia in loc. Cuccureddu Esterzili (NU)

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zione che il mondo miceneo continentale einsulare cominciò a sviluppare verso la finedel XIII e l’inizio del XII secolo a.C.,accentuando lo scambio con gli indigenisino a produrre processi di convivenza nel-l’interesse economico reciproco.

In talc situazione il lingotto, presentenelle zone costiere come nel profondo inter-no della Sardegna, era l’indice dellaproiezione mercantile esterna e dei contattie delle relazioni economiche-commerciali, alivello locale, tra le tante comunità nuragi-che strutturalmente interdipendenti perquanto autonome politicamente. I pani dirame suggeriscono inoltre la supposizioneche fosse venuta meno la funzione di mezzodi valutazione ponderale prima assegnata adoggetti di uso comune (ad esempio le punte

di freccia) e lo stesso costume del baratto inbestiame o altro, quest’ultimo peraltro ricor-dato simbolicamente nella forma a pelle dibue dei lingotti. Pare invece che fosse pro-prio il lingotto, come oggetto di pregio evaloroso per materiale, fattura e peso, aprendere concreto valore di denaro e funzio-ne di scala di prezzi, superato ormai l’anticosistema di scambio premonetario.

In tal modo si spiega che, nelle specie deilingotti sardo-micenei, ve ne siano di interidifferenti nella misura e nel peso (unità fon-damentali?) e in pezzi (per esempio nelnuraghe Albucciu, nel ripostiglio di PerdaFloris), da supporsi divisioni ponderali dimoneta primitiva. La copia, la differenzia-zione metrica, la diversità dei marchi e iltaglio variato dei lingotti, prodotti a comin-

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Fig. 125. Pianta generale del villaggio di Serra Orrios, Dorgali (NU)

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Fig. 126. Veduta area del villaggio di Serra Orrios, Dorgali (NU)

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ciare dal XIII e continuati nell’uso sino allafine del II millennio aC., stanno a indicareuna flessibilità notevole dell’economia e unacapacità assai elevata in risorse finanziarie(cui si aggiungeva il patrimonio di terra e dibestiame dei principi), tali da rendere ragio-ne della potenza del fenomenoarchitettonicoedilizio nelle tante manifesta-zioni e del sistema di valori ideali e materia-li connessi alla civiltà nuragica nella FaseIII.

Venendo ora all’esame delle ceramichemicenee nelle varie implicazioni, dopo leprime segnalazioni in luoghi imprecisatidella costa orientale dell’isola, la recentescoperta di esse in strato certo ad Antigori diSarròch, nel golfo di Cagliari, rende ildiscorso puntuale e concreto, anche se nondefinitivo.

Antigori (anticaglie) è il nome d’unacollina conica, isolata, alta m. 177 sul mareche dista appena 750 metri a Est (forse inantico ne lambiva il piede), dominantestrategicamente dogni parte verso i monti diCapoterra boscosi e ricchi di bestiame e dicaccia, e la lunga striscia costiera della baiacagliaritana costituita di alluvioni e detriti difalda assai fertili e dalle acque un tempopescose. La cima della collina di rocciametamorfica tutta frastagli e a tratti caverno-sa, è cinta quasi da ogni lato da un sistemaardito e ingcgnoso di contrafforti e baluardimurari in opera poliedrica di grossi massigrezzi,

torri e cortine alternate che si integranonei dirupi naturali chiudendo i varchi per ra-gione di difesa e per il resto componendo agradi una vasta terrazzata artificiale atta alcontrollo e all’impianto di un nucleo abita-tivo. La complessa fortificazione culmina aNE nella torre d’un nuraghe semplice, mo-nocellulare, a thu/os bassa di blocchi polie-drici ben tessuti anche se rozzi d’aspetto acausa del materiale che null si presta a la-vorarlo, provvista d’una scala erta e corta

che fuoriesce direttamente al terrazzo. Ilrude apparecchio del paramento esterno deltronco di cono, in alto era ingentilito da uncoronamento di conci a cuneo in panchina,come il vicino nuraghe Sa Domu e s’orku diSarròch col quale (del pari che con altrinuraghi), l’Antigori formava un sistema aprotezione del comprensorio nuragico diSarròch-Pula ritenuto di particolare valore

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Fig. 127. Pianta del tempietto di Malchittu, Arzachena (SS)

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Fig. 128. Tempietto in località Malchittu, Arzachena (SS)

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Fig. 129. Ceramiche micenee dal Nuraghe Antigori, Sarroch (CA)

Fig. 130. Frammenti di ceramica micenea da località sconosciuta del nuorese (da Lo Schiavo)

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Fig. 131. Lingotto di rame di tipo egeo da Serra Ilixi (nuragus, NU)

Fig. 132. Lingotto di rame di tipo egeo da Serra Ilixi (nuragus, NU)

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strategico ed economico, tale che in età pu-nica-romana vi sorse e vi si sviluppò concarattere di capitale la città di Nora. Il di-spositivo tortificatorio costituiva l’aice condentro, per l’estensione di più d’un centinaiodi metri quadri, la parte di abitazione piùimportante cui si intendeva dare la massimasicurezza. La parte restante più vasta, ritenu-ta meno passibile di protezione, era situata

fuori della rocca nel pendio di SE della col-lina, non lontano da due tombe di gigantidestinate ai residenti nel fortilizio.

E’ in uno dei vani del nucleo di dimoredell’aree, di pianta rettangolare irregolarocon struttura di piccoli blocchi di schistuquarzoso messi in modo sbrigativo a far rut-l’o per il resto riservato nella parete di roc-cia, che sono state rinvenute le ceramichemicenee (frammenti di un centinaio di vasida tavola e di qualche contenitore) insieme acopioso vasellame nuragico, rozzo e fine,senza alcuna decorazione. Le fogge di que-sto materiale indigeno sono in gran parteauelle già descritte per la Fase III. Anchequi, come nel rimanente del sud isolano,nessuna traccia di ceramiche decorate al pet-tine. Il prodotto esotico, dipinto con motivilineari monocromi e policromi campiti o li-beri sulla superficie vascolare, si rifà aesemplari di Cipro e Rodi ma anche argoli-ci, del miceneo III C, databili nel XII-XIsec. a.C.; ed è dunque dello stesso periodo ditempo dei lingotti taluni dei quali ritrovatianche, significativamente, nei prossimi luo-ghi di Capoterra e Assémini.

A parte un generico riscontro che po-trebbero suggerire la posizione dell’abitatosu un’altura fortificata (quale si presenta incittà achee del Peloponneso) ed anche lathu/os e l’opera poliedrica in grandi blocchidei baluardi, l’impianto d’insieme, l’artificioche integra roccia e manufatto, l’articola-zione dei contrafforti a torri e cortine conandamento retto-curvilineo, depongono conevidenza per un insediamento tipico indige-no. La complessità dell’apparato difensivo ela capacità tecnica, ingegneristica, della suacomposizione sono coerenti a concetti e rea-lizzazioni dell’edilizia fortificatoria dellaFase III. TI confronto va a tante alture (mon-tagne e colline) fortificate della Gallura, del-l’Ogliastra, del Guspinese e del vicino Sul-

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Fig. 133. Cagliari, Museo Archeologico Nazionale: puntedi lancia da Abini Teti (NU)

Fig. 134. Spade nuragiche dal ripostiglio di Monti sa Idda,Decimoputzu (CA)

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cis. Sino a prova contraria, pare oggi di po-ter scartare, sulla rocca di Antigori, la pre-senza’di una unità abitativa stabile e distintamicenea, poiché non basta a caratterizzarlail tipo di dimora rettangolare con piccoli ele-menti, mentre nelle capanne indigene do-mina la forma rotonda a pezzame medio egrande. La esistenza di un enclave miceneosulla costa cagliaritana, entro comunità in-digene agguerrite, vorrebbe forme fisichespecifiche di urbanizzazione (la casa a me-garon, la tomba a 1120/os), oggetti suntuariealmeno parte del patrimonio religioso e mo-rale di coloro che si spostano radicandosi innuove terre, dopo avere abbandonato la con-suetudine dei viaggi periodici allo scopo dicurare in loco gli scambi e le relazioni congli indigeni temporaneamente consenziential loro soggiorno, in quanto economi-camente interessati.

Invece si può immaginare una sorta difase di precolonizzazione, contraddistinta dacontatti sporadici isolati in pieno e domi-nante ambiente culturale indigeno, comeelementi esotici al servizio del prestigio edel potere reale delle più alte élites socialidel luogo. Questi elementi si ripercuotonoappena sulla cultura nuragica in fatto di va-

ori etici, ma inducono degli stimoli materialie offrono suggerimenti e capacità tecniche,senza peraltro avere un ruolo determinantenella società indigena. Tanto meno procura-no l’inizio d’un processo di acculturazione ointegrazione del patrimonio etnico dellepopolazioni residenti, le quali conservano,in tutti gli strati, la loro piena identità. Tale èl’interpretazione che si può dare, al massi-mo, della presenza delle ceramiche micenee(ed anche d’una bipenne talismanica inpiombo) ad Antigori, un episodio importantema per ora assai limitato per trarne deduzio-ni storico-culturali. Al minimo si può ridur-re questo ed altro (gli stessi pani di rame) apuro fatto di normali transazioni di commer-cio, nelle quali oggi non è facile distinguereciò che si deve all’apporto diretto dei mer-canti achei, alla mediazione di centri di rac-colta di cose nhicenee (come ad esempioLipari nelle Eolie) oppure anche all’in-tervento in prima persona di sardi che quel-le cose andavano a cercare, portandosi i pro-pri prodotti nelle proprie navi, negli emporisconclari siculi e dell’Italia meridionale.

Che la situazione di contatto possa esse-re stata quella per prima indicata, lo si puòarguire anche dal fatto che non si riesce aosservare finora una forte produzione autonoma locale nel settore da supporre posto abase degli operatori tecnici esterni in Sar-degna: ossia nel comparto minerario e dellametallurgia. Si nota che, sino al termine del-la Fase 111, non cessa l’importazione diarmi, utensili e oggetti suntuari di bronzodall’Egeo, dall’Occidente e dall’areacentroeuropea e peninsulare italiana.Giungono soprattutto agli approdi del sudper risalire sporadicamente verso l’interno,spade di bronzo di tradizione tardomicenea(1230-1100 circa), e iberica (ante IX),accette a spalla e codolo, o con due sporgen-ze marginali, o a occhielli, a cannone con

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Fig. 135. Cagliari, Museo Archeologico Nazionale: matri-ce di fusione multipla per doppie asce, asce e scalpelli; daBelvì (NU)

Fig. 136. Lame di pugnali da Abini, Teti (NU)

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uno o due occhielli e nervature sulla penna,a tallone con alette, tipi presenti in ripostigliatlanticoeuropei e siciliani estesi dal 1000

ail’850.Nello stesso vario quadro di importazio-

ni dell’età del Bronzo finale, si colloca la

presenza in Sardegna di certi monili. Così èdella fibula in bronzo ad arco di violinofoliato dal santuario di S. Vittoria-Serri edegli elementi di collana in ambra baltica,con una o più costolature, dal nuragheAttentu-Sassari e dalla tomba di giganti di

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Fig. 137. Matrici di fusione dal Dorgalese

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Motrox’e BoisUsellus. La prima è di deriva-zione centro italica. I secondi possono esse-re discesi in Sardegna, dopo aver percorso lavia europea dell’ambra, lungo le costemediotirreniche, oppure sono giunti dallaSicilia dove passavano le navi dirette in

Egeo e nel Vicino Oriente recanti, insiemead altri prodotti di scambio, la preziosamagica ambra.

A rappresentare il tipo fisico della FaseIII, poiché non è certo che vi appartengano iresti scheletrici dell’ipogeo di S’Iscia e sas

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Fig. 138. Cagliari, Museo Archeologico Nazionale: puntali e cuspide di lancia, da Abini TEti (NU)

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Piras-Usini (fig. 146), sta la gente sepoltanei « tafoni » della Gallura. Ovviamentequesto dato morfoantropologico è da giudi-care nella sua limitazione regionale, nonavendo valore estensivo per l’intera popola-zione che viveva allora nell’isola. Gli esem-plari « galluresi » si rifanno al tipo mediter-raneo curoafricano per la dolicomesaticefa-lia nelle varietà ovoide e ellissoide (anche unpentagonoide). Tutti sono ortocrani, in partemetriocuencefali e in parte metrio-aristence-fali. La capacità cranica è inferiore alla

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Fig. 139. Spade in bronzo: tipo Huelva (a sin.) loc. Oroe,Siniscola e ad antenne da Ploaghe (SS)

Fig. 140. Impugnature di spade dal ripostiglio di Monti saIdda, Decimoputzu (CA)

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media maschile dei campioni nuragici,intorno a cc. 1509. Una donna di Li Muripresenta però capacità cranica nettamentesuperiore a quella media dei corrispondenticampioni femminili protosardi. Il soma ègracile, di media statura (maschile cm.163,9, femminile 152,6). Un individuo fem-minile di Balaiana, di appena cm. 144,6d’altezza, potrebbe ascriversi ai cosiddetti «Pigmei d’Europa ». Sul piano della statura,come su quello morfometrico, si rileva uninsieme eterogeneo con notevoli differenzestrutturali (tipi paleo e mediomediterranei).Sono state supposte esogamie fra gruppietnici disomogenei, mentre in genere lapaleoantropologia sarda accusa fatti endoga-mici. Le affinità strutturali diventano più

evidenti nella comparazione con la craniolo-gia corso franco-ligure, tanto da suggerirel’ipotesi di un « ceppo ligure », cosa che tro-

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Fig. 142. Asce e cannone dal ripostiglio di Monti sa Idda,Decimoputzu (CA)

Fig. 141. Impugnature di spade dal ripostiglio di Monti saIdda, Decimoputzu (CA)

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verebbe conferma nella tradizione storica. Isoggetti « galluresi » accusano patogenesi diartrosi, rachitismo e periodontopatie concarie nel 500/o di individui. Influì certamen-te la vita disagiata di pastori, con alimenta-zione carente e unilaterale. Non si riscontra-no, invece, le osteopatie notate nei restischeletrici della Fase II (Oridda e Sisaia).

Ad orientarci, in parte, sull’inizio e lo svi-luppo cronologico della Fase nuragica IV,valgono le seguenti datazioni a C14 di ghian-de e carboni di: nuraghe Albucciu: 810,790(camera n, strato 6), 770 (camera n, strato 7);grotta-santuario Pirosu-Santadi: 820 e 730;

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Fig. 143. Accette di bronzo di vario tipo dal ripostiglio diMonti sa Idda, Decimoputzu (CA)

Fig. 144. Asce di bronzo

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Fig. 145. Strumenti in bronzo

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Fig. 146. Usini loc. S’Iscia ‘e sas Piras resti cranici dallatomba I

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capanna presso il nuraghe Mandra e Sa Giua-Ossi: 740-600 aC. Altri elementi di divisionee progressione di tempo, li forniscono talunioggetti caratteristici di importazione. Un pe-riodo tra la seconda metà del IX e la primaparte dell’Vili, lo indicano statuette di di-vinità in bronzo, di fattura e stile fenici, dalnuraghe Flumenlongu- Alghero e dai pozzisacri di Camposanto-Olmedo e S. Cristina-Paulilátino. L’VIlI o, al più tardi, il VII sec.,è suggerito da supporti bronzei per lucerne, afusto con corolle rovesciate, fenici (o megliofenicio-ciprioti), rinvenuti tutti in contestinuragici della costa (S. Vero Milis) e dell’in-terno (S. Vittoria-Serri, Tadasuni). Nei mate-riali di provenienza peninsulare italiana, unrasoio di bronzo quadrangolare dal nuraghedella Nurra ed altro a foglia ovale con mani-chetto modinato, marcano il primo tempo dal900 all’830 e il secondo dall’830 al 770circa; l’vili secolo è esplicitato da una spadadi bronzo ad antenne, della varietà adriatica,del nuraghe Attentu-Ploaghe. Significative,come discorso, sono la cinquantina di fibule,più gioie che d’uso, ritrovate in nuraghi,capanne, fonderie, ripostigli, da riferire, lepiù, a prodotti dell’Italia centrale tirrenica.Esse, con la diversa e articolatatipologia (adarco semplice decorato o meno, ad arcoingrossato, a sanguisuga, ad arco serpeggian-te con occhiello o bastoncelli, a doppiamolla, a navicella), riempiono il periodo dicultura nuragica, della Fase IV, che si esten-de dalla fine del IX alla metà del VII secolo.Una fibula a gomito con nodulo forato, ditipo « ciprioto », dal vano 135 del villaggiodi Su Nuraxi-Barùmini, data lo strato cultu-rale da cui proviene (Nuragico II), al VII-VI

secolo a.C. Un frammento di situla di laminabronzea, con ornamento floreale orientaliz-zante, forse d’importazione vetuloniese,porta intorno alla metà del VII secolo. Dallafavissa di uno dei tre pozzi sacri di Matzanni-Vallermosa, proviene una ciotola di bronzodorato, di supposta origine ceretana, attribui-ta alla prima metà del VII secolo. L’ultimoperiodo della Fase IV, (secolo VI), puòdedursi da ceramiche grecoorientali, cosid-dette «ioniche », dipinte a fasce, venute inluce da contesti nuragici: in vani del villaggioNuragico II di Su NuraxiBarùrnini, nel san-tuario di S. Vittoria-Serri e da un edifizio inmuri di mattoni di fango concotto a MonteOllàdiri-Monastir. In quest’ultima località, ivasi « ionici » (oinochoai, anfore, recipientibiconici, coppe a vasca bassa e alto piede)erano uniti a terraglie nuragiche d’impastodecorate con motivi geometrici incisi oimpressi a stampiglia nella tradizione dellavasaria del VII e a fogge vascolari del mondofeniciopunico (olle e askoi di ispirazione

cipriota) e del VI.Segmenti e sequenze dello svolgimento

della Fase IV sono testimoniati anche damanufatti artistici e usuali, esportati in Etru-ria e qui raccolti in tombe e ripostigli doveerano associati a oggetti locali ben datati. Ibottoni di bronzo, di bottega protosarda,finiti nelle tombe a fossa X di Piano delleGranate e XI, di S. Cerbone-Vetulonia, daporsi in un periodo avanzato della prima fa-se villanoviana, mostrano un contempora-neo momento di attività della civiltà nuragi-ca, verso la fine del IX secolo. E’ lo stessotempo in cui, entro l’ossuario biconicod’una tomba a fos..a della necropoli Osteria-

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Età del FerroFase IV: 900-500 a.C.

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Cavalupo-Vulci, insieme a preziosi oggettidi corredo di favura villanoviana, si depon-gono miniaturistici utensili e una rara sta-tuetta di bronzo, con lunghe trecce e provvi-sta di pileo e scudo arrotolato a difesa delcorpo. Una serie di navicelle bronzee, rin-venute al Nord e al Sud dell’Etruria, scan-discono i tempi di produzione di questogenere di oggetto, tanto elaborato dalle offi-cine quanto privilegiato e ricercato sul mer-cato sardo dai signori « tirreni »: metà delVII secolo, gli esemplari del sepolcro delle «Tre navicelle » e del circolo « della navicel-la» a Vetulonia e del ripostiglio di Faldadella Guardiola-Populonia, seconda metàdel VII, l’architettata barchetta della«Tomba del Duce» - Vetulonia, fine del VIIo inizi del VI, la lineare navicella diGravisca, andata ad impreziosire la stipe deltempio greco-ionico di Hera. La grande pro-duzione e diffusione in Sardegna (specie nelSud) di brocche a becco, decorate o meno,presenti in copia dentro nuraghi, nelle abita-zioni di villaggi, in fonderie (Sa sedda e sosCarros-Oliena), eccezionalmente nelletombe, fa inclinare oggi a ritenere importatidall’isola (alcuni poi imitati nel Continente)i non numerosi esemplari di tale foggia delterritorio etrusco (Vetulonia, Populonia,Vulci, Cerveteri) e della Sicilia (Pantalica,Lipari). L’excursus cronologico della forma,in Etruria, va da circa l’ultimo trentenniodel IX ai primi tre decenni dell’Vili. Cosìsembra suggerire l’evoluzione tipologica estilistica, dall’esempio della tomba a fossa233 della necropoli del Sorbo di Caere(askos a collo largo e corpo incrostato dilamelle metalliche, decorazione locale « vil-lanoviana» di derivazione europea tardo-enea) alle brocchette con collo largo e orna-to impresso di fasce di spina-pesce della piùrecente tomba 73 della stessa necropoli.L’unico esemplare di Pantalica è datato 850-730 a.C. Gli askoi, ritenuti sardi, di Liparinon possono situarsi più sù della metà del IXsecolo, quando un incendio distrugge lecapanne del villaggio « ausonio ».Questi

beni suntuari e di prestigio, che specificano

la valenza culturale e lo sviluppo cronologi-co della Fase IV, dimostrano, allo stessotempo, in qualche modo, i contatti e le rela-zioni del mondo nuragico con altri popoli edesperienze civili. C’è una cauta apertura eduna non ambigua disponibilità, su un livellopari di potere e di cultura, verso l’esterno, invarie direzioni; e ciò, ovviamente, non com-porta alcuna rinuncia al carattere specifico ediverso della civiltà locale.

Sono più che comprensibili gli scambicon i Fenici i quali, almeno dal IX secolo,

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Fig. 147. Recinto nuragico di Sa Urecci, Guspini (CA)

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occupavano, col beneplacito dei signorinuragici, opportuni punti della costa sarda,cu.. scali attrezzati da essenziali infrastrut-ture civili e sacre, per farvi commercio congli indigeni. Questi ultimi ricevevano dalmercato costiero conterie di pregio (oggettid’oro, paste vitree, avori, forse ambre). Inpari tempo derivavano all’arte protosarda sti-moli e suggerimenti dell’artigianato artisticofenicio (o più largamente siriaco o ciprioto)che si traducono in stilismi e contenuti indi-viduabili nella bronzistica nuragica.Naturalmente sono fatte salve, in essa, tuttele autentiche e irriducibili caratteristichedella tradizione « nazionale » geometrica.Infatti la componente sarda fa premio deci-samente sugli apporti fenici (e sugli altriesteriori di diversa provenienza), tanto chepur essendo i fornitori vicini e presenti, nongiungono nella Sardegna dell’Vili-VII seco-lo a.C., gli splendidi prodotti della toreuticafenicia orientalizzante, titolo d’orgoglio esegno del rango dei capi etruschi delle cittàdi Caere, Preneste, Vetulonia, e dellaCampania, i quali si inserivano nell’attivitàdi scambio per aumentare ricchezza e poterepolitico. In questa prospettiva, rispettosa efedele alla tradizione artistica regionale,forte della sua originalità tematica e fondatasulla propria alta specializzazione tecnologi-ca, se pure furono possibili (come pare) pre-senze alle corti di prìncipi nuragici di mae-stranze forestiere (cipriote, urartee, lurista-ne), i loro prodotti finirono per essere condi-zionati dall’arte locale. Per effetto, il piccolotripode bronzeo, di stile geometrico, di grot-ta Pirosu-Santadi, tipologicamente ascrivibi-le alla classe dei Rod Tripds » ciprioti delXII-XI sec. a.C., viene tutto rielaborato, conun processo di riduzione e ricomposizionedecorativa, per aderire al gusto del posto,corrente tra la fine del IX e l’inizio dell’Vilisec. a.C. Questo, dunque, è un aspetto delrapporto tra mondo protosardo e mondi delVicino Oriente e dell’Asia anteriore, nellaIV Fase.

Non meno esplicite appaiono le relazioni

tra potentati sardi e signorie etrusche. LaSardegna dei nuraghi si inserisce nei circuitidel commercio con i principali porti e cittàdell’Etruria marittima, con proprie navi one-rarie derivate da tipi di scafi fenici ( hippos »,«golah »). La grande copia di navicelle bron-zee protosarde, presenti anche in Etruria «villanoviana» soprattutto a Vetulonia ePopulonia (il gran porto «tirrenico» minera-rio), prova l’esistenza d’una marineria nura-gica, attiva nei traffici dalla fine del IX (senon prima) sino almeno alla fine del VII sec.a.C. Né va dimenticato il passo di Strabonesu Sardi che avrebbero pirateggiato i lidi diPisa. A prescindere dagli scambi sopraaccennati, in bronzi e ceramiche, dall’incon-tro con culture, strutture produttive ed espe-rienze tecniche palcoetrusche, soprattuttoaffinate e mature nel settore estrattivo emetallurgico, poté venire incitamento eammaestramento a imprenditori minerarinuragici, che si servivano di manovalanza

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Fig. 148. Planimetrie di villaggi cintati nuragici (a sinistra)e talaiotici (a destra)1. villaggio di Serbissi2. Poblado di Serbissi3. Villaggio di Sceri4. Poblado fortificato di Els Antigors

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servile, e ai calcheutòi per una più efficace ecompetitiva attività di produLione. Nelle pic-cole opere artistiche dei ramai, c’è, poi, unsottofondo di stilemi dove non mancanoecheggiamenti della bronzistica « tirrenica »,dei periodi geometrico ed orientalizzante. Aparte la specificità dei caratteri e il differen-ziato svolgimento storico-culturale, tra i ter-ritori di qua e al di là del Tirreno, dal puntoqualitativo dell’operosa vita non si vede ungap profondo, anzi si percepiscono taluniaspetti in comune dovuti a un aperto ap-proccio e a un dialogo reciproco, continuatiper lungo tempo, pretendendoli la condi-zione geografica e sollecitandoli la necessitàdi integrare le rispettive economie.

Vengono da ultimo, evidenti almeno nellaprima metà del VI avanti alla battaglia diAlalia, gli apporti commerciali, riteniamodiretti, dei Greci Ioni i quali, limitate !e miredi colonizzare la Sardegna conosciute già suldeclino del Vii secolo a.C., si ridussero forsead attivare nell’isola qualche scalo con agen-zie d’affari, in cui sbarcavano ceramiche edaltre merci richieste dagli indigeni.

Tutte queste varie relazioni causarono,nella civiltà locale, progresso tecnico, ac-centuato anche dalle prime esperienze dellametallurgia del ferro (presente in mineraleallo stato di perossido e come gioielli, stru-menti ed armi in nuraghi, tombe e ripostigli),aumento delle strutture produttive con ecce-denze capaci di alimentare il mercato internoe determinare l’esportazione, e un certomutamento sociale. Con l’avvento della clas-se emergente degli dristoi, prende consisten-za il modello eroico-oligarchico (adombratopure nei miti della tradizione letteraria) equello della polis, intesa come organizzazio-ne politica economica e sociale. Si smuovel’antico equilibrio comunitario della puraeconomia di sussistenza per creare sfere diautonomia professionale e produttiva e divi-sione di lavoro e di classi. I principi si fregia-no degli attributi del loro rango nellerappresentazioni votive in bronzo, come l’a-ristocrazia militare, che li esprime e gli è

alleata, lo mostra con tutto l’apparato dellearmi nelle stesse figurine; e, nell’ambito delvillaggio-polis, costruiscono particolari sedidove speciali arredi e simboli rendono visibi-le il potere dinastico.

I già accennati vasti vani n. 2 e n. 80 ri-spettivamente dei villaggi di nuraghe Pal-mavera e Barùmini, danno l’apparenza disale principesche, per udienza e di riunionedegli áristoi col capo. La rotonda diPalmavera, con nicchia a sezione ogivale ebasso sedile concentrico al piede delle pareti,presenta al centro una base rotonda di concisagomati (diam. 1,70 x 0,45 d’altezza) chesostiene un betilo d’arenaria ben ritagliato informa di torre nuragica con finimento sospe-so su mensole. Il nuraghe diventa l’emblemadella potenza del sovrano che si assideva suun trono cilindrico in calcare (fig. 216), privodi spalliera, col contorno segnato da sempli-ci listelli incrociati in leggero rilievo, collo-cato presso una nicchia. Nel vano stava inol-tre una pietra troncoconica. Si tratta, verosi-milmente, della sala del trono, distinta, per ilverso delle suppellettili, da copia di vasella-me e da oggetti di bronzo e d’ambra. Nelvano 80 di Barùmini, costruito come larotonda di Palmavera nell’Vili sec. a.C. e poiristrutturato intorno alla metà del VII duran-do sino alla fine del VI, si presentano altrielementi a segnare il prestigio principesco.La grande stanza circolare, del diametroesterno di m. 12 e interno di 7,20/6,90,mostra il sedile all’interno, al piede dellepareti dove sono ricavati stipetti per deporvilampade e altri oggetti d’arredo e d’impiego.Resti di cenere e carbone fanno supporre pra-tiche sacrificali in favore del buon esito dellesedute rappresentative oppure decisive, attra-verso la consultazione degli aristocratici, discelte politiche e di governo che spettava alprincipe mandare ad esecuzione. Che anchequesta sala avesse un marchio « regio» lodimostra la presenza di un pilastrino turritosomigliante a quello di Palmavera; e, di con-seguenza, pregiato ne era il corredo di bron-zo e di ferro rimastone in frammenti. Si

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osservano oggetti in parte di uso personaledei convenuti alla riunione (militari, comesuggeriscono spade, cuspidi di freccia e col-telli) in parte di carattere votivo-propiziatorio(uno stock di 2-3 chili di rottame di bronzo epezzi di statuine).

A far emergere il simbolo del proprio sta-tus nella massa del popolo, interviene oraanche, sebbene in misura assai limitata, l’usodella sepoltura individuale. Essa non sosti-tuisce, per quanto pare, le precedenti tombecollettive dove si inumavano ricchi e poverisenza distinzione di classi; ne è piuttostocomplementare e contrastiva.

Un semplice sepolcro in roccia di IsAruttas-Cabras, segnato all’esterno da pietresagomate a mo’ di crescente lunare, custodi-va uno scheletro rannicchiato con vasi di ter-racotta d’impasto. Il personaggio (o i per-sonaggi) deposti nella tomba a fossa mega-litica di Sa Costa-Sardara, mostravano il lo-ro rango col corredo di due statuine in bron-zo di arcieri, vestiti « all’orientale » in modoassai distinto e singolare. La tomba a fossacon delimitazione e copertura di lastre pres-so l’abitato di Senorbì, era d’un nobile guer-riero, sepoltovi con l’armatura: spada conimpugnatura a mezzaluna e lamine ribattutee cucite con chiodi, riferite a corazza o spal-lacci. Ma è soprattutto l’insieme di sepolturesingole di Monti PramaCabras, trasformatoin heroon, a dimostrare la grande svolta poli-tica e sociale avvenuta nella IV Fase nuragi-ca. Qui le tombe, scavate nell’arenaria, eranoannesse a un villaggio di capanne circolaricon un nuraghe complesso e altri edifizi difigura imprecisata vicini, disposti lungo ilpendio d’una lieve collina al cui piede, per-fettamente in piano, si allineava il sepolcretoprincipesco. In un’area delimitata da lastreinfisse a coltello, si seguivano una trentina ditombe individuali, orientate da nord a sud,del tipo a pozzetto conico (diametro allabocca cm. 70/50, prof. 70/80), coperto da ungrosso lastrone d’arenaria (cm. 100 x 100,spess. 15/20). Nei pozzetti, per lo più prov-visti di una cavità al fondo, i morti erano

deposti seduti, con esposizione prevalente aest, la testa protetta da una lastrina. Soloquattro tombe su trenta contenevano corredofunerario, molto scarso: frammenti di: cera-mica d’impasto, per lo più nerolucida; vaghidi collana in bronzo e cristallo di rocca; per-line di pasta vitrea; un sigillo scaraboide inosso o avorio. Si tratta di manufatti in partedi fattura locale, in parte venuti, per com-mercio, dal prossimo fondaco di Tharros inpossesso dei Fenici a partire almeno dall’Vilisecolo a.C. L’area delle tombe per l’interaestensione e un lembo del terreno ad essaesterno di circa due metri a ovest, risultaro-no ingombri di materiali archeologici. Licostituivano pezzi architettonici, pietreinformi e lastroni di varia grandezza, betilitroncoconici con incavi, del tipo visto per laFase III, cippi in forma di colonna turritasemplice o plurima, colonne capitellate,frammenti di statue antropomorfe. Insiemecon questi elementi strutturali e ornamentali-simbolici, appartenenti e significanti il com-plesso sacrale-funerario, si raccolsero fram-menti di bronzo e resti di stoviglie di etànuragica. La larga frammentazione di tutto ilmateriale e la sua dispersione denotano unadistruzione intenzionale, avvenuta quandonon era più in vita la civiltà indigena. I poz-zetti hanno avuto riutilizzazioni e devasta-zioni successive. Alcuni elementi di corredoin essi contenuti potrebbero appartenere alVII/VI secolo a.C., anche se le statue, in ori-gine collocate sopra o nell’area delle tombe,vanno riferite, come dirò, all’Vili secolo.

Da quanto esposto, risulta un’immaginesufficiente di ciò che era e rappresentava,intorno alla fine del IX e nell’VilI secolononché più tardi ancora, la società emer-gente. Era questa impegnata nello sforzo dielevare il tono di vita, convertendo la tradi-zionale cerealicultura (resti di grano nel vil-laggio di Serra Orrios e nei nuraghi Piscu eSu Igante-Uri) nella cultura specializzatadella vite (acini d’uva nel villaggio di GennaMari a Villanovaforru). Migliorava la zootec-nia, incrementandosi il patrimonio di bestia-

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me bovino, ovino, suino, oltre che da cortile,come fanno vedere le numeroe figurine dibronzo. Agricoltura e allevamento, brado edomestico, costituivano settori primari perl’alimentazione e il supporto economico peril decollo d’una primitiva industrializzazio-ne. Si intuisce una società pluralistica, dialet-tica, entro un sistema di potere accentrato egerarchico. In vetta alla piramide sta il prin-cipe che esce dalla classe oligarchica deimilitari, in mezzo sono le specificazioni deiproduttori e delle arti e mestieri alla basevegeta il ceto servile.

All’interno delle stesse classi, non man-cano le differenziazioni, come tra gli arti-giani nei quali si riconoscono, dai diversi lin-guaggi delle opere (bronzistica, statuaria inpietra, coroplastica), gruppi autonomi inclinia creazioni libere di gusto popolaresco, egruppi organizzati e ligi ai canoni aulici dellecorti e dei santuari, che si esprimono concontenuti ostentatori di potenza e in uno stile

di grande distacco aristocratico.A garantire la massima sicurezza di que-

sto sistema di governo politico e di orga-nizzazione socio-economica, bastava ancora,nella Fase IV, la rete di nuraghi plurimi dellaFase precedente, ramificati razionalmente neidiversi cantoni-stato e a copertura dell’unitàetnico-morale nazionale. Concepite für ewige costruite a masse solide come roccia, quel-le moli che non temono il consumo dei seco-li e ancor oggi resistono in gran numero incondizioni migliori d’interno di certi edifizimoderni, rappresentavano un inestimabilepatrimonio edilizio stabilmente acquisito edel tutto funzionale, a cui non occorrevanoulteriori incrementi quantitativi.

Si può ritenere cioè che, salvo limitateaccessioni, di nuovi nuraghi sostanzialmentenon se ne fabbricassero più. Soltanto taluni,tra i più monumentali e rilevanti dal punto divista militare, destabilizzati in tutto o partedel corpo murario da cedimenti statici o daattacchi di guerra, vengono ristrutturati eampliati, con vasti e radicali interventirestauratori. Basta citare il nuraghe diBarùmini, che, intorno al IX sec. a.C., vede ilbastione della Fase III chiuso da un fasciamemurario, di 3 m. di spessore, a filari di pietresubquadrate più grandi il quadruplo di quelledel paramento interiore poliedrico (mc. 0,57,peso q. 17). Nel rifascio, coronato da balla-toio-piombatoio sospeso su mensole e occlu-dente la porta d’ingresso a for di suolo e leferitoie delle torri perimetrali, si apre unnuovo ingresso sopraelevato nella cortina piùnascosta. Contemporaneamente, si costruisceun antemurale più esteso, che include le torridel primitivo, aggiungendone altre a file dimassi subquadrati come nella fasciatura delbastione.

E’ notevole il fatto che alcuni e non irri-levanti nuraghi subiscano parziali demoli-zioni già all’inizio della Fase IV, e altri ven-gano trasformati nell’uso, diventando prin-cipalmente luoghi o ricettacoli di oggetti delculto.

L’antemurale del nuraghe trilobato Genna

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Fig. 149. Bacili bronzei con attacco a triplice spirale e ret-tangolare con decorazione a treccia, dalla grotta SuBenticheddu, Oliena (NU)

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Maria-Villanovaforru appare tutto scapi-tozzato, e sui ruderi si radicano le fonda-menta di capanne del villaggio-fonderia, condeposito di ceramiche « geometriche » dellafine del IX e dell’inizio dell’Vili sec. a.C.: ilche indica la distruzione della cinta, avvenu-ta prima di questi tempi.

La camera del nuraghe San Pietro-Torpé,fu adattata a favissa contenente ex-voti diutensili e oggetti ornamentali di bronzo eargento, vasellini rituali di terracotta, figurinenude maschili e parti del corpo umano incoroplastica rozzamente modellate, verghe dipiombo per saldare alle basi di pietra statuinedi bronzo, trovate in frammenti, carboni ebanchi di cenere del rogo sacrificale (IX-VIIIsec. a.C.). Nel vicino bilobato nuraghe

Pizzinnu, la cella interna aveva lo stratosuperiore (l’inferiore con ceramiche a pettinecorrisponde alla fase di uso civile dell’edifi-zio), distinto da molta cenere e da oggettid’osso e arnesi, monili e statuette di bronzoda ritenersi votive (lxviii sec. a.C.). Anche illivello più recente del nuraghe Albucciu hacarattere di deposito di offerte sacre, poichétali sono i resti di vaso laminato con ornato dipalmette e calici floreali, la rotella radiata(simbolo del sole?) e statuine di bronzo (vu-vu sec. a.C.). Il vano terreno della torre prin-cipale del nuraghe FlumenlonguAlghero favedere un pozzo non molto profondo, chepotrebbe essere stato il contenitore d’unastipe fra cui figurava, forse, una statuettabronzea di divinità gradiente, di fattura feni-

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Fig. 150. Rasoio lunato con decorazione a cerchielli, da Laerru o Cuglieri (a sin.); rasoio a lama rettangolare, da localitàsconosciuta della Nurra

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cia (IX-VIII sec.).Pozzo votivo è probabilmente anche quel-

lo della magnifica tholos del nuraghe Is Paraso Su Idili-Isili, scavato successivamente allacostruzione della torre primitiva e del corpoaggiunto polilobato. Dentro il pozzo si rac-colsero macine, pestelli, ceramiche del nura-gico medio-recente (ziri, olle a colletto eovoidi, ciotole carenate, fuseruole fittili).Presente, nella ceramica, la decorazione «geometrica » a spina di pesce. Se non sonoavanzi di magazzino, questi materiali posso-no essere interpretati come cose domesticheofferte in dono sacro, il nuraghe avendomutato l’originaria funzione abitativa.

Una riflessione affrettata, su quanto os-servato, potrebbe indurre a supporre che vifosse stata una recessione e una destabiliz-zazione della civiltà nuragica proprio riguar-do all’aspetto più vistoso e con tanti signi-ficati del nuraghe. In realtà, assunto che lagran parte delle torri ebbe a continuare nel-l’uso e con la funzione originaria, la di-struzione d’un numero limitatissimo nel co-nosciuto e il cambiamento d’uso stanno adimostrare, in contrario, una promozionecivile dovuta ala maggior competitività e

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Fig. 151. Vasi piriformi con decorazione geometrica dal pozzo sacro di S. Anastasia, Sardarta (NU)

Fig. 152. Brocca askoide con decorazione geometrica daMonte Ollàdiri, Monastir (CA) (da UGas)

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conflittualità intercantonale, a più frequenti erovinose guerre tra principi e principi perestendere il proprio territorio e affermare l’e-gemonia, in dipendenza del più elevato li-vello economico e sociale. Del resto, non sipuò escludere che la diminuzione quantitati-va delle fortificazioni tradizionali con pos-sibile diminuzione della capacità difensivaobsidionale fosse stata compensata dall’ado-zione di tecniche militari più evolute ed ef-ficaci atte allo spiegamento di forze campali,da un migliore addestramento delle truppe edal loro potenziamento con l’istituzione di

corpi speciali. Le statuine di bronzo ci fannovedere una notevole varietà di forze militari,con armature e insegne differenziate usuali edi gala, e l’esistenza di tipi di soldati fuoridella normale divisione in opliti, arcieri efrombolieri. Non si dice che si fosse costitui-ta l’arma della cavalleria, richiesta appuntodalla battaglia da campo, perché, mentresono numerose le statuette rappresentantisoldati appiedati, una soltanto ce n’è con laraffigurazione d’un arciere a cavallo del restomodellato in forme incerte quasi fosse unanimale poco conosciuto e usato. E i morsi di

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Fig. 153. Brocche askoidi: a sin. da Su Nuraxi, Barumini (nuragico I superiore) a destra da Monte Ollàdiri, Monastir (CA)

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Fig. 154. Brocche askoidi da S. anastasi di Sardara (1,3) da Barumini (2) e del nuraghe Lugherras di Paulilatino (4)

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bronzo e ferro, trovati a Sòrgono, S. Vittoriae Monte Idda-Decimoputzu possono essereappartenuti a cavalcature di parata di prìncipio àristoi.

In effetti, nella gran parte dei pochi nu-raghi sinora scavati (una ventina su settemilae più), si riscontra che l’utilizzazione a luogodi difesa e di residenza con attività civili, hacontinuato ininterrottamente dalla fine del IXalmeno alla metà del VII secolo aC. Lo pro-vano oggetti caratteristici del corredo deinuraghi Attentu, Palmavera, La Prisciona,Logomache, Santu Antine, Losa, Lugherras,Su Nuraxi, Piscu e altri: di costruzioni cioètra le più rilevanti e significative nel sensofunzionale accennato. Si tratta di elementi inbronzo: armi (spade, cuspidi di lancia,pugnali), utensili (accette a margini rialzati,scalpelli, lucerne in foggia di barchetta) eornamenti (bottoni, fibule, armille, braccia-letti ed anelli), indicati anche da forme dafondere (eccezionale la valva di fusione dipugnaletto ad elsa gammata rinvenuta nellostrato superiore del nuraghe Logomache diFonni). Si aggiungono oggetti in ferro, comegli arpioni del nuraghe Losa. Più o menoabbondante la ceramica, in forme usuali e inaltre più distinte e caratteristiche della FaseIV, come gli askoi nelle differenti varietà tal-volta assai sofisticate nella modellazione enella tecnica di rifinitura, spesso decoratecon motivi tipici del « geometrico

Di pari passo, continua a svilupparsi lavita nei villaggi, per lo più mantenendo l’im-pianto e l’assetto urbanistico precedenti, laforma delle abitazioni e le loro tecnichecostruttive tradizionali, le strutture produt-tive, le tipologie delle suppellettili dome-stiche e delle attrezzature di lavoro. Oggettimetallici (specie di bronzo), di pietra e pro-dotti vascolari, segnatamente indicati dafogge « geometriche » (brocche a becco, va-si piriformi, lucerne a foglia o a barchetta,ornati da motivi di cerchielli, zig-zag, spinadi pesce) rivelano il perdurare della vita,nelle molteplici manifestazioni materiali, ne-gli abitati di Palmavera, Serra Orrios, Mat-

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Fig. 155. Brocca askoide da Monte Ollàdiri, Monastir(CA)

Fig. 156. Brocca askoide dal pozzo sacro di S. Anastasia,Sardara (CA)

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zanni, Genna Maria, Brunku Màdugui, An-tigori e altri. Tuttavia, e in più, in qualcheaggregato abitativo interviene un cambia-mento qualitativo non irrilevante, che trovaspiegazione nel trascorrere del tempo e nel-l’evoluzione del costume col contatto ester-no, anche se resta un fondo formale dei modidi vivere, di produrre e di pensare del passa-to. Sono le stratificazioni del Nuragico Isuperiore e del Nuragico II del villaggio di

Su Nuraxi, a dare un’immagine sia pure limi-tata e incompleta, di questo mutamento che,a Barùmini, consente di suddividere la FaseIV in due sottofasi ben differenziate e concaratteri propri e significativi di sviluppo eprogresso.

La sessantina tra spazi e vani, costituentiil livello Nuragico I superiore di Barùmini,sono coordinati secondo la stesura tradizio-nale delle abitazioni a gruppi spaziati; e ledimore singole sono costruite con spessemurature a secco tendenti a disporre in filarii grossi massi di basalto in parte simili, performa e dimensioni, a quelli usati nel-l’antemurale recente e nel paramento este-riore del bastione ai quali, pertanto, gli am-bienti abitativi sono contemporanei. Le ca-panne, rotonde e coperte al solito con tettoconico di legno e frasche, presentano nic-chioni-giaciglio alle pareti, il focolare se-gnato dalla terra arsa del pavimento e da ce-neri e carboni, la o le macine a mano con ipestelli per temprarle. La vita animale è pro-vata dai resti di pasto: ossa di bue, equini esuini, corna di cervo, molluschi di mare.Persiste l’industria litica: coti, lisciatoi,accette verdi, teste di mazza, utensili di ossi-diana. In bronzo si hanno arnesi domestici dilavoro (scalpelli, coltelli, aghi, punteruoli),elementi di acconciatura e monili vari (spil-loni, forcelle, fibule a navicella, anelli, granidi collana), cose artistiche (navicelle e figu-rine). Copiosissime le ceramiche, di cui offroun campione ottenuto da un computo statisti-co su materiale dei vani e spazi 97, 103, 112,135-137, 144, 150, 152, 177, 182-184, 189(14 su 6023,3%).

Si distinguono tre tipi ceramici: A=im-pasto nero o grigio compatto a grana fine bendepurato, superfici dagli stessi toni e lucidatea spatola; B impasto nerocarbonioso o stri-sciato con zona intermedia nera, meno com-patto e talvolta friabile, superfici giallo ocra(passante al giallo bruno, rosso arancio),lucidate a spatola che rende consistente ebrillante l’engobbio; C = impasto nocciola orossastro compatto con inclusi medio e

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Fig. 157. Brocca askoide in bronzo dal nuraghe Ruju,Buddusò (SS)

Fig. 158. Brocca askoide da Desulo (NU)

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Fig. 159. Frammenti di Brocche askoidi con decorazione geometrica da Su Nuraxi Barumini (CA)

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microgranulari, superfici nocciola rosato etalvolta bruno, lucidate con spatola. A è pre-sente per il 60%, B per il 28%, C per il 12%.

Le forme vascolari sono costituite da ollegloboidi e ovoidi ad orlo semplice o ingros-sato (17,80°/o), olle a colletto di varia altez-za, verticale o inclinato in fuori o dentro(18,72%), tazze carenate, talvolta a carenasmussata (pseudocarenate) con spalla insel-lata o rigida, verticale od obliqua all’internoo all’esterno (35,36%), ciotole emisferiche(10,64%) e troncoconiche (6,03%), tegami(5,27%) e conche (2,00%), bollitoi (0,45%) ecoperchi (0,50%), ziri (1,00%), calefattoi ofornelli (0,23%), lisciatoi fittili (0,23%). So-no distinte le brocche a becco (9,84%), per lopiù del tipo ceramico A, ma anche del tipo B(di maggiori dimensioni e più sciatte), dalcorpo globoide, piriforme e ad anatrella, dalcollo sottile tubolare o largo svasato verso labocca a taglio obliquo, aventi le pareti sottili(A) o spesse (B), con anse a cordone disezione circolare, ellittica, triangolare esubrettangolare o a nastro appiattito. Le an-se, di solito, all’imposta inferiore sul corposono decorate con motivi di cerchielli a oc-chio di dado a file orizzontali, e al vertice datriangoli, solcature o incisioni trasversali,linee orizzontali di punti piccoli o grossi aseconda dell’impressione a punteruolo o abastoncello stondato. Segnalati pure i vasipiriformi, con falso colatoio, (0,23%: vani36, 135, 189), con ornamentazione di cer-chielli, rametti schematici, zig-zag dispostiin file o fasce orizzontali e verticali; è unaforma di vaso che pare limitata alla Sardegnameridionale (S. Vittoria-Serri, S. Anastasia-Sárdara e Genna Maria-Villanovaforru, inquest’ultime località anche con applicazioniplastiche antropomorfe). Di rilievo, inoltre,le lampade (2,30%), a piattello e a cucchiaio,lisce o segnate da motivi di decorazionesimili a quelli dei vasi piriformi, eseguiti, tal-volta, a falsa cordicella. Notevoli, infine,coppe a fruttiera, talora variate da incisioni aspina di pesce, viste già nei nuraghiAlbucciu, La Prisciona, Logomache e nel

villaggio di Serra Orrios, comparabili conesemplari della Penisola italiana e dellaSicilia del IX-VIII sec. a.C.; e vasi per di-stillazione o infusi, ritrovati anche nel nu-raghe Nastasi e negli abitati di Serra Orrios ePunta Casteddu.

Per la decorazione, oltre i motivi geome-trici sulle forme descritte, sono da osservarecerchielli concentrici, linee incise e puntiimpressi a bastoncello su olle a colletto, filemultiple ad andamento contrapposto di spinadi pesce sulla parete e fondo di tazze ca-renate.

Tutti questi elementi di suppellettile, de-stinati agli usi diversi di deposito di derrate,della cucina, del pasto, della preparazione diparticolari bibite liquorose o mediche, di-mostrano di appartenere a una fase di culturache trova larga rispondenza nell’isola, inconsimili materiali di nuraghi e villaggiovviamente contemporanei al periodo delloStrato Nuragico I superiore di Barùmini.

La sottofase più recente del villaggio diSu Nuraxi (Nuragico II) succede a un vio-lento episodio storico (forse una guerra tracantoni vicini oppure con forze militariesterne), che ha portato alla distruzione delnuraghe (nell’antemurale e nell’alto delbastione) e di parte del villaggio della sotto-fase precedente, e alla ricostruzione dell’abi-tato in un nuovo tessuto edilizio del tuttodiverso dall’esistente nella forma e nellastruttura. L’evento disastroso si è ve Ificatoalla metà o poco giù dalla metà del VII sec.a.C., perché lo strato del moderno agglome-rato sovrasta e copre un deposito archeologi-co il quale, a m. 1,00 di profondità sotto ivani XX e p dello stesso agglomerato, con-tiene statuine e una fibula a navicella dibronzo, riferibili a tempi inoltrati del citatosecolo. A conferma del momento cronologi-co in cui si accende la nuova vita sul paesemorto del IX-prinii tempi del VII sec., stauna caratteristica fibula di bronzo a gomitocon nodolo forato, di tipologia « cipriota »,

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Fig. 160. Brocca askoide da Monte Canu, Sennori (SS)

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Fig. 161. Cagliari, Museo Archeologico Nazionale: Broccaaskoide con decorazione a cerchielli dal pozzo votivo di S.Anastasia Sardara (CA)

Fig. 163. Cagliari, Museo Archeologico Nazionale: Broccaaskoide con decorazione plastica dal dal pozzo votivo di S.Anastasia Sardara (CA)

Fig. 164. Cagliari, Museo Archeologico Nazionale: Broccaaskoide dal nuraghe La Prisciona Arzachena (SS)

Fig. 162. Cagliari, Museo Archeologico Nazionale: Broccaaskoide con decorazione dal nuraghe La PriscionaArzachena (SS)

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Fig. 165. Frammento di ansa con decorazione geometrica, dal nurahe S. Antine Torralba (SS)

Fig. 166. SAssari, Museo Archeologico Nazionale: anse di Brocchr askoidi con decorazione geometriche dal nuraghe S.Antine Torralba (SS)

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del VIIinizio VI sec. aC., rinvenuta nel vano135 (livello 3 dal basso) del nuovo abitato.Quest’ultimo, per la presenza di ceramichegreco-orientali, durava ancora nel periododal 560 al 535 per finire, nel suo aspettonuragico, forse al termine del VI con la vitto-ria dei Magonidi sui Sardi indigeni respintinel territorio interno montano.

Circa 150 vani compongono una ventinadi case, ricavate in parte riattando e solle-vando i pavimenti delle vecchie dimore, nel-la maggior parte costruite di bel r(uovo, al-l’interno e all’esterno della fortificazionecessata dall’uso originario ma ancora agibile,per altri usi, nelle camere del terreno e delprimo piano rimaste intatte.

Le case di nuovo getto si disegnano in fi-gura di circoli di m. 14,30 x 12,50 in media,con muri perimetrali spessi da m. 0,70 a 0,85.Al centro sta un atrio rotondo, del diametromedio di m. 4, talvolta con un pozzo nelmezzo per raccogliere le acque piovane, datoche lo spazio non si chiudeva in alto, per dareluce ed aria alle stanze. Coperto era, invece,il resto della dimora con un grande tetto ascudo di legno e frasche, inclinato a spioven-te dal muro portante dell’atrio a quello delperimetro esterno. Intorno all’atrio si compo-ne il giro dei vani, in numero da otto a sei,con dimensioni medie di m. 3,02 x 3,07 =9,27 mq. (superficie dell’intera abitazione,escluso il vano -atrio, da mq. 38,16 a 50,88):Maggiori sono gli spazi della cucina (da m.4,50 x 4,26 = mq. 19,17 a metn 4,1 x3,93 mq.16,11) e minimi nei cubicoli per una sola per-sona (da m. 2,18 x 1,11 mq. 2,41 a m. 1,90x1,33 = mq. 2,52). I vani sono per lo più diforma quadrangolare (trapezoidale), maanche triangolare e tondeggiante, di figurageneralmente irregolare, tranne le piccolerotonde con sedile e bacino (diam. da rn. 2,66a 1,45), le quali mostrano una planimetriaprecisa e raffinatezza di strutture. Sotto lacopertura erano ricavate soffitte accessibiliper mezzo di scalette in muratura, partentidal piano dell’atrio.

Le strutture, all’esterno e all’interno, so-

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Fig. 167. Cagliari, Museo Archeologico Nazionale: Vasopiriforme con decorazione geometrica incisa dal pozzovotivo di S. Anastasia, Sardara (CA)

Fig. 168. Cagliari, Museo Archeologico Nazionale: vasopiriforme con decorazione antropomorfa, dal complessonuragico di Genna Maria, Villanovaforru (CA)

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no composte, in modo più o meno curato aseconda delle parti, con medie e piccole pie-tre, quando non vengono riadoperati grandimassi delle abitazioni del vecchio agglome-rato, in basalto e soprattutto in mama calcare,prima non utilizzata, legate con malta difango da supporre usata anche per i pa-vimenti e l’intonaco delle pareti e dei soffitti.

L’insieme forma un tipo di casa pluricel-lulare e plurifunzionale, con l’ingresso costi-tuito da un lungo andito, che ricorda quellodei nuraghi, e con le stanzette concentricheall’atrio dove si ripete, con un’articolazionedi vani maggiore e con più vasto respiro, loschema della camera del nuraghe circondatadagli spazi sussidiari ‘lei nicchioni (da uno aquattro). L’autonomia dei singoli ambienti(anche, e di più, di quello situato di norma aun lato dell’andito forse per l’ospite), la lorospecializzazione, il composto ordine rivelanoun assetto tale da soddisfare le miglioratecondizioni di vita e le esigenze di maggiorecomodità del nucleo familiare.

Di molto significato, tra i vani, sonoquelli della cucina con la mola a mano e il

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Fig. 169. Sassari, Museo Archeologico Nazionale: fram-mento fittile con decorazione plastica raffigurante una pro-tome taurina, dal nraghe S. Antine Torralba (SS)

Fig. 171. Cagliari, Museo Archeologico Nazionale: fram-mento di Vaso piriforme con figura umana che stringe tra lebraccia un bastone terminante a forcella dal pozzo votivo diS. Anastasia, Sardara (CA)

Fig. 170. Cagliari, Museo Archeologico Nazionale: vasopiriforme dal complesso nuragico di Genna Maria,Villanovaforru (CA). Particolare della decorazione antro-pomorfa

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forno-focolare a fior di pavimento, e dellerotonde retrostanti dove la rifinitura dellepareti in blocchetti squadrati di mama in fileperfette, e il sedile periferico col bacile bentagliati in mama o trachite, fanno supporrel’ambiente, recesso e riscaldato, destinato aduna sorta di battesimo (o rito purificatorio)per immersione nell’acqua che, una voltafinita la cerimonia domestica, si versavaall’esterno per un foro praticato alla base delsedile, al livello del pavimento inclinato etutto ben lastricato.

In altri ambienti del villaggio, costituenti

spazi a s stanti o, al più, connessi con pochialtri, si riconoscono laboratori od opifici,d’uso collettivo se non pubblico (produzioned’olio di lentischio, lavorazione di oggetti dipietra, manipolazione di ceramiche ecc.). Ilprogresso, in genere, dell’abitato, coerenteall evoluzione civile, è indicato anche daaccorgimenti costruttivi, Come quello di col-legare piani a piani del villaggio dispostosulla china dei ruderi, con gradinate, o dal-l’introduzione di rudimentali principi di igie-ne edilizia: fognatura (lungo la via principa-le), pozzetti per scarico d’acqua al termine

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Fig. 172. Cagliari, Museo Archeologico Nazionale: olla dal nuraghe Genna Maria, Villanovaforru (CA)

Fig. 173. Cagliari, Museo Archeologico Nazionale: vaso a fornello dal nuraghe Genna Maria, Villanovaforru (CA)

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dei viottoli, perché, a differenza dell’antico,il nuovo agglomerato è servito da una reteviaria sia pure intricata, stretta e tortuosa, eda piccole piazze. C’è, in definitiva, un’aper-tura dal privato al pubblico. Spira un’aria dimodernità prima non conosciuta.

Quanto alle suppellettili, sebbene prema-no i tempi nuovi, non ci si è liberati del tuttodegli strumenti di pietra, a causa della loropersistente funzionalità. Sono presenti maci-nelli, pestelli, lisciatoi, accette, teste dimazza, elementi di basalto e d’ossidiana.Scarso il bronzo: punteruoli, la fibula « ci-priota» del vano 135, grappe di restauro,frammenti di statuine.

Delle abbondantissime ceramiche dò uncampione statistico su circa 1500 pezzi di 26vani dei 150 del villaggio: 17,33% (1-2, 4, 6-7, 95-98, 100, 103,106, 108-109, 111-115,

117, 120, 135, 137). Persistono i tre tipi cera-mici, con inversione di rapporto: A22,15°/o,B 71,18°/o, C=6,67%. Olle a orlo semplice ea colletto, ciotole emisferiche e carenate,tegami, brocche a becco, lampade, sono dipoco o assai maggiori in percentuale rispettoagli esemplari della sottofase precedente(16,38, 17,71, 7,58, 8,22, 4,42, 7,15, 2,19%,in ordine); all’inverso è più elevata la percen-tuale degli ziri (1,72%), dei bollitoi (3,29%),delle coppe a fruttiera (1,08%). Anche leconche appaiono relativamente più frequenti,mentre si equipara il numero dei vasi perdistillazione. Mancano i vasi piriformi, icalefattoi, i coperchi e i levigatoi fittili;all’inverso compaiono un vaso a cestelloovale (tipo ceramico B) e un minuscolovasetto cilindrico.Da notare che le brocche a becco, nella mas-

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Fig. 174. Vasi inglobati in unno strato di calcite dalla grotta sacra di Su Benatzu, Santadi (CA)

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sima parte del tipo ceramico B e della formaa largo collo, mostrano uso frequente della.tecnica d’impressione a falsa cordicella corimotivi di linee orizzontali o a zig-zag al-ternate a cerchielli ad occhio di dado, alla ba-se dell’ansa a cordone. Anche nelle lampade,quasi tutte del tipo ceramico B, prevale ladecorazione a falsa cordicella, con rombi,

zig-zag, spina di pesce e circoletti a occhio didado incisi a punteruolo. Circoletti ira duefile di lineette impresse a falsa cordicella, siosservano inoltre su un’olla a orlo semplice,mentre tre vasi a colletto del tipo B, sono,dipinti, col pennello, a fasce in un caso fe,nate.

A parte l’emergenza nuova di qualche

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Fig. 175. Cagliari, Museo Archeologico Nazionale: vaso asaliera dal nuraghe Genna Maria, Villanovaforru (CA)

Fig. 176. Cagliari, Museo Archeologico Nazionale: lucernacon decorazione a cerchielli dalla grotta santuario di PirosuSu Benatzu, SAntadi (CA)

Fig. 177. Cagliari, Museo Archeologico Nazionale: vasetti miniaturistici in bronzo dal villaggio santuario di S. Vittoria,Serri (NU)

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forma e il celarsi di altre, il fondo del reper-torio di corredo domestico, mostra una lineadi continuità, nella tipologia, nella tecnica enella decorazione ferma sul « geometrico»acromo, quando altrove correva il commerciodelle ceramiche dipinte e su di esse trionfava,

a tutte lettere, il figurativo. ILI fatto più rile-vante è la dominanza del tipo ceramico B,presente anche in luoghi prossimi al SuNuraxi, nella Marmilla: nuraghi Marl udi ePranu Amis-Barùmini, S’Uvaxi-Lasplassas,Brunku sa Figu-Pauli Arbarei, S. Miali-Tuili,Brunku Cristou-Gesturi e Santu Antinu-Genoni. Di rer.nte è stato individuato nellostrato si jieriore nuragico del villaggio sul-l’arce di Antigori.

Per le sepolture della Fase IV, la ten-denza era, come ho esemplificato, all’usodella tomba individuale. Rimaneva, tuttavia,la consuetudine della deposizione collettivanelle tombe di giganti di più evolutaarchitettura.

Nel sepolcro megalitico di BrunkuEspisArbus, con fronte rettilinea e « galleria>’ a pareti fortemente aggettanti a filari dipietre calcari ben ritagliate, oltre oggetti liti-ci di valore arnuletico perché di tradizioneantichissima (schegge e punte di freccia inossidiana), erano deposti, a corredo deimorti, armille con ornati geometrici e spillo-ni di bronzo, nonché vasi di terracotta più omeno coevi della sottofase recente di Su Nu-raxi: un’anforina ad alte anse a nastro chericorda forme vascolari fenicio-puniche ditombe di Nora e Tharros di circa il 650 a.C.,e una brocca a becco del tipo degli esempla-ri della predetta sottofase. Nella tombamegalitica di Motrox’c Bois-Usellu, uncorpo murario allungato di m. Il, con <galle-ria» lastricata di m. 8,20 x 1,89 (larghezzamusitata nel genere sepolcrale) dalla sezioneangolare in bei conci di mama (altezza mi-costruibile circa m. 2), erano sepolti da 20 a25 individui di sesso e di età diversi. Po(:hee rozze ciotoline emisferiche e tazzette care-nate vi stavano come corredo, e, invec,numerosi oggetti di ornamento personale:collane con vaghi d’ambra, di pasta vitre.policroma e di avorio; aghi crinali di cui unoin ferro con capocchia di steatite, bracciali eanelli di rame e bronzo; orecchini di rame eargento. Sono oggetti e gioielli in minimaparte (come i pendenti d’ambra) della Fase

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Fig. 178. Cagliari, Museo Archeologico Nazionale: torcie-re bronzeo di tipo fenicio-ciprioto, dal nuraghe s’Urachi diSan Vero Milis (OR)

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III; i più, invece, da ritenersi d’importazio-ne, si ascrivono alla Fase IV (VII-VI secoloa.C.). Ovviamente la tomba presenta duemomenti di utilizzazione, primario e secon-dario.

Già nel corso del IX secolo a.C. si può

supporre avviata a definizione, se non pro-prio precisata, la fisionomia dei luoghi diculto, come insieme e nei particolari aspettitipologici e architettonici. Se ne hanno ingrotta e soprattutto all’aperto, un tipo (quellodel tempio a pozzo) di uso generalizzato,

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Fig. 179. Cofanetto su ruote dal nuraghe Lunghenia, Oschiti (SS)

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tanto da poterlo chiamare « nazionale », rap-presentando per così dire fisicamente il ce-mento religioso dell’unità morale dei sardidel tempo.

Le caverne sacre e i santuari ipogeici ri-velano un lato della religione naturalisticacollegato col culto ctonio, reso alle divinitàdegli inferi.

Più di tutti è nota la caverna-santuario diPirosu-Su Benatzu (Santadi), scavata allabase d’una cresta di rocce calcari. Si penetrain essa per parecchie vie d’accesso, incassatefra le pareti naturali, a tratti murate. Il ramoprincipale, tortuoso, si sviluppa per circa 180metri sino alla profondità di 150. Si dirama-no dal principale rami e concamerazionisecondarie fra le quali spicca quella del san-tuario, distante 120 metri dall’imboccaturadell’antro, alla profondità di 95 metri. Unavasta camera, ricca di pozze d’acqua e di for-mazioni stalattitiche, precede, con altriambienti, il vano del recesso sacro. E’ questodi contorno tondeggiante, delimitato dacolonne di stalagmiti, del diametro di m.10/15 con altezza variabile dal pavimento (dam. 4 al centro a 2,50 davanti all’ingresso).Sulla parete di fondo sta una stalagmite fun-gente da “altare”, di m. 1,80 d’altezza, con aipiedi, seminascosto, un pozzetto d’acqua,rotondo, largo m. 0,40 e profondo 0,22, sup-posto di carattere lustrale. Verso la paretedestra, accanto all’altare, c’era il “focolare”,ottenuto da un rilievo cupoliforme formatosifra due stalattiti, sopraelevato dal pavimentom. 0,50. Il focolare aveva annerito la volta ele prossime formazioni stalattitiche, perlungo uso.

Dinanzi al focolare stava una quantitànotevole di carbone e cenere, costituente undeposito stratificato di 50 cm. d’altezza. Se-minascosti dalle ceneri dei focolari, eranodeposti numerosi reperti fittili, accatastati intre cumuli. Un’urna conteneva resti ossei

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Fig. 180. Cagliari, Museo Archeologico Nazionale: spec-chio bronzeo, dalla grotta-santuario di Pirosu Su Benatzu,Santadi (CA)

Fig. 181. Cagliari, Museo Archeologico Nazionale: tripo-deo bronzeo, dalla grotta-santuario di Pirosu Su Benatzu,Santadi (CA)

Fig. 182. Abini, Teti: impugnatura di specchio con lucerto-la e ranocchio in rilievo (a sinistra) ed elsa di pugnale configura di guerriero (a destra)

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d’animali, dovuti alla consumazione di pastirituali: olocausti che si bruciavano su fuochiaccesi dentro la caverna, i quali, insieme allelampade, la illuminavano fantasmagorica-mente.La stipe votiva, ricchissima e depositatasi perlungo tempo a causa dell’assidua frequenta-zione dei devoti, constava di 109 oggettimetallici (di rame, bronzo e oro) e di 1500circa esemplari di ceramica. Di metallo vierano armi (pugnali, spade, stiletti, cuspidi dilancia), oggetti ornamentali (bracciali, armil-le, anelli, spilloni, fibule, lamine di formaanulare, grani di collana), utensili domestici(falce, specchio, frammenti di maniglia, unaasticciola, un oggetto a placca), cose votive etalismaniche (navicella, tripode, pendente infoggia di accettina manicata a margini rialza-ti, vari pezzi di corna supposti di figurine d’a-nimali o di elmi, un piccolo lingotto).

Trentotto elementi di rame grezzo avevanoforse valore monetale. Un anellino crinale,una lametta rettangolare decorata a trecce eperline, un bottoncino costituivano i pochimonili d’oro. Distinto e prezioso, fra i tantiexvoto tutti significativi, era un piccolo tripo-de bronzeo, ornato di motivi geometrici inri-lievo, testine di bue e pendenti a sfera. Di tra-dizione cipriota-micenea, con variabili distruttura e decorazione locali, è da collocarsiintorno il IX-VIII secolo aC., (altri lo consi-dera, non correttamente, un originale ciprio-to del X11-X1 secolo a.C.). Questo largoperiodo di attestazioni di culto, rivelato daidoni di diverso pregio che le comunità delSulcis offrivano forse alla « Dea Madre dellecaverne », è confermato dalla datazione a.C.14 di carboni del “focolare”: 820 e 730 a.C.

Sacra era anche la grotta di Domu s’Or-ku-Urzulei, nell’Ogliastra. Qui, in passato, indiversi tempi, furono rinvenuti tre bronzettifigurati, una forma per fondere oggetti e lastatuina detta <’ Madre dell’Ucciso (fig.187), da altri identificata in una sorta di“Madonna” nuragica col figlio morto ingrembo, una “Pietà”. E’ un prodotto di pic-cola plastica paleosarda, di alta qualità ar-tistica e di intensa forza psicologica. An-nesso di questa capace e suggestiva criptanaturale, era un minore anfratto: Su Fochile.Vi vennero raccolti e custoditi tutti gli « scar-ti » dei bronzi votivi della vicina grotta di SaDomu e s’Orku, i quali, pur frammentari,conservavano valenza sacra e non potevanoandare dispersi. Nel vano del sacello, in unospesso strato di cenere, stavano numerosiavanzi archeologici. Insieme a rottami diceramiche nuragiche d’impasto di variaforma, si presentavano frustoli di bronzo e, inquesta stessa materia, tre barchette con pro-tomi bovina e di muflone, di elegante sti liz-zazione geometrica, riferibili all’VIlI-VIIsecolo a.C.

Nel dirupo basaltico di Sa Punta e santuMarcu-Morgongiori (fig. 189), alto m. 511,si interna la spelonca naturale detta Sa Gruttade is Caombus. Il sotterraneo, ramificato in

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Fig. 183. Cagliari, Museo Archeologico Nazionale: laminad’oro, dalla grotta-santuario di Pirosu Su Benatzu, Santadi(CA)

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camminamenti stretti e tortuosi, era acces-sibile attraverso una scala in muratura a duerampe ortogonali, una di 22 e l’altra di 24gradini lavorati. Il più basso degli scalini,sulla pedata, mostra una coppella; sull’alzodi altri due spicca una coppia di rilievi mam-millari. Ovvio il significato simbolico. Lacoppella ha funzioni lustrali. I rilievi, somi-glianti a quelli dei betili mammellati e di fac-ciate di templi a pozzo e di tombe di giganti,si riferiscono all’ideologia d’una Dea mater-na: la stessa riconoscibile nella statuetta diUrzulei. La simbologia, la scala che ricordale gradinate dei pozzi sacri, l’ambiente sot-terraneo arcano come nel santuario di Pirosu,tutta l’atmosfera suggeriscono un tempio

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Fig. 185. Interno della capanna zz del villaggio nuragico diSu Nuraxi, Barumini, (CA)

Fig. 184. Barumini, Su Nuraxi: capanna zz con il bastione in secondo piano (nuragico II)

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ipogeico nuragico. All’esterno, a 40 metri didistanza a sud dalla fessura rocciosa che oggiintroduce all’antro, si osseva una costruzioneall’aperto, in tondo, di m. 4,70 di diametro etre di altezza residua, limitata da pareti inaggetto, fatte di filari di grossi blocchi dibasalto e liparite. Tutto in giro del vano cor-rono, in due ordini, a m. 0,40 e 1,20 dal pavi-mento lastricato, cinque stipetti. La presenzadi tante nicchiette come nei recinti assem-bleari di Barùmini e di S. Vittoria di Serridove si celebravano anche atti di religione, fa

pensare a un luogo per i sacerdoti o gli addet-ti al servizio di culto, col compito di ri:everee di indirizzare i pellegrini al recesso sacro.Pianta e strutture del vano, come il tipo discale del sotterraneo, indicano manufattisicuramente nuragici, di natura religiosa,probabilmente della Fase IV, al pari di SuBenatzu e Domu s’Orku.

Tra gli edifizi di culto subaerei, emergonoquelli a pozzo, i quali rappresentano la partepiù importante, quantitativamente e qualitati-vamente, e a più raffinata e significativa deli

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Fig. 186. Ceramiche dalla capanna 137 del villaggio Su Nuraxi di Barumini (nuragico I superiore)

Fig. 187. Cagliari, Museo Archeologico Nazionale: “madre dell’ucciso” dalla grotta sacra di sa Domu ‘e s’Orku, Urzulei(NU) Alt. cm. 10

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‘architettura religiosa nuragica. Sino ad oggise ne conoscono poco meno d’una quaranti-na, diffusi in tutta l’isola, dalla Gallura alCagliaritano, dall’Oristanese all’Ogliastra, epenetrano sino nel centro montano.Presentano uno schema comune a tutto il ter-ritorio interessato nell’espansione senza chesi possa conoscere, peraltro, dove sia natol’archetipo che è assolutamente “sardo” nelsuo principio e nella sua vasta e varia appli-cazione. Nasce da unitarietà di pensiero e dipratiche religiose che coinvolgono l’interopopolo (o tutti i popoli) della Sardegna,nonostante le divisioni statuali e il fraziona-mento del potere, spartito tra tanti principi.

Il disegno costruttivo del tempio consta ditre parti essenziali: un vestibolo a fior disuolo di varia figura planimetrica, per lo piùaperto all’esterno, talvolta con banchine; unascala a unica rampa coperta da un solaiopiano che segue la linea discendente dei gra-dini; una camera a tholos che fa da pozzo oche ricopre un pozzo sottostante. Non dirado, il tempio è racchiuso in un recinto ellit-tico. Talvolta è preceduto da un’esedra o vi siannettono uno o più cortili con sedili destina-

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Fig. 188. Pianta, sezione e ricostruzione ideale del pozzosacro di Su Tempiesu Orune (NU)

Fig. 189. Sa Grutta de Is Caombus Morgongiori (OR) scala del tempio nuragico sotterraneo

Fig. 190. Orune, loc. Su Tempiesu: prospetto del tempietto

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Fig. 191. Pozzo sacro di Su Tempiesu, Orune (NU) particolare della scale

Fig. 192. Pianta, sezione e veduta prospetica dall’alto del pozzo di predio Canopoli Perfugas (SS)

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Fig. 193. Veduta aerea del pozzo sacro e delle pertinenze di S. Cristina, Paulilatino (OR)

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ti ai pellegrini che assistevano al servizioreligioso da profani, senza cioè entrare nel“fanum”, nel « Sancta Sanctorum » del sacroedifizio.

Questo schema si presenta nei templi apozzo “urbani”, ossia compresi dentro l’ag-gregato abitativo la cui organizzazione so-ciale facilitava, comprendendolo, il buon or-dine del servizio religioso e la manutenzionedel manufatto con la cura della festa. E’ ilcaso dei pozzi sacri di S. Vittoria- Serri e S.Cristina-Paulilátino. Appare anche nei templiisolati, semplici sacchi diffusi nella campa-gna, i quali richiedevano minori cure. Essierano affidati al rispetto religioso dei singolio di gruppi di devoti e fatti oggetto di inter-

venti manutentori di tempo in tempo, certomeno frequentemente di quanto volevano itempli dei santuari complessi, soggetti alogorio a causa delle ripetute e affollate visi-tazioni.Di massima i pozzi sono isolati, ma non nemancano aggruppati. Per esempio, nel san-tuario montano di Matzanni Vall ermosa, visono tre templi a pozzo distinti, vicino a unvillaggio di poche capanne. Ciò facilitavagliatti di culto da parte dei fedeli i quali si distri-buivano tra i diversi tempietti delle acque,con libertà maggiore che nei luoghi dove l’u-nico pozzo non poteva evitare la calca perquanto esistessero, fissi o effimeri, spazi cir-costanti di disimpegno.

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Fig. 195. Pianta generale del santuario nuragico di S. Vittoria Serri (NU)

Fig. 194. Paulilatino, pozzo sacro di S. Cristina: particolare del soffitto gradonato della scala

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La continuità progressiva e diversiva degliedit izi è marcata soprattutto dall’aspetto del-l’opera muraria. Un gruppo di pozzi, chesembra essere più antico almeno nellamagfCYor parte degli esempi, fa vedere unfabbricato di tecnica nuravera e propria.Sonocostruiti cioè, cjho detto per alcuni templiriferiti allasc Icon pietre non squadrate, malsiate ,,Oasi al naturale (opera poligonak)oppwcshzzate in paralle lepipedi irregolari(opera subquadrata). Le camere dei pozzisono camere di nuraghe interrate.

L’altro gruppo si distingue perché le mu-rature, all’esterno e all’interno, sono di pietretagliate a squadro con lo scalpello (operaquadrata). In questo secondo gruppo si puòintrodurre un’ui terior distinzione. Vi sOli’)pozzi nei quali le strutture salgono a filarisovrapposii in aggetto, con la suprficie avista delle pietre, verticale. Altri pozzimostrano i paramenti tirati su a parabolalungo la quale i conci ben tagliati si sovrap-

pongono obliquamente, il concio superiore

leggermente in ritiro rispetto all’inferiore. Inquesti ultimi pozzi si osserva una tecnicamoderna, una sorta cli new fashion che, senon rivela proprio una rottura della tradizionearchitettonica, dimostra almeno una linea piùavanzata, una sensibilitìi artistica più raffina-ta in confronto al vecchio modo di costruire.Cosa che notavano gli scrittori classici,distinguendo nella Sardegna antica monu-menti di ritmo perfetto (tholoi in particolare)e costruzioni fatte alla maniera arcaica deiGreci (intendi inicenei).

Esemplificano il primo gruppo i templi diSant’Anastasia-Sardara, Su Putzu-Orroli,Funtana Cobertai-Bal lao, Cuccuru Nuraxi-Setlimo, is Pirois-Villaputzu ecc. Esempi delsecondo gruppo sono, per la struttura a filariin aggetto, i pozzi di Santa Vittoria, Coni-Nuragus, Losa-Abbasanta; per la struttura aconci obliqui strapiombanti i pozzi di PredioCanòpoli-Perfugas, SU Tempiesu-Orune e,più elegante e più prezioso di tutti ar-chitettonicamente, Santa Ci’istina-Pauliláti-no (hgg. 193-194).Di particolare interesse, nei templi del se-condo gruppo ed in taluni del primo succes-sivamente ristrutturati (S. Anastasia), sono lefacciate decorate. Con esse, sul substrato del-l’arcaica architettura liscia, del tuttosIrllIlz!ralc, si introduce la novità dell’archi-tettura orna;ne,iia!e che si accorda con i so-fisticati paramenti in opera isodoma dei poz-zi recenti, o nasconde le rozze murature deipiù antichi come in un terso scrigno. Questefacciate, nel pozzo di Su Tempiesu, si presen-tano a forma di timpano stretto ed erto sor-montato da fasci di spade in bronzo nel fasti-gio; a Sant’Anastasia e Santa Vittoria, spa-ziano in piano coronate da trabeazioni e cor-nici orizzontali modinate a bozze e dentelli.Il campo di facciata è modulato da decora-zioni plastiche o grafiche. Le prime sonocostituite da teste taurine in rilievo e da bozze

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Fig. 196. Veduta prospettica dall’alto e sezione del pozzosacro di S. Vittoria Serri (NU)

Fig. 197. Villaggio-santuario di S. Vittoria, Serri (NU):veduta aerea del lato occidentale del complesso (area tem-plare)

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mammillari, le seconde da disegni geometri-ci lineari, incisi a zig-zag, spina di pesce, cer-chielli concentrici e altri simili ai motiviconosciuti dalle ceramiche della Fase IV. Sitratta di uno stile puro e limpido, essenzialenel tratto, che non disturba la forma architet-tonica e fa premio all’astrazione concettuale.A causa dell’ideologia geometrica che la per-vade, la decorazione architettonica è confor-me e funzionale al carattere. () sacro delluogo del pozzo dove il nome è suppostoalbergare, nascosto nell’acqua sotterranea divena. Un nunie che annulla nel trascendenteogni evocata (e rimossa nello stesso tempoperché temuta) sembianza umana e, perciò, èespresso metafisicamente eon simboli anieo-niei. Alla decorazione scolpita aggiungevavalore artistico e significato simbolico ilcolore. Esso si manifesta, conic gioco croma-tico bianconero, nell’alternanza dei filari dibasalto e calcare nell’estradosso della i/to/osdi S. Vittoria, e come velo di pittura rossanegli elementi di cornice a dentelli del pozzodi Sardara e nei conci di quello di CùeeuruNuraxi.Nello stesso gusto geometrico, e eon gli stes-si motivi delle facciate architettoniche, sonoscolpite particolari attrezzature del riwale, inpietra, trovate presso i pozzi di Serri e aMatzanni: pilastrini, cippi hetiliei a co-lonnine capitellate, altarini etc. Esse clove-vano essere custodite nei vestiboli o negli an-nessi costruttivi dei templi, ed esposte e usatenella liturgia della festa. A Serri e PredioCanopoli, figurano banconi e lastre sa-crificali eon incavi per accogliere e condurresottoterra, per mezzo di eanaletti praticati nelpavimento, il sangue delle vittime: animali dimedia e piccola taglia. Nei medesimi luoghivenivano poi deposti, o appesi, e, infine, ripo-sti dopo l’esposizione rituale necessaria asoddisfare l’esigenza religiosa, i numerosiex-voti di varia materia: vasi di terracottalisci ed ornati con stile geometrico, perled’ambra, elementi d’osso e di avorio, armi,utensili e ornamenti di bronzo. Tra i donieccellevano le statuine bronzee, umane e di

animali, anche di esseri sovrannaturali,distinte per il pregio materiale e per le qulitàartistiche, come appresso si dirà. Le offriva-no più numerose e varie nei templi più fre-quentati (S. Vittoria, Abini-Teti), le diverseclassi sociali di pellegrini che eonvenivano aisantuari in turbe, scalze e salmodianti.Sono queste figurine soprattutto, e le te-matiche e lo stile dell’ornamentazione dellefacciate architettoniche, oltre l’evidente pro-gresso tecnico delle strutture, a rivelare,conic momento assai intenso ed elevato diproduzione di templi a pozzo, il periodointorno al XI-VIII secolo a. C. Ma il caratte-re di arcaismo denunziato dai pozzi del pri-nio gruppo, sia nell’ordine strutturale sianella r ipulsa decorativa, riporta tutti o partedi questi ultimi ai secoli dopo il XIII aC., inuna Fase (la III) di speciale vivacità costrut-tiva delle torri nuragiche alle quali talunipozzi si legano tecnicamente e culturalmente,come si è detto.Da certi elementi simbolici della decorazionedei templi a pozzo e da speciali forme edornati delle suppellettili votive, si possonotraire indizi per ipotizzare le specie di divi-nità clic vi si adoravano. A S. Anastasia e SuTempiesu, alcune pietre concie che si sonoconservate dei prospetti, mostrano, scolpitein rilievo, bozze accoppiate che si interpreta-no come mammelle. Suggerirebbero la divi-nità femminile, la mediterranea Oca Madredelle fonti, della quale si mantiene il ricordo,nell’attuale folk/ore sardo delle acque, nellafigura mitica di sa mamma ‘e t’ummiamma,la « mamma della fontana >. Nei ptessi deivestiboli dei pozzi di Serri e Sardaia, giacen-ti rotti al suolo, sono stati rinvenuti resti diteste e corna di hue o toro, in grande forma-to, tratte dalla pietra calcarea e dal basalto. ASerri si raccolsero avanzi di due protomi,d’una soltanto a Sarclara. E’ possibile imiiia-ginaie la loro collocazione originaria nell’al-

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Fig. 198. Villaggio-santuario di S. Vittoria, Serri (NU):veduta aerea del recinto delle feste

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to delle facciate, nel mezzo l’unica cliSarclara, una per parte del prospetto la cop-pia di Serri. Anche in taluni ipogei neo-calco-litici prececleiiti la civiltà nuragica, sonoscolpite protomi e corna bovine nelle quali èprobabile riconoscere le premesse ideologi-che siniboliche delle sculture dei pozzi: conicin questi, esse figurano isolate, o in accoppia-ta, o anche in più numerosa iterazione peraccrescere la forza magica protettiva che sicredeva in I / icarnata nel toro. Se poi i reper-ti di Serri e Sardara sono da ritenersi pezzi distatue intere, l’idea di tori sacri oosti dinanzi

ai vestiboli dei templi, come altri animalireali o fantastici nei santuari orientali, è idease non poprio ovvia abbastanza seducente.Comunque ne sia della posizione all’originedegli avanzi scultorei di Serri e Sardara, vi èpalese la presenza di immagini simbolizzari-ti la natura d’una divinità tauromorfa, di ca-rattere ctonio perché legata con l’acqua sot-terranea, non meglio definibile però nel suoessere, negli attributi e nei i apporti con altreentità soprannaturali del pantheon protosar-do. Si può presumere soltanto che fosse gran-de e vivo il valore ideologico e ritenuta effi-

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Fig. 199. Serri (NU): santuario nuragico di S. Vittoria: capanne

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cace la potenza salutare di questa ipostasidivina d’una religione a sustrato naturalisticod’origine neolitica, se essa si rivela anche inelementi dei corredo votivo e rituale deglistessi templi a pozzo. Un simulacro di cornabovine è riprodotto in piccole proçorzioni inun bronzetto dal pozzo di Cmpos nto diOlmedo. Protomi taurine, più o meno stiliz-zate, figurano, in rilievo, su pareti e anse di‘’si in terracotta dei pozzi di Sardara e Serri.Su un’anfora piriforme di Sardara è rappre-sentata plasticamente una silhoieiie antropo-morfa, di sofisticato geometrismo, che strin-ge fra le braccia un arnese astiforme ad estre-mità cornuta. Si tratta di oggetti liturgici e divasi cerimoniali, significativi dell’idolatriadel toro, simbolo della forza sessuale genera-trice d’ogni organismo, che sembrerebbe

suggerita anche da una forma vascolare, abocca fallica, dal pozzo di S. Anastasia.

In conclusione l’aspetto religioso che siricostruisce dall’esame dei dati formali e ma-

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Fig. 200. Chiesa di S. Anastasia Sardara (CA): protometaurina (?) e conci mammellati provenienti dal pozzo sacro

Fig. 201. Pianta e sezioni della fonte nuragica di Noddule (NU)

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teriali dei templi a pozzo, è quello basato sul-l’entità divina maschile del toro e su quellafemminile della « Grande Madre » fattrice enutrice: una coppia fondamentale di divinitàdella natura fertile, presente già dal neoliticosardo.

Il pozzo di Serri prende maggior risaltodall’insistere, costituendone il fulcro ideale,nel contesto organizzato e custodito in forma

stabile con funzione polivalente, di un san-tuario. Lo stesso si può dire del pozzo di S.Cristina. Ma, a S. Vittoria, il carattere delcentrosacro e laico insieme presenta unafigura più completa ed esemplare urbanisti-camente parlando. Strutturato in un assettoedilizio razionale presso il ciglio d’un alto-piano basaltico, che è un “altare” naturalevisibile d’ogni parte e dominante d’ogni in-

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Fig. 202. Pianta e sezioni della fonte nuragica di Frades Mereos, Ploaghe (SS) (da Moravetti)

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torno sulle convalli, il santuario di Serri era ilnucleo religioso a cui facevano capo diversi“comprensori” nuragici dell’interno dell’iso-la, e vi trovavano il luogo dell’incontro civi-le ed economico, oltre che l’appagamento deibisogni dello spirito personale e collettivo.Era il posto aperto, neutrale, della festa e delmercato, dove si cementavano, garanti glidei, paci tribali e familiari, si stringevanopatti politici e si organizzava la difesa inter-cantonale contro i pricoli esterni. Forseanche, come nei santiari panellenici, si recu-perava il senso “nazionale” dei sardi, indebo-

lito dalla frantumazione della struttura etnicae politica in tanti staterelli autosufficienti eautogovernati, spesso in situazioni di conflit-to.

Vicino al tempio a pozzo (e ad un altrorettangolare), costruiti in una parte distintainsieme agli annessi per i sacerdoti e i localidegli arredi e dei donari dei fedeli, sta il set-tore “civile” del contesto. Lo costituisconoun vasto recinto porticato con banchine emense per i novenanti e loggette per i mer-canti con nel mezzo l’ampio spazio per i bal-li, i canti e i giochi festivi; una grande ro-

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Fig. 203. Pozzo sacro di Coni, Nuragus (NU) Fig. 204. Pianta e sezione della fonte nuragica di SuLumarzu, Rebeccu Bonorva (SS)

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tonda per la riunione federale dei capi cheguidavano le folle dei loro sudditi pellegrinia] santuario e vi celebravano il « focdus poli-tico; un complesso di abitazioni per i custodie di fabbriche per l’organizzazione, la tenutae la regolata gestione dell’area sacra e dellepertinenze private e pubbliche.

In questo insieme non è senza interesse,mostrando una diversa forma templare, il sa-cello rettangolare in prossimità del pozzo,entro il recinto più interno dell’area di culto.La fabbrica, riparata più volte e poi distruttada un incendio che ha lasciato traece nelmateriale costruttivo calcare, contiee ununico vano di m. 5,80 di lunghezza x 4,80 dilarghezza, orientato da nord a sud do ve èpraticata la stretta porta d’ingresso. Alla basedelle pareti, sui lati frontale e di sinistra perchi entra, la cella era fornita di larghi banco-ni sui quali stavano lastre con incavi e piom-bature atte a saldarvi gli ex-voti in bronzo. Anord dove l’ambiente di culto oggi restaaperto, si disegna uno spazio selciato, coper-to in parte da due piattaforme irregolari,costruite con materiali di spoglio, suppostealtari per sacrifizi di animali (bue, pec’)ra,porco). Sul lato est esterno della cella, siaddossa uno stanzino rettangre per custodir-vi arredi o elementi delj*stipe sacra. Del pri-mitivo edificio che pochi resti murari di fon-daoie e lO’strato del deposito archeologicosotto il battuto di terra ,e ciottoli del livello diristrutturazione. E’ probabile che, all’origine,vi fosse soltanto un sacello monovano coper-to con tetto a doppio spiovente, senza altari;questi sono venuti dopo, utilizzando nellastruttura conci sagomati di un edifizio o diuna piattaforma rotonda situati nello stessopunto o nelle immediate vicinanze.

Dentro e intorno al sacello, quando eraintatto, dovevano stare attrezzature simbo-lico-rituali. Di tale categoria è rimasto unbetilo troncoconico, in calcare, decorato dauna fascia incavata s’)tto l’estremità superio-re che termina in una prominenza conica.Lo strato archeologico inferiore della cellaomogeneo nell’aspetto, conteneva, misti a

ceneri e carboni, resti ossei di animali sacri-ficati, avanzi di molluschi marini mangiatinelrito e vasi di terracotta cerimoniali. Numerosie vari gli ex-voti di bronzo trovati in fram-menti dentro il sacello. Si riconoscono figuri-ne di capotribù, arcieri, soldati con pugnale,di pastori e. contadini che offrono pelli, unporcellino, patere focacce. Si hannopiccole rappresentazioni di animali (cervo) euccelli. (colombine, sparviero). Presentipure, in bronzo, talvolta con l’avanzo dellapiomba tura per l’infissione sulla tavola d’of-ferta, armi (cuspidi di freccia, spade, pugna-li), utensili (vasi laminati, catenella, un chio-do conrivestimento in oro), oggetti di ornamento edi abbigliamento (aghi crinali o per fermaremantelli, braccialetti, dischetti lisci e decora-ti). Tra gli ex-voti in altra materia si distin-guono un bottone triangolare d’osso forato alcentro e, pure in osso, un pettine con motividi cerchielli concentrici e incisioni semicir-colari; infine, pendagli di ambra, a sezibneovale, con foro.

Non vi sono dati sicuri per accettare l’i-potesi fatta sl carattere astrale, celeste, delladivinità che sarebbe stata adorata nel tem-pietto. Quanto alla sua cronologia, dalla let-tura delle strutture e dei materiali ar-cheologici, si può ricavare prudentemente lasupposizione di un primo impianto intornoall’VIli :’colo a.C. e di un ampio ri facimen-to verso il Vu VT, avvenuto coinvolgendoaltri vicini annessi costruttivi.

Carattere parzialmente sacro, sempre a S.Vittoria, mostra il recinto delle Assembleefederali: m. 15 di diametro esterno e 11all’interno. Il sedile all’ingiro, coperto, acirca 3 metri d’altezza sul pavimento ac-ciottolato, da una specie di cornicione di la-stre sporgenti dalla parete muraria, acco-glieva una cinquantina di persone: i notabili ele rappresentanze delle tribù convenute,come si è detto, alla grande assise religiosa epolitica, alla festa e al « conventus » federa-le. Anche in questa rotonda, come aBarùmini, Palmavera e a Gruttua is

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Fig. 205. Cagliari, Museo Archeologico Nazionale: eroe odemone con quattro occhi e quattro braccia, da Abini, TEti(NU). Alt. cm 19.

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Caombus, vi sono nicchie alle pareti e, a sini-stra dell’ingresso, si osserva un gruppo di treelementi rituali: la vaschetta rettangolare, labacinella e il betilo (qui una semplice colon-na troncoconica, del tutto liscia). Il dibattitodei principi era preceduto o si concludevacon una sacra cerimonia, forse quella solen-ne del giuramento dei patti, a base di sacrifi-zi e di offerte. I primi sono attestati da cumu-li di ceneri e carboni intorno al betilo. Leseconde consistevano in statuine di bronzod’animali (toro, vacca, cinghiale, capra)sostitutivo magico di sacrifizi reali , in ogget-ti e armi pure di bronzo (aghi crinali, o pun-teruoli, pugnaletti, ghiere di aste di lancia), invasetti della stessa materia, in genere dicarattere votivo per la piccolezza delle pro-porzioni. Furono ritrovati altresì vasi di terra-cotta, di varia forma (boccali, piatti ecc.),usati per libagioni, riti lustrali e per accoglie-re offerte in natura. Un torciere di bronzo,d’importazione cipriota (VIII-VII secoloaC.), fa supporre che le sedute si svolgesseroanche di notte oppure che il servizio religio-so avesse come liturgia quella della fiammaardente, simbolo di luce e di splendore,segno della chiarezza e della perennità del«foedus ».Di impiego collettivo e cerimonia-le potrebbero considerarsi pure due ampirecinti circolari, ricordanti nelle proporzioniquello di S. Vittoria, annessi al villaggio dicapanne di Monte Siseri basso, nella Nurra diAlghero. Distanti 25 e 75 metri rispetti-vamente dal grosso nuraghe trilobato omo-nimo, i recinti, limitati da un muro di blocchisubquadrati di calcare spesso m. 1, chiudonociascuno uno spazio di m. Il e 10 di diametro.Al centro del vano, sul pavimento hen lastri-cato, risalta il focolare rotondo di m. 3,60 e3,40. Ai recinti, che presentano l’ingresso aNord e Sud, si annettono due piccoli ambien-ti più volte restaurati come i vani maggiori,destinati forse a ripostigli o depositi cii parti-colari oggetti e suppellettili.

Atti di religione, di natura privata, ave-vano luogo nell’intimità della famiglia, alivello di villaggio e di clans, e appagavano le

esigenze della realtà di vita quotidiana.Parecchie case d’abitazione del Nuragico

Il (metà VII- fine VI), nel villaggio diBarflmini, mostrano un singolare e quasi«canonico» ambiente, nella parte più ciposta,che non si spiega con una funzione pratica. Ilparticolare si ripete in dimore dell’aggregatoabitativo di Santa Vittoria di Serri, fuori delsantuario vero e proprio, e di Sa Mandra desa giua ad Ossi, nel nord della Sardegna. Sitratta, come ho già accennato, di piccoli vanirotondi, posti per lo più dietro quello mag-giore della cucina col forno-focolare, del dia-metro da m. 2,66 e 1,36. Sono di giro perfet-to e rifiniti nelle strutture murarie composte,nelle pareti, a lilaretti regolari di quadrelli inpietra, che si restringevano ad anelli agget-tanti sino alla chiusura della volta. Alla basedei vani, col pavimento di lastre ben curatonelinclinato per facilitare il deflusso dell’ac-qua di lavaggio attraverso fori praticati nelmuro, corre un sedile di pietre conca scorni-ciate. Al centro del pavimento è collocato unbacile emisferico con piede, levigato a scal-pello, variante nel diametro interno da cm.81 a 67 e in profondità da 25 a 23. Sul sedi-le circostante potevano stare da 7 a 5 perso-ne, il corrispettivo numerico d’un nucleofamiliare. La finitura e distinzione del vanorispetto agli altri ambienti dell’abitazioneirregolari nella pianta e dimessi nella struttu-ra, la presenza della conca al centro del sedi-le (in qualche caso anche d’una vaschettarettangolare per l’acqua), fanno pensare a unrito domestico, di carattere lustrale. Si im-magina una sorta di battesimo per immer-sione del neonato, officiato dal patriarca allapresenza dei membri della famiglia. Questointimo sacrario, nell’occasione della ce-rimonia purificatrice, poteva venire riscal-dato accendendo l’attiguo forno, per evitareche il bambino soffrisse del bagno dasupporre fatto perciò nell’acqua tiepida.Altre ipotesi sono state affacciate o si potreb-

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Fig. 206. Cagliari, Museo Archeologico Nazionale: eroe odemone con due scudi e quattro braccia, da Abini, TEti(NU). Alt. cm 15.

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bero proporre: quelle di un luogo peraspersioni ed abluzioni collettive catarticheaccompagnate da formule magiche diinvocazione e di scongiuro degli spiriti o perbere in comune un liquido incantato omangiare un cibo speciale in particolaricircostanze festive o per altre ignote pratichetutte, però, da riferirsi alla sfera del sincreti-smo magicoreligioso applicato al privato.

In un’abitazione pluricellulare con cortiledi disimpegno di Santa Vittoria di Serri, si

distingue un vano più grande degli altri (n.48), segnato all’ingresso da due pilastrini asezione rettangolare, di calcare, alti m. 1,supposti betili. Dentro il vano lastricato, difaccia alla porta, una base trapezoidale sor-reggeva un altare- simulacro, elegantementescolpito nel calcare, costituito da due colon-nine troncoconiche congiunte da un fasciameterminante in una cornice modinata architet-tonicamente a listelli e leggeri incavi. Suifusti e sulla cornice si vedono infissi con

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Fig. 207. Cagliari, Museo Archeologico Nazionale: lottatori da Uta (CA) Alt. cm. 10,5, lungh. cm 15

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Fig. 208. Parte terminale di modellino torre nuragica insteatite, da Cordianu, Ozieri (SS) Alt. res. cm. 2,1

Fig. 209. Nuoro museo civico: modellino in steatite di torrenuragica da Ruinas Oliena (NU) Alt. res. cm 2,6

Fig. 210. Prospetto esezioni del modello di nuraghe in arenaria da S. Sperate (CA) loc. Bia ‘e Deximu (da Ugas)

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Fig. 211. Sassari, Museo Archeologico Nazionale: liscia-toio in steatite a forma di nuraghe complesso dal nuragheS. Antine di Torralba (SS) Alt. cm. 3,3

Fig. 213. Cagliari, Museo Archeologico Nazionale: model-lo di nuraghe complesso in arenaria da S. Sperate (CA) loc.Bia ‘e Deximu Alt. res. cm 33

Fig. 212. Sassari, Museo Archeologico Nazionale: model-lino in bronzo di nuraghe complesso da Olmedo (SS). Alt.cm. 25,8 (col piedistallo)

Fig. 205. Sassari, Museo Archeologico Nazionale: modellodi nuraghe in arenaria dalla Capanna delle riunioni diPalmavera Alghero (SS) Alt. cm 66

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piombo resti di ex- voto in bronzo. Si ricono-sce un idolo, in immagine aniconica di dop-pio betilo, cui si rendeva culto nella cappel-letta familiare.

A Santa Vittoria è stato pure ipotizzato unculto reso alla bipenne, invocando paralleliminoico-micenei. L’ipotesi si basa sul ritro-vamento fatto nell’ambiente n. 19 del vastorecinto delle feste, d’un arredo suppostoliturgico, costituito da una serie di pezzi adat-tabili l’uno all’altro a formare un pilastrinocilindrico di calcare decorato sostenuto da unpiedestallo parallelepipedo, e da una doppiaascia di bronzo. Nello strato archeologicoprimitivo del vano, ristrutturato in età tardo-nurgica e punica, furono recuperati elementidi probabile pertinenza al sacro: ossa d’ani-

mali, ceramiche d’impasto, oggetti di bron-zo, statuine votive nella stessa materia e unafigurina an~ tropornorfa di terracotta, resi-duata in una piccola mano chiusa a pugno(materiali tutti del IX-VIII secolo a.C.).

Se quasi l’intero repertorio delle statuettedi bronzo protosarde (delle quali diremo piùsotto in relazione all’arte), per il caratterevotivo e per la localizzazione preminente neitempli e nei santuari, rivela stretto rapportocoi sacro, alcune di esse mostrano, implicitiod espliciti, categorie concettuali e tpi dovesi indovinano o si riconoscono e,senze e sim-boli di entità religiose trascendenti, figure edemanazioni del mondo metafisico. Di altre sipercepisce il rapporto con pratiche cerimo-niali, liturgie e occasioni ludiche festive

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Fig. 215. La capanna delle riunioni del villaggio di Palamvera Alghero (SS)

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organiche alla religione di cui sono, in qual-che modo, formalizzazioni ufficiali e ritualinella sfera d’un sacro largamente e profonda-mente consumato, nello spirito e nella este-riorità materiale, sia dalle classi di potere siadalle comunità popolari.

Resta sempre discutibile l’idea, manife-stata da studiosi nel secolo scorso e in questo,di individuare divinità vere e proprie in alcu-ne figurine. Però statuine come il tipo diguerriero iperantropico con quattro occhi equattro braccia di Abini-Teti, l’Essere an-tropozoomorfo di Santu Lisci-Iule, imma-maschili e femminili nude di carattere apo-tropaico, non appartenenti al reale, sono dacollocarsi in un genere e a un livello ideolo-gico prossimi al « divino ». Sono piccolisimulacri di forze oscure di natura eroica odernoniaca, di mediazione tra il .sopran-naturale e l’umano o oltre l’umano in unpiano metafisico.

In alcuni bronzi è presente una comples-sa simbologia magico-religiosa, dietro cuistanno princìpi se non esseri divini. Si trattadi oggetti sacri, esposti nelle cerimonie o

portati in parate processionali, significantiuna liturgia carica di allusioni a un mondoanimato dagli spiriti della natura terrena o daentità celesti ed infere terribili, da cui ci sivuole difendere o che si intende placare conarcani incantesimi e pratiche superstiziose.

Una simbologia solare si può nasconderein due rotelline radiate, una dal livello ar-cheologico superiore del nuraghe Albucciu,l’altra dall’atrio del pozzo sacro di Serri, que-st’ultima immersa nell’impiombatura che lafissava alla tavola d’esposizione (Vili-VIIsecolo a.C.). All’ideologia magico-religiosa«taurina » dà segno uno schema di corna subastta lenticolare, dal tempio a pozzo diOlmedo, riproduzione in piccolo di grandi «corna di consacrazione » in legno, comequelle della religione minoica. La stessaideologia è manifesta in un oggetto lhurgico(forse insegna processionale) di Santa Mariadi Tergu-Castelsardo. Figura una protomebovina, con una testina antropomorfa in rilie-vo sulla fronte della protome, simbolo d’unessere di duplice natura, con tratti umani eanimaleschi alla guisa del « mostro» di Nule.Una elaborata quanto totalmente inafferrabi-le speculazione teologica o misteriosofica staalla base di arredi liturgici di Santa Maria diTergu e di Sos Cunzados-Padna. Il primo èun elemento a sommità lunata (o a forcella)con i bracci finienti in minuscole ghieresagomate e il fusto segnato da un voltoumano per parte e da schemi puntinati dipugnali e aste cornute tutto all’ingiro.L’insegna di Padria è costituita da una tripli-ce spada, con la mediana sormontata da unaplacca con sportellini che si aprono a riscon-tro, guarnita in alto da una doppia protomecervina e da un pugnale terminale e in bassoda linguette pendule accettiformi. Infine, è daricordare un oggettino votivo del santuario diAbini, che rappresenta un duplice betilo coninizio di antropomorfismo, poiché sono indi-cati sofrimariamcnte i piedi della figura: è

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Fig. 216. Sasari, Museo Archeologico Nazionale: segio inarenaria dalla capanna delle riunioni di Palamvera Alghero(SS) Alt. cm 42.

Fig. 217. Cagliari, Museo Archeologico Nazionale: testa inarenaria di guerriero, da monti Prama Cabras (OR)

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ovvio l’accostamento al grande idolo-altarein pietra da Serri, sopra citato.

Ai servizi del culto e alle manifestazionireligiose e civili della festa, dentro o fuori deitempli, o nel più vasto respiro dei santuari, silegavano ritualmente musiche, danze e canti.Nell’onda dei secoli, si sono perduti per noitemi, motivi, metri e lo stesso senso pieno diquella musica lontana. Solo qualcosa diimpalpabile è rimasto nelle strane melodie enelle singolari disarmonie, fuori d’ognicostruzione classica, della musica del popolosardo, oggi. Suoni e accordi remotissimi chepercepiamo piuttosto per istinto, con unarisalita emozionale attraverso i millenni, enon per un processo razionale e scientifico,improponibile e tanto meno attuabile. L’arteplastica nuragica, così attenta a cogliere ilreale pur nell’animazione « sacra », ci haperò lasciato immagini evidenti e significati-ve di musicisti.

Tra di essi, si nota una figurina di per-sonaggio maschile, incappucciato e tutto av-volto nel corpo da un pesante e ornato manto

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Fig. 218. Cagliari, Museo Archeologico Nazionale: bustodi arciere in arenaria, da Monti Prama, Cabras (OR). Alt.res. cm. 5.

Fig. 220. Planimetria del complesso di Sa sedda ‘e sos car-ros, Oliena (NU) (da Lo Schiavo)

Fig. 221. Cagliari, Museo Archeologico Nazionale: capo-tribù, da Monti Arcosu, Uta (CA). Alt. cm 39

Fig. 219. Cagliari, Museo Archeologico Nazionale: testa inarenaria di guerriero, da monti Prama Cabras (OR)

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di cerimonie, c « segnato », nel suo rango, dauna sorta di stola che gira attorno al collo agorgiera, mentre lungo il dorso pende unabanda frangiata. Si fa l’ipotesi d’un tam-burino che suonava nelle processioni. Il tam-Intro sovrasta la testa, fissato su d’un’astaalle spalle stretta dalla stola; la bacchetta dipercussione è tenuta tra le mani di trasversoal petto. Anelli metallici alle caviglie com-pletano la musica ritmica del personaggio ilquale forse, di tempo in tempo, accennavaanche a passi di danza.

Dal nuraghe San tu Perdu-Genoni vieneuna statuina di suonatore di corno. Seminudo(un corto panno pieghettato gli cinge appenai lombi) dà fiato allo strumento stretto tra lemani; un altro corno ricurvc pende da unatracolla sulla schiena. Sarà stato un bandito-re che chiamava i fedeli al tempio, oppure,fuori dal servizio religioso, annunziava nellepiazze o per le vie delle borgatelle nuragichei decreti e gli atti dell’autorità? Nella musicasi immerge pure la figura di flautista itifalli-co da Ittiri. Tutto nudo, esplosivo il membro,deforme quasi caricaturale if volto, il singo-lare individuo suona un triplice flauto dicanne: uno strumento da considerare alle ori-gini delle attuali « launeddas » sarde, usatenelle feste private (nascite, matrimoni) epubbliche e, una volta, nel lutto. Possiamosupporre che il flautista moduli il suo concer-to in funzione del ballo tondo: la danza sacracorale mediterranea che dura tenacemente inSardegna, articolandosi in ritmi e movenzevariati, ora lenti ora acrobatici, ora in caden-za religiosa ora d’una frenesia magica.Intonato il ballo, il flautista esce in una varia-zione acuta e, flettendo a tempo le gambe,eccita al. passo i ballerini (uomini e donne)da immaginare scatenati in un coro di forteemotività sessuale, conveniente alla festadegli dei e delle dee largitori di messi, bestia-me e prole in abbondanza evocati simpatica-

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Fig. 222. Sassari, Museo Archeologico Nazionale: pugna-letto ad elsa gammata, da loc. sconosciuta della Sardegna

Fig. 223. Cagliari, Museo Archeologico Nazionale: fram-mento di matrice in steatite per pugnaletto ad elsa gamma-ta, dal nuraghe Logomache, Fonni, (NU)

Fig. 224. Cagliari, Museo Archeologico Nazionale: parti-colare del pugnaletto pendente sul petto del capotribù diMonti Arcosu, Uta (CA)

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mente col linguaggio coreutico-musicale.Anche i giochi si indovinano nel vero va-

lore e nell’autentico significato, se concepitimossi dall’impulso religioso e organici alsacro. A S. Vittoria (lo abbiamo detto) essi sisvolgevano nel grande recinto delle feste edel mercato, una sorta di piazza spettacolodal carattere di « circo », e coinvolgevanol’intera collettività. Dunque non sport, maagone fisico volto a celebrare la divinità.Erano gare-dono, gare-voto, fatte nel segnodella liberalità, con preciso intento di culto.Si adeguavano al concetto della festa nura-gica, conservata nelle feste d’oggi, dove tuttoera contenuto nella dimensione del dono, cheon faceva premio a classi economiche, dovele cose presentate alla comunità di pellegrininon venivano guastate dal valore di scambioo di merce, ma offerte con senso di opulenzae di gratuità in una ritualità simbolica.

Uno dei ludi sacri praticati era la lotta. Nedà prova un piccolo gruppo in bronzo da M.Arcosu-Uta (fig. 207). 1 lottatori, a testa sco-perta e scalzi (per rito), indossano una tunicacorta e attillata e portano gambali a strisce.La gara giunge al termine. Il vincitore hasteso bocconi il rivale, gli artiglia i piedi coni propri, gli afferra i polsi per im-mobilizzarlo. E’ il trionfo. Infatti, il vitto-rioso incombe tutto con il peso del corpo ecalca con le ginocchia le anche del vinto. Aquest’ultimo non resta, in un supremo sforzo,che rivolgere il capo all’avversario in segnodi resa. La linea flessuosa e movimentatarende la vibrante vivacità del corpo di chi hatrionfato, mentre nelle membra irrigidite delsoccombente tace ogni moto agonistico escende l’inerzia rassegnata dello sconfitto.Anche in un bronzetto da Saliu-Sulcis l’ideadel palio sacro non manca di suggestione. Unarciere appena schizzato nella fisionomiagrezza e deforme, il corpicino spiaccicato,sta in piedi u1 dorso di un cavallo scheletricoe sfigurato. Per assicurare la posizione rittanel trarre d’arco in avanti, si è legata la vitaalle lunghe briglia del destriero che morde ilfreno. Viene in mente l’ipotesi d’un cavaliere

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Fig. 225. Cagliari, Museo Archeologico Nazionale: guer-riero con elmo a lunghe corna, da Senorbì (CA) Alt. cm 24

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acrobatico intento a colpire in corsa unoggetto appeso nella piazza pubblica in festa:un principe o un aristocratico, più verosimil-mente, che dè prova al popolino della suaabittà e dal felice risultato della gara ottieneprestigio rafforzando il potere di classe.Eccezionale è la rappresentazione del caval-lo nella plastica nuragica, per cui si presumela sua rarità effettiva: pochi esemplari, diproprietà principesca, riservati a parate civilio a competizioni sacre, animali più da spetta-colo che veri e propri mezzi di cavalcatura edi trasporto. Per questi bisogni usava il hue,

come dimostrano statuine di pellegrini che locavalcano. In una, il devoto cavaliere, giuntoal santuario, saluta con la sinistra e protendenella destra una stacciata votiva. L’ometto,montato alla nuda, la capigliatura a parrucca,cinge soltanto un gonnellino alla vita; il torsoscoperto fa vedere il rilievo delle mammelle.L’animale mugghia festoso e il tono dellafesta lo ribadisce il sottile collare di cuoio otessuto cordonato a colori intorno al collorobusto. Ornamento festivo è diventata anchela redine, avvolta a doppio giro tra le corna.

Da suggestioni e motivazioni d’un pen-

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Fig. 226. Sassari, Museo Archeologico Nazionale: soldatoorante con scudo alle spalle, da località sconosciuta dellaSardegna. ALt. res. cm 12,5

Fig. 227. Cagliari, Museo Archeologico Nazionale: arcierecon asta a penna direzionale, da Abini, Teti (NU). Alt. cm28,3

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siero ai confini tra magismo e religione, de-rivano taluni aspetti della moralità e certicomportamenti sociali delle popolazioni nu-ragiche.Le fonti classiche fanno parola di « giudizi diDio » (o ordalìe), basati sulle virtù di acquecalde supposte animate da demoni capaci didare sanzione giuridica, di condanna o diassoluzione, agli indiziati del reato di furto.La colpevolezza dei sospetti, dopo il giura-mento, si rivelerebbe con la cecità giuntaall’immediato contatto con l’acqua che in-vece avrebbe acuito la vista agli innocenti(Solino IV, 6 ed. Mommsen, 1895; Isidoro,Etymol., XIV, 6,20; Prisciano, Perieg., 466ss.). Si può immaginare che fosse conside-rato delittuoso il furto all’interno della tribù odel villaggio, della comunità di appar-tenenza, non certo quello di cose extraterri-

toriali ritenute preda di guerra. La specie direato non deve far pensare a lesione di pro-prietà privata, ma alla trasgressione degliinteressi, dei diritti e dei nessi stabiliti dallacomunità nella produzione e nella riprodu-zionc dei beni, nello stadio primario dellaformazione economica, organica al sistemastrutturale della civiltà dei nuraghi.

E’ stata individuata una sede di svolgi-mento pubblico dell’ordalìa dell’acqua, neiluogo di Funtana Sans-Bonorva, dove sgor-gano fonti termominerali. Qui fu scoperto unrecinto circolare gradonato ad anfiteatro, daidiametri interni di m. 35 e 36. Al rituale (leigiudizio, che avveniva nel centro del vasto

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Fig. 228. Sassari, Museo Archeologico Nazionale: partico-lare di guerriero con elmo cornuto e scudo sulle spalle, dalnuraghe Pitzinnu, Posada (NU)

Fig. 229. Sassari, Museo Archeologico Nazionale: pellegri-no offerente. Da località della Sardegna. Alt. cm 5,6

Fig. 230. Cagliari, Museo Archeologico Nazionale: arcieresaettante con gonnellino di tipo orientale, da Sa Costa,Sardara (CA) Alt. cm 15,5

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spazio all’aperto con le sorgenti ribollenti evaporose (un mistero sconvolgente dellanatura), assisteva coralmente la folla, te-stimoniando, per la collettività, della senten-za affidata alla decisione imperscrutabile einappellabile del « divino », per non esisterenemmeno un embrione di norma garantistaumana. Si è supposto che le prove ordalichesi praticassero anche presso i pozzi che ab-biamo studiato e le fontane sacre (Su Lu-marzu-Bonorva, Sos Malavidos-Orani, SantaLulla-Orune, Sos Muros e M. Ololvica-

Buddusò, Pocidi AIVU-Bitti ecc.), non acaso conservate nell’area tradizionale internadella Sardegna. Fonti calde e fredde, standoalle notizie degli scrittori antichi, sarebberostate ritenute salutari, in modo particolare perle malattie oculari e delle ossa (forme artrosi-che e reumatiche testimoniate anche dallapatologia degli scheletri nuragici sopra esa-minati), nonché per guarire dal morso vele-noso della so/if ziga (un ragno che si nascon-deva nelle miniere d’argento: I ‘àrgia, la ta-rantola). L’ultimo accenno è al tarantolismo,al quale ancora, in Sardegna come nell’areameridionale italiana, si accompagna unacomplessa, operazione magica di recuperofisico e psicologico dell’infermo.A queste e ad altre pratiche guaritrici do-vevano attendere maghe e medici stregoni.E loro era il settore del magico, il nurerosomateriale di oggetti, formule, gesti per incan-tesimi, fatture, funzionali agli strati popolarie alle esigenze reali della vita. Plinio (oar.lust. VII, 16, 18) e Solino (I, 101) accennanoall’esistenza in Sardegna di femmine amma-liatrici, dette « Bithiae »: avevano due pupil-le per occhio e uccidevano con lo sguardo lepersone, se in preda all’ira. In una figuriria dibronzo nuragica dal pozzo sacro di FuntanaPadenti de Baccai Lanusei, è rappresentatauna donna con uno strano berretto conico egli occhi enormemente dilatati, quasi ipnoti-ci. Tecniche divinatorie e credenze e ritualioracolari sono da supporre essere stati prati-cati presso templi e tombe, e nell’intimità deigruppi a livello di villaggio o di clans fami-liari, non dovevano mancare, a grado minore,superstizioni legate alle ideologie del maloc-chio, dell’invidia, utili per affrontare imomenti critici individuali e collettivi checostellavano un’esistenza precaria. 11 mondosciarnanico, che si intuisce e si coglie nelframmento di vita e di società nuragichevisualizzato specialmente dalle figurine, era

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Fig. 231. Cagliari, Museo Archeologico Nazionale: faretri-na votiva

Fig. 232. Cagliari, Museo Archeologico Nazionale: parti-colare di arciere con asta a penna direzionale, da Abini, Teti(NU)

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una parte dell’esistenza senza storia di cetisubalterni rispetto alle gerarchie e alle aristo-crazie. Queste, anche e soprattutto con lostrumento magico-religioso, ottenevano ilconsenso e attuavano il controllo sociale,consolidando il loro potere entro un sistemasaldo e organico se è potuto durare tanto alungo in forme di indipendenza e di egemo-nia interna.

Come la religione, anche l’arte, nella Fa-se IV, tocca il più felice momento con pro-dotti di grande originalità. Passeranno quasimille anni perché per l’isola possa parlarsi,come allora, di arte sarda.

Condizioni oggettive e inclinazioni sog-gettive, più o meno sensibili e variate nellungo cammino, danno luogo alle forme ar-tistiche, e specie a quella eccellente dellascultura. Dal naturalismo suggerito dallo

stesso stato di vita concreto e duro al simbo-lismo che rifletteva i misteri d’una religionepervasa insieme di magia e spiritualità, eall’antropomorfismo dovuto, nonostantetutto, al riconosciuto peso dell’uomo, gli arti-giani trovavano ideali e ricevevano stimoliper le diverse espressioni formali e tecnichenel produrre esteticamente.

Appunto per soddisfare le proprie molte-plici esigenze d’arte nonché la tendenza deicommittenti e le mutanti ideologie e gusti, gliartefici nuragici vollero ricercare anche nellamateria diversa le possibilità delle variabilistilistiche intese ad estrinsecare le loro perso-nalità quali risultavano condizionateclall”amhienie nel quale essi agivano. La pie-

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Fig. 233. Cagliari, Museo Archeologico Nazionale: statuet-ta maschile in terracotta, da S. Cristina, Paulilatino (OR)Alt. cm 17,7

Fig. 234. Cagliari, Museo Archeologico Nazionale: statuet-ta votiva femminile in terracotta, da Abini, Teti (NU) Alt.cm 13

Fig. 235. Cagliari, Museo Archeologico Nazionale: donnaorante, da S’Arrideli, Terralba (OR) Alt. cm 17

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tra, il bronzo e la terracotta sono i materialiper cui concezioni e miti religiosi, suggestio-ni magiche, personaggi e segni del potere,forme articolate della società dell’economia,un certo paesaggio umano e animale e, indefinitiva, la vita dei protosardi si traduconoin immagini più o meno aderenti ai fantasmie alla realtà che si volevano rappresentare.

Altri materiali scolpiti artisticamente nonci sono rimasti o forse la terra non ce li haancora restituiti. Ma non si può escludere chel’artigianato dell’età dei nuraghi, come diconsueto, sapesse e avesse prodotto in mate-riale deperibile andato consunto: cera, osso esoprattutto legno, di varie essenze arboree,ne] quale si realizzavano xoana aniconici eantropomorfi i cui riflessi stilistici sonoavvertibili nelle statue in pietra e nelle picco-le icone di bronzo. Va ricordato, al riguardo,che le tribù (civitates) interne dei Barbaricini,insieme alle pietre (lapides menhirs) adora-vano « ligna », dove si potrebbero riconosce-re alberi ma anche pali totemici o simulacriscolpiti, e forse pure dipinti, nella materialignea (GREG. MAGNO, Epist., XXVII, 4).Nel campo del dipinto però, è meglio parlaredi applicazioni di colore più che di vera epropria pittura, perché i sardi nuragici, aquanto sinora ne sappiamo, non l’avrebberoconosciuta. Cosa per riflesso confermatadalla estrema scarsità delle ceramiche cromi-che, anch’esse, nei rari casi, più colorate chedipinte. E’ invece la scultura a dominarequasi incontrastata, congeniale, per così dire,a quegli antichissimi e abili artigiani.

I differenti materiali nei quali si producela statuaria in pietra, la bronzistica e la coro-plastica, contribuiscono, insieme alla condi-zione sociale e all’educazione artistica, alladiversità di linguaggio delle opere. Nel farearte in differenti stili sono presenti elementiindividuali che rispecchiano l’estro persona-le e la tradizione e le circostanze nelle qualisi realizzarono i prodotti. Stanno puredavanti elementi superindividuali che risen-tono della partecipazione degli artisti alclima culturale di aree geografiche ed etni-

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Fig. 236. Sassari, Museo Archeologico Nazionale: Bluestante da Laerru (SS) loc. Monte Altanu. Alt. cm 5, lungh.cm 7,5

Fig. 238. Sassari, Museo Archeologico Nazionale: muflonestante da Laerru (SS) loc. Monte Altanu. Alt. cm 4,6, lungh.cm 5,2

Fig. 238. Sassari, Museo Archeologico Nazionale: muflonestante da Olmedo (SS) loc. Camposanto. Alt. cm 8, lungh.cm 13,7

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che affini o con qualità in comune con leproprie. Se in alcune opere, incosciamentepiù che in termini di ragione, è seguita la viadell’imitazione naturalistica, l’insieme dellaproduzione artistica si fonda sull’astrazionelineare e geometrica che, in tutti i mondi pri-mitivi come in quello nuragico, trasponemetafisicamente le forme esistenti in natura.Sulla plastica protosarda agisce, evidente-mente, una concezione del mondo, passata avisione artistica, che fa premio alla condizio-ne emotiva e al metastorico, caratteri e ten-denze propri dello stato nascente e d’una

civiltà arcaica permeata profondamente dafantasmi magici e da suggestioni mitico-reli-giose. Ciò non toglie che, di tanto in tanto, larappresentazione artistica si faccia eterodos-samente oggettiva e che ne venga fuori l’im-magine d’una società reale calata nei suoicontenuti di vita e nel suo tempo. In tal caso,l’espressione del mondo visivo nuragico nonrifugge nell’astratto senza contorni, ma glidà forma lineare e plastica.

Pertanto, il fenomeno artistico (e sculto-reo in particolare) non è qualcosa di compat-to e fisso linguisticamente, centralizzato in-

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Fig. 239. Sassari, Museo Archeologico Nazionale: Blue stante da Laerru (SS) loc. Monte Altanu. Alt. cm 6, lungh. cm 5,8

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torno a un’idea totalizzante, ma appare esseredifferenziato, dinamico e dialettico. Esso èvariegato formalmente e ideologicamente,con stilismi che gli vengono da persistenzedel mondo neolitico e con tematiche corri-spondenti a svolte culturali e a cambiamentiqualitativi politici e sociali che si verificanospecialmente nella Fase IV. L’arte, che èinsieme opzione estetica, tributo religioso eapporto sociale, lievita e cammina articolan-dosi, allo stesso modo in cui procede versodirezioni diverse il ventaglio di vie culturaliseguite dai popoli nuragici pur legati da incomune fondo morale « nazionalitario ».

Al movimento storico nuovo si adeguatutto il fenomeno artistico e ne offre signi-ficativo esempio la scultura che oraesaminiamo nei prodotti di varia materia. Loindica già la scultura in pietra nell’esprimerel’evoluto segno di potere nelle sfere religiosae civile.

Appunto la sede principesca, un nuraghequadrilobato con torrione centrale, è scolpitonel modello in arenaria (Iigg. 210, 213),ritrovato forse sulla tomba d’un arislos a Sustradoni de Déxiniu-San Sperate (alt. residuacm. 33). Lo schema tetragono della solidacomposizione monolitica si articola con sim-metria geometrica e senso prospettico. Latersa superficie di sfondo è riquadrata e chia-roscurata dai lisci volumi lineari delle torri-celle sormontate da balconcini e dal minoresporto del parapetto delle cortine. Nel rispet-to della realtà architettonica non manca laricerca estetica, non solo nei bilanciato ordi-ne cornpositivo ma anche nei gusto dell’illu-strazione che dello spartito funzionale dellemensole fa un modulo decorativo a due regi-stri sovrapposti. Questo intercambio traarchitettura e ornato, nella diffusa rappresen-tazione dello schema quadrilobato, appareanche nei consimili modellini votivi in bron-zo di Ittireddu e 01medo (fig. 212), e su bot-toni (coli. Dessi di Sassari, Abini, Serri,Palmavera) e colonnine-alberi di navicelle(del Duce, Furtei), nonché su una pintaelera-levigatoio in steatite di nuraghe S. Antine

(fig. 211): elementi nei quali il motivo deco-rativo si chiude nell’astratto simbolismo.

L’associazione architettura-simbolo si ri-pete nel doppio betilo di Serri, già esamina-to, e in un cippo di arenaria, forse funerariocome il modello di S. Sperate, da Cann’eFadosu, nel Sinis di Cabras (alt. cm. 87). Viè scolpita una costruzione reale (sem-brerebbe un nuraghe trilobato col terrazzosospeso su mensole), trasportata in una com-posizione architettonica con fregio a doppioordine di riquadri e stretti incavi con unacornice modanata da triplice l stello. Nelcampo spicca una figura umanain altorilievo, rappresentata di scorcio, pruv-vista di casco e d’un corto gonnellino, forsecon bandoliera di trasverso al corpo. 11 per-sonaggio solleva entrambe le mani come seintendesse aggrapparsi alla parete perrag-giungere l’orlo del terrazzo, o, raggiun tub,ne stia cadendo perché colpito dai difensori.La figura umana si potrebbe interpretarecome quella del defunto, immaginato noncon la riproduzione di fattezze peculiari,individuali e concrete, ma reso nella sua per-sonalità attraverso un atto della sua vita diguerriero: la scalata della fortezza. 11 cipposi stringe ai precedenti, ma con un salto tota-le nel figurativo e nell’antropomorfismo,anche se resta il distacco dalla tradi7ioneidealistica.

Nel tempo di questi rilievi plastici, dicirca l’Vili secolo aC., nasce la scultura atutto tondo e si sviluppa sino al livello dellagrande statuaria con soggetti animali eumani. Tra le immagini zoomorfe ci è capi-tato già di citare la testa taurina da Serri e didarne diverse interpretazioni. Qui notiamo ilvalore estetico, cubistico, col leggero toccogeometrico dell’occhio inciso a tondino conpunto centrale. Permane l’immagine astratta,senza fisicità. Ma la forza viva della naturadivina taurina prorompe lo stesso, conimmediatezza, dal blocco compatto di pietrae traspare, anche nel modulo stilistico, l’effi-cace funzionalità dello specifico simboloideologico.

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E’ da valutare nella storia della formaartistica, e non solo in quello della cultura dicui pure costituisce un eccezionale e signi-ficativo documento, l’insieme d’una decina epiù di statue in arenaria gessosa rinvenutenello heroon-santuario di M. Prama, delquale si è detto sopra. Sono simulacri ma-schili, tutti di militari, in grandezza normalee anche superi)re ai naturale.

Dai numerosissi:1i rottami di teste, busti,arti, con resti di abbigliamento e armature, siriconoscono varie specialità di guerrier:

arcieri, fanti con elmo cornuto e spada c,scudo, personaggi che si ricoprono la testacon uno scudo oblungo e hanno una manoavvolta in un guanto armato (per com-battimento ravvicinato, o per ripararsi nelloscalare le fortezze?). Più che di divinità sem-brerebbe trattarsi di antenati-eroi rifebili aun’epopea di cui ci sfugge il preciso signifi-cato e collocamento storico. Le statue pote-vano rappresentare una gens, di ordine mili-tare, distintasi per fatti memorabili, i cuimembri erano sepolti in tombe singole

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Fig. 240. Cagliari, Museo Archeologico Nazionale: lampada bilicne a forma di navicella con protome bovina, da Mandas(CA). Lungh. cm 16, alt. cm 9, largh. cm 8

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Fig. 241. Sassari, Museo Archeologico Nazionale: navicella con animali, da Meana (NU) Lungh. res. cm 13, alt. cm 5,5

Fig. 242. Sassari, Museo Archeologico Nazionale: navicella detta del Re Sole, da località sconosciuta della Sardegna. Alt.cm 18, lungh. cm 38

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appunto per marcare la loro distinzione prin-cipesca e il loro valore, idealizzati al puntoda avere essi determinato un vero e proprioculto in un santuario da considerarsi pansar-do. L’insieme statuario costituirebbe ungrande donano votivo agli antenati-eroi,d’un sacrario monumentale gentilizio, con-cepito in un periodo di organizzazione poli-tico-sociale aristocratica e preurbana (se nonanche urbana), evoluta e competitiva. E’ l’at-mosfera di razionalizzazione e modernizza-zione della civiltà nuragica che trasparedalla storiografia classica sulla Sardegna eche vede al centro le figure miticoeroiche diIolaos, Sardus, Noiax e altre. Dire però cheil complesso repertorio di statue di MontiPrama abbia una connessione specifica,diretta, con personaggi o gesta di questi ciclieroici protosardi, è discorso suggestivo manon lecito criticamente.

Piuttosto è da sottolineare l’interesse ar-tistico delle immagini a tutto tondo e da ri-levare le peculiarità formali e stilistiche chesi stringono a quelle delle figurine in bronzoche vedremo più avanti. Statue in pietra e sta-tuine in bronzo sono prodotti comuni a uneccellente artigianato, ed espressione d’unclima culturale omogeneo e maturo. Le sta-tue piovano l’innesto d’una nuova dinamicadella tradizione artigiana, che discende daprogredite forme di strutture produttive entrole quali il settore artistico prende un ruoloparticolare e non secondario, anche perchéstrettamente organico al fatto religioso.

L’insieme scultoreo di Monti Piama ri-vela una tendenza espressiva unitaria checrea un elevato standard dove non si riesce acogliere una precisa influenza di elementiesterni se non in un generico acclimatanien-to all’ideale « geometrico », presente, conesperienze regionali, in tutto il Mediterra-neo. Ci sono una durezza, una visione mnc-monica, un genere neutro impersonale eastratto che riportano all’arcaismo greco. Sicolgono anche certe lontane consonanze disegno « strutturale », nelle teste, con gli os-suari antropomorfi di Chiusi e la statuaria

medioadriatica. Suggestioni comparativeprive di ogni rapporto diretto. Esse si spiega-no cogliendo i distinti linguaggi e le poetichediverse del mondo figurativo anteriore e con-temporaneo alle grandi colonizzazioni stori-che. Queste, nonostante l’acquisita comples-sità storica, conservano propri impulsi di pri-mitiva spontaneità immaginativa in uno spi-rito e in una visione sostanzialmente anorga-nica (o preorganica) e popolaresca dell’arte.

Lo stile delle statue del Sinis si fonda suun sistema di strutture ferme e lineari, dimasse e volumi estesi in grandi superficichiare limitate da crude geometric di par-ticolari, scolpite a profondo intaglio: arcatasopraccigliarc, naso, orecchi. Sulla « plana-rità » dei corpi gioca una preziosa, anche seepidermica, ornamentazione calligrafica ot-tenuta col più rigoroso e razionale geometri-smo. Motivi di costolature, zig-zag, spina dipesce si rilevano, si incidono e si graffiano suvesti (bracciali, paramano) e armi (scudi). Ilfrontalismo, misura stilistica e ideologicadell’insieme statuario, viene trasceso in al-cuni esemplari marcati da una certa plasticarotondità della massa. Non che si realizzi laprospettiva tridimensionale, impensabile nel-la concezione artistica che afferra soltantol’immagine di primo piano. Si crea però unasorta di spazio metafisico e atemporale, cheera proprio al luogo di culto e al carattere

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Fig. 243. Sassari, Museo Archeologico Nazionale: partico-lare della navicella con animali da Meana (NU)

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eroico, sovrastrutturale e superiore, dellesculture.

Anche il colore rosso che rimane nel bu-sto di un arciere con difendi stomaco, ha va-lore descrittivo, di policromia, inteso ad am-pliare ed enfatizzare la visione di primo pia-no, ma nulla ha a che vedere nel senso ditono usato per imitare la natura dell’operad’arte. Infatti, la scultura nuragica, pur im-mersa com’è nell’ideologia religiosa natura-listica, non consente che alla natura sianosottratte le segrete forze magiche le quali sa-rebbero per così dire violate cd annullate deli‘esteriorità della rappresentazione formale.

Lo stile geometrico dal momento che nonconosce ancora l’incontro e la fusione con ilmodo artistico orientalizzante (verificabilenell’arte protosarcla nella prima metà delVII), riporta la produzione statuaria di Mon-ti Prarna, che è unitaria culturalmente, al-l’Vili secolo a.C. Questa cronologia rendesincrona l’origine della grande plastica nu-ragica a quella della scultura greca. Ciò puòapparire Strano nell’ottica clic ci si è fatta,con abito classicista, dei valori e dei proces-si della storia artistica occidentale volta a pri-vilegiare e anteporre, anche nel tempo, leelevate esperienze elleniche. In realtà le no-stre statue debbono essere considerate unsignificativo episodio d’un mondo singolaree diverso, estraneo al greco e al classico.

Esse si ascrivono invece a un mondo an-ticlassico (di fatto e non P intenzione po-lemica), periferico (e lino a un certo punto)nel senso geografico, non nella sostanza diquanto riesce ad esprimere esteticamente.Siamo dinanzi al frutto superiore d’una con-dizione etnico-etico-storica nazionale pro-tosai-da, non subalterna né dipendente, para-gonabile a quella di altre aree mediterraneecircostanti e comunicanti, pienamente civili.Da questi prodotti artistici la dialettica d’unaSardegna nuragica a «storia minore», rispet-to a quella a «storia maggiore» di altri Paesi,risulta completamente rovesciata. Qui laSardegna giunge al culmine della sua anticaciviltà e raggiunge il meglio del suo assetto

sociale che stimola l’arte a manifestarla e aillustrarla con viva e convinta adesione.

Il quasi mezzo migliaio di figurine, fino-ra pervenute, indica la predilezione artigia-nale per la piccola plastica in bronzo. Lascultura in bronzo lion conosce appunto ilmodulo in grande. Non che non fosse ideal-mente sentito (di fatto è sotteso in molte sta-tuette).Ma, concretamente, l’organizzazione delleofficine era insufficiente a realizzare opererichiedenti una complessa attrezzatura ma-teriale e procedimenti tecnici elaborati, co-stose per la quantità di metalli necessari, nonrichieste dai committenti e dall’uso.

Si ebbe una diffusione generalizzata delprodotto, derivata dal largo consumo a co-mune fine dovuto a esigenze profonde di co-stume e spirituali. Il maggior numero vienedalle zone interne dell’isola, dove la civiltànuragica maturò più spiccate caratteristicheconservandole più a lungo clic altrove. Quierano anche i santuari più famosi e frequen-tati (S. Vittoria, Abini) nei quali affluivano ingran copia gli ex-voti figurati. Qui era purepresente il metallo e non potevano mancareconsistenti opifici artigianali sotto il control-lo dei sacerdoti in possesso delle alchimie edelle tecniche del bronzo.

« Veri bronzi » sono le statuette come di-mostrano le analisi. Il rame nelle proporzio-ni tra 80 e 90% e lo stagno in misura da 5 a10 sono le maggiori componenti.Ovviamente non mancano differenze quanti-tative negli elementi metallici di contenuto,fondamentali e integrativi o residui (arseni-co, piombo, zinco, ferro, nichel e cobalto).Non si possono trarre ancora precise conclu-sioni intorno alla natura c/o alle origini dellatecnologia protosarda dei metalli.

Di sicuro c’è l’uso del rame locale,estratto e ridotto dalla calcopirite di FuntanaRaminosa-Gadoni, clove accanto alla minie-ra furono osservati resti di fonderia. E’ que-sta una prova del ruolo avuto dal centroisolano nell’attività metallurgica. Si possonoaggiungere gli avanzi di scorie, crogioli di

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terracotta, scorte di altre officine fusorie (edi probabili botteghe artigianali), in luoghiprossimi alle zone interne, dell’alta Mai mil-la (Tana-Gésturi), di Parte Alenza (ForraxiNioi-Nuragus) e del Sarcidano (Nieddiù-Nu-rallao). Più a sud, al margine del Campida-no, uno stahilinicnto fusorio con botteghemetallurgiche si impiantò sopra le rovine delnuraghe Gemma Maria, a Villanovaforru. Visi notano forni di argilla per cuocere e tratta-re minerali, bacili in pietra e crogioli fittili,ccorie metalliche, depositi di carbone dilegna: il tutto del IX-VIII secolo aC. All’op-posto nord, stava un altro centro di produ-zione, in località Sa Sedda e sos carros di

Oliena: un grande cortile di struttura murarianuragica, più volte riadattato, circondato dauna dozzina di vani e passaggi all’esterno.Frustoli e scorie di bronzo e di ferro uniti arottami di oggetti in metallo suggeriscono lapresenza d’una fonderia, anche se non sonostati individuati i punti di lavorazione, comela fornace, i crogioli e gli strati di cenere.Fibule a sanguisuga e ad arco ribassato eceramiche ornate con motivi geometrici,riportano il momento costruttivo originarioal’VIII secolo aC. Quanto allo stagno, se lacassiterite allo stato nativo si trova inSardegna (Gonnosfanadiga, Fluminimaggio-re, Barega), la scorta di circa dieci chilo-

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Fig. 244. Sassari, Museo Archeologico Nazionale: navicella con protome cervina e uccelli e cani sul parapetto e sullecolonnine, da Bultei (SS). Lungh. cm 21, alt. cm 10

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grammi conservatasi a Forraxi Nioi, di gran-de purezza, è diversa costitutivamente dalminerale locale e da quello del giacimento diCampiglia marittima in Etruria, ipotizzatocome uno dei centri di esportazione dellostagno nell’isola. Resta allora da considerarel’antica “via dello stagno” lungo la quale,come lungo la “via dell’ambra”, si in-canalavano già, per l’approvvigionamento,le correnti commerciali e culturali direttedall’Egeo verso le regioni europee, attraver-so il Mdi francese. La Sardegna, per lacentralità geografica, poté rientrare in questomovimento, beneficiandone economicamen-

te e soprattutto nell’acquisizione di tecnolo-gia, di moduli stilistici e di contenuti “orien-tali” come vedremo.

Di patina non uniforme (nerastra o verdi-na per variabilità di lega e struttura mole-colare), i bronzetti sono invece accomunatidalla tecnica fusoria. Sono fatti tutti di gettoe individualmente col metodo della “ceraperduta”. Non produzione in serie, ma cia-scun pezzo è una creazione a sé, una liberaespressione, sempre diversa e originale, delcaicheuta. Se talvolta le statuine si assomi-gliano o rivelano una tendenza alla maniera,ne è causa la memoria stilistica e non la

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Fig. 245. Sassari, Museo Archeologico Nazionale: navicella con protome bovina, da Orroli (NU), loc. Pipizu. Lungh. cm21, largh. cm 7,8 alt. cm 10

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mimesi materiale. Al modello, rifinito nelleparti anatomiche c nei tratti della fisionomia,cesellato nell’ornamentazione di armature eindunienti, si saldavano a caldo elementi fusia parte. Piccoli martelli, seghe, lime, scalpel-li, bulini, pinze, rinvenuti nei depositi di fon-ditore, specificano la varietà degli attrezzi equalificano le diverse fasi di lavoro necessa-rio a completare il prodotto artistico.

La maggior parte delle figurine provieneda luoghi di culto: pozzi e caverne sacre,templi a cella rettangolare che abbiamo de-scritto. Formavano le stipi votive, le quali,passato il tempo funzionale alla “religione”,si dissacravano e si alienavano per la rifon-dita diventando o provviste di bottega o Iltesoretti” nei ripostigli. Anche le statuine rin-venute nei nuraghi (ad esempio, Pitzinnu-Posada, Albucciu-Arzachena, Nastasi-Terte-nia ecc.) hanno valenza sacra, avendo costi-tuito elementi di favisse subentrate all’anticouso di questi monumenti, come abitazione edifesa. Pochi esemplari rinvenuti in sale prin-cipesche (Barùmini, Serri), indicavano ilrango e il potere dei proprietari. In alcunetombe di giganti (Sulluli-Urzulei, Oschina-Paulilàtino, altre di nome imprecisato) figu-rine e barchette, unite a bronzi (l’uso e aframmenti informi di metallo, sono da inter-pretare come pezzi distinti di ripostigli concarattere d’offerta funeraria, in sepolture col-lettive. Due sofisticate statuette d’arciere,armato e vestito all’orientale, di Sa Costa-Sardara, corredavano un sepolcro singolo, dasupporsi principesco.

Da quanto detto appare che la produzio-ne era avviata a luoghi diversi e con diffe-rente destinazione e che, una volta cessatol’uso originario, parte di essa tornava, non dirado, alle officine da cui era uscita, dandoluogo a nuove creazioni. Ciò è indizio di unacerta valutazione economica del costo deiprodotti. Infatti, una cosa era rifondere rotta-mi metallici già composti in lega e di prontoimpiego, altra cosa doversi procurare ilmateriale in miniera o farlo arrivare dall’e-sterno, legame gli elementi costitutivi del

bronzo, moltiplicando i passaggi della prati-ca metallurgica. Si capisce pure l’altissimoprezzo che si annetteva ai metalli, e al bron-zo in particolare, le cui scorte e riserve dove-vano appartenere al “tesoro” principesco odei templi. Esse venivano poi dosate agliartigiani per la manifattura che era finalizza-ta nel senso e nei termini stabiliti dai centridi potere, secondo una regola privilegiante,organiche e coerenti espressioni del sovra-sensibile, quale il culto delle divinità, deimorti e della personalità dei capi.

Nei soggetti le piccole statue filtrano lospettro sociale dove ogni realtà di vita tro-vava il suo posto preciso e ordinato in base arigorose e inviolabili norme morali. Ruoli,funzioni, professioni di ceti e classi differen-ziate e forse anche separate in caste, risalta-no alla prima lettura, tanto è diretto il discor-so estetico. Le singole rappresentazionihanno riferimento e valore in un tuttoambientale, fatto di umanità varia, di anima-li e di cose. Gli atti e i gesti si mescolano aisentimenti, le pratiche vivono insieme alleopzioni. Attributi, indumenti, armature eogni altro elemento esterno qualificano especificano valenze personali, ed esprimonoun mondo variegato, sofferto e vivo pur at-traverso uno stile che ama cifrare e astrarre ireali contenuti.

In un’arte per certo verso « cortigiana »,la rappresentazione del sovrano era d’obbli-go. Farsi ritrarre per un principe nuragico erainsieme un mezzo di render grazie all’esseresupremo da cui traeva il potere sui sudditi eun modo di manifestarlo prestigiosamente esocialmente controllarlo. Figurine da Uta,Serri e Abini sono appunto immagini di prin-cipi. Sono esibite frontalmente come per sot-tolinearne l’epifania. La costruzione entrolinee rigide e su piani geometrici e simmetri-ci indica la ragione del loro essere, soggettodi regola e di disciplina. I volti impassibili eimperiosi nella forma « cubistica » esprimo-no il distacco e d’inattingibilità del potereoligarchico o assoluto. A precisare il ruolo diclasse intervengono veste e attributi dei per-

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sonaggi: la calottina sulla testa, il manto chescende sino ai polpacci con ampio giro, loscettro (un bastone da pastore) stretto e pre-sentato nella sinistra, mentre la mano destraè atteggiata al saluto preghiera. Tutto esplici-ta la regalità della figura.

Seguono gli esponenti della classe mili-tare, organica alla monarchia nuragica, unavarietà di soldati con armature e insegne dif-ferenziate usuali e di gala: opliti, arcieri,frombolieri.

Gli opliti, nerbo degli eserciti, sono effig-giati in piedi, a sé stanti o in gruppo. Sul capo

presentano elmi di varia foggia e grandezza:a bustina prominente e fornita di cresta allasommità tra brevi corna, oppure sormontatada apparecchiatura di corna lunghissime conla punta liscia o finita da pomelli; a calottacilindrica ornata di cimiero ricurvo ovvero acelata conica avente la falda decorata con unacorona di tubercoli o anche a semplice copri-capo con un bozzo sull’appuntimento e unfregio geometrico alla base. Sono elmi daparata, nei quali corna e altre guarnizionicostituiscono mostra e offrono nello stessotempo oscure valenze simboliche. In alcune

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Fig. 246. Capanne nuragiche nella dolina di Tiscali, Dorgali (NU)

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figurine il collo è protetto da goliera e limita-to da treccioni, il corpo difeso da spallacci,corazza e schinieri. Armi sono la spada, o ladaga o lo stocco tenuti verticali o appoggiatialla spalla sinistra perché la destra è impe-gnata nel gesto del saluto-preghiera; in più loscudo, rotondo, proteso davanti o pendentesul dorso, liscio o rinforzato da placche eborchie metalliche o con strati di cuoioimpresso a motivi geometrici.

Nel repertorio iconografico spiccano an-che gli arcieri, con una presenza corrispon-dente al loro peso nella gerarchia e nellaforza militare. Figurati in piedi, di fronte o difianco, in riposo o in atto di scoccare la frec-cia da grandi e piccoli archi, mostrano unapiastra spessa di cuoio che difende il petto olo stomaco e, alle spalle, la faretra e altrioggetti sussidiari. Taluni esemplari hanno ilcapo protetto da elmo crestato con brevicorna o a berretta conica guernita di larga «panache », per il resto fanno vedere gorgie-ra, corta corazza sopra la tunica, schinieri. Sidistinguono totalmente nella massa delle sta-tuine, i due citati arcieri da Sárdara (fig.230). Una calottina copre la testa che è ripa-rata, sul lato sinistro esposto e vulnerabile,da una lastra di metallo borchiata per far slit-tare i colpi. Al petto è calzato il giustacuorefinemente inciso a denti di lupo, alla vita giraun breve gonnellino rivestito davanti da ungrembiule stretto alla vita da una cintura aborchie e ornato per il rimanente da bandeverticali rilevate in lustrini di particolare effi-cacia decorativa. E’ un tipo di gonnellino «orientale », che trova riscontro nel « caftan »degli arcieri assiri, nel grembiule dei sagitta-ri ciprioti, nella veste dei guerrieri Srdn(Sherden) rappresentati nei monumentiegizi. La pesantezza del complesso bagagliodi armi portato dagli arcieri (da supporre dacerimonia) è alleggerito dal fisico esile eschematico, e ciò sta bene col tipo del lorocombattimento richiedente speditezza e agi-lità nei movimenti.

Abbiamo detto delle statuine che si pro-teggono la testa con lo scudo oblungo, aven-

do la mano destra avvolta in un guanto ar-mato. Si tratta forse d’un corpo speciale,addetto alla scalata delle mura. Dell’esisten-za di truppe leggere dà prova la figurinad’un fromboliere, da Uta. Capo scoperto,tunica e giaccone di cuoio al corpo, il solda-to stende con ambe le mani la fonda di funeattorcigliata. I fromboleri operavano dal-l’alto dei nuraghi come suggeriscono iproiettili trovati in essi, ma pure in campoaperto facendo luogo, dopo una prima in-tensa scarica di pietre, al nerbo della fan-teria.

Tra i personaggi non di rango, il reper-torio dei bronzetti offre una varietà istruttivadi devoti che pregano e presentano doni al oai numi. Più comune è l’offerta della focac-cia tenuta sul palmo della mano sinistra pro-tesa. Cambia la veste delle statuine, come lostile che privilegia ora la linea, ora l’ornato eora un certo movimento plastico. La testascoperta o protetta da copricapi a calotta, aturbante, a lembo o da un fazzoletto annoda-to sulla fronte, il corpo rivestito di tunica cuisi sovrappongono giacconi o di succintogonnellino, le gambe assai di rado protetteda stivali, tutte le statuette compiono il ritua-le del saluto con la destra, mentre la sinistraattende a reggere l’oggetto votivo d’occasio-ne. E’ notevole che alcuni elementi dell’ac-conciatura e del costume si trovino a perdu-rare nell’etnografia moderna della Sardegna,sino a poco tempo fa e ancora oggi. Al ber-retto a lembo corrisponde la «berritta », unindumento per vero di largo uso mediterra-neo. Al giaccone si rifà il « collettu », uncapo di vestiario maschile, fatto di cuoio concuciture laterali senza maniche, che costu-maya nell’SOO e fino all’inizio di questo se-colo. Il fazzoletto annodato lo portano tut-tora i contadini nella calura estiva e le trecce,ostentate da certi bronzetti, erano di gala trai fieri e prestigiosi uomini sardi del secoloscorso.

A caratterizzare questa antica gente deicampi, pastori e contadini, così reverenteverso i propri dei, stanno, oltre le vesti e l’ab-

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bigliamento, certi attributi e il genere diofferte specificate nelle figurine. Questaimpugna il bastone, quella trattiene una pic-cola borsa o tascapane, somigliante alla«sacca» dei pastori sardi di oggi. E’ di uncontadino la statuina di Serri che stringenella mano la fune che sospende un’ollettaglobulare a colletto biansata, contenenteacqua o altro liquido sacro o meno, d’unafoggia simile a quella dei tanti contesti va-scolari della Fase IV.

Tipicamente pastorale è il dono di arietiportati a spalla dai padroni, in immagini daDolianova, Aidomaggiore e dall’Ogliastra, equello di pelli essicate e ripiegate di agnellorecate nella mano d’una statuetta di Serri. Ilbronzetto di Dolianova fa vedere sopra latunica, gettato sulla spalla sinistra in piùripiegature, il manto di lana caprina che è «susaccu» del moderno pastore isolano, conser-vatosi nell’uso per millenni a causa della suaindiscussa funzionalità. D’altro canto, unagricoltore offrì il piatto con dentro chicchidi grano (o d’orzo), unico frammento rima-sto d’una figurina da Tuvàmini diAidomaggiore. A personaggi del mondorurale indistintamente, sono da riferirsi glialtri doni tra i quali, come ho detto, prevalgo-no le focacce rotonde, a sformato piano-con-vesso col dorso rigato avente al centro unincavo o un rilievo, o a disco. Dentro spianee tegami poi, presentati nella mano come lefocacce, si riconoscono formagelle a cupolasomiglianti alle « párdulas », dolce di farina,cacio fresco e miele molto consumato ancoroggi in Sardegna. Altre offerte solide, forsefrutti, emergono all’interno di ciotole emi-sferiche e carenate, tenute anch’esse inmano. Una statuetta dall’Ogliastra reca sullaspalla un tagliere simile a quelli prodotti tut-tora a Désulo (Nuoro), con delle ciambelle otaralli di pasta. Sono elementi che invitano astudiare il capitolo della dolciaria protosarda,insieme ad altre testimonianze gastronomi-che d’una cucina semplice di lunghissimatradizione non ancora del tutto perduta.

La figurina col vassoio in forma di ta-

gliere dà prova dell’esistenza d’un’utensilenadi legno per cuci’na e da tavola (ciotole,mestoli, piatti, cucchiai, saliere ecc.) e per ilforno (pale e attizzatoi). Accanto è da im-maginare l’artigianato del mobilio con cas-sapanche, madie, sgabelli di cui si hanno rap-presentazioni nei bronzi nuragici. All’arte delcuoio, usato per vesti, armi, contenitori e altrioggetti di pregio e comuni, riporta conimmediatezza un bronzetto da Aidomag-giore. Un artigiano con grembiule di fatica,seduto su d’uno sgabello rotondo, è tuttointento a trinciare un pezzo di cuoio tenutosul deschetto appoggiato sopra le ginocchia.E’ un pellettiere o forse anche un calzolaioche avvia il lavoro tagliando per prima lapezza della calzatura. Sebbene raramente, lestatuette nuragiche portano sandali, e di scar-pe alte si conoscono forme in pietra rinvenu-te nel villaggio di Barùmini di Fase IV.Nell’espressione apparentemente «cornune »del calzolaio si nasconde il solito significatodedicatorio e religioso. Non è un «generico», ma una persona che mette il suo mestieresotto la protezione della divinità, non omet-tendo di rendere il concreto della vita d’ognigiorno pur attraverso l’illustrazione ideale.

Se l’insieme dei bronzetti, finora presen-tati, dimostra l’impegno maschile nella real-tà religiosa del tempo dei nuraghi, non mi-nore fu la partecipazione della donna, corri-spondente al suo peso nella struttura e nellasocietà caratterizzate da apporti consistentied efficaci di cultura matriarcale al fondocivile e morale patriarcale. Nello stessomondo femminile si apprezzano posizionidifferenti, elitarie e subalterne, significateanche da proprie connotazioni stilistichedelle figure, singole o in gruppo. Vi sonooranti e offerenti di classe alta, fra le quali lepreziose statuine di Madri coi figlio in grem-bo, e vi sono tralasciate popolane.

Parecchie statuine, dai tratti morfologici edi abbigliamento in comune, sono d’uno stileaulico conforme al ruolo elevato del soggettorappresentato. Tutte sono drappeggiate in unmanto maestoso spesso trapunto di disegni

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geometrici, fluente dalle spalle alle caviglie oavvolto a più giri intorno al corpo. Indossanouna lunga veste unita che termina a balzesopra i piedi, al modo mediterraneo. A volte,un fazzoletto o un lembo arcuato plissato distoffa, fungente insieme da pettorale e gor-giera, coprono la veste. Il capo è semprenascosto, per devozione, ora da una calottina,ora da un velo pieghettato, ora da un cappel-lo conico a tesa più o meno larga. Si vuoleche le figure femminili, con copricapo apunta, siano di sacerdotesse, come di sacer-doti sono supposte le maschili a pileo (danuraghe Albucciu, Abini, Vulci). Ci si rifà aberretti ad apex degli aruspici etruschi e apetasi di personaggi distinti di arte greca geo-metrica e del mondo siriaco. In ogni modo lafoggia apicata sembra assumere valore ceri-moniale.

Una piccola e brutta donnetta del popoloè invece rappresentata in una statuina diVillasòr, dal tocco estroso e imprevedibibile.Veste semplice scampanata, tutta d’unpezzo. Sulla testa scoperta grava una corbuladi vimini tessuta a cordoni, stretta con lamano destra. Dentro il recipiente si in-travedono tre oggetti rotondi e incavati da unlato: focacce di pasta con miele o tortellemiste di ricotta o formaggio fresco ed erbearomatiche? Dolciumi di civiltà contadina epastorale, preparate nell’intimità della casadalle donne e cose sacre in un certo sensoperché fatte soltanto nelle occasioni solennidelle feste. E’ interessante la cesta che deno-ta l’esistenza d’un artigianato dell’intreccioe della stuoia, in canne, fieno, erbe palustri,asfod’lo ecc. Ci sono rimasti modelli& inbronzo, rappresentanti contenitori di formaconica per interrarne la base (i c.d. órriosusati non molto tempo fa nel Campidanod’Oristano per conservarvi derrate), cestini apisside biansata con coperchio, corbe su altopiede.

Circa le Madri, abbiamo detto di quella diUrzulei. Al modellato scarno corrispondeuna profonda drammaticità. C’è un’intensaforza figurativa nell’insieme, specie nei volti

a volumi scolpiti dai piani e linee squadrate,che riproduce un’arcana e angosciosa storiadi morte. Infatti il figlio in grembo allamadre, tutto avvolto nel suo manto che sem-bra un sudano, è un giovane guerriero morto,abbandonato nelle membra, rigido il volto, enudo il corpo con significato devozionale.Nelle due statuine di Madre da Serri, chiusenella corta mantellina che si solleva a velosul capo, i figli sono piccole creature deboli emalate, le gambette corte rilassate, le bracci-ne cadenti. Le madri impetrano la guarigioneche scenderà più diretta sui corpicini nudi. Ilinguaggi sono diversi. Un’enfasi tragica ederoica nel gruppo di Urzulei, un’implorazio-ne sommessa nei gruppi di Serri.

Alcuni soggetti già accennati portano dinetto sul piano metafisico. Gli esseri di Abi-ni (figg. 205-206), iperantropici, fanno partedei misteri del mondo soprannaturale di quelfamoso santuario. Siano divinità, o demoniod eroi, la veemenza guerriera che essi espri-mono nei quattro occhi e nelle quattro brac-cia, e nella coppia di scudi e di spade, cor-risponde alla valenza militare caratteristicadella civiltà nuragica. Il modellato « planare», stirato, del volto, lo stilismo a globettodegli occhi, il mento aguzzo ricordano la fi-sionomia di statuine in bronzo cipriote, si-riache e segnatamente del Luristan (Persia).L’insieme iconografico si può inquadrare nelcomplesso di quelle concezioni mitico-religiose orientali di figurine a membra « ri-petute » con intento magico-operativo, cheesprimono un parallelo, ad esempio, in sta-tue di Cipro rappresentanti guerrieri con piùgambe (secondo la geometria mesopota-mica) e provvisti di più scudi. Nel mitologismo mediterraneo si inscrive anche l’im-magine fantastica del « mostro » di Nule.L’essere consta di testa e braccia umane e dicorpo di toro. Copre la testa un berretto coni-co a pennacchio, somigliante a tiare assire,nordsiriane e dell’Urartu (Armenia sovieti-ca). Il dorso è addobbato da una ricca gual-drappa a decoro lineare geometrico che nesegna l’età. Il bronzetto evoca da lontano un

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arcaico tipo di centauro ciprioto. Più ingenerale, sembra una singolare espressioneprotosarda del patrimonio favoloso egeo-anatolico, a sfondo magico-naturalistico,nutrito di stravaganti esseri compositi, diirreali coniugazioni an tropoteriomorfiche,quali minotauri, centauri, sirene, arpie, ecc.Il clima che li diffonde è quello « orientaliz-zante », fervido di immaginazione e di visio-ni demoniache. Un démone è forse il «mostro » di Nule, chissà emanazione a livel-lo subordinato della grande divinità paternadel toro, organica, come si è detto, allaciviltà nuragica. Potrebbe essere anche unguardiano della stessa divinità, secondO l’i-deologia orientale (specie antero-asiatica)che lega strettamente gli animali agli dei, nelrapporto di forza dominante e mediatori digoverno sugli uomini.

Si è accennato al simbolismo che emanadalla composizione « triplice> (magia deldispari) dell’insegna o stendardo cerimonialedi Pádria. La lastra, che incentra la raf-figurazione, schematizza un edifizio, signi-ficato da due portellini che si aprono e sichiudono alternatamente dalle due facce. Visi può immaginare un misterioso ambienteche fa luogo a un percorso simbolico per ilquale si entra da un punto e si esce al suorovescio: un’andata senza ritorno attraversoun mondo irreale e metafisico. Questo edifi-zio incantato, divino, è custodito da guardia-ni-cervi e lo spirito del male è rimosso magi-camente dall’insieme delle armi: spade,accettine, pugnale. Il tutto è connesso con ilculto d’un dio cacciatore? L’interrogativo celo poniamo anche per i lunghi stocchi diAbini che infilzano protomi di cervo contrap-poste in schema araldico, sormontate da unarciere, armato di tutto punto. L’arcierepotrebbe essere il transfert d’un nume odémone della caccia, simulato dall’associa-zione col cervo che gli è sottoposto, mentre ildio arciere-cacciatore, sovrastandolo, se neimpossessa e lo domina con la figura erettafrontalmente come in un’epifania. La stiliz-zazione araldicogeometrica delle protomi

cervine trova riscontro nell’Urartu-Caucaso(Kazbek) e lo schema di immagini antropo-morfe sul dorso di animali ha remoti archeti-pi transcaucasici nell’area chaldicadell’Armenia russa. Si moltiplica la presenzadi temi orientali nell’arte plastica nuragica.

Nei bronzetti viene riprodotto anche ilmondo animale con acuta sensibilità faci-litata dalla consuetudine quotidiana della vitarurale, nei campi coltivati, nei pascoli e nelbosco. Figure di buoi, tori, vacche, modella-te ora naturalisticamente ora in modo sche-matico, ma sempre di spedita lettura e diimmediata comprensione, evocano la terra e isuoi mezzi di produzione. Il paesaggio ani-male dei pastori (con le sue voci, pause,movimenti, conflitti, paure, un certo linguag-gio comunicativo tra uomo e bestie) è sugge-rito da statuine di capra, pecora, montone,maiale, scrofa, cane.

Esiste pure un campionario nutrito difauna selvatica, fonte di nutrimento. Nu-merose le statuine di muflone (Ovis ammonmusimon), di cinghiale (Sus scrofa meridio-nails), di cervo, daino, volpe. Raffigurati, innavicelle, animali oggi estinti, ma viventi trala fine del IX e gli inizi dell’Vili secolo a.C.:la scimmia (Macacus majori Azzaroli) e l’an-tilope dei quali sono stati trovati avanzi osseiin strati geologici di Olbia e diFluminimaggiore. Infine si conoscono fi-gurine bronzee di uccelli rapaci e di volatiliselvatici (colombi), marini (gabbiani) e dacortile (gallo). Erano, come sono ancora, gliabitatori avicoli della macchia mediterraneae delle vaste lagune sarde.

Una delle peculiarità più rilevanti dellametalloplastica protosarda è costituita dallesettanta e più navicelle rinvenute nellaSardegna e nella Penisola italiana (Toscana eLazio). E’ offerta una varietà di forme fon-data sul tipo « lungo » e su quello « corto »tondeggiante (somigliante alla « golahfenicia), con parti dell ‘imbarcazione (albero,cabina) aventi riscontro nella « hippos » deiFenici e in navi egizie. Le protomi or-namentali e simboliche che prolungano la

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prua, come altri motivi figurali, derivano dal-l’ambiente locale a contenuto più « con-tinentale » che « marino ». Le variazioni sti-listiche di sustrato geometrico, che guidanofigure e composizione architettonica, pas-sano da esempi di semplice ma elegante lineaa costruzioni di ornamentalismo «barocco »le quali segnano l’apice dell’arte e della tec-nica degli scultori. Fatti salvi l’uso pratico dilampade e l’impiego funerario e votivo che faluogo a un complesso e spesso enigmaticosimbolismo, l’indicazione proveniente daquesta categoria di oggetti preziosi sull’esi-stenza d’una vera e propria marineria nuragi-ca di cabotaggio e d’alto mare, non mi sem-bra discutbile. Il surplus economico degli ári-sloi protosarcii poté provenire in parte dallaloro mobilità anche sul mare, come quelladei principi etruschi dell’Vili-VII secolo a.C.La tradizione di Eforo sulla pirateria etruscatrova speculare riscontro in quella diStrabone sulla pirateria dei saidi montanari(pastori del mare) lungo le coste di Pisa. Lanotizia storica è avvalorata dalle cose nuragi-che (navicelle, figurine, oggetti ornamentalidi bronzo e ceramiche) finite, per mercatura,nell’Etruria marittima (Elba, Vetulonia,Populonia, Vulci, Cerveteri, Tarquinia) edell’interno, nell’alta valla del Tevere(TrestinaUmbria).

Le barchette mostrano tipi diversi di sca-fi: lineari, con parapetti a traforo limitati dacolonnine capitellate e guerniti da figureumane e di animali, con albero centrale atorretta semplice o a schema quadrato sor-montato da una piattaforma girevole. E’ricca la tematica delle protomi, lavorate aparte e saldate alla prua, con rinforzo diplacche e cordoni in rilievo. L’inventiva sisbizzarrisce tra forme naturalistiche e crea-zioni schematiche. Alcune navicelle si fannonotare per la stilizzazione geometrica giuntaa tal punto di alienazione da determinareimmagini surreali, fiabesche, tutte giocatesul valore di linea e sul movimento a scapi-to del reale. La naturalità si perde in un raf-finato artifizio contrappuntato da incroci di

piani, volumi flessuosi, linee pure.Insomma, si realizzano plastiche estrose erapide che sanno di creta e che farebberogola a un astrattista moderno.

I bronzetti si dividono stilisticamente indue filoni artistici: uno «geometrico», l’altro« libero ». Sono caratteristici del primo l’abi-lità tecnica, il rigore dei contenuti quasi pre-cettivi e didascalici, l’ordine talora raffinatodelle forme espresse in astratta geometria. Visi rivela una sorta di arte di regime, cheimpone agli artigiani di corte canoni conse-guenti di rappresentazione formale e iirispetto assoluto d’un linguaggio sorvegliatoe ortodosso ideologicamente, talc da risulta-re in tutto ligio e organico al potere cd osser-vante della natura e delle norme costituzio-nali del sistema eroico-oligarchico chegovernava la società civile del tempo. Eranoprodotti artistici di classe, di alto livello cul-turale e indirizzati al controllo e al consensopolitico-sociale, all’eccellenza dei quali nonpoco contribuiva il vigore delle strutture eco-nomiche, monopolio dei principi nuragici: iprimi a essere effigiati in questo stile aulicoe solenne.

Nel filone linguistico « libero », caratte-rizzato da una « barbarie » di fondo e daanarchia di forme figurative, è evidente ildislivello culturale dovuto alla inferiorità diclasse degli artigiani autonomi che modella-vano ingenuamente le sculture. Contraddi-stinguono i prodotti immaturità e banalitàtecnica, volgarità di contenuti e crudezza difattezze. In più c’è un irrazionalismo magi-Co che fa luogo, fuori di ogni norma, al-l’espressione di impulsi erotico-sessuali, al-la rappresentazione inconscia di paure che sirimuovono, deformando la fisionomiaumana e caricandola di passaggi fisicianimaleschi, orridi e brutali, di valoreapotropaico. Sta alla base una cultura popo-laresca, deposito di spiritualità mediterranea,quella che ancora oggi si esprime nella cul-tura del « picaro » e del « lazzarone », ossiain forme di libertà, le più autentiche. Vi sicoglie pure l’indice d’una subalternità

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economica, la povertà endemica-sarda chenon è ancora cessata. In definitiva: una spe-cie di arte « proletaria » in confronto a quel-la di «potere» che segna il filone « geometri-co » delle statuine nuragiche.

La bronzistica figurata protosarda, deidue stili, dimostra genuine caratteristiched’una tradizione « nazionale ». Come il gran-de fenomeno architettonico dei nuraghi edegli altri monumenti megalitici, queste scul-ture, che sono modelli in piccolo della pos-sente statuaria in pietra, rappresentano ilrisultato ottimale d’un processo e d’un pro-gresso civile aventi energia e sostanza nel-l’autonomia della cultura nuragica, frutto,del resto, dell’autodeterminazione politica,del sentimento e della pratica di nazione.L’originalità dei bronzetti (e in genere del-l’arte protosarda) nasce dalla piena coscien-za e realizzazione storica dell’identità sardanei primi secoli del I millennio a.C. In essi siriflettono lo spirito d’un popolo, che si credeprotagonista, l’indipendenza e la sovranitàdel Paese ed una forte base costituzionale edeconomica entro un sistema moralmente uni-tario.

Ciò nonostante, questi singolari prodottiartistici non si chiudono all’esterno. Se nontutti, molti risentono, in particolari icono-grafici, in modi stilistici e in contenuti, di sti-moli e insegnamenti venuti da esperienzed’arte di altre aree, vicine e lontane, del Me-diterraneo. Già da tempo è stata riconosciutauna certa influenza fenicia, cosa abbastanzanaturale a tener conto della presenza di que-sto popolo in Sardegna, a fini di commercio,almeno dal IX secolo a.C. Si spiega cosìanche l’apparire n alcuni bronzi, specie delgruppo «libero », di motivi siriaci e più ingenerale del Vicino Oriente. Peraltro, l’artefenicia entra solo di riflesso. Manca allaSardegna nuragica una vera e propria vogaestetica orientalizzante nella quale si credeabbiano avuto gran parte i Fenici. La fortecarica «orientale », intima a molti bronzettisoprattutto del filone « geometrico «, dovràspiegarsi con un apporto autonomo dei vari

Paesi nei quali si individuano gli spunti:Urartu, Luristan, Cipro. Ho già detto che, piùche pensare a contributi culturali venuti dalmercato asiatico, si potrebbe suggerire l’ipo-tesi di presenze nelle corti nuragiche di mae-stranze forestiere: appunto cipriote, urartee eluristane. Tuttavia l’arte locale egemone, allafine si imponeva sulle creazioni degli arteficidelle grandi scuole metallurgiche persiane ecaucasiche del IX-VIII secolo a.C. e dell’iso-la del rame (Cipro).

Parlando degli scambi commerciali traProtosardi e Protoetruschi, ho accennato acerte affinità di stilemi nelle rispettive pro-duzioni artistiche in bronzo. Si aggiunge chenell’arte sarda si può vedere una fonte d’ispi-razione dei bronzisti di Vetulonia. Nel villa-noviano I, Vetulonia e Populonia devono avercostituito, ripeto, i principali relais nella dif-fusione dei bronzi sardi lungo la costadell’Etruria meridionale e sono gli unici cen-tri a rielaborare i loro tipi archeologici diascendenza nuragica. A livello più alto, non èun azzardo supporre occasionali incontripolitico-diplomatici, personali e di stato, traprincipi nuragici e sovrani etruschi, e ancheuna certa affinità o rispondenza, fra di loro,di atteggiamenti e comportamenti di classese, a sentire Strabone (V, 22), i «Lucumoni »si chiamavano «sardi ». Tutto ciò potevainfluire pure in fatto di corrispondeti inclina-zioni culturali che l’arte in qualche modorispecchiava dall’uno e dall’altro versante diciviltà.

Quanto alla cronologia, le associazioni dibronzi sardi ed esterni delle quali ho già fattomenzione, indicano che l’attività dei cal-cheuti nuragici si è svolta dalla fine del IXsecolo alla metà circa del VII. Per le navicel-le in particolare esiste una recenstipe conaltri doni (soprattutto bronzetti). E, forse, lagrande quantità di questi ultimi spiega lascarsezza dei primi.

Nella quasi generale sciattezza e rozzezzadi esecuzione dei prodotti, in materia poveraquale l’argilla, si può vedere l’interventod’un artigianato corrivo ad uso di gente sem-

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plice, popolare, che non si poteva permetterel’offerta d’un ex-voto in metallo o altro mate-riale prezioso. L’ex-voto in creta era alterna-tivo soltanto al pezzo votivo in cera, legno,pasta, stoffa e in altra materia effimera, di cuinulla ci è rimasto.

Alla natura dei committenti risponde lostile delle figurine in terracotta: « libero edimesso che dà un modellato di fattezze vol-garmente deformi e crude nell’accentua-zione realistica di certe parti del corpo uma-no. La nudità di tutte le statuine, di maschi odi femmine che siano, e gli atteggiamentinaturalistici depongono per immagini diinfermi i quali indicano, toccandolo, l’or-gano e il punto malato. Da ciò si capiscemeglio la funzione di ex-voto delle figurine,offerte appunto per avere la guarigione conle specificazioni di membra o di organi sa-nati o da sanare. Cosa che non si osserva,stranamente, nelle statuine di bronzo, rap-presentanti eccezionalmente dei malati informa visibile diretta (i gruppi di Madri conbimbo e il devoto con gruccia da Serri, l’of-ferente con la mano fasciata da Abini). Mala rappresentazione è dell’intero fisico e nondi singole sue parti anatomiche.Un insieme di statuette di Abini (figg. 233-234) produce immagini maschili e femminiliin piedi, a gambe unite o divaricate, di argil-la rosso scuro molto granulosa. Sulla testa sidisegna un’espansione a segmento di cerchioche forse vuole condensare, in una massacompatta, la capigliatura. Il viso dei pupaz-zetti è variato da punti incisi che segnano gliocchi e la bocca. Sul petto di una statuinafemminile, con la testa distinta dal corpo(altre invece riuniscono le parti nella stessasuperficie), si rilevano i tondini delle mam-melle; e il braccio destro si incurva a toccareil ventrete tendenza a contenerne la produ-zione in poco più di un secolo, dalla fine delIX a tutto l’Vili. A taluno sembra un assurdostorico sostenere una linea di continuità atti-va delle botteghe di barchette nei 240 anniche passano dall’esemplare più antico digrotta Pirosu (820 a.C.) a quello più recente

di Gravisca (tra 650 e 640 a.C.). Perciò sipensa di spiegare questo scarto cronologicocon il tramandarsi di generazione in genera-zione di oggetti così preziosi. Si può opporreche il valore qualitativo e il carattere nonpratiCo (per lo più votivo e soprattutto fune-rario in terra etrusca) avrebbero indotto gliartigiani a riprodurre a lungo il tipo di manu-fatto, mantenendo la forma « canonica» Co-me volevano il costume e il culto i quali ten-dono solitamente alla conservazione. D’altraparte, se il tipo della navicella si standardiz-za a causa della costante funzione, variano laforma e il gusto decorativi che, negli esem-plari più elaborati, accusano il modo e il sen-tire « orientalizzante ». Infine, se un riutiliz-zo a secoli di distanza dalla fattura si capiscein templi e sepolture, è difficile ad ammetter-si nei luoghi di vita. E’ il caso, ad esempio,della navicella del nuraghe Su Igante-Uri,simile alle barchette delle tombe vetuloniesidelle « Tre navicelle » e del « Circolo dellenavicelle », nonché di quella del tempio diGravisca. Essa stava in un contesto di suppel-lettile esterna al nuraghe (e cioè in un postorichiedente pronto e non lungo impiego dioggetti), dove erano anche, fra l’altro, delle «appliques » di argento e bronzo d’una tazzaritenuta importata da Caere e datata allaseconda metà del VII secolo a.C. Dunque lenavicelle ci danno estremi cronologici dallafine del IX a tutto o quasi il VII secolo a.C.,presso a poco gli stessi delle statuine.

Di fronte alla scultura in pietra e alla pla-stica in bronzo, la coroplastica nuragicaappare oggi ben poca cosa, quantitativa-mente e qualitativamente. Il suo carattere èprevalentemente votivo, perché i non nu-merosi esemplari vengono per lo più da luo-ghi di culto, dove costituivano elementi diFigurine fittili dei due sessi ha restituito ilpozzo sacro di Paulilátino, insieme a bron-zetti fenici e nuragici e a oggetti d’oro checostituivano la stipe. Tutte stanti di fronte, lemaschili presentano le gambe tronche più omeno aperte come i pezzi di Abini. Elementocomune è l’appuntimento del capo. Un per-

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sonaggio maschile, che è un grumo d’argillacolor nocciola dal volto spiaccicato e sfigu-rato, piega la mano sinistra al petto come asalutare, mentre la destra cade sul pene gros-sissimo ma floscio. Le cosce sono tozze, alpari della massa corporea. In una statuinafemminile di argilla chiara, è interessante loschema del viso a T, ossia con l’incontroortogonale di arcata sopraccigliare e naso,antichissima stilizzazione mediterranea. Hofatto cenno alla figurina maschile e a partidel corpo umano di rozza modellazione, dalnuraghe San Pietro-Torpé. La statuina quasiintera è ritta di fronte, con le gambe appenadivaricate terminanti nell’abbozzo del piedesegnato da striature come la mano destraconservata della figura. Il braccio destro girain direzione del rilievo del membro virile(distinto in verga e testicoli) senza raggiun-gerlo. Il bozzetto è tutto nudo, come i prece-denti, con intento rituale, perché la nuditàrende diretta sul corpo l’efficacia salutaredel « mana» divino.

Le associazioni con altri materiali di uncerto orientamento cronologico suggerisco-no la fattura dei pezzi di S. Cristina e nura-ghe San Pietro, intorno all’Vili secolo a.C.Per l’unità formale e l’omogeneità stilistica,da riferire allo stesso gusto popolaresco delgruppo di bronzetti cosiddetto « libero »,questa età si può estendere ai pupattoli diAbini.

Alla coroplastica nuragica si attribuisco-no una manina umana di Serri e la testa d’unuccello (se non è un’applicazione vascolare)da nuraghe Santu Antine. Lo stile geometri-co le porta all’Vili, alla stessa guisa di alcu-ni distinti recipienti in terracotta con plasti-che. Cito la nota anfora piriforme dal pozzodi Santa Anastasia, con la figurina « astratta» dalla larga faccia rotonda ed il corpo a

placca che stringe tra le braccia un’insegnalunata (fig. 171). L’ombelico, impresso a cir-coletti concentrici come gli occhi, la indicanuda. Una silhouette antropomorfa, che con-serva la fisionomia umana soltanto nellatesta sormontata da un disco e che per ilresto, devitalizzandosi, si tramuta in puradecorazione, è tenuamente rilevata sul collodi altro vaso pinforme dal villaggio presso ilnuraghe di Genna Maria (figg. 168, 170),posteriore al IX secolo a.C. Questi prodottivascolari, di ottimo artigianato artistico nellaterracotta, sono da collocare nel clima cultu-rale e nel gusto estetico nei quali si inscrivo-no i bronzetti nuragici del filone « geometri-co ».

Concludendo, con le piccole e grandi im-magini della scultura protosarda, come conaltre espressioni creative dell’arte del tempodei nuraghi, noi ci troviamo di fronte a unfenomeno unico e non ripetibile nel suo inti-mo processo e nel particolare linguaggio. Piùopera d’arte che industria artistica in questaestrosa e viva produzione. C’è in essa storiadella cultura, specchio della società maanche « poetica ». Arte, quella del periodonuragico, che ci offre la possibilità di scopri-re una terra remota realmente sconosciuta,sebbene intravista nella memoria del tempo esentita con la coscienza segreta del passato.Ci riprendiamo un mondo che sembrava per-duto e che ci invita a farlo fruttificare nellaprospettiva di fondare, in nuovi termini diidentità, la città sarda futura.

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Alla fine della Fase IV, nella sottofaserecente del villaggio di Barùmini, almenonelle terre più fertili del Sud isolano, appetitedalle forze fenicio-puniche già presenti, sinota un grande sforzo di ricostruzione e dirinnovamento della civiltà nuragica.

Non fu un fatto episodico né esclusivo delSu Nuraxi, perché lo stesso riassetto edilizio,con tecniche costruttive evolute e uso del cal-care al posto del basalto delle antiche fabbri-che, lo si riscontra in molte parti del vicinovillaggio-santuario di Santa Vittoria di Serri.Qui, il momento di svolta è segnato dalla pre-senza di ceramiche d’impasto, di fattura loca-le, con forme di olle ovoidi e globoidi monoo biansate, boccali monoansati (tra cui unasagoma arieggiante quella della brocca abecco ad anatrella, ed altra a beccuccio comenei vasi à biberon), bicchieri cilindrici. Esseimitano, in tecnica nuragica, esemplari feni-ci-punici databili, come gli analoghi datombe di Bithia-Domusdemária, al VII-VIsecolo a.C. Si tratta, se non proprio dell’ini-zio d’un processo di integrazione, d’una ten-denza ad aprirsi all’esterno da parte dellaciviltà indigena.

Peraltro, tutto questo appare come ultimosussulto di vitalità della stessa, prima che,alla fine del VI secolo, l’isola, tranne chenelle zone interne di resistenza, cadesse inpossesso dei Cartaginesi, subendone il domi-nio politico-territoriale e, gradualmente,anche l’assimilazione culturale.

Le testimonianze di civiltà nuragica dellaV Fase, è vano cercarle nella gran parte del-l’isola conquistata ed asservita dal colo-nialismo ed imperialismo punico. Al più sene possono cogliere certi esiti reattivi di tec-niche e di spirito in monumenti e materialiformalmente e tipologicamente fenici: fab-

briche in grandi massi, stele figurate di pie-tra, ceramiche, ecc. Gli indigeni integrati,che continuano a seppellire nelle tradizionalitombe di giganti, vi depongono, a corredodei morti, cose puniche, quali ceramiche emonete del IV-III sec. a.C. (sepolcri di Brun-ku EspisArbus e di Ispiluncheddas-Genoni);più tardi, nella montagna, vi metteranno og-getti di terracotta e di vetro, d’importazioneromana (tomba di giganti di MástalaFonni).Anche taluni nuraghi continuano a essereadattati a tempio, con favisse contenenti ex-voti cartaginesi: ad esempio il nuragheLugherras-Paulilatino, che dette, nella came-ra terrena della torre principale, coroplasti-che del V secolo a.C. e più recenti monete;(la stipe continuò ad arricchirsi sino in tempiromani inoltrati). Lo stesso avvenne nel nura-ghe Genna Maria di Villanovaforru. Intornoal IV secolo a.C., si ha una ristrutturazionepunica, con tecniche costruttive tradizionali,del villaggio di Barùmini, che dura sino allafine della Repubblica. Lekytoi ariballiche avernice nera con palmette, di fabbrica italio-ta, guttari a biberon (IV secolo a.C.), vasid’argilla bianchiccia dipinti a fasce rosse,ceramiche, campane A e B, stampi fittili perfocacce sacre, lampade bilicni, campanelli emonete di bronzo, elementi d’osso e di pastavitrea (Il-lIl secolo a.C.) costituiscono lavaria suppellettile domestica che ha sostitui-to quella locale.

Tutto ciò, nel campo dei contatti tra in-digeni e potenza cartaginese, non portò, co-me è stato scritto, a un fenomeno di integra-zione ricca e vitale tra gli scampoli della ci-viltà nuragica e la cultura punica pienamenterealizzata ed egemone. Nello stato di coabita-zione necessitata dalla condizione politica didominio militare e di sfruttamento economi-

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Età del FerroFase V: 500-238 a.C.

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co, la gente locale fu piuttosto oggetto diacculturazione che non protagonista di unacosciente integrazione culturale nel progres-sivo processo di punicizzazione. Soggetti ademarginazione di classe, esclusi da uffici eprivilegi, assegnati a lavori servili nelleminiere, nei campi, nell’edilizia e in ogniumile fatica, gli eredi dei costruttori di nura-ghi nella vasta regione di conquista, furonoprofondamente trasformati nelle cose e nellospirito, sino a subire una completa decultura-zione.

Diversa fu invece la situazione degli in-digeni nell’interno della Sardegna. In quel-

l’ampio spazio montanino di pastori, resi-stenziale e ribelle nella lunga storia, la vitanuragica continuò a manifestarsi, con formeproprie, ancora dopo la conquista.

Sull’altopiano basaltico della Campeda diBonorva, in varie località (Baddadolzu, MuraCariàsas, S’Eligheddu, Aeddo, o Sa Mura esu Cau), si osservano molti resti di vastirecinti, in muratura grezza di blocchi delpeso medio di 12,4 q. e del volume di 0,4 mc.Presentano pianta tondeggiante (metri 68,50x 52,25 di diametro medio) o trapezoidale(m. 72,75 x 51,25), conservati per l’altezzamassima di m. 2,30 e spessi medialmente m.

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Fig. 236. REcinti nuragici: 1. Baddadolzu, Bonorva; 2. S’Eligheddu, Bonorva; 3. Muras Cariasas, Bonorva; 4. MuraCariasas, Bonorva; 5. Tilipera, Bonorva (SS); 6. Aeddo, Bonorva

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2,30. Vi si entra per una porta architravata, diluce rettangolare, esposta variamente da NEa S, di m. 1/0,75 di larghezza e 1,60/1,18d’altezza sul riempiticcio. All’interno, pervia della colmata, non si vede traccia alcunadi tramezzi o adattamenti a tettoia che vipoterono essere, anche di frasche. Il caratteremilitare dei recinti, veri e propri «castra », èconfermato da proiettili di fionda del pesomedio di 460 gr. I recinti (muras in linguasarda) costituivano degli avamposti fissi ditruppe nuragiche contro la fortificazione car-taginese di S. Simeone, distante poco menodi due chilometri, costruita nel V secolo a.C.La prossimità ai recinti di Mura Cariasas ditombe megalitiche di tipo arcaico indica chegli antichi seppellimenti, adoperati daimilitari, non erano andati in desuetudine,sebbene non se ne facessero più di nuovi.

Anche i nuraghi continuavano ad essereusati nella difesa se Livio parla di « castra »per le guerre tra Roma e gli Ilienses (popolidella Barbagia) e altri autori classici di « spe-lonche » e « abitazioni sotterranee » nellequali si nascondevano i « guerriglieri » indi-geni per farne poi improvvise sortite. Vi siriconoscono caverne naturali ma pure nura-ghi interrati a causa di rovina. Tra le monta-gne del centro selvaggio e inaccessibile dura-vano forme di religione remotissime, come ilculto dei menhirs: se ne contano 125 nellaProvincia di Nuoro e 53 nella sola Barbagiadi Ollolai. Per altro verso, il territorio piùinterno, salvo eccezionali e superficiali pre-senze al margine, è vuoto di tracce archeolo-giche di civiltà fenicio-punica. Il che signifi-ca persistenza della cultura nuragica, ocomunque locale.

Purtroppo, la ricerca nelle zone interne

dell’isola, specie in quelle di montagna iso-late e conservative, non è stata condotta an-cora al punto di raccogliere dati positivi perdimostrare, più estesamente nei fatti, la con-tinuità, ovvia in teoria e suggerita dalle fontiletterarie, della civiltà nuragica in pienodominio cartaginese del resto della Sar-degna. Non possiamo non immaginare cheforme di vita materiale di questa civiltà, aparte psicologia, morale e consuetudini vivein Barbàgia ancor oggi e resistenti allaciviltà industriale, abbiano a lungo durato,più o meno inalterate, penetrando larga-mente in età storica.

Resta dunque il problema di colmare concontenuti oggettivi, più validi dei pochi pos-seduti, il periodo di più di 400 anni passatitra l’esplicarsi delle attività delle popolazioninuragiche montane attraverso segni esterioricaratteristici e datati e la conquista romanadella zona di loro residenza. Il problema siestende alla ricostruzione storico-culturaledelle comunità « barbaricine nell’insieme,per il medesimo periodo, perché un vuoto divita è evidentemente impensabile.

Si capisce che ricerche e studi devonointeressare anche tutta la dimensione, nellospazio e nel tempo, della civiltà nuragica, lesue specificità e relazioni, la lunga tradizionee le trasformazioni. Al riguardo, qualcosa siè fatto, e queste pagine lo dimostrano. Ma ilpiù resta da fare.

Il presente lavoro più che a conclusione(chè sarebbe arroganza scientifica e intel-lettuale) serva di stimolo per ulteriori ne-cessari approfondimenti di un’epoca ancorapiena di segreti.

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Bibliografia

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Per villaggio a cultura Bonndnnaro di Sa Turrìcola M. L. FERRARESE CERuTI, Sisaia, p. 69 s.

Su culture M. Claro e Abealzu: G. LILLIU, Civiltà, p. 90 5., 182 Ss.; sulla cultura di Bonndnnaro, G. LILLIU, Civiltà, p.166 ss., e M. L. FERRARESE CERuTI, Sisaia, p. 11 ss., e, prima, La Tomba XVI di Su Crucifissu Mannu e la cultu-ra di Bonndnnaro, in « Bull. Paletn. it. », 81, 1972-74.

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Per pugnali e daghe di tipo “cipriota” di Ottana: F. Lo SCHIAVO, « Sardegna centro orientale dal neolitico alla fine delmondo antico», p. 75 ss.

Sull’origine “micenea” della tholos del nuraghe a torre: G. LILLIU, Civiltà, p. 181 s.

Su varietà e strutture dei nuraghi monotorri, nonché sulla funzione: G. LILLIu, Nuraghi, p. 14, 16, figg. 1-2, 3-4.

Circa i fattori geografici della distribuzione dei nuraghi nella Sardegna nordoccidentale: P. BRANDIS, in «Atti della XXIIRiunione scientifica dell’Istituto italiano di preistoria e protostoria nella Sardegna centro-settentrionale, 21-27 ottobre1979 », pp. 1-69 estratto.

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Simbologia nelle tombe di giganti: G. LTLLTU, Civiltà p. 342 s., Religion in « Kunst Sardiniens », p. 97 ss., Nur, p. 128ss. (qui anche sui betili conici).

Sui menhirs in tombe di giganti: G. LIr,LIu, Monumenti ant. barbaricini cit., p. 125.

Tomba di Bopitos. A. TARAMELLI, Not. scavi, 1915, p. 333 s. e G. LTLLIU, Monumenti ant. barbaricini cit., p. 89, e153, nota 334 (con bibliografia precedente). Tomba di Ena e Muros: E. CONTU, in « St. S. », XVI-XV, 1958, p. 129Ss. fig. 1, tav. I, 1-2 e G. LTLLIU, Monumenti cit., p. 89 e 153, nota 337 (ivi bibliografia precedente)

Sul pozzo sacro di Orroli; G. LILLIU, « St. S. », XIX-XV, I, 1958, p. 200 ss., fig. 2, tavv. 1-111; di Fun tana Coberta: A.TARAMELLI, « Not. di Scavi », 1919, p. 170 ss., figg. 1-11 e G. LLLIU, « St.s. “, cit. p- 286, C, 3 (successiva biblio-grafia); di Cuccuru Nuraxi: G. LILLIU, Civiltà, pp. 164, 167, 170, 176, 317, 319, 363, 372, 379, flgg. 26, 16, lìgg. 28,13, 1017, tav. XXXVI, a. b.

Fonte sacra di Sos Malavidos: G. LJLLIU, Civiltà, pp. 221, 352, 376.

Per la fonte di Frades Mereos di Ploaghe: A. MORAVETTI, Monumenti, scavi e ricerche nel territorio di Ploaghe, in «Contributi su Giovanni Spano », Sassari 1978, 28 ss., tav. II.

Per i materiali di Sa Jacca: V. SANTONI, Nw, p. 168 (la pianta del nuraghe a fig. 137 di p. 146).

Sulla morfoantropologia degli scheletri di Oridda: P. MESSERI, in « Origini» III, 1969, p. 130 Ss., flgg. 56-58; sul tipofisico e la paleopatologia della donna di Sisaia; F. GERMANA, Sisaia, p. 27 ss., figg. 4-6, tavv. XXVIII-XXXIII.

Sui pani di rame di tipo «ciprioto» in Sardegna: G. LILLIu, Tripode bronzeo di tradizione cipriota dalla grotta Pirosu-Su Benatzu di Santadi (Cagliari), in « Estudios dedicados al Profesor dr. Luis Pericot, Barcelona 1973, p. 298 ss., F.Lo SCHIAVO in Sardegna centro-orientale », p. 81 ss., G. LILuU, Kunst Sardiniens, p. 62, H.G. BUCH HOLZ, ibi-dem, p. 143 ss.

Sulle torme e l’evoluzione dei nuraghi plurimi: G. LILLIu, i nuraghi, p. 17 ss., figg. 5-il.

Per materiali vari ed uso del nuraghe Chessedu: B. PhlzoRNo, Nuraghe Chessedu (Un Sassari). Studio del monumento edei materiali, Università di Cagliari, Facoltà di Lettere e Filosofia, anno accademico 1967.68, pp. 102-193 (tesi diLaurea), G. LILLIU, Kunst Sardiniens, p. 67 ss.

Sulla ceramica a pettine: E. CONTU, La Sardegna dell’età nuragica, p. 178 Ss., G. LILLIu, Monumenti ant. barbaricini,p. 113 s., p. 160 s., p. 164 s.

Sul nuraghe Logomache: G. LILLIu, Kunst Sardiniens, p. 95, fig. 60 a p. 89 (interpretato come tempio), G. LILLTU,Monumenti ant. barbaricini, p. 160, nota 517 (risultato nuraghe dopo lo scavo).

Sulla forma e materiali del nuraghe Albucciu: M.L. FERRARESE CERUTI, Nota preliminare alla I e il campagna discavo del Nuraghe Albucciu (Arzachena-Sassari), in «Riv. Sc. preist. », XVII, 1962, pp. 161-204; G. LILLIu, Civiltà,p. 202 ss.

Sui nuraghi misti a torre e <galleria »: G. LILLIU, Nuraghi, p. 37, fig. 13.

Per il nuraghe Peppe Gallu: E. CONTU, « Riv. Sc. Preist. », XIV, 1-4, 1959, p. 59 ss., figg. 1-18.

Sui villaggi a istanza fort ificatoria della Gallura: S. PUGLTSI E. CASTALDI, « St. S. », XIX, 1966, p. 77Ss.; sul villaggio di Serra Orrios: G. LILLLU, Civiltà, p. 229 ss., fig. 38, M.L. FERRARESE CERUTI D. CoccoL.

USAI F. Lo ScHIAvo, Dorgali. Documenti archeologici, p. 109 ss., tavv. XXX-XLIV; sull’abitato di Palmavera: E.CONTU, La Sardegna dell’età nuragica, p. 16, tav. 122 e A. MORAVETTI, Nuove scoperte nel villaggio nuragico diPalniavera (Alghero-Sassari), < Riv. Sc. Preist. », XXXI1, 1-2, 1977, p. 277 ss., figg. 1-2

sui villaggi di E/ei e So,; Cunzaos: G. Lnj.iu, Monumenti ant. barbaricini, p. 164, nota 578; sulla rocca con capanne diPunta Casteddu: ML. ALoyslo, Il villaggio di Punta Casteddu (Lula). Studi topografici, e storico-culturali, Universitàdegli studi di Cagliari, Anno accademico 1968-69 (Tesi di laurea).

Per il villaggio deilo strato nuragico I inferiore di Bartimini: G. LJLLTU, Il nuraghe di Barzmin( e l stratigrafia nura-

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gicc’ « St. S. », X11-XIII. 1, 1955, pp. 235, 437 ss. e Kunsi Sardiniens, p. 68.

Materiali ceramici litici della più antica fase di Serra Orrios: D. Cocco L. USAI, Dorgali. Documenti cit., p. 115 SS.’tavv. XXXV-XXXVIII, XI..

Per i grandi focolari del villaggio di nuraghe Siseri Basso: M.P. NuvoLi, Saggio di catalogo archeologico sul Foglio 192q;,adranti IV NE, SE I NO, SO (Tramariglio, Capo Caccia, Fertilia, Alghero), Università degli studi di Cagliari,Facoltà di Lettere e Filosofia, anno accademico 1977-78, pp. 82 ss., 541 Ss. (Tesi di Laurea).

Il campione statistico delle ceramiche deilo strato inferiore del villaggio è stato elaborato su datdi: T. DF.FRAJA, Studio dei nateriali delle capanne 133-135-137 del villaggio nuragico di Barùmini, Università degli

studi di Cagliari, Facoltà di Lettere e Filosofia, anno accademico 1973-74, p. 176 ss. (Tesi di Laurea) e G. PINNA, LeCapanne CL-CLII-CXLrV-CXXXV del villaggio nuragico di Bartimini, Le ceramiche, Università degli studi diCagliari, Facoltà di Lettere e Filosofia, anno accademico 1970-71, pp.

183, 215, 232 ss. (Tesi di Laurea). V. inoltre G. LTLLTU, Kunst Sardiniens, p. 68 s.

Per le ceramiche sarde a Lipari: E. CON’ru, « Meligunìs Lipàra », IV, 1978 e osservazioni di G. LILLIU, Monumenti ant.barbaricini, p. 161, nota 519.

Sui materiali del villaggio di Brunku Màdugui do notizie inedite.

Sulle tombe di giganti di Thomas, Biristeddi e L’oglie-Dorgali: A. MORAVETTI. « Dorgali. Documenti cit., p. 79 ss. tavv.XXII, XXIV-XXV, XXVI, a, XXVII, a-b, XXVIII, XXIX, 5-8, Per le lastre in rilievo di fondo-camera delle tombe diTamuli: E. Co:sTu, Il significato della « stele » cit., p. 24 s., tav. X, 4 (da LAMARMORA); anche nella tomba digigante di Sa Marghine (Talana).

Circa le tombe di giganti con stele o fregi a dente/li: G. Liij.iu, Dal bet ilo aniconico cit., p. 84 ss., E. CONTU, Il signifi-cato della « stele », cit., p. 73 ss., G. L1I.Llu, Monumenti ant. barbaricini, pp. 92, 121 s., 154 s., nota 359. Si aggiun-ga la tomba di MaiteottoDorgali: A. MORAVETTI, «Dorgali. Documenti » cit., pp. 80, 82, 93, tav. XXIX, 2.

Sulla tomba di giganti di Bidistili: G. LILLIU, Monumenti ant. barbaricini, p. 121 s., tavv. XL1V-XLVIII, e Nur, p. 130,pianta a fig. Ill di p. 122.

Sui betili troncoconici lisci e figurati: G. LILLIU, Dal betilo cit., p. 73 ss., tavv. I-XIX, Kunst Sardiniens, p. 97, fig. 63 ap. 91, e Nur, p. 128 5., flgg. 112113 a p. 123.

Per’ le sepolture in « tafoni» della Gallura: M. L. FERRARESE CERUTI, in « Bull. Paletn. It. », n.s. XIX, vol. 77, 1968.p. 93 ss., figg. 1-23.

Intorno ai templi a « megaron »: G. LILLTU, Kunst Sardiniens, p. 94, fig. 59 a sinistra (‘c megaron » di Cuccureddì) dip. 89, e Nur, p. 114 s., figg. 4-5 a pp. 1920 (tempietti di Serra Orrios), p. 114, fig. 103 (» megaron» di Cuccureddì).

Il sacello di Malchittu: ML. FERRARESE CERUTI, ‘< Arch. Stor. Sardo» XIX, 1962, p. 5 ss.; G. LILLIU, Civiltà, pp.31, 207, 327 s., 362, 366, 371, 373, Kunst Sardinien.s, p. 95, fig. 59, a destra, a p. 89, e Nur, p. 116, fig. 102 a p. 114.

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Sui « Sherdanw »: E. Pus, Sardegna prima del dominio romano, p. 261 Ss.; A. LEANZA BECKERCULONNA, Sardinianuragica, University of California Exstension Center, San Francisco march. 1964, p. 5 SS.; HG. BUCHHCLZ, KunstSardiniens, p. 116 (a p. 155, nota 71, bibliografia precedente di R. BAR. NETT e O. NEGBI).

Su maestranze metallurgiche «cipriote» nella Sardegna nuragica e sa importazioni di bronzi micenci: G. Liu.iu, Civiltà,p. 226, e Tripode bronzeo cit., p. 301.

Sulle ceramiche micenee dal Nuorese: F. Lo ScHIAvo - L. VAGNETTI, Micenei in Sardegna?, in « Rend. di Scienze mora-li, storiche e filologiche », XXX, 1980, p. 371 ss.

Per le ceramiche micenee di Antigori: ML. FERRARESE CERUTI in « Riv. Sc. Preist. », XXXIV, 1-2, 1979, p. 243 ss.,figg. 1.2, tav. I.

Per la fibula ad arco di violino di Serri: F. Lo SCHIAVO, in « Studi Etruschi », XLVI (serie III), 1978, p. 28 s., fig. 2, 2;e per l’ambra di nuraghe Attenta e della tomba di Motrox’e bois: F. Lo SCHIAVO, Ambra in Sardegna, in <’Studi inonore di Ferrante Rittatore Vonwiller », Como 1981, p. 3 ss., tavv. I-V, e p. 9 s.

Morfoantropologia e patologia degli scheletri «galluresi »: F. GERMANA in «Archivio per l’Antropologia e la Etro1ogia»,, C, 1970, p. 197 ss., figg. 1-6.

Su statuette fenicie in strati nuragici: G. LILLIU, Sculture, p. 287 ss., ii. 175; V. TUSA, La civiltà punica, in « Popolie Civiltà dell’Italia antica », III, Roma 1974, p. 70, tav. 68 (figurine di Flumeniongu e Olmedo); F. J3ARRECA, LaSardegna fenicia e punica, Sassari 1974, pp. 17, 22, 24, 180-181, tav. IV (bronzetto di Paulilatino); G. TORE, in M.GRASG. TORE, Bronzetti dalla Narra, Dessi, Sassari 1981, p. 11 ss., tavole IIIV.

Sui torcieri in bronzo: G. Liwu, Tripode bronzeo, cit., p. 302, sulla diffusione del tipo nel Mediterraneo: M. ALMA-GRO GORBEA, Los thymialerias chypriotas procedentes de la Peninsula ibérica, in « Miscelanea Arqueologia », I,Barcelona 1974, pp. 46-55, fig. 4.

Per i rasoi: G. LILLIu, Civiltà, p. 227, figg. 51, 10, 12.

Per la spada ad antenne da nuraghe Attentu: E. CONTU, Sardegna, p. 186, tav. 149, a.

Per le fibule: F. Lo SCHIAVO, Le fibule in Sardegna, in « St. Etruschi », XLVI, 1978, p. 24 ss.

Sulla situla di nuraghe Albucciu: G. LILLTU, Sculture, cit., p. 468 s., n. 359 e F. NicoslA, Kunst Sardiniens, p. 208,n. 36 (qui anche, a p. 207, n. 32, sulla ciotola di Matzanni).

Su ceramiche ioniche in strati nuragici: G. Ljii.ru, « Not. di Scavi «, XV, 1971, p. 296 ss. (Monistir); V. SANTONI,Osservazioni sulla protostoria della Sardegna, in «Mefra », tavv. 89, 1977, 2, pp. 450, 457, 458 5.

(Barimini e Serri).

Per i bottoni di bronzo sardi di Vetulonia: G. B’<RTOLONI- F. DELPINO, Un tipo di orciolo a lamelle metalliche,in « St. Etruschi », XLIII, 1975, p. 37, nota 155.

Sulla statuetta e altri oggetti sardi a Cavalupo- Vulci: G. LILLIU, Sculture, cit., p. 208 Ss., fl. 111, p. 376, n. 263,p. 470, n. 361; G. BARTOLONI F. DEI.pINo, Un tipo di orciolo, p. 37, nota 156.

Sulle navicelle sarde in Etruria: G. LILI.Iu, Sculture, cit., p. 32, nn. 277, 286, 291, 321, 326, (Vetulonia e Populonia),e « Not. di Scavi », 1971, p. 289 ss. (GraviscaTarquinia).

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Sulle brocche a becco sarde in Etruria: G. LTLLIU, Il nuraghe di Bartmini, p. 457 Ss.; E. CONTU, « St. s. », XIX,1966, p. 211 ss.; G. BARTOLONI- F. DELPINO, Un tipo di orciolo, p. 36 s., note 151-154. Sulle brocche a beccodella necropoli de! Sorbo: I. POUL, The iron Age Necropolis of Sorbe at Cerveteri, Stockholm 1972, p. 57 ss., fig.48, 1 (tomba 233), p. 74 ss., fig. 60, (tomba 281), p. 119 ss., fig. 100, 3-4 (tomba 73).

Su askoi sardi a Lipari: E. CONTU, Ceramica sarda di età nuragica a Lipari, in « Meligunìs Lipàra >,, IV, 1979, p.1 ss. (estratto).

Per scambi tra Fenici e Protosardi: G. LILLIU, Rapporti fra la civiltà nuragica e la civiltà feniciopunica inSardegna, in « St. Etruschi », XVIII, 1944, p. 326 Ss., e Sculture, p. 27. Per influenze urarteee luristane sulla bronzistica, Sculture, p. 26 s.

Per il tripode di tradizione cipriota di Su Benatzu: G. LILLIu, Tripode bronzeo, p. 283 s., tavv. I- Ill.

Su scambi sardo-etruschi. v. la bibliografia in G. BART0LONI-F. DELPINO, Un tipo di orciolo, p. 41, nota 170(precedenti scritti di TRAN1EI.I.T, Ljii.iu, PALLOTTINO, CONTU). V. anche a p. 44 del penetrante e moderno L’Artedegli Etruschi di M. CRIsT0FANI, Einaudi 1978 (qui, pure, a p. 42, sui prodotti della toreutica orientalizzante « feni-cia’> nell’Etruria). Da ultimo, M. GRAS e F. NIcoslA, in Kunst Sardiniens, rispettivamente a pp. 126-133 e a pp. 200-211.

Per oggetti greci in strati nuragici: G. LILLIU, « Not. di scavi », 1971, p. 297; P. MELONI, Sardegna Romana, p.9 S.; F. NICOSIA, Kunst Sardiniens, pp. 204, 208, n. 54, 96-121, p. 209, n. 128-135; M. GRAs- G. TORE, Bronzettidalla Nurra, cit., p. 7 ss., tavv. I-Il (bronzetto arcaico tipo Kouros da Olmedo, databile tra fine VII e prima metà VIsecolo a.C.).

Sulla sala del trono di Palmavera: A. MORAVETTI, Nuove scoperte nel villaggio nuragico di Palmavera (Alghero,Sassari), in « Riv. sc. preist. », XXX II, 1-2, 1977, p. 277 ss., fig. 2; sulla sala di Bartrnini: G. LILLIu, Il nuraghe diBarùmini, p. 284 ss., fig. 12, n. 80, flgg. 13-14, tavv. XXXVIII, 2. XLI.

Sulle tombe singole di is Aruttas, Sa Costa e Senorbì: V. SANTONI, Osservazioni, cit., p. 459; su quelle di MontiPrama: G. LILLIU, Nur, p. 118 s.

Per le culture del grano e della vite: G. LILLIU, Sculture, cit., p. 475 e Kunst Sardiniens, p. 75.

Sulla ristrutturazione del nuraghe di Bartìmini: G. LILLTU, il nuraghe di Barùniini, pp. 236 Ss., 257 55.

Sul nuraghe Genna Maria e sue vicende: G. LILLIu, Antichità nuragiche della Diocesi di Ales, in La Diocesi diAles-Usellus-Terralba. Aspetti e valori », Cagliari 1975, p. 158, tav. I.

Per l’utilizzazione tardiva di nuraghi a luoghi di culto: F. Lo SCHIAVO, Nuraghe « San Pietro» (Torpé - Nuoro), in« Nuove testimonianze archeologiche della Sardegna centro- settentrionale », Dessi, Sas5ari 1976, p. 511 ss. (nura-ghe S. Pietro); G. MAETZKE, « St. s. », XVI, 1960, p. 736, tavv. VI, 1, XVII, 1902, p. 652, E. CONTLI, « Riv. Sc.preist. », XV, 1960, p. 240 s. (nuraghe Pizzinnu); F. Lo SCHIAVO, il ripostiglio del nuraghe Flumenlongu (Alghero-Sassari), Dessi, Sassari 1976, p. 8, tav. II (nuraghe Flumenlongu). Per il nurag1e Albucciu v. sopra. In generale: G.LILLIu, Kunst Sardiniens, p. 76 s., e Nur, p. 122 s.

Sul cavallo e i suoi finimenti, in Saidegna: G. LILLIU, Sculture, n. 310 ss., fl. 190.

Su oggetti di corredo della Fase IV in nuraghi: E. CoNTu, La Sardegna, cit. (Attentu) e « St. S. », XIX, 1966, p.221 Ss. (La Prisciona); G. LILLIu, Il nuraghe di Bariimini, p. 107 ss. (Lugherras), p. 111 ss. (Losa), p. 122 ss. (S.Antine), p. 270 s. (Banimini: dalle camere delle torri del bastione e dell’antemurale).

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Sulle suppellettili delle capanne del villaggio Nuragico I superiore di Barùmini: G. LILLIU, Il floraghe di Bartlmini,pp. 273-277, 280-282, 306-308. Ii campione statistico sulle ceramiche, da dati in: A.P. PIsTIs, Studio sulle ceramiche rin-venute nelle capanne 113-114-115 e nello spazio 112 del villaggio di Bardmini, Università degli studi di Cagliari, Facoltàdi Lettere, anno accademico 1977-78 (Tesi di laurea), pp. 252 ss., 257, 267 ss., 327 Ss.; M.R. MANUNZA, Studio delmateriale ceramico della capanne CIII del villaggio nuragico di Barzlrnini, Università degli studi di Cagliari, Facoltà diLettere e Filosofia, anno accademico 1977-78 (Tesi di laurea), pp. 288, 291 s., 293 s., 295 s., 297 ss., 301-374; M. SPA-NEDDA, Studio dei materiali della capanna 118 e dello spazio 120 del villaggio nuragico di Barriniini, Università deglistudi di Cagliari, Facoltà di Lettere e Filosofia, anno accademico 1976-77 (Tesi di laurea), pp. 227 55., 248 Ss.; T.DErRATA, Studio dei materiali, cit., pp. 173 ss., 188 Ss.; E. USAI, Studio dei materiali delle capanne 177-182-184-189e dello spazio 183 del villaggio nuragico di Bartimini, Università degli studi di Cagliari, Facoltà di Lettere e Filosofia, annoaccademico 1975-76 (Tesi di laurea), p. 4 ss., 258 ss.; G. PINNA, Le capanne CL, cit., passim. In sintesi: G. LILLIu, KunstSardiniens, p. 78.

Statuina e fibula a navicella dello strato NIS sotto lo strato MII di Barámini: G. LILLIu, Il nuraghe di Barùmini, pp.274277. Sulla fibula « cipriota » del vano 135: F. Lo ScHIAvo, Le fibule, cit., p. 42 ss., figg. 6, 3.

Sul villaggio della fase Nil di Bartimini: G. LILLIu, Il nuraghe di Bartbnini, p. 314 Ss..

Il campione statistico delle ceramiche Nil è elaborato su dati di: M.C. PAGANO, La capanna 97, gli spazi 85-96-98 e il vano 100 del villaggio nuragico di Bartmnzini, Università degli studi di Cagliari. Facoltà di Lettere eFilosofia, anno accademico 1977-78 (Tesi di laurea), p. 351 Ss.; F. SERRA, Studio del materiale ceramico dellecapanne 104-105-106-108-109-Ill del villaggio nuragico di Barthuini, Università degli studi di Cagliari, anno acca-demico 1977-78 (Tesi di laurea), p. 311 Ss.; K. BONONI, Studio dei materiali delle capanne 1-24-6-7-8 del villag-gio nuragico di Barthnini, Università degli studi di Cagliari, Facoltà di Lettere, anno accademico 1974-75, p. 100ss.; e delle Tesi di laurea citate di Pisiis, MANUNZA, SPANEDDA, DEFRAIA, PINNA. In sintesi: G. LILLIU,Kunst Sardiniens, p. 82.

Sulla tomba di giganti di Brunku Espis: G. LILLIU, Antichità nuragiche, cit., p. 149; sul sepolcro di Motrox’e Bois:E. CONTU, « St. s.», XIVXV, 1, p. 164 ss., tavv. XVIII-XXI.

Per grotta Pirosu: G. LILLIu, Kunst Sardiniens, p. 88 s. e Nur, p. 110; per le caverne di Dotnu s’Orku e Su Fochile:G. LILLIU, Kunst Sardiniens, p. 89 e Nur, p. 110. L’antro di Sa Grotta de is Caombus, in G. LILLIU, Candu is Sardusandànta a pregai asutta ‘e terra, « Nazione Sarda >’, Cagliari, a. IV, n. 1, 15 novembre-15 dicembre, p. 12 (due foto-grafie).

In generale sui pozzi sacri: C. ZERVOS, Civilisation de la Sardaigne, cit., p. 276 ss., figg. 334-337 (S. Anastasia),341 (Matzanni), 343-345 (pozzo Milis-Olbia), 346 (Sa Testa-Olbia), 347 (Ballao), 351-355 (S. Vittoria), 356 (Abini); G.LILLTU, Civiltà, cit., 316, 55., figg. 63-69, 72, tavv. XXXVI-XXXVII, Kunst Sardiniens, p. 92 ss., fìgg. 57-58, 84a-44b,118 e Nor, p. 112 ss., fig. 94-97, 101. Bibliografia completa sino al 1958 in G. LILLIU, « St. S. », XIV-XV, 1, 1958, pp.283-288.

Sulla decorazione delle facciate dei templi a pozzo e le attrezzature rituali: C. ZERVOS, Civilisation, cit., p. 293 ss.,figg. 358-363; G. LJLLJU, Civiltà, cit., p. 322 ss., figg 68, 73, Kunst Sardiniens, p. 92 e Nur, p. 112 5.,figg. 96, 98-99.

Sulle teste taurine in pietra di Serri e Sardara: A. TARAMELLI, «Mon. Ant. Lincei », XXIII, 1914, col. 352 s.,fig. 26, col, 353, fig. 27 e « Mon. Ant. Lincei,» XXV, 1918, col. 55 ss., figg. 33-35, 41, tav. III; C. ZERVOS,Civilisation, cit., p. 293, fig. 358; G. LILLIU, Nur, 114.

Per organizzazione e carattere del santuario di Serri: G. LILLIU, Civiltà, cit., p. 240 ss., fig. 43, Kunst Sardiniens,p. 90, figg. 55-56, Nur, p. 110 ss., figg. 91-93.

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Riguardo il sacello rettangolare di Serri: A. TARAMELLI, Not. di scavi », 1922, pp. 296-334, figg. 1-55; G. LIL-LIU, Nur, p. 116 s..

Sulla sala delle Assemblee federali di Serri: A. TARAMELLI, « Mon. Ant. Lincei », XXIII, 1914, col. 406412, l’igg.97101; G. LILLIU, Civiltà, cit., p. 248, fig. 47 e Nur, p. 120 s.

Recinti di M. Siseri basso: M.P. NUVOLI, Saggio di catalogo archeologico sul Foglio 192 della Carta d’Italia, 1VNEINOSO, Università degli studi di Cagliari, Facoltà di Lettere, anno accademico 1977-78, pp. 82 55., 514 ss.; G. LIL-

LIC, Nur, p. 122.

Vani con funzione lustrale del villaggio di Barumini: G. LILLIU, Il nuraghe di Bartimini cit. pp. 336 ss., 385 ss.,tav. LIV, 1, p. 392 ss. tav. LVI, 1-2, Nur, p. 122 (qui anche cenno su ambienti consimili a Ossi di cui pure in Nur la noti-zia di M.L. FERRARESE CERUTI, p. 192, fig. 187).

Sul sacello del « doppio betilo» di S. Vittoria: A. TARAMELLI, « Mon. Ant. Lincei », XXXIV, 1931, col. 106 ss.,n. 48, figg. 6667, tav XI; C. ZERvos, Civilisation cit., p. 292, fig. 355; G. LTLLTU, Nur, p. 122.

Del vano domestico di Serri, presunto adibito al culto della bipenne: A. TARAMELLI, <Mon. Ant. Lincei » XXXIV,1931, col. 29 ss., tav. I, n. 19, figg. 16-24; G. LILLIU, Nur, p. 122.

Rotelline solari in bronzo da nuraghe Alhucciu e da Serri: G. LILLIU, Sculture cit., n. 264; schema di corna tauri-ne da Olmedo, n. 265; insegna processionale da S. Maria di Tergu, n. 261; insegna di Padria, n. 258; betilino parzial-mente antropomorfo da Abini, n. 266. V. pure G. LTLLIU, Nur, p. 134, figg. 124-125.

Sulle figurine di musici: G LILLIU, Sculture cit., n. 113 (batterista), n. 182 (suonatore di corno) e n. 183 (flautistaitifallico di Ittiri) e Nur, p. 135, figg. 123, 126.

Riguardo i ludi sacri: G. LILLIU. Sculture cit., n. 10 (la lotta), n. 190 (cavaliere acrobatico) e Nur, p. 136, figg. 127e 128.

Pellegrini a cavallo del bue: G. Lu.iiu, Sculture cit., n. 188 (bronzetto da Jerzu), n. 189 (da nuraghe Orku-Nulvi).

Sull’ordalia dell’acqua: R. PETTAZZONI, La religione primitiva in Sardegna, Piacenza 1912 (reprints LibreriaScientifica Internazionale, Roma 1980), pp. 59 SS., 97 ss., 171 ss.; G. LILLIU, Civiltà cit., p. 349 ss. Sul recinto per«giudizi di Dio » di Funtana Sansa: A. TARAMELLT, «Mon Ant. Lincei », XXV, 1919, col. 800 ss., figg. 21-26.

Per le fonti salutari e sacre. A. TARAMELI.!, « Mon. Ant. Lincei », XXV, 1919, col. 816 ss., figg. 21-26 (SuLumarzu), « Not. di scavi «, 1919, p. 120 ss. (Santa LulIa), pp. 128, 131 (Sos Muros e M. Olòlvica), p. 126 (Poddi Arvu-Bitti).

Sul magismo e lo sciamanesimo in età nuragica: G. LILLIU, La civiltà cit., p. 352. La statuina di Funtana Padentiche ricorda le « Bithiae »: G. LILLIu, Sculture cit., n. 120.

Sulla religione nuragica in generale v., oltre R. PETTAZZONI citato, G. LILLIU, Religione della Sardegna nuragi-ca, in «Atti del Convegno di studi religiosi sardi », Padova 1963, p. 3 Ss.; A. BRELICH. Sardegna mitica, ibidem, p. 23ss,; U. BIANCHI, Sardus Pater, ibidem, p. 37 Ss.; G. LILLIU, Civiltà cit., pp. 336-347 e Nur, pp. 105 ss., 315. Si v. pureE. CASTALDI, Il « culto del toro » nella preistoria della Sardegna e il problema delle tre cavità sull’alto del prospettodelle tombe di giganti, in « Arch. p. 1’Antrop. e la Etnol.» CVI, 1976, p. 439 ss.

Sul cippo in forma di nuraghe quadrilobato da S. Sperate: G. UGAS, in «Archeologia sarda », novembre 1980, p.80, tavv. 5, 6: I, 6:2 e A. MoRvETTI, «Bui!, d’Arte», 7, a. LXV, s. VI, 1980, p. 66, fig. 11. Confronti con altri modellini inbronzo e pietra: A. MORAVETTI, cit., p. 65 ss., figg. 12, 1517 e G. UGAS, cit., p. 8, tavv 4:1, 4:2.

Per il cippo di Cann’e Fadosu: G. UCAS, cit., p. 7 ss., tavv. 2, 1-2; 3, 1-2.

Sulle statue in pietra di M. Prama: G. LILLTU, Dal betilo cit., p. 111 ss., tavv. XXVII, XXXI-XXXIX, KunstSardiniens, p. 95 ss., fig. 61, pp. 256-257, tav. 42 a, 42 b, p. 258, tav. 43 e Nur, p. 118 s., figg. 106, 243; C. TRONCHET-TI, « Studi Etruschi », 46, 1978, p. 578 Ss.

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Analisi metallica dei bronzetti figurati: L.P. STODULSKI, « St. S. », XXIV, 1978, p. 154 ss. e I. RIEDERER, KtmstSardiniens, p. 165 ss. (analisi da accogliere con riserva, perché fatte anche su figurine false di collezione private estere).

Sulla metallurgia dei protosardi: A. TARAMELLI, « Mon. Ant. Lincei », 1909, col. 125, < Bull. Paletn. it. », 7-12,1916-17, p. 100 ss., « Mon. Ant. Lincei », XXV, 1918, col. 125, 128 s., « Not. di Scavi », 1918, p. 165, « Mon. Ant.Lincei », XXVII, 1921, col 76, 79; F. VOORET, Sui bronzi preistorici dell’epoca nuragica, in « Rendiconti delSeminario della Facoltà di Scienze presso l’Università di Cagliari », 3-4, 1959, p. 248 SS.

Sulla fonderia di Forraxi Nioi: F. VIVANET, « Not. di scavi », 1882, p. 308 ss. e G. PINZA, Monumenti primitividella Sardegna, in « Mon. Ant. Lincei », XI, 1901, col. 156 ss. Per la supposta fonderia di Sa Sedda ‘e sos carros: F. LoSCHIAVO, « Nuove testimonianze archeologiche della Sardegna centro-settentrionale », Dessi, Sassari 1976, p. 69 Ss. e« Sardegna centroorientale », Dessi, Sassari 1978, p. 98 Ss.

Figure di prìncipi: G. LILLIU, Sculture cit., numeri 4-7.

Figure di opliti: G. LTLLIU, Sculture cit., nn. 12-15, 82-97, 125-139.

Figure di arcieri: G. LILLIU, Sculture, cit., nn. 11, 16-36, 98-101.

Figure di soldati con guanto armato: G. LILLIU, Sculture cit., nn. 64-65.

Figura di fromboliere: G. LILLIU, Sculture cit., n. 8.

Figure di persone comuni: G. LILLIU, Sculture cit., nn. 47-63, 66, 115-119, 149-181.

Pastori con bastoni e borse: G. LILLIu, Sculture cit., n. 61 («Barbetta», da Matzanni), n. 149 (località sconosciu-ta), n. 150 (località sconosciuta), n. 181 (nuraghe Adoni di Villanovatulo).

Contadino con recipiente d’acqua o altro liquido: G. LJLUu, Sculture cit., n. 60 (da Serri). Offerta di arieti portatia spalla: G. Liuiu, nn. 57 (Dolianova), 58 (Aidomaggiore), 153 (Ogliastra). Offerta delle pelli: G. LILLIu, Sculturecit., n. 369 (Serri).

Offerta di ciambelle entro un tagliere di legno: G. LILLIU, Sculture cit., n. 56 (Ogliastra).

Mode flini in bronzo di mobilia in legno: G. LILLIU, Sculture, cit., nn. 354, 366.

Figura di calzolaio: G. LILLIU, Sculture cit., n. 66 (Aidomaggiore).

Statuine femminili di classe alta: G. LILLIu, Sculture cit., nn. 69-81, 121122.

Statuine femminili di classe bassa: G. LILLIU, Sculture cit., n. 186 (donna con anfora sulla testa, da Olbia), n. 187(canefora da Villasor).

Supposti sacerdoti e sacerdotesse (o personaggi con copricapo cerimoniale), provvisti di cappello ad apex (pileo):G. LILLIU, Sculture cit., nn. 79-81, 111-112, 120, 145-148.

Modellini di bronzo di cestineria nuragica: G. LILLIU, Sculture cit., nn. 360-363.

Le Madri: G. LILLIU, Sculture cit., n. 68 (Urzulèi), nn. 23-124 (Serri).

Esseri demoniaci iperantropici: G. LILLIU, Sculture cit., nn. 104-110, 140-141.

« Mostro » di Nule: G. LILLIU, Sculture cit., n. 267.

Stocchi sormontati da protomi cervine e da figure antropomorfe: G. LILLIU, Sculture cit., nn. 250-257, 259.

Figurine di animali: G. LILLIU, Sculture cit., nn. 192-247.Il macaco è figurato nel cavo d’una lampada bronzea con manico a protome bovina da Baunei (?):

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G. Lii.i.iu, Sculture cit., n. 191; di antilope sembra la protome della navicella da Bona Fraùle di Siniscola, Sculture cit., n.313.

Navicelle: G. LILLJU, Sculture cit., nn. 270-331.

I due filoni stilistici in G. LILLIU, Sculture cit., p. 18 ss.

Stilemi di aree culturali fenicia, siriaca, asiatica ed etrusca nei bronzetti sardi: G. LILLIU, Sculture cit., p. 26 Ss.

Proposta di cronologia corta per le navicelle in M. GRAS, L’Etruria villanoviana e la Sardegna seTtentrionale: pre-cisazioni e ipotesi, in « Atti della XXII Riunione scientifica dell’Istituto italiano di preistoria nella Sardegna centro-settentrionale », Firenze 1980, p. 531 ss.Dopo la pubblicazione del Corpus dei bronzetti (Sculture 1966), sono apparsi i seguenti contributi generali e parti-colari sull’argomento: G. Ln.iiu (con H. Schubart), Frühe Randkulturen des Mittelmeerraurnes, Holle Verlag, Baden--Baden, 1967, art. Sardinien, p. 84 Ss., figg. 49, 52, 59, 63, 87, 89, 91 (anche nell’edizione italiana «Civiltà mediter-ranee », Il Saggiatore di A. Mondadori, Milano 1968, p. 100 ss., a francese « Civilisations anciennes du Bassin médi-terranien», A. Michel, Paris, 1970, p. 85 ss.); E. CONTU, La Sardegna prenuragica e nuragica, in «Sardegna», Electaed., 1969, p. 102 ss., figg. 55-97, 99-100, e La Sardegna nuragica cit. t). 187 ss., tavv. 153-164; G. LILLIU, « Not.di scavi », XXV, 1971, p. 289 ss., fig. 92 (barchetta di Gravisca), Tripode bronzeo cit., p. 283 ss. (tavv. 1-11: tripo-de; tavv. IV: lampada a barchetta di foggia arcaica), Antichità nuragiche della Diocesi di Ales, in « La Diocesi diAles-UsellusTerralba. Aspetti e valori >’, Cagliari 1975, p. 157 ss., tavv. V-VII (bronzetti di Mogoro, Terralba, Usel-lus e Villacidro); J. DEBERGH, Un bronze sarde d’époque nuragique », in « Musées Royaux d’Art et d’Histoire »,Bruxelles 1971, p. 5 ss. (Statuina di pastore criophoros dei Musei d’Arte e di Storia a Bruxelles); M. S. BALMUTI!,Sardinian Bronzetti in American Museums, in « St. S. », XXIV, 1978, p. 145 55., tavv. 1-IX; F. Lo SCHIAVO,<’Nuove testimonianze archeologiche nella Sardegna centro-settentrionale », Dessì Sassari 1976 ,,, p. 69 ss., n. 460a p. 78 (frammento di barchetta da Sedda sos Carros-Oliena), p. 78, nn. 461-462 (pezzi di corna cervine dallo stessoluogo) e « Sardegna centro-orientale dal neolitico alla fine del mondo antico », Dessi, Sassari 1978, p. 90, nn. 1-2,tav. XXVIII, 1-2 (bacili con appliques decorate a motivi geometrici dalla grotta di Su Benticheddu-Oliena), p. 109,tav. XXXVII, 3 (frammenti di tre barchette da nuraghe San Pietro-Torpe), p. 113, nn. 1-2, tav. XXXIX, 1-2 (due navi-celle intere da Coil, privata), p. 116, tav. XLI (altra dalla Coli. Sini); A. MolvrTTI, «Sardegna centro-orientale»cit., p. 120, nn. 1-3, tav. XLII, 1-3 (tre barchette dalla grotta di Su Fochile-Urzulei), p. 163, nn. 1-4, tav. LVIII,1-5 (quattro navicelle nella Collezione della Biblioteca Comunale <’Sebastiano Satta » di Nuoro); J. THIMME,Kunst, in « Kunst und Kultur Sardiniens» cit., p. 19 ss.; M. GRAS, Sardische Bronzen in Etrurien, ibidem, p. 126ss.; F. NICOSIA, Etruskjsche Zeugnisse mid Einflusse, ibidem, p. 200 ss; G. TORE, Le opere dell’arte, in Nur, p.217 ss., figg. 247, 249, 259.

Sulle statuette in terracotta di Abini: A. TARAMELLI, La collezione di antichità sarde dell’Ing. Leone Gouin, «Boll, arte », VIII, n. 8, 1914, p. 259, fig. 10; C. ZERVOS, Civilisation cit., p. 362, flgg. 452-453 (interpretate come divi-nità).

Delle figurine di S. Cristina do notizie di prima mano, grazie alla liberalità del Prof. Enrico Atzeni che le ha rnvenu-te.

Sulle plastiche di nuraghe San Pietro-Torpé: F. Lo SCHIAVO, « Nuove testimonianze » cit., p. 51, e n. 356-359, tav.XII a p. 59 s.

La mano di statuetta in terracotta dal recinto cosiddetto della bipenne di Serri: A. TARAMELLI, «Mon. Ant. Lincei», XXXIV, 1931, col. 40, fig. 24.

Ansa in foggia di testa d’uccello da nuraghe S. Antine: A. TARAMELLI, « Mon. Ant. Lincei », XXXVIII, 1939,col. 69, fig. 25.

Per l’anfora a rilievo antropomorfo di Sardara: A. TARAMELLI, « Mon. Ant. Lincei », XXV, 1918, col. 87 ss., flgg99-100; ii vaso plastico di Villanovaforru in G. LILLIu, I 1500 anni della civiltà nuragica « Almanacco di Cagliari »,1981, p. 58, fig. in basso.

Sulla ristrutturazione del villaggio-santuario di Serri e le ceramiche nuragiche d’impasto imitanti forme puniche: V.SANTONI, Osservazioni sulla protostoria della Sardegna cit., p. 453 s., tavv. VI-VIII.

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Sulla risirulturazione punica del villaggio di Bartmniini: G. LILLIU, Il nuraghe di Baràmini cit., p. 416 Ss.

Sui «castra » nuragici di Bonorva e la fortezza punica di San Simeone: G. LILLIU, L’architettura nuragica cit., p.83 Ss., figg. 97-102

L’idea di una « intima convivenza» delle due stirpi protosarda e punica, attraverso il « confronto delle rispettiveformule culturali» è di F. BARRECA, La Sardegna feniciopunica, Chiarella, Sassari 1974, p. 63.

Per il perdurare del culto dei menhirs nella Barbagia, durante la Fase V e dopo: G. LILLIu, Monumenti ant. barba-ricini cit., p. 127 s. (a p. 63 s., e 134-137, B, 1-54: menhirs della Provincia di Nuoro e della Barbagia di Ollolai).

Chi è interessato alla conoscenza della storiografia nuragica, veda: G. LILLIu, Storiografia nuragica dal XVI seco-lo al 1840, in « Arch. stor. sardo », XXVIII, 1962, p. 268 ss., e C. UGAS, Le scoperte e gli scavi lungo i secoli, Nur, p.299 ss.

Sulle scoperte e gli scavi relativi alla civiltà nuragica, oltre C. UGAS, cit., si legga G. LILLIU, Civiltà cit., p. 357Ss. e M.L. FERRARESE CERUTI, Forsclmngsbericht, in «Kunst Sardiniens» cit., p. 211 ss.

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L’Autore ringrazia sentitamente i Soprintendenti ai Beni archeologici di Cagliari e Sassari prof.Ferruccio Barreca e dott.ssa Fu/via Lo Schiavo - per aver agevolato in ogni modo la docu;entzione grafica efotografica d’archivio. Esprime inoltre viva gratitudine ai proff. E. Atzeni e vLL. Ferrarese Ceruti, alla dott.ssaM.A. Fadda e al dott. G. Ugas per aver consentito la pubblicazione di foto e grafici inediti.

L’Autore e l’Editore ringraziano la CARIPLO che con liberalità e squisita sensibilità culturale hannoconsentito la riproduzione delle foto di Mario Carrieri, già pubblicate nel volume Nur edito dalla stessaCariplo nel 1980.

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FOTOGRAFIE E DISEGNI

Fotografie

Caterina Bittichesii, 42, 43, 98

Mario Carrieri, 45, 88, 89, 91, 92, 100, 131, 132, 133, 134, 136, 160, 161, 163, 167, 178, 179, 180, 182, 183, 187,194, 205, 206, 207, 217, 221, 224, 225, 226, 227, 230, 231, 232, 235, 240, 244, 245

Rosa Farris, 152

Franco Ger,nanà, 146

Istituto di Antichità e Arte Università di Sassari, 26, 27, 28

Istituto di Antichità e Archeologia Università di Cagliari, 109, 110, 119, 120, 156, 177

Giovanni Lilliu, 16, 17, 18, 19, 101, 189

Alberto Moravetti, 29, 30, 32, 34, 35, 66, 71, 77, 83, 87, 99, 128, 129, 130, 162, 164, 184, 185, 190, 191, 199,200, 203, 208, 209 211, 212, 214, 215, 216, 218, 219, 223, 229, 241, 242, 243, 246

Tullio Mura, 69, 76, 80, 82, 126, 193, 197, 198

Salvatore Ruin, 60

Soprintendenza ai Beni Archeologici per le province di Sassari e Nuoro, 106, 107; 40, 41, 228 (Stefano Fiore); 85, 86, 90, 93, 94, 95, 96, 97, 165, 166, 169, 236, 237, 238, 239 (Pasquale Capone)

Soprintendenza ai Beni Archeologici per le province di Cagliari e Oristano, 135, 154,168, 170, 171,172, 173, 174, 175, 176, 181, 213, 233, 234 (Roberio Dessi).

Disegni

Enrico Atzeni, 22, 79

Franco Carta, 20, 33, 39, 50, 78

Istituto di Antichità e Archeologia-Università di Cagliari, 31, 75, 103, 104, 108, 110, 113, 114, 115,116, 117, 118, 119, 122, 123, 153, 155, 159, 177

Giacobbe Manca, 64, 67, 105

Mariella Olla, 210Soprintendenza ai Beni Archeologici per le province di Sassari e Nuoro, 36, 84, 130, 137, 138, 139, 144, 145, 150,157, 158, 202, 222, (Gianni Dore); 120, 121, 149, 186 (Giuseppe Grafitti); 30, 39, 49, 65, 74

Da Autori vari, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 21, 23, 24, 25, 37, 38, 44, 46, 47, 48, 51, 52, 53,54, 55, 56, 57, 58, 59, 61, 62, 63, 68, 70, 72, 73, 78, 81, 102, 111, 112, 124, 125, 127, 140, 141, 142, 143, 147,148. 151, 188, 182, 195, 196, 201, 204, 220, 247

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Abbasanta, 20, 35, 49, 54, 64, 77, 168Abealzu, cultura, 14, 25, 29, 222Abini, 98, 170, 183, 200, 204, 208,

211, 212, 215, 216, 231 Abu Simbel, 111 Achei, 113 Acqua calda, 14 Adleberg, 23 Adoni, 229 Aeddo, 218 Aidomaggiore, 229 Aiodda, 22, 23, 24, 27, 222 Ala dei sardi, 106 Alaja, 19 Alalia, 134,Albucciu, 30, 62, 77, 78, 84, 116, 13!,

138, 144, 184, 207, 222, 223, 225,226, 228 Alenza, 204 Ales, 30, 226Alghero, 23, 39, 63, 65, 77, 80, 81,131, 138, 178, 220

A/magro Gorbea M., 225 Aloysio M. L., 223 Altoriu, 34, 35 Anela, 19 Anghelu Ruju, 23 Antigori, 62, 116, 120, 122, 142, 194,

225Aqaiwasa, 113 Arbus, 194, 217 Aristeo, 10 Armenia, 212 Arpachiyah, 19 Arzachena, 21, 30, 49, 62, 77, 106,

207, 223 Asoru, 39 Assemini, 62, 120 Attentu, 124, 131, 139, 225, 226 Aude, 21 Atzeni E., 221, 222. 231

Baddadolzu, 218Baddju Pirastru, 17Balaiana, 105, 126Balari, 10Ballao, 57, 168, 227Balmuth M. S., 230Barbagia, 219, 231

Barega, 206 Barreca F., 225, 231 Barisardo, 62 Bartolomei G., 225 Barumini, 30, 34, 39, 64, 77, 80, 81,

82, 88, 131, 134, 136, 142, 144,160, 176, 178, 194, 207, 210, 217,224, 225, 226, 228, 231

Baunei, 98, 102, 230 Benetutti, 49 Berchidda, 20, 22 Bernabò Brea L., 221 Bianchi U., 228 Bidistili, 102, 103, 224 Biristeddi, 94, 97, 106, 224 Birori, 53 Bithia, 217 Bitti, 192 Bois De Monsieur, 52 Bona Fraule-Siniscola, 230 Bonarcado, 24, 63, 78 Bonnanaro, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25,

27, 43, 49, 50, 57, 60, 78, 94, 106,222

Bononi H., 227 Bonorva, 43, 192, 231 Bopitos, 222 Brandali, 105, 106 Brandis P., 222 Brelich A., 228 Bretagna, 19 Brunku Espis, 194, 217, 227 Brunku Madugui, 13, 14, 15, 16, 19,

25, 43, 77, 80, 88, 94, 142, 221 Brunku Sa Figu, 194 Bucholz H.G., 221, 225 Buddusò, 192Bullittas, 77 Burgos, 63 Busachi, 32, 57

Cabecico De Aguilar, 102Cabras, 98, 135Caere, 132, 133, 215Cagliari, 23, 6!, 103, 221Camico, 10Campavaglio, 105

Cainpeda, 218Campidano, 10, 211Camposanto di Olmedo, 131, 172

Campu Lontanu, 19, 221Canne Fadosu, 229Cannitello, 84Canudedda, 20Capoterra, 62, 120Carbonia, 23, 25, 43Cargeghe, 19Carta N., 105Cartaginesi, 217Casacce (LE), 105Casanili, 105Casta/di E., 221, 222, 223, 228Castelsardo, 184Catalogna, 25Caucaso, 212Cavalupo, 132, 225Cellino San Marco, 21Cerveteri, 132, 213Chercos e s’Iscia, 19Cheremule, 20Chesseddu, 70, 74, 75, 77, 78, 84,

223Cicladi, 19, 102Cipro, 113, 120, 212, 214Cnosso, 30Cocco D., 223Coddu Vecchiu, 21, 43, 106, 222Conca de Janas, 20Concali Corongiu Acca, 61Coni, 168Contu E., 221, 227, 230Corongiu ‘e mari, 23Corsi, 10Corsica, 19, 30, 110Costa Tana, 24Crastu di Ghilarza, 17Creta, 10, 19, 102Cristo fani M., 226Cuccureddì, 106, 109, 224Cuccuru Nuraxi, 57, 168, 223Cuglieri, 64Cuguttu, 23

235

Indice analitico

Page 236: Sardegna Archeologica - La Civilta Nuragica - Giovanni Lilliu

Deberg J., 230Decimoputzu, 51, 139Dedalo, 10Defraia T., 224, 227Delpino F., 225Desulo, 210Dimmi, 30

Doliariova, 229 Doinu Beccia, 49, 57, 60 Domu s’Orku, 51, 66, 68, 160, 198,

222, 227 Domu s’Orku-Sarrok, 35, 39 Dornus de Maria, 217 Domusnovas, 39, 66, 68 Don Michele I, 77 Donnicaglia, 105 Dorgali, 49, 62, 80, 94, 97, 106, 222Dionnoro, 39

Eforo, 213El Ai-gar, 23Elba, 213Elei, 80, 82Elei e Sos Cunzaos, 223Ena e Muros, 223Enas, 105Es Tudons-Ciudadela, 53, 103Esterzili, 106Etruria, 132, 133, 206, 213, 230

Falda della Guardiola, 132 Fedele F., 221 Fenici, 135, 213, 214 Ferrarese Ceruli M. L., 221, 228, 231Filitosa, 110 Finocchito, 84 Florinas, 19 Flumenlongu, 131, 138, 225, 226Fluminimaggiore, 206, 212 Fonni, 22, 39, 72, 77, 78, 102, 217 Fontredones de Baix, 78 Forraxi Nioi, 205, 206, 229 Frades Mereos, Ploaghe, 223 Frida, 63 Friorosu, 19, 32 Funtana Coberta, 168, 223 Funtana Padenti de Baccai, 194, 228 Funtana Sansa, 192, 228

Gallura, 10, 80, 122, 123 Gaudo-Rinaldonc, 25 Gavoi, 80 Gazza di Bolotana, 17 Genna Arrele, 56

Genna Maria di Villanova Forru, 62,64, 136, 137, 142, 144, 205, 217,226

Genoni, 188, 194, 217 Germanà F., 221, 223, 225 Gesturi, 24, 80, 88, 194, 222 Giba ‘e korka, 62 Giorba, 39 Goceano, 19 Gode, 17 Gonnosfanadiga, 206 Goronna, 43, 49, 54, 222 Gras M., 221, 225, 230, 231 Gravisca, 132, 215, 225, 230 Gruttua is Caombus, 176 Guido M., 221 Gurti Acqua, 78 Guspini, 63

Hera, 132Hittiti, 110

Iglesias, 23Iliesi, liIloghe-Dorgali, 97, 224Inghilterra, 19Iolaos, 10, 203, 221lolei, 221Ioni, 134Is Aruttas, 135, 226Is Concias, 53, 222Is Paras, 39, 139Is Pirois, 168Isidoro, 191Isili, 39, 139Ispiluncheddas, 217ittiari, 19Ittireddu, 200lttiri, 23, 49, 188

Jehasse J., 221

Kadesh, illKarnak, 110Konkali, 63Krasta, 63Krastula, 78Kukkuru Craboni, 20

Laconi, 56Ladrofurti, 19Larnarmora A., 221, 224Lanusei, 26, 194Laspiassas, 194Lassia, 17, 53Lazio, 213Leanza Becker A. - Colonna G.,

224

Lebu, IIILei, 22Leortinas, 34Leporeris, 106Li Conchi, 105Lilliu C., 222Liiliu G., 221, 227, 228, 229, 230, 231Li Lolghi, 21, 49, 72, 106, 222Li Muri, 105, 126Li Vignali, 105Lipari, 86, 122, 132, 224Livio, 11, 219Logomache, 72, 74, 75, 77, 78, 84,

139, 144Logudoro, 10Longu, 64Loceri, 63Lo Schiavo F., 221, 229, 230, 231Los Miilares, 102Loss, 35, 64, 66, 68, 69, 77, 139,

168Lugherras, 65, 77, 139, 217, 226Lula, 80, 223Lunamatrona, 24Luogosanto, 105Luristan, 211, 214

M. Arcosu, 190 M. Olòlvica, 192, 298M. Siseri Basso, 81, 178, 224, 228

Macciunita (La), 105 Macorner, 17, 43, 49, 64, 97 Maclzeke, 226 Malchittu, 62, 105, 110, 224 Mann las, 24 Mannucciu, 105 Manunza MR., 227 Mara, 103 Maracalagonis, 20 Maratona, 30 Marfudi, 77, 194 Mariughia, 20 Marmajon, 111 Marnìilla, 54, 194, 204 Mascha’asha, 112 Mastala, 106, 217 Mastino A., 221 Matzanni, 131, 142, 167, 170, 225,

227, 229 Medinet-Habu, ill Meilogu, 97 Meloni p., 221Menidi, 30 Merneptah, 113 Messeri p., 223 Mesu e Montes, 19 Mesu e Rios, 32, 78

236

Page 237: Sardegna Archeologica - La Civilta Nuragica - Giovanni Lilliu

Mesu Enas, 20 Micene 30, 38, 109 Midi, 21, 22, 25, 30, 206 Milani A., 98 Milis, 227 Minorca, 19, 30, 52, 53, 78, 103 Mogorella, 19 Mogoro, 24, 63, 98, 230 Molafà, 19 Mommesent., 191 Monastir, 131, 225 Monte Alvu, 105 Monte Baranta di Olmedo, 13 Monte Claro, Cultura, 13, 14, 15, 20,

24, 25, 29, 49, 61, 222 Monte D’Accodi, 13, 56, 106 Monte Doglia, 105 Monte Idda, 139 Monte Mazzolu, 80, 105 Monte Olladiri, 131 Monte Santa Vittoria, 109 Monte Tuvu, 105 Monti Prama, 98, 135, 201, 203, 204,

226, 229 Montiferru, 97 Moravetti A., 222, 229, 231 Morgongiori, 198 Moseddu, 20 Motrox’ e Bois, 124, 194, 225, 227 Mudegu, 63 Mura Cariasas, 218, 219 Mura Iddari, 20 Muros, 19, 24

Nargius, 63Nastasi, 62, 144, 207Nicosia F. 221, 231Nieddiù, 205Noazza, Birori, 17Noddule, 63Nora, 9, 120, 194Norax, 9, 10, 203Norbello, 54Nule, 183, 212, 230Nuoto, 63, 106, 210Nurachi, 98Nuraddeo, 34Nuragus, 62, 64, 168, 205Nurallao, 205Nurra, 81, 178, 226Nurri, 78, 131Nuvoli MA, 224, 228Nuxis, 14

Oes, 39Ogliastra, 122, 160, 198, 210, 229Olbia, 10, 49, 105, 212, 230Oliena, 60, 132, 230

Ollasteddu, 24Olmedo, 131, 184, 200, 225, 228Olzai, 80Oragiana, 97Oìani, 57, 192Orcadi, 19Orchomenos, 30Oridda, 49, 60, 61, 127, 222Oristano, 211Orku-Nulvi, 228Oì-onte, 111Orroli, 57, 64, 81, 168, 223Orrubiu, 64, 65Ortu Comidu, 30, 62Orune, 20, 97, 168, 192Oschina, 207Ossi, 19, 57, 62, 131Osteria, 132Ut tana, 30, 222Ozieri, Cultura, 17, 25, 26, 27, 29,

51, 61, 62, 103

Paarisheps, 112Pagano M.C., 227Padria, 184, 212, 228Pais E., 221Pallottino M., 221Palmavera, 23, 42, 63, 65, 70, 80,

81, 93, 134, 139, 176, 200, 223Pantalica, 132Pantelleria, 19, 30Parigi, 19Pascialzos, 19Patroni G., 221Pauli Arbarei, 194Paulilatino, 43, 65, 77, 81, 97, 131,

167, 168, 207, 216, 217Pecorini G., 221Pedra Lada, 19Peloponneso, 122Peppe Gallu, 78, 223Perda Floris, 62, 116Perdu Cossu, 54Perdu Pes, 97Perfugas, 168Persia, 211Petit Rade!, 40Pettazzoni R., 228Piano Delle Granate, 132Pin gel F., 221Pinna G., 224, 227Pinza G., 229Pirenei, 52Pirosu-Su Benatzu, 131, 156, 215,

223Pisa, 10, 134, 213PiSCU (Nuraglie), 39, 136, 139

Pistis A.P., 227Pitzinnu, 30, 77, 138, 207, 226Pilzorno B., 223Platanos, 102Plemmirio, 84Plinio, 194Ploaghe, 77, 131Poddi Arvu, Bitti, 192, 228Pohl 1., 226Polada, 25Ponte S. Pietro, 61Populonia, 132, 133, 213, 225Posada, 30, 77, 207Pranu Follas, 24Pranu Nuraci, 64Predio Canopoli, 168, 170Preneste, 133Prisciano, 191Prisciona (La), 77, 139, 144, 226PseudoAristotile, 9Pugliese Carratelli G., 221Puglisi S.M., 223Puisteris, 98Pula, 120Puliga, 63Punta Candela, 80, 105Punta Casteddu, 80, 144, 223Putzolu, 105Pylos, 109Puxeddu C., 222

Quartucciu, 53, 54

Rafal RubiMahon, 52, 53Rainses 111, 112Rainses V, 112Reggio Calabria, 84Riederer i., 221, 229Rinaldone, 61Rodi, 120Roma, 219

S. Antine, 34, 35, 38, 39, 64, 69,77, 139, 194, 200, 216, 226

S. Antioco di Bisarcio, 62S. Barbara, 34, 64, 69S. Cerbone, 132S. Costantino, 56S. Elia, 23, 61S. Francesco D’Aglientu, 105S. Giorgio, 19S. Maria De Iscalas, Osilo, 19S. Miali, 194S. Michele e Tramassunele, 22,

103S. Pietro di Golgo 77, 98S. Sarbana, 34

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Page 238: Sardegna Archeologica - La Civilta Nuragica - Giovanni Lilliu

S. Simeone, 219S. Teresa di Gallura, 105S. Vero Milis, 131S. Vittoria di Serri, 81, 98, 124,

131, 139, 144, 167. 168, 170, 174,176, 178, 180, 188, 204, 217, 227,228

S. Giuseppe di Padria, 13S’Abbaia, 56S’Adde Asile, 19S’Alzoledda e sa Cudina, 77S’Angrone, 20

S’Eligheddu, 218S’Iscala de su casa, 19S’Iscia e sas Piras, 125Sa Costa, 135, 207, 226Sa Coveccada-Mores, 22Sa Domu e s’Orku, 120Sa Figu di Ittiri, 19, 23, 49Sa Figu Niedda, 19Sa Grutta de is Caombus, 198,

227Sa Gruttua Manna, 24Sa Iddazza, 77Sa Jacca, 32, 57, 60Sa Korona di Villagreca, 13, 14,

15, 16, 221Sa Mandra de sa Giua, 62, 131,

178Sa Mura e Su Cau, 218Sanna D., 221Sa Perda Lada, 51Sa Pigalvedda, 77Sa Punta e Santu Marcu, 198Sa Rocca Ruja, 19Sa Sedda C SOS Carros, 132, 229,

230Sa Serra, 64Sa Testa-Olbia, 227Sa Turricula, 24, 222Sa Ucca e Su Tintirriolu; Mara,

103Sa Viuda, Formi. 77Saliu, 190Sanna D., 221San Basilio, 17, 22San Leonardo, 19San Pietro, Torpè, 138, 216, 226,

230, 231San Salvatore di Berchidda, 20San Simeone, 231San Sperate, 200, 229Sant’Alvera, 17Sant’Anastasja di Sardara, 144,

168, 170, 174, 216, 227Santa Caterina, Macomer, 17

Santa Chiara, 105Santa Cristina di Paulilatino, 81,

97, 131, 167, 174, 231Santa Lulla, 192, 228Santa Maria di Tergu, 101, 184,

228Santa Sofia, 63Santadi, 131, 156, 223Santoni V., 221, 231Santu Lisci, 183Santu Perdu, 188Santulussurgiu, 63Sarcidano, 205Sàrdara, 30, 135, 135, 144, 168,

170, 172, 207, 231Sardegna, 9, 10, 30, 32, 39, 51, 56,

57, 61, 84, 86, 97, 98, 109, 113,124, 134, 168, 192, 194, 204, 206,209, 213, 214, 219, 221, 228, 229,230

Sardi, 10, 40, 134, 148Sardo, 10Sardus Pater, 10Sarroch, 116, 120Sas Piras, 19

Sas Puntas, 19Sassari, 29, 124Scanu Montiferro, 32, 34, 35,,

78Scozia, 19Schubart H., 221, 230Sedilo, 56, 97, 98Sempronio Gracco T., 11Seneghe, 78Sennariolo, 34Scnnori, 49Senorbì, 226Serdàioi, 112, 221Serra A., 221Serra F., 227Serra Ilixi, 62Serra Orrios, 80, 81, 82, 106, 109,

136, 142, 144, 223, 224Serri, 81, 98, 124, 131, 144, 167,

170, 172, 174, 178, 184, 200, 207,208, 210, 211, 216, 217, 225, 227,228, 229, 230, 231

Sesklo, 102Settimo S. Pietro, 23, 57, 168Sherdanw, 110, 111, 112, 113, 224Sibari, 221Sicilia, 30, 113, 124, 132Siddi, 51, 54Silanus, 34, 56Siligo, 17Sillacacaro, 20

Simala, 24Sindia, 34Sinis, 64, 203Siracusa, 84Siria, 111Sisaia, 60, 61, 222, 223Sisini, 62Solene, 97Solino, 194Sorbo, 132Sorgono, 139Sos Cunzados, Padria, 184Sos Cunzaos, 80, 82Sos Furrighesos, 19Sos Malavidos, 57, 192, 223Sos Muros, 192, 228Sos Nurattolos, 106Sos Ozzastros, 49, 54Spagna, 9, 102Spanedda, 227Spano G., 221Stoduiski L.P., 229Strabone, 134, 213Strubing, 23 Su Benatzu, 156, 160, 226 Su Bcnticheddu, 230 Su Calarighe, 19 Su Crastu Covaccadu, 43 Su Crucifissu Mannu, 29, 222 Su Cuaddu de Nixias, 24, 25, 43, 51 Su Fochile, 227 Su Igante, 136, 215 Su Lumarzu, 192, 228 Su Molinu, Birori, 17, 78 Su Monte e s’Ape, 49, 106 Su Nurattolu, 17 Su Nuraxi, 23, 34, 35, 39, 62, 64, 65,

69, 77, 81, 82, 139, 142, 144, 170,194

Su Padru, 19 Su Putzu, 57, 81, 168 Su Senzu, 24 Su Serrau de S’Arriu, Abbasanta, 49 Su Stradoni de Dcximu, 200 Su Tempiesu, 97, 168, 170 Sa Ucca e su Tintirriolu, 103Sucredu, 49

Sulcis, 51, 54, 122, 190 Sulluli, Urzulei, 207 Suni, 34, 78

Tadasuni, 131 Taerra di Berchidda, 22 Talana, 20 Tamahenu, 112 Tamuli, 43, 49, 54, 56, 224 Tana-Gesturi, 204

238

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Tanca Manna, 78 Tanca Orrius, 49 Tanca sa Marchesa, 17 Tanca Regia, 49 Tanda G., 221 Tanì, Carbonia, 23, 25, 4,3 Taramelli A., 221, 223, 227, 228, 229,

231Tarquinia, 213, 225 Tartesso, 9 Tebe, 102 Tempio, 105 Terralba, 230 Tertenia, 62, 63, 207 Teti, 57, 98, 183 Thapsos, 30 Tharros, 135, 194Thiesi, 17Thinnne J., 221, 231Thornes, 49, 94, 222, 224Tirinto, 30, 109Tissi, 19Tore G., 221, 225Torpé, 77, 138, 226, 230, 231

Torralba, 34, 39, 64, 77Trexenta, 54Trobas di Lunamatruna, 24Troia, 109Tronchetti C., 229Trump D., 21Tuili, 194Tusa V., 225Tusari, 17

Ugas G., 221, 229, 231Upton Lovell-Wilis, 30Urartu, 212, 214Uras, 49, 57Un, 70, 78, 136, 215, 223Urzulei, 160, 198, 207, 211, 230Usai E., 227Usai L., 223Usellus, 124, 194, 230Usini, 19, 125Uta, 190, 208, 209

Valenza, 64Valle dell’Isalle, 62

Vallermosa, 131, 167Vetulonia, 132, 133, 213, 225Vigna Marina, 105Villacidro, 230Villagreca, 13Villamassargia, 61Villanovaforru, 62, 64, 136, 137,

144, 205, 217, 231Villanovafranca, 78Villanovatulo, 229Villaputzu, 168Villasor, 230Viterbo, 61Vivanet F., 229Vod ret F., 229Vulci, 132, 213, 225

Zervos C., 221, 227, 228, 231

Wessex, 30

239

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Page 241: Sardegna Archeologica - La Civilta Nuragica - Giovanni Lilliu

Indice generale

Pag.Presentazione 5ETA’ DEL BRONZOFase I: 18001500 a.C. 13ETA’ DEL BRONZOFase II: 15001200 a.C. 30ETA’ DEL BRONZOFase III: 1200900 a.C. 62ETA’ DEL FERROFase IV: 900500 a.C. 131ETA’ DEL FERROFase V: 500238 a.C. 217Bibliografia 221Indice analitico 235

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Finito di stamparenel mese di aprile 1999

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