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36 Chi sa, pracato, Decesse: Via, ca t'aggio perdonato. chi sa mai che, placato, dicesse: - Suvvia, ti ho perdonato! Viato me si aggio sta fortuna! Che maje pozzo cchiú desiderare? O Maria - Speranza mia, Ment'io chiango, prega Tu: Penza ca pure Si fatta Mamma de li peccature. Beato me, se ho questa fortuna! Che mai altro posso desiderare? O Ma- ria, speranza mia, mentre io piango, Tu prega: pensa che sei divenuta madre anche dei pecca- tori. Santo Natale 2010 Quale occasione migliore dell’approssimarsi delle festività natalizie e dell’attesa “gioiosa” del Natale per esprimere la gioia di essere in mezzo a voi? É già emozione per me e soddisfazione avere la possibilità di dare a voi faetani per la prima volta, singolarmente, idealmente, gli Auguri di Buon Natale nella veste di primo cittadino di Faeto. Vi vedo intenti in meticolosi preparativi nelle case, in chiesa, a scuola. Ed è una cosa bella...: non lasciamo le nostre belle e semplici tradizio- ni, non lasciamo che esse diventino solo un ri- cordo e facciamo sì che il momento di convivia- lità, segno di festa, risvegli in noi il senso di “comunione” e di “condivisione” della vita. Solo insieme si può arrivare lontano, solo con l’armonia e la concordia si superano le difficol- tà. Comune di Faeto Il Sindaco

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Chi sa, pracato, Decesse: Via, ca t'aggio perdonato.

chi sa mai che, placato, dicesse: - Suvvia, ti ho perdonato!

Viato me si aggio sta fortuna! Che maje pozzo cchiú desiderare? O Maria - Speranza mia, Ment'io chiango, prega Tu: Penza ca pure Si fatta Mamma de li peccature.

Beato me, se ho questa fortuna! Che mai altro posso desiderare? O Ma-ria, speranza mia, mentre io piango, Tu prega: pensa che sei divenuta madre anche dei pecca-tori.

Santo Natale 2010

Quale occasione migliore dell’approssimarsi delle festività natalizie e dell’attesa “gioiosa” del Natale per esprimere la gioia di essere in mezzo a voi?

É già emozione per me e soddisfazione avere la possibilità di dare a voi faetani per la prima volta, singolarmente, idealmente, gli Auguri di Buon Natale nella veste di primo cittadino di Faeto.

Vi vedo intenti in meticolosi preparativi nelle case, in chiesa, a scuola. Ed è una cosa bella...: non lasciamo le nostre belle e semplici tradizio-ni, non lasciamo che esse diventino solo un ri-cordo e facciamo sì che il momento di convivia-lità, segno di festa, risvegli in noi il senso di “comunione” e di “condivisione” della vita.

Solo insieme si può arrivare lontano, solo con l’armonia e la concordia si superano le difficol-tà.

Comune di Faeto

Il Sindaco

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Prima di pensare ad un futuro radioso per il nostro amato paese mi piace pensare che in ogni casa di Faeto ci sia pace e serenità, pace e sere-nità che deriva soprattutto dalla forza dei lega-mi, che è la vera forza.

Insieme agli Auguri miei e di tutta l’Ammini-strazione che con me sta lavorando vi sia gradi-to un piccolo omaggio scritto dalla dott.ssa Ma-ria Antonietta Cocco, un omaggio fatto di paro-le, di simboli, di significati, di parole come vei-colo della confidenza, come espressione della vicinanza e dell’”appartenenza” alla nostra a-mata Faeto.

Ai bambini vorrei dire di godersi questo pe-riodo felice di festa e di vacanza, ma di ricorda-re che la vita, come è giusto che sia, non è solo fatta di capatine sulla neve, di dolci e di regali, ma è fatta anche di impegno e di serio lavoro.

A tutti voi sinceri Auguri di un Felice Natale e di un prospero Anno Nuovo!

Dott. Mag. Giuseppe Cocco Sindaco di Faeto

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Co’ Nínno bello Comme nce sta lo voje e l'aseniello.

con il Bimbo bello, co-me ci stanno il bue e l’a-sinello

Nennillo mio, Tu sí sole d'ammore, Faje luce e scarfe pure ‘o peccatore Quanno è tutto - níro e brutto Comm'a pece, tanno cchiú Lo tiene mente, E ‘o faje arreventa’ bello e sbrannente.

Bambino mio, Tu sei sole d’amore, illumini e riscaldi anche il peccato-re: quando è tutto nero e brutto come la pece, tan-to più tu lo guardi e lo fai diventare bello e splendente.

Ma Tu mme diciarraje ca chiagniste, Accíò chiagnesse pure ‘o peccatore. Aggio tuorto - haje fosse muorto N'ora primmo de pecca’! Tu m'aje amato, E io pe’ paga’ t'aggio maltrattato!

Ma tu mi dirai che pian-gesti affinché piangesse pure il peccatore. Ho torto, ahi! Fossi io morto un’ora prima di peccare! Tu mi hai amato e io, per ripagarti, Ti ho maltrat-tato (peccando).

A buje, uocchie mieje, doje fontane Avrite a fa’ de lagreme chiagnenno Pe’ llavare – pe’ scarfare Li pedilli di Gesù;

E voi, occhi miei, dovete diventare due fontane di lacrime, piangendo, per lavare, per riscaldare, i piedini di Gesù:

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Cantanno po’ e sonanno li Pasture Tornajeno a le mantre nata vota: Ma che buo’ ca cchíú arrecietto Non trovajeno int'a lu pietto: A ‘o caro Bene Facevan' ogni poco ‘o va e biene.

Cantando e suonando, poi, i pastori tornarono nuovamente alle loro greggi. Ma che vuoi far-ci, essi non trovavano più requie nel loro petto. E per il loro caro Bene facevano ogni tanto il va e vieni.

Lo ‘nfierno sulamente e i peccature ‘Ncoccíuse comm'a isso e ostinate Se mettetteno appaura, Pecchè a scura - vonno sta’ Li spurteglíune, Fujenno da lo sole li briccune.

Solo l’inferno e i pecca-tori, che sono, come l’in-ferno, testardi e ostinati, ebbero paura, poiché nelle tenebre vogliono stare i pipistrelli, fuggen-do, i bricconi, dalla luce del sole.

Io pure songo niro pec-catore, Ma non boglio esse cuoccio e ostinato. Io non boglio cchiú pec-care, Voglio amare - voglio sta’

Anche io sono nero pec-catore, ma non voglio essere testardo ed ostina-to; non voglio più pecca-re; voglio amare, voglio stare .

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NATALE A FAETO

di

Maria Antonietta Cocco

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Il Natale tra simboli e significati Nessuna festa è forse più bella, più commovente e si-gnificativa del Natale. Ogni famiglia faetana, in quel giorno solenne, si ritrova unita e raccolta, si ricompone, riscopre e rinsalda più profondamente, nell’intimità del-la casa, i vincoli del sangue e degli affetti più puri. Molti faetani sono fuori per lavoro, moltissimi quelli emigrati all’estero nel dopoguerra... allora chi è lontano cerca di ritornare a Faeto, soprattutto se qui ha ancora dei legami familiari, perché il Natale va vissuto serena-mente accanto ai genitori, ai figli, alle sorelle, ai fratelli, al coniuge: non c’è modo più espressivo né occasione migliore per realizzare il significato più vero del Natale. E allora l’albero, ma più ancora il presepe, diventano simboli “autentici” del giorno della nascita di Cristo, che ricorda l’inizio di una nuova era nella storia del mondo, dell’umanità, degli individui, riafferma la nasci-ta di una nuova vita, riconferma il valore dei sentimenti umani, dello spirito di fratellanza, di pace, di concordia. Sentimenti, questi, già molto presenti nella vita quoti-diana del popolo faetano d’un tempo, che trovava in essi, fra mille stenti, la forza di andare avanti. Quanto più, dunque, il Natale era allora il giorno della rinascita: ci si sentiva più buoni, inteneriti, si dimentica-vano gli affanni, ricordandosi, nella propria povertà, della povertà e delle sofferenze degli ancor più miseri e degli afflitti. Ma il faetano sapeva così, che il Natale era festa per tutti, che nei limiti delle proprie possibilità aveva dato una mano a chi ne aveva bisogno, e perciò senza rimorsi né ombre poteva godere, nel seno della famiglia, le gioie

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Viene suonno da lo Cie-lo, Viene e adduorme ‘sso Nennillo; Pe pietà, ca è peccerillo, Viene suonno e non tar-da’. Gioia bella de sto core, Vorria suonno arreventa-re,

Vieni, sonno, giù dal cie-lo, vieni e addormenta questo Bambinello, per pietà, perché è piccolino, vieni sonno, non tardare. Gioia bella di questo cuore, vorrei diventare sonno, per farti addor-mentare dolcemente que-sti begli occhi.

Doce, doce pe’ te fare ‘Ss'uocchíe bell'addor-menta’. Ma si Tu p'esser'amato Te sí fatto Bammeníello, Sulo ammore è o sonnarí-ello Che dormire te pò fa’.

Ma se Tu, per essere a-mato, ti sei Bambinello, solo amore è quel dolce sonnellino che può farti dormire.

Ment'è chesto può fa non-na, Pe Te st'arma è arza e bona. T'amo, t'a’... Uh sta can-zona Già t'ha fatto addobea’! T'amo Dio - Bello mio, T'amo Gíoja, t'amo, t'a’...

Se è così, puoi fare la nanna, per Te quest’ani-ma è bell’e arsa. Ti amo, ti amo… o! questo canto già ti ha fatto appisolare. Ti amo, Dio, bello mio, gioia mia, Ti amo, Ti amo.

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Le Mmane ‘ncapo e li benedicette.

la mano sul loro capo e li benedisse.

Piglianno confedenzia a poco a poco, Cercajeno licenzia a la Mamma: Se mangiajeno li Pedille Coi vasille - mprimmo, e po’ Chelle Manelle, All'urtemo lo Musso e i Mascarielle.

Prendendo confidenza un po’ alla volta, chiese-ro il permesso alla Mam-ma: a furia di baci, si mangiarono prima i pie-dini, poi quelle manine ed infine il visetto e il ganascino.

Po’ assieme se mettetteno a sonare E a canta’ cu l'Angiule e Maria, Co’ na voce - accossí do-ce, Che Gesú facette: a aa... E po’ chiudette Chill'uocchie aggraziate e s'addormette.

Poi presero a suonare e a cantare con gli Angeli e con Maria, con una voce così dolce che Gesù sba-diglio, quindi chiuse gli occhi graziosi e si addor-mentò.

La nonna che cantajeno mme pare Ch'avette ‘a esse chesta che mo’ dico. Ma ‘nfrattanto - io la can-to, Mmacenateve de sta’ Co li Pasture Vecino a Ninno bello vu-je pure.

Mi sembra che la ninna nanna era più o meno quella che adesso vi di-co: ma mentre che io la canto, immaginatevi di stare anche voi, insieme ai Pastori, accanto al mio bel bambino.

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della mensa, con un senso rassicurante di benessere e di felicità. Ancor oggi, come lo è sempre stato per la comunità di Faeto, è giorno di commozione profonda, il Natale, in cui si attingono nuove forze e speranze dal contatto a-perto e fiducioso con gli altri, dalla certezza di un pro-ponimento che ogni faetano sente sorgere in se stesso e indovina negli altri. Il benessere odierno e soprattutto questa felicità di pro-positi non fanno dimenticare, ed infatti i faetani non rie-scono a dimenticare, neppure a Natale, che intanto il male, la miseria, il dolore, sono là, in agguato, in attesa. Il ricordo di chi soffre, o è infelice, o è lontano dai suoi cari, ispira il proposito fermo di contribuire a trasforma-re la vita, a renderla migliore, più alta, più serena per ognuno e per tutti. E questo perché il faetano è radicato in una profonda radice cristiana. Solo così, in fondo, la festa della nascita del Salvatore può avere un senso: Cristo ha insegnato il bene, ha indi-cato le vie della pace, della giustizia, della fratellanza, ed il faetano, come del resto ogni uomo, ha il dovere di impegnarsi a realizzare la Sua legge d’amore, come il Natale ricorda ed impone. In tal modo, la pace serena delle case, la tranquillità gioiosa delle strade, la felicità delle famiglie, saranno secondo il precetto della giustizia e del bene, dell’amore e della gioia che è nelle speranze e negli auguri di ogni creatura, nel giorno di Natale.

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I preparativi e la festa nelle famiglie

Fa freddo e piove o nevica a dicembre, a Faeto, ma ven-gono fuori anche delle splendide giornate, con un sole asciutto in un cielo cristallino, d’un azzurro profondo e pulito, un freddo secco e pungente, che fa bene e riscal-da il sangue. La generale atmosfera festiva, per l’approssimarsi delle festività natalizie, l’euforia, l’entusiasmo, l’attesa, crea-no un clima gioioso, allegro. Per Natale, un tempo, per lo più ogni famiglia di Faeto aveva ucciso il maiale. Ma i preparativi strettamente attinenti alla festa comin-ciavano un po’ prima dell’8 dicembre, festa dell’Imma-colata, data in cui doveva essere allestito, con tutta cura, il più bel presepe possibile, riciclando ogni anno vecchi pupazzi (se erano di gesso, di terracotta o di legno), o costruendone di nuovi con l’argilla presa lungo i fiumi, ogni anno cercando comunque di dare al presepe un toc-co di novità... I bambini soprattutto ne erano gli artefici, con l’aiuto degli adulti: con tutto l’entusiasmo possibile si apprestavano a raccogliere, nei boschi dintorni, mu-schio, vischio e pungitopo e con la gioia e la spontaneità che solo i bambini hanno, si mettevano all’opera gu-stando ogni momento di quel rito, improvvisandosi arti-sti... Ed ecco che il presepe pian piano prende forma: qui uno specchietto che funge da laghetto per le pape-rette, lì la lavandaia, delle case costruite con il cartone... il ciabattino, il fabbro, il pastore e le pecorelle, le mon-tagne, il cielo stellato... la farina o il cotone idrofilo per tracciare i sentieri, la capanna con la stella cometa, Giu-seppe, Maria, il bue e l’asinello, gli

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Zombanno, comm'a cie-reve ferute, Correttero i Pasture a la Capanna; Là trovajeno Maria Co’ Gíuseppe e a Gioia mia; E 'n chillo Viso Provajeno ‘no muorzo 'e Paraviso.

Saltando come cervi fe-riti, i pastori corsero alla capanna; lì trovarono Giuseppe con Maria e con la mia Gioia e in quel viso ebbero un as-saggio del Paradiso.

Restajeno ‘ncantate e boccapierte Pe’ tanto tiempo senza di’ parola; Po’ jettanno - lacreman-no

Restarono incantati a boccaperta, per lungo tempo, senza dir parola. Poi, gettando, in lacrime,

Nu suspiro pe’ sfoca’, Da dint' ‘o core Cacciajeno a migliara atte d'ammore.

un sospiro per dare sfogo (ai loro sentimenti). Dal profondo del cuore ma-nifestarono con mille gesti il loro amore.

Co’ a scusa de donare li presiente Se jetteno azzeccanno chiano chiano. Ninno no li refiutaje, L'azzettaje - comm'a ddi’, Ca lle mettette

Con la scusa di fargli i loro doni andarono acco-standosi piano piano; il Bimbo non rifiutò i loro doni, li accettò, (mostrando il gradimen-to) con il porre

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La terra è arreventata Para-viso.

la terra è divenuta Paradi-so.

A buie è nato ogge a Bet-tlemme D' ‘o Munno l'aspettato Sarvatore. Dint'i panni’ o trovarrite, Nu potite - maje sgarra’, Arravugliato, E dinto a lo Presebio cur-cato.

Oggi in Betlemme è nato l’atteso Salvatore del mon-do. Lo troverete, non potete sbagliarvi, avvolto nelle fasce e adagiato nella mangiatoia

A meliune l'Angiule calare Co’ chiste se mettetten' a cantare: Gloria a Dio, pace in terra, Nu cchiú guerra - è nato già Lo Rre d'ammore, Che dà priezza e pace a ogni core.

A milioni calarono dal cie-lo gli Angeli e insieme al primo si mise-ro a cantare: - Gloria a Dio, pace in ter-ra: non più guerra, è ormai nato il Re di Amore che ad ogni cuore dà con-tentezza e pace.

Sbatteva ‘o core mpietto a ssí Pasture; E l'uno 'nfaccia all'auto diceva: Che tardammo? - Prie-sto, jammo, Ca mme sento scevoli’ Pe’ lo golío Che tengo de vedé’ sso Ninno Dio.

A questi pastori il cuore batteva in petto e l’uno diceva all’altro: - Perché aspettiamo? Presto, an-diamo che mi sento im-pazzire per il desiderio che ho di vedere questo Bimbo Dio.-

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angeli... il trasportatore di botti di vino, il suonatore di flauto, il fanciullo che dorme sotto l’albero (delle pianti-ne di asparago, “le sparaghere”). In lontananza, i re Ma-gi, e a cornice di tutto il presepe, come un muro di cinta, dei bei ciocchetti di legno aggraziati. Poi era la volta dell’albero di Natale: il babbo andava a tagliare nelle piantagioni un albero di pino (“lu pigne”) e vi si appendevano mandarini, arance, mele... del coto-ne idrofilo anche sull’albero... per le candeline, si pote-vano usare anche quelle delle torte di compleanni, ma bisognava stare attenti nel tenerle accese. Il muschio serviva anche per fare anche il presepe a scuola e in chiesa, dove veniva preparato generalmente dai giovani. Intanto in chiesa iniziava la novena di Natale, partecipa-tissima, durante la quale si cantavano dei canti specifici della Novena. In casa c’era il desiderio e la trepidazione di dover pre-parare le frittelle, il desiderio di mangiar pesce (dato che praticamente si mangiava pesce solo a Natale) e la preoccupazione di procurarselo per tempo: il baccalà si comprava tre o quattro giorni prima perché veniva mes-so a bagno; l’anguilla e il capitone si compravano il giorno dell'antivigilia o la Vigilia stessa. Oltre ai riven-ditori locali (es: “da zia Attilje de Bucce” ai Quattro Cantoni, venivano anche dei venditori ambulanti da fuori a vendere il pesce (ce n’era uno, ad esempio, che veniva da Lesina e gridava: “Lésene è sèmpe Lésene… vaje a pegljà lu pesce a la padrone..."). Si faceva la spesa, più abbondante del solito, per tutto ciò che doveva servire per Natale: la carne (se non era quella di maiale o di gallina o galletto che già si teneva

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in casa); le arance, l’uva passa. Ai tempi in cui era operante a Faeto l’Azione Cattolica le donne e le giovani giravano per le case e raccoglieva-no offerte (farina, noci, mele, arance, grano, lardo, uo-va) che portavano poi ai più bisognosi, ai bambini, agli anziani, il giorno della Vigilia. La festa vera e propria iniziava il mattino della Vigilia, quando le donne per colazione preparavano le frittelle che avevano impastato durante la notte: nell’olio bollen-te di un tegame sul fuoco le “pettole” o le “pizze fritte” assumevano le forme più disparate... per la gioia dei più piccoli. Per pranzo si consumava solo insalata di baccalà e insa-lata di arance e olive nere, di cavoli sbollentati. La sera della Vigilia si imbandiva la tavola: dopo l’insa-lata di arance e olive, di cavoli, peperoni, cetriolini, pe-re, mele, nespole e cipolle sott’aceto si mangiavano i capelli d’angelo con le alici, in bianco, quindi l’anguilla a zuppetta con il pomodoro, l’anguilla e il baccalà al forno, anguilla, capitone e baccalà sulla graticola, “la spunzate”, cartellate, frittelle e mandorle affogate nel cioccolato. Poi tutta la famiglia andava alla Messa di mezzanotte e al ritorno, quando era nato il Bambinello, si poneva nel-la mangiatoia del presepe “Gesù Bambino”.

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A ‘no paese che se chiam-ma Ngadde, Sciurettero le bigne e a-scette l'uva. Ninno mio sapuritiello, Rappusciello - d'uva sí Tu; Ca tutt'amore Faje doce ‘a vocca, e po’ mbriache ‘o core.

In un paese che si chiama Engaddi fiorirono le viti e spuntò l’uva. Bimbo mio, così saporito, tu sei un grappoletto d’uva: perché, tutto amore, rendi dolce la bocca e ine-brii il cuore.

Non c'erano nemmice pe’ la terra, La pecora pasceva co’ lio-ne; Co’ e’ caprette - se vedette ‘O liupardo pazzea’; L'urzo e ‘o vitiello E co’ lo lupo 'npace ‘o pe-coriello.

Non vi erano nemici sulla terra; la pecora pascolava con il leone. Si vide il leopardo giocare con le caprette. Ci fu pace tra orso e vitello e tra lupo e agnello.

Se rrevotaje nsomma tutt'o Munno, Lu cielo, ‘a terra, ‘o mare, e tutt'i gente. Chi dormeva - se senteva Mpiett'o core pazzea’ Pe la priezza; E se sonnava pace e con-tentezza.

Insomma, tutto il mondo fu scombussolato: il cielo, la terra, il mare e tutta la gente. Chi dormiva si sentiva il cuore balzargli in petto per la felicità e sognava pace e gioia.

Guardavano le ppecore i Pasturi, E ‘n'Angelo sbrannente cchiú d’ ‘o sole Comparette - e le dicette: No ve spaventate no; Contento e riso

I pastori erano a guardia delle greggi e un Angelo, splendente più del sole apparve e disse loro: - No, non temete. C’è felicità e riso:

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Quanno nascette Ninno Quanno nascette Ninno a Bettlemme Era nott' e pareva miezo juorno. Maje le Stelle - lustre e belle Se vedetteno accossí: E a cchiú lucente Jett'a chíamma’ li Magge all'Uriente.

Quando il Bimbo nac-

que

Quando il Bimbo nacque a Betlehem, era notte eppure sembrava mezzogiorno. Mai furono viste le stelle Così luminose e belle: La più lucente delle stelle andò a chiamare i Magi in Oriente.

De pressa se scetajeno l'au-cielle Cantanno de ‘na forma tutta nova: Pe ‘nsí l’agrille – co’ li strille, E zombanno a ccà e a llà: È nato, è nato, Decevano, lo Dio, che nci'à criato

Subito si svegliarono gli uccelli e cantarono in maniera com-pletamente nuova; persino i grilli, con i loro versi, e saltellando qua e là, dice-vano: È nato, è nato il Dio che ci ha creato

Co’ tutto ch'era vierno, Ninno bello, Nascetteno a migliara rose e sciure. Pe'nsí o ffieno sicco e tuo-sto Che fuje puosto - sott'a Te, Se 'nfigliulette, E de frunnelle e sciure se vestette.

Nonostante fosse inverno, o bel Bambino, a migliaia nacquero rose e fiori. Persino il fieno, inaridito e duro, quando fu posto sotto di Te, rifiorì e si rivestì di foglioline e fiori

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La cucina e il Natale: i piatti tipici della tradizione

ed i dolci natalizi

Perché il Natale riesca bene, deve nevicare. In un clima di letizia e serenità conforta lo spettacolo delle famiglie rimaste gioiosamente intorno alla tavola imbandita riccamente, mentre fuori nevica dolcemente, anche nelle case in cui quell’abbondanza di un’ora sarà pagata con sacrifici di lunghi giorni, il che accadeva non di rado presso la maggioranza delle famiglie faeta-ne di una volta, in cui la differenza tra la semplicità quotidiana e la solennità del pasto natalizio, era notevo-le. Ma esso bisognava che fosse pantagruelico: i piatti non soltanto erano infiniti (secondo la tradizione dovevano essere nove), ma ciascuno d’una omerica abbondanza. Lo stesso piatto de “la spunzate” era detto “il nove pa-sti”, comprendendo in esso nove ingredienti: cavoli, pa-tate, noci, uva passa, sedano, baccalà, anguilla, olio, ci-polla. Come anche “lu racanà”, anch’esso di nove. E anche la famigerata insalata riuniva in sé nove ingre-dienti, in realtà molto semplici. Ma ogni pietanza, sep-pur semplice, contribuiva a rendere il pasto ricco e inso-lito. Per il pranzo di Natale si preparava pasta fatta in casa (laccetti o orecchiette) al ragù di carne di maiale o di agnello; per la sera arrosto di galletto o di agnello. A S. Stefano si cucinavano tagliolini in brodo di cappo-ne e la sera si cenava con ciò che era avanzato, con sal-siccia o soppressata. Arance, mandarini, castagne, mele, pere, mettevano al-legria, con i loro colori e profumi, ad ogni festa, insieme

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a vino, tarallucci, rosolio e dolcetti vari, che era anche ciò che si offriva agli ospiti, durante il tradizionale giro per gli Auguri a parenti, conoscenti, comari...

“LA SPUNZATE” In una pentola di terracotta si dispongono a strati cavoli sbollentati appena e un poco di acqua; quindi le patate, poi il baccalà, infine l’anguilla: ogni strato si condisce con olio, noci, uva passa, sedano, cipolla. Si aggiunge altra acqua, fino a una certa altezza. Nella zuppa si in-tingono fette di pane.

ZUPPETTA DI BACCALÀ O DI ANGUILLA Più semplicemente la zuppa può avere come ingrediente base il baccalà (lessato e pulito) o l’anguilla: in una cas-seruola si mette olio, aglio, prezzemolo e pomodori; si aggiungono acqua e patate a pezzetti. Quando queste sono a metà cottura si inserisce nella zuppa il baccalà o l’anguilla. La zuppetta va consumata con il pane.

“LU RACANÀ” (ANGUILLA E BACCALÀ AL GRATIN) In una teglia con un po’ d’olio si dispone uno strato di patate a fette, insieme a pomodoro, aglio, origano, prez-zemolo, uva passa e olio; poi se ne dispone un altro di baccalà, con gli stessi odori, e un altro ancora di anguil-la, sempre condito alla stessa maniera. In ultimo si co-sparge sul preparato mollica di pane e un filo d’olio e si mette in forno.

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e cascano quando aprono il volo Nanna, nanna Angioletti portategli quel sonno che cantava con l’Angelo Sant’Anna quando cullava in seno la Madonna Luna e stelle portategli quel sonno Che cantava col cielo la Madonna Quando cullava il Figlio alla capanna Pace e sonno, pace e sonno, pace e sonno. Scendi dal Paradiso Scendi dal Paradiso o Salvator del mondo il viso tuo giocondo è mia felicità Vieni, vieni, vieni o Redentor Vieni, vieni a nascer nel mio cor! Scendi dal Paradiso o caro mio Signore; t’aspetto con fervore, a Te voglio cantar Vieni, vieni ecc.

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Dormi Bellissimo Dormi bellissimo Pargolo biondo gioia degli Angeli Vita del mondo soave zeffiro scende nel cuor sopra cerulei occhi d’amor. Sogno le vergini candidi gigli Sogno i tuoi Pargoli fior di vermigli Le rose balsami di bel mattino, sogno Il mio piccolo vivo Bambino. Non ti destarono i baci miei Baciarti o Pargolo sempre vorrei Vorrei dolcissimo, dei cuori il Re Cantando vivere sempre con te. Nanna Nanna, nanna, nanna Aperto si è il giardino son bianchi i gigli e gli alberi turchini son d’oro i garofani e le rose uno stuolo d’angioletti ci si posa vi è l’aria e si muovono le piante e gli angioletti ci si fanno un canto Nanna, nanna, nanna Il Figlio mio si reca tutto allegro a raccogliere le pietre preziose e gli angioletti brillano sull’ali

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DOLCI NATALIZI “Pettle” (Frittelle) 1 kg di farina 3 uova 3 patate lesse passate al passaverdura 1 cubetto di lievito acqua tiepida q. b. un pizzico di sale uva passa (a piacere) Bisogna impastare gli ingredienti in modo da ottenere un impasto morbido che si lascerà lievitare per un’ora. In una ciotolina si versa un po’ d’olio per bagnarvi un cucchiaio ogni volta che con questo si prenderà la por-zioncina di impasto, la quale più facilmente scenderà dal cucchiaio per finire nell’olio bollente e darà ogni volta forma alle “pettole”. Una volta fritte, le “pettole” vengono poste in una zup-piera con della carta assorbente e cosparse di zucchero, sale o miele. “Pizzefritte” (Frittelle) Le “pizze fritte” si preparano con la pasta di pane (farina, lievito, patate, sale, acqua). Quando l’impasto è pronto e lievitato (la pasta di pane si può prendere diret-tamente al forno), si passa sulla spianatoia e con il col-tello si taglia a pezzetti, cercando di dare ad ognuno di essi una forma diversa: rotonda con il buco al centro,

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ovale simile a una paperetta o a mille altri disegni... Alla fine una spolverata di zucchero o sale e le frittelle van via come ciliegie... “Taralle crescì” (Tarallucci al vino) 1 kg di farina lievito 1 bicchiere di olio 1 bicchiere di vino semi di finocchio un pizzico di sale I tarallucci al vino si chiamano "cresciuti" perché la loro pasta è trattata con il lievito: essa va lavorata per molto tempo, fino a che risulti liscia e si deve, appunto, lasciar lievitare per un'ora, un'ora e mezza. In seguito si fanno dei cordoncini di pasta e vi si dà la forma del tarallo. I taralli così ottenuti si lasciano ancora a “crescere” sul-la spianatoia e si calano poi, cinque o sei per volta, in una pentola di acqua bollente; si tolgono dal fuoco dopo neanche 5 minuti con la schiumarola e si passano in ac-qua fredda. Prima di portarli al forno si fanno asciugare sulla spianatoia. “Scartellate” (“Cartellate”) 1Kg di farina 200 gr. di olio 200 gr. di zucchero

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CANTI

Popolo di poeti e di cantori, quello faetano (la Corale “Nuova Provenza” si esibisce anche in un concerto na-talizio con canti elaborati a più voci). Ecco solo alcuni esempi delle canzoni più antiche del repertorio natalizio popolare, canzoni ancora “vive” nel-la memoria dei più anziani. Nell’alta notte fulgida Splendono in ciel le stelle Ai Betlemisti pascoli Pascevan le pecorelle E nel silenzio udiasi La voce dei pastori Gloria, o Signor dei secoli Gloria o gran Re divino Che per amor dei miseri Veniste a noi Bambino E da una pura Vergine Volesti il tuo Natale Squillò improvviso un cantico Di mille angioli in coro Che pel fiammante etere Battean l’ali d’oro E già nunziando agli uomini Il vate Redentore

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pe tutte la case, le giarle vaccanne

se imperunt de leje fri-sche. Pe tutte la stanze o fe-scitte na

lissa rose, cumme selle de lu palazze de lu Raje e l'enfan bianche e

bionde, i stave chiù: gli eve sparì denghien a sella lissa rose. E tutte lu sentevant din-ghienne

lu cuore pettocche i a-vant quanescì ch'a eve Gesù Bambino.

per tutta la casa, le vuote brocche

si riempirono di latte fre-sco. Improvvisamente la stanza si illuminò

come il palazzo

del Re e il bambino bianco

e

biondo, non c'era più: era sparito

in quella grande luce. Tutti lo sentivano dentro il cuore

perchè avevano cono-sciuto che era

Gesù Bambino.

Marella Giovanna

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4 uova vino bianco q.b. Dopo aver versato la farina sulla spianatoia si aggiungo-no via via gli altri ingredienti: il tutto deve essere impa-stato per parecchio tempo. La fase successiva sarà quella di stendere l’impasto con il matterello tirando delle sfoglie sottili. Le sfoglie, poi, si ritagliano a strisce, a mo’ di fascette lunghe 30 cm. circa e larghe 4. Queste fascette di pasta vengono “ricamate” tutt’intorno dalla rotellina dentellata e ripie-gate su se stesse per tre o quattro giri, in modo da for-mare una rosa. Si lasciano asciugare; infine le “cartellate” si friggono nell’olio e si adagiano su carta assorbente: sopra si versa miele e vincotto. “Mènnele” atterrà” (Mandorle affogate nel cioccolato) Cioccolato fondente mandorle tostate (100 gr., per ogni 100 gr. di cioccola-to) Si mette una pentola con l’acqua sul fuoco e sopra a questa una zuppiera con il cioccolato per farlo scioglie-re a bagnomaria: quando il cioccolato è sciolto si uni-scono anche le mandorle precedentemente tostate e si mescola. Con un cucchiaio si prendono le mandorle im-pregnate di cioccolato e si adagiano su carta stagnola. Quando si saranno raffreddate si pongono nel piatto, pronte per il dessert e per gli ospiti...

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N.B. Questo dolce si può fare anche con le noci invece che con le mandorle, seguendo lo stesso procedimento. “La croccante” (Torroncini di noci o ceci) noci o ceci zucchero In un pentolino sul fuoco si fa caramellare lo zucchero, girando con un cucchiaio di legno, e vi si calano le noci a pezzettini, sempre mescolando: quando tutto è amal-gamato si mette il composto su marmo e dopo 4/5 mi-nuti si taglia a pezzetti.

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a le case de lo ricce e na fenne

lu dunatte un sòlde naje

e un piezze de pan dije. L'infan i vulive né pan né sòlde

i vulive etre sule acca-rezzà

e sentije na parola bun-ne. U derrije i tuzzelatte a la casètte

de na fenne, che se chiammave Marta: “’N ‘nfan,’n 'nfan!", i repeterunt le uaje de lo quattrà; Marta i pregnitte selle 'nfan

pe la manne e se lu stre-gnitte u cuore

cumme o fisse sta sa ma-re. U fucurije o 'mpezzevant sule dò tezzun. L'arje gli eve fràjete. Proprje a selle mumènte u auzatte

na ampa rose denghien u fucurije; na dore de pan cià se sentitte

alle case dei ricchi e una donna

gli diede un soldo nero

e un pezzo di pane duro. Il bambino voleva né pane né soldi voleva essere solo acca-rezzato

e sentire una parola buo-na. In ultimo bussò a una casupola

di una donna che si chia-mava Marta: "Un bambino, un bambi-no!", ripeterono

in coro i ragazzi; Marta prese quel bambi-no

per la mano e lo strinse al cuore

fra le sue braccia mater-ne. Nel caminetto ardeva poca legna. L'aria era fredda. Proprio in quel momento si levò

una fiammata dal focola-re; sparse un profumo di pane caldo

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Neje de Cialen

O iuccatte pe traje giuore

a la vegilje de Cialen a-i-ave

nammuorre de iòcche. Ma a quase

tutte le case a-i-ave un fuà roue

e lo crestian ch'i stevant 'n facènne

a se preparà pe la fete, i sentevant pa fraje. Pe le vi a-i-ave mancun e le pòr-te

i stevant tutte barrà. Su-lammen

‘n ‘nfan bianche e bion-de

decchirre o fescive schierte, i allave

pe le vi e i tuzzelave pòr-te pe pòrte. Decchirre i averievant la pòrte

o venive deffuore lu chiasse e le uaje

e la dora bunne de le pet-tle. Fin addunche i ave tuz-zelà

Notte di Natale

Nevicò per tre giorni alla vigilia di Natale la neve era

alta. Ma in quasi tutte le case c'era un gran fuoco

e la gente stava affaccen-data

nei preparativi per la fe-sta, non sentiva freddo. Le strade

erano deserte e le porte

tutte chiuse. Solamente

un bambino bianco e biondo

quando veniva buio, an-dava

per le vie e bussava di porta in porta. Quando aprivano la por-ta

veniva fuori il chiasso e le voci e l'odore buono delle ciambelle. Fino allora aveva bussa-to

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Usanze e tradizioni legate al Natale

Il Natale è intriso di tradizione, ogni gesto, ogni rito che ancora sopravvive a Faeto, è nel rispetto della tradizio-ne, come il cenone della Vigilia, il pranzo in famiglia, il presepe, le recite dei bambini, la Santa Messa, – da qua-rant’anni animata dalla Corale “Nuova Provenza” - i relativi botti finali sparati dai ragazzini... sebbene più potenti rispetto alle vecchie “pisciaunnèlle” e meno po-etici dei bengala… Anche se ormai non si aspetta più il Natale per mangiar pesce e ogni ben di Dio che scarseggiava normalmente sulle tavole, anche se sull'albero non si appendono più mandarini ma costosi addobbi, il Natale non è solo luci e lustrini, panettone e regali, ma rimane senz'altro la festa per eccellenza che riunisce la famiglia, simbolo della famiglia e dei buoni sentimenti. Un tempo i ragazzi, il giorno della Vigilia, giravano fi-no a sera per le vie del paese, ciascuno con una fiaccola in mano, una fascina di arbusti vari, "la falje", invitando così i fedeli a recarsi alla Messa della Notte Santa. Anche gli Evangelici presenti fino a qualche anno fa a Faeto usavano girare per il paese la sera della Vigilia, augurando a tutti un Santo Natale con musica e canti; a mezzanotte rientravano nella propria chiesa per la cele-brazione del culto. In ogni casa di Faeto la notte di Natale era tradizione bruciare un ceppo, “il ceppo di Natale”, e riunirsi intor-no al focolare per pregare: al primo tocco delle campane di mezzanotte il capofamiglia spargeva sul ceppo e sulle frasche un po' di sale, un po' di olio, molliche di pane, spezie e accendeva il fuoco; poi chiamava tutti i fami-

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liari e insieme recitavano un Paternoster, un’Ave Maria e un Gloria; quindi, lasciando la luce accesa e il ciocco che ardeva, tutta la famiglia andava a Messa. Il ceppo che veniva consumato la notte di Natale era stato conservato gelosamente per l'occasione, perché si credeva che con quel rito si scongiurasse la minaccia di temporali e grandinate e soprattutto perché esso doveva durare tutta la notte (possibilmente tutto il tempo natali-zio), qualora Gesù Bambino fosse andato a riscaldarsi in quella casa e la Madonna avesse asciugato con quel fuo-co le sue fasce (lo pi-à). Queste, purtroppo, sono tradizioni scomparse. La tradizione, invece, del presepe vivente, come quello che si faceva tanti anni fa coinvolgendo le piazze e i vicoli intorno la chiesa del SS. Salvatore, con i pastori, gli agnellini, il suonatore di cornamusa, è stata più volte ripresa. Negli anni passati ci sono state varie edizioni di concorso a premi per i presepi allestiti nelle case; è re-cente, invece, l’allestimento di un presepe nel paese fat-to di fantocci a dimensione umana, presepe che parteci-pa al concorso provinciale de “Il Presepe più bello”, rivolto ai Comuni e alle Associazioni della Provincia di Foggia. Il gruppo folk “Le Faitare”, infine, come anche l’Am-ministrazione Comunale, ricollegandosi in qualche mo-do con l’antica usanza dell’Azione Cattolica, nei giorni che immediatamente precedono il Natale, si reca nelle case degli anziani e degli ammalati portando insieme agli auguri, dei doni e tanta gioia. In più, “Le Faitare” organizzano una festa all’aperto, davanti a un presepe, esultando ne “La ballata del Pane e dell’Ostia” e nelle tradizionali canzoni natalizie tradotte in francoproven-

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(traduzione) A Gesù Bambino O Bambino padrone del mondo sei il Re di tutti i re l'universo da Te è stato fatto solo Tu lo puoi dominare. Questa potenza nessuno ce l'ha; le virtù son tutte tue ciò ch’ esiste è tutto presso di Te e per noi Ti sei sacrificato. In una grotta hai voluto nascere: senza fuoco, né panni, né fasce; con l'alito dell'asino e il bue, quello fu a farti un po' ri-scaldare. Questa storia si rinnova ogni anno: i devoti di tutto il mondo conservano il ceppo più grosso a Natale viene acceso. O Bambino resta con noi sei venuto... non andartene! Resta qui... accontentaci: senza Te come si fa? Sei la Via la Gioia la Vita, abbiamo tanti peccati... Ti preghiamo con tutto il cuore solo Tu ci puoi salvare. Stai con noi... non andartene!!!

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A lu Bambenielle Bambenielle pattrun de lu mun T'e' lu Raje de tutte lo raje l'unevèrse de Ti gli e’ sta feje sule Ti te lu puó dumenà. Sta putènze la tint mancun; le vertì i sunt tutte le tije sen ch'a-gn-atte e' tutte sen tin e pe nusse Te' sacrefeccà. Denghjie' na rutte T'a' vulì netre: senze fuà, né pi-à e né fesce; do lu iate du ciucce e lu bue selle o fitte a Te fa 'n pue 'nciatà. Setta storje ciach'an se rennoue: lo devòte de tutte lu mun i stiunt lu ciòcchere me' roue a Cialen i vint 'mpezzà. Bambenielle statte do nusse T'e' venì... vattenna pa! Rummagne icchì... fan cunten: senze de Ti cumme se fa'? T'e' la Vi la Gioje e la Vite, ne tenun tant peccià... Te priun do tutte lu cuore sule Ti te ne puó salvà. Statte do nusse... vattenna pa!!! Domenico Iannelli

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zale, coinvolgendo i presenti non solo nell’assaggio del-le “pettole”, in un clima di pace e vera gioia del cuore. Sopravvive o piuttosto “vive”, quindi, una “tradizione” natalizia intesa come trasmissione di consuetudini pret-tamente cristiane; in passato - a testimonianza della ric-chezza della “tradizione” orale - certamente la sacralità dei riti natalizi conviveva con la credenza popolare del-l’esistenza di streghe e licantropi (“ianare” e “pumenare”), uomini e donne nate appunto, secondo l’antica credenza, la notte di Natale: dicitur che per sco-prire chi fosse una strega bastava appostarsi dietro il portone della chiesa con una falce sotto il mantello, la notte del 24 Dicembre, e vedere chi dopo la Messa sten-tasse a uscire percependo la presenza della falce (il ferro e l’acciaio tenevano lontano le streghe).

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Canti tipici e poesie a tema

Per quanto riguarda la tradizione orale e scritta legata al tema del Natale Faeto ha risentito molto dell’influenza dei paesi confinanti, a cui si aprì dopo decenni di isola-mento. Tale patrimonio consiste, pertanto, di canti per lo più tramandati in lingua italiana o in dialetto campa-no: il canto “Quanno nascette ninne” ne è un esempio. Più di un faetano, invece, si è cimentato nell’arte della poesia, in lingua francoprovenzale.

O IÒCCHE…

Pe lu siere, avì, o paraje tutte un già de tan 'nfan che se currunt appreje e se strusciunt e i resciunt do la buccelle miece avèrete; nìevele de tutte fuorme e mesirre s'abbrassiunt e i ave-riunt los ije cumme pe piarà: tutt'e 'nzèn, pe merachje, o abbiunt a cere fallepple 'nghiocche a fallepple... O iòcche... che beje! O iòcche 'nghiòcche lo taje, le ciarriere e lo burattaue, 'nghiòcche bete e crestian; poue, chiane chiane se sint re' meje e tutte le ciuose se se veiunt pa meje... Ando' te vire la tete, attuorne attuorne, te vaje sule iòc-che, tante iòcche, bèlle, biance e tuttuaje me' aute... O paraje propete un paravije! E tutte los albre de lu paije e de lu boue, che affije a pue premmije i stevant a la nute, i paresciunt vestì a fete cumme se i auardevant sti cunt da chessece can ten... Biate a ise ch'i putunt tenije un uarnemmenne accussì frische e delecà! 19

(traduzione)

Nevica Per il cielo, oggi, sembra tutto un gioco di tanti bambini che si rincorrono, si lambiscono e sorridono con la boccuccia semiaperta; nubi di ogni forma e dimensione si abbracciano e apro-no gli occhi come per piangere: all'improvviso, per miracolo, cominciano a cadere fiocchi di neve su fiocchi di neve... Nevica... che bello! Nevica sui tetti, le strade, gli abbeveratoi, su animali e persone; poi, pian piano non si ode più nulla e non si vede più alcuna cosa... Dovunque volgi lo sguardo vedi solo neve, tanta neve bella, bianca e sempre più alta... Sembra proprio il paradiso! E tutti gli alberi del paese e de bosco, che sino a poco prima erano ignudi, sembrano ora vestiti a festa... come se avessero aspettato questa circostanza da chis-sà quanto tempo... Fortunati loro che possono avere un addobbo così fre-sco e delicato! Giuseppe Cocco

N.B. Il testo in francoprovenzale di questa poesia è stato messo in musica da Peppino Pavia.