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UNA PREMESSA FONDAMENTALE Nelle tre precedenti sezioni abbiamo cercato di cogliere l’ essenza dell’insegnamento buddhista e le ragioni per praticarlo; abbiamo visto l’importanza cruciale che ha l’atteggiamento personale , cioè il giusto modo di accostarsi agli insegnamenti; e abbiamo lanciato uno sguardo panoramico sul Buddha storico, sui diversi veicoli chiamati convenzionalmente Buddhismo , sullo storico ingresso del Dharma in Tibet e sulle speciali caratteristiche della tradizione Nyingma e dell’insegnamento Dzogchen. Abbiamo anche familiarizzato con il vocabolario e la terminologia di base. Queste conoscenze ci hanno aiutato a creare una base di partenza, su cui adesso possiamo poggiare ulteriori conoscenze. Poiché parliamo del Buddhismo – un sentiero che ha un illimitato potere di trasformazione interiore queste “conoscenze” non si riferiscono a una pura e semplice comprensione intellettuale. I punti cruciali dell’insegnamento, che stiamo per approfondire, sono capaci di produrre un vero punto di svolta in ogni aspetto della nostra vita. Il punto di vista che stiamo per conoscere può dare una risposta definitiva agli interrogativi che gli esseri umani si rivolgono da sempre: “Chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo?” . Sia la base di partenza (la nostra condizione attuale) che il punto di arrivo (la meta finale del nostro sviluppo personale) sono descritte con forza e chiarezza impareggiabili. Inoltre viene dissolto ogni dubbio su quello che normalmente chiamiamo “io” , cioè il soggetto che percorre tutto il sentiero dall’inizio alla fine. Il Buddhismo, però, non è una pura e semplice filosofia, e il punto di vista non è l’unico pilastro su cui si poggia. Ce ne sono almeno altri due: la meditazione e la condotta. La prima è ciò che permette 4: Samsara e Nirvana come sorgono la confusione e la liberazione

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UNA PREMESSA FONDAMENTALE

Nelle tre precedenti sezioni abbiamocercato di cogliere l’essenzadell’insegnamento buddhista e le ragioniper praticarlo; abbiamovisto l’importanzacruciale che hal’atteggiamentopersonale, cioè il giustomodo di accostarsi agliinsegnamenti; eabbiamo lanciato unosguardo panoramico sulBuddha storico, suidiversi veicoli chiamaticonvenzionalmenteBuddhismo, sullo storicoingresso del Dharma inTibet e sulle specialicaratteristiche dellatradizione Nyingma edell’insegnamentoDzogchen. Abbiamoanche familiarizzato conil vocabolario e laterminologia di base. Queste conoscenzeci hanno aiutato a creare una base dipartenza, su cui adesso possiamopoggiare ulteriori conoscenze.

Poiché parliamo del Buddhismo – unsentiero che ha un illimitato potere ditrasformazione interiore – queste“conoscenze” non si riferiscono a una

pura e semplice comprensioneintellettuale. I punti crucialidell’insegnamento, che stiamo perapprofondire, sono capaci di produrre unvero punto di svolta in ogni aspetto della

nostra vita.Il punto di vista

che stiamo perconoscere può dare unarisposta definitiva agliinterrogativi che gliesseri umani sirivolgono da sempre:“Chi siamo? Da doveveniamo? Doveandiamo?”. Sia la basedi partenza (la nostracondizione attuale) cheil punto di arrivo (lameta finale del nostrosviluppo personale)sono descritte con forzae chiarezzaimpareggiabili. Inoltreviene dissolto ognidubbio su quello che

normalmente chiamiamo “io”, cioè ilsoggetto che percorre tutto il sentierodall’inizio alla fine.

Il Buddhismo, però, non è una pura esemplice filosofia, e il punto di vista non èl’unico pilastro su cui si poggia. Ce nesono almeno altri due: la meditazione e lacondotta. La prima è ciò che permette

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alle semplici idee di trasformarsi in realtà– e ai praticanti di distruggere le causedell’infelicità e di realizzare lo statonaturale della mente, la liberazione e lapiena illuminazione. La seconda consistenel mantenere e manifestare la propriarealizzazione in ogni istante della vitaquotidiana.

Per quanto riguarda la pratica vera epropria, purtroppo (o per fortuna!) nonpuò essere trasmessa attraverso un testocome questo, o qualsiasi altro. Èindispensabile ricevere la trasmissione ela spiegazione dei metodi liberatori da uninsegnante qualificato, presente in carnee ossa e non solo…virtualmente ☺. Tuttoil potere e la ricchezza del BuddhismoVajrayana stanno proprio in questarelazione fra studente e insegnante,basata sulla fiducia reciproca.

Quindi, per forza di cose, ilproseguimento di questa lettura–studionon riguarderà la pratica dei metodi(meditazione) in senso stretto. Al tempostesso, questo testo può essere usatocome una guida, capace di introdurre auna conoscenza senza prezzo e senzatempo: la conoscenza della mente, e dicome questa crei tutta la felicità e lasofferenza che sperimentiamo da sempre.

Leggendo, ascoltando, studiandoe riflettendo sugli insegnamenti,possiamo ottenere la liberazione

da ogni dubbio e conoscere esattamentecosa va fatto per raggiungere

la realizzazione più alta; dopodiché,con l’aiuto di un insegnante vivente,non ci resta che farlo per davvero!

LA RUOTA DELL’ESISTENZA

Negli insegnamenti buddhisti usiamospesso la parola “samsara” a propositodella nostra condizione attuale, il nostroeffettivo punto di partenza; e usiamo laparola “nirvana” per riferirci alla metadella liberazione. Quando diciamo

samsara, però, dobbiamo fare attenzionea non fraintendere ciò di cui stiamoparlando: cosa intendiamo esattamenteper samsara? È un luogo fisico realmenteesistente o un’esperienza mentale? Comeè iniziato e da quanto tempo esiste? Daquali cause e condizioni viene creato?Come fa a riprodursi? Se è un’esperienza,quali sono i meccanismi (mentali,psicologici) che la mantengono in vita?Esiste una fine del samsara, è possibileliberarsene? E se sì, come? Questedomande – a cui adesso verrà data unarisposta – non sono affatto teoretiche ofilosofiche, ma riguardano in modo moltodiretto la nostra esperienza della vita:riguardano tutto il senso della nostraesistenza passata, presente e futura. Etutta la felicità e la sofferenza di cuiabbiamo fatto, facciamo e faremoesperienza.

Proprio per dare una risposta a questedomande, nasce un disegno davverospeciale: la cosiddetta “ruotadell’esistenza” (raffigurata sulla primapagina di questa dispensa).

Si dice che un pittore abbia realizzatoquesto disegno sotto la direzione delBuddha stesso. Un re di nome Bimbisara,di cui il Buddha era temporaneamenteospite, voleva regalare qualcosa di raro eprezioso al governante di un piccolo statoconfinante; così il Buddha gli suggerì diregalargli questo disegno. Si dice ancheche nel destinatario del regalo, alla solavista del dipinto, siano nate una forteispirazione e una grande fiducia nelBuddha – di cui divenne ben presto unallievo. Questa raffigurazione fa bellamostra di sé nella maggior parte deimonasteri in Tibet – come “promemoria”della condizione attuale di tutti gli esseri,della lunga storia che ciascuno ha allespalle e dei diversi scenari futuri chepossono aprirsi, a seconda della direzionee delle diverse tendenze che si seguonodurante la vita.

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La ruota nel suo insieme rappresentail samsara. Questo non è un luogo fisicoesistente da qualche parte – un posto chedebba essere evitato, cercandocontemporaneamente di andare daqualche altra parte – ma è uno stato dellamente: il samsara è la condizione nonilluminata di tutti gli esseri senzienti. NelBuddhismo distinguiamo fra “esserisenzienti” ed “esseri illuminati”: questedue categorie si escludonoreciprocamente – nel senso che se siappartiene a una delle due, certamentenon si appartiene all’altra. Gli esserisenzienti siamo noi, cioè tutti quelli chebasano completamente la propriaesistenza sull’attaccamento a un “sé”, unpunto di riferimento soggettivo, che èsempre presente in ogni comportamento,in ogni azione, in ogni scelta, in ogniemozione (sia positiva che nociva), inogni singolo pensiero, perfino nei sogni eperfino quando la mente ètemporaneamente quieta e non producepensieri né elabora concetti. Questaesperienza centrata nella fissazione su unsenso dell’io contraddistingue tutti gliesseri non–illuminati, e costituiscel’esistenza samsarica; gli esseri illuminati,viceversa, si sono sbarazzati di questafissazione e, di conseguenza, sono liberianche dall’ordinario pensiero discorsivodualistico, da ogni emozione perturbatricee dai condizionamenti ordinari. Ciòsignifica che sono liberi dal samsara esono capaci di aiutare gli altri a realizzarelo stesso risultato.

La ruota dell’esistenza – come spiegala parola stessa – rappresenta la totalitàdell’esistenza condizionata, cioè non–illuminata. Questa è mantenutasaldamente nelle grinfie di Yama, che è ilmara (in sanscrito “demone”) dellamorte. Negli insegnamenti Vajrayana siparla di quattro tipi di mara: il mara delledistrazioni e dei piaceri superficiali, che èl’ostacolo alla pratica – nel senso chespesso si è istintivamente portati arimandare il momento in cui ci si

dedicherà alla pratica, e si preferiscepiuttosto farsi trasportare dalle distrazionipasseggere. Il secondo è il mara delleemozioni perturbatrici, che è l’ostacoloalla liberazione individuale. Il terzo è ilmara dei cinque aggregati, che èl’ostacolo alla piena illuminazione; cosasiano i cinque aggregati, lo si capiràmeglio nel seguito di questa lettura.Naturalmente, quando parliamo di mara odemoni non parliamo di esseri realmenteesistenti in sé e per sé, ma stiamopersonificando certe forze – in questocaso certi ostacoli alla pratica – che sonodi fatto interiori. Il quarto e ultimo èappunto Yama, il mara della morte, che èl’ostacolo al completamento della pratica:ovviamente, in quanto praticanti delDharma, consideriamo la morteprematura una circostanza sfavorevole,perché interrompe una situazione (lalibertà e la capacità di praticare) che nonsiamo certi di poter ritrovare… dopo.

In ogni caso qui ha un significatomolto importante, il fatto che la ruota siatenuta stretta fra le zampe di questodemone: significa che tutti gli esseri dellediverse condizioni di esistenza samsaricadevono sottostare all’incertezza e aicapricci della morte, che può arrivare inqualsiasi momento senza nessuna libertào possibilità di scelta. Questo vale per gliesseri più sfortunati, così come per gliesseri più felici e fortunati all’internodell’esistenza samsarica; questamancanza di libertà o controllo – comevedremo più avanti – è forse lacaratteristica principale dell’esistenza nonilluminata. I Buddha sono completamenteal di là dei fenomeni ordinari della nascitae della morte. Infatti in questo dipinto ilBuddha è raffigurato in alto a destra,fuori dalla ruota dell’esistenza –completamente libero dai vincoli delsamsara – mentre indica la luna, cioè laliberazione o nirvana.

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I DODICI ANELLIDELLA PRODUZIONE DIPENDENTE

Prima di esaminare le diverse sceneche si svolgono all’interno della ruota,prendiamo in considerazione la fascia piùesterna, che rappresenta i dodici anellidella produzione dipendente. Questi liabbiamo già incontrati nella sezioneprecedente (“Buddha e il Buddhismo”),ed esaminati in rapida successione aproposito della realizzazione di SiddhartaGautama, nella potente notte di lunapiena in cui egli divenne il Buddha.Adesso li osserveremo più da vicino e liutilizzeremo come filo conduttore percomprendere alcuni insegnamenti diimportanza cruciale; questi insegnamenti– la quintessenza del “Buddhismo”, insenso generale – qui verranno esposti apartire dal punto di vista più alto, quellodello Dzogchen, la Grande perfezionenaturale.

Per “produzione dipendente” siintende la fitta rete di inter–connessioniche dà luogo al sorgere di tutti ifenomeni. I fenomeni, i mondi e gli esseriviventi che li abitano non sorgono acasaccio o senza cause; non sorgononeppure a partire da un’unica e solacausa. Piuttosto, la loro esistenza dipendedalla presenza concomitante di unnumero incalcolabile di altri fenomeni, edura soltanto finché dura quel particolareinsieme di cause e condizioni. Una pianta,per esempio, si produce in dipendenza diinfiniti altri fattori (oltre al seme iniziale),fra cui ci sono anche il grado di umiditàatmosferica, il tipo e la duratadell’esposizione al sole, le caratteristichedel terreno, la quantità e qualità dellepiogge, la qualità dell’aria e l’atmosferastessa del nostro pianeta. In ultimaanalisi, potremmo dire che una pianta èfatta di tutti questi fattori – nessuno deiquali, in sé e per sé, è “pianta”; unapianta è interamente fatta di “non–piante”, di fenomeni che hanno naturadiversa. Anche questi fattori

determinanti, a loro volta, sonointeramente composti di qualcosa che è“altro da sé”; e così via all’infinito.

Anzi – aggiungeva il Buddha – secerchiamo una “essenza”, un “sé” deifenomeni (al di là di tutti quei fattori chesono “altro da sé”), non riusciremo atrovarlo, per la semplice ragione che nonesiste! Se cerchiamo il “sé” di quellapianta non troveremo nulla, eccettoinfiniti processi chimici e biologici, eparticelle sempre più microscopiche. Lastessa cosa accade se cerchiamo il “verosé” del nostro corpo fisico, o il “vero sé”della nostra mente: ogni “cosa” si rivelain realtà un insieme di processi, e ognunodi questi processi conduce ad altriprocessi, e così via all’infinito. Quandoabbiamo finito di pelare gli strati dellacipolla non rimane nulla, poiché nonesiste “cosa in sé” che non dipenda da“altro”. Come diceva il grande saggioNagarjuna, codificatore della visionebuddhista chiamata Madhyamaka o "Viadi mezzo":

Le cose traggono il proprio esseree la propria natura

dalla dipendenza reciproca,e non sono "esistenti" in sé e per sé.

Questo è il senso della “produzionedipendente”. Un essere realizzatoriconosce per esperienza diretta ciò chegli scienziati hanno bisogno di ricercarecon esperimenti e strumenti dal costoinimmaginabile. Il grande fisicocontemporaneo David Bohm scriveva:

Un oggetto è privo di proprietà“intrinseche”, che appartengano

soltanto a quell’oggetto.Piuttosto, condivide in modo reciproco

e indivisibile ciascuna sua proprietàcon tutti i sistemi coi quali interagisce.

La “produzione dipendente” allora èsoltanto una faccia della medaglia: quellache spiega come le esperienze appaiano;

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l’altra faccia della medaglia è invece la“vacuità”, che spiega come le esperienzesiano prive di sostanza reale. Produzionedipendente e vacuità sono due modi unpo’ diversi di spiegare la stessa identicacosa.

Il samsara, dunque, non esistedavvero in quanto tale ☺, eppure siproduce (appare) in dipendenza di alcuniprocessi; gli esseri senzienti losperimentano come se fosse dotato diesistenza vera, esattamente come accadedurante un sogno. I processi checatalizzano (causano) la manifestazionedel samsara sono precisamente i dodicianelli rappresentati sul bordo esternodella “ruota dell’esistenza”, a formare unacatena circolare. Questa catena contieneun insegnamento di importanzafondamentale – contiene una spiegazione“psicologica” straordinariamente accuratadel modo in cui la nostra esperienza non–illuminata si produce e si conservaindefinitamente. Questi dodici anellirappresentano la psicologia buddhistadella liberazione – e/o la psicologiabuddhista della confusione, a secondadella strada che si “sceglie” di seguire.Questi anelli formano la struttura di tuttala nostra esperienza, la nostra felicità e lanostra sofferenza: è sicuramentequalcosa che ci interessa tutti in primapersona!

I dodici anelli hanno un andamentocircolare, intorno alla ruota, e questosignifica che in realtà non esistono unvero inizio e una vera fine, comenormalmente li intendiamo; però, poichéla nostra mente elabora tutte leinformazioni in una sequenza temporale,il diagramma si adegua a questo “vezzo”e mostra una sequenza cronologica.Anche questo riusciremo a capirlo megliopiù avanti.

IL PRIMO DEI DODICI ANELLI:L’IGNORANZA FONDAMENTALE

Il primo dei dodici anelli è l’ignoranza(in alto “a ore dodici”, spostato verso ladestra di chi guarda), rappresentata dauna vecchia bendata che brancola nellaconfusione e nel disorientamento piùcompleti. Il primo anello, la causa primadi tutto il samsara (ammesso che si possaparlare di una “causa prima”) èl’ignoranza, cioè la non–conoscenza.Naturalmente questa è anche la causafondamentale di tutta la sofferenza chegli esseri senzienti sperimentano: equesto è già di per sé molto interessante,o degno di riflessione – specialmente separagoniamo il Buddhismo ad altretradizioni religiose in cui si afferma che lacausa di ogni sofferenza è il Male. Il malein quanto entità indipendente, nelBuddhismo non è neppure menzionato:se un male assoluto (un principio dicompleta malvagità intrinseca) esistesse,indovinate cosa farebbe? La prima cosache farebbe è distruggere se stesso,perché cos’altro potrebbe fare qualcuno oqualcosa che è male o diabolico?Viceversa, nel Buddhismo affermiamo chetutti gli esseri, senza alcuna distinzione,desiderano la felicità e cercano di evitarela sofferenza; questo fondamentaledesiderio o ricerca della felicità personaleè di fatto il contrario del male – anzi èforse una scintilla della nostra natura diBuddha, un bagliore della nostra “bontàfondamentale”.

Purtroppo, però, una cosa èdesiderare un oggetto (come la felicità),altro è riuscire ad ottenerlo. È laconfusione, o ignoranza, che spinge gliesseri a pensare, parlare e agire inmaniera totalmente controproducenterispetto alla propria felicità. Gli esseri –accecati dall’ignoranza – pensano di poterraggiungere la felicità danneggiando glialtri (che, come loro stessi, desiderano lafelicità), per esempio truffando,imbrogliando, prevaricando, rubando,

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uccidendo, approfittando di chi è piùdebole, usando ogni forma di violenzadiretta o indiretta per essere i primi adottenere qualcosa alle spese degli altri.Ma questo non funziona – mai! – e icarnefici sono in realtà le prime vittimedel proprio stesso comportamento;perché una cosa è certa: nella vita,l’energia che investiamo è quella con cuiveniamo ricompensati e, di conseguenza,chi danneggia o si comporta male con glialtri è automaticamente esimultaneamente “punito” per le proprieazioni… con l’impossibilità di trovare lapace della mente e un’autentica felicità.Non c’è bisogno di credere a questo peratto di fede, basta guardarsiattentamente intorno per verificare –sulla base di esempi concreti, presi dallavita di ogni giorno – se tutto ciò è vero omeno.

Il motore che mette in movimento laruota del samsara è dunque l’ignoranza.Ma ignoranza di cosa?

Negli insegnamenti Dzogchenparliamo di ignoranza (o non–conoscenza) della base. La base è lacondizione primordiale di tutti i fenomeni,animati e inanimati; è la condizioneprimordiale della nostra mente e di tuttociò che esiste. “Primordiale” qui siriferisce a qualcosa che esiste fin da untempo senza inizio, qualcosa che èconnaturato all’esistenza stessa – e ancheall’inesistenza, poiché queste due sonoinseparabili, come due facce della stessamedaglia. Dunque il termine primordiale,in ambito buddhista, non significa “findall’inizio di tutte le cose”, per il semplicefatto che un inizio di tutte le cose non c’èmai stato.1

Dunque la base è la condizioneprimordiale di tutti i fenomeni, di tutti imondi e di tutti gli esseri che li abitano.La base è lo stato primordiale della nostramente; la conoscenza diretta di questa 1 Di questo si è già parlato all’inizio della sezioneprecedente, “Buddha e il Buddhismo”.

base costituisce quello che chiamiamo ilpunto di vista, o anche visione. Il puntodi vista si sviluppa attraverso tre livelli diprogressivo rafforzamento:

1) comprensione intellettuale: èquella che si può ottenere leggendo,ascoltando, riflettendo e studiando.Costituisce una tappa fondamentale, ilpunto da cui bisogna partire;

2) esperienza: è quella che siraggiunge attraverso la pratica dellameditazione. È accompagnata da unsenso di beatitudine interiore, dichiarezza e di libertà dal pensieroconcettuale – ma, se non la si coltiva,può essere perduta o dimenticata;

3) realizzazione: è il frutto dellapratica ed è irreversibile, una condizioneche non può più andare perduta e rimanestabilmente con il praticante – al di là diogni distinzione fra meditazione e nonmeditazione.

Nello Dzogchen, la vetta più alta ditutti i veicoli dell’insegnamentobuddhista, il corretto punto di vista(l’esperienza diretta della base) sisviluppa attraverso un approccio menograduale, che prevede:

1) l’introduzione diretta allo statonaturale della mente – Rigpa in tibetano– impartita dall’insegnante, seguita dalriconoscimento da parte dello studente;

2) l’addestramento nella meditazione,sulla base del riconoscimento – giàavvenuto – dello stato naturale;

3) il raggiungimento della stabilità nelRigpa, che rappresenta il frutto – o lameta –, la saggezza della consapevolezzanon–duale.

La base – che di per sé ècompletamente al di là di ognielaborazione intellettuale e coincide conlo stato risvegliato, con la natura dibuddha presente in ogni essere vivente,con la saggezza del Rigpa – ha tre

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aspetti; ciò significa che può esserespiegata attraverso tre aspetti, al meroscopo di produrre una primacomprensione intellettuale. Il verosignificato di questi tre aspetti è peròindivisibile, e può essere realmentecompreso soltanto attraversoun’esperienza diretta che vada al di làdell’ordinario pensiero dualistico, al di làdell’elaborazione concettuale. Qui leparole servono come dita per indicare laluna, ma non sono la luna stessa.

I tre aspetti della base sono:essenza, natura ed espressione.L’ignoranza fondamentale – il primo deidodici anelli che producono l’esistenzasamsarica, non illuminata – non è altroche la non conoscenza di questi treaspetti.

L’essenza della base è la purezzaprimordiale.

“Essenza della base” significanaturalmente l’essenza di tutti ifenomeni, inclusi gli esseri viventi e laloro mente. Purezza primordiale (intibetano Kadag) è un’espressionecaratteristica dell’insegnamentoDzogchen, e descrive la stessa qualitàche nei sutra Mahayana viene chiamatavacuità. Dunque la vacuità è la veraessenza di tutte le cose. Che significaquesto?

Significa che normalmenteattribuiamo una definizione, un’etichetta,un nome (e un giudizio) a tutto ciò cheincontriamo nella vita di ogni giorno.Questi pensieri che sovrapponiamo atutta la nostra esperienza diventanodunque la nostra realtà; e a questo puntonon ci sfiora più il sospetto che tuttequelle che ci appaiono come cose,persone e situazioni realmente esistentiin sé e per sé – dalla loro propria parte –siano in realtà costruite dalle nostrepercezioni, dal nostro modo personale dipercepire e di reagire a tutto quello che ci

circonda. In tutto ciò che facciamo,diciamo e pensiamo, siamo guidati dallanostra mappa personale del mondo – mala mappa di ciascuno è diversa da quelladi tutti gli altri e, in qualsiasi caso, lamappa non coincide mai con il territorio.

Il mondo che abbiamo costruito,quello a cui reagiamo con maggiore ominore impeto emotivo, con maggiore ominore gioia, attaccamento, rabbia, noia,delusione, paura, indifferenza o dolore –a seconda dei casi e degli individui – è unprodotto del nostro karma, cioèdell’immenso bagaglio di esperienze etendenze abituali soggettive, sia consceche inconsce. Le persone che ci sembranoadorabili, possono essere un odiatonemico per qualcun altro. Le cose che cisembrano desiderabili, possono essereoggetto di disprezzo per qualcun altro. Lesituazioni che ci sembrano dei problemiinsormontabili, possono rappresentaredelle meravigliose opportunità perqualcun altro.

Tutto questo, ben lungi dall’essereuna pura e semplice teoria, è invece unaparte integrante della nostra esperienza;ad esempio, probabilmente ci saràcapitato di giudicare una certa situazionecome intrinsecamente un problema,magari per un periodo molto lungo dellanostra vita, magari qualcosa che per noi èstato un motivo di grande sofferenza,come una relazione travagliata conun’altra persona, oppure uncomportamento nocivo che nonriuscivamo ad abbandonare, oppurequalcosa che ci sarebbe piaciuto riuscire afare ma non ne eravamo capaci, e cosìvia… Quella situazione problematica, unavolta lasciatecela alle spalle, potremmoscoprire che in realtà non l’abbiamo mairisolta: cioè non si trattava di unproblema che, a un certo punto, abbiamorisolto – ma piuttosto di una situazioneche da un certo punto di vista (quello dacui ci accanivamo a guardarla) sembravaun problema, ma che – guardata da unaltro e diverso punto di vista – smetteva

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improvvisamente di essere un problema!Ognuno può giudicare, in base allapropria esperienza personale, se questo èvero o no; è impossibile risolvere unproblema, finché una particolaresituazione continua ad apparire inun’ottica che la rende problematica.Bisogna fare un balzo quantico, occorresaltare fuori da quel quadro di riferimentoin cui la situazione appare come unproblema…

Questo è soltanto uno degli infinitiesempi possibili, del modo in cui la nostraesperienza è interamente creata dallenostre percezioni, in base alla nostrastoria personale passata, in base allenostre tendenze abituali (cioè al nostrokarma, in termini buddhisti). Negliinsegnamenti Mahayana si dice che ilmondo è un grande sogno individuale,che si svolge all’interno di un grandesogno collettivo. Questo significa che, inquanto esseri umani, condividiamofondamentalmente un certo karma, uncerto terreno comune di esperienze: unastruttura fisica, cinque sensi chefunzionano più o meno allo stesso modoper tutti, la facoltà di ricordare eimmaginare, il concetto di una terra sottoe di un cielo sopra, un mondo e diversielementi (come lo spazio, l’aria, il fuoco,l’acqua, la terra) che appaiono più omeno allo stesso modo per tutti, insiemealla convinzione di poter incontrare cose,persone e situazioni che sono di per sépiacevoli, spiacevoli o neutrali. All’internodi questo quadro di riferimento comune –che ci fa percepire e interpretare moltifenomeni in maniera simile, e checostituisce il “sogno collettivo” – ogniindividuo si orienta in base a percezioni ereazioni strettamente soggettive, spessocosì diverse da quelle degli altri da creareostacoli insormontabili nellacomunicazione. Questo è vero perindividui che appartengono a culture,tempi e luoghi diversi, così come è veroper i membri di una stessa famiglia. Cosìesistono molti livelli di sogni individuali e

collettivi che si intersecanosimultaneamente; basta pensare alladifferenza fra il modo in cui percepiamo lastanza in cui adesso ci troviamo, e ilmodo in cui la percepisce… un insetto, inquesto preciso luogo e istante: qual è ilvero mondo, la vera realtà di questoluogo?

E qual è la vera realtà di unaqualunque serata trascorsa con amici –dunque con altri esseri umani, che vivonoall’interno dello stesso quadro diriferimento (condiviso, ma non per questoassoluto)? Si può essere certi chel’esperienza di ognuno – così come ilricordo che ciascuno conserverà dellastessa serata – sarà totalmente diversada quella di qualunque altro partecipante;il sogno collettivo è condiviso, il sognoindividuale è determinato dallo specificokarma di ogni essere vivente.

Nonostante ciò, gli esseri senzienti(per definizione) si aggrappano al modoin cui le diverse apparenze simanifestano, considerandole vere insenso ultimo. Uno dei tanti modi di farquesto, è quello di cancellare (dallapropria consapevolezza) lo scorrere deltempo, l’impermanenza di tutte le cose,le persone e le situazioni.L’impermanenza, di fatto, è un ottimobiglietto d’ingresso per la comprensionedella vacuità, o mancanza di sostanzareale, di tutti i fenomeni. I fenomeni sonoin realtà processi, in uno stato di costantemutamento, ma a noi appaiono invececome cose, e questa è una primadeformazione della realtà. Senza andaretanto lontano, quando diciamo “io” epensiamo a questo “io” come qualcosa direalmente esistente in sé e per sé,potremmo invece chiederci: “a quale iomi sto riferendo precisamente? Come puòesserci un io realmente esistente epermanente, se fra il me stesso diquando avevo l’età di due anni e il mestesso di quando avrò l’età di novantadueanni non c’è assolutamente nulla che siarimasto uguale?”. La stessa domanda

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potremmo rivolgercela a proposito dellealtre persone (che così sbrigativamenteclassifichiamo come amiche, nemiche oestranee) e di ogni cosa o situazione.L’essere più consapevoli della semplicerealtà naturale dello scorrere del tempo –riuscire a vedere tutte le cose in unaprospettiva più ampia, di durata più lunga– ci sarebbe di grande aiuto a svilupparesaggezza e capacità di creare distanza franoi e tutto ciò che, abitualmente, diventacausa di grandi fissazioni, attaccamenti,euforie, o tragedie. Ma l’uso che facciamodelle idee e del linguaggio trasforma iprocessi in oggetti solidi , della cuiesistenza reale poi ci convinciamo.

Tutti i fenomeni sono vuoti (diesistenza solida, reale), tutti i fenomenisono primordialmente puri. La veranatura di tutte le cose è la totale libertàdalle gabbie, create dal pensieroconcettuale, in cui normalmente lerinchiudiamo. Libertà può essere un’altratraduzione efficace del termine sanscritoshunyata, cioè vacuità. Tutti i fenomenisono di per sé liberi dallo spazio ristrettoin cui li incaselliamo attraverso le nostrepercezioni. Per fare un esempio – quandovediamo un oggetto contenente del tè elo definiamo tazza, in qualche modostiamo cancellando un intero universo dipossibilità: quello stesso oggettopotrebbe contenere anche del riso (nelqual caso si chiamerebbe ciotola), oppurepotrebbe contenere della terra, magaricon un fiore (e si chiamerebbe vaso),oppure un pesce rosso (e si chiamerebbeacquario), oppure potrebbe esserescagliato contro una persona “nemica” (ecosì diventerebbe un’arma impropria). Laverità è che quella tazza ècompletamente priva della qualitàintrinseca di tazza, non è in sé e per sé –inerentemente – una tazza; è totalmentelibera dalla designazione restrittiva ditazza, poiché la sua “tazzità” non risiededa nessuna parte, ma le è puramenteattribuita dal pensiero concettuale di un

osservatore. In quanto tazza, èinteramente creata dalla mente.

Per questo negli insegnamenti(Mahayana e Vajrayana) diciamo chetutte le cose che ci appaiono sono un po’simili a sogni, o ad arcobaleni. Quandovediamo un arcobaleno in cielo diciamo:“Quello è un arcobaleno”, e pensiamo cheesista per davvero. Poi, quando ciavviciniamo, scopriamo che riusciamo atrovare tutto, fuorché un arcobaleno.Troviamo: 1) speciali condizioniatmosferiche; 2) goccioline di umiditàmicroscopiche, sospese nell’aria; 3)l’angolo di rifrazione della luce del solecontro il vapore acqueo; 4) lo specialepunto d’osservazione, grazie a cui si puòpercepire uno spettro di colori; 5) ilpensiero concettuale, cioè la mente, di unosservatore che sovrappone ladesignazione “arcobaleno”. Senza lapresenza simultanea di tutti questi fattorinon ci sarebbe un arcobaleno – diconseguenza questo non esiste in sé eper sé, ma è un fenomeno condizionato,o dipendente: dipende da cause,condizioni, parti e dalla mente diqualcuno che gli attribuiscaquell’etichetta.

Tutti i fenomeni – siano essi luoghi,mondi, cose, persone o situazioni – sonocondizionati, o dipendenti; in ultimaanalisi, sono privi di ogni barlume diesistenza reale. (Questo vale anche per ilpunto di vista, i metodi e la condottainsegnati dal Buddha!). In senso ultimo,tutte le cose hanno la stessa e identicanatura di libertà, o vacuità, o purezzaprimordiale.

Questa non è teoria, ma è unadescrizione molto concreta del modo incui fabbrichiamo tutta la nostraesperienza di un “mondo esterno” – etutta la felicità e la sofferenza cheattribuiamo a questo. Dal punto di vistabuddhista, un “mondo esterno” (esternoalla mente di coloro che lo percepiscono)non è mai esistito, né mai esisterà. Il“soggetto interno” – il punto di

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riferimento permanente di tutte leesperienze – è una idea, un modo diconcettualizzare ciò che accade; tolta dimezzo questa idea, non resta nulla che sipossa veramente identificare con unsoggetto interno, realmente esistente. Lastessa cosa vale per l’idea di un “mondoesterno”. Tolta di mezzo questa idea,questa fissazione, questo rigidopreconcetto tenuto in vita dalla forzadell’abitudine, non rimane nulla di unvero mondo esterno.

Diceva il Buddha:

Il mondo esterno è soltanto unamanifestazione delle attività della mente,

che lo percepisce come un“mondo esterno” soltanto a causa

delle sue tendenze abitualie dei suoi ragionamenti errati.

Mipham Rinpoche, un grande maestroNyingma del IX secolo:

Benché i fenomeni appaianodi fronte alla propria mente,la loro sostanza non esiste

ed essi sono falsi.

Tulku Urgyen Rinpoche, l’insegnantetibetano vissuto nel XX secolo:

Tutti i sogni accadono all’internodello stato di sonno, nel quadro di

riferimento del sonno. Allo stesso modo,tutto il nostro piacere e il nostro dolore,

le nostre speranze e le nostre paure,tutto ciò di cui facciamo esperienza

proprio adesso durante lo stato di veglia– il mondo, noi stessi e le altre persone –

tutto questo accade nel quadrodi riferimento della mente dualistica.

Fintantoché continuiamo a credere chele esperienze della mente dualisticasiano reali, continueremo a vagaresenza fine nell’esistenza samsarica.

Curiosamente, proviamo a confrontarequeste affermazioni con le conclusioni cui

sono giunti alcuni fra i più brillanti uominidi scienza contemporanei:

Soggetto e oggetto sono una cosa sola.Non si può dire che la separazione

fra questi due sia crollata grazie allerecenti scoperte delle scienze fisiche,

perché nella realtà dei fattiquesta separazione non è mai esistita

(Erwin Schrödinger).

Il “mondo esterno” non è una cosadotata di vero fondamento, di cui si possa

dimostrare l’esistenza indipendente(Hermann Weyl).

Il concetto di “sostanza” è totalmentescomparso dalla fisica contemporanea.La realtà fisica e il cosiddetto “mondoesterno” sono completamente astrattie privi di esistenza, se non fosse per il

loro collegamento con la nostra coscienza(Arthur Eddington).

Nel nostro modo di pensare attribuiamoal mondo esterno, agli oggetti materiali,una “esistenza reale”; grazie a questo,siamo in grado di orientarci nelle nostreesperienze sensoriali. Però non esiste

alcuna garanzia che le nostre esperienzesensoriali siano qualcosa di diverso

da un’illusione o da un’allucinazione.(Albert Einstein).

L’immagine che ogni uomo ha del mondoè e rimane sempre un costrutto della sua

mente, e non è possibile dimostrareche essa abbia alcun'altra esistenza

(Erwin Schrödinger).

Tornando al Buddha della nostraepoca, vissuto nel VI secolo avanti Cristo:

“La forma non è altro che vacuità”.

Per forma qui si intende ognifenomeno concretamente osservabile,cioè la materia. Dunque il Buddhaaffermava – millenni prima che fosse

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costruito il primo microscopio – che tuttala materia è, per sua natura, vuota einsostanziale. Questa è la stessaconclusione a cui sono arrivati – con benaltri strumenti – i nostri moderniscienziati, in particolare all’interno diquella branca della fisica chiamatameccanica quantistica.

La nostra nozione abituale (eingannevole) secondo cui la materiapossiede una propria esistenza concreta,ci porta a toccare con mano un oggetto –ad esempio un tavolo – e a domandarci:“Di cosa è fatto?”. Secondo la fisicacontemporanea, questa semplicedomanda è capace di innescare unareazione a catena inarrestabile, altermine della quale il ricercatore èdestinato a capovolgere completamente ilproprio sistema di convinzioni su ciò cheappare come un “mondo esterno”. Infattila risposta ovvia: “È fatto di legno”, èsolo un primo e superficiale livello dellanostra indagine. Se, non ancorasoddisfatti, ci chiedessimo: “Di cosa èfatto il legno?”, potremmo rispondere “Èfatto di fibre”; allo stesso modo,chiedendoci di cosa siano fatte le fibre dellegno, incontreremmo prima o poi (grazieai moderni strumenti di indagine) uncerto tipo di molecole. Poi scopriremmoche le molecole sono fatte a loro volta diatomi. Poi scopriremmo che gli atomi nonsono affatto indivisibili (come l’etimologiadella parola suggerirebbe), ma che al lorointerno si apre un immenso universo,abitato da (poche e rare) particellesubatomiche. Qui l’elemento principale èlo spazio vuoto, all’interno del quale pulsaa intermittenza… qualcosa di non meglioidentificabile ☺. Infatti nessuno ha maivisto coi propri occhi un elettrone oun’altra particella subatomica, ma la loroesistenza viene desunta a partire dateorie, calcoli matematici o tracceindirette. La localizzazione precisa diqueste particelle è impossibile; si puòsoltanto affermare che – all’interno di uncerto campo di osservazione – se si

osserva abbastanza a lungo, ci sonomolte probabilità di trovarvi una o piùparticelle. Ma la natura di queste ultime èavvolta nel mistero: di fatto non èneppure sicuro che si tratti veramente diparticelle! I moderni fisici sono giunti allaconclusione che se il ricercatore organizzale proprie osservazioni e i propriesperimenti come se all’interno degliatomi si trovassero delle particelle, alloraapparirà qualcosa che si comporta comeuna particella – e può quindi far pensarea una particella. Se viceversa ilricercatore organizza le proprieosservazioni e i propri esperimenti comese all’interno degli atomi si trovasserodelle onde di energia (dunque fenomenidi natura ondulatoria, vibrazionale, e noncorpuscolare), allora apparirà qualcosache si comporta esattamente comeun’onda – cioè segue tutte le leggi cheregolano l’esistenza e il comportamentodelle onde, e non dei corpi (sia puremicroscopici come le particelle). Secondoaltri ricercatori, i “quanti” subatomici nonsarebbero né particelle né onde, ma bensìpunti di intersezione fra energie che si staancora cercando di identificare, comequando due onde si sovrappongonocreando una sporgenza più visibile.

La materia è come una minuscolaincrespatura su un immenso oceano

di energia; essa si manifesta poiché haun certo grado di stabilità momentanea

(David Bohm).

Qualunque di queste ipotesi puòessere dimostrata sperimentalmente e –benché possa sembrare assurdo – sonotutte simultaneamente valide.

Il progresso delle scienze fisichecontemporanee ha infine portato allaconclusione che: è impossibile effettuareun qualsiasi tipo di esperimento senzache lo sperimentatore influisca sulrisultato, modificandolo in base alleproprie percezioni e alle proprieaspettative.

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Ancora una volta nelle parole di DavidBohm:

La teoria della relativitàe la meccanica quantistica

hanno dimostrato che non ha sensodistinguere fra colui che osserva

e ciò che viene osservato.

Di conseguenza, è impossibile riuscirea formulare una descrizione conclusiva diciò che “costituisce realmente” il mondo anoi visibile, cioè rispondere alla domanda:“Di cosa è fatto?”. Ciò che appare èsempre e comunque “costruito” dallamente di colui che apprende – cioè nonesiste un oggetto esterno distinto eseparato da un soggetto interno. Inoltre,finché un ricercatore continua a ricercare,è molto probabile che riesca a trovarequalcosa di simile a ciò che in qualchemodo si aspettava; l’ultima frontieradell’infinitamente piccolo è oggirappresentata dai quark, nel senso cheadesso gli scienziati potrebbero chiedersi“di cosa sono fatti i quark?”.Probabilmente qualche “nuovo modello”di particella, ancora più piccola, verràidentificato, prima o poi; ma chi siaspettava di trovare un qualche mattoneelementare che costituisca la realtà dellecose, si è già scontrato con unafrustrazione apparentemente senza vie diuscita. Il modo in cui questi “quanti” –energie pulsanti di cui non si sa neppurecosa siano – che sembrano vibrare in unoceano di vuoto assoluto, riescano acreare l’impressione di una materia solida(come ad esempio la roccia) è ancora unperfetto mistero.

Molti scienziati contemporanei, comeabbiamo visto, sono convinti chel’impressione di una materia solida siacreata interamente dalle abitudinipercettive degli esseri viventi. Il Buddha,550 anni prima di Cristo, insegnavaprecisamente la stessa cosa; i grandimaestri che sono venuti dopo di lui hannocontinuato a insegnare la stessa cosa. I

grandi yogi, realizzati grazie alla costanzanella pratica della meditazione, hannosempre mostrato questa verità ai propriallievi, in modo pratico – affinché“vedendo potessero credere”, e generaresincera fiducia nella verità di questoinsegnamento. Così – avendoprofondamente realizzato la naturaillusoria delle apparenze – riuscivano adattraversare la materia solida lasciandoimpronte del proprio corpo, o delle manio dei piedi, nella roccia; GuruPadmasambhava, Milarepa e moltissimialtri grandi meditatori hanno fatto questoper davvero, e le loro impronte sipossono vedere ancora oggi in diversiluoghi del Tibet. Il mio maestro AdzomRinpoche ha fatto questo in diversi luoghisia in Tibet che in Occidente.Personalmente, la mia comprensione ditutto ciò è, a mala pena, intellettuale –nel senso che non ho nessuna genuinaesperienza derivante dalla meditazione;ma, avendo visto e toccato con mano lecapacità del mio insegnante, non hodubbi a questo proposito.

Dunque l’essenza della base (cioèdella mente e di tutte le cose) è lapurezza primordiale – la mancanza disostanza reale e la libertà da qualsiasielaborazione concettuale. Questa, primaancora che una teoria o una verità, è unaesperienza diretta. Tutti gliottantaquattromila insegnamenti delDharma servono solo a comunicarequalcosa che non può essere comunicatoattraverso le parole; la quintessenza delDharma è l’esperienza che il Buddhafaceva dello stato risvegliato. Egli diceva:

Il Tathagata2, nel trasmettere i suoiinsegnamenti, fa costantemente usodi idee, di elaborazioni concettuali;gli studenti, però, devono sempre

ricordarsi della irrealtà di questi concettie idee. Devono tenere presente che

2 In sanscrito “Andato al di là”; si riferisce alBuddha stesso.

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il Tathagata, quando spiega il Dharma,usa quei concetti come si userebbe una

zattera per attraversare un fiume:quella zattera – una volta completato

l’attraversamento – non serve più a nulla,dunque va abbandonata.

Allo stesso modo, tutte questeelaborazioni concettuali devono essere

totalmente abbandonatequando si raggiunge l’illuminazione.

Un’esperienza può essere tutt’al piùdescritta, in modo da motivare un’altrapersona a provarla direttamente; ma nonpuò essere trasferita attraverso le parole.Se non abbiamo mai assaggiato un certofrutto tropicale, non importa quanto glialtri si sforzino di descrivercene il saporeattraverso somiglianze con altri fruttisimili: fin quando non lo assaggeremopersonalmente, non potremo dire diconoscerne il gusto. Ecco perché negliinsegnamenti buddhisti possiamodistinguere due diversi aspetti: il dharmadella trasmissione (cioè l’esposizionedegli insegnamenti) e il dharma dellarealizzazione (cioè il frutto della pratica,direttamente sperimentato da chi si èapplicato personalmente allameditazione).

La purezza primordiale di tutti ifenomeni è un’esperienza diretta – al di làdei concetti – che solitamente derivadalla pratica della meditazione. Tuttaviapuò succedere, occasionalmente, di farneesperienza in circostanze anche moltosemplici della vita quotidiana. A tutti noi,esseri ordinari, può accadere che lanostra visione si apra per un momento,quasi per incanto – di solito in quelli checonsideriamo i momenti più belli o“speciali” della nostra vita. Questo accadein modo del tutto spontaneo e naturale,a dimostrazione del fatto che la natura diBuddha non ci abbandona mai e che,fondamentalmente, la nostra esperienzaè già illuminata – cosa di cui ciaccorgeremmo, se non fossimocostantemente distratti da attività, stati

emotivi e pensieri superficiali eingannevoli. Quando la qualità dellanostra vita diventa intensa, quando siamoinnamorati, quando ci dedichiamo contutto il cuore a fare qualcosa in cuicrediamo veramente, quando diamo ilmeglio di noi stessi e siamo totalmentecoinvolti senza “secondi pensieri” in ciòche stiamo facendo, quando un musicistasuona, un pittore dipinge, uno sportivocorre, un danzatore danza, un nuotatorenuota – e non c’è più distinzione fra ilsoggetto, l’oggetto e l’attività stessa: intutti questi casi, può accadere di gustareun assaggio di quello stato naturale che èla nostra vera condizione primordiale.Uno stato di semplicità e di totalità chenon può essere descritto, ma chericonosciamo bene in quelli checonsideriamo i “momenti indimenticabili”della nostra vita. Uno stato di beatitudinee libertà interiore che è precisamente ciòche ricerchiamo fuori di noi,coinvolgendoci in quelle che consideriamole nostre attività preferite. Poco importache a volte si riesca a scoprirlo nellapratica degli sport estremi, a voltefacendo l’amore e a volte semplicementecontemplando un tramonto al mare onella natura. Ciò che tutti ricercano èsempre lo stesso assaggio di perfettagioia incondizionata – che non dipende dacause esteriori, ma sorge da séspontaneamente, spesso quando meno celo aspettiamo. Anzi, la ricerca e lo sforzo,il tentativo di ripeterlo, le speranze e lepaure, sono nella maggior parte dei casil’ostacolo principale.

Ciò che caratterizza tutte quelleesperienze che a volte definiamo comestati di grazia o momenti speciali – ciòche rende queste esperienze diverse dallealtre, in realtà – è la qualità di totalefreschezza e immediatezza, dispontaneità e non artificiosità, di assenzadi calcoli come: “Qui cosa ci guadagno?”;o “Qui cosa posso perderci?”; “Preferiscoquesto o quell’altro?”; “Mi piace o non mipiace?”, e così via. Quando l’estenuante

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dialogo interiore (in cui predominal’illusione di un io interno che stagiudicando un mondo esterno) si placa dase stesso e la nostra visione si apre,quando il pensiero dualistico (che è labase del sorgere di tutte le emozioniconflittuali) si interrompe, si creafinalmente lo spazio per quella semplicitànaturale che è sempre stata con noi – cheha la natura della purezza primordiale.

Secondo gli insegnamenti delVajrayana, questa esperienza direttadella nostra essenza emergespontaneamente al momento della morte.Quando le facoltà sensoriali si dissolvonouna dopo l’altra, seguite dai cinqueelementi3, si interrompe la “respirazioneesterna”; questo coincide con quella chenormalmente chiamiamo “morte”. Lacosiddetta “respirazione interiore”, però,non è ancora cessata e la coscienzadell’individuo sperimenta chiaramente trefasi: la prima viene chiamata“accrescimento”, in cui una luce bianca siavvicina dall’alto4; la seconda è detta“apparenza”, in cui una luce rossa siavvicina dal basso5; la terza è chiamata“ottenimento”, in cui la coscienza vieneavvolta da una totale oscurità. Al terminedi queste tre fasi (mediamente venti–trenta minuti dopo la morte clinica) sorgeun’esperienza di intensità straordinaria,chiamata “chiara luce della morte” oanche “luminosità della base”. Qui lamente – liberatasi, durante le tre fasi

3 Il dissolvimento dell’elemento terra corrispondealla perdita delle capacità di movimento;l’elemento acqua alla perdita dei liquidi corporei,specialmente da occhi, naso e bocca; l’elementofuoco alla perdita del calore corporeo; l’elementoaria al venire meno del respiro; l’elemento spazioalla perdita della coscienza.4 Questa è l’intensa luminosità alla fine di untunnel, cui fanno riferimento molti di quelli chehanno vissuto esperienze peri–mortali, e il cuicuore ha ricominciato a battere dopo essersiarrestato per un certo tempo.5 Queste impressioni sono in realtà collegate almovimento delle energie interne (sanscr. Prana,tib. Lung) nel canale centrale – l’asseelettromagnetico verticale del corpo umano.

precedenti, dalle emozioni perturbatricidell’avversione, dell’attaccamento e dellaconfusione – incontra direttamente la suastessa natura, la purezza primordiale cheè la propria condizione originaria. Al di làdi ogni punto di riferimento soggettivo ooggettivo, al di là di tutte le coordinate dispazio e tempo, al di là di qualsiasielaborazione, in questo momento laconsapevolezza intrinseca (il rigpa) simostra in tutta la forza del suo splendore.

È proprio questo il terreno unico dacui partono due strade totalmentedivergenti. Negli insegnamenti Dzogchensi parla di “Un solo terreno, due diversevie”; il “solo terreno” è l’esperienza dellapurezza primordiale, la “luminosità dellabase”, il potenziale per l’illuminazione, lanatura di buddha che accomuna tutti iBuddha e tutti gli esseri senzienti. Le“due diverse vie” sono appunto quelle checonducono rispettivamente alla rinascitaincontrollata nel samsara e alla pienailluminazione. Nel primo caso l’essenzadella base, la luminosità della purezzaprimordiale, non viene riconosciuta:l’esperienza della “chiara luce dellamorte” è talmente forte e travolgente daspingere la mente a perdere coscienza,rifugiandosi nell’Alaya – il terrenouniversale6 che è il “contenitore” di tuttele tendenze abituali e le illusioni. Questaperdita di coscienza – questo“ottundimento” che rifiuta di guardare infaccia la vacuità, il vero volto di tutte lecose – rappresenta il primo aspettodell’ignoranza fondamentale , cioè ilnon riconoscimento del primo dei treaspetti della base (la purezzaprimordiale). Longchen Rabjam ladefinisce nei suoi scritti “la prima non–illuminazione”, o “la non–illuminazionedella singola causa sorta da sé”.

6 “Universale” nel senso che è il terreno da cuisorgono tutte le tendenze abituali, i velioscuratori, le emozioni perturbatrici, le azionikarmiche e le esperienze del samsara. L’Alaya è illivello più profondo e sottile della mente nonilluminata.

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Sarà questa ignoranza a spingere lacoscienza verso lo stato intermedio (frauna vita e la successiva) e verso la primadelle due strade possibili: la rinascita,priva di libertà di scelta o controllo, inuna delle sei condizioni di esistenzasamsarica, come essere senziente.Questo primo aspetto dell’ignoranzafondamentale, naturalmente, è destinatoa condizionare pesantemente ogni istantedella vita ordinaria – impedendo diriconoscere la vacuità, la mancanza divera sostanza o natura propria, di tutte lecose.

Per uno yogi invece, un praticante benaddestrato nella meditazione e nelriconoscimento dello stato naturale, lamorte rappresenta un’opportunitàineguagliabile di realizzare il frutto dellapropria pratica. Unendo la propriaconsapevolezza intrinseca (il rigpa, cosìcome è stato riconosciuto in vita), detta“luminosità figlia”, con l’esperienzadiretta della chiara luce della morte –detta “luminosità madre” – il meditanterealizza la completa illuminazione di unBuddha quasi senza sforzo; proprio comeun figlio, non avendo alcuna difficoltà nelriconoscere il volto della propria madre,le salta in braccio e si ritrovaindissolubilmente unito con lei.

Questa stessa realizzazione puòessere ottenuta quando si è ancora invita, attraverso la speciale praticaDzogchen chiamata Trekchö.

Riconoscere il primo aspetto dellabase, la purezza primordiale, è la via piùrapida per realizzare il Dharmakaya (tib.Chöku) di un Buddha; questo è lo “Statodi verità”, il livello in cui la mente di unessere illuminato è inseparabile dallospazio stesso: onnipervadente, libera dalsorgere, libera dal dimorare in qualcheluogo, libera dal cessare, priva dicaratteristiche che possano essereindicate, libera perfino dai concettiestremi di “esistere veramente” e “nonesistere affatto”.

La natura della base è la presenzaspontanea.

Questo è il secondo aspetto dellabase, e il suo significato èstraordinariamente profondo. Il Buddha,nel Sutra del Cuore, non si limitò adaffermare: “ La forma non è altro chevacuità”;7 subito dopo, egli aggiunse: “Lavacuità non è altro che forma”.

Se indaghiamo a fondo nella natura ditutto ciò che appare ai nostri sensi, allafine potremo trovarvi soltanto vacuità,mancanza di esistenza reale. Allo stessomodo, però, se indaghiamo a fondo nellavacuità – cercando di identificarla perdavvero – alla fine non riusciremo atrovare nulla che sia distinto e separatodall’apparenza di tutti i fenomeni.

La forma non è altro che vacuità e lavacuità, a sua volta, non è altro cheforma. Apparenza e vuoto, esistenza einesistenza, non sono altro che due faccedella stessa medaglia, si esprimono l’unaattraverso l’altra. Citando ancora unavolta i luminari della fisicacontemporanea:

È una forma primitiva di pensiero ritenereche le cose “esistano” o “non esistano”

(Arthur Eddington).

In sé e per sé, le particelle elementarinon sono “fatte di materia”; eppure

sono le uniche forme possibili di materia.È l’energia che si manifesta sotto formadi materia, assumendo – dal punto divista dell’osservatore – le sembianze

di una particella elementare(Werner Heisenberg).

Questa incessante manifestazione –che non è altro se non il vero volto dellavacuità, l’unico ambito in cui la vacuitàpossa essere riconosciuta –

7 Nel Sutra del Cuore le parole sono in realtàpronunciate dal Bodhisattva Avalokiteshvara eindirizzate a Shariputra, con la diretta ispirazionedel Buddha, presente ad ascoltare.

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nell’insegnamento Dzogchen vienechiamata presenza spontanea (tib.Lhundrup).

Il “nulla”, nell’universo, non esiste. Dicerto, non è stato ancora scoperto. Dovec’è il “nulla”, deve necessariamenteesserci anche il “qualcosa”. Nel campodelle scienze fisiche, le ricerche hannorecentemente dimostrato (agli esterrefattiosservatori) che, riproducendo inlaboratorio il vuoto, particelle appaiono inesso – apparentemente “dal nulla”.Questa scoperta, in realtà, era stata“quasi” già fatta trent’anni prima: quando– osservando l’incredibile danza delleparticelle subatomiche, e la loro capacitàdi interagire ad altissime velocità,generando nuove particelle che primaerano assenti – i fisici avevano coniato iltermine di “particelle virtuali”. Leparticelle virtuali “nascono” violando unadelle leggi fondamentali della fisica: ilprincipio di conservazione della massa–energia, in base al quale nulla puònascere “dal nulla”, ma ogni cosa è unatrasformazione di qualcos’altro (materiae/o energia). L’esistenza di questeparticelle veniva dunque definita“virtuale”, perché se fosse stata“effettiva” bisognava considerarlaassurda, dal punto di vista del buonsenso e delle conoscenze acquisite.

Dal punto di vista buddhista, però, lavacuità non equivale al nulla, ma èpiuttosto un magma ribollente dicreatività – la sfera dell’incessante“possibile” che si trasforma in “effettivo”,della potenzialità che si trasforma in atto.Questo viene espresso nel terminesanscrito Dharmadhatu, “sfera assoluta”(tib. Chöying), la dimensione da cui tutti ifenomeni sorgono, in cui tutti i fenomenisi manifestano e a cui tutti i fenomeniritornano, presto o tardi.

Anche qui si possono tracciareparallelismi molto interessanti:

Ciò che, attraverso i sensi, percepiamocome spazio vuoto, è la ragione di

esistenza di ogni cosa, compresi noistessi. Gli oggetti che appaiono ai nostrisensi sono forme derivate, e il loro verosignificato può essere colto solo quandoconsideriamo il contesto complessivo incui vengono generati, si conservano e

tornano infine a dissolversi(David Bohm).

Purezza primordiale e presenzaspontanea sono indivisibili, come duefacce della stessa medaglia. Non si puòavere l’una senza l’altra. I fenomeni sonoallo stesso tempo spontaneamentepresenti (per il fatto che appaiono) eprimordialmente puri (poiché sonoinseparabili dalla vacuità): questa è laloro “natura ultima”, Dharmata insanscrito (tib. Chönyi). Dharmata è unaltro termine–chiave per la comprensionedello Dzogchen: nella “natura ultima”sono compresi sia la forma che la vacuità,sia la vacuità che la forma. Le apparenzefenomeniche, per quanto solide econcrete possano apparirci, non sonoaltro che “segni”, indicazioni dellaDharmata; sembrano dotate di esistenzapropria, ma in realtà non sono moltodiverse da un sogno, da un miraggio, daun arcobaleno, da uno spettacolo dimagia, dal riflesso della luna in unospecchio d’acqua. Tutto ciò che lacoscienza dualistica degli esseri senzientipercepisce come realmente esistente, lasaggezza primordiale (tib. Yeshe) degliesseri illuminati lo percepisce comeDharmata.8

8 L’unione indivisibile di Yeshe e Dharmata èillustrata nell’abbraccio tantrico di Samantabhadra(tib. Kuntusangpo, il Buddha maschile blu cherappresenta la saggezza primordiale) eSamantabhadri (tib. Kuntusangmo, il Buddhafemminile bianco che rappresenta la naturaultima). Insieme personificano l’illuminazioneprimordiale, la Buddhità – presente in ogni esserevivente – che non è mai caduta vittimadell’illusione dell’ignoranza fondamentale.

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La natura della base è la presenzaspontanea. La “non–presenza”, o assenzadi manifestazioni ed esperienze, nonesiste; o non è stata ancora scoperta. Gliscienziati (ancora loro!) hanno scopertoche i nervi che partono dal cervello, perraggiungere gli organi dei sensi, sono innumero maggiore rispetto a quelli checompiono il tragitto inverso. Ad esempio,i nervi che vanno dal cervello all’occhiosono in numero maggiore di quelli chevanno dall’occhio al cervello! Questosignifica non solo che le nostre percezionisono “costruite” soggettivamente(ennesima riconferma); ma anche che unindividuo in condizioni di perfettoisolamento sensoriale – visivo, acustico,ecc. – inizierebbe con tutta probabilità aproiettare suoni, pensieri, luci, colori,forme e così via, rendendo impossibilel’esperienza del “nulla”. La stessa cosa,più o meno, accade ogni notte quando ciaddormentiamo. La prima fase del sonnocorrisponde alla “essenza”, alla purezzaprimordiale della base, dalla quale non èsorto ancora nessun fenomeno: non cisono sogni. Ma, molto presto, la naturaluminosa – spontaneamente presente –della mente si manifesta attraversol’esperienza del sogno, che non proviene“dall’esterno”, è auto–originata ecaratterizza la maggior parte della notte(anche se potremmo non ricordarcene).

Da principianti, quando si inizia alavorare sulla propria mente con lameditazione, si è molto affascinatidall’esperienza della “vacuità”. Si cerca atutti i costi di ottenerla, creando il vuotointorno a sé: ci si illude che – chiudendosiin una stanza isolata acusticamente, privadi distrazioni, senza suoni o rumori, senzaimmagini in movimento, o chiudendo gliocchi – si possa finalmente realizzare una“vera” esperienza di meditazione. Maun’esperienza simile è perfettamenteimpossibile da ottenere: per il semplicefatto che non esiste; a meno di nonessere morti, si percepiranno comunquedei rumori – in un ritiro di montagna o

nella foresta i suoni della natura, delvento e degli uccelli – e si percepirà il“movimento” della propria mente.Ammesso, e non concesso, che si riesca asperimentare “il nulla”, questa esperienzaservirebbe a ben poco, dal punto di vistadella propria evoluzione personale: prestoo tardi bisognerebbe tornare ad avere ache fare con le cose del mondo e, a quelpunto, ci si ritroverebbe completamenteincapaci di integrare l’esperienza dellameditazione con quella della vitaquotidiana. Si sarebbe totalmentevulnerabili, vittime e prede delledistrazioni e delle emozioni perturbatrici(come prima, o addirittura più di prima).Lo scopo della meditazione non è quellodi isolarsi dal mondo e da tutti gli stimoliprovenienti “dall’esterno”; scopo dellameditazione è riconoscere che un“esterno” (distinto e separato da un“interno”) in realtà non esiste – è unapura e semplice fabbricazione delpensiero discorsivo. Il problema non ènegli “stimoli”, ma nel modo in cuireagiamo a questi.

Quando meditiamo, nella nostratradizione, teniamo le orecchie e gli occhiben aperti, includendo nella nostracontemplazione tutto ciò che accade(fuori e dentro di noi); sia in meditazioneche nella vita quotidiana, ricordiamo chel’apparenza dei fenomeni non è altro cheil modo in cui la vacuità ci si stamostrando in quel momento. Tutti ifenomeni non sono altro che segni eindicazioni della natura ultima;l’illuminazione è onnipresente.

Non si può realizzare la vacuità senzacontemporaneamente realizzare la naturaluminosa, onnipervadente, della presenzaspontanea. La natura ultima (Dharmata)include sia la vacuità che l’apparenza deifenomeni. È impossibile realizzare unnirvana, distinto e separato dal samsara:samsara e nirvana sono indivisibili e, perla saggezza primordiale del Rigpa,possiedono un unico e solo sapore. Èproprio questo il significato

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dell’espressione Grande Perfezione: tutti ifenomeni del samsara e del nirvana sonototalmente perfetti fin dal principio, per ilsemplice fatto che sono manifestazioni(segni, indicazioni) dell’inseparabilità dipurezza primordiale e presenzaspontanea.

Tutto ciò non va preso comeun’interessante filosofia – stimolante e,alla fin fine, condivisibile; ma piuttostocome un’esperienza diretta a cui èpossibile accedere, grazie alla praticadella meditazione. Se si cercaun’esperienza più elevata di questa, nonla si troverà: realizzare l’indivisibilità dipurezza primordiale e presenzaspontanea (vuoto e apparenze, spazio eluminosità, vacuità e forma, non–esistenza ed esistenza) significarealizzare il risultato completo dellaBuddhità.

Ancora una volta, gli insegnamentiVajrayana individuano nel processonaturale della morte uno specialemomento, in cui – se in vita ci si èaddestrati a sufficienza – è relativamentefacile ottenere la realizzazione direttadella presenza spontanea. Quandol’esperienza della “luminosità della base”(la chiara luce della morte) siaffievolisce9, si manifesta il cosiddetto“bardo10 della dharmata”: la stessaenergia del rigpa (la consapevolezza non–duale), che si era poco prima espressanella luminosità della base, si manifestaadesso, in modo totalmente non–concettuale, attraverso luci, colori, formee suoni. Come da un cristallo, illuminatodal sole, scaturiscono raggi di luce daicinque colori (senza che la natura del

9 La sua durata varia enormemente da persona apersona: da uno “schioccare di dita” per chi nonha mai meditato, alla “durata di un pasto” per unpraticante di medie capacità, a giorni interi peruno yogi esperto.10 “Stato intermedio” in tibetano. Una fase nelprocesso di morte e rinascita; ce ne sono quattro:il bardo naturale della vita, il bardo doloroso dellamorte, il bardo luminoso della dharmata e il bardokarmico del divenire.

cristallo si modifichi in alcun modo), cosìdall’immensa estensione della purezzaprimordiale (priva di caratteristiche)scaturiscono le molteplici manifestazioni(dotate di qualità e caratteristiche) dellapresenza spontanea, senza che questomodifichi in alcun modo la natura nonduale di tutto il processo.11 Il bardo delladharmata si manifesta attraverso visioniestremamente sottili, oppure piùgrossolane, a volte attraenti e a volteterribili.12

Qui si presenta ancora una volta unbivio, la possibilità di “un solo terreno,due diverse vie”. Da una parte c’è il “nonriconoscimento”: ci si afferra ai suoni,luci, colori e forme della Dharmata comese fossero realmente esistenti di per sé.Nasce (o si ricrea, per la forza delleabitudini precedenti) la potenteimpressione di una realtà esterna, con laquale dover fare i conti reagendo –cognitivamente ed emotivamente – indiversi modi. Attaccamento e avversione,speranza e paura, preferenze e antipatieriemergono con forza, sopraffacendol’esperienza naturale del rigpa eriportando in evidenza la mentedualistica. Questo aggrapparsi con tuttele forze all’illusione dell’esistenza –questo attribuire assoluta concretezzaalle apparenze dei diversi fenomeni –rappresenta il secondo aspettodell’ignoranza fondamentale , cioè ilnon riconoscimento del secondo dei treaspetti della base (la presenzaspontanea). Longchen Rabjam ladefinisce nei suoi scritti “la seconda non–illuminazione”, o “la non–illuminazioneinnata”.

Quando si imbocca questa strada, lacoscienza dualistica riprende il controllodella situazione e conduce gli esseri 11 La mente (tib. sem), o coscienza dualistica noninterviene né interferisce a questo livello. Il bardodella dharmata si svolge interamente nella sferadel rigpa, la consapevolezza intrinseca.12 Le “cento divinità pacifiche e irate”, espressioninaturali delle infinite potenzialità (o sfaccettature)della Base.

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senzienti verso la rinascita, priva dicontrollo, in uno dei sei reami di esistenzadel samsara. A causa di questaignoranza, si vivrà permanentementenell’illusione di essere circondati da unarealtà esterna solida – indipendente dalleproprie percezioni e proiezioni – che è ilvelo oscuratore principale, ciò che separagli esseri senzienti dal riconoscimentodella propria natura illuminata.

Per uno yogi che ha realizzato i fruttidella pratica, il sorgere del bardo delladharmata non è altro che una secondapossibilità13 di ottenere la completaliberazione; abbracciando le diversemanifestazioni della presenza spontaneanella propria esperienza del rigpa,l’indivisibilità di apparenze e vacuità (diesistenza e non–esistenza) vienetotalmente realizzata, portando ilpraticante direttamente allo stato diBuddha. Questo risultato può essereottenuto anche in vita, grazieall’addestramento nella speciale praticaDzogchen chiamata Tögal.

Riconoscere il secondo aspetto dellabase, la presenza spontanea, è la via piùrapida per realizzare il Sambhogakaya(tib. Longku) di un Buddha. Questo è lo“Stato di gioia”, il livello in cui la mente diun essere illuminato si esprime attraversosimboli, visioni, forme di energia e luce(gli Yidam o “aspetti di Buddha”),vibrazioni (i mantra), per trasmetterel’esperienza dello stato risvegliato – e lasua energia ispiratrice – ai praticanti.14

13 Dopo quella precedentemente offerta dalsorgere della “luminosità della base”, al terminedel bardo della morte.14 Questo può accadere nel contesto di sogni,visioni o profonde esperienze di samadhi(assorbimento meditativo). Non è da intenderedualisticamente come un processo unilaterale (unessere illuminato che comunica con una personafisica); piuttosto, l’esperienza sorge nella sfera delRigpa, e chi comunica, l’atto del comunicare e ildestinatario della comunicazione non sono affattodiversi.

L’espressione della base èl’energia compassionevole.

Il terzo aspetto della base è la suacapacità senza limiti, la possibilità dimanifestarsi (nell’unione di purezzaprimordiale e presenza spontanea) sottoforme e attività innumerevoli, tropponumerose per poter essere catalogate ocircoscritte. L’apparenza dei fenomenipercepibili – con la sua varietà emolteplicità straordinarie – non è altroche l’espressione non ostruita del rigpa;se viene osservata per quello che è, inmaniera non–concettuale (dimorando inquello stato naturale che è l’esperienzastessa della base) verrà riconosciutacome perfettamente libera da concezionidualistiche come io e tu, dentro e fuori,soggetto e oggetto. La sfera di tuttoquello che ci appare come solido,realmente esistente di per sé (nonimporta che appaia come interno oesterno), non è altro che l’infinita energiadella base, cioè del rigpa stesso – lo statonon duale.

Tutto ciò che è materialeè anche mentale,

e tutto ciò che è mentaleè anche materiale.

(David Bohm)

Perché questa energia viene descrittacome compassionevole? Quando il rigpadanza con se stesso – esprimendosi nelleinfinite forme del samsara e del nirvana –agisce e reagisce in perfetta sintonia contutto quello che accade, armonizzandosicon tutto ciò che appare ed esiste. Inquesto livello (primordialmenteilluminato) di esperienza, non c’è spazioper le concezioni errate di soggetto (ciòche percepisce e giudica) e oggetto (ciòche viene percepito e giudicato); non c’èspazio per un falso punto di riferimento“interno” che si considera il beneficiario ola vittima di circostanze “esterne”(giudicate come positive o negative). Per

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questa ragione l’espressione della base(e/o del rigpa) è energia (attività)perfettamente compassionevole. Questacompassione è primordiale,assolutamente non–nata; non è mai stataconseguita o realizzata, perché derivasemplicemente dal non discriminaresoggetto e oggetto in quanto distinti eseparati. Non c’è qualcuno che abbiacompassione di qualcosa: la compassioneè priva di alternative, priva di scelte, èl’ordine naturale delle cose, per ilsemplice fatto che non esistonodimensioni separate di soggetto, oggettoe azione – ma solo l’unico sapore dellaconsapevolezza intrinseca, non duale.

L’espressione della base è dunquel’energia compassionevole, così come simanifesta nelle infinite apparenzefenomeniche del samsara e del nirvana.Questo terzo aspetto della base è il fruttodell’unione indissolubile dei primi due, divacuità e apparenze (purezza primordialee presenza spontanea). La realizzazionedi questo aspetto scaturisceautomaticamente dalla realizzazione deiprimi due, senza bisogno di aggiungerealcunché. Allo stesso modo, anche il non–riconoscimento di questo aspettoscaturisce inevitabilmente dal non–riconoscimento dei primi due.

Quando le apparenze del bardo delladharmata vengono percepite(erroneamente) come “oggettivamenteesistenti”, ciò che si coagulaparallelamente15, come in uno specchio, èil “senso dell’io” – la potente illusione diun analizzatore interno di tutte leesperienze (“esterne”). Questoanalizzatore interno (il pensierodualistico) non è altro che la stessaenergia compassionevole del rigpa –l’espressione della base – nonriconosciuta; e si manifestacompletamente nella successiva fase delprocesso di morte e rinascita, il “bardodel divenire”. 15 Sulla spinta di tendenze abituali fortissime einnate.

Il bardo del divenire si svolgeinteramente nella sfera della coscienzadualistica: la mente (tib. sem) ha preso ilposto della consapevolezza intrinseca(rigpa). La coscienza della personadeceduta sperimenta alcune settimane16

di vagabondaggio senza meta, simile intutto e per tutto al sogno sperimentatonella vita notturna – con la differenza chenon esiste più un “sostegno” fisico ditutta l’esperienza. Ogni avvenimento17

viene qui sezionato con il bisturi delpensiero dualistico: “Io e il mondoesterno”; “Io sono nato da quello, quelloè nato da me”; “Questo mi piace,quell’altro non lo sopporto”; “Spero inquesto, ho paura che accada quell’altro”;e così via… Questa illusione dualistica èlo stato mentale abituale, normale, di unessere samsarico. Dallo stato intermedio(e da un numero incalcolabile di viteprecedenti) questa illusione viene poitrasferita integralmente nella nuova vita– condizionando ogni istante dipercezione del “nuovo” essere senziente.Nasciamo marchiati indelebilmente daquesta illusione, e ce la portiamo dietrocostantemente.

Questa fissazione su un punto diriferimento soggettivo, questo sensoinnato di un analizzatore interno alleprese con un mondo esterno, questatotale divisione di “conoscitore” e“conosciuto”, rappresenta il terzoaspetto dell’ignoranza fondamentale ,cioè il non riconoscimento del terzo – edultimo – dei tre aspetti della base(l’energia compassionevole). LongchenRabjam la definisce nei suoi scritti “laterza non–illuminazione”, o “la non–illuminazione di immagini e concetti”.

16 La durata è calcolata dal punto di vista umano,di coloro che sono in vita.17 Ogni avvenimento del bardo del divenire è“mentale” (benché la coscienza possa far visita aluoghi, persone e situazioni che le erano familiarinella vita precedente, appena conclusa). Anche ilcorpo degli esseri in questa fase è un “corpomentale”.

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Riconoscere il terzo aspetto dellabase, che è l’espressione (indivisa e non–ostruita) dell’energia del rigpa, è la viapiù rapida per realizzare il Nirmanakaya(tib. Tulku) di un Buddha. Questo è lo“Stato di manifestazione”, il livello in cuigli esseri illuminati decidono – per puracompassione – di mostrarsi agli esserisenzienti in una forma fisica; rinascendoda una madre e da un padre, eprendendo un corpo, i Buddha possonotrasmettere agli esseri viventi le istruzioniper percorrere la via che porta allaliberazione e all’illuminazione;nell’aspetto di insegnanti spirituali (oaddirittura nell’aspetto esteriore dipersone ordinarie) possono compiere ilbeneficio di tutti gli esseri viventi, dopoaver pienamente realizzato il proprio.18

Questi sono i tre aspetti dell’ignoranzafondamentale, corrispondenti al nonriconoscimento dei tre aspetti della base– o natura di tutte le cose. La “ruotadell’esistenza” gira incessantemente, inpresenza dell’ignoranza fondamentale –che funge da catalizzatore di tutti iprocessi samsarici. Questa ignoranza èinnata (non–nata): è primordiale,esattamente come la saggezza cherealizza la natura ultima. Entrambe lepotenzialità sono inerentemente presenti,contemporaneamente, in ogni singoloessere vivente e in ogni singolo istante:la liberazione e la confusione, il nirvana eil samsara, la natura di Buddha e la non–illuminazione. La differenza fra le dueesperienze risiede esclusivamente nelriconoscimento (o non–riconoscimento)

18 Il modo in cui questa spiegazione è formulatanon deve far pensare che i tre Kaya (o stati) di unBuddha si realizzino indipendentemente l’unodall’altro, o in tempi diversi. La Buddhità coincidecon la realizzazione simultanea dei tre Kaya, chesono come tre diversi livelli di “densità” di unelemento fisico; si pensi al vapore acqueoinvisibile (Dharmakaya), alle nuvole, visibili maimpalpabili (Sambhogakaya) e all’acqua piovana,percepibile con tutti e cinque i sensi(Nirmanakaya).

delle cose così come sono: per gli esseririsvegliati, tutto è l’unione indivisibile difenomeni e natura ultima, di apparenze evacuità, di purezza primordiale epresenza spontanea, di vacuità eluminosità, di spazio e rigpa. Per gliesseri senzienti, invece, tutte leapparenze e i fenomeni sonointrinsecamente reali, ed esistono perdavvero. Da una differenza così piccola(quasi una “cantonata”) si crea unadistanza abissale, fra la condizioneilluminata di un Buddha e le sofferenzeindescrivibili degli esseri samsarici. Da unerrore così piccolo nascono conseguenzecatastrofiche, e la ruota dei “dodici anellidella produzione dipendente” continua agirare…

Continua…

Fra i quattro modi di imparare(leggere, memorizzare,

riflettere e scrivere)scrivere è quello migliore,

secondo i grandi maestri del lignaggio.Quindi io, che ho ricevuto il nome di Chönyi Dorje,

ho scritto queste coseriprendendo a destra e a manca

le parole dei grandi esseri realizzati,senza alcun merito da parte mia,

nella speranza di riuscire io stesso ad impararle.Grazie alla forza ispiratricedel Lama e dei Tre Gioielli,

possano questi insegnamentiessere causa di liberazione

per un grandissimo numero di esseri fortunati!

* Dzogchen Nyingthig *www.vajrayana.it