Salvator Dalì in mostra
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Una vita surrealeDopo sessant’anni tornano in mostra a Roma le opere di Salvador Dalì. Una significativa retrospettiva celebra l’estro dell’uomo con le sue stravaganze, ma anche con tutta la sua genialità
Salvator Dalì, Autoritratto con il collo di Raffaello, olio su tela, 1921 ca. Collezione Fundació Gala-Salvador Dalí, Figueres.
di Nolberto bovosselli
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Salvator Dalì, Autoritratto molle con pancetta fritta, olio su tela, 1941. Coll. Fundació Gala-Salvador Dalí, Figueres.
Talvolta per comprendere appieno il senso di una mostra dedicata ad un artista illustre può essere sufficiente cogliere l’essenza più semplice del titolo: Salvador Dalì: un artista, un genio dice tutto. Queste due macrodefinizioni – in cui l’uomo e l’artista si fon-dono – hanno sempre convissuto in stretta simbiosi e senza alcuna soluzione di continuità nel talento spagnolo, nato a Figueres nel 1904 e morto nel 1989 sempre a Figueres (dove decise di trascorrere gli ul-timi anni nel suo teatro-museo). La sua stessa esi-stenza è stata un’opera d’arte, come del resto i suoi quadri, i suoi film, le sue fotografie erano impregnati di vita vissuta ed esperienze autobiografiche.
Proprio per tali motivi, l’esposizione al Comples-so del Vittoriano, aperta al pubblico fino al 30 giu-gno, si pone come obiettivo quello di tracciare un immaginario filo rosso tra le qualità dell’artista e la stravaganza dell’uomo, così da lasciare emerge-re compiutamente la figura intera di Salvador Dalì, dalle ambizioni trascendentali della sua pittura alle eccentricità terrene dei suoi comportamenti. In que-sta mostra dall’ampio respiro internazionale sono esposte 103 opere, tra disegni, olii, fotografie, filma-ti, lettere, documenti, oggetti che, attraverso visioni suggestive e immagini incantevoli, illuminano le mil-le sfumature dell’opera daliniana: pittore, scultore,
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Salvator Dalì, Impressioni d'Africa, olio su tela, 1938. Museum Boijmans Van Beuningen, Rotterdam
scrittore, cineasta, scenografo, designer, illustrato-re, pensatore, appassionato di scienze. A tutto ciò si aggiunge un elemento importante e spesso trascu-rato: il rapporto proficuo di Dalì con l’Italia, che viene messo in evidenza mediante ogni testimonianza che documenta i suoi viaggi nel Belpaese e rievoca gli incontri e le collaborazioni con artisti come Luchino Visconti e Anna Magnani. Del resto è innegabile l’in-fluenza che su di lui esercitarono i grandi maestri del Rinascimento e del Barocco: Raffaello, Bramante, Michelangelo, Cellini, Bernini furono oggetto di stu-dio e di amore per il giovane Dalì, negli anni in cui frequentava l’Accademia madrilena, fino a farne dei modelli d’imitazione nelle sue prime opere. Ma anche in età adulta la sua passione per Roma e per le città d’arte italiane non solo è indubbia, ma è per lui fonte continua d’ispirazione: dai più celebri pittori, scultori e architetti nostrani egli assorbe le pose plastiche, i colori intensi, la sostanza che soggiace alla forma in alcuni suoi lavori. Come ha sottolineato Montse Aguer, direttrice del Centro Studi della Fondazione Gala-Salvador Dalì, grazie alla cui collaborazione è
stato possibile realizzare questo evento, la mostra è una sorta di «autoritratto dell’artista incentrato sul suo rapporto con l’Italia e il confronto con la tradi-zione pittorica italiana». E, proprio per festeggiare l’amicizia tra Spagna e Italia, Alessandro Nicosia, direttore del Vittoriano, ha ricordato che «si senti-va l’esigenza di una grande mostra, come merita un artista importante e significativo come Dalì», capace di segnare un’epoca col suo estro e le sue bizzarrie. A partire già da quei vistosi baffi, sottili e pittore-schi, che divennero un vezzo caratteristico del suo aspetto. In fondo, tutta la sua vita è stata un faticoso inseguimento di quel concetto di “meraviglioso” che André Breton, capofila e teorico del Surrealismo, ri-teneva essere il fine ultimo dell’arte. Salvador Dalì ha impersonato in modo sublime la natura autentica del surrealista, operando, ma soprattutto vivendo, secondo uno stile onirico e visionario, fatto di im-maginazione, poesia, evocazioni, fantasia e libertà. Come disse egli stesso, quando nel 1934 fu espulso dal gruppo dei surrealisti per divergenze d’opinioni coi suoi colleghi, «il Surrealismo sono io».
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