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3 SALOTTO FELTRINELLI, SUPPLEMENTO A EGO RIVISTA, REGISTRATA AL TRIBUNALE DI LATINA N° 690 DEL 29 NOVEMBRE 1999 COPIA OMAGGIO Sei mesi di programmazione e 20 appuntamenti. Rigorosamente culturali, nel senso più ampio del termine, con incontri tra autori e pubblico insieme a moderatori d’eccezione, improntati in talk show e salotti letterari nel covo di Salotto di bellezza continua a pag

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Sei mesi di programmazione e 20 appuntamenti. Rigorosamente culturali, nel senso più ampio del termine, con incontri tra autori e pubblico insieme a moderatori d’eccezione, improntati in talk show e salotti letterari nel covo di

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Solo la bellezza e la cultura ci potranno Salvare

venti appuntamenti spalmati su sei mesi. al salotto feltrinelli di latina, tutti i MercoleDì alle 18.30

chi la cultura la produce e la smista, la libreria la Feltrinelli di Lati-na, dall’11 novembre al 20 aprile, con cena letteraria finale sabato 23 aprile per celebrare degnamente la Giornata mondiale del libro. Abbiamo pensato di allestire questa lunga maratona letteraria durante i mesi autunnali, abbracciare quelli invernali e accompagnare quel-li primaverili, scegliendo il mercoledì alle 18.30, aprendoci al talk show piuttosto che alla presentazione del libro con l’autore autore-ferenziale a dispensare suggerimenti e consigli di come si viva, che cos’è la vita e perché la sua opera è migliore di quelle del resto del mondo. Ma perché questo calendario che sembra quasi non prendere respiro, che ha l’ambizione di bombardare la città di libri, di memo-ria, di dibattito, di cultura? Perché questo calendario di eventi e di confronti continui, che partono dal basso osservando con sufficienza chi invece rappresenta l’istituzione?Perché, come insegna Dostoevskij per bocca del suo principe Myskin ne ‘L’Idiota’ «soltanto la bellezza ci può salvare». E la cultura è sino-nimo di bellezza. Una città irrisolta come Latina, che sembra godere del suo perfetto autolesionismo, sguazzare nel suo torpore sordido e grottesco, ha necessità di una luce che la possa indirizzare verso l’uscita di un tunnel che sembra non avere traguardo. Ecco, a Latina, l’indifferenza di questa città anarcoindividualista (altro che democri-stiana della prim’ora o postfascista dell’ora nostalgica) è stato il male maggiore da quando è nata. Nata, cresciuta e coltivata come mosaico, non ha mai maturato il senso dell’identità, comportandosi come una città di frontiera (e, al di là del caleidoscopio di laboratori di razze, lo è, schiacciata tra Roma e Napoli), fredda e distaccata, atteggiona e indolente, superficiale e anaffettiva. E affetta da un nanismo pro-prio della ‘provincia’. Ma con la cultura Latina può reagire, scaccian-do tutto quello che non crede nell’armonia e stona completamente con essa. È un po’ l’esempio prosaico ma perfettamente calzante del superpoliziotto Antonio Turri: «se una mosca ronza in un ambiente pulito, asettico, lindo, alla fine questa non troverà dove attecchire e per la sua natura coprofaga morirà, se invece la mosca ronza in un ambiente marcio prolifererà senza alcun disturbo». Chiaro il concetto, no?Proviamoci con la cultura. Magari questo Salotto di Bellezza così singolare ci potrà salvare.

Gian Luca CampagnaDirettore artistico evento

[email protected]

tipografia Stampa Italiana Periodici srl . V.le E. Ortolani 33, Dragona (RM)

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4 10anni2005/2015

lascalarossa#madisolaculturale www.madarte.it

coMe ti racconto il FaScino Della Storia

lo Sbirro veneruSo tra la collera

e il colera Di napoli 11 novembre l’occHio Di Dio giulio leoni

18 novembre ore 18.30la collera di napoli

Diego lama

Un inizio al di là del tempo, così si è aperto mercoledì 11 novembre il talk show del Salotto culturale Feltrinelli, ideato dall’agenzia ego presso l’omoni-ma libreria a Latina, con un Giulio Leoni autore de “L’occhio di Dio” che ha fatto rivivere il passato con il fascino magne-tico che gli appartiene. Giulio Leoni è un autore di fama internazionale, autore di numerosi libri di avventura, fantascienza e fantasy (ciclo di Anharra), conosciuto per i romanzi in cui Dante Alighieri ve-ste i panni del detective. Scrive raccon-ti e romanzi del mistero ambientati nel passato. Leoni sceglie i suoi personaggi e li fa rivivere con passione, la stessa passione che mette nella scrittura, una scrittura che non si può insegnare ma che è in continua evoluzione, scrivendo tutto ciò che gli avrebbe fatto piacere leggere. Con lui si viaggia nel tempo e lo si esplora, assaporando un senso di immortalità. “L’occhio di Dio” è un ro-

Il 2015 è l’anno di Diego Lama e del suo commissario Veneruso, napoletano vera-ce, come il suo mentore narrativo. Così ‘La collera di Napoli’ è stato vincitore del Premio Tedeschi 2015, pubblicato nel Giallo Mondadori del mese di otto-bre, la storica collana da edicola della casa editrice milanese, anche se il suo commissario era già apparso con alcuni racconti in appendice alla storica collana gialla. La trama: siamo a Napoli, nel set-tembre del 1884. Un’epidemia di colera provoca migliaia di vittime in appena due settimane. Veneruso, un commissa-rio di polizia depresso e irritabile, indaga sul ritrovamento dei cadaveri di alcune giovani orfane mutilate che vengono rin-venute sempre su una spiaggia vicino al porto. Nell’indagine il commissario sco-pre che le ragazze provengono tutte dallo stesso convento di monache di clausura. Giorno dopo giorno, il commissario sco-prirà strani personaggi e storie nascoste in una Napoli di fine secolo splendida e

manzo ambientato nel 1600, che ha per protagonista Galileo Galilei che si muo-ve tra spie turche, complotti, macchine meravigliose che sono quasi una “cala-mita” per l’autore e una donna, Corvina, dal fascino inenarrabile, maga, zingara, veggente, forse il diavolo in persona per la sua bellezza straordinaria che può ad-dirittura prevedere la sorte, una donna che in sé racchiude tutto l’universo fem-minile. Un romanzo dove non manca il fascino, l’enigma e la sensualità contur-bante di Corvina. Si è parlato di tutto un po’, con chi ha la capacità di portarti ovunque, anche d‘amore e di quanto gli uomini siano un po’ canaglie, aspetto che ritroviamo in quasi tutti i personaggi di Giulio, da Dante a D’annunzio fino a Galileo Galilei. Con Leoni ci ritroviamo a scoprire autori studiati a scuola, a vol-te in maniera pedante, scoprendone l’au-dacia, il coraggio e tutta la loro umanità. E magari il merito è proprio il suo.

tormentata, costruendo un romanzo d’in-vestigazione potente e ben congegnato, che propone un nuovo, formidabile in-vestigatore che non mancherà di entrare nel cuore dei lettori. Le ricerche di Ve-neruso e dei suoi scalcagnati agenti, che ora strappano sorrisi ora ti fanno scuo-tere la testa, riveleranno presto passioni segrete, vizi inconfessabili e relazioni pericolose tra le religiose. All’indagine principale si aggiungono altri casi paral-leli, altri omicidi, altri assassini, renden-do la trama un intreccio affascinante e verosimile, con un linguaggio credibile, scurrile, attuale, calzante. E poi vi inna-morerete del commissario Veneruso, da cui probabilmente non vi libererete tanto presto. Ci potete contare. E non manca-te, sennò vi mandiamo il commissario Veneruso. E se sfuggite a lui il giornali-sta della serata, Gian Luca Campagna, e Diego Lama in persona vi verranno a pe-scare, aiutati dal commercialista Giorgio Bastonini e dal notaio Ernesto Narciso.

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Delitti e MiSterinella caMera cHiuSa

25 novembre ore 18.30 il mistero della camera chiusa nella villa dei suicidi assistitipierluigi Felli

2 dicembre ore 18.30 non picchiarla, non lo merita.

antonio Moccia

Da oggi anche lo scrittore Pierluigi Fel-li potrà avanzare la sua candidatura a miglior giallista che si è cimentato nel mistero della camera chiusa, il racconto dove accade un delitto all’interno di una stanza ermeticamente chiusa dall’inter-no ma dove è scomparsa l’arma del de-litto o l’omicida si è volatilizzato.Ne ‘Il mistero della camera chiusa nella villa dei suicidi assistiti’ quattro scrittori decidono di accomiatarsi dal mondo con una morte spettacolare, degna delle tra-me fitte di mistero dei propri romanzi. Così, gli ottuagenari Andrea Doria, Ro-berto Romano, Don Marcello Calvisani e Silvano Camastri decidono di trascor-rere l’ultimo weekend della loro movi-mentata esistenza in una placida clinica svizzera, Villa Ethica, per abbracciare nel comfort assoluto l’eutanasia assisti-ta. I quattro arzilli vecchietti, riuniti nel Club degli Amici del Trapasso Anticipa-

Non è solo con una giornata contro la violenza sulle donne che in Italia si sra-dica questo fenomeno che assume ogni giorno aspetti primitivi e orrendi. La Giornata internazionale per l’elimina-zione della violenza contro le donne è una ricorrenza istituita dall’Assemblea generale dell’Onu, tramite la risoluzione numero 54/134 del 17 dicembre 1999, designando il 25 novembre come data della ricorrenza. Salotto Feltrinelli lo fa a modo suo: organizzando una pre-sentazine di un atutore che non conosce miele quando si esprime, abbracciando vari temi scottanti. La manifestazione più classica della violenza coniugale risulta un desiderio ossessivo di posses-so e dominio. Un uomo più geloso che ragionevole rivendica la proprietà ses-suale esclusiva della sua congiunta ed esige dalla stessa sottomissione al fine di poterla sorvegliare senza tregua. Lui la maltratta quando lei afferma la sua indi-pendenza e quando lei non è abbastanza sottomessa al suo gusto. Accade che lei reagisca. I problemi degli alterchi non sono legati solamente alla gelosia, ma anche ai soldi, ai lavori domestici, ai fi-gli. L’uomo diventa veramente pericolo-so quando apprende che lei vuole ‘rom-pere’, che lei è infedele o se lei chiude la relazione definitivamente. Lui annuncia allora che preferisce vederla morta piut-tosto che saperla tra le braccia di un al-tro. La morte appare come una vendetta perpetrata da un uomo allo stesso tempo

to, per ingannare il tempo raccontano il cruccio di ogni giallista: l’omicidio irri-solto nella camera chiusa. Fino a quando tre di loro, nell’ermetica stanza che li ospita, s’addormentano per sempre men-tre il quarto, accusato di omicidio pluri-mo, svanisce nel nulla. Sulle tracce del vecchio scampato al suicidio si getta lo zelante ispettore Marszelai, a pochi gior-ni dalla pensione, che comincia a crede-re in un’architettura montata dai quattro ottuagenari per riscattare l’assenza nelle loro vite di un romanzo perfetto con un delitto perfetto. Comincia così un’arguta caccia all’uomo, una partita a scacchi tra l’irreprensibile Polizia elvetica e l’arzil-lo vecchietto scampato al suicidio assi-stito… Questo romanzo, dove si esalta in chiave moderna l’enigma della camera chiusa, ha ricevuto il prestigioso premio del Garfagnana in Giallo, che testimonia l’ottimo lavoro narrativo svolto da Felli.

rabbioso e disperato al punto da prende-re in considerazione il suicidio. Questo è il leitmotiv all’interno del libro ‘Non picchiarla, non lo merita’ del giornalista casertano Antonio Moccia, che sin dai suoi primi anni di studio universitario si è interessato dei mali della nostra socie-tà: la sua tesi di laurea triennale in Lette-re e Filosofia tratta il tema della “confes-sione dei peccati nell’Italia moderna”, mentre quella della laurea magistrale in Scienze storiche si è incentrata su Nico-la Cosentino e il “sistema camorra”. Il talk show con Moccia protagonista ver-rà condotto dalla fashion blogger Eva Pommerouge, dalla psicologa Cristina Pansera e dall’attivista Simona Mulè.

a tutela Delle Donne: vanno aMate,

non piccHiate

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L’informazionecon un click

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7tutti i giovedì Via Isonzo Centro l’Orologio

QuanDo il Giallo Ha un Suo anello Debole

QuanDo l’oMaGGio a ppp è cantato per

unire le Generazioni 13 gennaio ore 18.30l’anello debolepiera carlomagno

20 gennaio ore 18.30 caro poeta, caro amico

andrea del monte

Una bellissima infermiera viene trova-ta ammazzata, con un solo proiettile in mezzo alla fronte, al Ponte della Madda-lena a Napoli. L’indagine porta il com-missario Ernesto Baricco a indagare su una lobby affaristica che ha come centro Villa delle Orchidee, fiore all’occhiello della sanità privata campana. Tra società fallite, finanziarie estere, consulenti che risucchiano fiumi di denaro e profes-sionisti specializzati nel lavoro sporco, Baricco si ritroverà a scavare nel passa-to della donna e – aiutato dall’avvocato Federico Brizzi e dalla giornalista de Il Mattino Annaluce Savino – scoprirà una terribile verità che farà tremare i palazzi del potere. Alla luce dei recenti succes-si di Diego Lama, fresco vincitore de Il Giallo Mondadori 2015, e di quelli ormai consolidati di Maurizio De Giovanni coi suoi bastardi di Pizzofalcone e il suo commissario Ricciardi, si può affermare che il giallo napoletano, o meglio cam-pano, viva di nuova grande vitalità? For-

‘Caro poeta, caro amico’ è un omag-gio alla figura di Pier Paolo Pasolini, nell’anno del quarantennale della morte. È un progetto musicale (in uscita su eti-chetta tedesca Sound System Records) composto da un album di dodici brani dedicati al grande poeta friulano. I testi sono stati appositamente richiesti a scrit-tori e poeti di varie età. Si va da nomi noti, come Renzo Paris, Antonio Vene-ziani, Giovanna Marini e Alberto Toni ad altri più giovani, ma già affermati a livello nazionale. L’elenco completo de-gli autori delle canzoni annovera Renzo Paris, Clea Benedetti, Alberto Toni, Fer-nando Acitelli, Antonio Veneziani, Igna-zio Gori, Giulio Laurenti, Titti Rigo de Righi, Tiziana Rinaldi Castro, Claudio Marrucci, Giovanna Marini e Andrea Del Monte. I brani sono musicati ed in-terpretati dal promettente cantautore di Latina Andrea Del Monte, il quale si è già messo in evidenzia a livello nazio-nale per la partecipazione al Festival Il Cantagiro (Rai2), dove gli viene asse-gnato il premio della critica, il successo del singolo ‘I numeri primi’ (Top 20 di iTunes) e varie partecipazioni al Sanre-mo Off. Del Monte ha inoltre composto la musica dei dodici brani con l’aiuto del chitarrista John Jackson, che nei suoi trascorsi vanta una lunga collaborazione con Bob Dylan. In allegato al disco, un libro curato da Claudio Marrucci e Igna-zio Gori, con la consulenza di Antonio Veneziani, contenente varie interviste a persone che hanno conosciuto Pasolini,

se la vitalità non l’ha mai persa, perché è il lettore, tramite le più intraprendenti case editrici, che ha avuto l’opportunità di conoscere, storie, trame, personaggi e, appunto, autori. Il giallo napoletano af-fonda forse ad Attilio Veraldi, con il suo storico ‘La mazzetta’, un giallo chandle-riano che dipinge con pennellate feroci la società italiana. E il quadro di cro-naca in cui si muovono i personaggi di Piera Carlomagno ne ‘L’anello debole’ sono reali e sinceri, autentici e veritieri. Giornalista, Piera Carlomagno per molti anni si è occupata di cronaca giudizia-ria, anche da qui l’amore per il giallo d’investigazione. L’altra sua passione è il turismo e con le Edizioni dell’Ippogri-fo ha pubblicato quattro guide turistiche (Salerno, provincia, Costiera amalfitana, Vietri, Cava), è specializzata nella co-municazione in questo campo ed è socia del Gist, il prestigioso Gruppo Italiano Stampa Turistica. Cronaca nera e luoghi mozzafiato per un giallo coinvolgente.

che hanno collaborato con lui o che si sono interessate alle varie tematiche pa-soliniane; si va da registi e scrittori, da attori a giornalisti: Enrique Irazoqui, Ninetto Davoli, Federico Bruno, Ales-sandro Golinelli, Giuseppe Pollicelli, Franco Grattarola, Citto Maselli, Da-vid Grieco, Walter Siti, Maria Borgese, Igor Patruno, Fulvio Abbate, Lucia Vi-sca, Susanna Schimperna, Pino Bertelli, Giancarlo De Cataldo, Tullio De Mauro, Emanuele Trevi e Renzo Paris. ‘Caro poeta, caro amico’ è un progetto che ha il compito di unire persone di genera-zioni diverse all’insegna del patrimonio culturale e civile che Pasolini ha lasciato ai posteri.

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l’econoMia cHe corre Dietro a un pallone. ecco tutti i SeGreti Del calcio-buSineSS

27 gennaio 0re 18.30 - Goal economy - Marco bellinazzo

il motore eterno della passione calcistica), ecco che ogni singolo aspetto però divie-ne, come scrive Luca Pisapia su Il Fatto Quotidiano, “la cartina di tornasole per comprendere quello che è diventato oggi the beautiful game. Bellinazzo sceglie di concentrare l’analisi sull’economia legale del pallone, preferendo non approfondire quell’economia informale e parallela – dalle scommesse alla compravendita di partite, dagli appalti truccati alle tangenti per la costruzione degli impianti sportivi e dell’organizzazione dei grandi eventi, dal riciclaggio di denaro alle vere e proprie infiltrazioni del-le mafie a tutti i livelli nel calcio globale – che muove forse una quantità di dena-ro ben superiore a quella formale.

Molti sono i gossip su Cristiano Ronaldo, uno degli acquisti più onerosi della sto-ria, ma pochi sanno quale potente fondo d’investimento è nato grazie al suo pri-mo procuratore o dell’ambigua lotta del-la Fifa contro queste super agenzie dalle remunerazioni stratosferiche. Un Risiko di sponsorizzazioni e televisioni che in-vadono i mercati emergenti dove il calcio conquista popolarità a ritmi vertiginosi. La neonata Lega del Nordamerica, quella australiana, indiana e quelle mediorienta-li hanno risorse e pubblico tali da poter arrivare fra pochi anni a far concorrenza alle principali Leghe europee, soprattutto a chi come la nostra Serie A non ha saputo innovarsi. La stessa geopolitica di Russia e Cina, con le manovre dei loro oligarchi, s’interseca sempre più spesso con i mec-

canismi mediatici del calcio. Seguire il filo delle multinazionali che foraggiano squa-dre nei più diversi Paesi ci dà l’immagine vivida di cosa sia la “globalizzazione”. Ecco che ‘Goal economy’ del giornalista Marco Bellinazzo è un viaggio nel cuore del calcio globalizzato di oggi. Continente per continente, lega per lega, spiega cosa c’è dietro le cifre, gli uomini e gli intrecci di interessi di un business multimiliarda-rio che ha superato tutti gli altri sport per ricavi e giro d’affari. Perché se è vero che i fatturati non fanno goal, scrivono però la storia del calcio e ci rivelano dove an-drà. Scrive Paolo Tomaselli su il Corriere della Sera: Se lo chiami manuale, rischi di accendere l’interesse solo degli addetti ai lavori. Se dici che sembra quasi un roman-zo, sembra che sia frutto della fantasia del

suo autore. ‘Goal Economy’ è sicuramente un libro pieno di fatti, di cifre, ma anche di personaggi, di storie che in certi casi siamo abituati a rimasticare al bar (vedi alla voce «fondi d’investimento») o di al-tre meno note (lo sapevate che l’ingegnere belga Duchatelet controlla 6 squadre in 5 Paesi?). Quindi se volete fare bella figura prendete in mano il «Bellinazzo», il primo vero punto di riferimento complessivo per il calcio-business di oggi fatto di plusva-lenze, fair play finanziario, fondi di inve-stimento, marketing e marchette. Unica controindicazione: se siete in una fase di disamoramento dal pallone la vostra fede potrebbe vacillare, perché l’unica cosa tonda che rotola a volte sembra essere solo la moneta. Non è ovviamente un libro da spiaggia (anche se ha 500 pagine come un thrillerone) ma è ad alta digeribilità, ha un tono divulgativo, adatto anche a chi non si occupa di finanza nella vita di tutti i gior-ni”. Marco Bellinazzo, giornalista de Il Sole 24 Ore, indaga con cura l’evoluzione del cosiddetto calcio moderno, lasciando da parte romanticismo e fronzoli: “Non è più un semplice gioco. Per certi versi, i cambiamenti impressi dal business gli hanno sottratto un po’ di fascino, ma allo stesso tempo lo hanno reso qualcosa di più completo, ergendolo, a pieno titolo, a sog-getto Industriale e, in definitiva, Politico”.Se è vero che Bellinazzo punta sull’aspetto sociale e colorato del calcio (godibili le pa-gine in cui racconta di come il milionario belga Duchatelet, dopo aver comprato la squadra inglese Charlton e la spagnola Al-corcón, ha imposto il cambio dei colori so-ciali per far giocare entrambe con la stessa maglia, spernacchiando il desiderio d’i-dentificazione del tifoso che è da sempre

Il libro di Marco Bellinazzo si legge con grande piacere. Giornalista del Sole24ore, blogger, presenza fami-liare anche al pubblico televisivo di Rai, Mediaset o Sky e tifoso del Na-poli, con cui ha ricordato le gesta in un libro dedicato ai tempi eroici di Maradona, scritto insieme a cui ha dedicato il suo primo libro, ‘Il Na-poli di Maradona’, scritto con Gigi Garanzini nel 2012.

Marco bellinazzo

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un pM coraGGioSo in una città corrotta e violenta cHe SoMiGlia tanto a latina

3 febbraio 0re 18.30 - un piemme non omologato in una storia di provincia - Giorgio bastonini

la proprietà della squadra di calcio locale. Il clan usa l’arma del ricatto e l’arrogan-za per spadroneggiare in città: aiutato da un barista-tifoso, toccherà al piemme, tra imprenditori strozzati, nostalgici del Ven-tennio, magistrati pilateschi, maghrebini terrorizzati, cit-tadini omertosi, calciatori minac-ciati, a risolvere una brutta storia di provincia. Temi forti per un romanzo scrit-to con godibile leggerezza.

Esordio coraggioso da parte di Giorgio Bastonini, commercialista, che abbando-na momentaneamente i numeri e si diletta con le lettere, pubblicando il romanzo ‘Un piemme non omologato in una storia di provincia’, un thriller ambientato a Latina, amplificando il malessere generale di una città che stenta a sottrarsi ai ricatti di una famiglia camorrista che detta legge in ogni dove, attraverso gli occhi e l’azione di un giovane procuratore arrivato nella città ra-zionalista e subito alle prese con le storture di una comunità di provincia.

Lo scrittore di Latina, ma nato a Parigi nel 1964, lo fa attraverso il godibile, cupo e irriverente ‘Un piemme non omologato in una storia di provincia’ (ego edizioni), se-condo numero della collana dei Tascabili, dal comodo e pratico formato (11×18) e dai costi pressoché contenuti (euro 9,90), collana gialla uscita per la casa editrice ego, di Latina.La trama? Eccola qua: Paolo Santarelli è un giovane pubblico ministero appena trasfe-rito a Latina. Si muove in bicicletta, veste con maglioni extralarge e calza Sneakers,

è imbranato con le donne ma sa affrontare i delinquenti, preferendo i modi spicci e gli interrogatori poco convenzionali. Convin-to assertore che i vaffanculo ricevuti ren-dano più forti, gli vengono affidati due casi di omicidi irrisolti: quello di un giovane, smarritosi dietro un giro d’usura, estor-sioni e spaccio di cocaina, e quello di un criminale incallito. Dalle indagini pare che il ragazzo sia finito sotto le grinfie del clan Romano, una famiglia di camorristi che tiene in scacco la città, perfettamente inse-rita nei suoi gangli sociali, tant’è che vanta

Giorgio Bastonini (Parigi, 1964) sin da bambino mostra una propensio-ne alla scrittura, dopo aver escluso la navigazione e la santità. Si laurea in Economia e commercio, trasfor-mandosi in commercialista. Le cose della vita, amore salute e lavoro, non gli permettono di tirare fuori dal cas-setto i suoi scritti fino al 2013, quan-do partecipa al concorso per racconti del festival Giallolatino. Casualità? Forse. O una congiunzione astrale. Ma l’ipotesi più probabile è che la vita di pendolare in treno che inizia nel 2012, fra Latina e Milano, abbia favorito la scrittura: così diviene uno scrittore in movimento, raro umano, capace di scrivere storie mentre cor-re a 237 km/h.

GiorGio bastonini

waterpopcolor

GiovanniBalzarani29novembre31dicembre2015

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Quei racconti Del calcio Di b cHe oDorano e Sanno D’italia: 22 autori per 22 SQuaDre

10 febbraio ore 18.30 - la Serie b, il campionato degli italiani - antoloGia

al ricordo sempre vivo di chiaroscuro e colmo di lacrime per il giovane amaranto Piermario Morosini, morto in campo il 14 aprile 2012 durante Pescara-Livorno, cui è dedicata quest’antologia.Ci provano tutti a infangarlo, a sgonfiarlo, a rottamarlo, ma il pallone, stoicamente, resiste grazie alla passione della gente. Perché si rigenera. Si rigenera ‘ogni vol-ta che un bambino prende a calci un pal-lone per strada. È lì che rinasce la storia del calcio’. Lo ha scritto Jorge Louis Borges tanti anni fa. E, ancora oggi, con questi racconti sappiamo che è straordinaria-mente vero. Non esiste un progetto editoriale più esal-

tante di questo: unire le diverse città italia-ne, o meglio i diversi campanili, attraverso lo sport più amato del Bel Paese, il calcio. Ricorda un po’ quando eravamo ragazzi che per farci stare buoni a un matrimonio, lo zio più scaltro ci conduceva per mano sul sagrato della chiesa e ci rifilava la pagi-na enigmistica col gioco di unire i puntini. Ecco, l’antologia ‘La serie B, il campiona-to degli italiani’ s’è ispirata proprio a quel vecchio ma efficace passatempo, ricalcan-done le tracce e abbracciandone lo spiri-to. È nata così, istintiva e genuina, l’idea di unire le diverse anime delle cittadine italiane che partecipano al campionato di serie B della stagione 2015/16, prendendo spunto dalla felice titolazione data dal suo presidente federale Andrea Abodi. Unire i diversi campanili con scrittori e giornalisti dalle differenti anime, investiti dell’arduo compito di descrivere in un bre-

ve racconto i contesti in cui si muovono le squadre che calcano il palcoscenico della cadetteria, è stato emozionante. Sia per chi questo percorso lo ha ideato e coordinato, sia per chi lo ha sposato e seguito, animan-done il confronto e stimolandone i temi. Ne è nata così una raccolta che sì insegue lo sport più bello del mondo ma ne descri-ve anche gli spaccati, a volte in maniera dolce, altre senza miele sulla lingua, foto-grafando le realtà distorte o alleviate dal tirare calci a un pallone, sognando anche dalla periferia il calcio del mito e della leg-genda. Storie che hanno come sfondo i colori di Pescara e Lanciano, Avellino e Salerni-tana, Cesena e Modena, Entella Chiavari e Spezia, Brescia e Como, Novara e Pro Vercelli, Ternana e Perugia, Latina e Ca-gliari, Trapani e Crotone, Ascoli e Bari, Livorno e Vicenza. Campanili che rappre-sentano ben 15 regioni, che interpretano

a modo loro la metafora della vita e del calcio, inteso qui (e altrove) come un lin-guaggio universale e come straordinario collante sociale. E così troviamo storie che s’intreccia-no con la città, trainano la passione della gente comune, smitizzano e ironizzano, abbracciando anche temi tabù e forti, sen-za veli e ipocrisia, confermando che il calcio resta confinato nella franchigia del-le emozioni che difficilmente si riescono a spiegare a chi non varca i suoi confini e non scende in campo. Dal mondo sin-golarmente provinciale di Latina fatto di procaci milf interessate più ai garretti dei calciatori che al pallone alla passionale ar-monia di una città d’acciaio come Terni, dai ricordi con gli occhi di bambino del braccio chiuso di Sollier dopo una rete alla morte di Renato Curi a Perugia al dram-ma degli immigrati che Trapani vive ogni stagione, da una scommessa nata male e finita peggio a Lanciano alla leggenda del fratello sfigato di Dan Corneliusson sul ramo del lago di Como, dalla tensio-ne del cronista che attende il ripescaggio del ‘suo’Ascoli in B al quadro picaresco, noir e cinico di una La Spezia preda della criminalità, dal dramma intimo e familiare di un tifoso del Vicenza ai sogni di un gio-vane che desidera giocare nel suo Entella, dai ricordi in bianco e nero di due tifosi del Pescara passando per YouTube e Twit-ter alla sorprendente solidarietà ‘a livello ultras’ dei tifosi del Cagliari, dai sogni di una notte di mezza estate a Modena con le preghiere alla Ghirlandina alle vicissitudi-ni di un giovane ghanese con problemi di carta d’identità a Brescia, dai sogni mate-rializzatesi di un giovane pugliese che un giorno esordisce con la maglia de la Bari

La raccolta antologica è stata curata dal giornalista Gian Luca Campa-gna, che ha coinvolto scrittori, gior-nalisti e blogger da tutt’Italia. Ecco-li: Titti Festa, Marco Amabili, Bruno Palermo, Gaetano Imparato, Oscar Buonamano, Lorenzo Mazzoni, Francesco Vannutelli, Mauro Frugo-ne, Roberto Guerriero, Sergio Forti-ni, Nicola Conforti, Mauro Corno, Andrea De Carlo, Gianluca Mattioli, Marco Ursano, Eva Pommerouge, Gianluca Atlante, Luca Biribanti, Gian Paolo Laffranchi, Franco Cot-tini, Enrico Astolfi, Filippo Landini.

la formazione Dei 22

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ABBIAMO

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la traGica Storia Della FaMiGlia coco

il DiSeGno criMinoSo per DiFenDere

la linGua italiana17 febbraio ore 18.30il fattaccio di Maenza Felice cipriani

24 febbraio ore 18.30 la strage dei congiuntivi

Massimo roscia

A distanza di un secolo e mezzo tra i vicoli di pietra viva di Maenza risuona un’eco netta, forte, acuta: «Liberate i Coco, sono innocenti». Oggi il giorna-lista Felice Cipriani ha il coraggio di ac-cendere i riflettori su una vicenda sepolta in un mondo contadino, geloso delle sue tradizioni ma anche custode di ricordi che potrebbero risultare scomodi per una comunità. Perché Carlo e Raffaele Coco, padre e figlio, quel 20 settembre 1881 non uccisero il possidente Giuseppe Gori, anche se da uno Stato iniquo e ves-satore furono giudicati colpevoli al pari di chi materialmente ammazzò quell’uo-mo. Siamo a Maenza, un piccolo centro collinare oggi in provincia di Latina, al-lora appartenente allo Stato Pontificio, dove le angherie e i soprusi dei più ricchi sui più deboli appartenevano all’ordina-rio. Scavando nella memoria degli ar-chivi e attenendosi alla tradizione orale, Cipriani fissa quel dramma postunitario, seguendolo come un perfetto giallo, dal delitto alla sentenza di condanna fino

Chi ha ucciso l’assessore alla cultura? Ma, soprattutto, chi salverà la gramma-tica? Cinque bizzarri personaggi, abil-mente descritti, si uniscono per mettere in atto un grande disegno criminoso a difesa estrema di una lingua quotidiana-mente vilipesa, deturpata e ferita a mor-te: ecco, questo è ‘La strage dei congiun-tivi’ di Massimo Roscia. I congiuntivi vengono invertiti con i condizionali, i verbi intransitivi goffamente resi transi-tivi, i gerundi sfregiati, i sinonimi igno-rati, i troncamenti confusi con le elisioni, i vocabolari abbandonati nelle cantine ammuffite. Reggenze errate, fastidiose sovrapproduzioni di avverbi, insoppor-tabili diminutivi iperbolici. Espressioni trite e banali, frasi mangiucchiate, di-fettose, frammentate, incoerenti, pri-ve di punteggiatura... I più si mostrano indifferenti al progressivo diffondersi della non-lingua; altri si indignano, limi-tandosi a contrarre le labbra in segno di disgusto; altri ancora - Dionisio e i suoi sodali, un analista sensoriale, un biblio-tecario, un dattiloscopista della polizia e un professore di letteratura sospeso dall’insegnamento a tempo indetermi-nato - decidono di reagire, combattere, attuare il loro salvifico piano, costi quel che costi. Allora, questo romanzo è un noir? Un’invettiva contro i depaupera-tori della lingua italiana? Un esercizio di erudizione? Imprecisa e riduttiva una definizione univoca. Impossibile. Si trat-ta di un romanzo originalissimo, un gio-co, un intreccio stretto di livelli narrativi

alla pena da scontare nel duro carcere di Santo Stefano con l’epilogo della fru-strante liberazione di Raffaele Coco. Il Fattaccio è una brutta pagina nella sto-ria Maenza. È il racconto un omicidio ef-ferato avvenuto in un clima di tensioni, di malcontento diffuso, di ingiustizie che opprimevano la società contadina e dello sfruttamento dei ricchi e possidenti, ver-so i lavoratori della terra. Un omicidio che ha lasciato poche tracce nella storia del paese se non nei ricordi trasmessi di generazione in generazione nelle fami-glie dei condannati seppure innocenti. Non lo sapremo mai con certezza, però tutti i dubbi restano. Ultima cosa da sottolineare è che gli anni attorno all’unificazione dello Stato pontificio all’Italia, che per Maenza av-venne il 2 ottobre dl 1870, furono anni duri per la comunità maentina, caratte-rizzati da atti di violenza, furti, proteste e dall’aumento della povertà, causata da un Regno d’Italia vessatorio che impose nuove tasse.

diversi. Un testo divertentissimo e para-dossale, denso di rimandi e suggestioni di borgesiana memoria. L’autore di que-sto romanzo, Massimo Roscia, è nato a Roma nel 1970 (qualcuno sostiene nel 1870), è scrittore, critico enogastrono-mico, docente, giornalista. Autore di romanzi, saggi, ricerche, guide e vinci-tore di diversi premi letterari, ha esordito nel 2006 con “Uno strano morso ovvero sulla fagoterapia e altre…”. Ha detto di lui John L. Hazelwood: «Ho conosciuto Massimo Roscia nel 2010 a New York; ho subito sospettato che non fosse nor-male. Sei mesi fa ho letto la bozza di questo suo ultimo romanzo e ne ho avuto conferma. Massimo non è affatto norma-le e ciò, per la letteratura italiana, è un gran bene».

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Dna, un viaGGio con Finale a SorpreSa

2 marzo Dna Dario Giardi

9 marzo ore 18.30Quando la terra era promessa

Mario tieghi

1979, Molise: durante uno scavo viene ritrovato un reperto che nasconde una verità sconcertante. Un’organizzazione che opera all’interno del Vaticano riesce però a far passare sotto silenzio la sco-perta. Oggi, Città del Messico: Estela, ricercatrice messicana, si mette sulle tracce di Daniel, il suo ragazzo scompar-so senza lasciar tracce durante una spe-dizione speleologica in Italia. Inseguita e minacciata da un enigmatico ordine re-ligioso, la ragazza si ritroverà alle prese con un mistero capace di rivoluzionare quanto pensiamo di conoscere sull’evo-luzione dell’uomo e di scuotere le fonda-menta della Chiesa e del credo cristiano.Un romanzo, dal titolo secco ma evocati-vo, ‘Dna’, di Dario Giardi, descritto con il ‘consueto’ cipiglio complottista dal giornalista sardo Marcello Polastri: “Vi confesso una storia. Un giorno mi sono occupato delle storie e delle leggende che, ancor oggi, gli anziani abitanti del-

Il libro di testimonianze ‘Quando la terra era promessa – Storie dell’Agro Pontino e Romano’ di Mario Tieghi è una raccol-ta di racconti da chi la bonifica idrauli-ca delle Paludi Pontine l’ha vissuta, da chi s’è insediato nel territorio bonificato e ha partecipato al processo successivo dell’antropizzazione. Il docente di Lette-re, con all’attivo altre due pubblicazioni, “Sabaudia storia viva di una Città nei racconti dei protagonisti” (1999) e “Sa-baudia e le Delibere Podestarili” (2003), ha così concluso la trilogia, proseguendo sul filone della ricerca e dell’approfon-dimento della storia dell’immigrazione laziale. Nel testo sono presenti una se-rie di interviste, con interventi diretti e testimonianze vive. Appaiono i ricordi sinceri dei protagonisti delle opere di bonifica delle Paludi Pontine, dell’inau-gurazione di Sabaudia, di Pontinia e di Pomezia. Una “Terra Promessa” in cui accaddero tanti episodi, tra i quali, la dif-ficile convivenza tra pionieri e gente del luogo, l’incombente ombra della morte per la malaria, le riprese del kolossal storico Scipione l’Africano, le visite del Duce, l’orrore del periodo bellico, l’in-stabilità conseguente agli sfollamenti della popolazione, il lento rinascere del-la civiltà con le imprese balneari, le isole del Dodecaneso ed inoltre il complesso rapporto Italia-Libia fino all’accoglienza degli italiani espulsi da Gheddafi. Inter-venti diretti, testimonianze vive, analisi circostanziate. Ma, appunto, soprattutto interviste. L’autore ci regala uno scrigno

la Sardegna sono soliti raccontare. Tra il serio e il faceto, però, ho anche scoperto che insospettabili organizzazioni tendo-no a bollare, come inventate, certe torie che rivoluzionerebbero la storia e gli studi dell’archeologia. Il romanzo DNA per porre la Sardegna al centro dell’at-tenzione mediatica perché il suo epilogo è verosimile. Raccontando infatti anche l’isola dei nuraghi, svilupperà una trama incalzante su una oscura ed intricatissi-ma vicenda”. Nel romanzo scritto da Dario Giardi, scrittore, fotografo e musicista laure-ato con lode presso l’Università Luiss di Roma, si parlerà, poi, di Cagliari e di Pula. Di quest’ultimo centro abitato, emergerà anche la storia della sua città perduta, Nora, con le sue vestigia roma-ne passando per la civiltà nuragica e il suo popolo degli Shardana. Animo, ar-matevi per questo viaggio ai confini del tempo e della storia.

da cui si aprono i ricordi sinceri di chi la bonifica delle Paludi Pontine e l’antro-pizzazione di Sabaudia e delle città con-finanti l’ha vissuta, tra fame, disperazio-ne e speranze, con le riprese di ‘Scipione l’Africano’, le visite del Duce, la diffi-cile convivenza tra pionieri e collinari, l’ombra della morte per la malaria so-stituita dall’orrore della guerra, e poi la memoria degli sfollamenti, il lento rina-scere della civiltà con le imprese balne-ari, l’accoglienza agli italiani cacciati da Burghibba e Gheddafi: il professor Tie-ghi fissa la vita di una città con le parole dirette dalla vibrante voce dei testimoni del tempo, attraverso un linguaggio che i pionieri ancora oggi usano, fondendo la memoria individuale con quella col-lettiva. collane, dalla narrativa gialla alle testimonianze storiche, attraverso una forma tascabile del libro, ridotta nel formato ma anche economica, facile da maneggiare ma anche facile da leggere.

Storie Di pionieri, Dalla boniFica

ai Giorni noStri

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e i FiGli Della ‘nDranGHeta? Saranno tutti Futuri uoMini D’onore? oppure...

16 marzo ore 18.30 - bambini a metà, i figli della ‘ndrangheta – angela iantosca

miglia, ora vive al Nord con una famiglia che la ama; Francesco Rigitano, che ha conosciuto l’Istituto, il carcere e che a 20 anni ha dato vita al cambiamento, creando una comunità per minori nella Locride; i bambini di San Luca e la sua preside co-raggiosa che sta tentando di mostrare loro la bellezza; i ragazzi e la preside del Piria di Rosarno; Don Pino De Masi, che opera da sempre nella piana di Gioia Tauro, suor Carolina, ex braccio destro di Don Pugli-si che oggi lavora a San Luca, da sempre al fianco di quei bambini, Don Giacomo Paniz-za, da 40 anni al servizio dei gio-vani a Lamezia Terme, Don Lu-igi Ciotti.

«Ci sono bambini che sono figli di padri che uccideranno le loro madri, che cono-scono il linguaggio della violenza, intui-scono il pericolo, sanno quando è ora di tacere, scappare, sparire». E questa è la dedica dle saggio inchiesta della girnalista Angela Iantosca, dal titolo emblematico ‘Bambini a metà’. Seconda opera del-la giornalista Angela Iantosca è il primo saggio mai scritto che affronta il tema dei

minori di ‘ndrangheta, attraverso le car-te, gli incontri diretti, le parole dei pm, dei giudici, degli psicologi e di chi, ogni giorno, si fa carico della responsabilità di far conoscere loro un mondo diverso da quello nel quale sono costretti a crescere. La prefazione è del Professor Enzo Cicon-te (scrittore, docente presso l’Università Roma Tre e l’Università de L’Aquila, già Consulente della Commissione Parlamen-

tare antimafia). Della ‘ndrangheta, degli uomini e delle donne che ne fanno parte si sa molto di più rispetto al passato. Ma c’è una grande lacuna, ieri come oggi, e riguarda i figli. Bambini cresciuti in un clima di violen-za, omertà e sopraffazione: uno sfondo costante, un destino già stabilito, al qua-le difficilmente possono opporsi. Bambi-ni che invece di giocare vanno a trovare il padre nascosto in un bunker, in vece di sbucciarsi le ginocchia imparano a spara-re. Bambini che poi crescono e, a 14 anni, non corteggiano le amiche a scuola, ma vengono affiliati con il rito del battesimo per poter diventare futuri uomini d’onore. Ma come vivono da giovani mafiosi?C’è chi è affascinato dal potere, chi cresce convinto che sia la violenza l’arma giusta; ma c’è anche chi rinnega la scia di sangue che il proprio nome si porta dietro. Come aiutarli? È difficile entrare nei loro pensie-ri, comprenderne le esigenze, intime ne-cessità e desideri inespressi.Ma una domanda è d’obbligo: se cono-scessero un altro modo di crescere cosa accadrebbe? E che cosa è accaduto a chi ci ha provato?“Bambini a metà - i figli della ’ndangheta” tenta di dare una risposta a questi interro-gativi ricostruendo le azioni del Tribunale per i Minorenni di Reggio Calabria (che le ha fornito il materiale) in grado, forse, di riacciuffare queste esistenze a metà. Cuore del libro gli incontri/interviste con Libe-ro, figlio di una famiglia importante della Calabria, che per un anno è stato inserito in un progetto a Messina con Addiopizzo che lo ha portato a sconvolgere i suoi punti di riferimento e a sognare altro per il suo futuro; Aurora che, sottratta alla sua fa-

Angela Iantosca è nata a Latina nel 1978. Laureata in Scienze Umanisti-che presso l’Università La Sapienza, vive a Roma. Dal 2003 è giornalista e collabora con diverse testate na-zionali. Da settembre 2014 è invia-ta de “La Vita in Diretta”, in onda su RaiUno. Ha pubblicato “Onora la madre – storie di ‘ndrangheta al femminile” (Rubbettino); il raccon-to “L’urlo del Leone”, nella raccol-ta “Siria. Scatti e Parole” (Miraggi Edizioni).

anGela iantosca

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Storie Di caMorra, Di vita e Di ribellione: Da Don ciotti Fino a MonSiGnor noGaro

23 marzo ore 18.30 - l’amante di cristo - alessandro zannini

a pagine divertenti e leggere come quelle che vedono protagonista la piccola Ilaria e i suoi teneri interrogativi riguardo Dio e a cosa vuol dire concretamente essere suoi figli tra le mille difficoltà che si incontrano nel quotidiano, in primis quel “comanda-mento” difficilissimo se non impossibile da rispettare e mettere in pratica, “ama il tuo nemico” che va al di là di un semplice atteggiamento o predisposizione sentimentale.

In questo suo ultimo romanzo il giornalista e scrittore casertano Alessandro Zannini si è ispirato alla figura di Monsignor Raffae-le Nogaro. Così Zannini, dopo i successi di “Sera e dintorni”, “Storia della fanteria”, “Sulle ali di un gabbiano”, “Il pozzo di Si-chem”, col suo romanzo “L’amante di Cri-sto” ripercorre la vita di monsignore Raf-faele Nogaro e alcuni episodi realmente accaduti anche attraverso personaggi che richiamano alla memoria figure verosimi-li come don Peppino Diana, don Puglisi e don Ciotti e che hanno conosciuto Monsi-gnor Nogaro.Nel romanzo troviamo il cardinale Hòf-femberg, la piccola Ilaria, il ras politico Giuseppe Palmieri e l’indimenticabile don Luigi, sacerdote assassinato dalla camorra. Al centro della storia ovviamente c’è Raf-faele Nogaro e la sua testimonianza di im-

pegno, il suo modo di vivere il messaggio evangelico, il suo essere sempre in prima linea, aiutando chi soffre, stando vicino ai più deboli e agli emarginati. Semplice e battagliero, Nogaro rappresenta una figura trasgressiva per il nostro tempo, come tutti quegli uomini di Dio che lottano ogni gior-no, rischiando anche la loro vita in nome nel Vangelo, appoggiando le battaglie civi-li. Dal romanzo emerge un forte messag-gio di speranza veicolato dalla celebrata e carismatica figura di Nogaro, nonché una profonda riflessione su alcuni aspetti del Vangelo e sul significato di essere cristiani che inducono inevitabilmente anche noi a porci degli interrogativi. “Conviene” esse-re cristiani o ciò comporta soffrire di più nel porci continuamente dei dubbi e delle domande alle quali, di fronte alle sofferen-ze della vita e al male presente nel mondo,

non sappiamo dare risposta? La fede può bastare a colmare le nostre angosce e i no-stri drammi? Di grande interesse risultano anche le pagine dedicati ad argomenti e temi di scottante e spinosa attualità come quello relativo al tragico fenomeno dell’im-migrazione clandestina. Realtà e fantasia si alternano ne “L’amante di Cristo”, il quale contribuisce a darci una visione più chiara della Chiesa e soprattutto di quella che auspicava Monsignor Nogaro, che non sembra essere così lontana da quella che desidera Papa Francesco. La forza morale del protagonista non può esserci estranea, sia che siamo credenti o meno, così come l’impegno civile; tra accurate descrizio-ni, attenzione per i gesti dei personaggi, il difficile rapporto con le autorità eccle-siastiche conosceremo un pesonaggio di grande fascino. L’autore dà spazio anche

Alessandro Zannini, scrittore e giornalista, ha collaborato con la Repubblica, Il Giornale di Napoli, il Corriere di Caserta, Il Roma, La Gazzetta di Caserta. È direttore della casa editrice Mediterraneo Edizioni. Ha pubblicato una raccolta di poe-sie: Sera e dintorni (Nuvola); la mo-nografia Storia della fanteria; i ro-manzi Sulle ali di un gabbiano, Fiori sulla corrida, Il pozzo di Sichem. Nel 1999, il Dipartimento per l’In-formazione e l’Editoria della Presi-denza del Consiglio dei Ministri gli conferisce il Premio della Cultura, per la “Pregevole attività svolta nel settore della Narrativa”.

aleSSanDro zannini

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un anno e Mezzo viSSuto pericoloSaMente.latina viSta con la Satira Di un viGnettiSta

30 marzo ore 18.30 - non ci resta che ridere - enzo De amicis

lantara, di indole socialista e anticlerica-le, decisamente critico verso il governo di Giovanni Giolitti. Chiuso nel 1925, all’in-domani del delitto Matteotti, ecco fiorire il Marc’Aurelio e il Becco giallo, seguiti da 420 e Il Selvaggio apertamente schierate a favore del nuovo regime (salvo poi distac-carsene come quest’ultima rivista diretta da Mino Maccari) e Il Guerin Meschino. Charlie Hebdo è storia di oggi, con la sua feroce satira, tal-volta blasfema, che a gennaio 2015 ha attirato le ire del mondo islamico con una vigliacca strage.

La vita di una società, circoscritta anzi-chenò, scandita con vignette satiriche. Da una penna d’eccezione: Enzo De Amicis. Infatti, è il medico e politico (d’ispirazione centrosinistra) di Latina a scandire la vita del capoluogo nell’ultimo anno e mezzo, così ricco di episodi e aneddoti in un ta-scabile godibile, che è già un cult. Così ecco che De Amicis raccoglie i suoi umo-ri, le sue riflessioni, le sue visioni diritte (e storte) dettate da un’oggettiva quotidia-nità attraverso un libro tascabile dall’agile formato (11x18) in cui rivive la satira di una società –e di un territorio- in continua evoluzione, anche se sarebbe il caso di utilizzare un termine più appropriato che risponde a involuzione. Così Enzo De Amicis, medico, più volte consigliere comunale, ma soprattutto au-tentico veritiero termometro della società civile pontina, ha confezionato in manie-ra assolutamente obiettiva un centinaio di vignette ironiche e corrosive (ma mai

volgari) che ritraggono alcuni aspetti più controversi della recente storia della città-capoluogo, scandendone i tempi, i modi, i topoi, le manie, i vizi privati e le pub-bliche virtù. Un anno e mezzo così viene raccontato coi suoi personaggi e i suoi fatti salienti, strappando sorrisi e riflessioni. Numero uno della satira made in Latina (ma non è detto che l’azione della matita di De Amicis non sconfini in atti extra-provinciali…) che prima d’ora non s’era mai espressa in modo preciso, puntuale, ironico e corrosivo, la stessa ha origini an-tichissime. Sancita oggi dalla Carta negli articoli 21 e 33, la satira è un diritto co-stituzionale, ribadito anche dalla Corte di Cassazione, che ne ha racchiuso il suo sen-so giuridico nella sentenza n. 9246/2006 attraverso la dicitura inequivocabile: « È quella manifestazione di pensiero talora di altissimo livello che nei tempi si è addos-sata il compito di castigare ridendo mores, ovvero di indicare alla pubblica opinione aspetti criticabili o esecrabili di persone, al fine di ottenere, mediante il riso suscitato, un esito finale di carattere etico, correttivo cioè verso il bene». Le origini della satira nella letteratura eu-ropea si confondono con quelle della let-teratura comica, il cui inizio è attribuito tradizionalmente a Omero con il poema ‘Margite’, proseguita con la commedia greca di Aristofane (siamo nel 450 aC), quella che fa della satira politica un ele-mento imprescindibile delle sue opere, mettendo a nudo le contraddizioni della società ateniese, tanto da suscitare l’ira del demagogo Cleone, potente dell’epo-ca, sbertucciato dalle opere del comme-diografo ateniese. La vera codificazione come genere letterario avviene però nella

letteratura latina. La satira nasce tra il III e il II secolo a.C. ad opera di Ennio, e si può considerare il primo genere originale della letteratura latina, al contrario di tutti gli altri, di origine greca, tant’è che Quin-tiliano affermerà: «Satura quidem tota nostra est». Se nel Rinascimento si assi-ste a una commistione fra satira ed epica da cui nasce il poema eroicomico (fra gli esempi del genere vale la pena ricordare La secchia rapita di Alessandro Tassoni o la Moscheide di Teofilo Folengo, ispi-rata all’antichissimaBatracomiomachia), durante l’Illuminismo la satira attacca i dogmatismi della religione e i privilegi dei nobili, come ad esempio Voltaire in ‘Can-dido’, Montesquieu in ‘Lettere persiane’, Giuseppe Parini in ‘Il Giorno’. Fra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo in Italia vi fu una grande fioritura di giornali satirici. Il più noto è L’Asino, fondato nel 1892 da Guido Podrecca e Gabriele Ga-

Enzo De Amicis è nato a Latina l’11 ottobre del 1957. Dopo la maturità classica si laurea in medicina e chi-rurgia nel 1982 con il massimo dei voti e la lode presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Univer-sità degli Studi di Roma. Medico di base dal 1983, chirurgo dal 1988 al 1992, responsabile sanitario del La-tina Calcio dal 1987 al 2009, è sta-to presidente delle Acli Provinciali di Latina fino al 2012, attualmente è consigliere provinciale dopo aver rivestito per diverse consiliature an-che l’incarico politico come consi-gliere al Comune di Latina.

enzo de amicis

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Sacro SanGue: Storie Di Svizzeri, MenzoGne e oMiciDi in un vaticano oStaGGio Di veleni

6 aprile ore 18.30 - Sacro sangue – armando palmegiani

Così Fabio Sanvitale e Armando Palme-giani indagano senza pregiudizi su tre morti difficili da decifrare. Incontrano personaggi silenziosi, disegnano la stanza del delitto, leggono le perizie, si muovono tra Roma, Parigi e la Svizzera a caccia di documenti e infor-mazioni. Parlano con nuovi consu-lenti, prendono i tempi, cercano moventi. E danno la loro soluzione al giallo delle Guar-die Svizzere.

diffusa dopo pochissime ore, va a sbat-tere con quella di Muguette, la madre di Cedric, che pensa piuttosto che suo figlio sia rimasto vittima di un gioco più grande. Ma è andata così? Da anni le due tesi si scontrano. Oggi, con l’espressione caso Estermann si intende il fatto di sangue av-venuto all’interno della Città del Vaticano nel quale hanno perso la vita il comandan-te della Guardia Svizzera Pontificia Alois Estermann, sua moglie Gladys Meza Ro-mero e la giovane guardia Cédric Tornay. Quel che è certo è che il 4 maggio 1998 in un palazzo della curia della Città del Vaticano vengono ritrovati in una stanza i cadaveri di Alois Estermann, 44 anni, co-mandante del Corpo delle Guardie Sviz-zere, di Cedric Tornay, suo subordinato, e della moglie di Estermann. I due coniu-gi, apparentemente, sono stati uccisi; il giovane Tornay, che presenta un foro da proiettile nella parte posteriore del cranio, sembra essersi suicidato. E secondo la pri-ma ricostruzione dell’accaduto l’omicida-suicida sarebbe Tornay. Egli avrebbe agito in preda ad un raptus, ipotesi che sembre-

Una notte di mag-gio, in Vaticano. Echeggiano degli spari. Qualcuno, dal-la porta di un appar-tamento, intravede un cadavere. Grida. Inizia il giallo delle Guardie Svizzere:

tre morti. Cedric, vicecaporale, è accu-sato di avere ucciso il comandante e sua moglie: e di essersi suicidato subito dopo. La versione ufficiale della Santa Sede,

rebbe confermata dall’autopsia, durante la quale sarebbe stata notata una cisti nel cervello del presunto omicida-suicida. E subito si diffonde tra gli investigatori il forte astionel rapporto tra Estermann, già noto alla cronaca per essere salito, tra i primi, sulla papamobile di Giovanni Pao-lo II ferito da Ali Agca nel 1981, e Tornay, per le punizioni cui sarebbe stato soggetto o per la mancata consegna di un encomio. Nei giorni successivi all’accaduto, la San-ta Sede avverte la madre di Tornay, Mu-guette Baudat, tramite il parroco del paese in cui la signora risiede. Una volta appresa la notizia, la donna si reca a Roma per le esequie, ma prima le viene impedito di ve-dere il cadavere poi accetta la proposta di alcuni prelati di cremare il corpo, in modo da poter ritornare più agevolmente in pa-tria. Tuttavia il giorno dopo decide di non firmare quell’autorizzazione. Nel frattem-po spunta una lettera del figlio, una strana lettera d’addio, indirizzata alla madre, che presenta numerosi punti oscuri, sia dal punto di vista grafologico che da quello logico.

Fabio Sanvitale è nato nel 1966 a Pescara. Giornalista investigativo e scrittore, è esperto di cold cases internazionali. Ha studiato crimino-logia con Franco Ferracuti e Fran-cesco Bruno. Ha scritto per “Il Tem-po”, “Il Messaggero”, “Detective”. E’ docente in corsi di formazione criminologica e presso il Master in Scienze Criminologico-Forensi della “Sapienza”. E’ vice-caporedattore di cronaca-nera.it. Ha scritto, con Vin-cenzo Mastronardi, “Leonarda Cian-ciulli. La Saponificatrice” (2010). Per Sovera ha pubblicato, con A. Palmegiani, “Un mostro chiamato Girolimoni” (2011), “Morte a Via Veneto” (2012), “Omicidio a Piaz-za Bologna” (2013), “Sangue sul Tevere” (2014, con V. Mastronardi).

Armando Palmegiani è nato nel 1965 a Roma. Esperto della Scena del Crimine, si è laureato in Psicologia Clinica ed ha studiato con Vincenzo Mastronardi. E’ docente di Crimino-logia clinica e psicopatologia foren-se presso l’Università “eCampus” e docente di Storia della cronaca nera presso il Master in Scienze Crimino-logico-Forensi della “Sapienza”. Nel corso della sua carriera si è occupato di molti casi di cronaca, tra i quali la bomba di via dei Georgofili nel 1993 a Firenze, l’omicidio di Mar-ta Russo, l’omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Ha pubblicato, con Fabio Sanvitale “Un mostro chiama-to Girolimoni” (2011), “Morte a Via Veneto” (2012), “Omicidio a Piazza Bologna” (2013), “Sangue sul Te-vere” (2014, con V. Mastronardi).

fabio sanvitale

armando palmegiani

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Storia Di una città Sorta Dalla boniFica tra Giornali, Foto e le viSite Di MuSSolini

13 aprile ore 18.30 - littoria, la prediletta del Duce – cesare bruni

fascismo e Mussolini aspiravano alla crea-zione dell’italiano nuovo, giovane e com-battente, forgiato dal lavoro e dalla fede nella terra e nella nazione, capace di im-prese straordinarie in guerra come in pace, in grado di conquistare un Impero e di co-struire città a misura dell’Italia moderna. Littoria incarnava esattamente tutto que-sto. Mussolini, nei pochi anni di vita della città, non fece mai mancare le sue atten-zioni a Littoria e alla sua popolazione, per altro ampiamente ricambiate. La pensava come la “sua” città e la “sua” gente, più di ogni altra. E infatti, nessun’altra città d’I-talia, salvo Roma e alcune altre grandi re-altà urbane, poté vantare un così gran nu-mero di visite del Capo del Governo, con il conseguente straordinario risalto me-diatico, come Littoria. Nell’immaginario collettivo, e nella realtà, la capitale dell’Agro reden-to e Mussolini erano la stessa cosa, Littoria era veramente “la prediletta del Duce”.

“Littoria, la prediletta dal Duce”, così ri-portava il titolo di un capitolo del numero unico “Battaglione Littoria”, illustrativo dell’attività della GIL della città. E in ef-fetti, Littoria fu la città prediletta da Benito Mussolini, quasi un suo personale gioielli-no. Si dice che all’inizio non fu così, anzi che il Duce inizialmente non la tenesse in gran considerazione. Di certo c’è che Lit-toria fu l’unica città nuova dell’argomento romano-pontino a non essere stata fondata dal Duce, che invece fondò Sabaudia, poi inaugurata dal Re Vittorio Emanuele III e dalla Regina Elena, Pontinia, Aprilia e Po-mezia. Altro dato certo è che, sfogliando i giornali e le riviste dell’epoca, strana-mente non si rintracciano notizie, neppure trafiletti, della cerimonia della fondazione della città, avvenuta il 30 giugno 1932 ad opera di Valentino Orsolini Cencelli. L’impressione che si ha è che Mussolini ed il regime non diedero un peso eccessi-

vo alla fondazione della città, sopratutto se comparato con la straordinaria pubbli-cizzazione dell’opera di redenzione della terra. Sia come sia, tutto cambia a partire dall’estate del 1932. L’interesse di Mus-solini per la costruenda città aumenta in modo visibile e, prova ne è, le notizie circa la grandiosa opera affluiscono sempre più spesso e sempre con maggior rilievo sulla stampa nazionale. Nel dicembre del ‘32 i giornali scandiscono una sorta di conto alla rovescia fino al 18 dicembre, giorno dell’inaugurazione. La notizia e la cronaca dell’inaugurazione dominerà, poi, le prime pagine dei giornali locali e nazionali oltre di quelle delle riviste per diversi giorni. Da quel momento, e per tutti gli anni a venire, le visite del Duce a Littoria saranno innu-merevoli. Trebbiature del grano, fondazio-ni ed inaugurazione di palazzi ed impianti, premiazioni di coloni, visite di capi di go-verno stranieri: ogni occasione è buona per

visitare Littoria e l’Agro redento. E ogni volta il risalto mediatico sarà enorme. Di pari passo cresce la costruzione di Littoria come uno dei simboli, forse il maggiore, della volontà realizzatrice del Fascismo e di Mussolini. Già a partire dai libri sco-lastici del 1933 si trovano, qua e là, rac-contini ispirati a Littoria. Con il nome della città vengono battezzati una miriade di modelli di prodotti, dalle matite alle penne, dal cioccolato alla benzina, dalle pompe d’acqua alle macchine da scrive-re. E le frasi dei discorsi di Mussolini per l’inaugurazione della città, come “è que-sta la guerra che noi preferiamo”, e della creazione della Provincia, “è l’aratro che traccia il solco” vengono dipinte sui muri delle città e dei paesi di tutt’Italia, mentre le immagini del Duce a Littoria entraro-no nell’olimpo dell’iconografia fascista, in particolare quelle del Mussolini treb-biatore, probabilmente quelle di maggior successo. Insomma, Littoria diventerà un tutt’uno con il fascismo ed il Duce. Così i giornali, a proposito della creazione della Provincia nel 1934, titoleranno “Littoria, la provincia squisitamente fascista” e “La Provincia voluta dal Duce”.La città diverrà meta quasi obbligata per i rappresentanti dei governi stranieri che an-dranno a Roma, in particolare di quei Paesi sui quali l’Italia ambiva ad avere una certa influenza politica, come l’Austria, l’Un-gheria, la Germania. Così come sarà meta fissa, in una sorta di pellegrinaggio civico, per le gite dei dopolavoristi di tutta Italia, grazie anche alla vicinanza con Roma. Lit-toria doveva diventare, e in effetti diventò, agli occhi degli italiani e degli stranieri l’espressione vivente della volontà, della forza e della giustizia sociale del Duce. Il

Cesare Bruni, nato a Latina nel 1964, è avvocato ed è stato per quattro consiliature consigliere comunale a Latina, da sempre appassionato di stampe e cimeli appartenenti al pe-riodo fascista, soprattutto quello le-gato alle Paludi Pontine e a Littoria.

cesare bruni

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biScotto, Storia Di un raGazzo Di provincia cHe SeDuceva le Dive e SoGnava HollYWooD

20 aprile 18.30 - biscotto, storia di un play boy e di un sogno infranto – emilio andreoli

ma, stesso giorno e stesso mese, 31 ago-sto 1970, magari anche alla stessa ora del mio incidente mancato, pensai. Sì, ormai ero più che certo, era stato proprio lui a compiere il miracolo. Chiesi a mio padre se sapeva chi fosse Francesco Porzi e lui senza tentennamenti esclamò: “Biscot-to!”, come a rimproverarmi. E sì, quando cominciai a domandare in giro, mi accorsi che “Biscotto” era un mito e apparteneva già alla leggenda. Franco, così lo chiama-vano in famiglia, era il quinto e ultimo fi-glio di Lorenzo e Anna...”. Ma questo è il segui-to della storia. E quella ve la rac-conterà Emilio Andreoli nel suo libro.

Era un’estate di fine anni ‘60, dalla terraz-za dell’hotel Tirreno scendeva un ragazzo con un pareo bianco e una catenina d’oro allacciata in vita, e tutte le donne, come sempre accadeva quando arrivava, si vol-tarono per ammirarlo. L’eleganza era parte di sè e quando camminava, nonostante il suo metro e novanta, sembrava non toc-casse neanche terra. Quel giorno, in spiag-gia, avevano attrezzato un set per girare uno spot di una nota bibita (Coca-Cola). Come testimonial c’era un famoso attore italiano, ma il regista, quando vide arrivare il ragazzo, chiamò subito un suo assistente per farlo avvicinare e scritturare. L’attore vide la scena e con il regista scoppiò un violento litigio. Una lite inutile, perché il ragazzo con il pareo disse che non era af-fatto interessato. Poi, come se nulla fosse accaduto, si andò a sdraiare in riva al mare a prendere il sole, tra lo stupore dei presen-ti e la contentezza di tutte le ragazze… che vennero ripagate con un sorriso… Quel

ragazzo si chiamava Francesco Porzi, ma per tutti era “Biscotto”. Morì il 31 agosto 1970 a soli 23 anni. Ecco, lo ha ricordato così tempo fa Emilio Andreoli, impren-ditore, appassionato di Littoria e Latina, narratore stavolta in prima battuta, consi-derato che dopo qualche poesia, qualche racconto e un romanzo di tanti anni fa, oggi ha voluto fermare con un’istantanea precisa (anzi, con una serie di istantanee) una delle figure più carismatiche della La-tina degli anni ’60, la figura di Francesco Porzi, conosciuto da tutti come Biscotto. Ecco un estratto del primo capitolo dal li-bro di Emilio Andreoli: “Tra un ballo e un Cuba libre, si facevano in genere le quattro del mattino. Mi mettevo in macchina e mi avviavo verso casa. La strada che preferi-vo fare era la Litoranea, perché era quella più breve e meno trafficata, ma anche la più stretta e insidiosa. Per tenermi sve-glio schiacciavo a più non posso il piede sull’acceleratore della mia Maserati Bitur-

bo color canna di fucile, sfidando ogni vol-ta il destino. Ricordo che una notte ci misi solo quindici minuti ad arrivare a casa, ma ricordo anche che, nel curvone più peri-coloso, rischiai seriamente di andare fuori strada a causa di una volpe, non so come feci, però riuscii a evitarla. Era stato un vero miracolo. Fu proprio quella notte che notai, alla fine di quel curvone, una lapide accanto ad una piccola siepe. Dissi tra me, mentre mi batteva il cuore a duemila, -non so chi tu sia, ma domani ti porterò dei fio-ri-. Così la mattina seguente mi presentai lì con un mazzo di rose bianche. Parcheggiai la macchina e mi avvicinai alla lapide. Ero emozionato perché stavo per conoscere chi mi aveva salvato la notte precedente. “Francesco Porzi”, così c’era scritto in grande sotto alla fotografia. Mi avvicinai per vederla meglio. Era un bellissimo ra-gazzo vestito tutto di bianco; abbassai lo sguardo, e sotto il nome, la data di nascita e quella della morte. Rimasi sbalordito, era successo esattamente tredici anni pri-

Emilio Andreoli ha esordito nella narativa col romanzo “Una fuga lun-ga un sogno” nel 2003, poi nel 2012 partecipa a un premio col racconto “Era un amico”, raccolto nell’anto-logia “La Littorina - racconti e aned-doti di una terra emersa dall’acqua” per l’80° anniversario della città di Latina. Nel 2015 partecipa al pre-mio di narrativa “Giallolatino” e il suo racconto “Traffici illeciti” viene selezionato nell’antologia Giallola-tino.

eMilio andreoli

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un FlaSH book Mob arMati Di una roSa per FeSteGGiare la Giornata Del libro

sabato 23 aprile 18.30 - appuntamento per tutti davanti alla libreria la feltrinelli a latina

le fu proclamato dall’Unesco “Giornata Mondiale del Libro e dei Diritti d’autore”. In questa data i barcellonesi conservano gelosamente l’abitudine di regalare una rosa alla persona amata o ad amici, com-pagni e familiari in occasione della tradi-zionale Festa di San Jordi, che si celebra il 23 aprile in tutta la Catalogna, pur assu-mendo un significato e un colore speciale proprio a Barcellona e, in particolare, nel-la rambla, vero cuore della festa. Il sug-gestivo viale che conduce fino al porto si riempie di libri e fiori sin dalle prime ore del mattino. Sono in tanti ad accorrere per godere di una splendida passeggiata e ri-petere il tradizionale gesto dello scambio dei doni: mentre lui le regala una rosa, lei lo ricambia con un libro. E chissà che non si riesca a organizzare a Latina proprio per sabato sera 23 aprile una conviviale let-teraria in cui gli uomini regaleranno alle donne presenti una rosa mentre le rappre-sentanti del gentilsesso ricambieranno con un libro…

Quella del 23 aprile sarà una giornata par-ticolare. E sabato 23 aprile 2016 per Latina lo sarà. Perché in tutto il mondo si celebra la Giornata mondiale del libro o Giornata del libro e delle rose, evento patrocinato dall’Unesco dal 1995 per promuovere la lettura, la pubblicazione di libri e la prote-zione della proprietà intellettuale attraver-so il copyright, ma anche il contributo che gli autori danno al progresso sociale e cul-turale dell’umanità. E che c’entra Latina? Uniformiamoci con l’Europa e con la sua voglia di cultura e di lettura, di confronto e di crescita. Celebrando alla catalana, con libri e rose. L’appuntamento per festeggiare la giorna-ta del libro cadrà davanti alla libreria la Feltrinelli in via Diaz a Latina proprio per salutare anche la lunga kermesse di Salot-to Feltrinelli: qui alle 18.30 organizzeremo un grande flash book mob. Quindi, tutti in piazza insieme al proprio libro preferito: a

un segnale convenuto, tenendo il romanzo bene in vista, magari potremo urlare che “il libro è vita” e poi per un paio di minuti leggeremo tutti a voce alta, in contempo-ranea, un passo del proprio libro preferito. Ma perché si festeggia la Giornata mon-diale del libro proprio il 23 aprile? La leggenda più diffusa associa San Giorgio (san Jordi in Spagna) che lotta contro il Drago, essere mostruoso che viveva nelle acque di un lago libico, spargendo il terro-re tra la popolazione della vicina cittadina, costretta a versare il tributo di due agnelli al giorno per placare la sua ira. Quando gli animali cominciarono a scarseggia-re, gli abitanti furono costretti a tirare a sorte ogni giorno il nome di una persona da offrire in sacrificio. In un’occasione fu estratta la figlia del re, che sarebbe stata divorata se San Giorgio non fosse riuscito a sconfiggere il mostro. È questo il moti-vo per cui in Catalogna San Giorgio è il

patrono degli innamorati. Le vicende di San Giorgio furono raccolte e trascritte nel secolo XIII da Jacopo da Varazze nel-la celebre “Leggenda aurea”. Nel lontano Medioevo, tra i nobili che organizzavano tornei all’interno del quartiere oggi cono-sciuto come Born, nel cuore della capitale catalana, si era diffusa l’usanza di regalare rose e fiori alle dame.La Giornata del Libro, invece, pur coinci-dendo con la festa di San Giorgio, ha ori-gini ben diverse. Nacque, infatti, il 7 otto-bre 1926 per commemorare la nascita di Miguel de Cervantes: l’idea fu lanciata da Vicent Clavel Andrés, scrittore ed edito-re di Valencia, che la propose alla Cáma-ra Oficial del Libro della città. Così il 6 febbraio 1926 ricevette l’approvazione del Governo spagnolo, cui fece seguito il Real Decreto firmato da Alfonso XIII che istituiva ufficialmente la “Festa del Libro Spagnolo”. Nel 1930 si decise di cambiare la data al 23 aprile, giorno della morte di Cervantes. In seguito, nel 1995, il 23 apri-

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