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Filomeno Moscati

3

Premessa

L’idea di un libro che trattasse della storia di due casali, Sala e

Dogana Vecchia, in modo separato da quella di Serino, di cui i

due casali fanno parte, è nata quando si è cominciato a parlare

del 150° anniversario dell’ unità d’ Italia. La ragione che mi ha

spinto a una trattazione separata è stata quella di voler mettere

in maggior rilievo la parte che nella costruzione di questa unità,

hanno avuto alcuni personaggi di Serino e, in particolare, il

ruolo preminente che vi hanno assunto alcuni abitanti di

Dogana Vecchia. Questa idea originaria si è andata man mano

allargando fino a comprendere la trattazione dell’evoluzione

storica dei due casali, nel tentativo di far conoscere e porre in

ordine le notizie riguardanti le loro origini, le origini e il

significato delle loro denominazioni e le diverse opinioni

espresse riguardo ad esse.

Dalla trattazione della storia, piccola e particolare dei due

casali, emerge in modo netto e chiaro, attraverso le prove

documentali riguardanti le due chiese che ne sono il simbolo e

l’emblema ( e con cui uno di essi, quello di Dogana Vecchia,

si identificava anche fisicamente, in antico, col nome di Casale

di Santo Eustachio) il progressivo declino, sia dal punto di

vista socio-economico che demografico di questo casale, e, per

contro, l’ inarrestabile crescita d’importanza di Sala di Serino;

una crescita evidenziata oltre che dall’ aumento vistoso del suo

patrimonio edilizio lungo l’antica strada che la congiungeva a

Dogana Vecchia e lungo la nuova Via S. Pescatore,

dall’importanza degli Edifici Pubblici che sono sorti nel suo

ambito, quali i neo-costruiti Palazzo municipale, Scuola media

statale, Scuola elementare, Poste e Telegrafi, Banca di Credito

Cooperativo, Farmacia, Mercato coperto, che, uniti alle sedi di

associazioni culturali e ricreative, di supermercati e negozi di

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Filomeno Moscati

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tutti i generi, hanno fatto dei due casali, ormai congiunti a

formare un unico complesso abitativo, il cuore amministrativo

e commerciale della odierna Serino.

La crescita e la trasformazione fisica dei due casali, oggi uniti

a formare un unico villaggio, oltre ad evidenziare il passaggio

da una civiltà prevalentemente contadina alla moderna civiltà

industriale, consumistica e digitalica, simboleggia anche, con

l’eliminazione dell’analfabetismo e la conseguente conquista di

un’unita culturale e sociale, il superamento delle rivalità fra i

diversi casali, che, ancora nella seconda metà del secolo XX, si

manifestavano con motteggi e sarcasmi, richiamanti riti

ancestrali di fatture e malocchio.

Filomeno Moscati

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Sala di Serino

5

I

Sala di Serino

Antica terra

La “Terra di Serino” risulta abitata fin dalla preistoria. La

presenza di vita umana, nel territorio dell’attuale Serino, è stata

accertata attraverso scavi archeologici, che, oltre a permettere

di verificarne la presenza in due diversi siti, l’hanno

materialmente documentata attraverso il rinvenimento di

manufatti che hanno consentito , con sufficiente

approssimazione, di stabilirne anche l’epoca. Gli archeologi,

infatti, basandosi sul tipo della lavorazione delle pietre

scheggiate rinvenute in due giacimenti, il primo situato in

montagna in località Tornola a 850 metri di altitudine1 e l’altro

nel fondo valle nel territorio dell’attuale Sala,2 hanno potuto

stabilire che essi appartengono al paleolitico superiore, un

periodo che va da circa 38000 a circa 10000 anni fa.

Dei due siti archeologici quello di Tornola è stato ritenuto il

più antico essendo stato collocato nel paleolitico superiore

uluzziano, che va da circa 38000 a circa 33000 anni fa, come

chiaramente si evince dallo stesso titolo della relazione

scientifica degli scavi eseguiti in questa località, che segnala,

1 Ronchitelli A. Segnalazione di un‘industria uluzziana a

Tornola, Avellino; in Rassegna di Archeologia 1982/83, pp.

224,225. (L’individuazione e l’esplorazione del sito sono state

eseguite, nel 1982, da archeologi dell’Università di Siena su

segnalazione del prof. Vincenzo D’Alessio ) 2 Accorsi C. A., Aiello A.. Bertolini C., Castelletti L., Rodolfi

G., Ronchitelli A., Il giacimento paleolitico di Serino

(Avellino), stratigrafia, ambiente e paleoetnologia, in Atti della

Società di Scienze Naturali, Memorie, serie A, 1979/86, pp.

435-487.

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in essa, la presenza di un’industria di lavorazione della pietra

di tipo uluzziano.3 Questa classificazione è importante perché

colloca la Serino preistorica nell’ambito di una civiltà che

prende nome dalla grotta di Uluzzo in Puglia, una civiltà di

transizione, diffusa in tutta l’Italia meridionale, che

documenta l’evoluzione della specie umana e il passaggio

dall’uomo di Neandhertal (uomo dell’Età della pietra o delle

caverne) all’homo sapiens. Come e dove questo passaggio sia

avvenuto rimane incerto e il problema è ancora insoluto,

poiché diverse sono le ipotesi avanzate sull’argomento dai

paleontologi e dagli studiosi della materia.

Ciò che possiamo ritenere certo è che una tappa di questa

evoluzione può ritenersi documentata anche a Serino, nel

giacimento paleolitico rinvenuto nel territorio di Sala di

Serino. Questo secondo sito archeologico, individuato nei

pressi dell’abitato di Sala,4 è stato ritenuto più recente di quello

di Tornola, di almeno 2000 anni, e attribuito al paleolitico

superiore aurignaziano, che va da circa 33000 a circa 21000

anni fa. Sulla base dei reperti acquisiti, gli studiosi del sito

preistorico di Sala di Serino hanno dedotto che esso non fosse

la sede di una dimora stabile ma di un accampamento

temporaneo situato ai margini di una zona paludosa.5

Questa deduzione è in accordo con le ipotesi avanzate dalla

maggioranza dei paleontologi che si sono interessati del

paleolitico definito aurignaziano, ipotesi che collocano in

questo periodo l’affermarsi di una nuova civiltà, più avanzata

di quella cavernicola dell’uomo di Neandhertal; una civiltà in

cui l’alimentazione necessaria per la sopravvivenza della

3 Ronchitelli A., opera citata.

4 Talamo Pierfrancesco, La Preistoria, in Storia Illustrata di

Avellino e dell‘Irpinia, Sellino e Barra Editori, Pratola Serra

(AV) 1996, Vol. I, L‘Irpinia Antica, p.4. 5 Talamo Pierfrancesco, idem, p. 4.

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Sala di Serino

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specie umana non si basava più soltanto sull’alimentazione

carnea derivante dalla caccia, ma anche sulla pesca e sulla

raccolta dei prodotti spontanei dei boschi e della terra.6 Ciò ha

fatto ipotizzare che in quest’epoca sia avvenuta una divisione

dei compiti, con caccia e pesca riservate ai maschi e raccolta

dei frutti spontanei alle femmine;7 e la comparsa di ripari

mobili e temporanei costruiti con pelli di animali;8 cose

possibili perché, proprio in quest’epoca, accanto ai manufatti

costituiti da pietre scheggiate, compaiono e si affermano i

manufatti di osso lavorato.

È la comparsa di questa nuova civiltà nell’antica ―Terra di

Serino‖ che spiega e giustifica l’accampamento temporaneo di

Sala di Serino, situato a fondo valle e nelle vicinanze di un

fiume e di una zona paludosa.

6 Leften Stavros Stavrianos, A Global History from

Prehistory to the Present, Prentice Hall, New Jersey, U S A,

1991, pp. 9-13. 7 Steven L. Kuhn and Mary C. Stiner, What‘s a Mother to Do?,

The Division of Labor among Neandertals and Humans in

Eurasia, Current Antropology, Volume 47, Number 6,

December 2006; 8Sue Rowland, Pre-History, Pre- Civilization, and Paleolithic

People, in Informal Learning Women‘s History

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Filomeno Moscati

8

Bibliografia

Accorsi C. A., Aiello A.,Bertolini C., Castelletti L., Rodolfi

G., Ronchitelli A., Il giacimento paleolitico di Serino

(Avellino),,stratigrafia, ambiente e paleoetnologia, in Atti della

Società di Scienze Naturali. Memorie, serie A 1979,86;

Leften Stavros Stavrianos, A Global History from Prehistory

to the Present, Prentice Hall, New Jersey, U S A, 1991;

Ronchitelli A. Segnalazione di un‘industria uluzziana a

Tornola, Avellino, in Rassegna di Archeologia 1982/83;

Sue Rowland, Pre-History, Pre.Civilization, and Paleolitic

People, in Informal Learning Women‘s History;

Steven L. Kuhn and Mary C. Stiner, What‘s a Mother to

Do?The Division of Labor among Neandertals and Humans in

Eurasia, Current Anthropology, Volume 47, Number 6,

December 2006;

Talamo Pierfrancesco, La Preistoria, in Storia Illustrata di

Avellino e dell‘Irpinia, Sellino e Barra Editori,, Pratola Serra

/AV) 1996, Vol. I , L‘Irpinia antica;

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Sala di Serino

9

II

Sala di Serino e Dogana Vecchia

Origine, evoluzione e significato

del nome dei due casali

I Sanniti furono sicuramente presenti nella vallata del

Sabato. La loro presenza è comprovata dall’esistenza di un

antico tratturo di epoca sannita, la ―Via della Mezza Costa‖, e

dal ritrovamento di tombe sannite nel territorio del comune di

Serino e di Santa Lucia di Serino.9

Filippo Masucci ritiene che essi fossero certamente presenti

nei pressi del fiume Sabato deducendolo dalla denominazione

dialettale, ancora attuale, di un casale situato nei pressi del

fiume, oltre che sul percorso di un’antica via e di un ponte di

epoca romana, Rimauri. Egli sostiene, basandosi sulle regole

della toponomastica, che i nomi delle località, oltre a

conservarsi pressoché immutati attraverso i secoli, racchiudono

in sé il loro significato originario. Il nome Rimauri, secondo

Filippo Masucci, deriverebbe dalla radice etrusca Rum e da

quella osco-sannita aur, che darebbe al nome il significato di

Abitatori del fiume. 10

Allo stato attuale non abbiamo documentazione dalla quale si

possa desumere la presenza stabile dei Sanniti nell’ambito

territoriale di Sala di Serino, anche se è lecito pensare che

questa presenza ci sia stata, perché il territorio di Sala –

Dogana Vecchia costituiva, per le sue caratteristiche naturali,

lo sbocco obbligato dei molti tratturi locali che permettevano

lo spostamento degli armenti posseduti dai Sanniti, i quali,

com’è noto, basavano gran parte delle loro risorse sulla

9 Masucci Filippo, Serino nell‘Età Antica ( ricerche storiche)

Tipografia Pergola, Avellino 1959, p, 28; 10

Masucci Filippo, idem, p.50;

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pastorizia, che, anzi, in molte zone del Sannio antico costituiva

l’attività principale della popolazione.11

Filippo Masucci

afferma, invero, che non vi può essere alcun dubbio che il

villaggio Sala esistesse sin dall’epoca sannitica e romana,12

deducendolo sia dal ritrovamento dei resti di una condotta

d’acqua, classificata di epoca romana sulla base di notizie a lui

riferite, sia dall’effettiva presenza di tombe in tegoloni, tipiche

dei romani, e di sepolture in tufo, tipiche dei Sanniti , in un

fondo situato fra Sala e l’attuale convento di S. Francesco e

Giacomo.13

L’ esistenza di tombe sannitiche e romane, in assenza di

vestigia affioranti in superficie e di reperti archeologici

specifici derivanti da scavi, se è sufficiente per segnalare la

presenza dei Sanniti nell’ambito territoriale dell’attuale Sala

di Serino non basta, però, per poter affermare anche

l’esistenza di edifici, in pianta stabile, di un villaggio sannita,

perché la loro particolare organizzazione tribale escludeva gli

insediamenti territoriali stabili; ed è questa la ragione per cui

essi non hanno lasciato traccia di centri urbani ben definiti; e,

in quanto alla condotta d’acqua rinvenuta durante i lavori di

scavo per le fondamenta di una casa , classificata da Filippo

Masucci come di epoca romana soltanto sulla base di notizie a

lui riferite , è assai più probabile che essa sia invece quella

costruita nei primi decenni del secolo XVII, di cui ci dà notizia

suo fratello Alfonso,14

che portava l’acqua dalle “Percole” al

neo edificato Convento dei Francescani Riformati di S.

Giacomo. 11

Salmon E.T., Il Sannio e i Sanniti, Giulio Einaudi Editore,

Torino 1985, p. 72: 12

Masucci Filippo, idem, p.54 13

Masucci Filippo, idem, p.55. 14

Masucci Alfonso, Serino (Ricerche storiche), Tipografia

Giuseppe Rinaldi, Napoli 1923, Vol.I, p.123;

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Ciò che invece indica e conferma, in modo certo, la presenza

di costruzioni in forma stabile nella località oggi denominata

Sala , è proprio il suo nome; un nome che, per il suo duplice

significato, oltre a indicare in Serino una forte presenza

longobarda, pone le origini del casale proprio nell’epoca

dell’invasione longobarda e della formazione del Ducato di

Benevento per opera di Zottone.

È Paolo Diacono, nella sua Historia Langobardorum, ad

affermare che il primo dei duchi longobardi a raggiungere la

città di Benevento e il territorio abitato dai Sanniti fu il duca

Zottone, ai tempi del re longobardo Alboino (568–572 d. C.).

Zottone, nei venti anni successivi alla morte di Alboino, estese

il suo dominio a quasi tutta l’Italia meridionale, 15

obbligando

le popolazioni ivi residenti, con esclusione delle sole zone

costiere che rimasero sotto il dominio Bizantino, a sottostare

alle leggi longobarde. Queste leggi prevedevano innanzi tutto

la hospitalitas, il tributo dovuto dalle popolazioni conquistate

ai Longobardi conquistatori. In realtà i Longobardi

conquistatori fecero propria una legge imperiale romana, in

vigore fin dal I secolo dopo Cristo, che concedeva ai barbari

che divenivano federati dell’impero un terzo delle terre e delle

tasse dei territori in cui si erano stanziati,16

come ricompensa

della loro soggezione all’imperatore e della difesa dei confini

dell’impero da essi attuata. L’hospitalitas longobarda

prevedeva l’obbligo, per le popolazioni vinte e assoggettate, 15

Paolo Diacono, Historia Langobardorum, III, 33, “Fuit

autem primus Langobardorum dux in Benevento, nomine

Zotto, qui in ea principatus est per curricula viginti

annorum‖ ( Fu , invece, il primo duca dei Longobardi in

Benevento, di nome Zottone, colui che in quella città ebbe il

supremo comando per lo spazio di venti anni ). 16

Vitolo Giovanni, Medioevo, in Corso di Storia diretto da

Giuseppe Galasso, Vol. I, p. 48.

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di cedere un terzo del raccolto di ogni anno al signore

longobardo.

L’ordinamento del popolo longobardo era, però, ancora

tribale e, proprio per questo , l’esercito si articolava in gruppi

di famiglie che si richiamavano a un comune antenato. Erano

queste famiglie che si stanziavano nei territori conquistati ed

era ai capi di queste famiglie, o fare, che la parte di raccolto,

costituente l’hospitalitas, doveva essere consegnata. L’ampio

locale in cui ciò avveniva, situato in zone di facile accesso, era

denominato sala (dal termine longobardo sal) ed è questo

termine, che, oltre a svelare da cosa ha preso origine il nome

del casale, ci consente di collocarne il sorgere nel ventennio

di comando del duca Zottone, cioè nel periodo che va dal 571

al 591 d. C..

Nel luogo dove era stata costruita la sala per riscuotere il

tributo dell’hospitalitas veniva poi edificata la dimora del capo

della fara e signore del luogo, duca o gastaldo; dimora che

veniva perciò identificata come curtis domini regis ( la corte

del signore re ) intesa non solo come dimora ma anche

come aula, luogo in cui si amministrava la giustizia e si

effettuavano commerci e scambi. Ciò spiega perché i luoghi,

individuati col toponimo di Sala, siano divenuti così frequenti

in tutta l’Italia e anche nelle nostre contrade, dopo l’invasione

longobarda, com’è dimostrato dal nome, ancora attuale, di

alcune località della Campania, quali Sala di Montoro, Sala di

Castelvetere sul Calore, Sala Abbagnano di Salerno, Sala

Consilina, per citarne solo alcune.

La dimostrazione del fatto che la zona, in cui s’insedia

l’attuale abitato di Sala di Serino, fosse particolarmente adatta

a favorire commerci e scambi è data dall’esistenza, nelle sue

immediate vicinanze, di un altro piccolo casale dal nome

antico , Dogana Vecchia, con la cui storia quella del casale di

Sala s’intreccia e si confonde. Anche in questo caso è il nome

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Sala di Serino

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del casale, particolarmente significativo, ad indicarci la sua

esistenza fin da tempi molto antichi e, secondo Filippo

Masucci, attribuibile all’epoca romana.

È certo che furono i romani, nel corso delle loro conquiste

territoriali, ad istituire l‘ager publicus (il territorio confiscato

ai popoli vinti e dichiarato demanio dello Stato Romano) e

anche l’imposizione di una tassa o dazio ( dal termine latino

datio, dationis ) per ogni specifico uso che i privati volessero

fare di questo ager publicus, come farvi pascolare le greggi,

raccogliere legna, ghiande e altri prodotti spontanei del bosco.

I dazi, imposti dai romani sul trasporto e sullo scambio delle

merci, risalgono anch’essi a un’epoca molto antica, quella dei

sette re di Roma, cosa di cui ci ha dato notizia Livio, che,

parlando della guerra contro l’etrusco Porsenna, afferma che i

patrizi, per tenere buona la plebe, le concessero l’esenzione

dalle imposte denominate portorium ( pedaggio sul passaggio e

sul trasferimento delle merci) e tributum (imposta straordinaria

sul reddito che si applicava in caso di guerra o di calamità). 17

Filippo Masucci sostiene, però, che è il nome del villaggio,

una volta chiamato Dogana (o Adohane) e ora denominato

Dogana vecchia, che ―ci richiama ai tempi romani‖ e che, per

Serino, era importantissima l’esistenza di una Dogana

pecudum;18

ma l’ipotesi del Masucci, anche se corroborata

dal fatto che i romani usavano imporre dazi fin dalla fine del

VI secolo avanti Cristo (epoca in cui viene collocata dagli

storici la guerra contro Porsenna ) può essere presa in

considerazione solo a partire dalla fine della terza guerra 17

Tito Livio, Ab urbe condita, II,9; portoriisque et tributo

plebes liberata, ut divites conferrent qui oneri ferendo esset-=e

la plebe fu esonerata dai pedaggi e dal tributo affinché li

pagassero quei ricchi che erano in grado di pagare . 18

Masucci Filippo, Serino nell‘Età antica ( ricerche storiche)

Tipografia Pergola, Avellino 1959, p. 55.

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sannitica (298-290 a, C.), epoca in cui i romani, divenuti

padroni assoluti del Sannio con la definitiva vittoria sui

Sanniti, imposero ai pastori sabelli un tributo sulle greggi che

essi conducevano a svernare nelle terre di Puglia,19

come

afferma Varrone reatino nel suo De re rustica.

L’ipotesi del Masucci, tuttavia, anche se valida per quanto

riguarda l’esistenza, fin dall’epoca romana, dell’imposizione di

un diritto di passo sugli armenti dei pastori sanniti, non può

essere ritenuta altrettanto valida per quanto riguarda

l’esistenza, in epoca romana, di una dogana nel casale oggi

conosciuto come Dogana vecchia, poiché il dazio sugli

armenti era riscosso direttamente, dai ―publicani‖ (appaltatori

delle imposte), lungo i tratturi della transumanza. Nessun

reperto archeologico o documentale comprova, inoltre,

l’esistenza di una dogana in Serino nel periodo romano, e,

anzi, il nome stesso di Dogana, assunto in seguito dal casale,

lo colloca in un’epoca successiva, e di gran lunga posteriore,

giacché il vocabolo ―dogana‖ era inesistente nell’antica lingua

latina20

e si ricollega a tempi assai più vicini a noi e

all’esistenza effettiva, in esso, di una dogana, cioè all’epoca

dei Normanni.

La parola dogana è di origine assai più recente, e. secondo

Antonio Nicali, deriverebbe dal termine arabo diwani, col 19

Varrone reatino, De re rustica, II, 1,4,Greges ovum longe

obiguntur ex Apulia in Sannio aestivatum atque ad publicanum

profitentur, ne, si inscriptum pecus paverint, lege censoria

committant= le greggi di pecore venivano spinte lontano, dalla

Puglia nel Sannio, per passarvi l’estate, e al pubblicano erano

dichiarate, perché, se avessero fatto pascolare [ nell’ager

publicus] il bestiame registrato, non sarebbero incorsi nella

legge censoria; 20

N d A. Presso i Romani l’ufficio dove si riscuoteva il dazio (

detto portorium o vectigal) veniva chiamato telonium;

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quale gli arabi indicavano i sedili, di forma particolare, sui

quali venivano fatti accomodare coloro che andavano a pagare

il tributo, e fu acquisita nel lessico volgare soltanto nel Medio

Evo, quando s’incrementò il commercio con l’Oriente e fu

perfezionata la tecnica commerciale degli scambi con

l’istituzione e la costruzione dei fondaci , ossia di locali per il

deposito delle merci.21

L’esistenza di dogane ad Avellino, Atripalda e Serino può

essere ritenuta certa soltanto a partire dal secolo XII, cioè

dall’epoca dei Normanni. Fu, infatti, il re normanno Ruggiero

II (1130-1154) a stabilire che l’ammontare dello Jus

plateaticum (tassa sulla compra -vendita di animali, che si

riscuoteva sulle piazze e che ammontava al tre per cento) fosse

esteso a tutti gli altri contratti di compra -vendita ―di panni ed

altre merci‖, e che il pagamento di questi nuovi dazi dovesse

avvenire ―nella dogana, ch‘era l‘ufficio di rendite fiscali‖22

poiché era la dogana ―il luogo dove sotto i Normanni tenevasi

il registro dei pesi feudali, e segnatamente dell‘adoha, (tassa

pagata dai feudatari in sostituzione del servizio militare) da cui

può dirsi con più verisimiglianza aver preso nome‖,23

mentre

―seguitò l‘antico dazio sulla vendita degli animali a

riscuotersi nelle piazze da‘ pubblicani e si tenne per un ramo

di quello che dohana chiamavasi‖24

. È questa la ragione per

cui l’esistenza di una dogana, in Serino, può ritenersi certa solo

a partire dall’epoca dei Normanni ed è da quest’epoca che può

essere ritenuta certa anche l’esistenza di un casale identificato, 21

Nicali Antonio, Storia delle dogane, Edizione curata da

Giuseppe Favale-Direttore Ufficio Amministrazione e Finanza 22

Bianchini Lodovico, Della storia delle finanze del Regno di

Napoli, Stamperia di Francesco Lao, Palermo 1839, Vol. I p.

37; 23

Bianchini Lodovico, idem, p. 38; 24

Bianchini Lodovico, ibidem, p.38;

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Filomeno Moscati

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oltre due secoli dopo, col toponimo di ―La Dogana,‖ o, con

maggiore esattezza, ―Adohane‖ ( ciò che avvalora e rende

condivisibile l’ipotesi del Bianchini) come chiaramente si

evince da molteplici documenti ufficiali di epoca aragonese.

Fu , inoltre, sotto i Normanni che lo sfruttamento e

l’utilizzazione dei pascoli assunse nuova forza e vigore, a

causa dell’importanza che essi attribuirono all’allevamento del

bestiame come fonte di ricchezza, e fu posto sotto l’egida dello

Stato il territorio incolto demaniale, che, da allora, venne

designato come foresta , termine derivato dal basso latino per

evidenziarne le caratteristiche di luogo selvatico, posto fuori

dell’abitato e protetto dalla legge; 25

ed è sintomatico il fatto

che, da allora, alcune zone boscose dell’attuale Serino siano,

ancora oggi, denominate col nome di ―Foresta‖ o ― ‗ncoppa

Foresta‖.

La presenza, al tempo dei Normanni, di una ― Dogana‖,

nel cui fondaco dovevano essere depositate e custodite, sotto

l’egida e la protezione dello Stato, le merci destinate alla

contrattazione di compra-vendita, pur avendo conferito al

casale una certa importanza economico-sociale , almeno per

quei tempi, non riuscì, tuttavia, a modificarne immediatamente

l’antico e originario nome, che era quello di ―Casale S.

Eustasii‖ . Il casale, difatti, prendeva nome dall’antica chiesa

intorno alla quale esso si era andato formando, e, a circa due

secoli dall’epoca dei Normanni, nel 1309 (sec. XIV), in pieno

dominio angioino, esso era ancora identificato col nome della

sua chiesa, come risulta da un documento di quell’anno,

conservato nell’Archivio Diocesano di Salerno, il quale

testualmente recita che ‖in Casali S. Eustasii est ecclesia S.

25

Pianigiani Ottorino, Vocabolario etimologico della lingua

italiana, Edizioni Polaris, Varese 1993, voce foresta, p. 551

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Sala di Serino

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Eustasii‖26

come riportato nell’opera di un illustre serinese, la

―Salerno Sacra‖ di monsignor Generoso Crisci, il quale tiene

a precisare che ―la sua origine risale certamente ad epoca

antecedente, anche se la mancanza di documenti impedisce di

precisarne la data‖.27

Questa origine doveva, comunque,

essere anteriore all'anno 1168, anno in cui Papa Alessandro III

(1159-1181) emise una bolla in cui elencava tutte le

Arcipreture della Diocesi di Salerno e ne definiva i confini; e

fra queste c'era l'Arcipretura di Serino.

Solo a cominciare dal periodo del dominio aragonese

(1443-1504) il casale di S. Eustachio non fu più identificato

con il nome della sua antica chiesa ma con quello di Dogana,

anzi di Adohane, come si evince da un documento del 13 luglio

1469 (sec. XV); un diploma, che è un vero e proprio

contratto, con il quale il Re Ferrante d’Aragona (1458-1494)

sancisce la vendita, ―attesi gli urgenti bisogni della corte‖, ai

coniugi Lodovico della Tolfa e Agnesa de Ursinis, della

―Terram Sereni, in provincia Principatus ultra cum casalibus

Sancte Lucie, Santi Blasii, Santi Sossii, Raboctulorumm,

Adohane, Pontis, Ferrariorum, Sancti Joannis, Toppule,

Canalis, Sancte Agates et Sancti Michaelis‖.

La nuova denominazione di Adohane, assunta dal casale

prima chiamato di S. Eustachio, si spiega facilmente se essa

viene collegata alla politica economica instaurata nel suo regno

dal re Alfonso d’Aragona ( 1443-1458) e fatta propria da suo

figlio Ferrante (1458-1494) ; una politica protezionistica, che,

prevedendo l’integrazione economica fra i possedimenti

spagnoli e i possedimenti italiani della corona , obbligava i

sudditi italiani a comprare prodotti industriali esclusivamente 26

Rat. Dec. 418, n. 6126, in Crisci Generoso, Campagna

Angelo, Salerno Sacra, Edizione della Curia Arcivescovile,

Salerno 1962, p. 363; 27

Crisci Generoso, Campagna Angelo, idem, p.363;

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Filomeno Moscati

18

aragonesi e i sudditi aragonesi ad approvvigionarsi con

prodotti agricoli esclusivamente italiani. 28

Fra i prodotti

agricoli italiani fu incrementata la produzione del grano; e ne

fu favorito il commercio con leggi che ne sancivano il deposito

nei fondaci delle dogane e la contrattazione, nello stesso

luogo, alla presenza di funzionari doganali che garantivano,

oltre la regolarità dei contratti, la custodia delle merci

depositate e l’esattezza dei pesi e delle misure. Il nuovo

toponimo di Adohane è, in modo evidente, legato alla presenza

e all’importanza, nell’ormai ex casale di S. Eustachio, di una

“dogana dei grani‖ quale segno materiale tangibile della

politica economica della dinastia aragonese, che trovava nei

dazi doganali uno dei principali cespiti della corona, com’è

dimostrato dall’istituzione della Dogana di Puglia o del

Tavoliere di Foggia, voluta proprio dal re Alfonso

d’Aragona.29

Era questa la dogana in cui dovevano essere

pagati i pedaggi delle greggi transumanti in Puglia perché

potessero usufruire dei pascoli invernali, dogana che fu da

allora conosciuta e identificata come Dogana pecudum, o

Dogana menae pecudum, ―così chiamata dal menare che

facevansi tali animali in quel sito‖.30

Il termine Dogana menae pecudum, riferibile in modo quasi

esclusivo alla Dogana di Foggia, entrò a far parte del lessico

volgare solo a partire dall’anno 1447, anno in cui il re Alfonso

d’Aragona istituì la Dogana, con sede prima a Lucera e poi a

Foggia; ed era indicativo non solo del palazzo in cui avevano

sede gli uffici, ma anche della complessa macchina

economico-amministrativa messa in atto per la gestione dei 28

Vitolo G., Medioevo, in Corso di Storia diretto da C.

Galasso, Ed. Bompiani, Milano 1996, pp. 556,557; 29

Croce Benedetto, Storia del Regno di Napoli, Adelphi

Edizioni, Milano 1992, p.75; 30

Bianchini Lodovico, opera citata, p. 189

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Sala di Serino

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tratturi, dei pascoli e per la riscossione dei tributi e non può,

perciò, costituire fonte di richiamo dei tempi romani, come

ipotizza Filippo Masucci.

Il nome del casale subì una ulteriore variazione nel secolo

successivo (sec. XVI), una variazione che, con l’assunzione

del nuovo toponimo di ―Dogana Vecchia‖, contrassegna

l’esistenza di una nuova dogana, in sostituzione di quella

antica, in un sito diverso della ―Terra di Serino‖. La nuova

denominazione di “Dogana Vecchia‖, compare in un

documento ufficiale incontrovertibile, il pagamento del relevio

( tassa di successione ) che il feudatario Giovan Battista II

della Tolfa, figlio primogenito di Lodovico II della Tolfa,

pagò alla Corona di Spagna, nel frattempo subentrata alla

dinastia aragonese, dopo la morte del suo genitore avvenuta nel

1539 (sec. XVI). Nel documento si dice che Giovan Battista II

della Tolfa ―soddisfece alla Regia Corte il relevio su la terra

di Serino con i suoi casali di Santa Lucia, li Troyani, Santo

Sosso, Santo Biase, Ravottoli et le Percole, la Sala, Santo

Iacobo, Dohana vecchia, Rayano, Ponte, Ferrari et Santo

Ioanne, Canale, Toppola et Santa Agata.‖31

31

Ricca Erasmo, Istoria de Feudi delle Due Sicilie, Stamperia

di Agostino De Pascale, Napoli 1869, Vol. IV, p.429;

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Filomeno Moscati

20

Bibliografia

Bianchini Lodovico, Della storia delle finanze del regno di

Napoli, Stamperia di Francesco Lao, Palermo 1839;

Crisci Generoso, Campagna Angelo, Salerno Sacra, Edizione

della Curia Arcivescovile, Salerno 1962;

Croce Benedetto, Storia del Regno di Napoli, Adelphi

Edizioni, Milano 1992;

Masucci Filippo, Serino nell‘Età antica, ricerche storiche,

Tipografia Pergola, Avellino 1959;

Nicali Antonio, Storia delle dogane, Edizione curata da

Giuseppe Favale- Direttore Ufficio Amministrazione e

Finanza;

Paolo Diacono, Historia Langobardorum;

Pianigiani Ottorino, Vocabolario etimologico della lingua

italiana, Edizioni Polaris, Varese 1993;

Ricca Erasmo, Istoria de Feudi delle Due Sicilie, Stamperia di

Agostino De Pascale, Napoli 1869;

Salmon E. T., Il Sannio e i Sanniti, Giulio Einaudi Editore,

Torino 1985;

Tito Livio, Ab Urbe condita;

Varrone reatino, De re rustica;

Vitolo Giovanni, Medioevo, Edizioni Bompiani , Milano1996;

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Sala di Serino

21

III

Dogana Nuova alias Lo Mercato

Chiesa e Convento dello Spirito Santo

Il documento comprovante il pagamento del relevio, che

Giovan Battista della Tolfa II pagò dopo la morte di suo padre

Lodovico, pur facendo chiaramente intendere l’esistenza di una

nuova dogana, non ritiene degna di menzione né la dogana

nuova, così importante per le entrate fiscali della Corona, né il

luogo in cui essa è stata ubicata. La dogana nuova, e il sito in

cui essa è situata e con cui viene in alternativa indicata ( alias

lo Mercato= ossia il Mercato) appaiono, invece, esplicitamente

nominati, assieme a quello di Dogana vecchia, in un altro

contratto di compra-vendita in cui si afferma che Alfonso

Caracciolo, Principe di San Buono, con regio assenso del 27

ottobre del 1626 (sec.XVII) vende per ducati 102000 al Dottor

Tommaso de Franchis ― la terra di Serino con i suoi casali

nominati Santa Lucia, Trojani, Guanni, Santo Sosso, Strada,

Santo Biase, Grimaldi, Fontanella, Revottolo, Sala, Dogana

vecchia, San Giacomo, Raiano, Ponte, Ferrari, Toppola,

Canale, Sant‘Agata, Piscarole, San Michelangelo, Dogana

nuova alias lo Mercato, et con altre Ville seu Casali habitati

et inhabitati‖32

Dai documenti ufficiali sopra citati risulta evidente che il

trasferimento della dogana nella nuova sede deve essere

avvenuto fra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo, appare

perciò strano che Alfonso Masucci, dopo avere confessato di

―ignorare quando la vecchia dogana fu abbandonata‖,

affermi poi che ―nel Trecento il trasferimento era già

avvenuto‖ perché ―consigliato anzi richiesto da un suolo più

32

Ricca Erasmo, Istoria de Feudi delle Due Sicilie, Stamperia

di Agostino De Pascale, Napoli 1864, Vol. IV, p. 430:

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Filomeno Moscati

22

pianeggiante, da uno spazio più ampio, da una posizione più

centrale‖;33

ragioni non solo opinabili ma certamente assai

discutibili e addirittura da contraddire, visto che egli stesso

afferma in modo assai più veritiero, parlando della chiusura

della chiesa dello Spirito Santo, che il sito era ―posto in luogo

fuori mano‖.34

Ancora più strano è che nella lunga serie di

documenti, da lui citati per comprovare l’esistenza della

dogana nel nuovo sito (quasi tutti atti notarili) non ve ne sia

uno anteriore all’anno 1545 ed è addirittura sintomatico il fatto

che ―in uno strumento del 1546 per notaio Pietro Iannella, il

fabbricato per uso della dogana‖, esistente a Forum novum (

piazza o mercato nuovo), venga definito come ― dohanellam

dicti fori ( la piccola dogana del mercato suddetto).35

La verità è che il trasferimento della dogana dei grani nel

nuovo sito era stato causato non dalle ragioni addotte dal

Masucci, ma dal fatto che in esso sgorgavano le sorgenti del

fiume Sabato, denominate Acquara, le cui acque erano in

grado di far girare, senza soluzione di continuità, le macine

del mulino feudale ivi esistente. Ciò costituiva un richiamo

irresistibile per tutti i trasportatori, che, avendo comprato grano

in Puglia, volevano venderlo sotto forma di farina a Napoli,

dopo averlo macinato nei famosi cinque mulini dei principi

Caracciolo, ubicati in Avellino lungo il torrente Fenestrelle, o

in quello del conte di Serino; mulino che costituiva una fonte

di cospicuo reddito per il feudatario, dato che il commercio del

grano venne favorito ancora di più dalla ristrutturazione della

regia strada delle Puglie, avvenuta durante il corso della

33

Masucci Alfonso, Serino, ricerche storiche, Tipografia

Giuseppe Rinaldi, Napoli 1927, vol. II, p. 144; 34

Masucci Alfonso, idem, p, 155;

35

Masucci Alfonso, idem, p. 146;

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Sala di Serino

23

seconda metà del secolo XVI.36

Lo prova l’affluenza di

trasportatori, di grano da macinare, in località Dogana nuova

nei giorni del mercato, che si teneva il martedì e il venerdì.

Quest’affluenza era così alta, che, nei capitoli stipulati a

Napoli il 1° dicembre 1584 fra L’Università di Serino,

rappresentata dal suo sindaco Fabio Moscati, e la feudataria

Costanza Loffredo, quale tutrice e rappresentante della nipote

minorenne Costanza della Tolfa, fu ritenuto necessario

inserire una clausola che permettesse, in quei giorni, l’utilizzo

di almeno una macina ai cittadini di Serino per sopperire ai

bisogni indispensabili della popolazione. La clausola , come

risulta da una copia del capitolato conservata nell’archivio

della famiglia Moscati a Faiano, dice ‖che ne li giorni de la

dohana come il martedì et il venerdì al‘hora de mezo giorno il

molinaro sia tenuto dare uno de li molina, lo meglio, per uso

de cittadini acciò possano macinare et fare pane per uso et

grassa de la terra et non vengha a mancare pane per difetto de

molina et che lo molino sia atto ed idoneo alla macina.‖37

La presenza della Dogana, del mulino feudale e del mercato

in uno stesso sito, ubicato all’interno dei muri perimetrali

dell’odierno acquedotto di Napoli, fra gli attuali incroci di Via

Santa Lucia – Stazione ferroviaria con Via Pescatore e via

Convento, causò il sorgere, in esso, di un certo numero di

apoteche e di un piccolo nucleo abitato, un nucleo tanto

piccolo, che, come risulta da un censimento del 1743, era

costituito da appena cinque famiglie con un numero

36

Barra Francesco, La città dei Caracciolo, in Storia illustrata

di Avellino e dell‘Irpinia, Vol. III, L‘Età moderna, Sellino e

Barra Editori, Pratola Serra (AV) 1996, p.2; 37

Moscati Ruggero, Una famiglia borghese del Mezzogiorno,

Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1964, p.31;

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Filomeno Moscati

24

complessivo di tredici abitanti.38

Ciò conferma che, in realtà,

Dogana Nuova era soprattutto un luogo di commercio,

particolarmente frequentato nei giorni di mercato del martedì e

del venerdì, quando vi affluivano non solo i trasportatori di

grano dalla Puglia, ma soprattutto quelli dell’Alta Irpinia,

come risulta da un’altra clausola del capitolato del 1584, in cui,

per favorirne l’afflusso, si stabilisce specificamente che‖tutti

pratticanti in la dohana, de la Torella, Monte Marano,

Castiello Vetere, Castiello de li Franci, de Nusco, de li Lioni,

Tegoro (Teora), Santo Angelo, de Pesco Pagano et altri luoghi

debiano essere trattati come cittadini [ di Serino] a tutti atti

che facessero in tribunali civili o criminali.‖39

Sempre allo scopo di favorire l’afflusso dei forestieri, il

capitolato sancisce, inoltre, che ‖l‘officiale et sui famigli non

possano levare arme a forestieri che passano per lo territorio

di Serino ancora che non le portassero legate‖ e, infine, ―che

li officiali non possano levare a forastieri cosa nulla, a quelli

che portano a vendere per tutta la terra, tanto de peso come de

misura;....né dare nulla sorte de fastidio a detti venditori attale

che pise et misure le diano li catapani (addetti alla riscossione

delle multe) como antiquamente è stato observato.‖40

Malgrado la piccolezza del nuovo casale, denominato

Dogana Nuova ossia lo Mercato, fu proprio l’affluenza di un

maggior numero di persone nei giorni di mercato a causare,

nel corso del secolo XVI, due avvenimenti importanti, la

ricostruzione di un ponte in muratura sul corso del fiume

Sabato , e la costruzione di una chiesa nella zona di Mercato

nuovo.

38

Masucci Alfonso, Serino, ricerche storiche, Tipografia

Giuseppe Rinaldi, Napoli 1927, Vol. II, p. 146. 39

Moscati Ruggero, opera citata, p.31; 40

Moscati Ruggero, idem, p. 31.

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Sala di Serino

25

Il ponte, situato fra il casale di Santa Lucia e quello di Dogana

nuova, fu ricostruito nell’anno 1571 per consentire ai

mercanti dell’Alta Irpinia (che giungevano a Serino attraverso

la Via della Mezza Costa ), agli abitanti di Santa Lucia e, di

conseguenza, a tutti quelli della riva destra del fiume Sabato,

un più facile accesso a Mercato Nuovo. La ricostruzione del

ponte fu facilitata dal fatto che il casale di Santa Lucia

partecipava alla gestione del mercato, perché, pure essendo in

fase di separazione amministrativa dall’Università di Serino,

non lo era affatto dal punto di vista dell’indipendenza

territoriale, avvenuta soltanto nel 1939.41

La costruzione della chiesa di Santo Spirito a Mercato

Nuovo, completata nell’anno 1564, fu causata, secondo

Alfonso Masucci, dal fatto che ―le antiche chiesette

parrocchiali erano diventate anguste per la cresciuta

popolazione e mal si prestavano alle solenni cerimonie

religiose, a cui prendeva parte tutta Serino. Sorse quindi nei

governanti il desiderio e il bisogno di edificare un tempio più

grande, più adatto alle feste e alle funzioni sacre spettanti al

comune,‖ ragione per cui ―verso la metà del Cinquecento le

due Università, di Santa Lucia e di Serino, convennero con

l‘aiuto del feudatario d‘innalzare una chiesa al Mercato

Novo...quasi a cementare la loro concordia e la loro

fratellanza‖ 42

Le ragioni, addotte dal Masucci per spiegare l’edificazione di

un nuovo tempio in un sito periferico, fuori mano e

frequentato solo nei due giorni di mercato settimanale,

appaiono in verità molto deboli, soprattutto se si tiene presente

che, a metà del secolo XVI, erano state edificate la chiesa di S.

Pietro a Santa Lucia, in sostituzione di quella di S. Lucia; la 41

Moscati Filomeno, Storia di Serino, Edizioni Gutenberg,

Penta di Fisciano (SA) 2005, p. 298; 42

Masucci Alfonso, ibidem, p.147;

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Filomeno Moscati

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Chiesa del Corpo di Cristo di San Sossio, in sostituzione di

quella di S. Sossio; la Chiesa della SS: Annunziata di San

Biagio, in sostituzione di quella di S. Biasiello; la Chiesa della

Madonna della Neve di Sala, in sostituzione di quella di S.

Eustachio; la Chiesa di S. Antonio di Ribottoli, in sostituzione

di quella di S. Stefano, tutte definite grandi e belle nelle

relazioni delle visite pastorali effettuate in quel secolo.43

Le

ragioni addotte dal Masucci possono, però, assumere forza e

vigore se collegate a un avvenimento importante per la vita di

Serino, almeno a quei tempi: l’abbandono del castello

medioevale da parte dei Della Tolfa, feudatari di Serino, che,

proprio in quell'epoca, avevano preso stabile dimora nel

―palazzotto‖ da loro fatto costruire nella frazione Ponte. Sorse

perciò naturale nei feudatari Della Tolfa, (divenuti nel

frattempo con Giovan Battista della Tolfa II conti di Serino

nell’anno 1556)44

il desiderio e l’ambizione di onorare il titolo

nobiliare di conte, di recente acquisito, facendo edificare una

chiesa che prendesse il posto di quella di S. Maria delle Grazie,

sita nella cerchia delle mura del castello feudale da loro

abbandonato. C’era, inoltre, una ragione di carattere pratico e

venale, che spingeva i conti di Serino a valorizzare il sito di

Mercato Nuovo, l’esistenza in esso del mulino feudale, che, in

virtù dei diritti proibitivi e di privativa, costituiva una fonte di

cospicui redditi per le finanze feudali. Per la costruzione di

questa chiesa, situata non troppo lontano dalla loro nuova

residenza nel casale Ponte, i feudatari si avvalsero della

collaborazione delle Università di Serino e di Santa Lucia e di

tutti i cittadini che avessero voluto parteciparvi. Essi

mostrarono chiaramente di considerare la nuova chiesa come la

loro chiesa, dedicandole un’attenzione particolare con

43

A D S (Archivio Diocesano di Salerno), Visite pastorali; 44

Ricca Erasmo, Istoria de‘ Feudi delle Due Sicilie, Stamperia di Agostino

De Pascale, Napoli 1869, Vol. IV, p. 429;

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Sala di Serino

27

donazioni, creazioni di rendite, erezione di benefici e

affrontando spese, non indifferenti per quei tempi, per renderla

più bella e consona all’ importanza dei Conti di Serino.

Fu proprio Giovanni Battista della Tolfa II ( 1539-1567),

primo feudatario a fregiarsi nell’anno 155645

del titolo di

Conte di Serino, a dimostrare una particolare predilezione per

la chiesa appena costruita, perché, in un documento ufficiale e

sacro come il suo testamento, redatto nel marzo dell’anno

1565, appena un anno dopo la costruzione della chiesa, e

aperto dopo la sua morte avvenuta nel mese di ottobre del

1567, egli aveva stabilito che ―in ogni tempo che verrò a

morte, lasso, ordino e comando che il corpo mio si debia

seppellire in la venerabile ecclesia de la dohana nova della

mia ditta terra di Serino, sub vucabulo de lo Spirito Santo,‖ in

una sepoltura ―da farsi in terra davanti la grata de l‘altare

maggiore ... et seguendo mia morte fora de detta terra di

Serino il mio corpo si debia depositare in una ecclesia e di lì

poi, infra un anno, si debia conducere in detta sepoltura in la

detta ecclesia‖ (notaio Scipione Foglia).

L’ evidente predilezione del primo conte di Serino per la

chiesa dello Spirito Santo, resa palese dall’ordine e comando

di essere seppellito in essa, in terra e davanti alla grata

dell’altare maggiore, è ampiamente giustificata qualora si

tenga presente che detto altare oltre ad essere intitolato alla

Madonna delle Grazie, titolare e patrona dell’antica chiesa

inclusa nelle mura di cinta del castello medioevale

abbandonato dai feudatari, era di iurepatronato dei conti di

Serino, come chiaramente risulta dal verbale di una visita

pastorale eseguita il 10 di settembre dell’anno 1608. Il

verbale dice:

45

Ricca Erasmo, Istoria de‘ feudi delle Due Sicilie, Stamperia di Agostino

De Pascale, Napoli 1869, Vol. IV, p. 429;

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Filomeno Moscati

28

―Nel Monastero dello Spirito Santo dell‘ordine conventuale di

S. Francesco

Compiuta la visita alla chiesa parrocchiale di S. Lucia il

predetto signor visitatore - si recò al Monastero di Santo

Spirito dell‘ordine predetto e – visitò due semplici benefici

esistenti nell‘altare maggiore – di detta chiesa, di cui sono

beneficiati il Reverendo Don Ottavio Nucleanus – di Napoli e

il francescano Don Tommaso Iannella di Serino – i quali

presiedono per il iure patronato del signore di detta terra – di

Serino.-

I detti benefici hanno un reddito annuo di ducati quindici per

ognuno di essi – con l‘obbligo di celebrare una messa ogni

sette giorni – per ognuno dei beneficiati.- Le messe suddette

sono celebrate per metà da parte del suddetto Don Ottavio, si

celebra – dal detto guardiano quanto rimane come [ fatto]dal

precedente guardiano. – Gli eredi pagano carlini ventiquattro

e il francescano Don Tommaso Iannella – celebra le messe

sue.

Fu ordinato al detto francescano Don Tommaso di esibire la

bolla di elezione e di esibire – l‘inventario entro un mese sotto

pena di libbre di cera dieci, e al detto guardiano – che mostri

il beneficio predetto e che entro un mese il guardiano presenti

in curia sia la licenza che l‘inventario. II 048

Successivamente visitò la Confraternita della Santissima

Concezione eretta in un altare sulla parte sinistra - in detta

chiesa dello Spirito Santo, di cui sono maestri Ferdinando de

Mattio, mastro - Ferdinando Cocullo, Paolo Russo e Gabriele

de Filippo. Fu ad essi ordinato che entro il giorno seguente

presentino la bolla – di erezione e delle indulgenze e i conti

dell‘amministrazione passata e il computo – dei beni che la

stessa confraternita possiede sotto pena di sospensione – della

confraternita.-

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Sala di Serino

29

La confraternita stessa indossa sacchi bianchi, con cappucci

bianchi e- mozzette cerulee e si esercita in opere di carità e –

nelle processioni generali..

Ha un reddito di ducati sei e per il restante riceve elemosine. –

Fu dato mandato ai maestri di produrre copia dell‘inventario

dei beni mobili – e stabili della confraternita. – I maestri della

confraternita dicono che si prendono cura di far celebrare una

messa cantata – sempre nella seconda domenica di ogni mese

e altre messe – sei per anno e fanno processioni, le quali tutte

– vengono eseguite dal guardiano a cui pagano carlini

quindici. – I maestri della congrega vengono eletti ogni anno

dal guardiano e - dai maestri uscenti.

Fu ordinato che tutte le cose facciano col consenso del

guardiano e dei maestri – I maestri produssero la bolla di

erezione e i conti.46

II 049

Come si evince dalla relazione della visita pastorale eseguita

nell’anno 1608, cioè dopo 54 anni dalla sua costruzione, la

chiesa dello Spirito Santo a Mercato Nuovo aveva soltanto due

altari funzionanti, l’altare maggiore, di iurepatronato dei conti

di Serino, e quello della Congrega della Santissima

Concezione; ben poca cosa, in verità, per una chiesa che era

stata costruita per essere il tempio di tutta Serino, come

ipotizza il Masucci; e ciò malgrado tutti gli sforzi compiuti dai

feudatari “della Tolfa”, che, per renderla veramente

funzionante e frequentata, avevano promosso la costruzione,

accanto ad essa, di un convento francescano dallo stesso titolo.

Essi, per fare sì che il convento sorgesse, fecero giungere

all’arcivescovo di Salerno Marco Antonio Marsilio Colonna

(1574-1589) , in data 22 maggio 1577, tre richieste ―per

l‘erezione di un convento di S. Francesco dell‘Ordine minore

conventuale in Serino presso la Chiesa dello Spirito Santo.‖

46

A D S (Archivio Diocesano di Salerno), Visite pastorali;

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Filomeno Moscati

30

La prima di queste richieste, avanzata dalla contessa Costanza

de Loffredo, vedova del feudatario Francesco della Tolfa,

premorto al padre Giovan Battista della Tolfa II, dichiarava

che Ella, ―senza pretendere nulla dalla Mensa arcivescovile

donava,‖ ai padri dell’erigendo convento, ―ducati cinquanta

annui, pane e vino per il loro sostentamento‖. Nella seconda

richiesta, fatta a nome del conte di Serino Giovan Battista della

Tolfa III ( 1567-1580), dopo aver di nuovo chiarito che nulla si

pretendeva dalla Mensa arcivescovile, il feudatario precisava

che Egli voleva dare ai padri conventuali ―l‘intrate e quello

che dalle forze mie possa venire‖.

La terza richiesta, fatta a nome delle autorità comunali,

chiarisce, in modo definitivo, come e da chi sia stata promossa

l’edificazione di una chiesa e di un convento di frati minori

conventuali nella località di Mercato Nuovo di Serino, poiché

in essa si dice che ―desiderando il conte nostro fabbricare un

convento di tale religione in Serino, abbiamo non solo

assecondato un tal pio desiderio ma abbiamo sollecitato lo

stesso conte a far presto per dare inizio a questa santa

opera‖.47

Una nuova tappa dell’iter per la costruzione del nuovo

convento fu compiuta otto giorni dopo, il 30 maggio 1577,

dagli amministratori dell’Università (Comune) di Serino,

Magnifici Antonio Lota, sindaco, Alessandro Magnacerbo,

eletto (equivalente a consigliere- assessore), Troiano De

Nicolais, eletto, Matteo Saccardo, eletto, Sebastiano Cirino,

eletto, e dal Padre provinciale dei frati minori conventuali,

Giovanni Scavo da Napoli, con un atto notarile stipulato, nella

Chiesa dello Spirito Santo a Mercato Nuovo, dal notaio

Francesco Iannella. Nell’atto gli amministratori affermarono

―in una con l‘Illustrissimo Signore Giovan Battista della

Tolfa, attuale conte di detta Terra, di concedere e donare al

47 A D S , Benefici e Cappelle;

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Sala di Serino

31

detto Ordine dei Minori Conventuali la detta Chiesa dello

Spirito Santo assieme a due moggi di terra confinanti con la

stessa chiesa.... e anche con ogni e qualsivoglia diritto introito

ed azione a detta chiesa...pertinente.‖ In cambio di ciò

l’Ordine dei Frati Minori si impegnava a mantenere nel

convento, a spese proprie, sette monaci, dei quali cinque di

messa (padri) e due per i servizi (frati conversi o picuozzi).

A dimostrazione di come i feudatari considerassero di loro

patronato sia la chiesa che il convento dello Spirito Santo,

l’iter preparatorio alla costruzione del Convento di Santo

Spirito fu completato il giorno successivo, 31 maggio 1577,

sempre dallo stesso notaio, Francesco Iannella, con due atti

notarili. Nel primo di essi, stipulato a Mercato Nuovo, il Conte

di Serino, Giovan Battista della Tolfa III, concede, alla Chiesa

e al costruendo Monastero dello Spirito Santo, 36 ducati annui

da prelevarsi sulle rendite del suo feudo denominato “Le

Percole”, sito nell’ambito territoriale del casale Rivottoli, e,

qualora ciò non fosse stato bastevole, dalle rendite dei suoi

beni burgensatici,48

e, inoltre, 25 tomoli49

di grano da

prelevarsi al tempo della trebbiatura. (tempore escuniae). Nel

secondo atto, stipulato nello stesso giorno, ma questa volta nel

palazzotto del conte a Ponte di Serino, la contessa Donna

Costanza Loffredo dona, al convento che si deve costruire, 15

tomoli di grano all’anno per il sostentamento dei frati.

Confermano la predilezione e il favore che chiesa e convento

godevano, sia presso i conti che presso alcune famiglie nobili

di Serino, l’istituzione di due monti di maritaggio che si

48

N d A, burgensatici erano detti i beni di proprietà esclusiva

del feudatario, non ricevuti per investitura; 49

N.d A. il tomolo era una misura di capacità per grani, a

forma di tronco di cono , usata in passato nell’Italia

Meridionale e di valore variabile da regione a regione.

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Filomeno Moscati

32

assegnavano, con cerimonie di particolare solennità, nella

chiesa dello Spirito Santo.

Il primo e più importante monte di maritaggio fu quello

istituito da un membro importante della famiglia dei Conti

della Tolfa, monsignor Pietro della Tolfa, ultimo figlio di

Lodovico della Tolfa II e di Elisabetta Carafa, il quale, nel suo

testamento, datato 12 dicembre 1583, lasciò ―a la Cappella

sub vocabulo Santa Maria de la Grazia costrutta dentro la

chiesa dello Spirito Santo de mercato novo e proprie in

l‘altare maggiore ducati cento ogn‘anno in perpetuo... con

condizione che detti mastri et procuratori habiano da far

maritaggio di due povere donne di detta Terra per ogni anno

in perpetuum, cioè ducati cinquanta per ciascuna maritanda,

le quali due povere da maritare si debiano eligere per li mastri

et procuratori con l‘autorità et assenso dell‘Ill.ma Contessa

mia madre et heredi‖. Il sorteggio avveniva a conclusione

della processione del Corpus Domini, che terminava , appunto,

nella chiesa dello Spirito Santo. 50

Il secondo fu istituito dallo Utriusque Iuris Doctor (Laureato

in Diritto Canonico e Civile) Lorenzo Manfreda, di Santa

Lucia, con testamento redatto nell’anno 1607. Con questo

testamento Don Lorenzo Manfreda lasciò erede universale dei

suoi beni l’Ospedale dei Pellegrini di Napoli, con l’obbligo , da

parte di quest’ultimo, di impiegare la rendita ricavata dalla

somma di 3000 ducati ( ammontante a 15 ducati per ogni

maritanda ) per il maritaggio di sei giovinette appartenenti alle

famiglie De Filippo, Manfredi e Voira e , in mancanza di esse,

a sei fanciulle ―povere e onorate,‖ due di Santa Lucia e

quattro di Serino, ―eligende per bussola‖, cioè scelte

mediante sorteggio. Il sorteggio delle fanciulle povere

avveniva, alla presenza delle autorità di Serino e di Santa 50

Masucci Alfonso, Serino, ricerche storiche, Tipografia

Giuseppe Rinaldi, Napoli 1927, p. 150;

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Sala di Serino

33

Lucia, nella Chiesa dello Spirito Santo a Mercato Nuovo ― in

festivitate Spiritus Sancti‖, che cade nel lunedì dopo la

Pentecoste.51

Il segno più chiaro della predilezione dei Conti di Serino per

la chiesa dello Spirito Santo, che essi consideravano come la

loro chiesa, in sostituzione di quella di S. Maria delle Grazie

al castello medievale, è dato dal contratto che, secondo quanto

riportato da Alfonso Masucci, la contessa Costanza Loffredo

stipulò, per mano del notaio Francesco Iannella, con il pittore

fiammingo Guglielmo Prekoste(?) nell’anno 1575 e, quindi,

due anni prima dell’inizio dell’iter per la costruzione del

Convento di Santo Spirito. In questo contratto la feudataria

pattuì, con il pittore fiammingo, il dipinto su tavole di legno di

una ―cona‖ (pala d’altare) da collocare sull’altare maggiore,

che era di iurepatronato dei conti di Serino. Nel contratto fu

stabilito che nel quadro di mezzo di detta pala doveva essere

raffigurata la ―Madonna de la Grazia‖ e, nei quadri esterni a

quello centrale, da un lato S. Apollonia e dall’altra S. Agata,

mentre nel quadro superiore doveva essere raffigurato lo

Spirito Santo con, ai lati, da una parte S. Francesco de Paola e

dall’altro S. Antonio di Padova. Il pittore si impegnava ,

inoltre, ad indorare , con oro fino, tutte le cornici e le parti

intagliate di detto quadro e a dipinger d’azzurro finissimo le

parti del quadro che lo richiedevano. La somma pattuita per

dipingere detto quadro fu di ducati 200, somma rilevante per

quei tempi, tutti da pagarsi in carlini d’argento.52

La rilevanza della somma pattuita per il dipinto, l’incarico

dato a un pittore fiammingo, la meticolosa precisione con cui

vengono descritti i dettagli della ―cona‖ (pala d’altare) e le

immagini che deve contenere, sono il segno tangibile della 51

Masucci Alfonso, idem, p. 169; 52

Masucci Alfonso, Serino, ricerche storiche, Tipografia

Giuseppe Rinaldi, Napoli 1927, Vol. II, p. 146, 147;

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Filomeno Moscati

34

considerazione che la feudataria accordava alla chiesa di cui

aveva il patronato, ma anche la testimonianza palese del

costume di quel tempo. Fu, infatti, dopo il Concilio di Trento

(1545-1563) e la vittoriosa battaglia di Lepanto (1571) che si

diffuse, in Italia, la moda di servirsi di pittori fiamminghi per

quadri di soggetto sacro; moda favorita da una cospicua

migrazione verso l’Italia di pittori fiamminghi, sia perché

attratti dalle vestigia dell’antica Roma come motivo di studio,

sia per sfuggire ai pericoli derivanti, nelle Fiandre, dalle

sanguinose rivolte antispagnole e dalla conseguente reazione.

Molti di essi presero stabile dimora in Italia perché sedotti

dalla facilità di trovare lavoro, sia per il diffondersi di

immagini e dipinti sacri come mezzo di evangelizzazione della

popolazione, in maggioranza analfabeta; sia per le condizioni

economiche migliori che i pittori fiamminghi offrivano per

fornire la loro opera, rispetto a quelle offerte dalle botteghe dei

pittori locali. Nonostante le condizioni economiche favorevoli,

il costo del quadro, commissionato dalla feudataria Costanza

della Tolfa ad un pittore fiammingo addirittura sconosciuto,

può essere considerato rilevantissimo, specie se rapportato al

costo medio dei quadri dipinti da poco rinomati pittori

fiamminghi, che si aggirava intorno ai 25, 30 ducati.53

È

questo alto costo a indurci a pensare che il quadro della

Madonna delle Grazie (attribuito dal Masucci a un pittore

addirittura sconosciuto e collocato sull’altare maggiore della

chiesa dello Spirito Santo) debba essere attribuito a un

pittore facente parte di quella schiera di artisti, anche di

notevole levatura, che, all’epoca, faceva capo alla bottega di

Cornelis Smet , un rinomato pittore fiammingo residente in

Napoli, che forniva loro vitto, alloggio e lavoro.54

Il pittore era, 53

Abbate Francesco, Storia dell‘Arte nell‘Italia Meridionale.

Il Cinquecento. Editore Donzelli 2001 , p. 222; 54

Abbate Francesco, idem, p. 223;

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Sala di Serino

35

quasi sicuramente, non Guglielmo Prekoste, come

dubbiosamente sostenuto dal Masucci per la difficile lettura

della grafia del contratto, ma Guglielmo Prevost, un pittore

fiammingo operante in quel tempo nel Vicereame di Napoli e

abbastanza conosciuto dalle nostre parti, visto che proprio

nell'anno 1575 egli lavorava, a Solofra, col fabbricatore

santagatino dì cappelle e altari Felice Guarini, nonno del più

famoso Francesco, per dipingere una tela per la cappella

costruita dal Guarini in S. Angelo.55

L'attribuzione del quadro

al pittore fiammingo Guglielmo Prevost assume maggiore

consistenza, per non dire valore di assoluta certezza, se si

pensa che, all'epoca, il casale di Sant'Agata costituiva parte

integrante della Terra di Serino e del feudo dei conti Della

Tolfa. Il complesso iconografico del dipinto è conforme,

inoltre, sia ai desideri della feudataria con la raffigurazione

centrale della Madonna della Grazia, sia ai dettami della

controriforma cattolica con le raffigurazioni di S. Apollonia e

di S. Agata, entrambe martiri per conservare la fede, e di S.

Francesco de Paola e S. Antonio di Padova, due santi

francescani eminenti per la lotta e la confutazione delle

eresie, oltre che per la difesa della fede cattolica.

Il quadro, una volta conservato nella sacrestia del Convento

di S. Francesco e Giacomo, dove era stato trasferito dopo la

chiusura del convento e della chiesa di Santo Spirito,56

in

seguito al terremoto del 23 novembre 1980 è stato rimosso,

assieme ad altri dipinti, per essere custodito in un luogo

remoto e riservato, che solo i frati conoscono e tengono

gelosamente segreto. La pala d’altare non compare, però, 55

De Maio Mimma, Documenti inediti sulla famiglia di

Francesco Guarini, articolo su Il Campanile, notiziario di

Solofra, 16 gennaio 2011, p. 4; 56

Masucci Alfonso, Serino, ricerche storiche, Tipografia di

Giuseppe Rinaldi, Napoli 1927, p. 149

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Filomeno Moscati

36

nell’elenco dei dipinti rimossi e custoditi altrove, in luogo

segreto e riservato, a meno che non sia, cosa assai probabile,

quella identificata, nell’elenco di detti dipinti, come ―tela di

Madonna con Bambino, S. Francesco de Paola e S. Antonio di

Padova‖

La chiesa, nonostante l’evidente interessamento dei feudatari,

nell’anno del Signore 1625 non presentava variazioni di rilievo

rispetto all’anno 1608, come chiaramente si deduce dal verbale

di una visita pastorale eseguita il 26 agosto di quell’anno, che

dice:

―Cappella dello Spirito Santo e Confraternita della Ssma

Concezione‖

― Il giorno 26 di agosto 1625 allo stesso modo il Reverendo

Signor visitatore di – mattina visitò tre benefici che son

istituiti nell‘[altare]- maggiore della Chiesa dello Spirito

Santo dell‘ordine riformato ossia di S. Francesco – che

dicono di iurepatronato dei Signori della Terra di Serino.-

Beneficiati sono Don Donato Iannella per una metà e per -

l‘altra metà Don Emidio Calenta.

Il detto Don Donato celebra le sue messe per la parte sua e

[invece] per – la parte del detto Don Emidio celebra le sue

messe il padre guardi - ano di detto convento al quale il

beneficiato devolve le elemosine.-

Fu ordinato a Gabriele de Filippis e ai maestri della

Santissima Concezione che entro –dieci giorni esibiscano gli

atti giuridici di detti benefici sotto pena – della privazione. –

Allo stesso modo fu ordinato ai detti beneficiari che entro

quattro giorni esibiscano – II 374

le loro bolle e l‘inventario dei redditi, e [la prova] della

soddisfazione delle messe, – sotto pena di ducati dieci, insieme

al libro di quelli che sono morti entro- l‘otto di dicembre 1619

–Visitò la Confraternita della Santissima Concezione eretta

dentro la medesima chiesa in – un altare particolare , di cui

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Sala di Serino

37

sono maestri Salvatore Pinto, - Sebastiano Todisco, Donato

de Monte, ai quali fu - ordinato che entro tutto il giorno

seguente esibiscano i conti – dell‘amministrazione a partire

dalla visita precedente , sotto pena di scomunica. – Fu anche

ordinato che esibiscano le bolle dell‘erezione entro giorni –

quattro sotto pena della soppressione [ della confraternita]. - I

confratelli indossano sacchi bianchi con cappelli e mozzette –

cerulei e si applicano nel seppellire i morti, nelle processio - ni

e in altre opere pie. Hanno beni mobili e immobili annotati

nella visita fatta nell‘anno 1613. 57

II 375

La chiesa dello Spirito Santo, secondo quanto riferisce

Alfonso Masucci e viene confermato dalle visite pastorali,

oltre gli altari della Madonna delle grazie e della Santissima

Concezione conteneva soltanto altri due altari, l’ Altare di S.

Francesco e quello di S. Antonio di Padova e due sepolcri

gentilizi ( del Magnifico Lorenzo Vigorita e del Magnifico

Alessandro De Stefanellis)58

, troppo poco , in verità, perché

possa essere considerata la chiesa di tutta Serino.. Anche il

convento, costruito come prolungamento della chiesa e

funzionante a cominciare dall’anno 1584, ―aveva modeste

proporzioni‖ e ―non fu mai abitato da più di tre monaci―,

ragione per cui ―rimase sempre un conventino”;59

mancando,

inoltre, di rendite sufficienti al sostentamento di almeno tredici

monaci, il convento fu soppresso una prima volta nell’anno

1652, come prevedeva il decreto di Papa Innocenzo X (1644-

1655) del 22 ottobre dello stesso anno, per essere riaperto

undici anni dopo, nel 1663, a seguito di suppliche e donazioni,

che, non essendo sufficienti, ne determinarono la chiusura

definitiva nell’anno 1771.

57

A D S, Visite pastorali; 58

Masucci Alfonso, Serino, ricerche storiche, Tipografia Giuseppe Rinaldi,

Napoli 1927, Vol. II, pp. 150, 153; 59

Masucci Alfonso, idem, pp. 160, 161;

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Filomeno Moscati

38

Contemporaneamente alla soppressione del convento venne

anche sconsacrata la Chiesa dello Spirito Santo, che, dotata di

rendite esigue ed essendo stata costruita in fretta e con

materiale scadente minacciava rovina.60

La chiesa aveva,

infatti, un reddito molto modesto, come risulta da una nota

delle sue entrate compilata nell’anno 1625, che, come da noi

interpretata, dice:

Notamiento delle ìntrate ordinarie et anco extraordinarie

della Ecclesia – dello Spirito Santo della Terra di Serino delli

padri dell‘Ordine [dei] minori - conventuali di Santo

Francesco sono questi-

Dalli eredi del quondam [defunto] Antinoro Scarano notati in

perpetuo per 4 sante messe –

et una colletta -------------------------------------10 i 0

Dallo erede dello quondam Nunzio Forino, per li dotali capitu

– li carlini tre l‘anno------------------ 0 3 0

Da Fabio et Vicenzo Vigorita per annuo cenzo -2 0 0

con peso di sante messe i3 (tredici)+ una colletta

Dallo erede di Masi di Felippo per uno cenzo- 0 3 0

Da Minico Rosanilla carlini sei per piso di quattro –

missi l‘anno----------------------------------------- 0 3 0

da Subbastiano Molinaro carlini sei l‘anno con –

peso di misse quattro l‘anno ------------------ 0 3 0

dalli padri chierici regolari61

per lo lascito de lo quondam

Gri-gorio Troisi ducati dieci l‘anno con peso di messe-

sessantasette l‘anno ------------------------------ 10 0 0

Da Pietro Angelo Voglione et Pietro Angelo Roberto –

Per cienzo con peso di 2 sante misse lisce l‘anno per –

l‘anima di fra Ventura Scauro con una messa -

cantata carolini vinti ------------------------------ 2 0 0

60

Masucci Alfonso, idem, p. 151; 61

N d A, erano i frati del Convento de lo Reto di Santa Lucia;

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Sala di Serino

39

Dalla vedova dello quondam signor Alessandro de Stefanellis

ducati vinti l‘anno con peso di misse centovintiqua – ttro

l‘anno da celebrarsene 20 0 0

dalli eredi dello Illmo Signore Scipione de Arminio di Ave -

llino docati cinque l‘anno in perpetuum con peso di mi –

ssi trenta tre l‘anno et una colletta---------------- 5 0 0

Dalli eredi dello quondam Luca Rosanilla carlini dieci con –

peso di messe sei l‘anno et collette due---------- i 0 0

Dallo erede di Virgilio di Ciuccio carlini dici-

sette l‘anno con peso di messe undici l‘anno –

et una colletta ----------------------------------------- i 3 0

III 295

Cienzi sopra silvi donati dalle bone memorie delli

signori della Tolfa docati trentatre et carlini cin –

quantaquattro -------------------------------------- 33 54

Donate dalli sopradetti signori tommola quaranta –

di grano et perché se sono persi quindici so-

pra lo cito di poligrino at[t]eso[che] non ce so-

cienzi delle altre tommola vinticinque-

se ne so date vinti con peso di tomoli trenta –

l‘anno e queste se ne so avute --------------------- 30 0 0

Dalle elemosine extra ordinarie in chiesa et fora –

quando se ne [h]a di sante messe et offici de morti-

forse potrebbe ascendere alla somma di ducati –

dieci l‘anno poco più o poco meno -------------- i0 0 0

Dalla vigna se ne ponno percepire l‘anno-

barrili di vino da trenta in trenta sei o cin –

qui per anno. Per questuando se ne pos –

sono esigere vinti per quanto di mosto –

et ce ne [oc] corrono nove di spesa l‘anno –

et trenta di potatura et spese da –

[e]seguirsi.

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Filomeno Moscati

40

Da Iacono Peluso carlini sei l‘anno con peso di –

messe quattro l‘anno ------------------------------ 0 3 0

Da Camillo Scauro per lo fitto di una terra che –

fu del quondam fra Ventura do[ca]ti quattro - 2 0 0

dallo erede del quondam Angelo Carrafiello carlini –

vinti l‘anno con peso di sante messe tri –

dici l‘anno et una colletta ------------------------ 2 0 0

da Fonzo Franzese docati quattro l‘anno che –

furno lasciati dal quondam Matteo Fran –

zese sopra uno horto con peso di vinti –

sei misse l‘anno + una messa cantata --------- 4 2 i0

Da Gioseppe de Nixcolais sopra una soa vi –

gnia carlini quattuordici ------------------------- i 2 0

III 296

Da Giovanni Todisco carlini nove per lo lascito de lo

quondam -Pietro Todisco con peso di messe sei l‘anno- 0 4

i0

et per lo fundaco de lo sopraditto quondam Pietro –

Todisco carlini quattordici con peso di messe –

nove con una colletta ---------------------------- i 2 0

dallo erede dello quondam Ferrante Mattia carlini sei con –

peso di messe quattro l‘anno -------------------- 0 3 0

Dalli mastri della santissima Concezione carlini quin –

dici l‘anno con peso di una messa ogni sa –

[ba]to santo cantata -------------------------------- i 2 0

III 297

Secondo Alfonso Masucci la causa della soppressione del

convento e della chiesa dello Spirito Santo, fu una banalissima

lite fra ecclesiastici, generata dal diritto di passaggio di una

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Sala di Serino

41

condotta d’acqua,62

ma, se questa può essere considerata la

causa occasionale della soppressione, le ragioni storiche ,

assai più valide, sono ben altre.

La prima di queste è individuabile nel mutamento della

politica feudale riguardante il sito di Mercato Nuovo e

l’importanza del mulino come fonte di entrate per le casse

feudali. Il mutamento della politica feudale fu ingenerato da un

evento straordinario: il matrimonio di Costanza della Tolfa

(che dall’anno 1581 era divenuta, come ultima erede della

famiglia della Tolfa, contessa di Serino) con Marino

Caracciolo, principe di San Buono. Da quel momento i principi

Caracciolo, che niente legava alla Terra di Serino dal punto di

vista affettivo e venale, com’è dimostrato dal contratto di

vendita del feudo di Serino dell’anno 1626, (stipulato da

Alfonso Caracciolo principe di San Buono) furono portati a

favorire e privilegiare i cinque mulini situati lungo il corso del

torrente Fenestrelle e la Dogana di Avellino, quali fonti di

reddito delle casse feudali. Fu questa la causa del declino del

commercio e della molitura dei grani a Mercato Nuovo di

Serino, e , con l’affievolirsi del sostegno feudale, iniziò anche

il declino della Chiesa e del Convento di Santo Spirito.

La seconda causa del declino fu la costruzione, a partire

dall’anno 1615, di un nuovo convento francescano in località

San Giacomo, assai più centrale rispetto a Mercato Nuovo,

dotato di una chiesa assai più ampia e più bella di quella dello

Spirito Santo, e , soprattutto, fortemente voluto e sostenuto

dall’Università di Serino , che lo dotò di ben undici moggi di

terreno adiacente al convento e s’impegnò, inoltre, a fornire ai

monaci ―lana per la confezione degli abiti, vitto, medicinali e 62

Masucci Alfonso, Serino, ricerche storiche, Tipografia

Giuseppe Ricciardi, Napoli 1927, Vol. II, p. 165

Vedi anche Moscati Filomeno, Storia di Serino, Gutenberg

Edizioni, Penta di Fisciano (SA) 2005, p. 281.

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Filomeno Moscati

42

quanto altro potesse loro occorrere,‖ 63

consacrando

l’impegno con un contratto notarile redatto per mano del

notaio poeta Alessandro Pierro. 64

La terza causa del declino fu la posizione periferica e fuori

mano in cui era situata Dogana Nova alias lo Mercato, rispetto

a tutti i casali dell’ Università di Serino; una causa

riconosciuta, contrariamente a quanto aveva affermato in

precedenza , dallo stesso Alfonso Masucci, che, commentando

un tentativo di riapertura della chiesa dello Spirito Santo, nel

merito così, testualmente, si esprime: ―Ma fu come voler

risuscitare un morto. Posto in luogo fuori mano e poco ormai

frequentato...sostituito nelle funzioni religiose del Comune

dalla chiesa più ampia e più bella dei Riformati, il tempio dei

conventuali......fu abbandonato per sempre e ruinò.‖

63

P. Teofilo M, Giordano, I frati minori a Serino, Tipografia dei Monasteri,

Subiaco (Roma) 1968, p.19; in Moscati Filomeno, Storia di Serino,

Edizioni Gutenberg, Penta di Fisciano (SA) 2005, p. 282; 64

Moscati Filomeno, Storia di Serino, Edizioni Gutenbeg , Penta di

Fisciano (SA) 2005, pp. 246,247;

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Sala di Serino

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II 048 II 049

II 374 II 375

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Filomeno Moscati

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III 295 III 296

III 297

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Sala di Serino

45

Bibliografia

Abbate Francesco, Storia dell‘Arte nell‘Italia Meridionale. Il

Cinquecento. Editore Donzelli 2001;

Barra Francesco, La città dei Caracciolo, in Storia illustrata

di Avellino e dell‘Irpinia, Sellino e Barra Editori, Pratola Serra

(AV) 1996;

De Maio Mimma, Documenti inediti sulla famiglia di

Francesco Guarini, su Il Campanile, notiziario di Solofra, 16

Gennaio 2011;

Giordano Teofilo M., I frati minori a Serino, Tipografia dei

monasteri, Subiaco (Roma) 1968;

Masucci Alfonso, Serino, ricerche storiche, Tipografia

Giuseppe Ricciardi, Napoli 1927;

Moscati Filomeno, Storia di Serino, Edizioni Gutenberg,

Penta di Fisciano /SA) 2005;

Moscati Ruggero, Una famiglia borghese del Mezzogiorno,

Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1964;

Ricca Erasmo, Istoria de Feudi delle Due Sicilie, Stamperia

di Agostino De Pascale, Napoli 1864;

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Filomeno Moscati

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Antica chiesa di S. Eustachio

in Dogana Vecchia

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Sala di Serino

47

IV

Il cimitero promiscuo

Chiesa e convento dello Spirito Santo risorsero dalle ceneri

nel 1841, alcuni decenni dopo la loro chiusura e il loro

abbandono, per diventare... un cimitero. La storia di questa

macabra resurrezione è lunga e travagliata e parte da lontano.

La causa prima della trasformazione del complesso ecclesiale

– conventuale di Mercato Nuovo in cimitero va individuata in

un editto napoleonico del 12 giugno 1804 (23 pratile anno XII

secondo il calendario della rivoluzione francese); è l’editto di

Saint Cloud, che, vietando la tumulazione nelle chiese,

sanciva che le salme dei defunti dovessero essere sepolte in

cimiteri situati fuori dei centri abitati. Una decisione

rivoluzionaria visto che le salme di coloro che morivano nella

religione cristiana , tenendo fede a una tradizione antichissima

che risaliva al tempo delle persecuzioni, venivano tumulate,

nelle catacombe, in prossimità delle sepolture dei martiri,

perché era credenza comune che la vicinanza dei defunti alla

tomba di coloro che avevano testimoniato col sangue la loro

fede in Cristo, facilitasse il loro ingresso nel regno dei cieli. Il

sepolcro presso quello dei martiri e dei santi, era , pertanto,

così fortemente desiderato dai cristiani, che essi

consideravano fortunato chi poteva essere sepolto vicino alla

tomba di un martire o di un santo , come si evince da una

iscrizione catacombale, conservata presso il Museo Borgiano

di Velletri, che dice : ― qua pro tanta merita accepit

sepulchrum intra limina sanctorum quod multi cupiunt et rari

accipiunt‖65

(La quale per così grandi meriti ricevette un

65

Armellini Mariano, Lezioni di Archeologia cristiana,

Tipografia della pace di Filippo Cuggiani, Roma 1898,

pp.99,100;

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Filomeno Moscati

48

sepolcro tra le soglie delle dimore sepolcrali (intra limina)

dei santi [martiri], cosa che molti bramano e pochi ottengono).

Questa antica usanza ( che abbiamo visto attuata anche nella

Chiesa dello Spirito Santo, a Mercato Nuovo, da parte di

Giovan Battista II della Tolfa, primo conte di Serino) era

talmente radicata nel popolo cristiano che, ancora nel secolo

XIX , i morti venivano sepolti nelle chiese, sotto il loro

pavimento, con tutte le conseguenze negative, di carattere

igienico-sanitario, ambientale ed epidemiologico , da essa

derivanti.

L’ editto di Saint Cloud fu esteso anche al Regno d’Italia con

l’Editto della Polizia Medica, del 5 settembre 1806; editto che

fu fatto proprio, dopo la restaurazione borbonica, da

Ferdinando di Borbone con la Legge dello 11 marzo 1817, che

sanciva l’istituzione di un camposanto in ogni comune del suo

regno. La legge fu perfezionata e resa operativa dal ministro

dell’interno Tommasi, mediante il Regolamento del 21 marzo

1817, che stabiliva i requisiti minimi e indispensabili di un

camposanto.

Il regolamento del ministro Tommasi stabiliva che i cimiteri

dovevano essere costituiti da‖una estensione di terra nuda,

ben dissodata, interamente spoglia di alberi, arbusti e piante

perenni di qualunque specie, circondata di mura all‘altezza di

palmi undici fuori terra‖; che ―un moggio napoletano, pari a

900 passi quadrati era da considerarsi sufficiente ad ospitare i

morti di un comune di 8000 abitanti‖; e che, in ossequio agli

ideali di uguaglianza umana e di politica igienico-sanitaria cui

era stato ispirato l’Editto di Saint Cloud, ―la maggiore

semplicità possibile sarà usata nella costruzione del

camposanto, che sarà scelto in un sito circa un quarto di

miglio lontano dall‘abitato, o anche di più, quando le

circostanze locali lo esigano, nella direzione dei venti

settentrionali‖ e ―si avrà cura che sia quanto più si potrà

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Sala di Serino

49

lontano da ogni via battuta e soprattutto dalle più

frequentate‖.

Il decreto sanciva, inoltre, che la struttura del cimitero

doveva essere realizzata ai margini dei centri abitati, in

prossimità di una chiesa, o del chiostro di un monastero

abbandonato; che doveva avere ―forma quadrilatera,

circondato da portici per privati e confraternite, cappella

privata e casa del custode‖. Il decreto prevedeva, infine, la

possibilità di creare cimiteri unici per più comuni, sempre che

essi fossero situati a una distanza accettabile da ciascun

abitato; la sistemazione di piante all’ingresso e lungo le mura

di cinta ―affin di rendere il luogo meno disgustoso e

conciliargli quella religiosa tristezza che tocca il cuore e

richiama alla memoria utili considerazioni morali‖.

Fu sulla base di questo regolamento, che, nello stesso anno

1817, l’intendente provinciale Patroni diede mandato

all’ingegnere Luigi Oberty di redigere i progetti dei cimiteri di

Avellino, Montesarchio, Vitulano, Montemiletto, Serino e

Altavilla,66

ma, come sempre accade per le leggi innovative e

contrastanti con tradizioni, usi e costumi inveterati, e perciò

divenuti patrimonio comune del popolo, la sua attuazione non

fu facile, sia per ragioni economico-pratiche, sia, e soprattutto,

per la sorda ostilità di amministratori e di popolo.

L’ostilità contro alcune disposizioni dell’editto di Saint Cloud

e, in modo preminente, contro l’uniformità delle sepolture e

delle lapidi sepolcrali, che annullava ogni identità e ogni

merito guadagnato dai defunti con una vita esemplare e, a

volte, addirittura encomiabile per eroismo, virtù e dottrina, si

era già manifestata, subito dopo l’emanazione dell’editto,

anche fra le persone più elevate per genio e pensiero. Fra 66

Caracozzi Antonietta, Luigi Oberty e la diffusione del

neoclassicismo nell‘Italia meridionale, Edipuglia, Bari 1999,

p. 23.

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Filomeno Moscati

50

queste va annoverato il poeta Ugo Foscolo, che rese palese la

sua ostilità alle tombe senza nome e alle fosse comuni in un

carme famoso, ―Dei sepolcri‖, (composto nel 1806, anno in

cui l’editto di Saint Cloud fu esteso all’Italia) là dove dice che:

―Pur nuova legge impone oggi i sepolcri

fuor de‘ guardi pietosi, e il nome a‘ morti

contende,‖67

sostenendo, invece, che :

‖Sol chi non lascia eredità d‘affetti

poca gioia ha dell‘urna;‖68

perché una

―celeste dote è negli umani; e spesso

per lei si vive con l‘amico estinto

e l‘amico con noi, se pia la terra

che lo raccolse infante e lo nutriva,

nel suo grembo materno ultimo asilo

porgendo, sacre le reliquie renda

dall‘insultar dei nembi e dal profano

piede del vulgo, e serbi un sasso il nome.‖69

L’ostilità dei Serinesi all’editto fu resa subito manifesta in

una lettera del sindaco di Santa Lucia, Filippo Pelosi, che

rispondendo all’ordine, impartito dall’intendente, di costruire il

camposanto, rispondeva, nell’aprile 1817, che ―a questo

Comune riesce molto malagevole nonché impossibile la

costruzione del camposanto testé ordinato, sì perché questo

Comune non ha l‘estensione così grande che possa eccedere

ad 1/4 di miglio, estensione che viene prescritta dal precitato

decreto per la suddetta costruzione, come ancora essendo

circondato da acque sorgive che non permettono il

seppellimento dei cadaveri in esso. 67

Foscolo Ugo, Dei sepolcri, vv. 51,52,53; 68

Foscolo Ugo, idem, vv. 41,42; 69

Foscolo Ugo, idem, vv.31-38;

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Sala di Serino

51

..Ad eseguire dunque questa costruzione...crederei opportuno,

se Ella lo stima espediente, di unire questo anzidetto Comune

con quello di Serino, che sono limitrofi, e costruire in esso un

solo camposanto....

Sindaco Filippo Pelosi.‖

Questa richiesta, che costituisce la prima pietra del cimitero

promiscuo di Serino e Santa Lucia, fu prontamente accolta

dall’intendente, che, in data 26 aprile 1817, comunicò al

sindaco di Serino la richiesta del sindaco di Santa Lucia e

aggiunse che, avendo ―trovato plausibile un tale sentimento,

―gli aveva ―imposto di mettersi d‘accordo con lei...affinché...

si possa redigere il progetto dell‘opera.‖

L’ingegnere Luigi Oberty redasse prontamente il progetto e,

seguendo i dettami del decreto scelse come luogo più idoneo,

e più conveniente economicamente per il costruendo cimitero,

quello di Mercato nuovo, in quanto ―profittando del locale

della Dogana si costruisce un Camposanto con la somma di

ducati 1600, ben modica per una popolazione di circa 6400

anime. Si forma un rettangolo di palmi 430 x 216 in quel

locale, profittando della Cappella, delle mura di circuito

esistenti e delle pietre risultanti dalla demolizione del vecchio

convento.‖

I due comuni , di Serino e di Santa Lucia, votarono

l’unificazione del cimitero nel marzo 1819, il Ministero

approvò sia l’unificazione che la pianta in data 24 aprile 1819,

e, nel luglio 1819, la costruzione del camposanto fu affidata a

Bernardino Sessa , di S. Severino frazione Carpineto.70

Sembrava ormai tutto facile e che la costruzione del

cimitero promiscuo potesse procedere speditamente e senza

ostacoli, ma non fu così perché iniziò, inaspettatamente, una

serie incredibile di liti fra Comune di Serino e privati, che 70

Masucci Alfonso, Serino. Ricerche storiche, Tipografia

Giuseppe Rinaldi, Napoli 1927, Vol.II, pp.187,188;

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Filomeno Moscati

52

difendevano i propri diritti di proprietà; fra il costruttore Sessa

e il Comune, circa l’esecuzione dei lavori e il pagamento di

essi; fra i privati e il Sessa cui veniva imposto, attraverso atti

giudiziari, il fermo dei lavori in corso. Se a questo si aggiunge

che , nelle more, furono emanate, dalle autorità a ciò preposte,

nuove disposizioni meno restrittive che consentivano la

tumulazione in chiese di campagna, o , comunque, poste fuori

degli abitati, si può chiaramente comprendere come, nell’anno

1838, cioè a più di venti anni dal suo inizio, la costruzione del

cimitero promiscuo di Serino e Santa Lucia non fosse ancora

terminata. 71

Fu questa circostanza che indusse il Comune di San Michele

di Serino, che si trovava in gravi difficoltà sia di carattere

burocratico che economico e non aveva neppure iniziato la

costruzione del suo cimitero, ad inserirsi nella vicenda del

cimitero promiscuo cercando di diventarne il terzo fruitore,

allo scopo di diminuire le spese.

Il Sindaco di San Michele di Serino, Alfonso Rapolla, in una

lettera all’ intendente datata 7 dicembre 1838, gli comunica

che , a questo scopo, aveva fatto istanza al sindaco di Serino.

La lettera del Sindaco di San Michele all’intendente, strutturata

sulla falsariga di quella inviata dal sindaco di Santa Lucia

nell’aprile 1817, dice:‖ Il perimetro di questo paese offre

un‘estensione assai minore di quella prescritta dalla Legge per

la formazione dei camposanti. Solamente in un punto e

propriamente nella parte cosiddetta delle Macchie potrebbe

darsi una tale distanza; ma in questa non può costruirsi il

camposanto perché alpestre, solcata da valloni vernili,

pietrosa, cretosa, quasi inabile alla coltura, appena ridotta a

una specie di vigneto. Se si desiderasse formarlo nei fondi

attorno all‘abitato, oltre che non vi è la distanza, sono dei

fondi irrigabili e pregni d‘acqua, per modo che se si vuole 71

Masucci Alfonso, idem, Vol. II, pp. 195-200;

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Sala di Serino

53

scavare il suolo nella profondità di circa palmi quattro si

scopre l‘acqua sorgiva. Per i siffatti motivi mi sono diretto al

sindaco generale di Serino al quale ho fatto istanza che

siccome questo si trova ab antiquo con quello collegato per

tutte le spese promiscue, che si erogano nel Circondario col

pagarne il vigesimo secondo la consuetudine, così avesse

accettato l‘unione di questo Comune per la formazione di un

camposanto in quello stesso luogo progettato per quello

servibile per l‘intero Circondario, col pagarne il vigesimo del

prezzo in questo modo, cioè ducati 220 nel prossimo venturo

anno ed il resto a rate molte come meglio può convenirsi.

Tutto ciò si progetta per linea di economia per questo Comune

afflitto dalla miseria e dall‘esorbitante peso della transazione

sulla molitura.‖

Il Decurionato di Serino, con una deliberazione in data 31

dicembre 1838, respinse la proposta adducendo che la

promiscuità era contraria alla legge ( cosa non vera, anzi era

vero il contrario) e che essa con il trasporto dei cadaveri poteva

favorire il contagio in caso di epidemia. In realtà la ragione

vera era un’altra, e una soltanto, la proposta era giunta in

ritardo e ciò comportava che ―si dovrebbero annullare tutti i

lavori già fatti e cominciare da capo ad allargare‖, come si

evince dalla conclusione della deliberazione presa.72

Finalmente, composte le liti, saldati i debiti, riscossi i crediti, la

costruzione del cimitero promiscuo di Serino e Santa Lucia di

Serino fu ritenuta terminata il 10 agosto 1841 e il cimitero fu

solennemente inaugurato il 21 settembre 1841.

L’ inaugurazione è stata così descritta dai sindaci dei due

Comuni in una lettera inviata all’Intendente, che, testualmente,

dice: ―Al Signore Intendente. Ieri alle ore 11, seguì la solenne 72

Filomeno Moscati, San Michele di Serino e la chiesa di S.

Michele Arcangelo dalle origini ai giorni nostri, LUBIGRAF,

Montoro Inferiore (AV) 2007, p.186.

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Filomeno Moscati

54

inaugurazione del cimitero promiscuo dei Comuni di Serino e

di Santa Lucia. Il Vicario Foraneo, Don Paolino Maria

Iannelli, delegato dall‘Ill.mo e Rev.mo Monsignore

Arcivescovo di Salerno, asperse dell‘acqua benedetta il luogo,

asilo di pace e della sempiterna quiete. Oltre la messa solenne,

un discorso analogo e commovente si tenne dall‘ottimo Padre

Michelangiolo da Forino, Lettore Teologo dei Minori

Riformati di San Francesco. Intervennero alla pia funzione: il

clero, i religiosi di S. Francesco, le confraternite tutte, il

Giudice con i suoi dipendenti, i rispettivi corpi municipali dei

due Comuni con a capo i sindaci, i conciliatori, le guardie di

onore, la Brigata della Reale Gendarmeria, i capi delle

Guardie Urbane, le guardie stesse, i Galantuomini ed una

numerosa popolazione. Coronò la santa cerimonia la somma

devozione dei circostanti, l‘ordine e la bella tenuta dei Corpi

suindicati, nonché quella inalterabile tranquillità che il luogo

ispirava e che tanto distingue questi fedelissimi sudditi del

nostro augusto Monarca Ferdinando II ( D. G.) Domenico

Brescia sindaco di Serino, Raffaele Moscati sindaco di Santa

Lucia.

Alfonso Masucci aggiunge che ―il santo luogo funzionò

subito..... e chi scorre i libri parrocchiali dei defunti avverte

subito l‘avvenuta apertura del camposanto, giacché alle

vecchie diciture è sostituita prima questa: sepultus est in

ossariis vulgo dictis camposanto ( è sepolto in ossari dal volgo

denominati camposanto) ovvero, sepultus est in publico

cimiterio e poi definitivamente da tutti i parroci: sepultus est in

agro santo‖ (è sepolto in terra consacrata)....ma aggiunge pure

che il neo-costruito cimitero ―fu per lungo tempo negletto un

pò da tutti, Autorità e popolo‖ e che fu solo ―verso l‘83, (cioè

42 anni dopo la sua inaugurazione) quando fra noi sorse la

Società Operaia e questa ...volle nel giorno dei morti recarsi

al camposanto, tra gran concorso di popolo, che la religione

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Sala di Serino

55

dei sepolcri ritornò in onore, e il 2 Novembre il pio luogo

divenne meta di un pellegrinaggio di tutto Serino, fiori e ceri

dappertutto e messe nelle cappelle delle confraternite.73

Il cimitero promiscuo ebbe vita breve perché, negli anni che

vanno dal 1925 al 1937, esso venne demolito.

La demolizione del cimitero fu dovuta alla costruzione di

un’opera pubblica di grande importanza, che interessò, in

modo fortemente penalizzante e depauperante, i tre comuni

della valle di Serino, l’Acquedotto di Napoli, i cui interessi

furono valutati prevalenti nei confronti di quelli delle

popolazioni locali. La costruzione di questa imponente opera

pubblica prese l’avvio da una decisione del Consiglio

Comunale di Napoli , che, nel corso dell’anno 1866 stabilì, in

diverse deliberazioni consiliari, in primo luogo ―il

miglioramento e l‘aumento della condotta delle acque che la

città possiede,‖ e, in secondo luogo, ―la condotta di acque

novelle ed a preferenza quelle di Serino.‖ Il Decreto Reale 11

luglio 1877 ―autorizzò la città di Napoli a procedere

all‘espropriazione delle acque di Serino e Urciuoli‖.

La prima fase della realizzazione dell’acquedotto riguardò la

captazione e l’incanalamento delle sorgenti Urciuoli, site al

confine fra i Comuni di Santo Stefano del Sole e Cesinali, e

terminò con l’inaugurazione del novello acquedotto il 10

maggio del 1885.74

La seconda fase, che interessò direttamente il territorio di

Serino, ebbe inizio concreto, sotto il Fascismo, con la

captazione e l’incanalamento delle sorgenti Pelosi, nel 1925,

c fu effettivamente completata nel 1936-37, con

l’allacciamento del gruppo delle sorgenti Acquara. Fu proprio

73

Masucci Alfonso, Serino. Ricerche storiche, Tipografia

Giuseppe Rinaldi, Napoli 1927, pp.200-216; 74

Filomeno Moscati, Storia di Serino, Gutenberg Edizioni, Penta di

Fisciano (SA) 2005, pp. 362-367;

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Filomeno Moscati

56

la necessità di proteggere le sorgenti captate con un’ ampia

zona di terreno, e di recingerla con un muro, a determinare la

demolizione del cimitero promiscuo di Serino e Santa Lucia e

la costruzione, in sua vece, di due nuovi cimiteri, quello di

Santa Lucia, lungo la strada Santa Lucia –Atripalda, e quello di

Serino lungo la strada da Serino, frazione Pescarole, a San

Michele. 75

Alfonso Masucci afferma che il nuovo cimitero di Santa

Lucia era già terminato76

nell’estate dell’anno 1923, anno in

cui stava scrivendo il capitolo sui cimiteri;77

quello di Serino

fu completato e utilizzato durante gli anni trenta, nel corso dei

lavori di allacciamento delle sorgenti Acquara. Questo evento

ha lasciato in me il ricordo, sfumato e confuso, ma indelebile,

delle occhiaie dei loculi vuoti del cimitero in demolizione e il

via vai delle donne, che trasportavano, con grande devozione e

commozione, le ossa dei propri cari estinti al novello cimitero

di Serino, dopo averle deposte in ceste, avvolte e protette in

candidi lini e panni di seta, o di altre stoffe preziose.

75

Moscati Filomeno, Storia di Serino, Gutenberg Edizioni,

Penta di Fisciano (SA) 2005, pp. 367,368; 76

Masucci Alfonso, Serino. Ricerche storiche, Tipografia

Giuseppe Rinaldi, Napoli 1927, Vol. II, p.216; 77

Masucci Alfonso, idem, p. 213.

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Sala di Serino

57

Bibliografia

Armellini Mariano, Lezioni di Archeologia cristiana,

Tipografia della pace di Filippo Cuggiani, Roma 1898;

Caracozzi Antonietta, Luigi Oberty e la diffusione del

neoclassicismo nell'Italia meridonale, Edipuglia, Bari 1999;

Foscolo Ugo, Dei sepolcri;

Masucci Alfonso, Serino ,ricerdhe storiche,Tipografia di

Giuseppe Rinaldi, Napoli 1927;

Moscati Filomeno, Storia di Serino, Edizioni Gutenberg,

Penta di Fisciano (SA) 2005;

San Michele di Serino e la chiesa di S. Michele Arcangelo

dalle origini ai giorni nostri, LUBIGRAF, Montoro Inferio

re(AV)2007. ;

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Filomeno Moscati

58

Chiesa della Madonna della Neve

in Sala di Serino

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Sala di Serino

59

V

Parrocchia di S. Eustachio –

Madonna della neve.

La prima notizia certa dell’esistenza della chiesa di S.

Eustachio, tuttora esistente in Dogana Vecchia di Serino, si

trova documentata in un registro delle ratifiche decisionali

della Curia dell’Archidiocesi di Salerno, conservato

nell’Archivio della stessa diocesi ( A D S - Archivio

Diocesano di Salerno ) e risalente all’anno 1309. Il documento,

riguardante l’anno 1309 (sec.XIV), afferma che ―in casali S.

Eustasii est ecclesia S. Heustasii‖ e che essa ha come rettore

Lorenzo Conzaiocu di Salerno e come cappellani Guglielmo da

Ebulo e Tommaso del Merealdo da Serino.78

Il documento,

oltre ad affermare l’esistenza della chiesa ci dice anche che il

casale prendeva nome proprio da questa chiesa, essendo

conosciuto, ancora nell’anno 1309, come casale di

Sant’Eustachio, e si dovrà attendere il secolo successivo (XV)

perché assuma il toponimo di Adohane ( vedi pagina 19).

L’origine della chiesa, ( e del casale che da essa aveva preso

nome) ―risale certamente ad epoca antecedente, anche se la

mancanza di documenti impedisce di precisarne le data,‖79

ma

questa data doveva sicuramente essere anteriore all’anno 1168,

anno in cui il Papa Alessandro III ( 1159-1181) definiva, con

78

A D S Ratifiche Decisioni, 418, n 6126, in Crisci Generoso,

Salerno Sacra, a cura di Vincenzo De Simone, Giuseppe

Rescigno, Francesco Manzione, Donato De Mattia, Edizioni

Gutenberg, Lancusi (SA) 2001, Vol. II, p. 304; 79

Crisci Generoso, Campagna Angelo, Salerno Sacra, Edizioni

della Curia Arcivescovile, Salerno 1962, p.360;

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Filomeno Moscati

60

una bolla, i confini dell’Arcipretura di Serino, in cui erano

comprese le chiese delle sue nove parrocchie.80

La conferma, che la chiesa di S. Eustachio fosse ab antiquo

chiesa parrocchiale, ci viene da una visita pastorale effettuata il

giorno 6 novembre1557, all’epoca del Concilio di Trento, ed è,

perciò, particolarmente attendibile. Essa dice:

―Nel giorno sei novembre dell‘anno 1557 a Serino il suddetto-

reverendissimo signor visitatore dopo aver recitato l‘ufficio

(dei morti) - proseguendo si recò alla parrocchiale chiesa- di

Santo Eustachio di detta terra di cui è cappellano-Don

Antonio de Iannella e rettore è Donato Moscatus e, recitato

l‘ufficio dei defunti,- si recò all‘altare maggiore nel quale

rinvenne una- cassettina nella quale c‘era un vasetto di

stagno- in cui trovò il Santissimo Sacramento. Fu- ordinato e

allo stesso predetto ingiunto , sotto pena di scomunica, che

entro due mesi- faccia fare un tabernacolo dorato di ebano, -

una lampada ardente e due corporali puliti che lo stesso

predetto giurò che avrebbe fatto.- Cappellano e rettore

provvedono agli altari ordinari.- Poi si recò al fonte

battesimale, che- trovò chiuso con una chiusura di ferro ,in

questo- I 012-

Rinvenne il Santissimo Sacramento custodito in luogo

decente- conservato pulito e avvolto in panni buoni-

La chiesa abbisogna di riparazione e per questo fu dato-

mandato; fu anche ingiunto sotto pena di scomunica che entro

cinque- mesi facciano una immagine perché non c'è

nell'abside- e presentino entro il giorno odierno la bolla e

l'inventa- rio dei beni mobili e stabili- incluse le decime dei

filiani e qualsivoglia altro bene. I- 013

Dal verbale di questa visita pastorale è chiaramente

evidenziato che la chiesa di S. Eustachio era chiesa 80

Moscati Filomeno, Storia di Serino, Edizioni Gutenberg,

Penta di Fisciano (SA) 2005, p.166;

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Sala di Serino

61

parrocchiale, ma , altrettanto chiaramente, da essa si evince

che la chiesa suddetta, oltre ad essere molto piccola, era anche

in condizioni così cattive da esigere una riparazione

immediata; le suppellettili erano poche e misere e la chiesa

così povera che non v’era un’immagine sacra neppure

sull’altare maggiore (nell‘abside) e il Santissimo Sacramento

era conservato in un modesto vasetto di stagno e, inoltre, non

esisteva un inventario dei suoi beni né delle decime pagate dai

filiani; da questo verbale, inoltre, non si evince quale fosse

l'estensione territoriale della parrocchia di S. Eustachio e quali

casali di Serino essa abbracciasse. Dal verbale della visita si

evince però che, in Dogana Vecchia, accanto alla chiesa

parrocchiale di S. Eustachio esisteva un oratorio privato

dedicato alla Madonna delle grazie. Il verbale della visita

pastorale , infatti, prosegue dicendo:

" nello stesso giorno il predetto Reverendissimo signore

vicario e visitatore- dopo aver recitato l'ufficio [ dei morti]

proseguendo si recò ad un certo- oratorio sotto il vocabolo di

Santa Maria delle grazie- di detta terra, che dissero essere di

iurepatronato- della famiglia de Cheche e vi trovò il benefi-

ciato, il reverendo Don Galienus Cheche che è un

francescano.- Abbisogna di riparazioni, paramenti e di un

altare- consacrato. É per chi di dovere. 81

I 013

Generoso Crisci afferma che quest’oratorio esisteva da 125

anni almeno, risultando già eretto nel 143282

La sua esistenza è

certa nell'anno 1521, perché documentata in uno strumento

notarile, redatto dal notaio Geronimo De Vivo e riguardante la

spartizione di un fondo sito in Dogana Vecchia, nel quale si

afferma che il fondo era situato accanto alla Ecclesia Sanctae 81

ADS, Visite pastorali;

82

Crisci Generoso, Salerno Sacra, a cura di Vincenzo De

Simone, Ciuseppe Rescigno, Francesco Manzioine, Donato de

Mattia, Edizioni Gutenberg, Lancusi (SA) 2001, Vol. II, p. 308.

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Filomeno Moscati

62

Mariae de gratiis ibi existentis83

. Questa chiesetta privata, di

iurepatronato della famiglia Cheche assieme a quella di S.

Paolo di Troiani, era già assai malandata e non idonea alle

funzioni religiose nell'anno 1557, come si evince dal verbale di

visita del 6 novembre di quell'anno. Malgrado l'ingiunzione a

riparare la chiesa, fatta in quella visita, la chiesa non fu

riparata né resa idonea alle funzioni religiose; anzi, 58 anni

dopo, era addirittura diruta, come risulta da una visita

pastorale alla chiesa di S. Eustachio , eseguita il 12 dicembre

1615, nel cui verbale viene affermato che "la cappella di santa

Maria delle Grazie, che si dice annessa alla chiesa di S. Paolo

e di cui è beneficiato Don Orazio Moscatus, è diruta".84

II

305

Fu questa la ragione per cui, nell'anno 1642 il suo

beneficiario, "il clerico Giacomo Cheche," avendo costatato

che "la chiesa passa cent'anni e più che è disfatta di modo che

dal detto tempo è profanata, et non ha più nome di chiesa,"

chiede all'Arcivescovo di Salerno di poter vendere il luogo su

cui erano le vestigia della chiesa , cosa che l'arcivescovo

concesse. Alfonso Masucci precisa che la tradizione vuole che

detta chiesa fosse situata" nel largo a mano destra di chi viene

da Ponte, vicino al pozzo"85

Nel giorno 6 novembre 1557 fu eseguita anche la visita alla

Confraternita di Santa Maria della neve il cui verbale, molto

difficile da interpretare per la pessima conservazione della

pagina e le molte abbreviazioni, dice:

Nello stesso giorno il predetto reverendo signore, inviato e

visitatore,- recitato l'ufficio, proseguendo si recò a una certa-

confraternita intitolata a Santa Maria della neve,-

83

Masucci Alfonso, Serino. Ricerche storiche, Tipografia

Giuseppe Rinaldi, Napoli 1927, Vol. II, p.68; 84

Archivio Diocesano di Salerno , Visite pastorali, 85

Alfonso Masucci, idem, p.68,69;

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Sala di Serino

63

I 013 E la predetta confraternita non abbisogna di riparazioni, ha

buoni parati sul fonte battesimale inseriti, la stessa non- ha

patrimonio, come dissero, né bolla [di erezione] Fu intimato-

che li procurino e,-----------, che demolire facciano i

monumenti- che sono sopra le sepolture a meno che vi sia una

cappella e un compatrono e, sotto pena di scomunica, – che

entro il presente giorno esibiscano l'inventario dei beni

mobili.86

I 014

Dal verbale di una visita pastorale eseguita 11 anni dopo, cioè

nell'anno 1568, risulta che il visitatore, avendo constatato che,

contravvenendo al mandato ricevuto, la chiesa parrocchiale di

S. Eustachio non era stata riparata; che essa "abbisogna della

massima riparazione;" che, perciò, "incombe un pericolo

enorme sia sui fedeli che sul cappellano durante le

celebrazioni liturgiche; che, inoltre, risulta impossibile

ripararla, a causa della povertà sia della chiesa che dei filiani,

ne ordina la chiusura e il trasferimento del culto nella chiesa di

S. Maria della neve, sita nel vicino casale di Sala, 87

La povertà della chiesa parrocchiale di S. Eustachio di Dogana

Vecchia viene messa in evidenza da un inventario dei suoi beni

e delle sue entrate, compilato nell'anno 1598 e tramandatoci in

una copia, "fatta et rinovata" dal parroco, Don Angelo

Tramaglia, il 15 dicembre 1608.

L'inventario, che è la copia di quello risalente all'anno 1598, è

compilato in volgare ed è stato, perciò, riportato esattamente

così com'è scritto, salvo la punteggiatura che è stata, in qualche

parte, corretta per renderlo più comprensibile, Esso dice.

Copia

86

ADS, Visite pastorali; 87

Archivio Diocesano di Salerno, Visite pastorali;

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Filomeno Moscati

64

Inventario tempore missionis (al tempo della missione) a

Serino il giorno 15 dicembre 1608, per Don- Angelo

Tramaglia-

Inventario fatto et rinovato della parrocchiale chiesa- di Sto

Eustachio della terra di Serino per me D. Angelo- Tramaglia

per ordine delli signori visitatori nel'anno 1598.

In nomine Domini nostri Iesu Criste-

Sto Biase

In primis N[otaro] Giovanni Russo de Stefanello tene et

possede una terra ar- bustata et vitata di Sto Eustachio iusta li

(vicino ai) beni di Sta Caterina,- dell'herede di ferrante di

agnessa da doe bande (lati), et la via- vicinale renditi[zi]a

alla chiesa di Sto Eustachio l'ano quolibet (per qualsivoglia

anno) grani- quindici, quale terra la si possedeva per (da)

Agostino d'agnessa iusta li- beni di sarruzzo Capuano, di

Col'Angelo volta et di Sta Caterina-

Dico grani quindici------------------------------0----0—15; –

come per intestato appare nella sede di N[otar]o Cesare di

piano.- Giuseppe di piano tiene una selva dove si dice

Cologna iusta- li beni d'Alessandro magnacervo da doe

bande, de paulo de piano- Donato stefanello, renditizia a Sto

Eustachio ca[rli]nì uno, [la] quale selva ut (e)- loco si

possedeva da Nuntio di piano iusta li beni di paulo lota- de

fabritio Capuano, da capo et da piedi, dico carolini uno--0-i-0

Notare Giovanni Russo de stefaniello tene et possede una terra

de la- Corte di Sto Eustachio iusta la via publica, et altri beni

di dicto Giovanni – Russo et Natale piscatore renditizia a Sto

Eustachio anno quolibet- carlini tre, (il) quale p[redett]o loco

si possedeva per Gio[sepp]e Capuano et ne- rendeva carlini

sei; tene una seconda terra[ che]è divisa et parte ne tene-

Giovanni Russo e parte il predetto Natale piscatore, si che

rendeno- carlini tre per ciascheduna parte et predicto loco si

possedeva per dicto - Gio[sepp]e Capuano iusta li beni di

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Sala di Serino

65

Nando et di Sarruzzo Capuano- la via publica et anco teneva

una casa di predicto Sto Eustachio, che sta alle- Cortine iusta

li beni di Sto Biasi, cioè la casa che tiene Adonese- torino, et

la casa di Donato Capuano, et la corte di Sta Caterina avan-

te dicta casa--------0—-i-- 0

II 189

ma al presente la casa è rimasta franca, per essere stato posto

de carlini - sei sopra la terra che si possiede per dicto

N[otaro] Giovanni Russo Stefanello et Natale- piscatore,

delli quali rendono carlini tre per ciascheduno, dico N

Giovanni Russo carlini tre------------------0—i—10-

Natale piscatore per la casa di sopra carlini tre—0—i-10-

Giulio, paulo, Giovanni Batt[ist]a et altri- figli del q[uonda]m

(defunto) ferrante d'agnessa- teneno et possedono una terra

arbustata et vitata dove se dice- la Corte d'ufaro iusta la via

pub[li]ca da doe bande, li beni di Sta- Caterina et li beni di

Giovanni Russo Stefanello, rendeno a Sto- Eustachio grani

quindici, q[ual]e [ reddito] si possedeva per sarruzzo- et

Nando Capuano ,iusta li beni di Agostino d'Agnessa, de

Col'Angelo- Volta, la via pub[li]ca et di Giovanni Capuano, et

di Sta Caterina- rendeno ogn'anno grani quinduici---0---0--i5

Reuottolo

Simone monciello tiene una selva detta la piana delli cierri

sen- gati; iusta li beni di pellegrino saccardo, da canto la via

publica, sotto li beni dell'heredi del N[otaro] Tomasi rutolo da

canto, quale predicto loco si possedeva per francisco et

Cristiano cerino rendeno quolibet anno a Sto Eus- tachio

carlini uno, dico--------------------0—-i—0

L'herede di Giovanni Tomasi rutolo tiene una selva per

nomine i sali- iusta li beni di simone monciello, Domenico de

pieri, da canto- Giovanni Angelo cerino, e la via publica da

sotto, quale predetto loco si pos- sedeno per francesco et

sebastiano cerino, iusta li beni di Ma- rino de pierri, verso lo

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Filomeno Moscati

66

vallone, iusta li beni di Marino et- Matteo rutolo dicto sopra,

rende a Sto Eustachio dico carlini ----0-i-0

Ponte

Massentio Vigorita tiene una terra arbustata, et si chiama -

l'arbusto, iusta li beni d'Angelo et Minico Iannella, la via-

publica da sopra et da sotto et da canto, et rende alla Chie- sa

di Sto Eustachio per la metà grani dieci, quale predicto loco si

possedeno- per Jacopo manzo, iusta li beni come di sopra,

dico-------------0---0—i0

II 190

Angelo et Minico Iannella tieneno et possedeno una terra

arbus- tata, et se chiama l'arbusto, iusta la via publica da

sopra et- da sotto di Massentio Vigorita, quale predicto loco

fu di Jacopo- manzo, iusta li beni come sopra dicto ,rende

ogn'anno a dicta chiesa- di Sto Eustachio nel dì di Natale –

grani ------------------------------------------0--0—i0

Giovanni Tomasi Vigorita tiene uno pezzo di terra arbustata

et. se chiama le lenze iusta li beni di Massentio Vigorita da

lato, et- li beni di dicto Giovanni Tomasi da sotto, et li beni di

Cesare Iannella- quale predicto loco se posedeno per

Francesco Iannella, iusta li beni de- Cola manzo, n[om]i[n]e

lo campo et lo cerretiello, rende ogn'anno- nel dì di Natale

per doe parte grani tridici et danari quattro- et l'altro terzo si

possede per Cesare Iannella----------------------------0----i3—4-

Cesare Iannella possede una terra arbustata dove se dice le-

lenze, iusta li beni di Col'Angelo manzo da sopra, et li beni di

Masse- ntio Vigorita da canto, et li beni di Giovanni Tomasi

Vigorita quale predicto loco- se possedeno per Francesco

Iannella iusta li beni di Cola manzo,- cioé lo campo et lo

cerretiello, et rende nel dì di Natale a detta- Chiesa per un

terzo grani sei et danari quattro, che doi altri terzi se

possedeno per Giovanni Tomasi Vigorita, dico------0---6------4

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Sala di Serino

67

Marco marro tiene et possede una selva et se chiama lo-

toppolo, iusta la via publica da sotto et da canto, et li beni di

Ca- millo Santoro et li beni di N[otaro] Francisco Iannela. Et

anco possede- una casa in Raiano iusta li beni di Col'Angelo

manzo, la via, - publica, et altri suoi beni inclusove lo rendito

de l'arbusto, quale- predetto loco se possedeno la terra per

Gregorio virolla, la casa, et- l'arbusto per luca et Cipriano

virolla, iusta li beni di Cesare- Iannella la casa la selva iusta

li beni loro et di Sto Spirito, la via pu- blica, et la selva della

Sma Annunziata, rendono ogni cosa nel dì di Natale---1—4—0

l'herede di Marchese nivolla tiene una selva iusta li beni di

Massentio II 191

marro da canto la via publica da sotto, et dal' altro lato

GiovanniTomasi- Vigorita, quale predicto loco si possedeno-

per Gregorio et luca virolla, iusta- li beni di D. Alessandro

molenaro et fra[tello], et se chiama lo toppolo, et rende

ogn'anno nello dì di Natale grani quattro---------------0---0---4

Angelo et Minico Iannella tieneno et possedono una selva- et

se chiama lo toppolo iusta li beni dell' heredi di Giovan luca

Ian- nella da sopra, li beni di Li- anora virolla da canto,

quale predicto loco se possedono per fabritio vi- rolla, iusta li

beni di Gasbarro et Antonio d'urso, et li beni di Sto- Spirito

che furno del brunillo, et li beni che furno di Cola marro , et-

li beni d'Alessandro Saccardo, et li beni della cappella [di]

Cristofaro- cheche; rende la metà Carlini uno et grani otto et

mezzo, ché l'altra metà se possede per Lianora virolla--0---i-8

Lianora virolla tiene et possiede una selva, che se - chiama lo

toppolo iusta li beni d'Angelo et Minico Iannella- da canto, li

beni dell'heredi di Giovanni luca Iannelli da sotto, li beni- di

pompeo todisco da l'altro canto. di D. Giovanni Tomasi

Iannella- da sopra, quale predicto loco si possedeva per

Orsola et fabio virollla- et altri confini come di sopra, et

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Filomeno Moscati

68

rende ogn'anno in dì di Na- tale a ditta Chiesa di Sto

Eustachio carlini uno et grani otto----------------------0----i----8

Alessandro et Cola marro teneno et possedeno una terra

arbustata- et vitata, et se chiama le lenze, iusta la via publica

da sopra- et da lato et da sotto, iusta li beni Massentio

Vigorita et Matteo- Iannella, Marco marro da costi, quale

preditto loco si possedeno – Gabriele rogoglioso et Andrea di

Pinto, et se chiama l'arbustello- iusta li beni di D. Berardino

cheche, li beni di Gabriele rogoglioso- rende ogni anno ,a

dicta chiesa---—0—i---i0

Alessandro et Cola marro--------------------------0--2--- i8

II 192

Alessasndro et Cola marro tieneno et possedeno una terra che

se chiama- l'arbustello vitato iusta li beni di Massentio

Vigorita delli - heredi di N[otaro] francesco Iannella, da

canto li beni di Marco marro la- via publica da sotto li beni

dell'herede di Giovanni luca Iannella del- l'altro canto, quale

predicto loco se possedeno per gabriele rogoglioso- iusta li

beni di Andrea di pinto da capo et da canto, che lo te- neva

da ditta Ecclesia da piedi li beni di francesco marro, et la via

pu- blica; rende ogn'anno grani trentasette, et mezo---------0-

--i---i7

Camillo santoro tiene et possiede una casa sopra[na]

et uno pezzo d''horto- iusta li beni di Giovanni Tomasi

Vigorita, minico santoro da sotto et Cornelia brescia- da

canto, quale predicto loco si possedeno per Minico santoro

iusta li beni di Ro- berto piscatore, et la via publica et li beni

di dicta chiesa, rende l'anno nel- dì di Natale carlini uno et

grani undici------------------0---i----ii

Camillo , carlini ------0---3----8

Camillo santoro tiene et possiede un'orto iusta li beni di ditto

Camillo- sopra li beni di Gasbarre santoro di sotto, et donato

brescia da canto,- quale predicto loco si possedeno per

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Sala di Serino

69

spirito santoro, che lo teneva da Sto Eus- tachio, iusta li beni

di santo santoro, et li beni di Sta Caterina che confina- da

quello; et rende ogn'anno nel dì di Natale gr---------------------

---0---0—10

Cornelia brescia et gabriele Caporale suo marito tieneno et

pos- siedono una casa con uno gaito (pianerottolo) sopra un

orto, iusta li beni di Camillo san- toro da canto Minico

Santoro, da sotto a la via publica et li beni di Giovanni to-

masi vigorita da canto al horto; quali casi [nel] preditto loco

si possedevano per spirito- santo, iusta li beni di roberto

piscatore, et la via publica et [altri]- beni di dicta Chiesa, et

rende ogn'anno nel dì di Natale—0—i---ii

Giovanni Tomasi Vigorita tiene et possiede una terra

arbustata et vitata- nomata la valle, iusta li beni di ferrante

et Innocentio lavorano, da sopra,- la via publica da costi et

da sopra, li beni di Matteo piscatore da sotto, preditto loco si

possedeva per giovanni Stefano Santoro iusta li beni di roberto

pisca- tore, la via publica da piedi et da costi e li beni di

dicta Chiesa che teneva

II 193

Teneva Gasbarro , rende ogn'anno nel dì di Natale--0-4-0

Giovanni, Jacopo et bartolomeo tedisco tieneno et possedono

tre membri di casa- sotto, et doe sopra di dicta chiesa, iusta li

beni di Donato brescia da canto,- li beni di Matteo piscatore

da l'altro canto, li beni d'orofino brescia- da sotto, la via

pubblica davante, quale preditto loco erano di Alessandro

santoro et- le teneva da dicta chiesa, iusta li beni di dicta

chiesa, che li teneva- Marino pellecchia, la via publica

davante e li beni di Vicienzo ragone- rende l'anno per la

metà carlini uno et grani dieci, che l'altra metà la tene-

orofino brescia---0---i---i0

orofino brescia tiene et possiede doe casi sopra et doe sotto da

ditta- chiesa di Sto Eustachio iusta li beni di Giovanni

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Filomeno Moscati

70

Iacopo et bartolomeo todisco- da sopra, la via publica da

nante, et Matteo piscatore da canto, quale,- predicto loco si

possedeva per Alessandro santoro et altri fini come di sopra

alla- partita di Giovanni Jacopo todisco, rende l'anno nel dì

di Natale grani vin- ti cinque per una metà, che l'altra metà se

possede per Giovanni jacopo et fratelli- -------------------------

--0----i------i5

lodovico, o per sè fonso abruzzese, tiene et possiede una

potegha di- dicta chiesa, iusta li beni di lianora virolla da

sotti et lorenzo- santoro da sopra, la via publica davanti,

quale predicto loco fu di daniele- solimene, iusta li beni di

dicta chiesa d'ogni canto, la potegha di- vicienzo ragone la

teneva da dicta chiesa, rende ogni anno nel dì di Natale----0--

--0---- 5

Innocentio et ferrante lavorano teneno et possedono una terra

vitata- et se chiama la valle, iusta li beni di giovanni tomasi

vigorita da canto et- di sotto, li beni di Berardino santoro da

sopra, quale predicto loco fu di gasbarre- santoro iusta

fines ut supra; rende per la metà nel dì di Natale grani -

quindici, che l'altra metà se possede per giovanni tomasi

vigorita come dicti- sopra dico grani----------------0----0—i5

II 194

Lianora virolla tiene et possiede una potegha iusta la casa- di

dicta chiesa, la via publica davante, et altri beni della chiesa

da- canto, quale preditto loco fu di Gasparre d'urso, iusta li

beni di dicta chiesa che- le tenevano D. Donato, eusebio et

rugiere et D Marco et Biasi mos- cato [iusta]la via publica;

rende ogn'anno nel dì di Natale-------------------------- 0----i----

0

Casbarre santoro tiene et possiede una selva iusta li beni di

Donato- brescia da sotto, li beni d'Angelo et Minico jannella

da sopra, la- via di Sto Eustachio da lato, quale predicto

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Sala di Serino

71

loco fu di Marino pel- lecchia, iusta li beni di Sto Eustachio,

che lo teneva Casparre- d'urso, li beni di Sto Salvatore, che

lo teneva guglielmo di santi, la- via publica da piedi et da

canto; rende ogn'anno per doe parti- carlini tre, che altre

grani quindici rende Donato brescia ---------------0----i-----i0

Donato brescia tene et possede una selva iusta li beni di-

Casbarre santoro da canti li beni di dicta chiesa, da sotto la

via- publica, quale predicto loco fu di Marino pellecchia,

iusta fines ut- supra alla partita di Gasbarre, per un terzo

rende ogn'anno------------------0---0—i5

Pietro todisco tene et possede una potegha iusta li beni di Li-

anora rivolla da lato, fonso abruzzese da l'altro canto, la via-

publica da nante, quale predicto loco fu di Vicienzo et Andrea

ragone- iusta la piazza della dogana, la via publica, la taver-

na delli dicti , rende ogn'anno nel dì di Natale grani diece------

-------------------0---0----i0

Donato brescia tiene et possiede un orto quale have avuto in

dote- da Scipione abruzzese, iusta li beni di lodovico

abruzzese, la- via publica, la cupitella, via a Santa Maria

della grazia, et dicto orto- se chiama orto dello campo et

rendito ce l'ha posto Scipione - abruzzese, sincom'appare per

intestato fatto per mano di notar pietro Iannella- et rende

ogn'anno grani cinque-------0-----0---5

Concordat cum originali , parti exhibenti restituto et intuens

frate sabatinus grecus attestavit II 195

L'inventario riveste una notevole importanza, Esso, in primo

luogo, dimostra che le rendite della chiesa parrocchiale di

Santo Eustachio erano percepite in moneta contante, e ciò in

discordanza con le usanze del tempo, che si basavano

sull'istituto del censo, o enfiteusi, con pagamento in natura,

consistente in un terzo dei prodotti del suolo e nella metà dei

prodotti degli alberi da frutto. Le entrate della chiesa di Santo

Eustachio avevano , perciò, un doppio vantaggio; quello di

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Filomeno Moscati

72

essere costanti, perché non soggette alla variabilità dei raccolti

annuali, e quello di poterne concentrare la riscossione in un

unico giorno, in genere quello di Natale.. Esse risultavano,

comunque, esigue, in quanto ammontanti a 48 carlini e 278

grani , questi ultimi monete di infimo valore. L'importanza

del documento è accresciuta dal fatto che esso consente di

conoscere i nomi, nel secolo XVI, di molti siti e luoghi di

Serino e la loro conservazione, variazione o scomparsa col

passare dei secoli. Lo stesso dicasi per i nomi delle persone,

alcuni dei quali desueti o addirittura scomparsi, Credo , infatti,

che sia difficile trovare , al giorno d'oggi, una persona che porti

il nome di Orofino, personaggio citato nell'inventario.

Tantissimi sono, invece, i cognomi di famiglie ancora

esistenti, che si sono tramandati immutati, o con lievi

modifiche, attraverso i secoli, quali Trammaglia, D'Agnessa,

Vigorita, Capuano, Di Piano, Lota, Piscatore, Molenaro, Volta,

Rutolo, Saccardi, Cerino, Marro, Santoro, Brescia, Moscato,

Todisco, Iannella, Pellecchia, Ragono, Abruzzese, Di Pinto,

D'Urso, Di Santi; o non più esistenti nell'ambito territoriale

dell'attuale Serino, quali Monciello, De Pierro, Caporale,

Virolla, Rogoglioso, Cheche, Stefanelli.

L'esiguità delle rendite della chiesa di Sant'Eustachio spiega

anche perché, nell'anno 1610, la chiesa più importante della

parrocchia di Sant'Eustachio fosse ancora quella di Santa

Maria della neve, tanto che in essa era stata trasferita anche la

cura dei fedeli della diruta chiesa parrocchiale di Santo

Stefano, esistente nella frazione S. Gaetano, com' è

documentato ( a meno di una madornale svista del visitatore o

del suo amanuense) nell'inizio del verbale di una visita

pastorale, eseguita il 24 ottobre 1610, che testualmente dice:

"E successivamente visitò la chiesa di Santa Maria della neve,

nella quale chiesa è trasferita la cura delle anime di Santo

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Sala di Serino

73

Stefano per il fatto che essa era diruta"88

Da quello stesso

verbale si evince che la chiesa aveva "entrate annue di

ventisei ducati l'anno all'incirca, et le decime de più"; queste

decime erano costituite dall'undicesima parte del raccolto,

mentre le limosine per le esequie dei defunti ammontavano a

quindici carlini per morto , in conformità all'usanza di Serino;

(dixit che le decime l'esige de unnici una et li morti quinnici

carlini per morto, che si esige per tutto Serino).

Nel dicembre 1615, a quarantasette anni dal trasferimento

delle funzioni parrocchiali dalla chiesa di Sant'Eustachio a

quella di Santa Maria della neve, la situazione era

immodificata, sebbene la chiesa di Santo Eustachio fosse stata

ricostruita, come risulta da due visite pastorali eseguite il 12

dicembre 1615.

Esse, dicono:

Santa Maria della neve

Il giorno 12 del mese di Xbris 1615 Il predetto reverendo

signor- visitatore, proseguendo la visi- ta, di mattina si recò

alla chiesa di Sta Maria della neve, di cui- è curato Don

Angelo Tramaglia, nella quale chiesa è trasferita- la cura

delle anime della chiesa parrocchiale di Sto Eustachio, e non

ha rettoria- e, dopo aver celebrato la messa nell'altare

maggiore di detta chiesa- visitò il Santissimo Sacramento

[custodito] in un tabernacolo ligneo finemente dorato-

foderato di seta rossa- entro una pisside argentea con piede-

indorato, ben tenuto; c'è anche un'altra pisside, piccola,

d'argento senza piede.- Ha una mobilia descritta nella

precedente visita e, per dimenticanza,- furono tralasciate

delle pianete di damasco di colore rosso e giallo- con stola e

88

A D S, Visite pastorali; (Et successive visitavit Ecclesiam

Ste Marie ad nives, in qua ecclesiam est traslata cura

animarum Sti Stefani ex eo quo erat dirutta) II 021:

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Filomeno Moscati

74

manipolo, un'altra smerlata di colore nero- con stola e

manipolo, un'altra di velluto ceruleo, vecchia.

II 302

Fu ordinato che questa non sia usata. Di nuove, per verità,

sono state aggiunte- una grande tovaglia d'altare con

ornamento di rete di filo, un baldac- chino sopra l'altare di

damaschello di vivido colore.-

Ha un reddito di ducati venticinque e in censi quelli descritti

nella precedente visita.-

Nello stesso altare è eretta la confraternita intitolata a Sta

Maria- della neve, di cui sono maestri Angelo Saccardo,

Giovanni Pietro- Todisco, Aloisio Saccardo, Bartolomeo

Todisco, Francesco Guari- nus et Simeone Marra. Fu

ordinato che esibiscano i conti certi dell‘amministrazione

………………..

Ha un reddito annuo di quaranta ducati consistenti in- una

taverna sita nel casale di Sala, che viene data in affitto ogni-

anno, e nel presente anno fu affittata per quarantadue ducati;-

parimenti ducati quattro sopra una selva di Giovan Pietro

Todisco,- dove si dice lo Toppolo, vicino ai beni di Mario e

Giuseppe- de Nicolais, Innocenzio e Ferdinando Saccorani,

come- da istrumento rogato per mano del notaio Salvatore de

Mattia;- parimente ducati quattro e tareni due sopra tutti i

beni di Otta- vio Moscati per il capitale di ducati quaranta,

come da istrumento- confezionato per mano del notaio

Giovanni Antonio Brescia;- parimenti carlini diciotto sopra

una selva dove si dice- Capo Revuottolo, vicino ai beni di

Bartolomeo Anzuoni, degli eredi- del fu Angelo Vistocco, del

notaio Giovanni Antonio Brescia e- altri confinanti, per legato

del defunto Reverendo Don Giovanni Vincenzzo-

Trammaglia.

II 303

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Sala di Serino

75

La pagina successiva, di questo verbale di visita, è andata

dispersa o distrutta e , pertanto, abbiamo giudicato preferibile

considerarla conclusa.

Nello stesso giorno ( 12 dicembre 1615 ) fu eseguita anche

la visita alla chiesa di Santo Eustachio, il cui verbale dice:

Chiesa di Santo Eustachio

E, di seguito, si recò alla Chiesa parrocchiale di Sto

Eustachio, che- di nuovo è stata riedificata dai filiani del

casale di Dogana- vecchia nella quale si asserisce che prima

fossero amministrati- i Sacramenti; di cui è beneficiato Don

Angelo Trammaglia.- I redditi di detta chiesa sono descritti

nella visita di Santa Maria- della neve. Vi sono mobili

descritti nella visita precedente- ai quali è stata aggiunta la

custodia per il Santissimo Sacramento.- Asserirono che fosse

stato fatto un legato dal dottor Orazio Corsetti, di duca- ti

cinquecento da dividersi fra le chiese di San Luca, di San

Giovanni- Battista89

del Casale dei ferrari e di Santo

Eustachio, che, fino a questo momento,- non è stato ancora

recuperato. Si adoperino , con diligenza, per recuperarlo.- In

detta chiesa si celebra, con licenza della Curia, dal reverendo

Tommaso Iannella.- Fu ordinato che facciano due candelabri

di legno, dorati- e un messario nuovo.- Ha un legato del

defunto Mariano Marra, il quale lasciò il frutto di due- anni,

di una sua data selva, per fare due cande- labri grandi

davanti all'altare; fu ordinato ai filiani che- applichino

diligenza nel recuperare detto legato. Beneficium Sante Marie 89

N.d..A, La chiesa è invece quella parrocchiale di San

Giovanni Evangelista, confusa, per una svista del visitatore o

del suo amanuense , con la chiesetta campestre di San

Giovanni Battista, realmente esistente fino alla seconda metà

del secolo XX nell'ambito della parrocchia di Ferrari, in

prossimità del confine fra gli attuali Comuni di Serino e San

Michele di Serino. Oggi è diruta

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Filomeno Moscati

76

Gratiarum E di seguito visitò la cappella diruta di Santa

Maria- delle grazie che si dice annessa alla chiesa di San

Paolo di cui - il beneficiato è Don Orazio Moscatus II 305

La notizia più importante, che si ricava dalla lettura di queste

due visite pastorali, è che la chiesa parrocchiale di Santo

Eustachio di Dogana vecchia, malgrado l'esiguità delle sue

rendite, era stata completamente ricostruita, alla data del 12

dicembre 1615, soltanto "dai filiani del casale di Dogana

vecchia", come letteralmente recita il verbale di visita; e ciò

benché la parrocchia di Santo Eustachio abbracciasse un vasto

territorio e comprendesse nel suo seno anche i casali San

Giacomo, Raiano e Sala, come chiaramente risulta dal verbale

di un'altra visita pastorale effettuata nel giorno 1 luglio 1648.

La constatazione che è possibile effettuare dalla lettura dei

due verbali di visita del 12 dicembre 1615. è che la chiesa di

Santo Eustachio, pure essendo stata "de novo riedificata", non

aveva ancora riacquistato le sue funzioni primarie; a essa,

infatti, competevano sia la cura delle anime che

l'amministrazione dei sacramenti, funzioni e mansioni adesso

attribuite ed esercitate , con pieno diritto, dalla chiesa della

Madonna della neve e ciò fin dal momento in cui, nell'anno

1568, la cura delle anime era stata traslata dalla chiesa di

Santo Eustachio a quella di Santa Maria della neve. Da allora

entrambe le chiese si contendevano il titolo e le funzioni di

Chiesa parrocchiale.

L'inizio palese di questa contesa, che sarà lunga e annosa,

può essere fissato con sicurezza alla data del 14 gennaio 1615,

data in cui i filiani della parrocchia di Santo Eustachio,

appartenenti ai soli casali di Dogana vecchia e Raiano,

ricorrono alla Curia Arcivescovile di Salerno, perché, avendo

essi provveduto a riedificare la chiesa di Santo Eustachio e a

fornirla di tutto il necessario alla celebrazione delle funzioni

religiose, la Curia provveda, a sua volta, a reintegrarla nelle

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Sala di Serino

77

sue antiche funzioni. Nel ricorso alla Curia era dato il massimo

rilievo al fatto che i filiani di Dogana Vecchia e Raiano

avevano versato una somma di circa 400 ducati sia per riavere

il Santissimo Sacramento, sia perché si potesse , di nuovo,

celebrare la messa nella loro chiesa. Il ricorso , a sostegno di

quanto in esso richiesto e per sottolineare l'importanza e

l'antichità della chiesa di Santo Eustachio e delle tradizioni ad

essa legate, affermava che quando la dogana era ancora attiva

e i signori di Serino risiedevano in zona, il Santissimo, dopo la

processione del Corpus Domini (che attraversava tutta Serino)

veniva riposto nella chiesa di Santo Eustachio; che nei giorni

di mercato e di pubblica fiera, essendo la chiesa insufficiente a

contenere la folla convenuta , si celebrava mediante un altare

portatile situato fuori della chiesa. 90

Il ricorso, presentato dagli abitanti di Dogana vecchia e

Raiano, diede luogo a un'inchiesta da parte della Curia, che

evidenziò come gli abitanti di Sala e San Giacomo, che

costituivano la maggioranza dei filiani della parrocchia, si

fossero sempre opposti alla riedificazione della chiesa di Santo

Eustachio e non avessero contribuito a cosa alcuna che

riguardasse il mantenimento del culto in detta chiesa. È questa

la ragione per cui l'arcivescovo di Salerno, Lucio Sanseverino

(1612-1623), (la cui attività pastorale si estrinsecò soprattutto

con personali e accurate visite alle parrocchie della sua diocesi

) essendo in visita a Serino, dopo aver ascoltato le parti in

contesa e avere vagliato le ragioni da esse esposte, decretò

verbalmente che la sede della parrocchia di Santo Eustachio

dovesse rimanere a Sala nella Chiesa della Madonna della

Neve. La decisione verbale dell'arcivescovo fu tramutata dalla

Curia Arcivescovile in decreto scritto, emanato in data 30 90

Crisci Generoso, Salerno Sacra, a cura di De Simone V.,

Rescigno G., Manzione F., De Mattia D. , Edizioni Gutenberg,,

Lancusi (SA) 2001, Vol. II p.305.

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Filomeno Moscati

78

giugno 1615 , e questo spiega perché l'esordio della visita

pastorale del 12 dicembre 1615 sancisca che nella chiesa della

Madonna della neve è trasferita la cura delle anime della chiesa

parrocchiale di Santo Eustachio.91

Il decreto della Curia adduceva, a maggior sostegno della

decisione a favore della chiesa della Madonna della neve, la

sua centralità, che la poneva in una zona di intenso traffico, la

sua maggiore ampiezza, il suo più alto reddito e, infine, la

conformità ad altre decisioni dello stesso tipo prese in quello

stesso lasso di tempo e per le stesse ragioni. Malgrado tutte le

valide ragioni elencate, la questione della sede parrocchiale,

che sembrava definitivamente risolta col decreto della Curia

del 30 giugno 1615, ritornò prepotentemente alla ribalta l'8

marzo 1616, data in cui il Vicario generale della Diocesi di

Salerno, evidentemente per pressioni ricevute, emise un altro

decreto con il quale ritrasferiva la parrocchia nella sua antica

sede di S. Eustachio.

La decisione fu prontamente impugnata dai rappresentanti

legali e dai maestri della confraternita della Madonna della

neve, i quali comparvero presso la Curia Arcivescovile di

Salerno, il giorno 15 marzo 1616, per dichiarare che la

decisione presa dal Vicario doveva essere considerata nulla

perché ingiusta e presa contro ogni diritto, e, pertanto, essi si

erano appellati direttamente al Papa Paolo V (1605–1621) e

alla Sede Apostolica per ottenere una decisione definitiva a

favore della loro chiesa. . L' appello al Papa determinò una

situazione di stallo per cui , nell'attesa della decisione

definitiva da parte della Santa Sede, fu stabilito che, nelle

more, la sede della parrocchia rimanesse a Sala, nella Chiesa

della Madonna della neve, e che nella chiesa di S. Eustachio

potesse celebrare un sacerdote nominato dalla Curia.92

91

Crisci Generoso, idem, p. 306. 92

ADS, Benefici vari;

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Sala di Serino

79

Era una situazione interlocutoria, che non poteva durare a

lungo e, difatti, dieci anni dopo la sede parrocchiale risultava

di nuovo , e questa volta con pieno diritto, attribuita alla

chiesa di S. Eustachio di Dogana vecchia, come, in modo

chiarissimo, si evince da due visite pastorali eseguite il 25

agosto 1625, che riportiamo per intero.

Esse, eseguite subito dopo quella alla chiesa di San Carlo,

nel casale di San Biagio, dicono :

Chiesa di Santa Maria della neve

E successivamente visitò la chiesa di Santa Maria della neve

nel casale- Sala, nella quale veniva esercitata la cura delle

anime, che, poi,- è stata trasferita alla chiesa di Santo

Eustachio.- Visitò l'altare maggiore nel quale si celebra

mediante un altare portatile e fu- rinvenuto decentemente

ornato.- In detto altare c'è la confraternita che ha per titolo

Santa Maria della neve- di cui sono maestri Santo De Feo,

Martino Zaccardo,- Andrea Santoro, Antonio Molinari e

Lucio Santoro- ai quali è stato ordinato che entro tutto il

giorno seguente esibiscano- i conti della gestione della chiesa

a partire dalla visita precedente sotto pena di scomunica- Fu

prodotta la bolla di erezione [della confraternita] fatta

dall'ordinario nell'ultimo giorno- di luglio 1558 con l'onere di

pagare una libbra di cera bianca alla mensa- arcivescovile per

ogni singolo anno.- Ha un reddito di ducati trentaquattro

all'incirca- consistenti- in censi e in una taverna nel casale di

Sala, là dove si dice- la taverna di Santa Maria. Fu esibito un

inventario. I maestri dissero che debbono riscuotere, del

passato, circa- ducati ottanta; fu ad essi ordinato che li

riscuotano e. poi,- ne riferiscano alla Curia arcivescovile e

non debbano spenderli senza- permesso [della Curia]. Fu

assicurato che la chiesa abbisogna di riparazione e che il

campa- nile non è completato. Fu stabilito che sia lecito che

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Filomeno Moscati

80

il denaro suddetto- sia speso nella riparazione della chiesa e

del campanile con l'intervento- del reverendo arciprete di

detto casale. II 369

I confratelli indossano sacchi bianchi con cappucci bianchi e

mozzette- di colore violaceo e si impegnano nel seppellire i

morti e in altre- opere pie e fanno celebrare messe nei giorni

festivi- con i redditi predetti, le quali celebra Don Giovanni

Domenico Trammaglia, al quale fu concessa licenza col-

beneplacito della curia , ma fu a lui ordinato che nei giorni

festivi di- precetto non possa celebrare messa in detta chiesa

se non- dopo la messa della chiesa parrocchiale di Santo

Eustachio sotto pena- di libbre di cera dieci per ciascuna

volta [che ciò si verifica.] - Ha una mobilia di cui fu presa

nota nella precedente visita. Non furono confezionate- una

pianeta violacea, un messale, un altare portatile ed altre cose,

così come- era stato ordinato nella precedente visita; non fu

accomodato il calice finemente- dorato e , per equità, furono

concessi tre mesi per- confezionarli, altrimenti, trascorso

detto termine in detta chiesa non si celebri.- Visitò l'altare del

Santissimo Rosario in cui c'è la confraternita dallo stesso

titolo- i cui maestri sono Salvatore Todisco, Giacomo

Zaccardo- e Sabato Piscatore a cui fu ordinato che entro tutto

il seguente- giorno esibiscano i conti dell'amministrazione

sotto pena di scomunica.- Fu esibita la bolla della

concessione fatta dall'ordinario sotto la data Salerno- giorno

16 agosto 1609; e un' altra fatta dal Vicario generale-

dell'Ordine dei Predicatori il giorno 10 giugno 1578. I

confratelli non indossano- sacchi ma fanno celebrare una

messa nel giorno di sabato e nella prima domenica del mese.-

Ha un reddito di carlini quindici all'incirca e l'obbligo di

pagare- una libbra di cera bianca alla mensa arcivescovile

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Sala di Serino

81

ogni anno.- Gli altri altari sono liberi; fu ordinato che a

nessuno siano concessi II 370

E in essi non si celebri senza licenza fatta dalla Curia

Arcivescovile.-

Chiesa parrocchiale di Santo Eustachio

E subito dopo visitò la chiesa parrocchiale di Sant'Eustachio

del casale- Dogana vecchia di cui è parroco il Reverendo

Orazio- de Filippo, preposto dalla sede apostolica come

[evidenziato] nella bolla che esibì- datata Roma presso

Santa Maria Maggiore- 21 giugno ( ante diem decimo

Kalendis Julii ) 1620.-

Visitò il Santissimo Sacramento che è conservato nell'altare

maggiore- dentro un tabernacolo, ha due pissidi, vi si

celebra con un altare- portatile; tutti sono decentemente

ornati.- Il parroco non abita nei confini della parrocchia;

disse di non avere casa- in detto casale. Nella visita

precedente fu comandato- che i parrocchiani avrebbero

dovuto consegnare una casa al parroco entro- i confini della

parrocchia a spese (sumptibus) degli stessi parrocchiani

stante- la povertà della chiesa, il quale mandato non è stato

eseguito. Ricomandato- fu, con proprio decreto, che i

parrocchiani entro quindici- giorni osservino il mandato

fatto, altrimenti, trascorso detto termine- il parroco senza

indugi trasferisca il Santissimo Sacramento dell'Eucarestia-

da detta chiesa a quella di Santa Maria della neve e ivi-

amministri tutti i Sacramenti e in detta chiesa di Santo

Eustachio- più non si concelebri; e debbano contribuire nella

consegna- di detta casa tutti i parrocchiani di tutti i casali

che- sono sotto [ la giurisdizione] di detta parrocchia; e il

parroco vi debba sempre risiedere, sotto pena dell'interdetto

verso il casale che ricusa di contribuire II 371

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Filomeno Moscati

82

nei confini della parrocchia di cui sopra, sotto la pena

contenuta nei Sacri Concili- e nelle Costituzioni Sinodali.

Il parroco insegna la dottrina cristiana, spiega il Vangelo,

come i parroc- chiani riferirono; non ha uno scomunicato né

un pubblico- peccatore.-

Esibì i libri parrocchiali e il libro dello stato delle anime-

bene confezionati.-

Ha l'onere parrocchiale e l'obbligo di celebrare centodieci-

messe all'anno in virtù del legato del defunto Orazio Corsetto,

per- i quali percepisce l'elemosina di ducati undici all'anno-

come per testamento fatto per mano del notaio Pietro Iannella

nello- anno 1614.-

La chiesa ha un reddito di ducati otto all'incirca, consistenti-

in diversi censi e possedimenti arbustati vicino- alla chiesa

dai quali si ricavano quindici ducati annui o- quasi. Ha

anche le decime di tutte le victualia (raccolte) del grano,-

dell'orzo, della canapa, del lino, delle fave, del granone,

dell'olio e di altre victu- alia; fu ordinato ai parrocchiani

che nel tempo del raccolto delle victu- alia non possano

quelle rimuovere dall'aia se non alla presenza- del parroco o

di persona da quello incaricata, sotto pena,- di scomunica

Ha una mobilia annotata nella visita precedente, una pianeta

di bianco colore,- i pulvinari e quattro vele non furono

confezionate;- un calice dorato non fu accomodato; per

equità fu concesso- un periodo di tre mesi per farlo al

parroco e ai parrocchiani- sotto pena contro il parroco di

libbre di cera venti, e contro-

II 372

Contro i parrocchiani, da stabilire a proprio arbitrio. -

L'altare dal lato del cornu epistulae è libero; fu ordinato che a

nessuno- esso sia concesso e che in esso non si celebri.- Visitò

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Sala di Serino

83

il fonte battesimale con gli oli sacri e con il Sacrario; fu

ordinato- al parroco che entro un mese accomodi i cancelli

intorno al Ciborio- e quello mantenga con la serratura

chiusa, sotto pena di libbre di cera dieci.-

Visitò il confessionale con la bolla, le pene e i casi.

Furono inviati ordini a Sabato Pescatore - Giovanni Sullo e

Domenico Todisco, detentori di quattro ducati- percepiti

dalla quantità spettante alla chiesa parrocchiale- di Santo

Eustachio e alla chiesa di Santa Maria della neve.

Fu ordinato al parroco, sotto pena di scomunica, così come ai

detentori che deb- bano esibire i beni durante la visita della

sua chiesa al vespero. II 373

Alcune cose emergono , con assoluta chiarezza, dalla lettura di

queste due visite pastorali; la prima, e la più importante, è che,

nel 1625, la sede della parrocchia di Sala – Dogana vecchia era

ritornata nell'antica chiesa di Santo Eustachio, ove risultava

incardinata già dall'epoca della bolla di Papa Alessandro III,

del 1168, nella quale venivano elencate e si definivano i

confini di tutte le arcipreture della diocesi di Salerno; e fra

queste era compresa quella di Serino.

La contesa per l'assegnazione della sede parrocchiale

sembra, così, essersi conclusa, in modo definitivo, a favore

della chiesa di Santo Eustachio; ma, dall'epoca della bolla di

Papa Alessandro III (1159-1181), erano passati circa 500 anni

e la situazione topografica e demografica di Serino era

cambiata. I casali di Dogana Vecchia e Raiano erano rimasti

piccoli, poco popolati e, soprattutto, poco frequentati specie

dopo il trasferimento della dogana a Mercato nuovo, nei pressi

del mulino feudale; mentre Sala e S. Giacomo , situati in zona

più centrale e di maggior traffico, erano cresciuti sia di

popolazione che d' importanza e, in entrambi i casali, erano

sorte due chiese notevolmente più grandi e belle di quella di S.

Eustachio, oltre che più facili da raggiungere per gli abitanti

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Filomeno Moscati

84

dei due casali. A San Giacomo, infatti, erano sorti , nel 1615,

la Chiesa e il Convento dei Santi Francesco e Giacomo (già

abitato e funzionante nel 1621)93

al posto dell’angusta e diruta

cappella di S. Giacomo, sconsacrata nell'anno 1576; e a Sala

era stata costruita, da parte dell'omonima confraternita, la

chiesa della Madonna della neve. La chiesa di Santo Eustachio

doveva essere, pertanto, così poco frequentata che il visitatore,

nel tentativo di favorire l'afflusso dei fedeli all'antica chiesa,

ritenne necessario imporre a Don Giovanni Domenico

Trammaglia, sacerdote celebrante in Santa Maria della neve

con il permesso della Curia, che nei giorni festivi e di precetto

dovesse celebrarvi la messa soltanto dopo che fosse stata

celebrata quella in Santo Eustachio, comminandogli la pesante

pena pecuniaria di dieci libbre di cera , da pagare alla Curia

arcivescovile, ogni volta che a ciò avesse contravvenuto.

Dalla visita alla chiesa della Madonna della neve si ricavano

notizie importanti sia riguardo alla confraternita che la costruì

che riguardo alla chiesa stessa. Nel verbale di visita si afferma

che i maestri della confraternita di S. Maria della neve

esibirono, al visitatore, la bolla di erezione emessa

dall'Arcivescovo in data 31 luglio 1558, con la quale si sanciva

la fondazione ufficiale della confraternita che aveva costruito

la chiesa dallo stesso nome. L' esistenza di fatto, ma non di

diritto, della confraternita doveva essere, comunque, anteriore

di qualche decennio. La chiesa era, difatti, già esistente alla

data del 6 novembre 1557, quando fu sottoposta a visita

pastorale assieme alla confraternita che l'aveva edificata e a

cui fu ordinato , fra l'altro, di procurarsi la bolla, che i maestri

adesso esibivano, e di far demolire i monumenti funebri

costruiti sui sepolcri esistenti nella chiesa, (evidentemente

costruita per costituire il luogo di sepoltura dei confratelli) a 93

Moscati Filomeno, Storia di Serino, Edizioni Gutenberg ,

Penta di Fisciano (SA) 2005 , p. 283,

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Sala di Serino

85

meno che ogni monumento fosse stato dotato di una cappella e

di un compatrono (Vedi p. 71) .94

Ciò ci consente, inoltre, di

poter fissare la data di inizio della costruzione della Chiesa

della Madonna della Neve fra la fine del secolo XV e i primi

decenni del secolo XVI; le costruzioni e specie quelle delle

chiese, infatti, a quei tempi dovevano andare per le lunghe,

com'è dimostrato dal fatto che il verbale di visita, del 25 agosto

1625, afferma che all'atto della visita il campanile della chiesa

non era stato ancora completato.

Dal verbale di visita si evince anche la presenza, nella chiesa

della Madonna della neve, di una seconda confraternita con

una propria cappella e un proprio altare; la Confraternita del

Santissimo Rosario, eretta ufficialmente il 10 giugno 1578, con

bolla emessa dal Vicario generale dell'Ordine dei Predicatori,

cioè di S. Domenico ( che era uno dei tre ordini mendicanti) e

confermata, il 16 agosto 1609, con bolla emessa

dall'Arcivescovo di Salerno.

La presenza di queste due confraternite, nella Chiesa della

Madonna della Neve, costituisce un chiaro segno

dell'importanza che il casale Sala e la sua chiesa avevano

assunto e, per contro, il costante e sempre crescente declino

dell'importanza del casale Dogana Vecchia e della sua antica

chiesa. Questo declino appare evidente in alcuni documenti

dell'epoca e, soprattutto , nei verbali di alcune visite pastorali

da cui si ricava un quadro chiaro della situazione di precarietà

e di insufficienza della chiesa parrocchiale di S. Eustachio.

La visita del 25 agosto 1625 aveva messo in evidenza che il

parroco non risiedeva nell'ambito della parrocchia , perché

questa non possedeva una casa in grado di alloggiare il curato;

né i filiani avevano provveduto a fornirgliela malgrado il

mandato ricevuto nella visita precedente. La situazione non era

sostanzialmente mutata tredici anni dopo quando, in una visita 94

A D S, Visite pastorali;

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Filomeno Moscati

86

pastorale del 1638, nella chiesa di S. Maria della neve viene

per la prima volta rilevata la presenza, sull'altare maggiore, di

una grande icona dalle molte immagini (ad ecclesiam Ste

Maria de nive- in casale Sala- visitavit altare maius in qua

[est] servata icona magna in pluribus imaginibus); III 47895

e, per contro, nella chiesa di S. Eustachio, fu, ancora una volta,

rilevato che il parroco non risiedeva nei confini della

parrocchia, ragione per cui fu comandato, sotto pena della

confisca dei frutti e degli altri redditi, nella forma sancita dai

Concili Sinodali, che il parroco dovesse risiedere, in futuro,

entro i confini della Parrocchia (" fuit instatum quod parochus

non residet intra fines Parrochie, fuit mandatum sub pena

confiscatione fructum et aliorum intra forma Sac. Conc:Sind.,

quod cum effectu intra fines parochie resideat in futurum.") III

47996

Quattro anni dopo, malgrado la pesantissima pena

prevista, la situazione rimaneva immutata e, il 15 febbraio

1642, ai filiani che protestavano perché il parroco non

risiedeva in parrocchia, fu comandato che lo avessero

provvisto di una casa abitabile e decente e allora il parroco sarà

tenuto a risiedervi sotto pena della privazione della parrocchia

( fuit instatum a filianis quod Parochus non residet, fuit

demandatus quod provideant de domo abitabile et decente, et

tunc ipse Parochus teneatur in abitatione residere... sub pena

privationis).97

III 123

L'obbligo, per i parroci, di residenza entro i confini della

propria parrocchia, sancito in uno dei decreti del Concilio di

Trento(1542-1563) era stato riaffermato, con vigore, nei

mandati generali a parroci e sacerdoti della Charta Sereni

riuniti nella chiesa di Santa Lucia, durante la visita dell'agosto

95

ADS, Visite pastorali; 96

ADS, Visite pastorali, 97

ADS., Visite pastorali;

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Sala di Serino

87

1625; 98

tale obbligo non poteva, però, essere materialmente

rispettato da Don Orazio De Filippo, parroco di S. Eustachio

fin dal 1620 ( ut in bullis expeditis in sede apostolico sub die

12 Julii 1620) sia per la mancanza dell'abitazione, sia per

l'esiguità del reddito della chiesa parrocchiale, e ciò generava

un contrasto insanabile.

Il contrasto sfociò in una vera e propria controversia tra

visitatore e parroco nella visita del 17 giugno 1644. In essa il

visitatore, dopo aver costatato che il parroco non risiedeva

nella parrocchia, gli ingiunse di risiedervi o di rinunciare ad

essa sotto le pene comminate nelle bolle pontificie sull'obbligo

della residenza; e delle pene arbitrarie per coloro che vi siano

precedentemente incorsi (Parochus non residet in Parochia,

fuit eidem iniunctum ut resideat aut resignet iusta penis

contentis in bullis Pontificiis residentiae oblighi preservando;

penarum incursorum de preterito ad arbitrio Illmi Domini).

Il visitatore dopo avere rilevato, inoltre, che il parroco al

suo arrivo non fece suonare le campane; né accendere la

lampada; né fece trovare il turibolo (incensiere) pronto,

adducendo la scusa di essere stato impedito da una necessità

impellente; gli ordinò di fare una copia del verbale di quella

visita entro dieci giorni e di presentarsi in Curia (Parochus in

avvento nostro non fecit pulsare campanas accendere lumen

reperire turibularium promptum, se excusavit ex quod ad

necessitate sibi occurrente. Fuit mandatus Parocho ut procuret

copiam presentis visitationis infra dies decem sub pena libre

cere decem, presentetur in curia). Il parroco, sotto la pressione

del visitatore, abdica e rinuncia alla parrocchia nel corso della

visita, poiché non vuole in quella risiedere, fatti salvi i frutti 98

ADS., Visite pastorali,( Mandata generalia facta in

visitatione Charta Sereni – Parochi habitare debent in propriis

parochiis sub pena suspensionis- aliisque penis contentis in

Costitutionibus Sinodalibus-----);

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Filomeno Moscati

88

dell'anno in corso per il suo servizio fino al mese di ottobre. La

rinuncia fu accettata dal visitatore, anche per conto

dell'economo, fino a quando non si fosse provveduto, da parte

del coadiutore diocesano don Tommaso Croanicus?, alla

nomina di un legittimo successore mediante licenza della

Curia Arcivescovile 99

Il curato presentò, avverso le decisioni prese dal visitatore,

il seguente ricorso :

Presentatus Salerni in die 22 Junii 1644

Nella Corte Arcivescovile di Salerno compare D. Horatio de

Felippo- curato della chiesa parrocchiale di Santo Eustachio

della Terra di Serino- et dice come nella prossima visita

passata in detta sua Curatia- fatta dal Sig.re Canonico

Sabbatino sotto colore che esso supplicante- non residesse

minacciava condannarlo a diverse pene; ancorché non-

tenesse licentia in scriptis fu astrecto dire in voce che

renunciava- decta Parrochia, il quale subbito ammesse decta

renuncia et la prese- l'economo e perché quella non picca

subsisteva, essendo stata fatta- coacte per timore delle pene,

sì non fu fatta in scriptis- conforme ordine de franchis nel

capitulo da passe de officio de- narij, 3° non possendo essere

ancho ammessa decta renuncia non essendo- titulo di suo

patrimonio non havendo sub specie di possedere quello; et-

renunciavo il patrimonio al predecto signore visitatore non

havendone- speciale mandato da Monsignore Arcivescovo di

ricevere la renuncia- di beneficio senza lo quale de securo

non potevano farlo né ri- cevere detta rinuncia niuna causa

subsistente de poterse- admettere detta renuncia; Ricorre

perciò alla decta Corte- Arcivescovale et dimanda declarasi

nulla decta renuncia et dicto- pretenso acto fatto in visita et

che sia mantenuto nella sua- possessione altrimente si

99

ADS. Visite pastorali, III 153 ;

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Sala di Serino

89

protesta contro cuis per esservi metamentum (stato costretto

con minaccia)-100

III 154

Il Vicario generale dell'Archidiocesi di Salerno, in data 23

giugno 1644, giudica che la rinuncia fatta da Don Orazio de

Filippo è nulla perché fatta non secondo l'ordine giuridico e

contro la forma dei Sacri Canoni e che, pertanto, il detto Don

Orazio de Filippo possa essere mantenuto nel beneficio di

Curato di Santo Eustachio (Reverendissimus Dominus

Vicarius Generalis Salernitanus visto Decreto visitatoris et

considerato de iure considerando............... ....... decernit et

providet renunciationem predictam esse nullam tamquam facta

non Iuris ordinamento servato et contra formam Sacrorum

Canonum et ...dictum Don Horatium de Felippo posset esse

manutenutum in possessione dicti benefici Curati Sti

Eustachij).

Quattro anni dopo, nel 1648, era mutato il parroco ma non la

situazione, veramente precaria, in cui il nuovo curato era

costretto ad esercitare la sua missione pastorale, perché la

Chiesa di Santo Eustachio, oltre a essere priva di abitazione

per il curato, mancava totalmente di mezzi, come chiaramente

si evince dal verbale di una visita pastorale, eseguita il 2 luglio

di quell' anno, di cui riportiamo, tradotti, i passi più

significativi:

"Ecclesia Parrocchialis Santi Eustachij Dogane Veteris

Il giorno 2 del mese di luglio 1648. E di seguito l'Illustrissimo

e Reverendissimo Signor Visitatore di mattina- si recò alla

predetta Chiesa di Sto Eustachio, di cui è curato il Reverendo

Don Alessandro- de Auria come da bolle pontificie compilate

con data 13 dicembre 1646, essendo pontefice Innocen- zo X;

ci sono tutti i regolamenti, in detta bolla, circa- la presa di

possesso in data 4 gennaio 1647 e la professione di fede il

100

ADS., Visite pastorali

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Filomeno Moscati

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giorno sei- di marzo dello stesso anno -

.....................................

Il predetto curato ha sotto di sé i casali Dogana Vecchia, la

Sala, San- Giacomo e Raiano, i quali casali di Sala, Raiano e

San Giacomo niente corrispondono- alle spese del curato i cui

redditi sono tenui;- infatti non superano i quaranta ducati fra

certi e incerti e non sono sufficienti- per vivere onestamente, né

per sostenere le spese del curato e specialmente per

confezionare gli ornamenti- e per mantenere la lampada

davanti al Santissimo.III 198

........Il curato non ha casa dove poter risiedere in detto casale,

né per il passato vi risiedettero- i curati. Al presente tuttavia

il curato per suo beneplacito vi risiede...III 199

Nello stesso giorno il visitatore, dopo la visita alla Chiesa di

Santo Eustachio, eseguì quelle alla chiesa dell'Annunziata ,

alla chiesa parrocchiale di S. Sossio e alle cappelle di S. Paolo

e di S. Maria dell'Arco a Troiani, per recarsi , infine, alla

chiesa della Madonna della neve nel cui altare maggiore

viene, ancora una volta, rilevata la presenza di una icona

lignea, che è così descritta: " In altare maiori adest icona

lignea cum diversis efficiebus ornatis et- coloratis in cui

medio adest titulus Ecclesiae et in eius capite effigies Crucifixi

aurati."101

III 212

Di grande interesse risulta la chiusa del verbale di questa

visita perché, per la prima volta, rivela l'esistenza in questa

chiesa di una cappella di patronato di un membro della

famiglia Cammarota, alla quale è stata invece attribuita la

costruzione della chiesa stessa. Essa dice :

101

ADS., Visite pastorali; <<Nell'altare maggiore c'è una icona

lignea composta da diverse immagini incorniciate e colorate e

in mezzo ad esse il titolo della chiesa e, sulla sua sommità,

l'immagine di un Crocifisso dorato.>>

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Sala di Serino

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Visitò la cappella dalla parte del Cornu Epistulae, esistente

dopo il Santissimo Rosario sotto il titolo- di Sta Maria delle

Grazie, la quale è del Signor Francesco Cammarota; Ha- un

onere di messe sessantadue che si debbono celebrare in detto

altare, ma, per il fatto che- non vi sono le cose necessarie

alla celebrazione, fu ordinato al detto signore che- procuri al

più presto di completarle.102

III 212

Nel 1650 la chiesa di Santo Eustachio conserva ancora il

titolo di chiesa parrocchiale, come si evince dal verbale di una

visita eseguita il 22 giugno di quello stesso anno, ma il nuovo

curato, Don Sebastiano Capuano, nominato con bolla del 29

novembre 1649, di nuovo non abita nella parrocchia in quanto

non ha una casa (curatus non habitat in Parochia cum non

habet domos) quasi a sottolineare e confermare la situazione

di insufficienza e di cronica indigenza della sede dell'antica

parrocchia. Ciò malgrado , fra alti e bassi, la situazione rimase

invariata, per altri due secoli, fino a quando l' Arcivescovo,

Marino Paglia, che dedicò gran parte della sua opera pastorale

al riordino e alla sistemazione delle parrocchie per renderle più

adatte alle esigenze della popolazione, nell'anno 1846 decise di

trasferire la sede parrocchiale, assieme al suo titolo, nella

chiesa di Santa Maria della neve di Sala di Serino.

La chiesa della Madonna della neve, quasi in previsione del

ruolo ufficiale che essa avrebbe assunto nel futuro, ma che in

pratica già esercitava, fu abbellita, nel secolo XVIII, da "un

pregevole quadro di Michele Ricciardi," 103

rappresentante il

miracolo della nevicata avvenuta a Roma, nella notte fra il 4 e

il 5 di agosto dell'anno 352 d.C.

Michele Ricciardi, membro di una famiglia di Penta di

Fisciano (SA) nacque "in una località del territorio foggiano 102

ADS,.Visite pastorali; 103

Romei Gennaro, Serino sacra. Chiese e santi, Poligrafica

Ruggiero s.r.l., Avellino 1994, p.16;

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Filomeno Moscati

92

(dove si era trasferita la famiglia per lavoro) intorno al 1672 e

morì il 1753." 104

La prima notizia della sua presenza artistica

a Serino ci viene data da Alfonso Masucci , il quale afferma

che "il pittore Ricciardi" era, nei primi decenni del 700, "un

pittore in gran voga a Serino, che riempi del suo lavoro chiese,

chiostri e case signorili," fra cui il Salone del palazzo dei

Baroni Brescia- Morra in S. Sossio di Serino, su commissione

di Gaetano Brescia.105

Il Ricciardi fu, in realtà, un pittore che

dedicò la sua vita soprattutto ad affrescare conventi, come si

deduce da quanto scrive P. Arcangelo Pergamo, il quale lo

definisce come un pittore che, " seguendo una tradizione

secolare, trascorse la vita peregrinando di convento in

convento, dove affrescava povere chiese francescane e

silenziosi chiostri."106

"La sua costante presenza nel territorio è confermata dai

censimenti parrocchiali" ed è facilmente spiegabile se si tiene

presente che, a seguito della morte della sua prima moglie,

egli "sposò Agnese De Simone del casale San Sossio di Serino

nel 1715; " 107

ma la sua presenza , e la sua opera, nell'ambito

del territorio serinese risalgono ad almeno sei anni prima,

poiché, nel 1709, egli, nel chiostro del Convento dei

Francescani Riformati di Serino, illustrò, accanto ad episodi

della vita di S. Francesco, i principali momenti delle vite dei

maggiori Santi dell'Ordine Francescano, S. Antonio di Padova, 104

Carotenuto Simona, Pittori napoletani del Sei e Settecento

nel territorio di Serino", Paparo editore, Salerno 2008, p. 109 105

Masucci Alfonso, Serino, ricerche storiche, Tipografia di

Giuseppe Rinaldi, Napoli 1923, Vol. I, p.170; 106

P. Teofilo M. Giordano, I frati minori a Serino, in Moscati

Filomeno, Storia di Serino, Edizioni Gutenberg, Penta di

Fisciano (SA) 2005, p. 284; 107

Carotenuto Simona, Pittori napoletani del Sei e Settecento

nel territorio di Serino, Paparo editore, Salerno 2008, p 109;

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Sala di Serino

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S. Pietro d'Alcantara, S. Teresa d' Avila, S. Giovanni da

Capestrano; e, in uno dei medaglioni del Chiostro dedicato

all'Immacolata Concezione, lasciò una testimonianza non

peregrina della sua arte in una composizione pittorica in cui

diede il meglio di sé.108

Nel 1710 su commissione di Agostino Brescia (o meglio

dell'Abate Agostino, che ebbe lunga vita e fu quasi sempre

governatore della Chiesa del Corpo di Cristo) egli decorò "il

soffitto ligneo della chiesa del Corpo di Cristo, in S. Sossio di

Serino, con un apparato scenografico di finti stucchi, estesi

sull'intera navata e sul transetto, al cui interno erano presenti

le tele raffiguranti il Miracolo di Bolsena e il Cristo

Salvatore," in cui è ravvisabile l'influsso di Luca Giordano e di

altri pittori del tempo;109

purtroppo sia il soffitto ligneo del

Corpo di Cristo che i dipinti del salone di Palazzo Brescia-

Morra, che illustravano, nel soffitto, quattro scene guerresche

(fra cui un episodio della vita di Giovanni dalle Bande Nere), e

lungo le pareti stemmi nobiliari, 110

sono andati perduti.

Sul filo di questa tradizione, di abbellimento delle chiese

con soffitti lignei dipinti, o con tavolati dipinti da affiggere al

soffitto, il Ricciardi dipinse il tavolato con Il Trionfo della

Vergine, nella chiesa delle Clarisse di Santa Lucia di Serino,

nel 1715; e, nel 1716, il tavolato con il Miracolo della neve,

nella chiesa della Madonna della neve di Sala di Serino.

Nel Tavolato con il Miracolo della neve "l'evento sacro

viene reso in chiave monumentale attraverso l'introduzione di

partiti architettonici che danno solennità alla composizione," 108

Moscati Filomeno, Storia di Serino, Gutenberg Edizioni,

Penta di Fisciano (SA) 2005, p.284; 109

Carotenuto Simona, Pittori napoletani del Sei e settecento

nel territorio di Serino, Paparo editore, Salerno 2008, p. 110; 110

Masucci Alfonso, Serino(Ricerche storiche), Tipografia di

Giuseppe Rinaldi, Napoli 1923, Vol. I, p.170;

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Filomeno Moscati

94

la quale mette in risalto, nelle diverse partizioni sovrapposte,

"un intricato movimento di figure angeliche e di santi," che

conferiscono al quadro un marcato effetto di "illusionismo

scenografico"111

Questo tavolato, restaurato dopo il terremoto

del 23 novembre 1980, ancora campeggia, ancorato al soffitto

della Chiesa della Madonna della neve; però , a detta di alcuni

filiani della parrocchia di Sala particolarmente attendibili112

,

esso non vi è stato affisso nella posizione originaria, ma con

una rotazione di 180 gradi.

A conferma della predilezione del Ricciardi per i soffitti

lignei dipinti, Simona Carotenuto gli attribuisce anche quello

della cappella dell' Eremo di S. Gaetano,113

che viene così

descritto da Alfonso Masucci: "Notevole è il soffitto di legno,

tutto ornato con fregi in stile settecentesco......Sempre nel

soffitto e in corrispondenza dell'altare, è questa iscrizione: Vs/

Vs/R 1727 e non ho saputo interpretarla."114

L'attribuzione,

fatta da Simona Carotenuto, è da ritenersi fondata, perché

suffragata oltre che dallo stile dei fregi, tipico del Ricciardi, dal

fatto che la cappella di S. Gaetano, fatta costruire da Nicola

Brescia fra il 1657 e il 1662, apparteneva , nel 1727, a suo

figlio Gaetano, cioè a colui che aveva abbellito il suo palazzo,

in San Sossio di Serino, con i dipinti di Angelo Michele

Ricciardi; il quale Gaetano era fratello dell'Abate Agostino,

che, nella sua qualità di Governatore della Confraternita, aveva

commissionato i dipinti del soffitto ligneo del Corpo di Cristo,

e, in quello raffigurante Il miracolo di Bolsena, si era fatto

ritrarre dal Ricciardi nella forma di un sacerdote seduto 111

Carotenuto Simona, idem, pp. 110, 111; 112

N. d. A., come l’insegnante Gaetano Vigorita, nato e vissuto

a pochi passi dalla chiesa della Madonna della neve 113

Carotenuto Simona, ibidem, p.112; 114

Masucci Alfonso, Serino (Ricerche storiche), Tipografia di

Giuseppe Rinaldi, Napoli 1923, Vol. I p.130;

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Sala di Serino

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accanto al Papa incredulo,115

seguendo la moda del tempo che

voleva che i pittori raffigurassero, nei loro quadri , l'

immagine dei loro committenti.

Particolarmente significativa, nell'ambito dei molti quadri

della Madonna di Montevergine dipinti dal Ricciardi, è l'icona,

del 1743, che adorna l'altare maggiore della Chiesa di Santo

Eustachio di Dogana Vecchia, in cui la Madonna è raffigurata

assieme ai santi Antonio di Padova e Vincenzo Ferrer, perché

s'inquadra nell'interesse dimostrato dal Ricciardi per la ripresa,

in chiave moderna, di alcune icone medioevali.116

L'icona

costituisce, secondo Gennaro Romei, una testimonianza in

favore della tradizione popolare, che ricorda la chiesa di

Sant'Eustachio come antico luogo di sosta per coloro che,

partendo dal territorio salernitano, si recavano in

pellegrinaggio al Santuario di Montevergine sul Monte

Partenio.117

Essa ci dice inoltre, a conferma della povertà della

Chiesa di Sant'Eustachio, che solo nel 1743, e cioè circa

duecento anni dopo l'ingiunzione fatta dal visitatore nella visita

del 6 novembre 1557, l'altare maggiore fu dotato di una icona.

115

Masucci Alfonso, idem, Vol. I, p.169; 116

Carotenuto Simona, ibidem, pp. 113, 114; 117

Romei Gennaro, Serino Sacra. Chiese e Santi, Poligrafica

Ruggiero s.r.l., Avellino 1994, p. 17;

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Filomeno Moscati

96

Bibliografia

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nel territorio di Serino, Paparo editore, Salerno 2008;

Crisci Generoso, Campagna Angelo, Salerno Sacra,

Edizione della Curia Arcivescovile, Salerno 1962;

Crisci Generoso, Salerno Sacra, a cura di De Simone V.,

Rescigno G., Manzione F., De Mattia D., Edizioni Gutenberg,

Lancusi (SA) 2001;

Giordano P. Teofilo M., I frati minori a Serino, Tipografia

dei monasteri, Subiaco (Roma) 1968;

Masucci Alfonso, Serino (Ricerche storiche), Tipografia di

Giuseppe Rinaldi. Napoli1923;

Moscati Filomeno, Storia di Serino, Gutenberg Edizioni,

Penta di Fisciano (SA) 2005;

Romei Gennaro, Serino Sacra. Chiese e Santi, Poligrafica

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Sala di Serino

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I 012 I 013

I 014

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II 189 II 190

II 191 II 192

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II 193

II 194

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II 303 II 305

II 369 II 370

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102

II 371 II 372

II 373 III 478

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Sala di Serino

103

III 123

III 153 III 154

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III 198 III 199

III 212

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Sala di Serino

105

VI

I leoni del Monte Terminio

Benedetto Croce sostiene, nella sua ―Storia del regno di

Napoli‖ , che fu nel corso delle parziali riforme legislative e

della generale riforma del costume, instaurate dai primi due re

della monarchia borbonica (Carlo III 1735-1759, Ferdinando I

1759-1825) , che nell’Italia meridionale ―irruppe l‘impetuosa

corrente della Rivoluzione Francese e trascinò l‘Italia

meridionale…in una sequela di guerre e rivolgimenti e

rivoluzioni… che… non ebbe termine se non dopo circa 70

anni. È una storia questa dei settant‘anni…trasmessa a noi

non solo da libri e documenti ma dalle persone di quelli che ne

furono attori e dei loro figliuoli‖, cioè ―una prossima e

appassionata storia familiare‖.118

Questa storia familiare ebbe i suoi episodi anche a Serino e ne

furono protagonisti uomini della borghesia, dell’aristocrazia,

del clero e studenti dell’Università; una minoranza, costituita

da esponenti di una classe politica e intellettuale formatasi di

recente119

e appartenenti a famiglie ancora oggi esistenti nel

territorio dell’antica Serino Essi nel 1799, all’epoca della

Repubblica Partenopea, tentarono un’impresa difficile e

pericolosa cercando di trapiantare anche a Serino l’ideale della

libertà. Fra coloro che più si distinsero, all’epoca della

Repubblica Partenopea (gennaio-giugno1799), nel tentativo di

trapiantare anche nel popolo gli ideali di libertà scaturiti dalla

Rivoluzione Francese, vanno annoverati, innanzitutto, alcuni

membri della famiglia Anzuoni del casale Dogana Vecchia,

individuati e condannati come rei di Stato per le azioni

118

Croce Benedetto , Storia del Regno di Napoli, a cura di

Giuseppe Galasso, Adelphi Edizioni, Milano 1992, p. 273. 119

Croce Benedetto, idem, p.275.

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Filomeno Moscati

106

rivoluzionarie dell’anno 1799. Tali furono definiti Anzuoni

Matteo fu Giacomo, napoletano, avvocato, di anni 41,

domiciliato in Serino; Anzuoni Nicola Maria del quondam

(defunto) Giacomo, di anni 36, napoletano, negoziante,

dimorante in Serino; Anzuoni Gaetano di Serino; Anzuoni

Raffaele, figlio di Matteo, di anni 16, studente. Essi furono

riconosciuti colpevoli di reità contro lo Stato, 120

i loro beni

venero sequestrati e sottoposti ad amministrazione statale121

ed essi stessi espulsi dal regno o esiliati.

Nelle vicende rivoluzionarie dell’anno 1799 importanza

notevole ebbero anche Domenico Moscati e sua moglie

Carmela Clarizia. La prima notizia della loro partecipazione

agli avvenimenti rivoluzionari del 1799, che portarono alla

nascita e alla breve vita della Repubblica Partenopea , ci

pervengono dal Diario napoletano di Carlo De Nicola, il

quale, in data 9 ottobre 1799, annota che ―sono state arrestate

una tale Barbara Sancaprè, moglie di un capitano di Marina,

celebre per bellezza e brio, per cui molto di sé ha fatto parlare

negli anni passati, e d. Carmela Clarizia, moglie di d.

Domenico Moscati, che fu uno dei più sciocchi e decisi

patriotti, che si portò in parecchie spedizioni‖122

Carmela

Clarizia era figlia di un personaggio importante, Carlo Clarizia,

designato come uno dei ministri del Tribunale Civile

Repubblicano.123

e personaggio importante ella stessa, negli

avvenimenti rivoluzionari di quell’epoca, tanto che Carlo De

Nicola, nel suo minuzioso diario, annota che‖si parla molto 120

Filiazione dei rei di Stato esiliati , agosto 1799, p.21, 23,

26 121

Amministrazione dei beni dei rei di Stato, anno 1799,

fascicoli 110 e 127: 122

Carlo De Nicola, Diario napoletano, 1799, ottobre,

mercordì 9; 123

Carlo De Nicola, idem, 1799. Sabato 1 giugno ,;

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Sala di Serino

107

della cospirazione ultima scoperta, e si dice che ne saranno

fatte pubbliche le notizie. La cassiera si dice che fosse la figlia

di d. Carlo Clarizia. D. Carmela, moglie del patriota

Domenico Moscati.124

Domenico Moscati, divenuto fervente giacobino soprattutto

per opera di sua moglie Carmela, si arruolò nell’esercito del

generale Championnet ancor prima che Napoli fosse occupata

dai Francesi. Fu, poi, uno dei protagonisti della difesa della

Repubblica guidando, col grado di capitano, la prima colonna

di patrioti napoletani accorsi in difesa dei francesi che si

trovavano in difficoltà a Monteforte e, quivi, si oppose con

successo alla colonna guidata da un altro ―Serinese‖ di salda

fede borbonica, l’ufficiale Costantino De Filippis,

respingendola e costringendola a ritirarsi sui monti Picentini,

tra Giffoni e Serino. Alla fine della Repubblica, con l’arrivo

dei sanfedisti e del cardinale Ruffo, egli fu arrestato e venne

così descritto nelle Filiazioni dei rei di Stato:‖Domenico

Moscati, figlio del quondam ( defunto) Francesco e di

Prudernza Spadano, di anni 31, nativo di Serino, Provincia di

Montefusco, capelli e ciglia castagni, occhi falbi (giallo

rossicci), viso tondo, con un neo sulla ciglia sinistra, viso

profilato, con folte barbette, statura 5,3 e 6.‖ Fu inquisito, e,

ritenuto colpevole di reità contro lo Stato, i suoi beni vennero

sequestrati e sottoposti all’amministrazione dei beni dei rei di

Stato e, infine, esiliato. Esule a Marsiglia si arruolò

nell’esercito francese col grado di capitano e, per molti anni,

non diede notizia di sé, tanto che i suoi parenti lo piansero,

reputandolo morto, e la moglie, per la stessa ragione, decise di

consolarsi altrimenti.125

124

Carlo De Nicola, ibidem, 1800, ottobre 3; 125

Moscati Ruggero, Una famiglia borghese del Mezzogiorno,

Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1964, p.123;

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Filomeno Moscati

108

Nelle vicende connesse con La Repubblica Partenopea

importanza notevole ebbero anche:

Gennaro Rutoli, il quale, col grado di colonnello, guidò, il 20

maggio del 1799, una colonna di uomini armati, che, forzato il

passo di Contrada, si congiunse con un’altra colonna,

proveniente dal Passo di Monteforte agli ordini del generale

Marra; le quali, dopo aver conquistato Avellino, che era in

mano ai ―sanfedisti‖, la saccheggiarono;126

Giacomo Stefanelli, il sacerdote Giuseppe Parrella, Nicola e

Antonio Tramaglia, tutti arrestati e dichiarati rei di Stato,

ebbero i loro beni sequestrati e sottoposti ad amministrazione

statale.127

Questa pattuglia di giacobini costituì la classe dirigente nel

periodo rivoluzionario del 1799. Essa , aperta alle nuove idee

di libertà, aderì agli ideali della rivoluzione francese

impiantando a Serino un’amministrazione repubblicana, che

fu resa visibile anche materialmente con l’erezione, nelle

piazze di Serino, San Michele di Serino e Santa Lucia di

Serino, dell’albero della libertà, secondo la moda di quei

tempi. Fu una libertà effimera, perché i sanfedisti guidati da

Costantino De Filippi, un ufficiale borbonico di Santa Lucia di

Serino, li abbatterono, invano contrastati dalle principali

famiglie borghesi del Serinese, Anzuoni, Stefanelli, Moscati,

Rutoli e Magnacervo, tutte decisamente schierate a fianco dei

126

Barra Francesco, La rivoluzione del 1799, in Storia

Illustrata di Avellino e dell‘Irpinia, Ed. Sellino e Barra, Pratola

Serra (AV) 1966, Vol. IV, Il Risorgimento, p.14; 127

Filiazioni dei rei di Stato; Amministrazione dei beni dei rei

di Stato, fascicoli 110,127; Vedi anche Moscati Filomeno,

Storia di Serino, Edizioni Gutenberg , Penta di Fisciano (SA)

2005, pp,319-321;

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Sala di Serino

109

repubblicani, ma senza seguito fra la popolazione rimasta

pervicacemente borbonica.128

La storia familiare di cui parla Benedetto Croce, fatta di

insurrezioni e rivolgimenti sopiti durante il decennio francese

(1805-1815), riprese con la restaurazione borbonica e divenne

manifesta con il consolidarsi della Carboneria, che da pochi

anni si era andata diffondendo nel Regno di Napoli. Lo prova

una notizia dell’aprile 1820: Costantino De Filippi, l’ufficiale

borbonico del 1799 (vedi p. 107) ora divenuto alto funzionario

del Regno di Napoli con la qualifica di Intendente della Terra

di Lavoro, mentre soggiornava per motivi di salute in Santa

Lucia di Serino, suo paese di origine, aveva ricevuto da suo

nipote Tommaso De Filippi, colonnello dei militi della

provincia, la notizia che nei Due Principati si stava preparando

una rivolta, e, a seguito di ciò, aveva anticipato il suo ritorno a

Caserta per riferire la notizia ai ministri Medici e Tommasi.129

La notizia era correlata all’esistenza in Irpinia della

Carboneria, ―un‘organizzazione settaria‖ radicata sul

territorio in modo talmente forte che ―ogni Comune aveva la

sua vendita o le sue vendite con denominazioni che

impegnavano un programma di virtù e di patriottismo.‖ Due di

queste vendite erano presenti, nel 1820, anche nella Terra di

Serino. La prima, fondata in San Biagio di Serino da Sabato

Perreca, all’epoca sindaco di Serino, era denominata I leoni

del Monte Terminio; la seconda, in San Michele di Serino,

era denominata I seguaci di Cassio. 130

128

Barra Francesco, La rivoluzione del 1799, in op. citata, p.

22; 129

Cannaviello Vincenzo, Gli Irpini nella Rivoluzione del 1820

e nella Reazione, Tipografia Pergola, Avellino 1941, p. 11. 130

Cannaviello Vincenzo, Lorenzo De Concilj o liberalismo

irpino, De Angelis Editore, Avellino 2001, pp. 31, 32;

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Filomeno Moscati

110

I membri di queste due vendite carbonare furono protagonisti

dell’insurrezione che infiammò Serino il 2 luglio 1820.

L’insurrezione prese l’avvio dall’arrivo a Serino del colonnello

Lorenzo de Concilj, che percorreva la provincia per

organizzare la rivolta. Egli, nella mattina del 2 luglio, dopo

essersi recato prima a Forino e Montoro, riunì i maggiori

esponenti delle due vendite carbonare in San Michele di

Serino, in casa del sindaco Michele Molinari, che era sita in

via Corticelle, nel fabbricato, che, fino al XVI secolo, aveva

ospitato il mulino delle monache, feudatarie di San Michele di

Serino. Alla riunione parteciparono, oltre al Sindaco Michele

Molinari altri due cittadini di San Michele, Nicola Cotone fu

Michele e Ciriaco De Cicco fu Matteo, e i membri più

importanti della vendita carbonara di Serino, Raffaele

Anzuoni, Sabato Perreca, Emerico Tedeschi, Baldassarre

Tedeschi.

Raffaele Anzuoni, di Dogana Vecchia, era quello stesso che

nel 1799, all’epoca della Repubblica Partenopea, era stato

esiliato assieme al padre e definito, nei registri della polizia di

Stato, ―giacobino, studente, di anni 16, figlio di Matteo.‖ Egli

era uno dei superstiti di quella pattuglia di giacobini, che,

rientrati dall’esilio all’avvento dei regni napoleonici di

Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat (1805-1815),

conquistati dalle idee di libertà, fraternità e eguaglianza,

scaturiti dalla Rivoluzione Francese, diedero forma, vita e

ideali alle vendite carbonare al tempo della restaurazione

borbonica. Non a caso, quindi, Raffaele Anzuoni, definito

studente e giacobino nel 1799, divenne carbonaro e Gran

Maestro di Vendita nel 1820. La sua fede e la sua fedeltà agli

ideali egli le manifestò anche nell’azione, e, dopo aver

partecipato all’abboccamento segreto col tenente colonnello

de Concilj in casa Molinari, in quello stesso giorno 2 luglio

1820 insieme al sindaco Sabato Perreca, al parroco Baldassarre

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Sala di Serino

111

Tedeschi, al capitano Emerico Tedeschi, a Domenico dei

baroni Brescia, ai fratelli Lanzillo e a molti altri, percorse le

vie di San Biagio e di tutti gli altri casali di Serino, con la

bandiera tricolore della Carboneria (rossa, nera e celeste)

spiegata, propagandovi la rivolta e minacciando di morte tutti

quelli che non volevano seguirli. La sera del 2 luglio, postosi

alla testa di parecchi uomini armati, dopo essersi diretto ad

Avellino si portò a Monteforte per congiungersi alle truppe di

Morelli e Silvati provenienti da Nola. Unitosi a queste truppe

Raffaele Anzuoni, con i suoi, marciò su Avellino, e, dopo

averla occupata, il 3 luglio 1820, chiese, assieme agli altri,

che fosse promulgata, nel Regno di Napoli, la Costituzione di

Spagna del 1812; poi, esposta la bandiera tricolore sui

principali palazzi della città, prese parte al corteo, che, con alla

testa Lorenzo de Concilj, sfilò per le vie principali di Avellino

al grido di “Viva la Costituzione, viva la libertà‖. A lui il

tenente colonnello Lorenzo de Concilj affidò il compito di

bloccare la strada, che da Salerno portava ad Avellino, e di

sbarrare il passo alle truppe borboniche del generale Campana

che si dirigevano sulla città, come risulta dal Rapporto, che il

de Concilj fece al Tenente Generale Pepe, circa i movimenti

dell’armata rivoluzionaria dal 2 al 6 luglio 1820. Il de Concilj,

fra l’altro, così si esprime circa gli avvenimenti del giorno 3 :

―feci marciare sulle frontiere di Salerno il capitano Anzuoni

colla sua compagnia di milizie. Verso la fine di quello stesso

giorno furono fatti prigionieri 15 gendarmi, che si avanzavano

verso Solofra.. Erano questi una piccola avanguardia del

generale Campana, il quale non tardò a comparire, forte di

500 uomini del reggimento fanteria Real Palermo, e 150 del

cavalleria Principe; ma fu così ben ricevuto dal nostro fuoco,

che fu obbligato a retrocedere fino a Torchiato, paese quattro

miglia al di là di Solofra.‖

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Filomeno Moscati

112

Fu l’Anzuoni, alla testa della compagnia dei militi di Serino

insieme a mezzo squadrone di cavalleria di Morelli e Silvati e

ad altri rivoltosi, a costringere il generale Campana e le sue

truppe a battere in ritirata. La vittoria fu così completa che le

truppe carbonare, guidate dai capitani Anzuoni, Belli, Nisco,

Paolella e Pristipino, dopo aver cacciato le truppe borboniche

da tutti i luoghi da esse occupati, inseguirono il nemico fino a

Salerno, vi entrarono fra le acclamazioni del popolo e

proclamarono la Costituzione.131

Il capitano Raffaele Anzuoni,

dopo l’occupazione di Salerno, inviò al tenente colonnello

Lorenzo de Concilj, comandante delle truppe rivoluzionarie,

questa missiva:

A dì 6 luglio 1820

Signor tenente colonnello,

Noi siamo in Salerno fin da ieri sera; tutto è tranquillo, la

truppa si unisce a noi. Venite a dar tuono alle altre provincie,

in somma venite al voto generale.

Anzuoni

Dopo le elezioni dei Deputati al Parlamento Napoletano,

indette il 22 luglio 1820, quando la reazione stava per prendere

il sopravvento, Raffaele Anzuoni, Serinese di Dogana Vecchia,

a ulteriore conferma e testimonianza della sua fede nella

Costituzione e del suo amore per la libertà, marciò verso

l’Abruzzo con l’esercito del generale Guglielmo Pepe, per

opporre l’ultima resistenza agli austriaci, nel vano tentativo di

impedire l’invasione dell’Italia Meridionale e l’abolizione

della Costituzione da poco concessa; e partecipò alla battaglia

di Androdoco (7 -9 marzo 1821), oggi generalmente

considerata come la prima battaglia risorgimentale. Dopo la

sconfitta, per sfuggire alle persecuzioni generate dal

prorompere della reazione, si ecclissò per ricomparire soltanto

131

Cannaviello Vincenzo, LORENZO DE CONCILJ. o liberalismo irpino,

De Angelis Editore, Avellino 2001, p.41;

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Sala di Serino

113

quando riuscì ad ottenere un passaporto per Roma, dove egli

giunse, insieme al figlio Nicolantonio, il 30 marzo 1822;

passò poi a Livorno e , ottenuto un passaporto per la Francia,

sbarcò a Marsiglia con l’intento di stabilirsi a Parigi, ma, a

causa delle difficoltà opposte dalla Prefettura di Polizia,

preferì recarsi in Svizzera, a Losanna, e da qui, dopo averne

ottenuto il permesso, si trasferì di nuovo a Roma.132

Quando Ferdinando II promulgò, il 18 dicembre 1830,

l’indulto che consentiva il rientro dei fuorusciti, che fu

pubblicato a Roma il 10 gennaio 1831, anche il suo ritorno in

patria fu difficoltoso, forse perché , per la molteplicità dei

permessi che aveva dovuto ottenere per i suoi trasferimenti da

un Paese all’altro, il suo nome era stato cambiato da Raffele in

Tommaso, ed egli, per poter rimpatriare, fu costretto a

dimostrare che quel Tommaso non esisteva. Ritornò a Serino

nella primavera del 1831.133

Matteo Anzuoni, suo padre, antico giacobino all’epoca della

Repubblica Napoletana, rientrato dall’esilio al tempo di

Giuseppe Bonaparte, divenne un adepto della Carboneria dopo

la restaurazione borbonica ed ebbe, in essa, una posizione di

rilievo, tanto da essere nominato componente della Giunta

Elettorale Provinciale e in questa veste fu presente, il 4

settembre 1820, all’elezione dei deputati al Parlamento

Costituzionale.134

Parroco della parrocchia di Dogana Vecchia era D. Baldassarre

Tedeschi, che fu attivamente presente nei moti insurrezionali

del 2 luglio 1820. Egli, essendo uno dei principali adepti alla

carboneria serinese, partecipò all’abboccamento segreto con il

tenente colonnello Lorenzo de Concilj in casa del sindaco di

132

Cannaviello Vincenzo, Gli Irpini nella Rivoluzione del 1820 e nella

Reazione, Tipografia Pergola, Avellino 1941, p. 251; 133

Cannaviello Vincenzo, idem, p.209; 134

Cannaviello Vincenzo, idem, p. 55;

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Filomeno Moscati

114

San Michele di Serino, Michele Molinari. Dopo il colloquio fu

tra quelli che percorsero le vie dei principali casali di Serino,

con il tricolore carbonaro spiegato, inneggiando alla libertà e

alla Costituzione. Fu anche fra quelli che, al seguito del

capitano Raffaele Anzuoni, parteciparono alla difesa dei passi

collinari, e, dopo aver respinto le truppe del generale Campana,

consentirono l’occupazione di Salerno da parte degli insorti.

Per questa sua partecipazione fu esiliato e gli fu concesso di

rientrare a Serino solo dopo l’indulto pubblicato a Roma il 10

gennaio 1831.135

Settario e carbonaro fu giudicato l’impiegato comunale D.

Gennaro Anzuoni, che, perciò, fu destituito dall’impiego.136

Faceva parte della Carboneria anche Carmine Solimene di

Dogana Vecchia. Egli accompagnò Raffaele Anzuoni

all’incontro segreto con il tenente colonnello de Concilj, e,

come trabante ( attendente), fu chiamato a testimoniare su

quell’incontro il 28 dicembre 1822.137

Figura di rilievo tra i carbonari serinesi dev’essere

considerato Tommaso De Filippi, quello che nell’aprile 1820

aveva confidato a suo zio Costantino, Intendente di Terra di

Lavoro, che in Irpinia stava per iniziare un’insurrezione. . Egli,

settario fra i più antichi e fondatore di vendite, ebbe parte

rilevante negli avvenimenti insurrezionali del 1820, che

portarono alla concessione della Costituzione il 13 luglio di

quell’anno, poiché, quale colonnello dei militi di Avellino, il 2

luglio ordinò a tutti i capitani della provincia di marciare sul

capoluogo con le loro compagnie. Il mattino successivo, 3

luglio 1820, insieme al tenente colonnello De Concilj le passò

in rivista nel Largo dei Tribunali, e, dopo essersi unito alle

135

Cannaviello Vincenzo, idem, pp. 250, 209; 136

Cannaviello Vincenzo, idem, p. 160; 137

Romei Gennaro, 1820. I rivoluzionari di Serino. Poligrafica Ruggiero,

Avellino 1941, p. 29.

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Sala di Serino

115

truppe di Morelli e Silvati, sfilò con loro per le vie di

Avellino.138

Il 22 luglio, dopo la concessione della

Costituzione il 13 luglio 1820, fu nominato Presidente della

Giunta Preparatoria per l’ elezione dei Deputati al Parlamento

Costituzionale.139

Quando il vento della reazione si fece più

impetuoso, egli, quale Presidente della più alta magistratura

carbonara (Grande Eletto)140

pronunziò un discorso

appassionato , invitando tutti gli adepti a difendere la

Costituzione di recente conquistata rischiando la vita, e, il 13

marzo 1821, dopo la rotta di Androdoco, indirizzò, a militi e

volontari, un appello stampato, invitandoli a sostenere il

generale Pepe e a non dimenticare che essi, nell’affiliarsi alla

carboneria, avevano giurato di far trionfare i principi della

libertà, dell’eguaglianza e odio per la tirannia, e, qualora non

fosse stato possibile tener fede a questo giuramento senza

lottare, di combattere fino alla morte. Al ripristino del governo

assoluto cercò di rimanere in patria assicurando, con atto

pubblico, la sua futura buona condotta, versando a garanzia la

somma di 3000 ducati, ma riuscì a ottenere soltanto un

passaporto per lo Stato Pontificio. 141

Nell’agosto 1825 gli fu

concesso di ritornare in patria, forse per i buoni uffici

interposti da suo zio l’Intendente Costantino de Filippi, di

comprovata fede borbonica;142

ma la sua condotta verso il

governo borbonico non dovette essere esemplare, poiché un

suddito zelante di Santa Lucia di Serino, sua patria, ritenne

opportuno informare le autorità che il De Filippi riceveva, in

un suo casino di campagna sito nel territorio di Santo Stefano

del Sole, le visite dei principali settari del Circondario di 138

Cannaviello Vincenzo, idem, p. 201; 139

Cannaviello Vincenzo, idem, p. 50; 140

Cannaviello Vincenzo, idem, p. 46; 141

Cannaviello Vincenzo, idem, p. 201e seg,; 142

Romei Gennaro, 1820. I rivoluzionari di Serino. Poligrafica Ruggiero,

Avellino 1981, p. 44;

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Filomeno Moscati

116

Avellino, e, nel tornare da Giffoni , ove egli spesso risiedeva,

si faceva scortare dalla guardia civica di Serino con a capo D.

Raffaele Bastano, che era un effervescente carbonaro.143

Sabato Perreca , residente nel casale San Biagio e sindaco di

Serino nell’anno 1820, , fu uno dei maggiori rappresentanti

della Carboneria serinese. Era un massone divenuto carbonaro

dopo il 1815, durante il periodo della restaurazione borbonica,

così com’era avvenuto per molti altri iscritti alla massoneria..

Divenuto adepto della Carboneria fondò una vendita carbonara

nel casale ove risiedeva, inducendo molti ad iscriversi ad essa

e prodigandosi, poi, per istruirli nell’uso delle armi e negli

esercizi militari. Il 2 luglio 1820, dopo il colloquio segreto con

il tenente colonnello de Concilj, fu tra quelli che, partendo

proprio da San Biagio, percorsero le vie dei principali casali di

Serino, e, spiegando al vento il tricolore della Carboneria, dopo

avere propalato la falsa notizia che a Napoli era scoppiata la

rivolta e il re era morto, minacciarono di morte tutti quelli che

non si univano a loro. Il 3 luglio, col grado di capitano,

condusse in Avellino i carbonari da lui istruiti nell’arte

militare, per unirsi al reggimento guidato da Morelli e Silvati,

e, dopo la proclamazione della Costituzione, insignito della

fascia tricolore presenziò, quale sindaco di Serino, alla messa

di ringraziamento, cantata con Te Deum, che fu celebrata nella

chiesa del convento francescano di S. Francesco e Giacomo. Il

13 giugno del 1821, mentre si recava alla casa comunale, fu

arrestato e condotto in carcere ad Avellino, per essere poi

trasferito nelle carceri napoletane, prima a Castel Capuano e

poi al carcere di S. Francesco, ove rimase imprigionato per

circa tre anni. Scarcerato, a causa di una grave malattia, gli fu

concesso di espatriare nello Stato Pontificio dove rimase in

143

Cannaviello Vincenzo, Gli Irpini nella Rivoluzione del1820 e nella

Reazione Tipografia Pergola 1941, , p. 201 e seg.;

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Sala di Serino

117

esilio, a Roma, fino al 1831, quando rimpatriò beneficiando

dell’indulto del 18 dicembre 1830.144

Accanto a questi rappresentanti eminenti della Carboneria

serinese un numero notevole di adepti, appartenenti a tutti i

ceti sociali e a tutti i casali di Serino, partecipò attivamente ai

moti rivoluzionari del 1820 e subì persecuzioni ed esilio.

Citiamo, fra i tanti che sono degni di ricordo:

i fratelli Rubino e Donato Lanzillo, di San Biagio, esiliati;

D. Alessandro e D. Nicola Tramaglia, di San Biagio, esiliati;

il barone Domenico Brescia, di San Sossio, esiliato;

i sacerdoti Don Filippo Feoli, Don Donato Mariconda, Don

Salvatore Masucci, parroco di San Sossio, Don

Francescantonio Cheche, Don Vincenzo De Filippis, Don

Carmine Mariconda, Don Francesco Mariconda, Don Raffaele

Volpe, tutti insegnanti privati a cui fu revocato il permesso

dell’insegnamento;

e, insieme a loro, tantissimi altri cittadini che subirono la sorte

di essere privati del loro incarico.145

Essi sono ben degni di essere ricordati come i leoni del Monte

Terminio, in conformità alla denominazione della vendita

carbonara cui erano iscritti.

144

Cannaviello Vincenzo, Gli Irpini nella Rivoluzione del 1820 e nella

Reazione, Tipografia Pergola, Avellino 1941, p. 203; 145

Cannaviello Vincenzo, idem, pp. 121-160;

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Filomeno Moscati

118

Bibliografia

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di Avellino e dell‘Irpinia, Sellino e Barra Editori, Pratola Serra

, Avellino 1966;

Cannaviello Vincenzo, Gli irpini nella rivoluzione del 1820 e

nella reazione, Tipografia Pergola, Avellino 1941;

LORENZO DE CONCILJ o liberalismo irpino, De Angelis

Editore, Avellino 2001;

Croce Benedetto, Storia del Regno di Napoli, a cura di

Giuseppe Galasso, Adelphi Edizioni, Milano 1992;

De Nicola Carlo, Diario;

Moscati Filomeno, Storia di Serino , Gutenberg Edizioni,

Penta di Fisciano (SA) 2005;

Moscati Ruggero, Una famiglia borghese del Mezzogiorno

Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1964;

Romei Gennaro, 1820. I rivoluzionari di Serino, Tipografia

Pergola, Avellino1981;

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Sala di Serino

119

VII

Sala e Dogana Vecchia

in epoca contemporanea

I due antichi casali di Sala e Dogana Vecchia, con il mutare

dei tempi e l’impetuoso e travolgente avanzare della moderna

civiltà tecnologica e digitalica, hanno subìto, nell’epoca

posteriore alla II guerra mondiale e al terribile terremoto del

1980, una profonda trasformazione; una trasformazione

evidente sia dal punto di vista fisico che da quello del costume,

legati alle tradizioni e alla cultura della civiltà contadina che

avevano caratterizzato la vita di Serino almeno fino al termine

della seconda guerra mondiale.

La prima e più vistosa trasformazione è quella fisica,

giacché balza evidente, agli occhi di tutti, che i due casali,

prima separati da un tratto di strada disabitato di un centinaio

di metri, sono oggi congiunti da una strada completamente

abitata senza soluzione di continuità, tanto da formare un

corpo unico che induce a pensare che essi siano un solo

casale; un casale che costituisce il cuore pulsante dell’odierna

Serino.

La trasformazione era, in realtà, iniziata già nel ventennio

fascista, quando, nel corso degli anni trenta del secolo XX, il

vento della tecnologia moderna si avvertì anche a Serino con

l’impianto , in Sala di Serino, di una modesta sala per

proiezioni cinematografiche, situata proprio là dove hanno

inizio la strada per Fontanelle e la Salita di Turci; sala cui

venne dato, forse a causa del numeroso pubblico che attirava

nei giorni di proiezione dei film di propaganda del regime, il

pomposo nome di Cinema Sirena.

In Dogana Vecchia, invece, sotto il regime fascista venne

costruito il locale dell’ECA (Ente Comunale di Assistenza),

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Filomeno Moscati

120

ove venivano distribuiti pacchi dono, derrate alimentari e

generi di sussistenza per gli iscritti nell’elenco dei poveri.

Le fondamenta delle trasformazioni più appariscenti dal

punto di vista dell’aspetto fisico, ma soprattutto dal punto di

vista della mutata mentalità e delle mutate esigenze della

popolazione, furono gettate, nel dopo guerra, dal primo

Consiglio Comunale democraticamente eletto nel marzo 1946,

che, nella seduta del 4 maggio 1946, ratificò due decisioni

della Giunta Comunale, deliberate in data 16 aprile 1946;

decisioni che, pur potendo essere considerate soltanto come

dichiarazioni d’intenti, costituiscono il primo passo del

cammino verso la modernizzazione del paese.

La prima, concernente il miglioramento delle comunicazioni

viarie con le conseguenti ricadute economiche e commerciali,

riguardava la progettazione di una strada, definita in delibera

come una ―secolare aspirazione dei Serinesi‖, che,

sostituendo la ― scomoda e preistorica mulattiera‖,

congiungesse in modo agevole Serino e Giffoni. 146

Questa

strada fu effettivamente realizzata nel corso degli anni

sessanta.147

La seconda, mirante al miglioramento delle condizioni

culturali e sociali della popolazione, prima in parte analfabeta,

stabiliva l’istituzione, nell’ambito territoriale del Comune, di

una Scuola Media.148

Sempre in questo ambito fu evidenziata,

nell’anno 1951, la necessità di istituire a Serino una Scuola

Media di tipo agrario,149

e di costruire in Sala di Serino un

edificio scolastico con annesso campo sportivo;150

e, nel 1958,

proseguendo nell’opera di modernizzazione del paese, fu 146

Deliberazione del Consiglio Comunale di Serino del 4 maggio 1946 147

Vedi anche Moscati Filomeno, Storia di Serino, Gutenberg Edizioni.

Penta di Fisciano (SA) 2005, p.416; 148

Deliberazione del Consiglio Comunale di Serino del 4 maggio 1946; 149

Consiglio Comunale di Serino del 27 agosto 1951; 150

Consiglio Comunale di Serino del 27dicembre 1951;

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Sala di Serino

121

deciso l’acquisto di un’area per il Palazzo delle Poste e

Telegrafi da costruirsi nella frazione capoluogo, Sala di

Serino.151

Negli anni che vanno dal 1960 al 1970, che contrassegnarono

il cosiddetto ―boom economico,‖ e, sulle ali di esso, la

rimozione delle macerie della guerra e la ricostruzione in tutto

il Paese, a Serino, “nel 1963 fu decisa la ricostruzione del

campanile della chiesa di Sala, crollato per effetto dei

bombardamenti del Settembre 1943; nel 1965, fu approvato il

progetto generale per la costruzione della sede municipale, in

sostituzione del vecchio ―Municipio‖, parzialmente crollato

per effetto degli stessi bombardamenti; nel 1967, fu contratto

un mutuo a questo scopo…… Nell‘anno 1969, avendo ormai

risanato le ferite della guerra, completato l‘iter dell‘edilizia

scolastica e della viabilità con l‘apertura della strada Serino

Giffoni, della S. S. Terminio e della superstrada Avellino-

Salerno, fu iniziata l‘opera di industrializzazione, mirata a

creare posti di lavoro e condizioni di vita migliore per i

lavoratori dei campi, che costituivano la gran parte dei

cittadini di Serino. Si iniziò con la costituzione della

“Cooperativa agricola Serino e Valle del Sabato”, che aveva

come scopo una vendita sicura a prezzo adeguato dei prodotti

della Valle;….e, nel 1970, vennero individuate le zone di

sviluppo industriale e furono concesse le licenze edilizie per la

costruzione delle fabbriche per la lavorazione dei prodotti

ortofrutticoli S.E.C.A. SUD e S.O.S. (Società Ortofrutticola

Serinese) e, nel 1971, della “Serena S.r.l.”. In quello stesso

anno 1971 furono definitivamente eliminati i segni della

guerra mediante l‘abbattimento di ciò che restava della

vecchia sede comunale, sita nella frazione Sala alla Via

151

Deliberazione del Consiglio Comunale di Serino del 27 agosto 1958;

Cfr. Moscati Filomeno, Storia di Serino, Edizioni Gutenberg, Penta di

Fisciano (SA) 200 5, pp. 421, 422;

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Filomeno Moscati

122

Municipio, giusta decisione del Genio Civile, per consentire la

sistemazione esterna del nuovo edificio municipale,152

L’onda della modernizzazione e del miglioramento economico

e culturale di Serino, contrassegnata dalla costruzione delle

fabbriche e di nuove ed efficienti arterie viarie, fu resa

evidente, malgrado l’ingente danno causato al patrimonio

edilizio dal sisma del 1980, dal sorgere, nell’anno 1982, di un

istituto bancario, la ―Cassa Rurale ed Artigiana,‖ che ebbe la

sua prima modesta sede in Sala di Serino, alla Via Sala

Fontanelle, in locali presi in affitto. Essa nacque come

―società cooperativa a responsabilità limitata ispirata ai

principi cooperativi della mutualità senza fini di lucro‖ e il

suo progredire, contrassegnato dall’apertura di una nuova

agenzia ad Aiello del Sabato nel 1991; dal mutamento della

denominazione sociale in ―Banca di Credito Cooperativo‖

nel 1997; dall’inaugurazione di una decorosa sede sociale, di

proprietà della banca, nella centralissima Piazza della fontana

di Sala di Serino, nel 1998; e dall’apertura di una seconda

agenzia in Via Puntarola di Atripalda nel 2004; segna le tappe

del progresso dei tre Comuni del Serinese negli anni che

vanno dal 1982 al 2010. 153

Questo progresso fu reso ancora

più evidente dall’aperura, sempre in Sala di Serino, di altre

due agenzie bancarie , una della Banca Popolare dell’Irpinia (

poi denominata Banca della Campania) . l’altra del Banco di

Napoli; e, nell’anno 1984, nell’intento di indirizzare il futuro

sviluppo di Serino anche in ambito turistico, furono concesse,

in questo senso, nuove destinazioni turistiche alberghiere,

152

Moscati Filomeno, Storia di Serino, Gutenberg Edizioni, Penta di

Fisciano (SA) 2005, pp.422,423; 153

Moscati Filomeno, Storia di Serino, Gutenberg Edizioni, Penta di

Fisciano (SA) 2005, pp.442-445

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Sala di Serino

123

come quelle riguardanti l’Hotel Serino e i ristoranti, Boschetto,

Don Lorenzo. Tornola, Valleverde e Del Sole.154

Nell’anno 1988 fu dato l’avvio alla costruzione, sempre in

Sala di Serino, di due importanti opere: il Mercato Coperto,

teso a incrementare il commercio, nella frazione capoluogo,

rendendolo più facile e pratico; e la costruzione di una Villa

Comunale, che, oltre a costituire, con i suoi spazi verdi, un

luogo di svago e di riposo per la popolazione di tutta Serino,

servisse anche a rendere più bella e accogliente la frazione

capoluogo.

A sottolineare il mutamento e il passaggio dall’antico

mondo contadino, che per millenni aveva caratterizzato la vita

dell’antica Serino, a un nuovo mondo industrializzato e

tecnologicamente avanzato, più moderno, e, perciò, più attento

alla conservazione dei valori del sapere e della cultura

umanistica legati all’ antica civiltà, dopo la morte del

francescano Salvatore Floro di Zenzo, il 23 marzo del 1988, fu

deciso di intestare a Lui, che di questo sapere e di questa

cultura era stato il più valido rappresentante,155

la Biblioteca

Comunale allogata nella restaurata Casa dell’ E. C. A. in

Dogana Vecchia.

Il mutamento culturale e sociale, causato dal passaggio dalla

civiltà contadina alla moderna società industrializzata e

digitalizzata, mi è stato reso palese proprio da un contadino,

mio antico cliente ed ora soltanto mio amico, che,

incontrandomi nel laboratorio di computer di Giacomino

Mazza in Fontanelle di Serino, con la solita saggezza contadina

mi fece capire quanto poco contasse il sapere antico 154

Moscati Filomeno, idem, p. 444; 155

Moscati Filomeno, Storia di Serino, Gutenberg Edizioni, Penta di

Fisciano (SA) 2005, pp. 445-448;

Salvatore Floro Di Zenzo, francescano poeta e poeta francescano,

Edizione a cura del Comune di Serino, Europrint 2000, Sirignano (AV)

2008;

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Filomeno Moscati

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dicendomi: ― Dottò, ricimmo ‗a verità, oggi chi nun sape usà

‗o computer è ‗nu perfetto analfabeta.‖

Questo passaggio epocale si appalesa anche nel mutamento

e addirittura nella scomparsa di tradizioni e usanze, che erano

l’espressione più genuina della cultura popolare dei nostri

antenati, per cui oggi non è più possibile udire il canto che, in

modo appena velato, i rivottolesi ( eredi dello spirito satirico e

caustico espresso nei versi fescennini dai loro antenati latini)

intonavano ogni anno, (almeno fino agli anni cinquanta del

secolo XX) accompagnando in processione, il 13 di giugno, il

simulacro (di mezzo busto) di S. Antonio quando

attraversavano il centro di Sala di Serino:

Sant‘ Antonio

mio benegna

A chilli ra Sala

‗na freve malegna,

‗e Santo Biase

‗nu pantecore,

‗e Funtanelle

e Rivuottolo

‗na bella braciola.

Le ragazze, invece, specie quelle cosiddette da marito (forse

invidiose delle loro coetanee di Sala, considerate pericolose

contendenti perché più evolute, più eleganti e più esperte nelle

seduzioni d’amore) giunte all’altezza della chiesa della

Madonna della Neve , rivolgevano alla Madonna la seguente

invocazione:

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Sala di Serino

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Maronna mia

Fallo caré!

Fallo caré!!

E fallo caré!!!

‗o ponte ra Sala,

a do‘ vanno

‗e Salaiole

A fa‘ l‘amore. 156

156

N. d. A. Fescennini erano detti i canti rusticani , gioiosi , pieni di

arguzie grossolane e spesso addirittura licenziose, che gli antichi romani

usavano cantare in occasione della mietitura, della vendemmia, delle nozze

e di qualsiasi altra festività. La loro denominazione, secondo una delle

versioni tramandateci dal grammatico latino Festo, deriverebbe dal

vocabolo latino fascinum = malocchio, assai calzante nei due casi di cui

sopra .

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Sala di Serino

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Sala di Serino

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Indice

I-Sala di Serino- Antica terra................................,,,p.5

II- Sala di Serino –Dogana Vecchia

Origine, evoluzione e significato del nome

dei due casali.......................... p. 9

III- Dogana nuova alias Lo Mercato –

Chiesa e Convento dello Spirito Santo......... p. 21

IV- Il Cimitero promiscuo.......................................p. 47

V - Parrocchia di S. Eustachio – Madonna della

Neve .................................................................p. 59

VI – I leoni del Monte Terminio ………………….p. 105

VII -Sala e Dogana Vecchia in epoca contemporanea

………………………………………………. p.119

Bibliografia ..................................................p.127

Indice ……………………………………….p. 129

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Finito di stampare

il 31 Gennaio 2012 presso

il Centro stampa

Emilio De Cunzo

83100 Avellino

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