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3 EDITORIALE Parliamo di sanità ma facciamolo con giudizio di Giuseppe Failla

4 STUDI E RICERCHE Pubblico o privato? L’importante è la salute

6 MOBILITÀ SANITARIA La buona sanità non c’entra con la geografia

8 PREVENZIONE Contro i nemici della salute non bastano solo i medici

10 EMODINAMICA Nuova la procedura Innovativo il suo utilizzo

12 CONVEGNO Fibrillazione atriale Il punto sulla patologia

18 LO PSICOLOGO AL TUO FIANCO

19 LETTERE AL MAGAZINE

S. Anna Hospital Magazine Viale Pio X, 111- 88100 Catanzaro

Tel. 0961.5070111 Fax [email protected]

Direttore ResponsabileMarcello Barillà

[email protected]

Direttore EditorialeGiuseppe Failla

Direttore Generale S. Anna [email protected]

Direttore ScientificoProf. Benedetto Marino

Referente MedicoDaniele Maselli

Direttore Dipartimento Chirurgia Cardiovascolare S. Anna Hospital

[email protected]

Progetto e impaginazioneBarbara [email protected]

Stampato in 25.000 copie presso Rubbettino print - Soveria Mannelli (CZ)

Registrazione Autorizzazione Tribunale di Catanzaro

n. 3 del 6 aprile 2009

postatarget magazine NAZ/571/2009

Chi non desidera ricevere il S.Anna Hospital Magazine

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SOMMARIO

AVVISO IMPORTANTE PER I LETTORIL’equipe medica del S.Anna Hospital, nell’intento di rendere sempre più veloci

e proficui i contatti con i pazienti, chiede loro e/o ai loro familiari di voler fornire il proprio indirizzo di posta elettronica.

Chi intende aderire a tale richiesta, può comunicare il suddetto indirizzo scrivendo direttamente a: [email protected]

www.santannahospital.it

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Membro della Federazione CISQ

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Il “S. Anna Hospital Magazine” compie in questo 2019 i suoi primi dieci anni di vita. Un tempo significativamente lungo, nel quale come ben sanno i nostri

lettori, cioè i nostri pazienti, la rivista si è principalmente impegnata a fornire loro notizie e fatti di valenza eminentemente medica, affinché potessero es-sere costantemente aggiornati su tutte le metodiche capaci di contrastare al meglio, sia sul piano diagnostico e sia su quello terapeutico, le malattie dell’ap-

parato cardiovascolare. Questo non significa certo che il Magazine abbia ignorato gli altri aspetti del nostro lavoro. Un ospedale non è un corpo estraneo alla società, tutt’altro. Esso ne costituisce uno dei gangli fon-damentali perché svolge la funzione di garantire uno dei più preziosi diritti che la nostra Costituzione rico-nosce: il diritto alla salute. Per questo, quando abbiamo ritenuto di dovere/potere dire qualcosa di utile, non abbiamo esitato ad occuparci anche di politiche sanitarie. Lo abbiamo fatto quasi sempre con un obiettivo preciso e cioè concorrere a far sì che i calabresi si “fidassero” del loro sistema sanitario, che lo giudicassero con obiettività, senza cedere né a sterili difese d’ufficio ma neppure a pregiudizi e luoghi comuni che tanti danni hanno provocato e continuano a provocare.Da qualche tempo, però, il confuso bombardamento mediatico fatto di notizie vere e notizie false, di affer-mazioni tanto altisonanti quanto prive di fondamento, di minacce e proponimenti bellicosi ed altrettanti pavidi atteggiamenti, non può non aver ridato fiato e spinta alla voglia, ingiustificata ma comprensibile, di fuggire dalla Calabria per trovare pace e cure altrove. Forse senza accorgersene anche tanti calabresi, pure sinceramente animati dai migliori propositi, hanno contribuito e contribuiscono con le loro esternazioni a favorire il clima di disfatta che tanto beneficio porta a quei sistemi sanitari regionali del nord che, privati dei flussi di “peones” provenienti dalle regioni meridionali e dalla Calabria in particolare, potrebbero anch’essi mostrare tutti i loro limiti.Anche il Ministero, i cui ultimi dati pubblicati riguardano l’attività ospedaliera dell’ormai lontano anno 2016 contribuisce - nel silenzio - a favorire questo clima generando inevitabilmente qualche interrogativo. Perché, ad esempio, l’ultimo Rapporto sui ricoveri ospedalieri è datato, appunto, 2016? Perché l’ultima edizione del report sulle performance ospedaliere, conosciuto come “Piano Nazionale Esiti” (PNE) ed elaborato dall’Age-nas - Agenzia Nazionale per i servizi sanitari Regionali, è quella del 2017, realizzata quindi, anche in questo caso, su dati dello stesso 2016?Si è poi scoperto di recente che, negli anni, è stato consentito che la contabilità relativa alla nostra emigrazio-ne sanitaria - la cosiddetta mobilità passiva - venisse elaborata senza contraddittorio con la nostra Regione e che questo possa avere provocato danni alle nostre casse pubbliche per centinaia di milioni di euro, finiti in quelle delle Regioni del nord. Forse che i dati su cui sono stati fatti i conti non siano del tutto esatti?Per quel che ci riguarda, con un biennio di anticipo rispetto ai dati dell’Agenzia governativa, abbiamo redatto anche quest’anno il Report sulla nostra attività svolta nell’anno precedente. Si tratta ancora una volta di una scelta di trasparenza nei confronti dei calabresi, che hanno il diritto di sapere quanto e soprattutto con quali esiti finali ha lavorato il loro Centro regionale di Alta Specialità del Cuore. Avremmo voluto trovare riscontro delle nostre analisi in quelle ministeriali, come avvenuto fino al 2016. Non sappiamo però se e quando sarà possibile; quindi, per il momento, possiamo limitarci a dire che i risultati del nostro lavoro sono stati ancora una volta lusinghieri.Sembra che nella nostra Regione anche i risultati degli altri operatori del medesimo ambito cardiovascolare siano egualmente di segno positivo. Un dato che rincuora e fa piacere perché solo tutti insieme possiamo vincere la scommessa di ricercare e fornire buone cure ai calabresi. Ne va non soltanto della nostra salute ma anche del futuro delle nostre famiglie.

Giuseppe Failla

Parliamo pure di sanità ma facciamolo con giudizio

EDITORIALE

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Pubblico o privato?L’importante è la salute

Una ricerca del Censis dimostra che i cittadini non fanno differenza tra le strutture sanitarie ma chiedono di poter scegliere in base al rapporto di fiducia

STUDI E RICERCHE

Sanità pubblica e sanità priva-ta accreditata: due realtà sulle

quali non di rado si creano degli equivoci. Il più clamoroso e abusa-to vede la prima come l’unico pre-sidio a tutela del diritto universale alla salute, mentre la seconda sa-rebbe quasi esclusivamente sino-nimo di profitto. Equivoci, appun-to, che sovente sono alimentati ad arte e per fini che nulla hanno a che vedere con l’interesse dei cittadini a essere curati. In realtà, nel nostro Paese la legge non fa distinzione e considera di natura pubblica, quindi a carico dello Sta-to, qualunque prestazione sanita-ria, indipendentemente dal fatto

che a erogarla sia un ospedale pubblico o uno privato accredita-to con il Servizio Sanitario Nazio-nale; riconoscendo per questo al cittadino la libertà di scegliere il proprio luogo di cura. Per fortuna e a dispetto di ogni possibile equivoco, per l’85% dei cittadini “pubblico” o “privato ac-creditato” non fa alcuna differen-za. Se ad essere in gioco è la salute, la sola cosa che gli italiani chiedo-no è poter scegliere l’ospedale e il medico di cui si fidano. Il dato per-centuale viene fuori da una ricerca del Censis, realizzata in collabo-razione con Aiop, Associazione italiana ospedalità privata. Solo il

15% del campione ritiene che la li-bertà di scelta non sia importante, mentre il 50% pensa che sia molto importante perché la scelta di una persona o di un servizio di cui ci si fida, facilita le cure. Per il 35% la li-bertà di scelta è un valore in sé an-che in sanità. Sono basse, invece, le percentuali di chi ha convinzio-ni opposte. Tra i contrari, il 9% vor-rebbe solo strutture pubbliche nel Servizio sanitario e appena il 6% pensa che gli ospedali pubblici siano sempre e comunque miglio-ri. La libertà di scelta tra pubblico e privato accreditato, dunque, vince alla grande e peraltro lo fa rivelandosi un valore condiviso

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trasversalmente su tutto il territo-rio nazionale. In suo favore, infatti, si pronunciano l’85% dei residenti al Nord-Ovest, l’87% al Nord-Est, l’82% al Centro e l’87% al Sud.Commentando i risultati della ri-cerca, il presidente pro tempore di Aiop, Gabriele Pelissero, ha affer-mato che essi confermano come “il valore sociale della sanità pri-vata è indiscutibile. Così come di-mostrano che i cittadini ritengono cruciale la possibilità di scegliere liberamente dove e da chi farsi curare. Anche la politica è ampia-mente a favore del sistema pub-blico-privato, perché ha ricono-sciuto l’importanza del ruolo della sanità privata accreditata nella salvaguardia del Servizio Sanita-rio Nazionale, nonostante anni di tagli lineari che hanno colpito pre-valentemente questo comparto”. I dati dicono che solo il 3% dei con-siglieri regionali italiani interpella-ti dal Censis vorrebbe mettere al bando per legge la sanità privata accreditata nel Servizio Sanita-rio Nazionale. La maggioranza (il 63%) è invece molto favorevole al ruolo del privato accreditato, mentre il restante 34% vorrebbe dirottare le risorse preferibilmen-te verso le sole strutture pubbli-che. La politica, rileva il Censis, “ha ormai chiaro che la promessa fatta dalla riforma sanitaria di garan-tire le cure ospedaliere a tutti gli italiani è stata mantenuta anche grazie ai posti letto e alle presta-zioni messe in campo dalle strut-ture private accreditate. In que-sto consiste il valore sociale della ospedalità privata, per i cittadini e per il Servizio Sanitario Nazionale. Una sanità veramente pluralista è in grado di interpretare bisogni e aspettative di cittadini sempre più informati, consapevoli, evoluti, at-tenti alla qualità delle prestazioni, alla ricerca di cure personalizzate

e che vogliono esercitare la libertà di scelta, rivolgendosi alle struttu-re e ai medici di cui si fidano e che erogano prestazioni di qualità più elevata”. Alla percezione e quindi al giudizio relativi all’ospedalità privata, di sicuro non sono estra-nei alcuni dei dati contenuti nella ricerca e in particolare quelli rife-riti ai tagli di spesa. Questi ultimi, certamente, non hanno giovato agli ospedali italiani, anche per-ché si è trattato di tagli drastici. Tra il 2008 e il 2016 il tasso di ospe-dalizzazione è crollato da 192,8 a 140,9 per mille abitanti, i ricoveri sono diminuiti del 25,6%, e tra il 2011 e il 2015 le giornate di de-genza si sono ridotte del 10%. Esi-

to della normativa che ha impo-sto 2,7 posti letto ospedalieri per mille abitanti, mentre la media dei Paesi europei è di 4 posti letto per mille abitanti. L’ospedale è stato bersaglio di ta-gli lineari in nome di una sanità di territorio che però non è mai ef-fettivamente decollata. Il risulta-to è che oggi esiste una distanza marcata tra fabbisogni ospedalie-ri e offerta di posti letto. In questo scenario, l’ospedalità privata ha comunque saputo fare di più con meno, perché assorbe il 13,6% della spesa pubblica ospedaliera, erogando il 28,3% delle presta-zioni in termini di giornate di de-genza.

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La buona sanità non c’entra con la geografia

La storia di una paziente che, a dispetto di pregiudizi e luoghi comuni, ha scelto di spostarsi dalla Lombardia alla Calabria per farsi curare

MOBILITÀ SANITARIA

“Lo rifarei centomila altre vol-te e se mi venisse chiesto,

consiglierei ad altri di farlo”. La si-gnora Manuela Manenti non ha dubbi, né esitazioni e quello che rifarebbe “centomila altre volte” è partire da Milano per venire a farsi curare in Calabria, a Catanzaro, al S. Anna Hospital. Se non ragionassimo per luoghi comuni dovremmo dire che la no-tizia non c’è, perché in un Paese che è tra le prime dieci potenze al mondo è del tutto normale che un cittadino scelga liberamente dove e da chi farsi curare, in qualunque angolo del territorio, da nord a sud senza differenze. Purtroppo però dobbiamo ancora ragionare per luoghi comuni, uno dei quali vuole che l’emigrazione sanitaria viaggi nella direzione esattamen-te opposta a quella presa dalla si-gnora Manuela, perché è dal sud che si parte per farsi curare al nord e non viceversa. Quindi la notizia c’è eccome e c’è soprattutto per-ché dimostra come spesso il luo-go comune nasce dal pregiudizio, dal fare acriticamente di tutta l’er-ba un fascio, dall’accettare supi-namente verità preconfezionate. Tutti atteggiamenti sbagliati e che in una regione come la Calabria non fanno altro che aggiungere danni su danni. Perché non è scrit-to da nessuna parte che in Cala-

bria non possa farsi buona sanità, esattamente come in ogni altro posto. Basta volerlo. Lo dimostra il fatto che appena un paio di de-cenni fa il Dipartimento di Chirur-gia Cardiovascolare del S. Anna

neppure esisteva e che oggi, alla luce degli ultimi dati ministeriali disponibili, esso occupa in Italia la parte alta della classifica tra le strutture sanitarie per volume di prestazioni erogate e qualità dei risultati raggiunti. Ma torniamo alla signora Manuela e alla sua storia. “Dovevo chiudere un forame ovale pervio – spiega

in un video apparso su Facebook e rilanciato dalla pagina social del S. Anna – che mi aveva provoca-to delle ischemie cerebrali, simili a quella che ha colpito Cassano il calciatore. Me ne sono accorta du-rante un’immersione subacquea e dopo un trattamento in camera iperbarica. Sei anni di cure e poi mi è stato detto che avrei dovuto as-solutamente operarmi. È in quella circostanza che alcuni conoscenti mi hanno parlato del dottor Bin-do Missiroli (il direttore dell’unità operativa di Cardiologia Inter-ventistica del S. Anna, ndr), che insieme con il dottor Eustaquio Onorato tratta questa patologia ed è un’eccellenza nel suo campo”. La Calabria, in generale, non gode di una buona immagine; Manuela lo sa ma non è disposta a fermarsi alle apparenze. “Io sono una per-sona un po’ anomala – dice – nel senso che vado molto a sensazio-ne. Quindi, non so perché ma nel momento in cui ho parlato al tele-fono con il dottor Missiroli mi sono fidata di lui. Per me vale molto di più la persona che il sentito dire. Poteva comunque sembrare un salto nel buio, me ne rendo conto, anche se ero andata a documen-tarmi in internet vedendo che il S. Anna è una struttura specializzata in emodinamica e cardiochirurgia. Quando poi ho parlato al telefono

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con il medico mi sono resa con-to che doveva essere veramente così. Percepivo grande professio-nalità e grande umanità”. Detto, fatto: la signora decide di intra-prendere il suo “viaggio al buio” tra “la contrarietà di amici e paren-ti” ma alla fine la sua determina-zione è premiata, le sue sensazioni non le avevano mentito. «La strut-tura è ok” – pensa arrivando a Catanzaro; l’intervento riesce perfettamente ma il giudizio che Manuela Manenti resti-tuisce ai calabresi va oltre la bravura dei medici o il livello di eccellenza di una struttu-ra sanitaria. “Sono rimasta entusiasta di tutto – afferma senza esitazione. Credo che generalizzare sia molto facile e sia molto populista. In Italia, criticare è uno sport molto praticato perché costa poco e rende sempre tanto. A Catan-zaro ho trovato una umanità che non ho mai trovato altro-ve: dagli albergatori ai tassisti alla gente in giro.

Il S. Anna Hospital, poi, per me è stata una scoperta e non solo per me ma anche per gli altri degenti che me ne hanno parlato in ma-niera entusiastica. Il personale ha un livello di specializzazione e di professionalità incredibili ma con una umanità in grado di alle-viare l’ansia che deriva da quella che sicuramente non è una pas-

seggiata, perché un intervento al cuore desta sempre apprensione e preoccupazione. I medici han-no un approccio integrato alla patologia, con il valore aggiunto di un personale infermieristico altamente specializzato tanto da sembrare personale medico. Sono ragazzi tutti giovani ma con una preparazione eccellente.

E poi sono legati tra di loro, sono tutti in armonia, scher-zano, ridono, è un ambiente di lavoro gioioso, piacevole e questa cosa la trasmettono ai malati. Insomma una clinica veramente eccellente”. Non c’è enfasi in quello che Manuela Manenti dice rivol-gendosi alla videocamera, mentre prende il sole sulla spiaggia del quartiere mari-naro del capoluogo calabrese. C’è solo il buon senso di una persona che vuole pensare con la propria testa e vedere con i propri occhi. Con buona pace dei pregiudizi e degli ste-reotipi.

Eustaquio Onorato e Bindo Missiroli in sala di emodinamica

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Contro i nemici della salute non bastano solo i medici

Lo stile di vita delle persone è condizione imprenscindibile per mantenere sano il proprio organismo. Purtroppo, però, i dati sono ancora poco confortanti

Il 44% dei decessi in Italia è cau-sato dalle patologie cardiova-

scolari. È una percentuale che fa venire i brividi ma che impone di non demordere nel perseguire ogni contromisura utile a ridi-mensionare il fenomeno. Ancora una volta, la prima parola da pro-nunciare è “prevenzione” e non è certo un caso se il tema dell’ulti-ma edizione della Giornata Mon-diale del Cuore sono stati proprio i buoni propositi e gli impegni che ognuno dovrebbe prendere con il proprio cuore. La scienza e la medicina possono aiutare, for-nendo mappe di rischio e calcoli delle probabilità ma sono prima di tutto le persone a dover far la propria parte; anche perché i “ne-mici” della salute non si chiamano soltanto colesterolo o ipertensio-ne ma anche tensioni in famiglia o sul lavoro e persino un approccio fatalistico al tema dell’infarto.«L’importanza della prevenzione - dice Daniele Maselli, diretto-re del Dipartimento di chirurgia cardiovascolare del S. Anna - è emersa da un report reso pubbli-co in occasione della Giornata del Cuore e che illustra come le malat-tie cardiovascolari siano ancora la prima causa di morte nel mondo occidentale. Questo denota si-curamente la inadeguatezza del-lo stile di vita delle persone e la

scarsa efficacia delle campagne di prevenzione su questo gene-re di patologie. I fattori che com-portano l’esordio di una malattia cardiovascolare sono noti da tem-po. Ce ne sono alcuni purtroppo non correggibili come il proprio patrimonio genetico e quindi la familiarità ma ce ne sono altri che invece possono essere evitati o, se presenti, possono essere gestiti in maniera tale da non determinare il sopraggiungere di una patolo-gia. Questi ultimi sono iperten-sione, diabete, ipercolesterole-mia, fumo, abitudini alimentari e più complessivamente stili di vita non corretti. Sono fattori che non hanno una funzione additiva, cioè non si sommano semplicemen-te come in una addizione mate-

matica ma la loro concomitanza ha un effetto che in matematica si chiamerebbe esponenziale. In altre parole, la presenza di più fat-tori moltiplica l’effetto del singolo fattore, rendendolo più insidioso con l’avanzare dell’età».«I fattori più pericolosi - continua Maselli - sono quelli che appaiono i più difficili da correggere. Un dia-bete del primo tipo che si eredita non si può correggere, si può ge-stire. Un’ipercolesterolemia fami-liare può essere curata ma non se ne può certo attribuire la respon-sabilità al paziente. Il paradosso invece è ritrovarsi con pazienti che presentano già questi fatto-ri di rischio non correggibili e ne aggiungono degli altri come vita sedentaria, alimentazione scor-retta, fumo. Se un paziente ha la sfortuna di avere delle condizioni familiari che per nascita lo sfavo-riscono deve aumentare i propri sforzi per correggere ed evitare gli altri fattori di rischio. Occorre che le persone sappiano che se, ad esempio, abbiamo un indivi-duo con meno di 40 anni, di ses-so maschile, non fumatore e con un livello di colesterolo normale, questo individuo ha un rischio di evento cardiovascolare fatale al di sotto dell’1%; al contrario, un suo coetaneo che fosse iperteso, fumatore e con il colesterolo alto,

PREVENZIONE

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nella prospettiva del ventennio successivo, quindi intorno ai 60 anni presenta un rischio di quin-dici o venti volte maggiore. Lo scarto, dunque, è estremamente significativo».Per lungo tempo, è stata opinione comune che le patologie cardio-vascolari, a cominciare dall’infar-to, fossero una “questione maschi-le”. Ebbene, niente di più falso. «È vero che le donne hanno l’effetto protettivo degli estrogeni - spiega Maselli - e che quindi in età fertile, a parità di età e fattori di rischio, presentano minori probabilità di incorrere in una patologia car-diovascolare. Però è anche vero che i fattori di rischio presenta-no spesso un effetto cumulativo. Insomma, non ci si può adagiare sulla protezione estrogenica e con questa scusa non praticare una adeguata prevenzione nell’età fertile; anche perché, poi, supera-ta quella fase della vita di una don-na i problemi vengono fuori tutti insieme e non fanno distinzioni di sesso. Si aggiunga a questo che in genere la gestione clinica con an-gioplastica o chirurgica della car-

diopatia ischemica nella donna è più complessa per il semplice fat-to che le coronarie sono di dimen-sione più piccole rispetto a quelle di un uomo».L’imperativo della prevenzione vale dunque per tutti e nessuno pensi che esiste un tempo preciso nel quale darsi delle sane abitudi-ni di vita. «Sembrerà paradossa-le - dice ancora Maselli - ma quel tempo coincide con l’inizio della vita stessa, perché nascere in un contesto familiare già predisposto culturalmente alla prevenzione fa sì che si acquisiscano le giuste abi-tudini e i giusti comportamenti. Una corretta alimentazione, l’at-tenzione ai controlli, l’astensio-ne dal fumo, la pratica costante di un’attività sportiva sono tutti elementi di un bagaglio cultura-le che si acquisisce in famiglia e che generalmente poi sedimenta nell’individuo l’idea della preven-zione da attuare negli anni suc-cessivi. Detto questo, va ribadito che in ogni caso per la prevenzio-ne non è mai tardi. Nel senso che un paziente che presenti uno o più fattori di rischio è sempre in

tempo ad attuare una correzione del proprio stile di vita. Questo è importante perché ne vale sem-pre la pena, anche e soprattutto dopo che un evento sfavorevole si è già verificato; anzi in quei pa-zienti, la prevenzione che a quel punto si definisce secondaria pro-prio perché successiva all’evento, acquista un valore ancora mag-giore. Insomma - conclude Maselli - per tutelare il nostro cuore vanno benissimo i suggerimenti degli esperti, perché la prevenzione è una pratica complessa ma soprat-tutto occorre volersi bene. Avere la capacità di dedicarsi del tempo. La nostra vita è spesso frenetica, divisa com’è tra impegni perso-nali, familiari e di lavoro e si finisce per non riuscire a trovare uno spa-zio da dedicare a se stessi. Questo è un errore, anche perché le linee guida ci dicono che una cammina-ta di mezz’ora al giorno, a meno di 4,7 km/h è salutare. Chiunque può farlo. Avere la capacità di dedicarsi questo tempo in un ambiente che ci piace, contribuisce di per sé a farci stare meglio interiormente e questo è già prevenzione».

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L’intervento è stato il primo a essere eseguito in Calabria

e il secondo in Italia. A riceverlo, un paziente portatore di stent coronarico che a causa di forma-zioni calcifiche nel vaso, era sot-toespanso e aveva perduto la sua corretta geometria, compromet-tendo così il regolare flusso del sangue.«Lo “Shockwave” (questo il nome della procedura, ndr) – spiega il dottor Gaetano Morabito, emo-dinamista dell’équipe diretta dal dottor Bindo Missiroli - è una me-todica innovativa che sfrutta delle onde d’urto simili a quelle utiliz-zate per il trattamento dei calcoli renali. Si tratta in particolare di un palloncino, che introdotto per via percutanea in coronaria viene gonfiato a basse atmosfere e che, opportunamente collegato a una macchina, invia degli elettroim-pulsi in cicli da dieci secondi cia-scuno che sono in grado di frantu-mare il calcio presente sulle pareti del vaso. Svolta la sua “missione”, cede il posto alla tradizionale pro-cedura di angioplastica tramite stent. Lo Shockwave – aggiunge Morabito – è stato introdotto in Italia da poco tempo ed è stato utilizzato più volte in modalità coronarica. Tuttavia, la peculia-rità dell’intervento eseguito al S.

Anna consiste nel fatto che nel nostro caso non si trattava di favo-rire l’impianto di uno stent ma di restituire funzionalità a uno stent, impiantato precedentemente in un’altra struttura, che la formazio-ne calcifica aveva compromesso. Da qui, la nostra soddisfazione

per questo piccolo primato – con-clude Morabito – anche perché la procedura è perfettamente riu-scita e il paziente è stato dimesso dopo quarantotto ore».L’intervento di Shockwave è stato eseguito l’estate scorsa nell’ambi-to della seconda giornata dedica-ta al “Rotablator”, altra metodica per il trattamento delle placche di calcio. Come abbiamo spiegato

nel numero precedente del no-stro magazine, il Rotablator o “ate-rectomia rotazionale”, per via della sua complessità è patrimonio di meno di una decina di Centri sul totale di quelli che operano in Ita-lia ed è anch’essa una procedura che viene utilizzata in quei pa-zienti che presentano delle plac-che calcifiche sulle coronarie. Al cospetto di tali placche, per rista-bilire la normale circolazione san-guigna la valutazione medica può orientarsi o verso l’impianto di by-pass o verso il supporto del Rota-blator. Nell’ipotesi in cui l’opzione chirurgica non fosse praticabile, infatti, l’aterectomia rotazionale rende nuovamente estendibile il vaso, consente di dilatarlo con il palloncino e di impiantare uno stent. Nonostante la semplicità di funzionamento, è una metodica tutt’altro che facile da eseguire; comporta per i sanitari una cur-va di apprendimento piuttosto lunga e questo spiega perché, in Italia, sono pochi i Centri che la applicano in un numero di casi si-gnificativo (oltre 20 all’anno). Tra questi, il S.Anna Hospital, dove peraltro l’équipe di emodinamica guidata da Missiroli ha messo a punto una tecnica originale che rende meno complicato l’utilizzo del Rotablator. L’intera tematica,

Nuova la procedura Innovativo il suo utilizzoSi chiama “ShockWave” , serve a favorire l’impianto di uno stent ma

al Sant’Anna è stata eseguita in una modalità senza precedenti

EMODINAMICA

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come si diceva, è oggetto degli incontri tutt’ora in programma tra i medici del Centro calabrese di chirurgia cardiovascolare e loro colleghi di altre regioni che all’in-terno delle rispettive strutture in-tendono implementare l’uso della metodica o introdurla ex novo. «Il motivo degli incontri che abbia-mo organizzato e chiamato “Rota Day” - spiega Missiroli - risiede nel fatto che il Rotablator è una pro-cedura scarsamente diffusa; non perché non ve ne sia maggiore bi-sogno ma perché, oggettivamen-te, incute timore per il suo livello di complessità e per le possibili complicanze relate alla procedu-ra stessa. La novità di esecuzione che abbiamo introdotto al S. Anna consiste nel coinvolgimento pa-ritario di due operatori, piuttosto che di un primo operatore e di un aiuto. Questo consente di gestire più agevolmente tutti i materiali, a cominciare dalla sottile anima metallica lungo cui scorre la fresa e che raggiunge l’inusuale lun-ghezza di tre metri. Grazie all’e-sperienza accumulata negli anni, con il collega Gaetano Morabito abbiamo raggiunto un livello di sincronia e coordinamento nelle manovre tale da consentirci un

volume significativo di interven-ti, che fa di noi un punto di riferi-mento non solo per i pazienti ma anche per i colleghi. Solitamente, eseguiamo delle procedure live che grazie al collegamento in di-retta dalla sala di emodinamica, vengono discusse in tempo reale in tutti i loro aspetti, dall’ecografia intracoronarica alla valutazione finale del risultato dopo l’utilizzo del Rotablator». Il Rota Day costi-tuiva dunque il contesto adatto per eseguire lo Shockwave di cui si diceva all’inizio, anche perché, spiega Morabito, “Rotablator e Shockwave hanno in comune l’ambito di applicazione ma non sono alternative tra loro. Cambia piuttosto l’indicazione. Nel caso, del paziente con lo stent sottoespanso l’utilizzo del Rota-blator era sconsigliato dalla pre-senza dello stent stesso. Di con-tro, una riduzione importante del lume della coronaria a causa delle placche calcifiche renderebbe im-possibile il passaggio del pallonci-no che caratterizza lo Shockwave. Ecco perché è importante poter disporre di tutte le opzioni possi-bili ed è quello che da sempre al S. Anna siamo impegnati a garantire ai nostri pazienti”.

IL CASO È STATO PUBBLICATO SULLA PRESTIGIOSA RIVISTA “CARDIOLOGY”

L’intervento di “Shockwave” eseguito al Sant’Anna Hospital è stato recen-temente pubblicato in un articolo su “Cardiology”, la prestigiosa rivista medico scientifica internazionale, fondata nel 1937 da Bruno Kisch. Lo firmano i dottori Missiroli, Tripolino, Tassone, Grillo e Morabito. È la prima volta al mondo che un caso del genere trova posto in letteratura; un primato facilmente riscontrabile utilizzando “PubMed”, il database bi-bliografico dedicato alla letteratura scientifica biomedica a partire dal 1946 e che contiene oltre 23 milioni di riferimenti bibliografici derivati da circa 5.600 periodici biomedici. «Per la nostra équipe - ha commen-tato Morabito - è sicuramente un ulteriore motivo di soddisfazione. Sa-pevamo di avere usato lo Shockwa-ve in una modalità del tutto nuova rispetto all’utilizzo tradizionale di una procedura, che è stata concepita essenzialmente per favorire l’impian-to di uno stent e non per restituire funzionalità a uno già impiantato. Per questo abbiamo deciso di descrivere il caso e di proporre il lavoro a “Car-diology”, che evidentemente lo ha ri-tenuto meritevole di pubblicazione. Il crisma della scientificità così otte-nuto significa che qualunque emo-dinamista al mondo potrà, volendo, riprodurre il nostro intervento, pro-prio perché per la prima volta in let-teratura vi è il riscontro oggettivo e documentato in ogni passaggio, fino al felice esito finale della procedura».

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Fibrillazione atriale Il punto sulla patalogia e sulle cure in un confronto dalla specialistica

alla medicina di base

Due giorni di convegno inte-ramente dedicati alla fibril-

lazione atriale (FA), articolati in tre sessioni di lavoro rivolte a tutte le categorie di sanitari che gestisco-no il paziente fibrillante: dal me-dico di base all’internista fino al cardiologo clinico e all’ematolo-go; il tutto alla luce delle evidenze che negli ultimi anni hanno cam-biato rapidamente l’approccio a questa patologia cronica. «Sono molto soddisfatto, perché penso che abbiamo fatto un buon lavo-ro - spiega Tommaso Infusino, direttore dell’Unità Operativa di Elettrofisiologia e Cardiostimola-zione del S. Anna e responsabile scientifico dell’evento -. Nel corso del convegno, infatti, abbiamo

ascoltato relazioni di notevole spessore tecnico ma che sono state comunque fruibili da un uditorio che si presentava assai variegato per i diversi profili pro-fessionali presenti. Del resto, dalla discussione è venuta la conferma

che ci troviamo di fronte a una pa-tologia che colpisce il cuore ma è al contempo segno di un disagio dell’intero organismo, per cui bi-sogna intervenire anche a livello extra cardiaco per raggiungere migliori risultati di cura e preven-zione».First Smart Atrial Fibrillation Ca-labria – questo il titolo del con-vegno – ha affrontato i diversi aspetti dell’approccio terapeuti-co alla fibrillazione, da quelli far-macologici a quelli interventistici, mettendo in evidenza le più re-centi novità della ricerca e della tecnologia. Lo ha fatto grazie al contributo di relatori provenienti dalle principali realtà ospedaliere calabresi, oltre che dallo stesso S.

CONVEGNO

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Anna Hospital ma anche da isti-tuzioni extra regionali, come l’u-niversità “La Sapienza” di Roma, l’ospedale “San Raffaele” di Mila-no e il “Misericordia” di Grosseto. Il confronto tra le diverse figure mediche si è poi rivelato partico-larmente significativo. «Mi piace sottolineare - ha detto ancora Infusino - l’interlocuzio-ne avuta con i colleghi medici di base su una patologia che oggi può avere possibilità di guarigio-ne sicuramente maggiori rispetto al passato, soprattutto se si pensa all’ablazione effettuata sin dalle prime manifestazioni della ma-lattia. Anche l’uso di alcune inno-vazioni tecnologiche può essere parte di questo circuito virtuoso tra sanitari. Basti pensare che il pa-ziente, se opportunamente infor-mato e formato, volendo può ge-stire da casa la fibrillazione atriale, attraverso lo smartphone o altri si-stemi di telemedicina: per una pri-

ma diagnosi o per segnalare una recidiva. Questo significherebbe decongestionare gli ambulatori e ridurre gli accessi al pronto soc-corso rendendo, almeno in prima battuta, la vita più facile allo stesso paziente». Il convegno dedicato alla FA mirava in particolare ad analizzare tutte le innovazioni in rapida evoluzione: i sistemi cardiaci impiantabili “home monitoring”; le nuove procedure ablative con le forti evidenze delle tecnologie “oneshot” e le promesse dei sistemi “high densitymapping” o dell’ablazione transcatetere gui-data dall’”indice di lesione”; i nuovi farmaci anticoagulanti, più sicuri, che mostrano una maggiore ade-renza terapeutica da parte del pa-ziente e che non devono essere più interrotti in molti contesti chirurgi-ci e interventistici; le alternative ai farmaci nel paziente ad alto rischio emorragico come gli occlusori au-ricolari.

I sIstEMI cArdIAcI IMpIANtAbIlI “HOME MONITORING”

Di sistemi cardiaci impiantabili “ho-me monitoring” abbiamo parlato con Giovanni Bisignani, direttore della Struttura Complessa Cardio-logia–Utic presso l’ospedale di Ca-strovillari, in provincia di Cosenza. Bisignani, che peraltro ha pubblica-to di recente un volume dedicato al defibrillatore sottocutaneo (editrice Piccin, Padova), ha tenuto nel corso del convegno sulla FA una lettura magistrale dedicata al cosiddetto Loop recorder. «Si tratta di un piccolo dispositivo – spiega – che vie-ne usato in cardiologia per correlare i sintomi con la traccia elettrocardiografica. Nato per la diagnostica della sincope a genesi indeterminata, con l’obiet-tivo di documentare il ritmo cardiaco, anche per quattro anni, in corso di eventi spontanei, l’uso del Loop recorder impiantabile si è progressivamente

esteso alla diagnosi di fibrillazione atriale asintomatica nei soggetti a rischio, allo screening dei pazienti con ictus criptogenetico, alla defini-zione del rischio aritmico e di mor-te improvvisa nei soggetti con car-diopatie strutturali, al follow-up dei pazienti dopo procedura invasive. Questo dispositivo - continua Bisi-gnani - è dotato di monitoraggio re-moto continuo, cioè la possibilità di trasmissione a distanza dei dati, in base agli avvisi programmati e agli eventi clinici e offre la possibilità di

una rapida individuazione sia di anomalie tecniche del dispositivo, che la diagnosi precoce di eventi aritmici. Grazie al monitoraggio remoto il paziente invia i dati dal domicilio senza necessità di sposta-menti per recarsi in ambulatorio e monitorare più frequentemente il ritmo cardiaco ed intervenire tempestivamente sull’inizio o sul cambio eventuale della terapia farmacologica, evitando così il protrar-

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«La fibrillazione atriale - ci spiega Francesco De Sensi, dirigente medico presso l’Unità Operativa di Cardiologia dell’ospedale Mise-ricordia di Grosseto - è la più fre-quente aritmia cardiaca. Superati i 65 anni circa 5 persone su 100 sof-frono di questo disturbo e aumen-tando l’età la percentuale supera il 10%. Queste cifre attestano le di-mensioni epidemiche del proble-ma. L’irregolarità del battito car-

diaco durante fibrillazione atriale provoca sintomi debilitanti (affan-no, palpitazioni, stanchezza), oltre a determinare conseguenze gravi come l’ictus. Le terapie farmacolo-giche che vengono da tempo uti-lizzate per prevenire l’insorgenza

delle crisi di fibrillazione atriale si sono rivelate purtroppo solo par-zialmente efficaci nonché gravate da numerosi effetti collaterali che spesso determinano intolleranza, portando alla necessaria sospen-sione dei farmaci». Sono questi i motivi che hanno spinto la comunità degli elettrofi-siologi (cardiologi rivolti allo stu-dio e alla cura delle aritmie cardia-che) a percorrere strade alternati-ve a quella farmacologica, svilup-pando strategie interventistiche come l’ablazione transcatetere.«L’approccio ablativo in atrio si-nistro (la camera cardiaca dove si trovano le vene polmonari impli-cate nella genesi della fibrillazio-ne atriale), descritto negli ultimi anni Novanta – continua De Sen-

si di situazioni di cura non adeguata per il paziente stesso. Il monitoraggio remoto rappresenta oggi lo standard di cura per il follow-up dei pazienti con di-spositivo cardiaco impiantabile e deve essere offer-to a tutti i pazienti dopo l’impianto. Il loop recorder è uno strumento ancora sottoutilizzato nella pratica clinica, nonostante i potenziali vantaggi e il recen-te sviluppo di nuove tecnologie e degli algoritmi automatici per il rilevamento della fibrillazione atriale. Avere la possibilità di correlare sempre e in

qualsiasi momento il sintomo con i dati ecografici è una possibilità che il più delle volte è risolutiva dal punto di vista diagnostico e di conseguenza anche terapeutico. Sicuramente – conclude Bisignani – il Loop recorder non deve sostituire una prima valuta-zione clinica; è però essenziale che il medico sappia dell’esistenza di questa possibilità diagnostica. Una possibilità che offre, con un costo non eccessivo e una procedura poco invasiva, informazioni diagno-stiche di grande utilità».

LE NUOVE PROCEDURE ABLATIVE CON LE FORTI EVIDENZE DELLE TECNOLOGIE “ONESHOT”, E LE PROMESSE DEI SISTEMI “HIGH DENSITY MAPPING” O DELL’ABLAZIONETRANSCATETERE GUIDATA “DALL’INDICE DI LESIONE”

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si – si è reso protagonista di una crescita vertiginosa sia in termini di casi eseguiti nel mondo, sia in termini di sviluppo delle meto-diche con cui viene realizzato. In-fatti in meno di due decadi sono migliorate le conoscenze fisiopa-tologiche della aritmia, sono stati implementati i software che per-mettono il mappaggio e dunque la delineazione dell’anatomia, e sono stati perfezionati i materia-li utilizzati per erogare l’energia che effettua la lesione. Questi pro-gressi hanno da un lato aumen-tato l’efficacia della metodica, dall’altro ridotto sensibilmente le complicanze legate alla sua inva-sività». «Storicamente- continua De Sen-si - per determinare la lesione durante l’ablazione è stata im-piegata la radiofrequenza con sviluppo di calore, individuando i punti su cui applicare tale energia attraverso sistemi di mappaggio tridimensionali. Al momento di-sponiamo di sistemi con elevata risoluzione di immagini che arri-vano ad acquisire migliaia di punti all’interno dell’atrio sinistro (il co-siddetto mappaggio ad alta den-sità) definendone anche la qualità del tessuto che viene riconosciuto come sano o patologico. L’integra-zione della mappa ricostruita con esami TAC o di risonanza magne-

tica precedentemente acquisiti permette di navigare con gli elet-trocateteri all’interno del cuore con precisione puntuale. Gli stessi elettrocateteri che oggi si utilizza-no per registrare i segnali elettrici e per erogare l’energia per l’abla-zione vengono via via progettati per risultare più flessibili e meno traumatici. Sulla loro punta è sta-to sviluppato un sensore in grado di rilevare anche la forza esercita-ta durante il contatto col tessuto cardiaco. Ciò determina una mag-giore sicurezza della procedura e nello stesso tempo permette di calcolare oggettivamente e preci-samente l’estensione della lesione con un indice numerico cercando quindi di produrre il tipo di abla-zione più efficace. Tutto ciò si traduce in un minor numero di recidive dell’aritmia e dunque in una minore necessità di ricorrere a nuove procedure.

I progressi della tecnica si sono ri-versati anche nella ricerca di fonti alternative di energia per effettua-re la lesione. A tal scopo infatti è possibile sfruttare il “freddo” con la cosiddetta crioablazione che è risultata essere una procedura al-trettanto efficace rispetto a quella tradizionale (con radiofrequenza e produzione di calore) con un tas-so di complicanze minore». In conclusione, allo stato attuale delle cose, l’ablazione della fibril-lazione atriale è una procedura sicura ed efficace che rappresen-ta una valida opzione terapeutica per l’aritmia cardiaca più frequen-te. «Il progresso e lo sviluppo tec-nologico, in continuo divenire per questa tecnica - chiude De Sensi - l’hanno resa una trattamento di prima scelta che il paziente può concordare insieme al medico an-cor prima di tentare un approccio farmacologico».

I NUOVI FARMACI ANTICOAGULANTI NELLA PREVENZIONE DELL’ICTUS ASSOCIATO ALLA FIBRILLAZIONE ATRIALE: UNA RIVOLUZIONE SI-LENZIOSA

«Introdotti a partire dal 2009 ma arrivati in Italia so-lo alla fine del 2013 - spiega Tommaso Infusino, direttore dell’Unità Operativa di Elettrofisiologia e Cardiostimolazione del S. Anna e responsabile scien-tifico del First Smart Atrial Fibrillation Calabria – i NAO, nuovi farmaci anticoagulanti, hanno presto cambia-

to in meglio il nostro modo di lavorare. Sono rappre-sentati da dabigatran (nome commerciale, Pradaxa), dpixaban (nome commerciale, Eliquis), rivaroxaban (nome commerciale, Xarelto) ed edoxaban (nome commerciale, Lixiana). Hanno in comune tutti la stes-sa caratteristica, ossia quella di effettuare il blocco diretto di un solo fattore della coagulazione e quindi di presentare un’attività anticoagulante più prevedi-bile. Proprio per questo non si richiede il monitorag-gio dell’indice INR dei vecchi anticoagulanti, che co-stringevano il paziente a prelievi di sangue ogni due

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o tre settimane; inoltre non interagiscono con alcuni alimenti che il paziente doveva puntualmente evita-re come la verdura a foglia larga (ad esempio spinaci, lattuga, cicoria, bieta e così via). Numerosi studi ne hanno dimostrato lo stesso profilo di efficacia nella prevenzione dell’ictus rispetto ai “vecchi” Coumadin (warfarin) o Sintrom (acenocumarolo) con un mi-glior profilo sicurezza, ossia una minore incidenza di emorragie cerebrali e/o fatali». «Con l’impiego dei NAO, pertanto – prosegue Infu-sino – si andrebbe a colmare almeno in parte il sot-totrattamento dei pazienti affetti da fibrillazione atriale ma al contempo anziani, con più di 75 anni o fragili perché sottopeso o affetti da più patologie croniche, esposti quindi a una maggior incidenza di eventi emorragici. I NAO presentano anche il van-taggio di avere poche interferenze farmacologiche con farmaci peraltro di non frequente impiego come antiepilettici e chemioterapici. Infine, i NAO risulta-no farmaci ampiamente maneggevoli per la breve durata d’azione da 12 a 24 ore, con inizio e termine d’azione rapidi, che ne consentono la sospensione in caso di intervento chirurgico senza necessità della “terapia ponte” con eparina a basso peso molecolare somministrata con iniezioni sotto cute». «Nelle ultime linee guida della Società Europea di Aritmologia, pubblicate nel marzo 2018 - aggiun-ge Infusino - i NAO hanno “ufficialmente” superato i vecchi anticoagulanti rappresentando la prima scelta nella profilassi della fibrillazione atriale non valvolare. L’utilizzo del vecchio “Coumadin” rimane

circoscritto alla stenosi mitralica reumatica e alle valvole meccaniche. Il documento riporta tra l’altro numerosi schemi di nuove applicazioni come nella cardioversione, sulla evidenza degli studi “Xvert” per rivaroxaban ed “Ensure” per edoxaban o nella abla-zione della fibrillazione atriale, ritenuta procedura a elevato rischio emorragico, dove viene finalmente sconsigliata la terapia ponte con Eparina proseguen-do invece l’assunzione del NAO fino a 12-24 h prima dell’ablazione con reinizio 6 ore dopo la procedura (studio “Re Circuit” con dabigatran e studio “Venture AF” con rivaroxaban)». Dunque non vi sono ombre sui NAO? «Limiti principali - spiega ancora Infusino – sono rappresentati dalla non prescrivibilità in pre-senza di insufficienza renale grave o di cirrosi epati-ca e, fino a poco tempo fa, anche dalla mancanza di antidoti specifici da somministrare in caso di emor-ragia entro le 24 h dall’assunzione. Da qualche me-se questo problema è stato superato per dabigatran con l’introduzione del “Praxibind”, farmaco specifico in grado di bloccare l’effetto del dabigatran stesso e dalla prossima introduzione del “Andexanet”, che inibisce l’effetto degli altri tre NAO. Insomma in po-co tempo abbiamo visto cambiare radicalmente e in meglio il nostro modo di lavorare così come il mo-do di intendere la prevenzione dell’ictus ischemico nella fibrillazione atriale, garantendo al paziente un migliore profilo di sicurezza e una più facile gestione senza prelievi per l’INR o passaggi alle penose puntu-re sulla pancia magari per l’estrazione di un molare: una vera rivoluzione silenziosa». 

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LE ALTERNATIVE AI FARMACI NEL PAZIENTE AD ALTO RISCHIO EMORRAGICO COME GLI OCCLUSORI AURICOLARI

Abbiamo visto che la FA è l’aritmia più diffusa nella popolazione ge-nerale. Negli ultimi anni con l’au-mento dell’età media della popo-lazione è stato inoltre registrato anche un aumento della sua inci-denza, dato che questa patologia è strettamente collegata con l’età. Abbiamo anche visto che il rischio maggiore alla fibrillazione atriale è l’ictus ischemico. «I pazienti con fibrillazione atria-le - spiega Patrizio Mazzone, co-ordinatore di Area Laboratori di Elettrofisiologia ed Elettrostimo-lazione dell’Ospedale San Raffa-ele di Milano - hanno un rischio di ictus 5 volte più alto rispetto alla popolazione generale. L’ictus rap-presenta nei paesi indu-strializzati la prima causa di invalidità permanente e la terza di mortalità. È una patologia che colpisce so-prattutto la popolazione anziana con più di 65 anni di età: l’incidenza, stimata tra i 100 e 200 casi annui ogni 100.000 abitanti, aumenta progressivamente con l’e-tà, con lieve prevalenza nel sesso maschile. La fibrilla-zione atriale e l’ictus posso-no pertanto determinare una alta percentuale di disabilità per cui sono particolarmente importanti la prevenzione e il trattamento. Il meccanismo che causa l’ictus nel-la fibrillazione atriale è in genere la formazione di un coagulo in una parte dell’atrio sinistro, chiamata auricola, che può embolizzare nel cervello. La strategia terapeutica tradizionale – prosegue Mazzone – è basata sull’utilizzo dei farmaci an-ticoagulanti che hanno lo scopo di

prevenire la formazione del trom-bo all’interno dell’auricola sinistra. Per molti anni è stato disponibile sul mercato solo il warfarin (nomi commerciali Coumadin o Sintrom) che pur dimostrando una buona efficacia ha diversi limiti. Il primo è quello di richiedere frequenti con-trolli ematologici per stabilire il va-

lore dell’INR, ma accanto a questo esistono numerose interazioni con farmaci o alimenti. Negli ultimi an-ni si sono resi disponibili nuovi far-maci anticoagulanti che oltre ad essere più efficaci, sono più facili da gestire, in quanto non richiedono frequenti controlli e hanno meno interazioni con farmaci ed alimen-ti. Tuttavia anche questi farmaci hanno dei limiti perché non utiliz-zabili facilmente in pazienti con in-sufficienza renale o epatica. Tutti i

farmaci anticoagulanti di vecchia e nuova generazione possono co-munque presentare effetti colla-terali o indesiderati anche molto gravi come emorragie cerebrali, gastriche o del sistema genito-urinario che controindicano il loro utilizzo. Esistono inoltre numerose patologie, soprattutto ematologi-che e del sistema gastrointestinale che predispongono a emorragie nelle quali non è possibile pratica-re alcuna terapia anticoagulante«Per venire incontro a questa esi-genza è stata messa a punto la procedura della chiusura dell’au-ricola sinistra per via percutanea. «Questa procedura – spiega anco-ra Mazzone – viene generalmen-te eseguita in anestesia generale, l’approccio utilizzato è venosa fe-morale destra. Si effettua una pun-tura transettale tra l’atrio destro e sinistro e sotto guida angiogra-

fica e tramite una ecogra-fia transesofagea, cioè una sonda posiziona in esofago, si posiziona nell’auricola dell’atrio sinistro un dispo-sitivo, il cosiddetto “om-brellino” che occlude tale struttura anatomica. I tempi medi di degenza per il pa-ziente sono due o tre giorni; il paziente deve effettuare terapia aggregante per i pri-mi mesi dopo l’intervento e la terapia viene poi sospesa

durante il follow-up ambulatoria-le. La procedura è generalmente ben tollerata e la percentuale di complicanze è molto bassa. I dati provenienti sia dai grandi registri internazionali che da quelli spon-tanei mostrano ottimi risultati a distanza perché i pazienti non as-sumono terapia anticoagulante e quindi non hanno problematiche emorragiche ma hanno pure basse percentuali di ictus perché la fonte principale di emboli».

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LO PSICOLOGO AL TUO FIANCO

La testimonianzaÈ ora di andare. Mi accingo a raccogliere le mie cose, sa-luto il personale così gentile che mi ha seguito in questa traversata “a cuore aperto”, infine, stringo la mano al mio confidente psicologo che mi fa un grande “in bocca al lupo” ed esco dal Sant’Anna, accompagnato da mia figlia. Tanti pensieri invadono la mia mente. Sono con-fuso. Mi sento solo, sento che il tempo mi è scivolato via troppo in fretta senza mai darmi modo di occuparmi della mia famiglia, di mia figlia, che visibilmente emo-zionata mi abbraccia. Mi vengono in mente le parole dello psicologo: “ora lei ha un cuore nuovo, pronto a emozionarsi”. Molta gente lamenta il fatto che quasi mai è riuscita a vedermi sorridere. Eppure, ora, qual-cosa era cambiato dentro di me, temevo che la vita po-tesse sfuggirmi di mano e volevo stringerla forte. Come quell’abbraccio. I rapporti sono tutto, dice lo psicologo, e mi ha suggerito di rivedere il rapporto con mia figlia. Desideravo un maschio e ho sempre pensato che fosse stato questo il motivo per cui non sono riuscito ad es-sere un buon padre. Ci ho provato però. E oggi la gran-de sorpresa, che mia figlia si rivela a me come la cosa migliore che mi sia capitata. Mi amava nonostante gli errori che avevo commesso. Mi sono sentito accet-tato per ciò che sono e perdonato senza riserve. Come ricambiare? Non sono bravo in questo, sono abituato a prendere ciò che mi serve, non a ricambiare. Se l’in-tervento al cuore c’entra qualcosa in tutto questo non lo so, ma devo fare i miei più sinceri complimenti a tut-ti, dal primo all’ultimo tra medici e paramedici di cui si avvale il Sant’Anna di Catanzaro. Prometto di investire bene il tempo che mi resta, curando ogni mia relazione, l’ho promesso allo psicologo - il dr. Ruga.

(Tratto da www.robertoruga.it “Un vecchio testardo”)

Il commentoCome si fa a compiere le scelte giuste nella vita? Esi-stono delle regole da seguire? Il paziente ha compre-so che per non sbagliare, deve affidarsi ad un aspetto profondo e nascosto di se stesso. La situazione emo-tiva che si sprigiona dall’abbraccio, gli permette di guardare nella giusta direzione: al mondo delle re-lazioni. Molte malattie arrivano per segnalarci che

le nostre relazioni affettive sono carenti, povere, di-storte e perverse. Dietro il senso di colpa che prova il paziente, c’è l’esigenza di intraprendere una nuo-va strada. Inizialmente, vede solo la confusione e la solitudine. Infatti, la sua solita razionalità è venuta meno, lasciando intravedere un nuovo modo di con-siderare il rapporto con sua figlia. L’abbraccio mette a soqquadro la sua vecchia concezione della relazio-ne e si accorge che la figlia lo ama nonostante tutto, è confuso, non sa cosa pensare, ma inizia a percepire i suoi sentimenti per lei. Insieme, proviamo a rinarrare alcuni accadimenti cruciali della sua storia familia-re, per dar loro un nuovo e più ampio significato. Il paziente intuisce di possedere un’identità nascosta, diversa da quella manifesta. E inizia ad affidarsi a questo sapere che sa dove condurlo. Nel sottosuolo dell’anima ha ritrovato un’immagine antica, quel-la di un padre e una bambina, abbracciati: lei pian-ge, mentre lui la consola sorridendo. Nell’inconscio è possibile far coesistere il riso nel pianto. La nostra mente razionale non lo accetta: o c’è il piacere o c’è il dolore. Al contrario, nel profondo noi siamo sempre una cosa e l’altra, siamo la gioia e la sofferenza. Accet-tarlo significa crescere, imparando a stare con ogni nostra emozione, come fanno i bambini, veri maestri di empatia e di partecipazione alla vita. Il senso di colpa per essere stato assente nella vita di sua figlia stava spegnendo il suo entusiasmo, ma la strada del benessere è in realtà molto più breve e semplice di quello che crede. A fargliela sembrare lunga e diffi-cile sono i pregiudizi e i luoghi comuni che ha assor-bito dall’esterno e che ha accettato passivamente, come il desiderio di avere un figlio maschio. Un pre-giudizio pericoloso e difficile da estirpare. Bisogna che egli capisca quanto certe presunte verità siano in realtà inconsistenti, e come terribili spauracchi che ci hanno tenuto in scacco per anni si rivelino mostri di fumo, da spazzare via con un semplice soffio. Il sof-fio di un abbraccio. Dunque, esistono delle regole? Sì: appassionarsi, commuoversi, emozionarsi. E’ un nuovo inizio per il paziente, ora sa che il suo bisogno si chiama “incontro”.

La rubrica ospita la voce dei pazienti attraverso le testimonianze dirette, commentate a cura del Servizio di Cardiopsicologia del Sant’Anna Hospital, di cui è responsabile il dottor Roberto Ruga.

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Lettere al Magazine

Quando la cura delle persone ammalate non è un ripiego, i buoni risultati arrivano in ogni latitudine: arginare l’emigrazione sanitaria in Calabria non è più un’utopia, non è un processo irreversibile. Vale per il Sant’Anna Hospital di Catanzaro, una struttura ospedaliera specializzata in patologie cardiovascolari che, a detta di mol-ti, riscrive la storia della sanità in Calabria, spazzando via stereotipi e luoghi comuni che prescindono dalla realtà, basandosi su opinioni precostituite e generalizzate: curarsi bene in Calabria è possibile. In viale Pio X di Catanzaro, presso la struttura ospedaliera privata accreditata, ho constatato che i punti di forza e le criticità del servizio sanitario nazionale non si possono dividere con un taglio netto in modo da avere solo una delle due cose: di qua i bravi medici, di là quelli incompetenti; di qua le strutture ospedaliere che funzionano, di là quelle da denigrare; di qua il Nord dove tutto funziona, di là di Sud in cui c’è solo malasanità. Non è così perché le cose sovente si mischiano e la geografia mistifica la realtà quando si parla di servizio sanitario in Italia. Capita di imbattersi, anche al Sud, in nosocomi che funzionano bene, che, ogni giorno, danno certezze e speranze agli ammalati e ai loro familiari, che tutelano la salute come diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività, che concertano e realizzano buone pratiche mediche. Ho osservato, da vicino, come ope-rano al Sant’Anna Hospital di Catanzaro e spendo, senza piaggeria o secondi fini, belle e meritate parole per chi ci lavora, dal direttore sino agli addetti alle pulizie, per senso del dovere, empatia, igiene, celerità, gioco di squadra, trasparenza, organizzazione, accoglienza, vocazione, competenze e professionalità. E poi i dottori: non solo preparati, ma anche motivati, non solo competenti, ma anche vigili ed empatici. Qualche nome? Ne ho conosciuti solo due, il professore Daniele Maselli e la dottoressa Mimma Donato, ma tanto è bastato per intuire che qui fare il medico è prima una missione e solo dopo una professione. Va da sé che al Sant’Anna Ho-spital i dottori bravi non sono solo due: qui il noi prevale sull’io e la filosofia del team, 4mila interventi in poco più di quattro anni, porta inesorabilmente alla continuità nell’eccellenza. Tradotto: curarsi bene in Calabria è possibile.

prof. Enzo bubbo

Scrivo la presente per rendere il dovuto elogio alla vostra struttura ospedaliera intesa a sottolineare l’asso-luta qualità dell’assistenza che è stata prestata a mio padre dal dott. Maselli e dalla sua equipe e dalla dott.ssa Pugliese in particolare. Competenza, attenzione, cura, dedizione, pulizia hanno reso umana e gradevole questa “esperienza”. Io e la mia famiglia vi ringraziamo davvero tanto e vi rivolgiamo i più sentiti complimenti e ringraziamenti per il vostro prezioso operato; allo staff della cardiologia, terapia intensiva e cardiochirurgia (compreso personale OSS e ausiliari), dove tutto funziona secondo una logica di efficienza. Vorrei sottolineare in ultimo l’ottimo rapporto umano esistente tra il personale sanitario e i degenti (cosa, a mio giudizio, fonda-mentale e che purtroppo spesso non trova riscontro nelle varie strutture ospedaliere). In particolare sento in questo momento di ringraziare la dottoressa Pugliese che sin da subito è stata con mio padre e con noi familiari cordiale, disponibile, gentile e molto delicata, perché è vero che la sofferenza rende spesso esigenti e poco pazienti anche i familiari ma da parte sua abbiamo sempre ricevuto tanta attenzione, professionalità e aiuto. Grazie di cuore a tutto il Sant’Anna!

philomena leonetti

Voglio ringraziare tutti ma proprio tutti per tutto il lavoro fatto e per l’amore dato a mia mamma, Francesca Iannone. Senza tutti voi, e sono convinta di questo, non sarebbe con noi oggi. Sono stati tre mesi lunghi, tre mesi duri, ma tutto il Sant’anna Hospital ci è stato vicino. Oggi mia mamma ha ancora tanto da affrontare, ma grazie a voi può lottare per farlo. Non sto qui a fare nomi, perché dovrei fare un elenco lunghissimo, ma tengo a dire che tutti quelli che lavorano al Sant’anna Hospital, dal primo all’ultimo, sono persone meravigliose. Non finirò mai di ringraziarvi e sono sicura che mia madre la pensa come me. Vi abbraccio tutti con immenso affet-to. Grazie ancora per quello che fate e per come lo fate. Siete grandi!!!

Giovanna Merola

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