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Saggistica Aracne222

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Francesco Fulgini

Natura e storiasimbiosi della batteria di difesa costiera

ammiraglio “carlo cattaneo”

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(06) 93781065

isbn 978–88–548–4253–3

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento anche parziale,

con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: settembre 2011

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A mia moglie Maria Piaa nostro figlio Francesco

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In memoria di mia madre Anna Calvelli e di mio padre Giu-seppe, in servizio alla “Batteria Ammiraglio Carlo Cattaneo ” di Leporano (Taranto). Sergente della Regia Marina – Corpo Reale Equipaggi Marittimi, matricola militare n. 86026, leva chiamata alle armi nell’anno 1942–Seconda Guerra Mondia-le, “Marò Aerofonista1” – Campagne di Guerra per gli anni 1943–1944–1945 (brev. 33665 di Maripersomil) – Conferitogli la Croce al Merito di Guerra – Medaglia commemorativa con una Stelletta d’Argento e Medaglia della Guerra di Libe-razione con due Stellette d’Argento.

1. Aerofono: strumento acustico per l’individuazione di un suono e della distanza della sua sorgente. è costituito da una coppia di ricevitori a forma di trombe o paraboloidi che raccolgono ed amplificano il suono concentrandolo in un sistema di ascolto. Se si pone una serie di aerofoni a distanze note, dalla differenza dei tempi di arrivo del suono ai diversi aerofoni si risale alla distanza della sorgente sonora. Gli aerofoni furono molto impiegati durante la II guerra mondiale prima dell’avvento del ra-dar: la loro utilizzazione non diede però risultati soddisfacenti sia per la portata modesta degli aerofoni rapportata alla velocità degli aerei, sia per le notevoli irregolarità di propagazione del suono (La grande Enciclopedia, Istituto Geografico De Agostini S.p.A., Novara 1972.

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Ringraziamenti

Ringrazio con viva cortesia:Antonio Galasso, laureato in Scienze naturali ad indirizzo Conserva-zione della natura e delle risorse, consulente ambientale;Cosimo Marseglia esperto in Storia militare, attualmente collabo-ratore dell’Università del Salento;Nicola Muscogiuri, docente di Economia internazionale all’Univer-sità Politecnico di Lugano (CH).

Tutti i documenti e le mappe catastali presenti nel libro sono stati concessi in osservazione dal Comune di Leporano (Taranto).

Si ringrazia la Black Eagles – Associazione Sportiva dilettantistica; la Soft Air di Metaponto per le sezioni realizzate della postazione bellica della Batteria Cattaneo.

Con il contributo della

“bancavirtuale.com”

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Indice

13 Prefazione di Nicola Muscogiuri

15 Premessa

21 Introduzione

25 1. Ricordi di uno scoutLe origini – Una data storica – La Promessa – Av-venture da scout – Addio all’ASCI – Cronologia di alcune attività – Preghiera del Bosco

47 2. Carlo CattaneoL’uomo – Preludio allo scontro – Lo scontro di Gaudo – La battaglia di Capo Matapan – Gli Eroi del Mare

61 3. Metodi di rilevamento fisiologicoCampionamento della flora – Elaborazione statistica – Analisi della flora – Analisi del clima

69 4. Il Parco Batteria CattaneoUbicazione, morfologia, cenni climatici e geo–pedolo-gici – La flora – Fascia a vegetazione psammofila – Zona a macchia mediterranea – Zona del Pino marittimo e Pino d’Aleppo – Fascia a zone miste (prato e bosco) – Radure e prati – Alcune specie presenti nel Parco

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12 Natura e storia

109 5. La flora e la faunaAlberi – Il sottobosco – La fauna

125 6. Aspetti fisici ed interventi antropiciReperti archeologici – Inquadramento territoriale e confini – Caratteristiche planimetriche ed orografi-che – Caratteristiche ambientali vegetazionali – L’antropizzazione dell’area – Piani, progetti e pro-grammi – Inquadramento catastale – La qualifica-zione delle aree – L’edificato

143 7. La Pearl Harbour italianaLe operazioni navali italiane dopo l’entrata in guer-ra – L’operazione Judgement – L’attacco a Taranto: una Pearl Harbour italiana

149 8. La batteria di Artiglieria da costa Carlo Cat-taneoInstallazione di batterie di Artiglieria da costa – Strut-tura della base – Lo smantellamento della batteria

159 9. ScenariColori di autunno nel Bosco Blandamura – Strutture fortificate della Batteria “Ammiraglio Carlo Cattaneo”

191 Riflessioni

193 Appendice

197 Minidizionario dei termini utilizzati

199 Bibliografia

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Prefazione

Le pubblicazioni e gli eventi che hanno al centro come argomenti natura e eventi bellici sono stati numerosi nel corso degli ultimi decenni. Tuttora il flusso non accenna a diminuire per gli interessi molteplici che queste argo-mentazioni suscitano.

Anzitutto perché Taranto e l’Italia non possono farne a meno. In genere i “luoghi” sono importanti perché rap-presentano i punti di origine di un percorso, le radici, op-pure di arrivo, cioè di mete sognate.

Le argomentazioni che Fulgini propone ripercorrono quelli stati “emozionali” che solo la natura con il suo “ri-gogliare” sa proporre.

La natura attraverso la sua molteplicità di piante, di colore, di vita che nasce, muore e rinasce, trasforma un luogo che è stato di guerra, di sofferenza, in qualcosa di speranza “futuristica e futuribile” da consegnare, ai po-steri, come testimonianza vivente da rivivere.

Di questo intreccio complesso di rapporti tra “com-plessi strutturali” e natura, Francesco Fulgini ripercorre le tappe fondamentali dosando opportunamente in un utile cocktail quei momenti descrittivi, di analisi e di va-lutazioni dei principali eventi politici, che passano dalla Cattaneo e giungono ai giorni nostri attraverso il conser-vatorismo che solo la natura sa predisporre.

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Il peso di questo duplice rapporto, natura e bellicismo, implica la difficile e dolorosa capacità di pensiero fino a ricongiungere i due estremi, è forte. I passaggi più impor-tanti sono illustrati con un indice erudito delle sigle e dei concetti in uso che facilita il percorso di lettura.

Quelle mancanze, però, poetiche e non cui voluta-mente Fulgini lascia alle varie interpretazioni personali, si spera, saranno argomento di una sua prossima pubbli-cazione.

Nicola MuscogiuriDocente International Economics

Politecnico Studi Aziendali Lugano (CH)

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Premessa

Lo studio della natura vi mostrerà di quante cose belle e meravigliose Dio ha riempito il mondo per la vostra felicità.Baden Powell, Capo Scout del mondo, 1907

Il presente libro, contiene il risultato di un lavoro di ri-cerca ed osservazione, iniziato nel 1993, relativo alla flora spontanea e spontaneizzata, della “Batteria Ammiraglio Carlo Cattaneo” zona Blandamura, situata tra il “Porto di Gandoli” e “Capo San Francesco”.

Dal 1964, due anni dopo che seppur giovanissimo, fondammo il Gruppo scout a Talsano (Taranto), nella lettura dei libri di Baden Powell, fondatore dello scauti-smo e Capo Scout del mondo, ho beneficiato degli inse-gnamenti di altruismo,rispetto, disinteresse e lealtà di cui sono permeati i suoi numerosi scritti.

Mi ha affascinato perché è il senso, la genialità è il fon-damento cui basa l’essenza dell’essere scout, nella lettura dei suoi libri sullo scautismo, una frase in particolare tra i suoi scritti del 1907:

L’aria aperta è il campo di attività privilegiato dallo scau-tismo. L’aria aperta è un laboratorio, un tempio, un luogo di scoperta e una opportunità per ciascuno di accostarsi

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al suo Dio. è la natura la migliore palestra per scoprite se stessi, la propria forza e resistenza fisica, il proprio valore, la spiritualità.

Nel suo “Ultimo Messaggio” Baden Powell si rivolge a tutti gli del mondo, e conclude il suo testamento spiri-tuale con la seguente frase:

Ma il vero modo di essere felice è quello di procurare la fe-licità agli altri. Procurate di lasciare questo mondo un po’ migliore di quanto non l’avete trovato.

Il Centro Studi Scout “Senza Frontiere” – Scout Cen-tre Studyng “No Frontiers”, Studio e Osservazione del-la Natura, con l’Associazione scout GEI Puglia onlus – Giovani Esploratori Italiani della Puglia Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale, desiderano contribuire a sensibilizzare i giovani al rispetto della natura ed alla necessità della sua conservazione.

Quale amante della natura, l’obiettivo principale della ricerca è stato ed è quello di censire la flora in particolare, in quanto la scomparsa di determinate specie è riscon-trabile solo nel momento in cui l’irreparabile si realizza e nulla può più essere fatto per salvarla. La sparizione o la rarefazione di alcune specie della fauna è facilmente ri-scontrabile e, quindi, si possono creare i presupposti per un interesse conservativo e riproduttivo.

La Batteria Cattaneo, in agro del Comune di Leporano in provincia di Taranto, un tempo strumento logistico di guerra, è l’unica “oasi nel deserto di cemento“ che resta. Un polmone verde che, al giorno d’oggi, coscientemente pone i presupposti per un’eredità da lasciare alle genera-zioni future, in un contesto ambientale, quale quello del sito territoriale inquinato maggiormente dalle industrie tarantine.

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Premessa 17

Creare il parco naturale, una oasi di tranquillità in cui la flora e la fauna siano osservate e non disturbate o depauperate, non influendo in alcun modo sulla spon-taneità, realizzare sentieri protetti e tutto ciò che possa valorizzarlo.

Salvaguardare l’ambiente è fondamentale per questa nostra terra, tanto trascurata nel passato.

Francesco Fulgini

Le tipiche piante della Macchia Mediterranea

Un tempo l’Italia era fittamente ricoperta di foreste e l’uomo ne ritraeva legna, selvaggina, funghi e bacche. Gli uomini erano pochi e gli alberi numerosi. Poi, nel succedersi dei secoli, l’equilibrio si è capovolto: gli uo-mini, sempre più in molti, hanno cominciato l’assedio alla foresta. L’hanno dilaniata, l’hanno sventrata, l’han-no intossicata di veleni inquinanti.

Oggi restano in Italia soltanto “fazzoletti” di foresta: poche preziosissime isole di verde da salvare ad ogni costo, perché sono vitali serbatoi di ossigeno e perché in questi ultimi rifugi possono sopravvivere molte cen-tinaia di specie di animali altrimenti destinati all’estin-zione.

L’antico legame dell’uomo con la foresta si è talmente affievolito che oggi, per molti di noi, il bosco è soltanto un insieme, più o meno fitto, di alberi difficili da ricono-scere. Quella pianta è un pino o un larice? Quell’altra è una quercia o un faggio? Con questo quarto “manifesto della natura” … che possono appunto aiutarci a risco-prire i meravigliosi alberi del nostro Paese e, magari, a riaccendere il lontano amore dell’uomo per la foresta.

Almeno per quella poca che ne è rimasta.

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18 Natura e storia

Le piante che amano il mare

Pinus pinea (Pino domestico)Altezza fino a 20 – 30 metri, sempreverde.Tutti i litorali marittimi italiani.

Cupressus sempervirens (Cipresso italico)Altezza fono a 20–50 metri, sempreverde.Dal mare sino a 700 metri.

Tamarix (Tamerice)Altezza fino a 10 metri, a foglia persistente e caduca secondo le zone.Tutti i litorali della penisola e isole.

Juniperus phoenicea (Ginepro fenico)Arbusto, altezza 2–3 metri, sempreverde. In tutta Italia, caratteristico della duna, può arrivare fino alla zona montana.

Juniperus macrocarpa (Ginepro coccolone)Arbusto, altezza 2–3 metri, sempreverde.Predilige le sabbie dei litorali.

Quercus suber (Sughero o Sughera)Altezza fino a 15–25 metri, foglie persistenti.Sardegna e versante tirrenico dalla Toscana verso sud.

Pinus pinaster (Pino marittimo)Altezza fino a 20 – 30 metri, sempreverde, litorale tirrenico (e jonico, n.d.r.)(su quello adriatico è d’importazione), fino ai 1.000 metri.

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Premessa 19

Quercus ilex (Leccio)Altezza fino a 20 – 25 metri, foglie persistenti.In tutta l’Italia a clima mediterraneo, dal litorale ai 1.500 metri.

Laurus nobilis (Alloro) Altezza fino a 10 – 20 metri, sempreverde.In tutta l’Italia a clima mediterraneo, dal litorale a 600 metri.

Eucalyptus camaldulensis (Eucalipto rostrato)Altezza fino a 20 – 25 metri, sempreverde.Importato dall’Australia, caratterizza oggi i litorali meridionali e insulari.

Olea europaea oleaster (Olivo selvatico)Altezza 3 – 10 metri.Caratteristico della macchia mediterranea, arriva fin sulle dune.

dalla “Domenica del Corriere”: I mani-festi della natura, inserto n. 4, “Le piante della Macchia Mediterranea”.

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L’ambiente naturale, nel suo insieme, è costituito dal suolo, dalla vegetazione, dalla fauna e dal clima, elementi non scindibili ma strettamente interconnessi in un reale e armonico equilibrio. Secondo le parole del Barbone:

Il bosco rappresenta l’ecosistema a più alto grado di socia-lità ed è l’unica entità vivente capace di adempiere contem-poraneamente a funzioni riproduttive, protettive e ricrea-tive. Dall’esistenza dell’area forestale dipendono in modo determinante la stabilità idrogeologica, la produzione del legno, la circolazione delle acque, la purezza e la salubrità dell’aria, le possibilità ricreative, la conservazione estetica del paesaggio, la vita e la protezione della fauna, della flora ecc. Il bosco assume quindi la dimensione di un bene so-ciale e le sue funzioni sono inequivocabilmente da consi-derarsi funzioni sociali1.

Il bosco, in cui sono immerse le costruzioni, è un bosco artificiale, un bosco che doveva assolvere alla funzione di creare un “muro” verde, per nascondere e mimetizzare, all’eventuale osservatore dal mare il complesso di difesa/offesa costiera.

Se lo si osserva con attenzione, ci si accorge che è un bosco misto impiantato perché costituito da diverse specie di alberi, conifere e cespugli, diventato sponta-

1. E. Barbone, Bollettino Agricolo Regione Puglia, 1974.

Introduzione

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neizzato nel tempo ad opera della natura che ha ripreso il sopravvento

Le costruzioni intorno al perimetro della Batteria Cattaneo, non integrate in un progetto che rispetti l’am-biente, alterano e deturpano il paesaggio, contribuendo allo scempio perpetrato dall’uomo a danno della natura ed al suo inquinamento. L’attuale società avverte sempre di più il bisogno di evadere dallo stress che il ritmo del lavoro e della quotidianità produce, rifugiandosi in am-bienti naturali, in special modo durante il periodo estivo, quando maggiormente si ha la possibilità di sfuggire alle convulse ed afose città ed alle relative zone industriali. La disattenzione e la scarsa cura dell’essere umano nei con-fronti della natura sono fattori che spesso causano incendi o altri danni simili. Comportamenti disdicevoli sono, di frequente, la causa di irreparabili danneggiamenti del manto boschivo, dei prati e degli alberi. A ciò si aggiunge il fatto che, molto spesso, i boschi sono considerati vere e proprie pattumiere per ogni genere di oggetti o materiali. è, dunque, l’incauto atteggiamento dell’essere umano a procurare i maggiori danni alle funzioni ecologiche, bio-logiche, economiche, culturali, scientifiche, educative e ricreative di un ambiente, mettendo, tra l’altro, in serio pericolo la pubblica incolumità e la salute.

Il comprensorio di Blandamura “Batteria Ammiraglio Carlo Cattaneo”, è una delle pochissime “isole” nel cir-costante “mare” di cemento, parzialmente preservato ed illeso dall’azione invadente e distruttrice dell’uomo, per moltissimi chilometri non si trova altro insediamento bo-schivo della fattispecie.

Chiunque voglia usufruire del parco deve essere sen-sibilizzato affinché possa sentirsi partecipe della rarità del luogo, questo è di vitale importanza. è necessario solleci-tare gli utenti ad aver cura del sito e, nel contempo, spin-gerli a una vigilanza finalizzata a impedire che altri, con

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Introduzione 23

il proprio comportamento, arrechino danni, consentendo così anche ai posteri di poterne usufruire.

— I giovani scout (del GEI Puglia onlus – Giovani Esploratori Italiani della Puglia – (Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale), sotto la guida di educatori adulti, sono stimolati, grazie anche ad attività condotte all’aria aperta ed al contatto con piante, alberi, flora e fauna in genere, a rece-pire la necessità di amare, rispettare, proteggere e conservare la natura e l’ambiente. L’opera dello scoutismo, integrata da un’attenta e corretta infor-mazione, a cominciare sia dall’ambito scolastico, sia da quello familiare, è auspicabile che possa sor-tire, in un immediato futuro, un aiuto non indif-ferente, teso a sensibilizzare ed educare le giovani generazioni. La creazione di un Parco Marino accrescerebbe ancor di più questa rinomata città di Leporano, e porre maggiore attenzione alla protezione della zona in cui sono presenti il Lentisco, il Corbezzolo e il Mirto che fanno parte della macchia mediterranea, che se non tutelata, sarebbe destinata a scomparire.A tale scopo, la preparazione e la diffusione di speci-fici Manuali Natura, in cui siano descritte dettaglia-tamente la flora e la fauna del “Batteria Cattaneo”, potrebbe sicuramente contribuire ad un maggior rispetto e, di conseguenza, alla conservazione dello stesso.

— Come da Statuto, in premessa, l’Associazione “GEI Puglia – Giovani Esploratori Italiani della Puglia” costituisce la continuità, sotto tutti gli aspetti, della Sezione di Taranto del CNGEI, Corpo Nazionale Giovani Esploratori ed Esploratrici Italiani, ed è

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impegnata a proseguire nel suo lavoro.

— Carta topografica – Foglio TALSANO 202 II SO – Edizione 1_IGMI – Scala 1:25.000 – Zona 33T – Identificazione di quadrato di 100 chilometri di lato: XE

Dati europei 1950 Coordinate: Longitudine 92–93–94 Latitudine 72–73–74

Mentre vivete la vostra vita terrena, cercate di fare qualche cosa di buono che possa rimanere dopo di voi (Baden Powell of Gilwell – Capo Scout del mondo).

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1. Ricordi di uno scout

Le origini

Nella ricorrenza del centenario della fondazione dello scautismo Mondiale 1907–2007 e nel 45° anniversario della fondazione dello scautismo a Talsano, fui invitato a mettere per iscritto le nostre memorie, 45 anni nel mo-vimento scout. Che avventura, che vita, un ideale che ha saputo infondere in noi il modello del cittadino con dei valori.

Lo scautismo nella nostra adolescenza ci ha segnato e plasmato proprio nella fase in cui eravamo alla ricerca di modelli di riferimento cui ispirarci.

I principi basati sulla lealtà, l’onore, la capacità di in-tegrarsi in un gruppo, il rispettare delle regole racchiuse in una Legge e nella Promessa Scout. ciò che ci faceva elettrizzare era la possibilità di concretizzare ciò che la fantasia trasportata nei lontani mondi dell’avventura per mezzo di giornali a fumetti: Grande Black, Capitan Mike, ecc. La cosa più bella era che in questo “viaggio” non si era soli ma con altri e questo infondeva un coraggio ed una speranza nella riuscita in ciò che si sognava di co-struire con lo scautismo, una società diversa per una vita diversa.

Il divertimento maggiore erano i “grandi giochi” che avevano il potere di assorbire la mente e tutto il tempo

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della giornata o della notte nel bosco, assorti ad elaborare strategie e tattiche di Pattuglia per poter distrarre gli av-versare ed impadronirsi dell’ambito trofeo, per poi can-zonarli per l’intera settimana, nell’attesa della riunione. La stessa cosa si verificava, ovviamente all’inverso, in caso di sconfitta!

La genialità dello scoutismo si riscontra nel sistema di Pattuglia, ma anche nel disporre di un’uniforme semplice ed alla portata di tutti. L’andare nei boschi, poi, lo stare fuori l’intera giornata, che poi era più ambita, magari anche la notte, per assaporare l’avventura e così dimen-ticare, per alcune ore, i più svariati piccoli problemi del vivere quotidiano.

Una data storica

è il 13 maggio 1962, nella chiesa Madonna di Fa-tima, Parroco Don Luigi De Filippis di Grottaglie, che segna il sorgere dello scautismo a Talsano, Borgata di Taranto, con la nascita dell’ASCI, Associazione Scout Cattolici Italiani, di Talsano. Il primo assistente Spiri-tuale era lo stesso Parroco, la sede era allocata nell’Ora-torio della chiesa Madonna di Fatima. La prima stanza, entrando dal lato salone, ospitava il “Reparto Esplo-ratori”, quella a seguire il “Branco dei Lupetti”, i “Ro-vers” non li avevamo.

Il Reparto “Leoni d’Italia” era formato da tre Squa-driglie: Tigri, Aquile e Antilopi, ognuna delle quali di-sponeva di uno spazio all’interno della stanza, chiamato Angolo di Squadriglia ed attrezzato di tavolo e panche co-struiti da noi stessi, dove si riunivano i componenti per discutere, progettare e, perché no, divertirsi.

I dipinti raffiguranti i totemici Animali di Squadriglia nel loro ambiente naturale, erano stati eseguiti su pan-

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nelli di compensato da un amico pittore, il Lezza. Il Branco San Francesco di Assisi era composto da tre

Sestiglie: Neri, Pezzati e Bianchi. I soci fondatori del Gruppo Talsano 1°, ASCI – 13

maggio 1962 (da sinistra verso destra):

1. Stefano Monteleone 2. Francesco Fulgini 3. Giuseppe Loperfido 4. Pasquale Roberti 5. Enzo De Quarto 6. Francesco Pagliaro 7. Cosimo Capozza 8. Gennaro Calabrese 9. Antonio Ricchiuti. 10. Giovanni Fuggiano 11. Osvaldo Sibilla.

Eravamo orgogliosi ed entusiasti di appartenere ad una Associazione che ci aggregava, quando uscivamo per

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strada composti ed allineati in fila indiana, per raggiungere una qualsiasi località a piedi, la gente ci guardava con una certa curiosità, a causa dell’uniforme composta da una ca-micia color kaki, analoga a quella dell’Esercito Italiano, pantalone corto in velluto a coste millerighe, tenuto da una cintura in cuoio a due anelli laterali a cui appendere il pugnaletto e la borraccia militare in alluminio, chiusa da una fibbia ad incastro sormontato dal giglio scout con ai quattro spigoli riprodotto l’acronimo ASCI, Associa-zione Scout Cattolica Italiana Sin sotto il ginocchio arriva-vano i calzettoni dello stesso colore, Tuttavia, il sogno di ognuno di noi era il cappellone, che richiamava alla mente le Guardie a Cavallo Canadesi, impegnati nelle immense foreste del loro paese. Si, l’avventura di luoghi lontani, di immense pianure, di monti, laghi, foreste popolate da animali ed intricata a causa di vegetazione lussureggiante. Possedere il cappellone scout era un sogno per via del suo costo, tuttavia risparmiando la somma che ogni settimana i nostri genitori ci davano, quando ciò era possibile, op-pure facendo piccoli lavori, si riusciva a mettere da parte, dopo alcuni mesi, la somma necessaria per acquistarlo. Certo si trattava del tipo semplice ma, chi riusciva a per-metterselo, acquistava il cappellone in pelo di lepre.

La tappa successiva fu quella di darci una organiz-zazione nel Reparto Esploratori, le ragazze all’epoca non potevano farne parte, così Stefano Monteleone fu nominato Capo del Reparto Esploratori Talsano 1°. La scelta era quella giusta, poiché Stefano era l’ideatore del progetto, ma anche perché, essendo più grande, poteva recarsi spesso a Taranto con le rare Corriere di Fiorino o con la bici e non era raro, anche a piedi, pertanto, tenere i contatti con il Commissario Zonale e gli altri Gruppi Scout, in particolare col Commissario Provin-ciale ASCI, il Dott. Girolamo Mastronuzzi, di simpatia non comune.

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Ogni scout, doveva completare il suo equipaggia-mento e la sua uniforme con il bastone scout da usare ed utilizzare durante le uscite nei boschi o nelle rappresen-tanze.

Dopo mesi di preparazioni giungeva finalmente il mo-mento della prima uscita ufficiale ed i ragazzi incomin-ciavano ad avvicinarsi ed ad iscriversi: in breve tempo raggiungemmo i quaranta componenti ed una lista di attesa abbastanza consistente. C’era una ferramenta sul corso, costituita da uno stanzone parzialmente intona-cato con pavimento in cemento. All’interno si notava un lungo bancone dietro al quale torreggiavano centinaia di cassettini contenenti minuterie varie, mentre intorno si vedevano attrezzi vari, ferri ed altro materiale. Quando avevamo bisogno di un determinato materiale, con la caratteristica “santa pazienza” Luccio Calabres (Carmine Calabrese), caratteristico col suo camicione azzurro ed il metro permanentemente infilato nel taschino, pronto alla bisogna, ascoltava con attenzione le nostre necessità e, non appena scorgevamo nel suo viso il lume di un sor-riso confortante, quasi dire: «Ho capito! Non preoccu-patevi che vi aiuto», cominciava a rovistare le centinaia di cassettine, sino a quando si materializzava nelle sue mani l’oggetto desiderato. A quel punto erano i nostri visi ad illuminarsi con un sorriso di soddisfazione. Se c’era qualcosa da adattare o modificare, Luccio Calabres ci consigliava come farlo, e spesso lo faceva lui stesso, par-tecipando alla nostra intraprendenza e colmando, così, l’inesperienza della nostra giovanissima età.

Le nostre mire erano spesso rivolte alle “mazze di scopa” o ai chiodini a testa larga con cui inchiodavamo le strisce di pelle di Coniglio, di Agnello, o di Volpe, avvolte sulle stesse mazze, mentre sulla testa dello stesso bastone fissavamo i bicchierini di ottone, in genere utilizzati per proteggere i piedi del mobilio ed isolarlo dal pavimento.

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Infine si completava l’abbellimento con cordino vario e colori per personalizzarli.

La Promessa

Finalmente giunse il giorno della Promessa scout, che noi chiamavamo il Giuramento perché, oltre a conside-rarci ragazzi d’avventura, ci reputavamo anche Soldati di Gesù.

La Promessa fu recitata individualmente sull’altare della chiesa Madonna di Fatima, ponendo la mano sul nostro Guidone di Reparto, chiamato anche Fiamma — di forma quasi triangolare leggermente bombata verso la punta avente tre laccetti con cui legarlo al Guidone (mazza di scopa) i colori rispecchiavano quelli del fazzolettone che portavamo al collo dopo la promessa scout. I colori: tutto blù con bordino rosso e giglio giallo al centro —, alla presenza del parroco, come in uso a quei tempi. Nel momento in cui Stefano, dopo che ognuno di noi aveva pronunciato la solenne formula, ci annodò il fazzolettone blu e rosso intorno al collo, ci sentimmo veramente com-pleti e appartenenti ad un’unica famiglia scout. Prima di quel giorno, tante mamme, nonne e sorelle erano state prese d’assalto per adattarci l’uniforme o per cucirci sopra le bandierine di squadriglia, con l’effigie in nero dell’ani-male da cui la stessa, orgogliosamente, prendeva il nome ed il motto, primo fra tutti il Capo Squadriglia.

Ciò che distingueva il vero scout era il fazzolettone, portato con orgoglio al collo e che ci distingueva dai Piedi Teneri, gli ultimi arrivati. Per tradizione, ogni Gruppo doveva avere il fazzolettone quadrato con un colore a scelta.

Insieme a Stefano, il nostro Capo Reparto, adottammo il fazzolettone blu con un bordino rosso cucito a due cen-

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timetri dal bordo, utilizzando così i colori del Taranto 4° che aveva cessato di esistere come Gruppo. Per fermare il fazzolettone ciascuno dava sfogo alla propria fantasia, tuttavia la maggioranza usava, per rimanere in tema col proprio “Bastone Scout”, una striscia di pelle munita di anelli e chiusa con una cucitura.

Moltissimi sono stati i ragazzi di Talsano cresciuti negli scout. Si può affermare che più di una generazione ne ha ricevuto vantaggi a livello educativo e formativo. Anche se la vita, a causa di svariati problemi o necessità ne allontanò molti, gran parte di essi rientrano in seguito, spinti da lontani e piacevoli ricordi che li spinge a collabo-rare con entusiasmo.

Avventure da scout

Nel settembre del 1963 si costituì il Branco San Fran-cesco di Assisi, Akela della Giungla di Talsano, affidato a Francesco Fulgini. Purtroppo la documentazione foto-grafica dell’epoca è alquanto scarsa le foto in bianco e nero, poiché non esistevano ancora le macchine fotogra-fiche a colori e, comunque possederne una era un lusso che pochi si potevano permettere.

Un grande evento ci coinvolse il 1963: l’11° Jamboree Mondiale in Grecia. Lunedì 29 luglio 1963 a Taranto due navi da guerra l’Etna ed il Vesuvio, furono messe a dispo-sizione dalla Marina Militare Italiana, per trasportare il contingente italiano in Grecia, nella piana di Maratona, per partecipare all’11° raduno mondiale che avviene ogni quattro anni in una nazione diversa e chiamato Jamboree (“marmellata” nell’idioma degli indiani). Anche noi era-vamo lì, col nostro reparto Leoni d’Italia, schierati sulla sinistra guardando frontalmente l’altare dove venne of-ficiata la SS. Messa.

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Già da sabato 27, alla stazione di Taranto, i treni pro-venienti da ogni parte d’Italia scaricavano scout che ve-nivano alloggiati in quelle stesse navi che li avrebbero condotti in Grecia. Domenica 28 il raduno si svolse presso le Scuole CEMM Lorenzo Bezzi di San Vito, dove parteci-pammo alla SS. Messa celebrata dall’Arcivescovo Mons. Guglielmo Motolese.

Dopo questo avvenimento, che aveva coinvolto tutto lo scoutismo Jonico, si continuò con le adunanze setti-manali in sede, le uscite e qualche pernotto. Si avvici-nava ormai il tempo del Campo Estivo, nuovi ragazzi si erano avvicinati poiché l’uniforme e la curiosità attrae-vano gente ogni età o estrazione sociale, affascinati dalla magica ed irreale atmosfera di avventura, di cui eravamo portatori.

Il campo si tenne a Fiumefreddo di Bruzio in provincia di Cosenza, sulle montagne Calabresi, nel 1964. Le tende di tipo canadese erano le Mottarone R, che potevano essere scomposte in teli assemblabili a cucitura manuale, con un sistema di asole in cordino e legno. Anche il catino, che proteggeva dall’umidità del terreno, era staccato. La tenda, una volta assiemata, veniva tenuta centralmente da una paleria in legno ad innesto che la manteneva ritta, mentre, lateralmente, da tiranti regolabili cuciti diret-tamente nel telo ed ancorata con picchetti in lamierino zincato. La batteria da cucina era composta dalle pentole che i genitori dei partecipanti metteva a disposizione. Per abbattere i costi, molti prodotti per la cucina erano ceduti dalla C.E.E. attraverso la C.R.I. e la Charitas Diocesana.

Nel 1964 eravamo iscritti all’ASCI Gruppo Taranto 5°, come Gruppo ASCI Talsano 1°2, tuttavia, nello stesso

2. Vedi “il Taranto 5° nel 50° dalla sua fondazione”– G. Vellami – Brizio – Taranto, p. 129, n. 764 Fulgini Francesco e p.135, n. 1233 Monte-leone Stefano.

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anno, le cose cominciarono a prendere una piega inso-spettata, a causa di nuovi entrati con idee diverse e desi-derio di mettere le mani sul Gruppo che, nel frattempo, era cresciuto notevolmente. Cominciarono le diatribe, dovute spesso all’ingresso di gente che si professava non cattolica e, quindi, in contrasto con gli ideali dello scou-tismo. Erano i tempi della Guerra Fredda, gli anni della contestazione giovanile, e tutti si aspettavano una ven-tata di rinnovamento

Addio all’ASCI

Al ritorno dal campo estivo, tenutosi a Fiumefreddo di Bruzio (Cs), ebbe inizio un periodo conflitto nella staff di reparto, nonché tra gli stessi ed il parroco. L’at-mosfera generale cominciò ad essere tesa, al punto che, in breve tempo, alcuni convennero che l’ASCI non ga-rantiva uno scautismo aperto a tutti, laico e tollerante. Venendo a mancare l’appoggio del Parroco, dall’oggi al domani, ci trovammo costretti a svolgere le riunioni in aperta campagna, sotto gli alberi. Il Gruppo ASCI fu chiuso e tutto il materiale rimase nell’Oratorio. Tutta-via lo scautismo era diventato, ormai, la linfa della no-stra vita, pertanto la volontà a proseguire era più forte che mai.

Stefano Monteleone, che in precedenza aveva avuto occasione di conoscere alcuni dirigenti della Giunta Per-manente del CNGEI di Roma, con il treno si recò nella capitale, dove ottenne l’autorizzazione ad aprire una Se-zione a Talsano.

L’inizio fu difficile poiché ci mancava la sede ed, inol-tre, mancava l’appoggio dei locali della Parrocchia. La sede che, finalmente, riuscimmo a trovare, era costituita da una stanzetta al primo piano in via Sanguzza, successi-

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vamente demolita, a cui si accedeva da una scala esterna, in cemento, a sbalzo con corrimano in ferro. Non era certo sufficiente, considerate le dimensioni. Ci occorreva una vera sede grande ed accogliente. Le defezioni furono parecchie e si dovette ricominciare tutto da capo, cam-biando anche l’uniforme che divenne quella verde del CNGEI.

Nel gennaio del 1966, Stefano, che nel frattempo si era arruolato nella Guardia di Finanza, iniziò a sostenerci contribuendo all’affitto di una nuova sede in via Incas-sata, vicino alla Salina Grande.

Cronologia di alcune attività

— Anno di fondazione: 1° gennaio 1915;— anno di rifondazione ufficiale: 13 maggio 1962;— 13 maggio 1963, in occasione dei festeggiamenti

della Madonna di Fatima a cui è dedicata la chiesa madre di Talsano–Taranto, provammo l’emozione della 1° uscita ufficiale del Gruppo alla pineta di Lama a cui ci recammo a piedi e con tutto l’equi-paggiamento;

— 23 aprile 1967, in occasione dei festeggiamenti di San Giorgio, Protettore degli scout a Lido Sil-vana, confluirono le Sezioni di Martina Franca, Talsano–Taranto, Lecce, Matera e Bari. Si trattò della prima esperienza di raduno;

— i giorni 8, 9,10 dicembre 1967, in qualità di rappre-sentante ufficiale della FEI–Federazione Esploratori Italiani ASCI–CNGEI partecipai a Roma, presso la Domus Pacis, al Convegno degli Incaricati Provin-ciali di Protezione Civile del settore scout;

— 18 marzo 1969 edizione del numero unico Zanna Bianca, con Direttore Responsabile Arcangelo Pi-

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relli; nel frattempo la sede era stata spostata in via Principe di Piemonte n. 8;

— 3 novembre 1968, formazione del Comitato Pa-trocinatore, grazie all’aiuto del Prof. Francesco Panico, Commissario di Sezione di Lecce. Presi-dente dell’Associazione fu nominato l’Ing. Vito Petio, Delegato Sindaco di Talsano, mentre Com-missario della Sezione fu nominato Nino Santoro, studente universitario;

— febbraio 1969, sotto la guida di Angelo Monte-leone, ci dedicammo al modellismo, furono co-struiti e fatti volare aerei realizzati con un legno leggerissimo: la balsa. In occasione delle esibi-zioni dimostrative con i gli aerei, vennero utiliz-zati anche modelli radiocomandati a motore;

— nello stesso mese, il Comandante dei Vigili Urbani di Talsano, il Vice Brigadiere Lassorte, insegnò ai Lupetti ed Esploratori le norme sulla circolazione stradale e la disciplina del traffico. A chiusura del corso li affiancò, in uniforme scout, ai Vigili Ur-bani per alcuni giorni agli incroci stradali per diri-gere il traffico;

— dal febbraio all’aprile 1969, presso il Comando Provinciale di Taranto, a Piazza Medaglie d’Oro, si svolse un corso di addestramento di Prote-zione Civile, sotto l’egidia del Ministero della Protezione Civile, a seguito degli alluvioni del Vajont, dello straripamento dell’Arno a Firenze e della Sicilia. Erano gli inizi della sensibilizza-zione dell’opinione pubblica alla costituzione delle prime Unità di Protezione Civile, sotto la direzione del Vice Comandante dei VVF: Cap. Mario Rapillo; Capo Reparto Silvio De Quarto. All’addestramento alla scala, alle manichette con bocchettoni, ai minilanci dalla torre ecc. parteci-

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pammo con l’uniforme scout, successivamente le Unità Ausiliarie di Protezione Civile (UAPC) adottammo una uniforme operativa costituita da salopette con giacchino di colore marrone chiaro, casco bianco con mostrina metallica sul cui fondo rosso erano stampigliati i gigli delle due Associa-zioni Scout sui lati di una fiaccola accesa, con alla base l’acronimo UAPC, imbullonata sul frontale dello stesso casco, l’equipaggiamento era comple-tato da anfibi e cinturone alla vita a cui veniva ag-ganciata la pala zappa completa di custodia telata grigioverde;

— 7 e 8 dicembre 1969, l’Ing. Michele Corradini della Formazione Capi, tenne a Talsano, nella Sede di Via Settembrini n. 113, un corso di addestra-mento sullo scautismo, come Direttore, assistenti: Franco Carotenuto di Napoli e Gianni Bellezza di Bari. Allievi del Corso: Arcangelo Pirelli, France-sco Fulgini, Antonio Lecce, Gaetano Sibilla tutti di Talsano e Francesco Casulli di Lecce;

— 8 dicembre 1969, la Sezione con i Lupetti, gli Esploratori ed i Rover, andò in visita alla nave Caio Duilio, matr. 554 della Marina Militare Ita-liana su l’interessamento di Rosso Rossano Al-berto sottufficiale MM imbarcato; scout della Sezione di Roma;

— il 1° febbraio 1970, uscita del Branco Lupetti al bosco di San Francesco degli Aranci (in loca-lità Torre Blandamura), attività: Olimpiade di Branco;

— 15 febbraio 1970, formazione del Comitato Patro-cinatore. Presidente fu riconfermato l’Ing. Vito Petio, Delegato Sindaco di Talsano, Commissario di Sezione Arcangelo Pirelli, segretario Carmine Nobile (detto Luccio);

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— 22 marzo 1970, viene ratificata la costituzione ufficiale del Clan dei Seniores di Taranto. Capo Clan: Arcangelo Pirelli, Vice Capo Clan: Alberto Rossano Rosso, Segretario: Francesco Fulgini, Tesoriere: Giovanni Caricasulo, Consigliere: Lo-renzo Pirelli;

— 25 e il 26 aprile 1970, la Sezione di Talsano–Ta-ranto organizza il raduno del San Giorgio del Sud/Est, al Bosco di San Francesco degli Aranci. Vi partecipa la Sezione di Bari. A fine serata dopo la cerimonia del fuoco ed il Canto dell’Addio. Il Guidoncino del San Giorgio fu consegnato alla Se-zione CNGEI di Bari;

— 2 ottobre 1970, la portaerei americana Roosvelt attracca nel golfo di Taranto, durante la visita alla stessa, conoscemmo un capo dei Boy Scout of America che fu invitato a trascorrere una giornata presso la nostra sede;

— 5 e 6 dicembre 1970, Corso per Capi Pattuglia, denominato Pow Wow nel Bosco di San France-sco degli Aranci; vi presero parte CP e VCP delle Sezioni di Talsano–Taranto, Bari, Lecce e Ma-tera;

— dal 18 al 26 luglio 1970 Campo Estivo e Vacanze di Branco tenute, insieme alla Sezione di Lecce, nel Bosco di Frassanito sul mare Adriatico in lo-calità laghi Alimini presso Otranto;

— 17 luglio 1971 muore Salvatore Pernisco, stron-cato da un male terribile: grave forma di “glo-merulofrenite”. Aveva solo 13 anni, per la sua atleticità e scioltezza, con ammirazione e simpa-tia lo chiamavamo “scout di gomma”;

— il 7 marzo 1971 le Pattuglie Delfini e Giaguari, effettuano una visita al Museo Nazionale di Ta-ranto;

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— nella notte tra l’11 e il 12 maggio 1971 la Sezione di Talsano–Taranto svolge un Servizio Sociale presso il Santuario di San Cosma e Damiano alle Macchie, dove un complesso servizio di soccorso, assistenza e ristoro viene organizzato lungo la strada che da Talsano porta al Santuario via Manduria, al fine di alleviare i disagi dei pellegrini che, per secolare tra-dizione. si recano a piedi affrontando un tragitto di circa 45 km nel corso di una sola notte;

— dal 20 luglio al 1 agosto 1971 Campo Estivo Esplo-ratori a Lido Silvana.

— Pulsano (Taranto), Costituzione del Gruppo Ta-ranto II Nautico, con sede presso l’ANMI, Asso-ciazione Nazionale Marinai d’Italia, che inizia subito le attività con una ventina di elementi, uti-lizzando i mezzi offerti dalla LNI, Lega Navale Italiana, con uscita in mare e navigazione in Mar Grande e pranzo al largo;

— costituzione di una “Pattuglia Libera” nel Co-mune di Pulsano;

— settembre 1971, Sessione Scuola Nazionale Capi. Vi partecipano Rossano Alberto Rosso per il Bre-vetto di Rover Master, per il Corso Preliminare, invece, Cosimo Boccardi e Vincenzo Giosa;

— 17 gennaio 1972, il Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco informava che i corsi di addestramento per le UAPC, Unità Volontarie di Protezione Ci-vile, riprenderanno quanto prima, secondo le direttive del Ministero dell’Interno: Direzione Generale Protezione Civile;

— 1972, la Sede Centrale di Roma, per la Sezione CNGEI di Talsano–Taranto, Francesco Fulgini è nominato Commissario di Sezione;

—dal 1° al 4 giugno 1972 Incontro di Primavera dei Seniores a Lecce.

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— 1975, l’attività culturale del CNGEI della Sezione di Talsano–Taranto con Sede in Largo del Pozzo n. 5, si esprime con una “Mostra Collettiva di Pit-tura e Scultura” per lo sviluppo sociale dell’Arte in Talsano, alla quale parteciparono artisti locali;

— 1975, 2a Mostra di “Pittura e Fumetti Umoristici” nella Sede nuova sede scout di Via Sanguzza 256, angolo Viale Europa a Talsano (Taranto);

— maggio 1975, l’interesse per la natura, predomi-nante per noi scout, si concretizzò in un incon-tro con la scuola media “Ugo Foscolo” che aveva la propria sede in Via G. Carducci angolo Corso Vittorio Emanuele “Palazzo Petio” e la scuola elementare “Edmondo De Amicis” in Via Dome-nico Savino, dove è tutt’oggi. Una formazione come quella impartita agli scout, inevitabilmente porta verso un amore smisurato nei confronti della natura e della vita all’aria aperta. Per tale motivo e per tale disposizione personale, ritengo sia doveroso provvedere alla salvaguardia ed alla conservazione di Blandamura e dell’Archeologia Bellica della Batteria Ammiraglio Carlo Cattaneo, uno dei pochi polmoni verdi in mezzo ad un oce-ano di cemento, il cui interesse non va ricercato solamente nell’aspetto naturalistico, bensì anche nelle tracce di insediamenti umani, avvenute in loco nel corso dei secoli.

Del periodo dal 1962 al 1977 di attività scout, ci sono pochi documenti e foto, andare a ritroso nel tempo e ri-cordare, oltre ai soci fondatori, anche coloro che hanno dato una impronta seppur breve nella storia associativa non è facile perché molti documenti sono andati smar-riti o distrutti nel tempo, moltissimi saranno coloro che non avrò potuto citare e spero di poter scrivere anche di

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loro in una altra opera che sarà dedicata a tal fine. In ordine alfabetico:

Agnusdei Maria Pia, Aiello Adriano, Amaranto Luigi, Angelini Giampiero, Andrisano Francesco, Andrisano Marco, Andrisano Enrico, Andrisano Umberto, Baldari Giuseppe, Barbaro Giancarlo, Barbieri Cosimo, Bas-san Luigi, Bevitore Giuliano, Bertini Antonio, Boccardi Cosimo, Boccardi Franco, Bon Luigi, Bovio Giuseppe, Bianco Pasquale, Bitonto Riccardo, Bitonto Emilio, Bi-tonto Radegonda, Bianco Cosimo, Brescia Giovanni, Buonfino Gennaro, Buongiorno Palma, Buongiorno Marilena, Buongiorno Daniela, Buongiorno Pasquale, Calabrese Gabriella, Cammareri Stefano, Caramuta An-gelo (In Arte Aly Stanko Fotografo), Carone Francesco, Carone Cosimo, Carella Gaetano, Caroli Alessandro, Ca-ricasulo Prof. Giovanni, Caricasulo Giovanni, Caricasulo Felice Maurizio, Caricasulo Fedele, Castellano Luciano, Cataldo Francesco, Cavallo Gianna, Cavallo Grazia, Caz-zato Ippazio, Cera Francesco, Chiarelli Pasquale, Cotti-gnoli Tito, Coppola Pietro, Coppola Salvatore, Cusa Ignazio, De Felice Antonio, De Giorgio Giovanni, D’elia Alfonso, De MastronIcola Cosimo, De Pasquale Patrizia, De Quarto Silvio (Vvff), De Lia Alfonso, De Siati Giu-seppe, Farina Cosimo, Feder Giuseppe, Fina Gaetano, Forleo Egidio, Friscina Pietro, Friulo Pasquale, Friulo Angela, Fulgini Caterina, Fugazzaro Roberto, Gargiulo Luigi, Gennari Giuseppina, Giannotti Leonardo, Giosa Ennio, Giosa Vincenzo, Greco Francesco, La Fratta Igna-zio, Lazzarini Mario, Lecce Antonio, Leone Raffaele, Lig-gieri Lorenzo, Liggieri Pietro, Lo Papa Gino, Lo Papa Francesco, Lopresto Franco, Lopedote Mino, Lucchese Vincenzo, Ludovico Giuseppe, Lupo Silvano, Maiano Francesco, Maiano Cataldo, Manco Giuseppe, Manca-rella Vito, Mancarella Cosimo, Marinelli Franco, Mari-

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naro Franco, Maruggi Gaetano, Marra Vito, Massafra Antonio, Matarrelli Pasquale, Mero Pasquale, Melchiorre Cosimo, Melchiorre Biagio, Melchiorre Vincenzo, Milani Giovanni, Micera Aldino, Miccoli Lidia, Minzera France-sco, Monaco Dott. Ignazio, Mongelli Franco, Montrone Francesco, Montrone Rosa, Montrone Maria, Montrone Giovanni, Monteleone Angelo, Monteleone Francesco, Monteleone Stefano, Monteleone Diego, Monteleone Cosimo, Mongelli Cosimo, Mongelli Luigi, Mongelli Francesco, Minetola Cosimo, Minetola Antonio, Mine-tola Maria Rosaria, Minetola Severina, Minicucci Man-lio, Minzera Francesco, Mori Silvano, Musio Francesco, Musio Angelo, Nadir Apollonio, Natale Vitale, Nobile Carmine, Nobile Alfredo, Nobile Vincenzo, Nobile An-gelo, Nobile Alberico, Nobile Iolanda, Notaristefano Nunzio, Nicolardi Giovanni, Ninni Filippo, Panariti Ar-turo, Panzetta Pietro, Panico Carlo, Panico Filippo, Pa-nico Giuseppe, Panico Pasqualina, Pagliaro Francesco, Pagliaro Luigi, Pagliaro Cosimo, Panzetta Pietro, Per-nisco Salvatore, Pernisco Emanuele, Pernisco Antonio (Papà Di Emanuele), Petio Ing. Vito (Delegato Sindaco Di Talsano – Ta), Pichillo Alessandro, Picci Giuseppina, Picci Oreste, Piccinni Salvatore, Piccione Claudio, Pirelli Arcangelo, Pirelli Lorenzo, Poti Salvatore, Protopapa Osvaldo, Protopapa Cosimo, Prete Arcangelo, Ranieri Maurizio, Rosso Rossano Alberto, RomandinI Dott. Emi-lio, Romandini Aldo, Rotelli Pietro, Rotunno Aristide, Rizzo Michele, Sammali Giulio, Santoro Sante, Scavran Franco, Scalone Pasquale, Schiavone Domenico, Sergi Pietro, Serafino Arturo, Sibilla Gaetano, Semeraro Fran-cesco, Semeraro Giovanni, Semeraro Giuseppe, Sperti Maurizio, Sperti Bruno, Sperti Giuseppe, Sperti Cosimo, Sperti Salvatore, Sperti Vincenzo, Sperti Immacolata, Stefanelli Vito, Siciliano Maurizio, Sisto Michele, Sodero Emidio, Tedesco Salvatore, Tedeschi Giuseppe, Tredici

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Antonio, Tomai Emanuele, Tomai Francesco, Venneri Uccio, Venneri Angela, Venturini Gina, Viccari France-sco, Vitale Vito, Zanzanelli Emanuele, Zingarelli Mas-simo.

Nel febbraio 1970 si formò la prima Pattuglia di Esplo-ratrici a Talsano–Taranto della UNGEI — Unione Na-zionale Giovani Esploratrici Italiani — federata con il CNGEI, di cui le componenti erano:

Petio Giuseppina1. Petio Anna Maria 2. Di Maggio Mimma3. Di Maggio Silvana4. Monteleone Carmela5. Prete Caterina6. Brescia Maria Franca7. Brescia Vita8. Di Maglie Teresa9.

Capo Reparto: Baldari Maria.

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In alto, a sinistra, Ordine dello Scautismo Mondiale – The Order of World Scouts; a sinistra, Centro di Formazione Scout – Ordine dello Scautismo Mondiale – Centro di Formazione denominata “ Batteria Cattaneo”. Training Centre – The Order of World Scouts. – Batteria Cattaneo – Italy. Sopra, a sinistra, SNFS (Scuola Nazionale di Formazione Scout) – Ente autonomo per la formazione scoutistica, Member of “Order of World Scouts”; a destra, IGKT (International Guild of Knot Tyers): la “Lega Internazionale del Nodo” è un’associazione di persone che condividono l’interesse per i nodi e le tecniche di legatura di tutti i generi.

Il Centro di Formazione Scout “Batteria Cattaneo” – Training Centre Scouts “Batteria Cattaneo” – Italy

Il Centro di Formazione Scout – Ordine dello Scautismo Mondiale – Centro di Formazione denominata “Batteria Cattaneo”. Training Centre – The Order of World Scouts. – Batteria Cattaneo – Italy. con la S.N.F.S. (Scuola Naziona-le di Formazione Scout), Ente autonomo per la formazione scoutistica, Member of “Order of World Scouts” si prefigge: l’organizzazione di corsi teorico–pratici su attività di scou-ting per il conseguimento di brevetti per chiunque ne faccia richiesta. La collaborazione con altre associazioni di scout giovanili, e non, per la esecuzione. La scuola propone Corsi di brevetto per scout provenienti da qualunque associazio-ne. I Docenti dei Corsi sono o provengono da Associazioni Scout diverse, e presentano diversi brevetti tecnici basati in esclusiva su : “Scouting for Boys”, “Corso Gilwell per Capi Reparto ed. 1966”, “Guidismo per Ragazze “.

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Se salvi vuoi il campo e la tua casa, difendi l’albero ed il bosco dal fuoco.Essi ostacolano con le fitte radici la frana che tutto travolge.

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Preghiera del Bosco

Uomo! Io sono il calore della tua casanelle fredde notti d’inverno.L’ombra amica quando dardeggia il sole d’estate.Io sono il legname della tua casa, il piano della tua tavola.Io sono il letto sul quale riposi, e l’armatura della tua nave.Io sono il manico della tua zappa, e la porta della tua officina.Io sono il legno della tua culla e della tua bara.Io sono il pane della bontàIl fiore della bellezza.Ascolta la mia preghieranon mi distruggere!

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2. Carlo Cattaneo

L’uomo

Prima di affrontare la descrizione del Parco Batteria Cattaneo, è necessario “spendere” alcune parole sulla vita e sulle vicende dell’uomo di cui il parco stesso porta il nome, l’Ammiraglio Carlo Cattaneo, Medaglia d’Oro al Valor Militare.

Carlo Cattaneo nacque a Sant’Anastasia il 6 ottobre 1883 e sin da giovanissimo indossò l’uniforme, entrando nel collegio militare Nunziatella di Napoli poi, una volta conseguito il diploma di scuola superiore, entrò all’Ac-cademia Navale. Nel 1906 conseguiva il grado di Guar-diamarina, mentre due anni più tardi veniva promosso Sottotenente di Vascello ed imbarcato sulla corazzata Regina Elena. Partecipò alla guerra italo–turca, dove, in seguito al suo valore, gli veniva conferita una prima me-daglia d’Argento al Valor Militare. Nel 1913, veniva pro-mosso Tenente di Vascello e con tale grado prese parte alla Grande Guerra come comandante della torpediniera Orsa, distinguendosi in maniera particolare durante le operazioni del luglio 1915 nell’Adriatico, cosa che gli val-se una Medaglia di Bronzo al Valor Militare.

Nell’immediato dopoguerra fu addetto navale a Co-stantinopoli e quindi, promosso prima Capitano di Cor-vetta (1920) ed in seguito Capitano di Fregata (1929),

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ricoprì lo stesso incarico prima in Romania e successiva-mente in Jugoslavia. Nel frattempo, il 2 ottobre 1919, gli veniva concessa una seconda Medaglia d’Argento al Va-lor Militare, in seguito alle operazioni svolte al largo del-la costa albanese. Dopo la promozione a Capitano di Va-scello, del 1932, ebbe il comando dell’incrociatore Alberto da Giussano fra il dicembre 1933 e l’aprile 1935, quindi la sua carriera proseguì con la nomina a Contrammiraglio nel 1987 ed un anno più tardi con quella ad Ammiraglio di Divisione.

In seguito agli eventi che portarono all’ingresso in guerra dell’Italia, al fianco della Germania, nel 1940, il 26 maggio di quello stesso anno, Carlo Cattaneo assunse il comando della III divisione, con insegna sull’incrociatore Trento, partecipando il 9 luglio alla battaglia di Punta Sti-lo, che gli valse la terza Medaglia d’Argento al Valor Mi-litare. Il successivo 30 agosto fu designato comandante della VI divisione con insegna sulla corazzata Caio Duilio appena rientrata in servizio dopo la ricostruzione.

Nel quadro degli avvicendamenti che interessarono gli alti comandi della Regia Marina dal dicembre 1940, in seguito al bombardamento inglese su Taranto, e che comportarono la fusione della I e II squadra navale in un’unica squadra, il 16 dicembre 1940 assumeva il coman-do della I divisione con insegna sull’incrociatore Zara.

Nel marzo 1941 partecipò, con la flotta da lui coman-data, all’operazione Gaudo che si concluse con lo sconto notturno, nei giorni 26 e 27, di Capo Matapan nel quale perse la vita. In seguito a tale vicenda, gli venne conferita la Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria, con la seguente motivazione:

Comandante di una Divisione navale, che egli aveva istruita, allenata e forgiata con alto intelletto, con paziente amore e con appassionata costanza, alla battaglia di Punta Stilo, es-

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sendo alla testa della formazione, con pronta iniziativa e con audace spirito aggressivo affrontava gli incrociatori nemici e con brillante manovra rendeva vano i numerosi attacchi degli aerosiluranti. La notte del 28 marzo, nel tentativo di sottrarre all’offensiva nemica un incrociatore colpito da si-luro, assalito improvvisamente da forze navali soverchianti, le affrontava con impavida serenità e con consapevole auda-cia. Nel breve, durissimo combattimento egli profondeva le sue doti di mente e di cuore e, quando la nave ammiraglia, squarciata ed incendiata, non aveva più possibilità di offesa né speranza di salvezza, riuniva a poppa i superstiti per lan-ciare sul mare l’ultimo grido di fede: «Viva l’Italia – Viva il Re». Compiuto tutto il suo dovere oltre ogni umana possibi-lità egli scompariva in mare con la sua nave e con la sua in-segna al vento, sicuro che il suo gesto sarebbe stato esempio di quelle alte virtù di dedizione e di passione, che splendono luminose nel tempo e nella tradizione (Mediterraneo cen-trale ed orientale, 9 luglio 1940 – 28 marzo 1941).

Preludio allo scontro

L’operazione di Gaudo, prologo alla battaglia di capo Matapan, fu organizzata da Supermarina nel marzo 1941, in seguito alle richieste dei tedeschi, finalizzate a mettere sotto pressione i convogli britannici che, dai porti egi-ziani e della Cirenaica rifornivano di materiali da guerra e truppe le forze alleate in Grecia, in previsione di un probabile quanto imminente attacco tedesco nei Balcani, in appoggio alle fiaccate truppe italiane impegnate nella guerra contro la Grecia.

I tedeschi accusavano Supermarina di inattività, rim-proverandole un atteggiamento difensivo e dimesso verso gli inglesi. Supermarina, il cui principale impegno bellico era la scorta ai quotidiani convogli che rifornivano le truppe italiane e tedesche in Africa settentrionale, in Albania e nelle isole del Dodecanneso, volle organizzare un’operazione contro il traffico inglese, per dimostrare

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ai tedeschi le proprie capacità offensive e per riprendere operazioni propriamente offensive dopo la tragica notte del bombardamento inglese su Taranto.

Il piano concepito dai comandi italiani consisteva nella predisposizione di due rapide incursioni offensive, una a nord ed una a sud di Creta, in caccia del traffico in-glese. Le navi italiane avrebbero dovuto, se in condizioni di superiorità, attaccare i convogli incontrati e la relativa scorta, ritornando poi rapidamente nelle basi nazionali. Per attuare il progetto, Supermarina scelse di mobilitare forze più pesanti di quelle necessarie alle scopo. Se per combattere contro qualche convoglio inglese, scortato da qualche cacciatorpediniere, sarebbe stato sufficiente l’invio di qualche incrociatore leggero, di cui la Regia Ma-rina disponeva in larga misura, le pressioni tedesche con-sigliarono di far uscire in mare, al fine di evitare accuse di codardia, la corazzata Vittorio Veneto, una divisione di incrociatori pesanti e due di incrociatori leggeri, appog-giati da cacciatorpediniere di scorta.

L’intera operazione si basava sul fattore sorpresa. Nel caso in cui gli italiani fossero stati avvistati prima di giun-gere nelle acque di Creta, gli Inglesi avrebbero infatti avuto tutto il tempo di far allontanare eventuali convogli e di intercettare gli italiani con la Mediterranean Fleet stan-ziata ad Alessandria. Quale condizione indispensabile per il successo dell’operazione, Supermarina pose la conti-nua scorta aerea della propria squadra per l’intera durata della missione. Per questo era stato previsto l’intervento delle forze aeree nazionali di base in Italia e nell’isola di Rodi e di quelle tedesche del X CAT (Corpo Aereo Tede-sco – Fliegerkorps X, unità aerea anti–nave forte di circa 200 bombardieri e una settantina di caccia) di stanza in Sicilia.

Al fine di favorire il coordinamento aereo e per deci-frare i messaggi avversari indipendentemente dall’inter-

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vento di Supermarina, il comando italiano fece imbarcare anche alcuni ufficiali di collegamento della Luftwaffe ed un gruppo di esperti per decrittazione dei messaggi.

Lo scontro di Gaudo

La mattina del 27 marzo, la corazzata Vittorio Veneto si riunì con la III Divisione a est della Sicilia, dove furono avvistate, nonostante la scorta aerea, da un ricognitore a largo raggio inglese tipo Sunderland che, immediata-mente, telegrafò l’avvistamento al proprio comando, vanificando, così, il fattore sorpresa su cui il comando italiano contava per la buona riuscita dell’operazione.

Nonostante tutto, Supermarina confermò l’operazio-ne con qualche piccola variante, dettata da necessità di prudenza, ordinando che tutte le nostre forze navali do-vessero riunirsi la mattina successiva nei pressi dell’iso-lotto di Gaudo, per attaccare il traffico nemico a sud di Creta. Gli inglesi, dal canto loro, dirottarono tutti i convo-gli in navigazione intorno a Creta, mentre l’Ammiraglio Cunningham ordinò alla propria flotta di congiungersi, la mattina del 28 marzo, in un preciso punto, situato nei pressi dell’isolotto di Gaudo, poco più ad est del punto di convergenza della squadra italiana.

Le due flotte si sarebbero così trovate a pochissima distanza nella prima mattina del 28 marzo. Mentre l’Am-miraglio Iachino ignorava però le mosse inglesi, la cui partenza da Alessandria era stata abilmente dissimulata per ingannare gli informatori dell’Asse, l’Ammiraglio Cunningham sapeva della presenza della squadra italia-na, anche se ne ignorava l’esatta composizione e l’entità. La mancanza di informazioni da parte dell’Ammiraglio italiano, sarebbe stata, tra l’altro, aggravata dal mancato intervento dell’aviazione italiana dell’Egeo che, contra-

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riamente alle assicurazioni di intervento, non eseguì le previste ricognizioni su Alessandra, né quelle dirette alla ricerca del traffico mercantile nemico, che oltretutto era l’obiettivo dichiarato della missione.

Con condizioni di mare favorevoli ed una buona visibi-lità, la mattina del 28 marzo, la flotta italiana giunse nelle acque di Gaudo suddivisa in due tranci, la Vittorio Veneto e la III Divisione in posizione più avanzata, mentre la I e l’VIII Divisioni Incrociatori in posizione più arretrata.

L’ammiraglio Iachino fece lanciare due ricognitori Ro–43 per individuare convogli o navi nemiche fino a 100 miglia di prora e nelle acque intorno a Creta. I rico-gnitori avvistarono poco dopo le 7, a circa 40 miglia dal primo gruppo italiano e con rotta sud–est, 4 incrociatori e 4 cacciatorpediniere. Si trattava della Divisione Orion comandata dell’ammiraglio Pridham–Wippell, disloca-tasi in zona fin dall’alba, in previsione dell’arrivo delle forze navali italiane.

Alle ore 7.39 un aereo della portaerei Formidable av-vistò la III Divisione italiana e Pridham–Wippell diresse con gli incrociatori verso il resto della flotta inglese, arre-trata di circa 90 miglia, al fine di consentire l’intervento delle grandi unità da battaglia.

Iachino non era a conoscenza dell’uscita di Cunning-ham con le sue navi da battaglia, in quanto i ricognitori italiani che avevano ricevuto la consegna di esplorare le acque tra Gaudo e Alessandria si erano, in realtà, con-centrati sull’avvistamento della Divisione Orion, se-gnalandola più volte, ma senza spingersi verso sud–est mentre, nello stesso tempo, i ricognitori che avrebbero dovuto controllare l’eventuale presenza in porto del-la squadra inglese non erano decollati da Rodi. Così il comandante italiano spinse la sua III Divisione, seguita a distanza dal Vittorio Veneto, all’inseguimento degli in-crociatori nemici, contando sulla maggior velocità che,

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almeno sulla carta, avevano gli incrociatori italiani della classe Trieste.

Non riuscendo in realtà ad avvicinarsi, nonostante gli Orion procedessero a zig–zag emettendo fumo per non dare riferimenti fissi al puntamento, gli incrociatori italiani aprirono il fuoco alle 08.12 con i 203 mm, da circa 24.000 m di distanza, inquadrando i bersagli; gli inglesi risposero con alcune salve da 152 mm, che risultarono troppo cor-te. L’azione di fuoco, della durata complessiva di 40 mi-nuti, non ebbe esito alcuno da nessuna delle due parti. Gli italiani, però, non si resero conto che, in realtà, gli inglesi non stavano affatto scappando, ma stavano attirando gli incrociatori della III Divisione in una pericolosa trappola, allontanandoli dal resto della squadra e portandoli a tiro dei cannoni delle corazzate inglesi. Alle 8.51 la III divisio-ne, dopo ripetuti ordini da parte dell’Ammiraglio Iachino di sospendere l’inseguimento, invertì la rotta, puntando a nord–ovest assieme al Vittorio Veneto, seguito a distanza dagli incrociatori inglesi che mantenevano il contatto vi-sivo a distanza per segnalarne la posizione all’ammiraglio Cunningham. Quest’ultimo si trovava a circa 65 miglia di distanza e cercava di accorciare le distanze per impegnare le navi italiane col grosso delle sue forze.

Iachino, a questo punto, era a conoscenza con certezza della presenza di una portaerei nemica, che difficilmente poteva trovarsi in mare da sola, mentre il proprio servi-zio di decrittazione confermò la presenza, non lontana dalla squadra italiana, di una consistente squadra inglese Nessun dubbio, pertanto, sul fatto che la missione era ir-rimediabilmente fallita, e che la cosa più ovvia da fare sa-rebbe stata quella di ritornare immediatamente alla base. Alle 10.30 l’Ammiraglio Iachino fece un ulteriore tenta-tivo di ingaggiare gli incrociatori inglesi, manovrando in modo da prendere la Divisione Orion tra due fuochi, ag-girandola da levante col Vittorio Veneto e da ponente con

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la III Divisione. Prima che la III Divisione fosse a portata di tiro, però, si sviluppò un rapido e violento scontro a controbordo tra il solo Vittorio Veneto e gli incrociatori nemici, i quali, colpiti in modo non grave da pochi colpi isolati, accostarono poco dopo verso sud, ritirandosi ad alta velocità e coprendosi con cortine di fumo.

L’Ammiraglio Cunningham, informato di questo se-condo scontro, fece alzare dalla Formidable un gruppo di aerosiluranti Fairey Albacore, che arrivarono sul Vittorio Veneto durante l’azione di fuoco ed attaccarono a bassa quota, lanciando da notevole distanza senza risultato; ottennero però l’effetto sperato in quanto l’ampia acco-stata del Vittorio Veneto per evitare i siluri permise agli incrociatori inglesi di allontanarsi. Non potendo ormai più riprendere l’azione di fuoco, Iachino tornò in rotta nord–ovest.

La battaglia di Capo Matapan

L’ammiraglio Pridham–Wippell rinunciò a mantene-re il contatto e ripiegò verso il gruppo dell’ammiraglia, ad una quarantina di miglia di distanza, raggiungendo-lo verso le 12.30. Gli inglesi, consapevoli della posizione degli italiani, effettuarono due attacchi consecutivi con bombardieri contro la Vittorio Veneto, rispettivamente alle 14.20 e alle 14.50, che non sortirono alcun effetto. Un terzo attacco, alle 15.19, fu effettuato contemporane-amente da bombardieri in quota ed aerosiluranti a bassa quota. La Vittorio Veneto riuscì ad evitare due siluri ma un terzo la colpì di poppa a sinistra, facendole imbarcare 4.000 t di acqua e mandando in avaria le due eliche di sinistra, costringendola a ritirarsi ad una velocità ridotta di 16 nodi, protetta in formazione antiaerea dalla I Di-visione a dritta e dalla III a sinistra, mentre le rispettive

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squadriglie di cacciatorpediniere si schieravano su due linee parallele all’esterno degli incrociatori. Si formava, così, intorno alla corazzata danneggiata, una formazione compatta di 18 unità su cinque colonne, con l’ordine di distendere cortine di nebbia in caso di rinnovato attacco aereo.

Dodici aerosiluranti inglesi attaccarono alle 19.30, orario in cui cominciava a far buio, mettendo a segno un solo siluro sul Pola, che riportò gravissimi danni e rimase immobile privo di propulsione ed energia elettrica. Tut-tavia, il cacciatorpediniere inglese Jervis, inviato a finire il Pola, preso atto che la nave non dava più segni di offesa, decise di abbordarla, traendo in salvo l’intero equipaggio italiano superstite prima di colarla a picco. Nelle ore suc-cessive gli inglesi raccolsero in mare oltre 900 naufraghi italiani, prima di sospendere il salvataggio per sfuggire ad un attacco aereo tedesco. Nell’abbandonare la zona Cunningham inviò un radio messaggio diretto al capo di Stato maggiore italiano Riccardi, con le coordinate dei naufraghi ancora in mare, invitandolo a mandare sul posto una nave ospedale. Riccardi rispose ringraziando l’ammiraglio inglese per il gesto cavalleresco ed informò l’ammiraglio avversario di aver inviato in zona la nave Gradisca che, però, giunse sul posto solo il 31, trovando il mare arrossato dai giubbotti di salvataggio che teneva-no a galla migliaia di marinai ormai cadaveri; poco meno di 150 superstiti, ancora in vita, furono tratti a bordo del-la nave ospedale italiana.

Dal siluramento del Pola nasce il dramma della notte di Matapan, infatti l’ammiraglio Iachino, con una deci-sione che sarà al centro di interminabili polemiche, pur conoscendo la presenza della squadra inglese, ordinò al resto della I Divisione di restare in soccorso del Pola, di-menticando che nella marina italiana solo i cacciatorpe-diniere erano addestrati per il combattimento notturno,

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mentre le navi maggiori non disponevano neanche del-le necessarie cariche di lancio a vampa ridotta. Diversa-mente, tutte le navi inglesi erano addestrate e attrezzate per il combattimento notturno, ed alcune di esse erano inoltre dotate di radar.

Appena scesa l’oscurità, l’Ammiraglio Cunningham ordinò ai 4 incrociatori della Orion, appoggiati da 8 cac-ciatorpediniere, di cercare un contatto notturno con le navi italiane, in particolar modo con la Vittorio Veneto, utilizzando anche le apparecchiature radar di cui erano dotate.

Il rischio aumentò sensibilmente, sia per il Pola, sia per la Divisione che Iachino aveva mandato in suo soccorso, in seguito alle successive indecisioni italiane. L’ammira-glio Carlo Cattaneo, infatti, al comando della I divisione, invece di invertire subito la rotta, inviò un messaggio a Iachino, a anch’esso oggetto di polemiche e discussioni. Solo dopo aver ricevuto risposta a tale messaggio che gli impartiva l’ordine di invertire la rotta, Cattaneo diresse la sua divisione verso il Pola, riducendo la velocità. La manovra ordinata da Cattaneo, determinò che i caccia-torpediniere di scorta si ritrovassero a seguire, e non a precedere gli incrociatori. Cattaneo, inspiegabilmente, non ritenne necessario modificare la propria formazione, anche se il regolamento prescriveva che nella navigazio-ne notturna i caccia precedessero le navi di linea con uno schermo esplorativo.

Nel frattempo, le manovre inglesi si erano dimostrate del tutto errate nella prospettiva di intercettare il grosso italiano, che poté pertanto rientrare alla base senza ul-teriori problemi. Con il radar, gli inglesi individuarono invece il Pola, rimasto immobile e privo di corrente elet-trica. Nel momento in cui la squadra inglese si avvicina-va alla nave, per prenderla o affondarla, avvistò anche le altre navi italiane giunte in soccorso. In soli 3 minuti, ad

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una breve distanza di 2000 metri e sotto i fasci di luce dei proiettori, i proietti di grosso calibro, sparati a bruciape-lo dagli inglesi, colpirono lo Zara, il Fiume e 2 dei 4 cac-ciatorpediniere che li seguivano, l’Alfieri ed il Carducci. Successivamente il Cunningham, temendo la presenza di altri caccia italiani, si allontanò subito dal luogo dello scontro, lasciando ai caccia inglesi il compito di affondare il Pola. I relitti in fiamme, ma ancora galleggianti, furono finiti dai siluri dei cacciatorpediniere inglesi, richiamati dal fragore e dai bagliori dello scontro.

La Vittorio Veneto, a circa 40 miglia di distanza dallo scontro di Matapan, assisteva impotente alla disfatta. Ia-chino inviò un messaggio a Cattaneo: «Dite se siete at-taccati…».

La risposta non sarebbe mai giunta.

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2. Carlo Cattaneo 59

Gli Eroi del Mare

Carlo CattaneoAmmiraglio di Divisione

Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria, con la seguente motivazione:

Comandante di una Divisione navale, che egli aveva istruita, allenata e forgiata con alto intelletto, con paziente amore e con appassionata costanza, alla battaglia di Punta Stilo, essendo alla testa della formazione, con pronta iniziativa e con audace spi-rito aggressivo affrontava gli incrociatori nemici e con brillante manovra rendeva vano i numerosi attacchi degli aerosiluranti. La notte del 28 marzo , nel tentativo di sottrarre all’offensiva nemica un incrociatore colpito da siluro, assalito improvvisa-mente da forze navali soverchianti, le affrontava con impa-vida serenità e con consapevole audacia. Nel breve, durissimo combattimento egli profondeva le sue doti di mente e di cuore e, quando la nave ammiraglia, squarciata ed incendiata, non aveva più possibilità di offesa né speranza di salvezza, riuniva a poppa i superstiti per lanciare sul mare l’ultimo grido di fede: Viva l’Italia – Viva il Re.Compiuto tutto il suo dovere oltre ogni umana possibilità egli scompariva in mare con la sua nave e con la sua insegna al vento, sicuro che il suo gesto sarebbe stato esempio di quelle alte virtù di dedizione e di passione, che splendono luminose nel tempo e nella tradizione.

(Mediterraneo centrale ed orientale, 9 luglio 1940 – 28 marzo 1941)

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3. Metodi di rilevamento fisiologico

Campionamento della flora

L’operazione preliminare allo studio della vegeta-zione consiste nel campionamento e nell’analisi della flora, allo scopo di determinare tutte le specie vegetali vascolari: l’operazione di raccolta e di determinazione si svolge nel corso del lavoro sul campo durante le varie stagioni. Gli esemplari vengono sottoposti ad essicca-zione ed utilizzati per la creazione di un erbario.

Per la loro classificazione, in genere, posso essere uti-lizzati i testi Flora d’Italia del Pignatti1 e La nostra flora del Dalla Fior2.

In base ad essi, la vegetazione viene rilevata secondo il metodo di rilievo fitosociologico proposto da Braun–Blanquet e rivisto, successivamente, da Pignatti3 che, attualmente, è il metodo più usato perché permette di valutare qualitativamente e quantitativamente le diver-se specie che compongono le comunità vegetali.

La scelta delle aree da rilevare viene effettuata in se-guito all’individuazione di tratti di vegetazione omo-genea per fisionomia e fattori ecologici (popolamento

1. S. Pignatti, 1982, Flora d’Italia 1, Edagricole, Bologna. 2. G. Dalla Fior, 1985, La nostra flora, Editrice Monoduni,Trento. 3. S. Pignatti, 1976, Geobotanica, in Cappelletti, Botanica, vol. II, UTET, Torino.

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elementare). Questi tratti di vegetazione rappresentano infatti l’unità minima della fitosociologia.

Una volta individuato un popolamento elementare, si annotano i dati stazionali, come l’altitudine, l’esposi-zione, il tipo di substrato, l’inclinazione, ed ogni altra osservazione ritenuta utile per una migliore definizione dell’area come, ad esempio, tutti quei fattori di ordine antropico che, inevitabilmente possono presentarsi.

Si procede, quindi, alla stesura di una lista completa delle specie presenti, attribuendo a ciascuna un indice numerico indicante il grado di copertura della specie stessa. La scala utilizzata, proposta da Braun–Blanquet e successivamente modificata da Pignatti, è la seguen-te:

5 = copertura dall’80 al 100% 4 = copertura dal 60 all’80% 3 = copertura dal 40 al 60% 2 = copertura dal 20 al 40% 1 = copertura dall’1 al 20% + = copertura dall’1 al 5% r = copertura inferiore all’1%.

Nel caso di vegetazione a struttura complessa, l’elen-co delle specie e le valutazioni di abbondanza–dominan-za vanno effettuate separatamente per i singoli strati: arboreo, arbustivo, erbaceo e muscinale. è certamente un sistema di facile esecuzione, ricco di informazioni ed estremamente funzionale all’analisi, perché permet-te elaborazioni statistiche standardizzate, anche se non privo di svantaggi, poiché le coperture sono stimate e non misurate e, soprattutto, la scelta delle aree da ri-levare, effettuata a priori, è fortemente condizionata dall’esperienza del rilevatore. Seguendo questo meto-do, vengono eseguiti nell’area di studio, alcuni rilievi,

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3. Metodi di rilevamento fisiologico 63

in seguito messi a confronto allo scopo di individuare le differenti tipologie vegetazionali, che vengono colloca-te nell’ambito di un sistema tassonomico, articolato su diverse unità gerarchiche, ciascuna delle quali è definita da una propria combinazione di specie:

— associazione: unità base definita come «un rag-gruppamento vegetale più o meno stabile ed in equilibrio con l’ambiente e caratterizzato da una composizione floristica determinata, in cui alcu-ni elementi quasi esclusivi, detti specie caratteri-stiche, rivelano con la loro presenza un’ecologia particolare ed autonoma»4 (Braun–Blauquet);

— alleanza: è costituita da più associazioni ecologi-camente affini, limitrofe nello spazio o vicarianti in territori vicini. è individuata per mezzo di spe-cie caratteristiche comuni solo alle associazioni che la costituiscono5;

— ordine: è un complesso di alleanze ed è individua-to da specie caratteristiche proprie;

— classe: riunisce uno o più ordini che corrispondo-no ad una ecologia simile e presentato spesso una fisionomia comune.

La denominazione di ogni livello gerarchico è otte-nuta aggiungendo al nome generico di una specie carat-teristica o comune significativa i seguenti suffissi: –etea per la classe, –etalia per l’ordine, –ion per l’alleanza ed –etum per l’associazione, seguiti dal nome specifico in latino al genitivo.

4. Braun–Blanquet, 1915, Metodo Fitosociologico – Braun–Blanquet J. “Pflanzensoziol” (metodo Fitosociologico), 3AUSF, 1964, Vienna 1915. 5. Pirola A., Elementi di Fitosociologia, CLUEB, Bologna 1970.

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Elaborazione statistica

Allo scopo di individuare le unità di vegetazione, tut-ti i rilievi effettuati vengono riuniti in una tabella che costituisce una matrice bidirezionale in cui le righe rap-presentano le specie con i relativi indici di copertura, mentre le colonne rappresentano i rilievi.

La tabella viene poi elaborata statisticamente, me-diante l’utilizzo di tecniche di analisi di agglomerazione, le cluster analysis, che permettono di raggruppare i rilievi in base al grado di somiglianza.

Il sistema di elaborazione utilizzato è il sistema binario che considera semplicemente la presenza, assenza delle specie nei rilievi, mentre l’indice che viene utilizzato per compiere questa operazione è l’indice di similarità di Jac-card, espresso come:

C J=----------------X 100a + b – c

in cui:

a = numero delle specie presenti nel primo rilievo;b = numero di specie nel secondo; c = numero di specie comuni ad entrambi.

I valori che può assumere il coefficiente di Jaccard sono compresi tra 0 e 1. Quanto più i valori si avvici-nano ad 1, tanto più i rilievi risultano simili tra loro. Il risultato della cluster analysis è la costruzione di un den-drogramma, ossia un grafico che evidenzia la relazione tra similitudine e vicinanza dei rilievi considerati. Gli indici di similarità ci dicono quanto due oggetti sono simili tra loro, ma è possibile quantificare graficamen-

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3. Metodi di rilevamento fisiologico 65

te la somiglianza parlando di vicinanza, pertanto due oggetti quanto più sono simili tra loro tanto più vicini sono nello spazio multidimensionale.

In un dendrogramma le linee verticali sono dette nodi e quelle intermedie internodi. Per ogni gruppo si ricava una tabella sinottica, nella quale per ogni gruppo di ri-lievi viene calcolata la frequenza percentuale delle spe-cie presenti attraverso la formula:

a/n∗100

dove “a” rappresenta il numero di presenze osservate, mentre “n” il numero di rilievi per gruppo. La tabella si-nottica permette di dare uno sguardo d’insieme ai rilie-vi considerati e di individuare le specie più frequenti, e quindi più significative. Per tale scopo si può utilizzare la Composizione Specifica Caratteristica (CSC) che è data dalle specie ordinate in sequenza decrescente, in numero pari al numero medio di specie per rilievo. Le specie con frequenza minore, che non rientrano all’interno della CSC, non vengono considerate, mentre, tra le specie con la stessa frequenza vengono scelte quelle con maggior copertura e, nel caso in cui più specie presentano anche la stessa copertura, allora la scelta viene effettuata sog-gettivamente.

Attraverso la CSC è possibile riconoscere per ogni gruppo di rilievi le specie differenziali che forniscono informazioni per individuare l’inquadramento fitoso-ciologico dei gruppi stessi.

Analisi della flora

La flora viene analizzata attraverso l’elaborazione dei diversi spettri:

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— spettro corologico globale, ottenuto calcolando la percentuale del numero di specie appartenenti ai singoli gruppi coro logici, sul totale delle specie rilevate e di cui è nota la corologia;

— spettro biologico globale, calcolato sul rapporto percentuale delle forme biologiche di ogni spe-cie presente, dal quale si ottengono informazioni sul clima cui la vegetazione è sottoposta;

— spettro ecologico globale, ricavato attribuendo ad ogni specie il valore degli indici di Landolt6 (1977) per ogni parametro ecologico relativo ad umidi-tà, acidità, nutrienti del suolo, tenori in humus, granulometria, luce, temperatura e continentali-tà. Tali indici permettono di realizzare lo spettro ecologico, basato sul numero di specie per ogni valore attribuito ad ogni singolo parametro;

— spettro biologico ponderato, che si ottengo-no sostituendo gli indici di copertura con i seguenti valori, che rappresentano il va-lore centrale medio di copertura: 5 = 90; 4 = 70; 3 = 50; 2 = 30; 1 = 10; + = 1; r = 0,1.

6. 24.7.1926 Zurigo, Celibe. Ha studiato scienze naturali al Po-litecnico fed. di Zurigo, conseguendo il dottorato nel 1953 con una tesi di botanica sistematica. Dopo un soggiorno di ricerca in California (1953–55), è stato libero docente (1957) e professore di botanica speciale (1964) al Politecnico fed. di Zurigo, e professore di Geobotanica e di-rettore dell’Ist. di Geobotanica del Politecnico (1966–93). Collaboratore di diverse associazioni e commissioni per la protezione dell’ambiente, ha scritto monografie su gruppi di piante dell’Europa centrale e sulla famiglia delle lenticchie d’acqua (lemnacee), diffusa in tutto il mondo. Accanto alla sistematica, si è concentrato sulle ricerche ecologiche spe-rimentali per la caratterizzazione delle specie, lavorando inoltre a uno studio sulla flora del Sihlwald. Opere–Unsere Alpenflora, 1960 (2003), in collaborazione con H.E. Hess e R. Hirzel, Flora der Schweiz und angren-zender Gebiete, 3 voll., 1967–1972 (1976–19802), Flora der Stadt Zürich, 1984–1998, 2001.

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3. Metodi di rilevamento fisiologico 67

In seguito si effettuano le somme, dei nuovi valori, di ciascuna delle specie differenziali appartenenti al CSC per tutti i rilievi presenti nella tipologia considerata e si applica l’equazione:

f.b.: S = x: 100

dove f.b. rappresenta la somma dei valori delle specie appartenenti alla medesima forma biologica, S la som-ma totale e x il valore percentuale desiderato per rica-vare il grafico.

Analisi del clima

I dati ottenuti ed utilizzati per la costruzione di gra-fici utili ai fini delle osservazioni sul clima, sono relativi alle temperature e alle precipitazioni.

Essi sono:

— termogrammi, costruito per la sola stazione di Taranto, mostra l’andamento delle temperatu-re medie mensili espresse in °C. I valori termici mensili relativi a più anni vengono inseriti dopo averli sintetizzati in un valore medio, allo scopo di considerare un intervallo di tempo significati-vo ai fini di uno studio sulla vegetazione;

— pluviogrammi, che mostrano l’andamento delle precipitazioni medie mensili, misurate in mm, nel corso dell’anno. Anche in questo caso, i valori di più anni vengono sintetizzati in un valore me-dio;

— climogrammi, che richiedono la conoscenza e l’utilizzo dei dati termici e pluviometrici. I climo-grammi di Walter e Lieth sono utili in quanto for-

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niscono informazioni relative a possibili periodi di siccità, ai mesi in cui potenzialmente si posso-no verificare gelate, ai mesi in cui le gelate non si verificano ed, infine, sui massimi ed i minimi assoluti relativi alle temperature.

I diagrammi climatici di Walter–Lieth hanno perfe-zionato le rappresentazioni grafiche dei regimi termici e pluviometrici di Bagnolus e Gaussen7.

7. Bagnolus F., Gaussen H., 1957, Les climats biologiques et leur clas-sification, Ann. Geogr., 66, 193–220.

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4. Il Parco Batteria Cattaneo

Ubicazione, morfologia, cenni climatici e geo–pedologici

Il Parco Batteria Cattaneo si colloca sul litorale ad oriente di Taranto. Tale tratto si differenzia sostanzial-mente da quello occidentale per la presenza di tracce, re-lative ad insediamenti umani, sin dai tempi della preisto-ria. Non a caso, infatti, i nostri antenati scelsero questo arco di costa per via di alcune ben distinte peculiarità, quali il clima mite, i naturali ripari naturali offerti dalle numerose calette, cui si aggiungeva la relativa profondità delle acque, tale da garantire agevoli approdi.

Il parco è geograficamente ubicato nel tratto occiden-tale, zona Blandamura, del territorio di Leporano, comu-ne da cui dista circa 5 km, ed è così delimitato: a Nord, dalla Litoranea Salentina Orientale; a Sud, dal mare del Golfo di Taranto; ad Ovest confina con il territorio di Ta-ranto e, contiguamente, al boschetto di San Francesco; ad Est, con terreni appartenenti a privati.

Il territorio del Parco Batteria Cattaneo ha la forma di un rettangolo irregolare, con i lati maggiori che si svi-luppano in direzione sud–nord. Orograficamente e mor-fologicamente il terreno si presenta come zona rocciosa, con sedimenti di humus su un pianoro che degrada da una quota 29,7 m s.l.m., secondo la direzione nord–sud, su una profondità di circa 398 m sino a quota 27,60 m

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s.l.m., sviluppando una leggera pendenza pari a circa lo 0,5 %. Continuando per una profondità di circa 262 m, dai 27,60 m s.l.m. raggiunge una ripidità dell’8% una quota di circa 6,00 m s.l.m.

Lo strato edafico ha una lama che si aggira intorno ai 15–20 cm ed è formato da terreno parautoctono del quaternario, di natura argillo–ferruginosa in parte di origine eolica, in par-te derivante dal disfacimento del calcare, di color bruno per l’apporto delle sostanze organiche e la loro degradazione in humus di riporto1.

In prossimità del mare, l’area è sicuramente di origine argillosa, mista a sabbia ed arenaria. Il terreno si presen-ta pochissimo permeabile alle acque e ciò permette alle stesse di defluire superficialmente, dilavandolo in quanto difficilmente assorbibile. Ciò consente di aumentarne la concentrazione salina, concorrendo ad innalzare la natu-rale secchezza della zona, cui si deve aggiungere anche la secchezza fisiologica.

Il substrato roccioso del bosco ha per base e per ossatura ge-ologica il calcare compatto cretaceo, ricchissimo di rudiste, ippurite, radicoliti, sferuliti, e ricoperto nelle pianure e nelle depressioni dai terreni terziari e quaternari.

La composizione chimica e la costituzione fisica non hanno subito modificazioni nel tempo, poiché la zona risulta priva di corsi di acqua in superficie o rilievi mon-tuosi, tali da arrecare sostanziali modifiche.

In direzione del mare la soglia rocciosa scende rapi-damente verso la battigia dai circa 6 m s.l.m. a circa 3 m s.l.m., ed è caratterizzata da una scogliera medio–alta. La soglia sottomarina è variabile nella sua lunghezza e nella

1. P. Principi, Geopedologia, Roma 1953 e A. Grimaldi, 1958.

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4. Il Parco Batteria Cattaneo 71

sua ampiezza ed ha, a tratti, poca profondità e risulta ri-coperta da alghe.

Il clima nella zona è di tipo mediterraneo, caratteriz-zato da un inverno generalmente mite, con temperatu-re mensili normalmente non inferiore ai 10 °C, e pre-cipitazioni frequenti e soventemente copiose, dovute ai venti occidentali ed alle depressioni cicloniche. I venti sono talora forti e spesso si verificano brinate che perdu-rano sino al mese di maggio. Quest’ultimo fenomeno è fortemente temuto dai contadini della zona, in quanto arreca danni da freddo su organi in riposo vegetativo o su organi in vegetazione, che tendono a diventare vetro-si in seguito alla formazione del ghiaccio, per poi “cuo-cersi” al momento del disgelo, afflosciandosi in seguito all’evaporazione delle acque. L’estate è piuttosto secca e calda, mitigata dalla brezza del mare. Normalmente la temperatura media non supera i 24–25 °C, anche se negli ultimi anni è in atto un cambiamento climatico, al punto che soventemente si parla di africanizzazione.

Sul piano biologico si evidenzia un periodo di riposo per la maggior parte delle specie erbacee. Si può consta-tare, quindi, che l’estate è la stagione di massimo squal-lore, durante la quale alcune specie tendono a protrarre la loro vegetazione. Una timida ripresa vegetativa si ha verso la fine agosto o agli inizi di settembre, dovuta alla comparsa della prima rugiada che inumidendo il ter-reno, consente a molti semi di germinare ancor prima dell’arrivo delle piogge autunnali.

Si registrano, pertanto, due periodi di riposo che hanno fioritura e vegetazione, coincidenti con l’estate e l’inverno, per contro l’autunno è caratterizzato da una limitata ripresa vegetativa. In primavera la natura assu-me un aspetto vistoso, festoso, accarezzata da una leg-gera brezza profumata, emanata dalla grande varietà di fiori e piante.

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Le osservazioni sull’andamento della fioritura, con-dotte negli ultimi anni nella zona, ci consentono di evi-denziare con grafici che la primavera e l’autunno sono stagioni favorevoli al risveglio vegetativo, mentre l’inver-no e l’estate sono quelle in cui si evidenzia il periodo di riposo.

I dati forniti dall’Osservatorio Meteorologico e Geo-fisico di Taranto Luigi Ferrajolo, situato a Villa Schinaia a Talsano (Taranto), ci consentono di tracciare un grafico delle medie mensili della piovosità, dell’umidità relativa, della velocità del vento e delle temperature registrate ne-gli anni 2001, 2002 e 2003.

Lo studio della natura costituisce una forma di autoeduca-zione Baden Powell, anno 1907.

Temperatura e umidità

Mesi dell’anno

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4. Il Parco Batteria Cattaneo 73

La flora

Sul territorio di Blandamura, sito della Batteria Catta-neo, secondo la direttrice che corre da sud a nord, vale a dire dal mare sino alla strada provinciale detta “Litora-nea Salentina Orientale”, sono facilmente identificabili le varie caratteristiche e le fasce di vegetazione. Esse sono cinque e possiamo classificarle in: Fascia a vegetazione psammofila, Zone a macchia mediterranea, Zona del

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Pino Marittimo e Pino d’Aleppo, Fascia a zone miste, Radure e prati. Analizziamole singolarmente.

Fascia a vegetazione psammofila2

è compresa fra la costa rocciosa, al limite della zona afiotica, caratterizzata, durante il periodo estivo, da una forte aridità, un’alta temperatura e vento che, dallo strato superficiale del suolo surriscaldato, velocemente resti-tuiscono all’atmosfera, sotto forma di vapore acqueo, i pochi millimetri di pioggia caduti. Le zone limitrofe alla scogliera, sono caratterizzate anche da pozze di scogliera, veri e propri microcosmi ai margini del mare, giungle in miniatura, zone di transizione tra il mare e la riva. Tale area è alternativamente sommersa, ora dall’acqua salata, ora dalla pioggia, quindi seccata dall’azione del sole.

Sulla soprascogliera predomina una vegetazione uni-forme che costituisce la principale caratteristica dell’am-biente. Essa è composta da:

Arenaria serpyllifolia (Arenaria – famiglia Cariofillacee) Artemisia maritima (Artemisia marittima – fam. Composite) Anagallis arvensis L. (Anagallide o Centocchio dei campi – fam. Primulacee) Arùndo dònax (Canna di canneto – fam. Graminacee) Ammophila arenaria (Sparto pungente o Ammofila – fam. Gra-minacee) Arthrocnemum perenne (Salicornia glauca – fam. Chenopodiacee)Anthriscus caucalis (Lappola – fam. Ombrellifere)Atriplex marìtima (Atreplice marittimo – fam. Chenopodiacee)Beta vulgaris maritima (Bietola – fam. Chenopodiacee) Capparis spinosa (Cappero – fam. Capparidacee).Carpobrotus acinaciforme(Fico degli Ottentotti – fam. Aizonacee) Crithmum maritimum (Erba di San Pietro – fam. Ombrellifere)

2. I psammofili sono organismi che presentano preferenza o adatta-mento a terreni sabbiosi o misti.

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Ceterach officinàrum (Erba ruggine o Cedracca – fam. Felcie) Càkile marìtima (Ruchetta marina o Ravastrello – fam. Crucifere) Cuscuta epithymum (Cuscuta – fam. Convolvulacee) Centranthus ruber (Valeriana rossa – fam. Valerianacee) Cràmbe Marittima (Cavolo di mare – fam. Crucifere).Daucus carota (Carota selvatica – fam. Ombrellifere) Euphorbia peplus (Clenzuola piccola – fam. Euforbiacee) Ephedra distachya L. (Efedra o Uva marina – fam. Efedracee) Eryngium maritimum (Calcatreppola delle sabbie – fam. Om-brellifere)Fùcus serràtus (Fuco seghettato – fam. Feoficee) Fùcus vesiculòsus (Fuco vescicoloso – fam. Feoficee) Fùcus spiràlìs (Fuco spirale – fam. Feoficee) Glàux maritima (Glauce marittimo – fam. Primulacee) Glaucium flavum (Papavero delle sabbie – fam. Papaveracee) Himanthàlia lòrea (Alga nastro – fam. Feoficee o Alghe Brune)Jasione montana (Bottoni azzurri – fam. Campanulacee) Laminaria hyperbòrea (Laminaria palmata – fam. Feoficee) Laminària saccharina (Laminaria zuccherina – fam. Feoficee) Limònium vulgàre (Limonio – fam. Plumbaginee) Lagurus ovàtus (Piumino – fam. Naiadacee) Medicago marina (Medica marina – fam. Leguminose) Plantago maritima (Piantaggine marittima – fam. Plantaginee) Plantago coronopus (Piede di corvo – fam. Plantaginee) Posidonia (Posidònea oceànica – fam. Naidacee)Pancràtium maritìmum (Narciso di mare – fam. Naiadacee) Pulicaria dysenterica (Inula pulciaia – fam. Composite) Phragmites australis (Cannuccia di palude – fam. Graminacee)Puccinèllia maritima (Puccinellia marittima – fam. Graminacee)Rosmarìnus officìnàlis (Rosmarino – fam. Labiate) Suaeda maritima (Vetriola di mare – fam. Chenopodiacee) Scirpus maritimus (Giunco sfrangiato o mosca – fam. Ciparacee) Salsola kali (Riscolo o Soda – fam. Chenopodiacee) Spergulària salina (Spergularia salina – fam. Chenopodiacee) Silène sericea (Silene sericea – fam. Chenopodiacee) Spergulària marginata (Spergularia marginata – fam. Chenopo-diacee) Spergularia rubra (Spergola rossa – fam. Chenopodiacee)Thymus praecox (Timo o Serpillo – fam. Labiate) Urginea marìtima (Urginea – fam. Naiadacee)Ulva lactùca (Lattuga di mare – fam. Cloroficee o Alghe verdi)

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Carta nautica del Golfo di Taranto

Scogliera dal bosco Blandamura

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Scogliera e avanscogliera del bosco di Blandamura

Mare, Scogliera e macchia mediterranea

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Scogliera e piante adattate (vegetazione psammofila)

Sul sentiero che conduce alla scogliera direzione “ Tiro 2 “, in primo piano a de-stra, pianta di Coridothymus capitatus (Timo arbustivo – famiglia Lamiacee)

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4. Il Parco Batteria Cattaneo 79

Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (da Wikipedia, l’enciclopedia libera)

La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, o UNCLOS (acronimo del nome in inglese United Nations Con-vention on the Law of the Sea), è un trattato internazionale che definisce i diritti e le responsabilità degli Stati nell’utilizzo dei mari e degli oceani, definendo linee guida che regolano le trattative, l’ambiente e la gestione delle risorse naturali.L’UNCLOS è stata definita durante un lungo processo di ne-goziazione attraverso una serie di Conferenze delle Nazioni Unite iniziate nel 1973 ed è stata finalmente aperta alla firma a Montego Bay, Giamaica, il 10 dicembre 1982. è entrata in vigore il 16 novembre 1994, un anno dopo la firma della Guyana quale sessantesimo Stato contraente.Al momento 155 Stati hanno firmato la Convenzione. La Co-munità europea ha firmato e ratificato, gli Stati Uniti hanno firmato ma il Senato americano non l’ha ancora ratificata. L’Italia ha ratificato la convenzione a mezzo della legge del 2 dicembre 1994, n. 689.

Storia

L’UNCLOS rimpiazza il vecchio concetto della libertà dei mari, risalente al XVII secolo secondo cui, in linea di mas-

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sima, i diritti nazionali erano limitati a specifiche fascie di mare che si estendevano generalmente per tre miglia nau-tiche, secondo la regola detta dello “sparo del cannone” svi-luppata dal giurista olandese Cornelius Bynkershoek. Tutto lo spazio di mare oltre tale fascia era considerata “acque in-ternazionali”, ossia di proprietà di nessuno stato e quindi di libero accesso ad ognuno di loro.Nel XX secolo alcuni Stati espressero il desiderio di estendere la loro giurisdizione nazionale specialmente per poter aumentare la possibilità d sfruttare in maniera esclusiva le risorse marine, principalmente quelle minerarie e di pesca, oltre i limiti delle tre miglia. Fra gli anni 1946 e 1950 una serie di Paesi hanno iniziato a dichiarare in ambito internazionale l’estensione delle loro acque internazionali a 12 o anche 200 miglia.Ad oggi sono solo una piccolissima parte degli Stati riviera-schi del mondo a mantenere un limite di giurisdizione nazio-nale su una fascia di mare di sole tre miglia.L’UNCLOS, fra le altre cose, definisce le acque internazionali quindi non più “terra di nessuno” ma di proprietà di tutti,

di conseguenza l’Assem-blea delle Parti traccia le regole per l’utilizzo o la regolamentazione delle attività.

Le indicazioni dell’UNCLOS

Zonazione delle aree se-condo il diritto interna-zionale marinoLa Convenzione detta le regole sulle attività ed in-troduce una serie di indi-cazioni specifiche di fatto trasformando in regola quanto fino ad allora era stato l’uso consuetudina-rio degli spazi marini.Zonazione delle aree secondo il diritto

internazionale marino

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4. Il Parco Batteria Cattaneo 81

Gli argomenti più importanti sono: la zonazione delle aree marine, la navigazione, lo stato di arcipelago e i regimi di transito, zona economica esclusiva, giurisdizione della piat-taforma continentale, attività estrattive minerarie nel fondo marino, regimi di sfruttamento, protezione dell’ambiente marino, ricerca scientifica e soluzione di dispute.La Convenzione pone i limiti delle varie aree marine identifi-cate, misurate in maniera chiara e definita a partire dalla co-siddetta linea di base. La linea di base, detta così in quanto base di partenza per la definizione delle acque interne e delle acque internazionali, si definisce una linea spezzata che unisce i punti notevoli della costa, mantenendosi generalmente in acque basse, ma laddove la costa sia particolarmente frastagliata o in casi in cui delle isole sono particolarmente vicine alla costa, la linea di base può tagliare e comprendere ampi tratti di mare.

Le aree identificate dall’UNCLOS sono le seguenti:

Acque interne: ossia lo spazio di mare all’interno della linea di base. In quest’area vigono in maniera vincolante le leggi dello Stato costiero che regola l’uso delle risorse e il passag-gio delle navi.Acque territoriali: che comprende lo spazio di mare compreso dalla linea di base alle 12 miglia nautiche. In quest’area vi-gono comunque le leggi dello Stato costiero ma all’interno delle acque territoriali esiste il diritto di ogni imbarcazione al cosiddetto passaggio inoffensivo. Il passaggio inoffensivo è definito come l’attraversamento di aree marine in modo con-tinuo e spedito che non pregiudichi la pace, il buon ordine e la sicurezza dello Stato costiero. La pesca, attività inqui-nanti, pratiche armate e pratiche spia non sono considerate inoffensive nonché sommergibili e altri navigli sommersi sono richiesti di navigare in superficie e di mostrare la loro bandiera.Arcipelaghi: le acque interne degli Stati formati da arcipelaghi sono identificate tracciando una linea di base che unisce i punti più esterni delle isole più esterne, ovviamente qualora questi punti siano ragionevolmente vicini fra loro.Zona contigua: oltre il limite delle 12 miglia nautiche dalla

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linea di base si estende un tratto di ulteriori 12 miglia, quindi 24 miglia nautiche dalla linea di base, in cui lo Stato costiero può continuare a fare valere le proprie leggi rispetto — prin-cipalmente — al controllo del contrabbando o dell’immigra-zione clandestina.Zona economica esclusiva: anche nota con l’acronimo ZEE, è l’area di mare che si estende per 200 miglia nautiche dalla linea di base in cui lo Stato costiero può esercitare il diritto di sfruttamento esclusivo delle risorse naturali. Tale princi-pio nasce per dare un freno allo sfruttamento indiscriminato della pesca anche se, con le nuove tecnologie che consen-tono di trivellare il petrolio in acque molto profonde, è stata recentemente utilizzata anche per lo sfruttamento estrattivo minerario esclusivo.Piattaforma continentale: la piattaforma continentale è consi-derata come il naturale prolungamento del territorio di uno Stato, il quale può quindi sfruttarne le risorse minerarie o comunque non–viventi in maniera esclusiva. La piattaforma continentale può superare le 200 miglia nautiche ma non ec-cedere le 350, o può essere calcolata misurando 100 miglia nautiche dall’isobata dei 2,500 metri.

Zone a macchia mediterranea

Tali zone, secondo le parole di Giacobini, sono quelle:

Aventi l’aspetto della macchia bassa con probabile origine pri-maria sia perché è al limite inferiore del sott’orizzonte mediterra-neo propriamente detto o sublitoraneo, sia perché il vento è un fattore fortemente limitante lo sviluppo della vegetazione arborea e deprime la statura delle piante legnose3.

Esaminando la composizione della macchia e tenendo presente la varietà delle specie dominanti, riesce alquanto

3. V. Giacomini, La Flora, Touring Club Italiano, Milano 1958.

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4. Il Parco Batteria Cattaneo 83

difficile catalogarla secondo l’usuale tipologia, in quanto molti sono i fattori che hanno contribuito a modificarla, tipo incendi o depauperamento dovuto a molteplici cause attribuibili all’intervento umano. Se si osserva la note-vole variabilità di specie da un punto all’altro della zona, si deduce che nonostante l’impoverimento degli ultimi anni, tale fascia è attualmente in lenta, ma tuttavia netta, ripresa, in special modo nell’area sudorientale. Le specie che caratterizzano in special modo tale zona sono:

Coridothymus capitatus (Timo arbustivo – fam. Lamiacee)Capparis spinosa (Cappero – fam. Capparidacee) Rosmarinus officinalis (Rosmarino – fam. Labiate) Myrtus communis (Mirto – fam. Myrtacee) Pistacia lentiscus (Lentisco – fam. Anicardiacee) Pinus halepensis (Pino d’Aleppo – fam. Pinacee)Robinia pseudoacacia (Robinia – fam. Leguminose) Pinus pinea (Pino domestico – fam. Pinacee)) Asparagus acutifolius (Asparago – fam. Liliacee) Rubus fruticosus (Rovo o Mora – fam. Rosacee) Arbutus unedo (Corbezzolo – fam. Ericacee) Colchium autumnale (Colchico o Freddolina – fam. Liliacee) Myrris odorata (Finocchiella – fam. Ombrellifere) Cònium maculatum (Cicuta – fam. Ombrellifere) Cichorìum intybus (Cicoria selvatica – fam. Composite) Spàrtium junceum (Ginestra – fam. Leguninose) Sarothàmnus scopàrius (Ginestra dei carbonai – fam. Leguminose) Asphòdelus ramòsus (Asfodelo – fam. Liliacee) Sedum acre l. (Risetto – fam. Crassulacee)

Zona del Pino marittimo e Pino d’Aleppo

Si colloca immediatamente a ridosso della fascia a mac-chia mediterranea, ha una vita media di circa 50 anni. Nel sottobosco è presente una comune flora erbacea molto scarsa, con predominanza di graminacee e diverse spe-cie di funghi. Predomina il Pino d’Aleppo piuttosto che il Pino domestico, con un sottobosco molto diffuso di

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Lentisco di notevoli dimensioni, laddove non sono stati disturbati o danneggiati ad opera di piromani o di van-dali. Dette conifere attecchiscono bene anche su suoli o rocce calcaree, oltre al fatti di essere riuscite ad adattarsi su di un suolo prevalentemente argilloso. Sono, inoltre, resistenti al clima caldo ed arido della zona.

Sulla soprascogliera e verso l’interno, a mimetizzare casematte, bunker e postazioni di artiglieria o mitraglie-re pesanti, di cui rimangono arrugginiti ricordi di bulloni di ancoraggio in ghisa, ormai decrepiti basamenti in ce-mento, che un tempo ne erano i sostegni, il Pino d’Alep-po ed il Lentisco fungono da avanguardia e proteggono, sia l’alta, sia la bassa vegetazione, limitando l’azione mo-dellante del vento e della salsedine marina. Osservando l’attuale situazione e le tracce lasciate dal tempo, si evi-denzia che le piante e le conifere della zona hanno subito diversi incendi che, spesso, le hanno quasi distrutte e, di

Lentisco (Pistacia lentiscus) che con altre specie di arbusti forma, in molte zone, un intricato e impraticabile sottobosco

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conseguenza, attualmente stentano a riprendersi, spe-cialmente nella zona sud–orientale.

Fra le specie presenti si distinguono:

Pinus halepensis (Pino d’Aleppo) Pinus pinea (Pino domestico) Pistacia lentiscus (Lentisco) Myrtus communis (Mirto) Pyrus communis (Pero selvatico) Erica herbacia L. (Erica) Prunus spinosa L. (Prugnolo) Artemisia coerulescens L. (Artemisia litorale) Tamarix pendendra (Tamerice).

Myrto Communis (Mirto – famiglia Mirtacee)

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Myrtus communis (Mirto o Mortella – fa-miglia Mirtacee)

Sentiero che, dal “Tiro 2”, conduce direttamente sulla scogliera: tra macchie di Lentisco si erge una garritta in disuso della “Battera Cattaneo”, in origine protetta da filo spinato, totalmente asportato

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A sinistra, sentiero in direzione del “Tiro 2” verso il mare. Sotto, sentiero che conduce alla scogliera, attra-verso la pineta

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Dalla scogliera all’interno, sull’avanscogliera, gli alberi e le piante, assumono la conformazione strisciante dovuto all’azione quasi costante del vento prove-niente da sud

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Fascia a zone miste (prato e bosco)

Con il trascorrere degli anni, la natura ha ripreso il pre-dominio, sia su alcune zone a ridosso delle strutture for-tificate, sia su altre, in seguito alla carenza di un’attività di manutenzione. All’epoca della costruzione, l’ordine di messa a dimora e sistemare alcune specie arboree, a ridosso delle strutture, rispondevano alla necessità fonda-mentale di occultare la batteria, posta a protezione di Ta-ranto. Alle specie piantate sulla parte prospiciente il mare, è stata volutamente data una certa casualità, dando libero sfogo alla natura affinché si impadronisse del territorio e creasse l’effetto desiderato, cioè la mimetizzazione del sito sia dal mare, sia dal cielo. La zona, ritenuta idonea alle necessità strategiche militari, non era del tutto abban-donata, anzi, la presenza di svariate attività umane legate all’agricoltura ed alla pastorizia, è tutt’oggi visibile. Infatti è possibile reperire in zona resti di abbeveratoi, pozzi in secca e ruderi di una masseria risalente, presumibilmente, all’inizio del IXX secolo, volutamente non recuperata e, tra l’altro, lasciata cadere in rovina, pur essendo utilizzata di tanto in tanto sino a quando ciò è stato possibile. Tale costruzione era costituita da un edificio padronale su due piani, facilmente individuabile grazie al numero civico 101 posto sulla facciata nord, e le cantine ipogee, rica-vate scavando la roccia, per dare corpo alla costruzione della masseria attraverso le fondamenta,, come è stata consuetudine sino a tempi più recenti. C’erano, poi, altri edifici adibiti ad abitazioni di pastori con depositi annessi, stalle per il ricovero e la protezione degli animali, stanze per lo stoccaggio di derrate alimentari e trasformazione di prodotti agricoli, individuabili dal numero civico 91 posto sulla facciata sud. Inoltre, la presenza di alcuni ru-deri di una muratura ciclopica, dislocati nella zona est, dimostrano che il sito è stato abitato in tempi antichi. Ciò

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ci consente di capire perché sono presenti gruppi di alberi che, rispetto ad altre aree analoghe, non hanno la stessa età dell’insediamento militare, bensì risultano precedenti, in quanto assolvevano ad una funzione diversa.

A nord–est, con finalità puramente decorative, in quanto poste a filari ordinati, compaiono gli Eucaliptus globulis, posti a ridosso degli alloggiamenti militari sul viale principale e su alcuni vialetti interni, fiancheggiati da un discreto numero di Cupressus sempervirens. In qual-cuno di tali vialetti si nota anche la presenza di Cupres-socyparis leylandii. Non è difficile immaginare la mattina di un giorno qualsiasi della settimana, al momento della cerimonia dell’alza bandiera, lo schieramento dei marinai in linea con gli Eucaliptus globulis, posti di fronte al pen-none, piantato su una torretta in muratura, riproduzione tipica di un sommergibile in emersione dalle acque del

Corpo di Guardia all’entrata della Batteria Cattaneo, con in primo piano staffa diappoggio barra a livello demolita

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mare, il tutto circondato dalle aiuole poste a ridosso degli uffici logistici e di comando. Il corpo di guardia, che con-sentiva l’accesso attraverso il cancello principale posto sul lato che guardava verso il litorale, era provvisto di ai-uole con cordoli in pietra imbiancate con calce viva, tra le quali si notavano fontanelle sparse, pronte a soddisfare la sete dei militari e dei civili. Tutto questo, agli occhi di un ipotetico visitatore di turno, dava la sensazione dell’or-dine, della vitalità, dell’efficienza, della disciplina e della pulizia.

Radure e prati

Le radure, gli spiazzi, ed i prati sono collegati fra loro da una rete di stradine, create per raggiungere agevol-mente le postazioni militari, gli uffici di comando, gli alloggi, i bunker. Attraverso la vegetazione erano stati creati anche altri sentieri, la maggior parte dei quali sem-brava non conducesse da nessuna parte. Questi, comun-que, ostacolano la ripresa della vegetazione in tali tratti. Le specie arboree ed erbacee presenti sono numerose e variano, principalmente, in relazione all’umidità ed al contenuto calcareo ed argilloso del terreno, che presenta anche un leggero substrato misto costituito da fogliame e da materiale organico formatisi nel tempo, in seguito alla stagionale caduta delle foglie di alcune specie di alberi e piante, e che contribuisce alla formazione dell’humus. Nell’area si riscontrano le seguenti specie arboree:

Pìnus halepénsìs (Pino d’Aleppo – fam. Pinacee) Pìnus pinaster (Pino marittimo – fam. Pinacee) Pìnus pìnea (Pino domestico o Pino da pinoli – fam. Pinacee) Eucaliptus clobulis (Eucalipto – fam. Myrtacee) Robinia pseudoacacia (Robinia o Falsa acacia – fam. Leguminose) Òlea europaea sativa (Olivo – fam. Oleacee) Òlea oleàster (olivastro – fam. Oleacee)

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Ficus càrica (Fico – fam. Moracee) Pirus commùnis (Pero selvatico o Pero corvino – fam. Rosacee) Cupressus sempervirens (Cipresso comune – fam. Cupressacee) Tamarix gallica (Tamerice – fam. Tamaricacee) Cupressocyparis leylandii (Cipresso di leyland – fam. Cupressacee) Pòpulus nìgra (Pioppo comune – fam. Salicacee) Pistàcìa lentiscus (Lentisco – fam. Anicardiacee) Myrtus communis (Mirto o Mortella – fam. Myrtacee) Làurus nòbilis (Alloro o Lauro – fam. Lauracee) Acacia dealbata (Mimosa – fam. Mimosacee)Arundo donax. (Canna di canneto – fam. Cannacee) Ulex europaéus (Ginestrone – fam. Leguminose).

Le specie erbacee che prevalgono, invece, sono:

Avéna fatua (Avena selvatica o Avena matta – fam. Gramina-cee) Anagàllis arvénsis (Mordigallina o Anagallide – fam. Primulacee) Alliaria petiolata (Alliaria – fam. Crucifere) Anthemis arvensis (Camomilla bastarda – fam. Composite) Àrctium làppa L. (Bardana – fam. Composite) Artemisia vulgàris (Artemisia comune o Amarella – fam. Com-posite)Agropyron rèpens (Gramigna comune – fam. Graminacee) Aspàragus officinalis (Asparago – fam. Liliacee) Aspàragus acutifòlius (Asparago dei boschi – fam. Liliacee)Àtriplex patula (Atriplice maggiore – fam. Chenopodiacee) Agrimonia eupatoria (Agrimonia eupatoria – fam. Rosacee)Anthoxanthum odoratum (Paleo odoroso – fam. Graminacee) Arrhenatherum elatius (Avena altissima – fam. Graminacee) Acinos arvensis (Santoreggia dei campi – fam. Labiate) Allium ursìnum (Aglio degli orsi – fam. Liliacee) Allium vineàle (Aglio pippolino – fam. Liliacee) Anacàmptis pyramidàlis (Giglione – Orchidea piramidale – fam. Orchidacee) Agave (Agave – fam. Agavacee) Althaea officinalis L. (Malvone – fam. Malvacee) Andròpogon gryllus (Trebbia o Erba spazzola – fam. Graminacee)Adonis annua (fior d’adone – fam. Ranucolacee) Arabis hirsuta (Pelosella – fam. Crucifere)

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Artemisia absinthium L. (Assenzio – fam. Composite)Artemisia vulgaris L. (Assenzio volgare – fam. Composite) Avena sativa (Avena – fam. Graminacee) Ajùga chamaépitys L. (Camepizio – fam. Labiate) Aethusa cynapium (Falso prezzemolo – fam. Ombrellifere) Antirrhinum mayus (Bocca di leone o Bocca di lupo – fam. Scro-phulariacee) Asphodelus microcarpus (Asfodelo – fam. Liliacee) Agropyrum canìnum (Dente canino – fam. Graminacee) Aceras anthopòphora (Ballerina – fam. Orchidacee)Alopecurus pratensis (Coda di topo o Alopecuro dei prati – fam. Graminacee)Bellis perennis (Pratolina o Margheritina – fam. Composite tubu-liflore) Bràssiga nigra (Senape nera o Mostarda – fam. Crucifere) Bràssiga ràpa (Rapa – fam. Crucifere) Bràssiga oleràcea (Cavolo – fam. Crucifere) Bromus erectus (Forasacco eretto – fam. Graminacee) Bròmus ramòsus (Forasacco ramose – fam. Graminacee) Brìza maxima (Sonaglini – fam. Graminacee)Bromus tectòrum (Bromo o Fieno dei tetti – fam. Graminacee)Bromus secalinus (Erba segalina – fam. Graminacee)Bròmus mollis (Bromo molle o Spigolina – Graminacea).Brachypòdium silvàticum (Brachipodio di selva – fam. Graminacee)Bùtomus umbellàtus (Aglio dei fossi – fam. Butomacee) Coridothymus capitatus (Timo arbustivo – fam. Lamiacee)Camelina sativa (Camelina da olio – fam. Crucifere)Centarium erythraea (Cacciafebbre – fam. Genzianaree) Cirsium arvense (Stoppione o Cardo campestre – fam. Compo-site) Convòlvulus tricolor (Bella di giorno – fam. Convolvulacee) Convòlvulus arvensis (Vilucchio – fam. Convolvulacee) Convòlvulus sépium (Vilucchione – fam. Convolvulacee) Conyza canadensis (Saeppola o conizza – fam. Composite) Cichòrium intybus (Cicoria selvatica – fam. Composite) Chrysanthemum segetum (Margherita delle messi – fam. Com-posite) Cupularia viscosa (Ceppitoni – fam. Composite) Cypripédium calcéolus (Farfallone – fam. Orchidacee)Cynosùrus cristàtus (Ventolana o Coda di cane – fam. Graminacee)Chelidònium màjus (Celidonia o erba da porri – fam. Papaveracee)

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Còlchicum autumnale (Colchico – fam. Liliacee) Cephalanthéra rùbra (Elleborina – fam. Orchidacee)Chrysànthemum ségetum (Ingrassabue – fam. Composite) Convolvulus soldanélla (Soldanella di mare – fam. Convolvulacee)Chrysànthemum vulgàre (Aniceto o Tanaceto – fam. Composite) Chrysànthemum leucàntheum (Margherita occhio di bue – fam. Composite)Cichorium endivia (Invidia – fam. Composite)Carlina vulgaris (Carlina comune – fam. Composite) Centaurea cyanus (Fiordaliso – fam. Composite)Càrduus acanthoìdes (Cardo alato o Fior di lupo – fam. Composite) Crepis capillaris (Crepide – fam. Composite) Crépis vesicària (Radicchio scoltellato – fam. Composite ligu-liflore) Crépis biénnis (Bonafoglia – fam. Composite liguliflore)Cròcus albiflorus (Croco o Zafferano selvatico – fam. Iridacee)Cirsium vulgare (Cardo asinino o Cirsio – fam. Composite) Cistus albidus (Cisto – fam. Cistacee)Cistus crispus (Cisto – fam. Cistacee)Cistus laurifolius (Cisto – fam. Cistacee)Cistus monspeliensis (Cisto di Montpellier – fam. Cistacee)Cistus salvifolius (Cisto brentina– fam. Cistacee)Cistus villosus (Cisto – fam. Cistacee)Capsella bursa–pastoris (Borsa del pastore – fam. Crucifere) Calendula officinalis L. (Calendula – fam. Composite) Ceterach officinarum (Erba ruggine o Cedracca – fam. Felcie) Crithmum maritimum L. (Finocchio marino – fam. Ombrelliferee)Carex flacca (Carice – fam. Ciperacee) Dàctylis glomeràta (Erba mazzolina – fam. Graminacee) Dìpsacus silvéster huds. (Cardo dei lanaioli – fam. Dipsacacee)Daucus carota l. (Carota – fam. Ombrellifere) Deschàmpsia flexuòsa (Panico cappellino – fam. Graminacee)Diplotaxis tenuifolia (Ruchetta tenuifolia – fam. Crucifere) Diplotaxis viminea (Ruchetta selvatica – fam. Crucifere) Diplotaxis muràlis (Ruchetta di muraglia – fam. Crucifere) Ecballium elaterium (Cocomero asinino – fam. Cucurbitacee) Epilobium angustifolium (Epilobio o Gambi rossi – fam. Eno-gracee) Eryngium campéstre (Calcatreppolo – fam. Ombrellifere)Epipactis helleborine (Elleborina rossa – fam. Orchidacee) Eyngium amethystinum (Eringio ametistino – fam. Ombrellifere).

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Echium vulgare (Erba viperina – fam. Borraginacee) Euphòrbia helioscòpia (Erba calenzuola – fam. Euforbiacee) Euphòrbia peplus (Euforbia – fam. Euforbiacee) Erodium cicutarium (Becco d’airone – fam. Geraniacee)Èlymus europàeus (Orzo di bosco – fam. Graminacee)Festùca gigantea (Festuca gigante – fam. Graminacee) Fumaria officinalis (Fumaria o Fumosterno – fam. Fumariacee) Filago vulgaris (Filonia – fam. Composite) Fumaria capreolata (Fumaria capreolata – fam. Papaveracee)Festùca altìssima (Festuca altissima – fam. Graminacee)Festùca elàtior (Festuca dei prati – fam. Graminacee)Galium aparine (Attacca veste – fam. Rubiacee)Galium verum (Caglio – fam. Rubiacee)Glechoma hederacea (Edera terrestre – fam. Labiate) Glycyrrhiza glabra L. (Liquirizia – fam. Papilionacee)Geranium robertianum (Erba roberta o Erba cimicina – fam. Gera-niacee) Gladiolus ségetum (Gladiolo delle messi – fam. Iridacee) Gladìolus imbricàtus (Gladiolo imbrigato – fam. Iridacee)Goodyéra répens (Gudiera – fam. Orchidacee)Còlchicum autumnàle (Còlchico – fam. Liliacee) Hypochoeris radicata (Ipocheride – fam. Composite) Hòlcus mollis (Fieno canino – fam. Graminacee)Hieracium pilosella (Pilosella – fam. Composite) Hieracium umbellatum (Ieracio – fam. Composite) Hieracium caespìtòsum (Ieracio cespitoso – fam. Composite) Hieracium preàltum (Ieracio prealto – fam. Composite) Hedera helix (Edera – fam. Araliacee)Herniària glàbra (Erniaria glabra – fam. Cariofillacee) Hypochoéris radicàta (Costole d’asino – fam. Composite)Iris Foetidissimo (Giglio dei morti – fam. Iridacee) Iris Sisyrinchium (Sisirinchio – fam. Iridacee)) Iris Sibirica (Iride siberiana – Iridacee))Iris pseudacorus (Iris giallo – fam. Iridacee)Iris Graminea (Iride graminea – fam. Graminacee)Jasone montana (Bottoni azzurri – fam. Campanulacee)Juniperus nàna (Ginepro nano – fam. Cipressacee)Knautia arvensis (Vedovelle selvatiche – fam. Dpisacacee)Lapsana communis (Lassana – fam. Composite) Lolium perenne (Loglierella o Loglio inglese – fam. Graminacee)Lactuca virosa (Lattuga velenosa – fam. Composite)

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Leòlontodon nudìcàulis (Radichello di cane – fam. Composite) Lepidium draba (Erba di Santa Maria o Lattona – fam. Crucifere)Lathyrus pratensis (Erba galletta o Pisello di Prato – fam. Papilio-naceae)Luzula campestris (Erba lucciola o Luzula dei campi – Fam. Giun-cacee)Leucanthemum vulgare (Margheritone o Margherita – fam. Com-posite) Listera ovàta (Giglio verde – fam. Orchidacee)Lavandula stoechas (Lavanda selvatica – fam. Labiatee) Lycòpsis arvénsis (Occhio di lupo – fam. Borraginacee)Lathraea squamaria (Squamaria – fam. Orobancee)Myrrhis odorata (Finocchiella – fam. Ombrellifere) Matricaria discoidea (Camomilla senza raggi – fam. Composite) Matricaria selvatica (Camomilla – fam. Composite) Mùscari tenuiflorum (Muscari – fam. Liliacee)Mélica uniflora (Mèlica uniflora – fam. Graminacee)Mysotis selvatica (Non ti scordar di me – fam. Boraginacee) Medicago sativa (Erba medica – fam. Papilionacee)Malva sylvestris (Malva – fam. Malvacee) Mentha (Menta – fam. Labiate)Mélica nùtans (Mèlica pendente – fam. Graminacee)Mìlium effùsum (Miglio a pannocchia larga – fam. Graminacee)Narcissus Poeticus (Narciso bianco – fam. Amarillidacee)Narcissus Pseudonarcissus (Trombone – fam. Amarillidacee) Onopordon acanthium (Cardo di Scozia o Acanzio – fam. Com-posite) Opuntia ficus–indica (Fico d’india – fam. Cactacee) Òrchis incarnàta (Orchidea incarnata – fam. Orchidacee)Òrchis militàris (Orchidea pan di cuculo – fam. Orchidacee) Ornithògalum pyrenàicum (Ornitogalo dei pirenei – fam. Liliacee)Orchis mascula (Dita di morto – fam. Orchidacee)Oenànthe fistulòsa (Finocchio selvatico – fam. Ombrellifere)Odontites verna (Odontite – fam. Scofulariacee)Origanum vulgare (Origano – fam. Labiate)Ophirys apifera (Vesparia – fam. Orchidacee)Oxalis acetosella (Acetosella a fiori gialli – fam. Oxalidacee)Papàver rhoéas (Papavero o Rosolaccio – fam. Papaveracee)Pòa annua (Fienarola annua – fam. Graminacee) Poligonum aviculare (Centonodi – fam. Liliacee) Parietària officinàlis (Erba muraiola – fam. Euforbiacee)

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3. Metodi di rilevamento fisiologico 97

Picris echioides (Aspraggine – fam. Composite) Plantago lanceolata (Lingua di cane o Petacciuola – fam. Piantag-ginacee) Proselinum crispum (Prezzemolo – fam. Umbelliferae)Pulicaria dysenterica (Inula pulciaia – fam. Composite)Papàver hybridum (Papavero bastardo – fam. Papaveracee) Phragmites australis (Canna di palude – fam. Graminacee) Phleum pratense (Coda di topo o Codolina – fam. Graminacee) Ranunculus repens (Crescione selvatico – fam. Ranucolacee)Rosa pimpinellifolia (Rosa selvatica – fam. Rosacee) Rumex acetosa l. (Acetosa minore – fam. Poligonacee) Rosa canina (Rosa canina – fam. Rosacee)Reseda luteola l. (Amorino o Guardarella – fam. Resedacee) Rosmarìnus officinàlis (Rosmarino – fam. Labiate) Rùbus fruticòsus (Rovo o mora – fam. Rosaceae) Ruscus aculeatus (Pungitopo – fam. Liliaceae)Ranunculus ficarìa (Ficaria o Favavello – fam. Ranucolacee)Raphanus raphanistrum (Ravanello selvatico – fam. Crucifere)Salvia pratensis (Salvia dei prati – fam. Labiate) Sonchus avvensis (Crespigno dei campi – fam. Composite)Sonchus oleraceus (Cicerbita – fam. Composite)Sempervivum ocpodes apetalum (Semprevivo – fam. Crassulacee)Sherardia arvensis (Toccamano – fam. Rubiacee) Serratula tinctoria (Serretta – fam. Composite)Sonchus oleraceus (Cicerbita o Crespigno – fam. Composite) Senecio vulgaris (Senecione comune – fam. Composite) Succisa pratensis (Vedovella dei prati – fam. Dipsacacee) Scabiosa columbaria (Vedovina minore – fam. Dipsacacee) Samolus valerandi (Samolo – fam. Primulacee) Smilax aspera (Salsapariglia – Liliacee) Stachys sylvatica (Matricale – fam. Labiate) Secale cereale L. (Segale – fam. Graminacee)Sisymbrium officinale (Erisimo – fam. Crucifere)Tanacetum vulgare (Tanaceto – fam. Composite) Tanacetum parthenium (Matricale – fam. Composite) Taràxacum officinale (Dente di Leone o Soffione – fam. Com-posite) Teucrium chamaedrys l. (Camedrio – fam. Labiate) Tussilago farfara (Farfara o Tussilagine – fam. Composite) Trifolium arvense (Trifoglio – fam. Papilionacee)Trifolium pratense (Trifoglio – fam. Papilionacee)

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98 Natura e storia

Typha latifolia (Mazzasorda o Pagafrati – fam. Tifacee)Trisétum flavéscens (Gramigna bionda – fam. Graminacee)Tragopogon pratensis (Barba di becco – fam. Composite)Urtica dioica (Ortica – fam. Urticacee) Valeriana officinalis (Valeriana – fam. Valerianacee) Verbascum thapsus (Tasso barbasso – fam. Scrofulariacee) Veronica officinalis (Veronica o Quadernuzzo – fam. Scrofularia-cee) Verbena officinalis (Verbena – fam. Verbenaciee) Vicia sativa (Veccia – fam. Papilionacee) Verbàscum sinuàtum (Verbasco sinuato – fam. Scrofulariacee)Viola tricolor (Viola del pensiero – fam. Violacee)

Lo studio della natura vi mostrerà di quante cose belle e meravigliose Dio ha riempito il mondo per la vostra felicità (Baden Powell – anno 1907).

Alcune specie presenti nel Parco

Adonis annua (Fior d’Adone – famiglia Ranucolacee)

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A sinistra, Ophrys muscifera (Or-chideia selvaggia). Sotto, Càrduus acanthoìdes (Cardo alato o Fior di lupo – famiglia Composite)

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100 Natura e storia

In alto a sinistra, Arabidopsis thaliana (Pelosella – famiglia Crucifere); a destra, Avena sativa (Avena – famiglia Graminacee). Sopra, Calendula arvensis (Calen-dula o Fiorrancio – famiglia Composite)

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4. Il Parco Batteria Cattaneo 101

A sinistra, Bromus erectus (Forasacco eretto – famiglia Graminacee). Sotto, Ecbal-lium elaterium (Cocomero asinino – famiglia Cucurbi-tacee)

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102 Natura e storia

In alto, Matricaria chamomilla (Camomilla – famiglia Composite). Sopra, Myosotis sylvatica (Non ti scordar di me – famiglia Borraginacee)

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4. Il Parco Batteria Cattaneo 103

A ssinistra, Orchidea ma-scula (Dita di morto – fa-miglia Orchidacee). Malva sylvestris (Malva – fami-glia Malvacee)

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104 Natura e storia

In alto, a sinistra, Orchis militaris (Orchidea Militare – famiglia Orchidacee); a destra, Fumaria officinalis (Erba acetina – famiglia Fumariacee). Sopra, Malva sylvestris (Malva – famiglia Malvacee)

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4. Il Parco Batteria Cattaneo 105

In alto, a sinistra, Melilotus officinalis (Erba vetturina – famiglia Papilionacee); a destra, Plantago lanceolata (Lanciuola – famiglia Plantaginacee). Sopra, Secale cereale (Segale – famiglia Poacee)

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106 Natura e storia

Sopra, Vicia sylvatica (Veccia – famiglia Papillonnacee); a destra, Festuca pratensis (Paleo – famiglia Graminacee)

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4. Il Parco Batteria Cattaneo 107

Sopra, Sonchus asper (Cicerbita – famiglia Composite); a destra, Tetragonolobus maritimus (Tetra-gonia – famiglia Chenopodiacee)

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In alto, a sinistra, Chrysanthemum hosmariense (Crisantemo – famiglia Com-posite); a destra, Dìplotàxis tenuifòlia (Ruchetta tenuifolia – famiglia Crocifere). Sopra, pineta con sottobosco e prato

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5. La flora e la fauna

La flora del Parco Batteria Cattaneo è prevalentemen-te di tipo marittimo.

Nel tempo l’opera degli uomini e la natura hanno in-sediato altre specie. Analizziamo brevemente, in questa sede, le specie vegetali maggiormente diffuse nell’area.

Alberi

Pino domestico (Pinus pinea): è conosciuto anche come pino da pinoli, ed è una conifera tipica delle aree mediterranee. Predilige terreni sciolti e sabbiosi posti nelle immediate vicinanze del mare. Spesso viene utiliz-zato con funzione ornamentale o lungo il ciglio di strade e vie. Viene coltivato anche per la produzione dei pinoli che possono essere assunti freschi, arrostiti o, anche, per la confezione di salse o dolci. La raccolta delle pigne vie-ne, in genere, effettuata in ottobre, successivamente ven-gono conservati sino a maggio, quando l’apertura delle squame libera i pinoli. Il legno di questa pianta è di colore rossiccio con venature più scure, tuttavia non si è molto ricercato a causa della sua scarsa resistenza. Prodotti di secondaria importanza sono la resina e la corteccia, dalla quale si ottiene il Tannino. Le foglie consistono in aghi abbastanza lunghi e disposti in fascetti di due.

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Pino marittimo (Pinus pinaster): tale albero, in Italia, è spontaneo soltanto lungo le coste del Tirreno, altrove è stato introdotto dall’uomo. Nonostante il suo nome, non si spinge sino alla riva del mare, preferendo la col-lina o la bassa montagna, con terreni preferibilmente silicei e sciolti, pur essendo dotato di una grande adat-tabilità a nuovi terreni. La sua resistenza alla salsedine è maggiore di quella del Pino Domestico ed, inoltre, ricresce molto rapidamente, anche su aree incendiate, ed è quindi utilizzato per rimboschire anche a quote considerevoli. Il suo legno è tenero e viene impiegato in vari modi come, ad esempio, la produzione della carta o lavori di falegnameria, oltre all’estrazione della resi-na, la cui quantità prodotta è superiore a quella delle altre conifere.

Pino d’Aleppo (Pinus halepensis): conifera tipicamen-te mediterranea, raramente si spinge all’interno sino ad un’altezza massima di 600 m., e può attecchire anche nelle fessure delle rocce più inospitali. Viene molto ap-prezzato il suo legno resinoso di alta qualità. Gli aghi sono disposti a fascetti di due, sono molto sottili e poco rigidi, con una lunghezza compresa fra i 6 ed i 10 cm., ed hanno un colore verde chiaro. Il Pino d’Aleppo ha una caratteristica chioma leggera e rada, di forma pira-midale espansa, e può raggiungere un’altezza di venti metri.

Eucalipto (Eucaliptus globulus): importato dall’Austra-lia, si adatta con una certa facilità anche in aree molto lontane da quelle di origine. Dalle sue foglie profuma-tissime si estrae l’eucaliptolo che, unitamente al men-tolo ed all’estratto di trementina, viene utilizzato come balsamico nella cura di malattie o infezioni delle vie re-spiratorie. Raggiunge rapidamente notevoli dimensioni

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ed ha una chioma densa di colore verde scuro. Uno dei motivi della sua diffusione consiste nella sua caratteri-stica di proteggere le colture senza ombreggiarle.

Cipresso (Cupressus sempervìrens): proveniente da aree del Mediterraneo Orientale, fu introdotto in Italia dai Fenici e diffuso già dagli Etruschi. La forma della sua chioma è quella piramidalis, pur esistendo altre varietà con chioma a forma horizontalis. In quest’ultimo caso, il cui portamento è più naturale del primo, viene solita-mente utilizzato come frangivento. Il legno del cipresso è molto duro e pregiato, mentre il suo odore riesce ad allontanare le tarme.

Cipresso di Monterey (Cupressus macrocampa): fu in-trodotto in Europa nel 1838 dalla California ed utilizza-to come frangivento. Molto spesso, a causa delle gelate, viene danneggiato e talvolta ucciso, tuttavia resiste ai venti salmastri e attecchisce facilmente lungo i litorali. Alcuni esemplari più vecchi vengono sagomati in ma-niera molto singolare dal vento. In età giovanile il Ci-presso di Monterey ha una sagoma stretta ed eretta, con una chioma appuntita che tende ad espandersi nel cor-so degli anni. Può oltrepassare i trenta metri di altezza.

Fico (Ficus carica): ha le sue origini nell’Asia Occiden-tale ed è un albero sacro nel Buddismo e nell’Islam e vie-ne spesso citato nella Bibbia. In Italia cresce allo stato sel-vatico su terreni sassosi e molto soleggiati. Sin dai tempi più remoti viene coltivato per i suoi frutti e ne sono co-nosciute diverse varietà che si diversificano fra loro per via del colore. Il frutto può essere consumato fresco o essiccato, e può essere utilizzato per aromatizzare alcu-ni liquori o per produrre un particolare tipo di brandy. Il suo succo, alquanto lattiginoso veniva utilizzato, nel

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passato, per la cura delle verruche. Il fico ha una chioma espansa e può raggiungere i dieci metri di altezza.

Olivo (Olea europea): è una specie tipica delle aree mediterranee che, in seguito alla coltivazione, nei se-coli ha potuto estendere la propria area di diffusione. Non è del tutto certo che l’olivo fosse una specie indi-gena nel nostro paese, infatti, secondo alcuni autori sa-rebbe stato introdotto dalla Grecia nel primo millennio anteriore all’era cristiana. Il frutto, l’oliva, può essere conservato in salamoia, ed in tal modo costituiva, in-sieme al pane, uno degli alimenti di base delle popola-zioni delle aree che si affacciavano sul Mediterraneo. Tuttavia le olive vengono utilizzate prevalentemente per l’estrazione dell’olio d’oliva, che risulta essere il miglior grasso vegetale per le sue caratteristiche ali-mentari e medicinali.

Mandorlo (Pronus dulcis): originari, con ogni pro-babilità, dall’Asia Occidentale, erano considerati albe-ri sacri dai Frigi e dai Greci. In tempi antichi furono impiantati nelle aree mediterranee e, successivamen-te, rinselvatichirono. Il frutto, la mandorla, può esse-re consumata fresca o arrostita, oppure utilizzata per confezionare dolci. L’essenza della mandorla amara è la fonte del velenosissimo acido prussico. Il mandorlo ha una chioma con ramificazione espansa e fogliame pendulo, e può raggiungere i dieci metri di altezza.

Pesco (Persicus): come il mandorlo appartiene alla famiglia delle Rosacee ed è coltivato per i suoi frutti dol-ci e saporiti.

Alloro (Laurus nobilis): nell’antica Grecia, l’alloro o lauro era considerato sacro al dio Apollo. Per i Roma-

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5. La flora e la fauna 113

ni, invece, era simbolo di successo in guerra, tuttavia la sua fama è da attribuirsi prevalentemente al suo uti-lizzo in cucina. Infatti, per via del suo aroma, viene spesso utilizzato per insaporire le carni, unitamente ad altre erbe, quali il timo ed il prezzemolo. Le foglie di alloro venivano prescritte contro la tosse persistente e come lassativo. Questo arbusto, molto ramificato, ha una forma piramidale e può raggiungere i dieci metri di altezza.

Melo selvatico (Malus silvestris): sebbene il suo frutto sia piccolo, aspro e duro, in realtà è l’antenato di tutte le varietà di melo ornamentali. Nonostante il suo sapo-re aspro viene utilizzato per confezionare marmellate e confetture, oltre ad essere un alimento di diverse va-rietà di uccelli. è un albero cespuglioso che raramente raggiunge un’altezza massima di nove metri.

Melo Cotogno (Cotognum malum): pianta arborea delle Rosacee bassa e contorta, con frutti di colore gial-lo dorato intensamente profumati, che vengono utiliz-zati per la produzione di confetture, in modo particola-re la cosiddetta cotognata, e nell’arte pasticcera.

Robinia (Pseudoascalia): in Italia fu introdotta all’in-circa intorno agli inizi del XVIII secolo, ed è una spe-cie facilmente adattabile su qualunque tipo di terre-no. Le sue radici ampie e profonde permettono il suo impiego nelle opere di consolidamento delle pendici franose. I suoi fiori hanno un effetto terapeutico cal-mante, mentre il sue legno si distingue per la notevole durezza, la grande elasticità e la capacità di resistere all’umidità. La chioma della robinia è aperta, con rami spinati, e può raggiungere anche i venticinque metri in altezza.

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Il sottobosco

Il sottobosco della Batteria Cattaneo è composto, in prevalenza, da piccoli arbusti, tipici della macchia medi-terranea, cui si aggiungono alcune piante più comune ed appariscenti. Fra le specie presenti, distinguiamo quelle qui di seguito illustrate.

Lentisco (Pistacia lentiscus): si tratta di una delle specie più tipiche della macchia mediterranea. In Italia è diffuso lungo i litorali. Il prodotto più noto è la sua resina, detta anche mastice di Chio, dal nome dell’omonima isola greca dove era particolarmente diffuso. Questa, nel corso dei secoli, ha avuto molteplici impieghi, come astringente, come eccipiente di profumi o pomate, e persino come incenso. Ancora oggi è molto apprezzato per le sue pro-prietà balsamiche. I frutti, se conservati sotto sale, vengo-no utilizzati per aromatizzare le carni. Il lentisco si può presentare in forma di un piccolo albero o di un arbusto, con un tronco molto ramificato che forma una folta chio-ma arrotondata. Può raggiungere anche i 3 m in altezza.

Mirto (Myrtus communis): il mirto è specie tipicamente mediterranea. è un cespuglio sempre verde e folto, molto ramificato, in Italia è una pianta spontanea, è frequente soprattutto nelle zone meridionali lungo le coste e i lito-rali. Il mirto è un arbusto aromatico, foglie e bacche pos-sono essere utilizzate per profumare gli arrosti. Può supe-rare i 3 metri di altezza. Matura in pieno inverno, il frutto è una bacca arrotondata di colore nero–bluastra, quando è maturo se viene intaccato emana un aroma intenso.

Finocchiella (Mirris odorata): si tratta di una pianta fortemente odorosa, infatti è sufficiente schiacciare o spremere una qualsiasi parte della pianta e questa

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emette una forte fragranza di anice. Cresce spontane-amente soltanto nelle zone alpine ed ha fioritura in primavera. Per via del suo aroma viene definita Finoc-chiella, nome etimologicamente derivante dal greco µγρον, miron, il cui significato è profumo. La pianta è stata utilizzata in medicina, per le sue proprietà tera-peutiche, sino al XVI secolo e viene utilizzata, anche, come lucido per mobilia in legno di quercia. L’infiore-scenza presenta numerosi rami con bratte nella parte sottostante i fiori. I suoi frutti, invece, sono lunghi ed eretti, mentre le foglie sono divise e grossolanamente dentellate ai lati.

Cappero (Capparis spinosa): cespuglio sempreverde appartenente alla famiglia delle Capparidacee, si distin-gue per i suoi fiori bianchi e viola che, non ancora schiusi, producono il caratteristico frutto che, messo sotto sale, trova un largo impiego in cucina.

Canna palustre (Enramites australis): è la più alta fra le graminacee italiane. Presenta un fusto duro e rigido, utilizzato in fasci per la costruzione di tetti in paglia. Sviluppa grosse infiorescenze dotate di una frangia bianca e setosa.

Cicuta Maggiore (Conium maculato): contiene diver-si alcaloidi tossici fra i quali la conina. Tutte le parti della pianta sono fortemente velenose, i semi in par-ticolare. Unico rimedio consigliato nei casi di intossi-cazione è il vino puro. La sua somiglianza con altre ombrellifere è causa di confusione e spesso di inaspetta-ti decessi, tuttavia può essere identificato per il fusto liscio macchiettato di viola e per lo sgradevole odore che emana. Raggiunge un’altezza di circa 90 cm e cre-sce in luoghi ombrosi e su antichi ruderi.

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Margherita (Leucanthemus vulgares): pianta eretta con foglie largamente dentate, alta dai 20 ai 60 cm cir-ca, fiorisce da maggio a novembre preferendo terreni umidi e ricchi di sostanze organiche.

Cicoria selvatica (Cichorium intibus): in tutta l’Euro-pa le foglie di questa pianta sono sempre state utilizza-te come verdura e foraggio. Le sue radici, spesse e car-nose, rappresentano il motivo fondamentale della sua coltivazione e possono essere assunte seccate, tostate o macinate. Il caffè ottenuto dalle sue è noto anche come Caffè di Prussia e deve il suo nome a Federico il Grande, fondatore della potenza militare prussiana. I fusti, solcati longitudinalmente, hanno foglie piccio-late, a volte dentellate o profondamente divise in lobi triangolari. Le foglie superiori sono, tra l’altro, tessili. La pianta ha un’altezza compresa fra i 20 ed i 30 cm.

Timo, Serpillo (Thimus praecox): insieme alla men-ta ed alla salvia, il timo è una delle erbe più diffuse ed apprezzate nella cucina europea. Se seccato ed accura-tamente conservato, mantiene il suo aroma anche per anni. Le foglie contengono il Timolo, un olio aromatico con proprietà antisettiche. Si tratta di una pianta con fu-sto prostrato e corti rami eretti che portano dense infio-rescenze. Il tempo della fioritura è compreso fra i mesi di maggio ed agosto e raggiunge un’altezza di 7,5 cm.

Ginestra di Spagna (Sparteum junceum): è un notis-simo arbusto in Italia. Si tratta di una pianta poco ap-pariscente per quasi tutto l’anno, tuttavia diviene ben visibile fra maggio ed agosto al momento della fiori-tura, fortemente profumata e di colore giallo brillan-te. Viene utilizzata per il consolidamento delle strade, tuttavia molto spesso crea problemi per la facilità con

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cui, in caso di incendio, diffonde le fiamme. La Gi-nestra di Spagna è un cespuglio di forma compatta e rotondeggiante con un’altezza massima di tre metri.

Rovo (Rubus fruticosus): le more del rovo, pur essen-do tra i più familiari alimenti spontanei delle nostre siepi, sono fonte di perplessità a causa della presenza di non meno di duemila varietà, tutte catalogate. Le more, ricche di vitamine A e C, vengono raccolte per confezionare sciroppi e confetture. I fiori hanno un diametro oscillante fra i 2,5 ed i 4 cm e possono essere bianchi o rosa. I fusti, che possono arrivare sino a 90 cm di altezza, sono prostrati, spinosi ed arcuati e, mol-to spesso, radicano per formare nuove piante.

Asparago selvatico (Aspàragus officinalis): pianta erbacea delle liliacee, generalmente si appoggiano a muri e rocce, di cui si consumano i germogli.

Cardo di Scozia (Onopordon contium): dai suoi acheni veniva estratto un olio usato sia in cucina, sia come com-bustibile per lampade. Le fibre, simili al cotone, e i peli del fusto erano utilizzati per imbottire materassi e cuscini. Tuttavia tale pianta è stata utilizzata anche in medicina, infatti, alcuni secoli or sono diversi erboristi sostenevano che una pozione ottenuta dal suo fusto guarisse il cancro ed i disturbi nervosi. I detti fusti possono essere comunque un alimento, una volta pelati, bolliti e conditi con burro.

Agave (Agave): pianta delle omaridilliace con foglie car-nose e spinose, fiori a spiga o pannocchia, è originaria dalle regioni semidesertiche dell’emisfero boreale.

Fico d’India (Opuntia ficus indica): pianta pererofila delle cactacee con fusto cilindrico, rami di forma ovale

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molto spessi e carnosi, recanti foglie trasformate in spine e fiori gialli. I suoi frutti sono bacche globose e spinose con polpa zuccherina piena di semi.

Rucola (Eruca): detta anche ruchetto, è un’erba forte-mente medicamentosa, amara ma ottima per delle insa-late.

Ortica (Urtica dioica): nemica del contadino, delle nuda ginocchia dei bambini, strumento di autoflagella-zione per i monaci nel Medio Evo, questa pianta è stata a lungo disprezzata nel corso dei secoli. Nonostante tutto, però, è stata sempre utilizzata per ricavarne tessuti, cibo e medicine. In alcune regioni di campagna, le giovani fo-glie vengono cotte al vapore e consumate come verdura mentre le stesse, se la sciate seccare, possono essere uti-lizzate per la preparazione di infusi. Sino a qualche anno or sono era ancora viva l’antica convinzione dei Latini, secondo la quale la puntura dell’ortica curava i dolori reumatici. Durante l’ultimo conflitto mondiale tale pian-ta veniva raccolta in grande quantità, al fine di estrarne la clorofilla ad uso farmacologico. Il meccanismo che provoca la puntura deriva dalla rottura dei peli presenti sulla foglia al semplice contatto, liberando un acido che provoca un’infiammazione cutanea urticante. Il fusto è eretto e foglioso, mentre l’intera pianta è irta dei famige-rati peli pungenti. Fiorisce da maggio ad ottobre e può raggiungere un’altezza di un metro e mezzo.

Edera (Nodera helix): molto diffusa su ruderi o vecchi ponti, questa pianta viene anche coltivata per abbelli-re esteriormente le abitazioni. è rintracciabile anche in giardinetti ombrosi, dove alcune forme ornano le mu-rature in mattoni. In autunno i suoi fiori giallo–verdastri abbondano di nettare e vengono impollinati da vespe e

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farfalle. I suoi frutti, drupenere simili a bacche, sono con-sumati da uccelli e farfalle, tuttavia risultano velenosi per l’uomo. Si tratta di una pianta rampicante e legnosa, i cui fusti presentano radici fibrose aderenti ed adesive, che le consentono di arrampicarsi. Le foglie, solitamente di un colore verde scuro e lucenti, tal volta con venature pavide, possono diventare rossastre in autunno. Fiorisce da maggio a settembre ed arriva ad un’altezza massima di 30 metri.

Papavero rosolaccio (Papaver roeas): il fiore del papave-ro dura solamente un giorno, tuttavia una pianta vigo-rosa può produrne più di 400 in successione. La pianta si presenta eretta con fiori grandi e solitari, mentre le foglie inferiori sono picciolate ed hanno stretti lobi ricoperti di setole. Può raggiungere un’altezza oscillante fra i 20 ed i 60 cm e fiorisce da maggio a settembre.

Carota selvatica (Daucus carota): attecchisce nei pra-ti incolti o lungo il ciglio delle strade, dove le sue fo-glie ed i suoi fiori sono facilmente visibili. è l’antenata dell’omonimo ortaggio ed ha radici coriacee, dall’odo-re simile a quello delle carote. Si tratta di una pianta eretta con peli rigidi, fusti striati e solcati, nonché foglie divise. L’altezza è compresa fra i 30 ed i 90 cm circa e fiorisce da maggio a settembre.

Cicerbita crespigno (Sonchus deraceus): per secoli le foglie di questa pianta sono state bollite, in maniera analoga agli spinaci, oppure consumate crude nell’insa-lata invernale. Tutte le varietà di tale pianta provengo-no dall’africa o dall’Europa Mediterranea, tuttavia sono state introdotte involontariamente anche in America ed i Australia. Si tratta di una pianta eretta con pochi rami. Le sue foglie inferiori hanno un lobo terminale triango-

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lare, con due o più lobi sottostanti, mentre il picciolo è aleato. Può raggiungere un’altezza variabile da 20 cm sino ad un metro e mezzo e fiorisceda aprile ad otto-bre.

Loglianella o Loglio Inglese (Lolium perenne): per secoli è stata coltivata per ricavarne fieno. Un terzo dell’intera pianta è costituito dalla spiga, formata da nu-merose spighette in due file zigzaganti intorno al suo asse. Il fusto è liscio ed eretto, mentre le lamine fogliari, da giovani, sono leggermente concave. Le guaine delle foglie basali assumono una colorazione bruno–rosacea. Fiorisce da maggio a settembre e raggiunge un’altezza compresa fra i 10 ed i 90 cm.

Avena altissima (Arrhenatherun elatius): pianta molto fogliosa, di crescita rapida, con radici profonde e resi-stenti alla siccità, per tale motivo è utilizzata per produr-re fieno. Tuttavia non ha vita lunga e non resiste a pasco-li intensi. Si dispone in cespi aperti, mentre i suoi fusti sono pelosi ai nodi. L’altezza che può raggiungere varia da 50 a 150 cm circa. Fiorisce da maggio ad agosto

Paleo odoroso (Anthoxanthom odoratus): in passato veniva usato per confezionare cappellini da donna e, per tale scopo, veniva tagliato ancora sottile e verde, quindi bollito in acqua per 10 minuti e, infine, lasciato asciugare al sole. Dopo una settimana, diventata di co-lore dorato, era pronta per essere intrecciata. Tutte le volte che un cappellino di paleo odoroso si bagnava, si sprigionava subito un odore di fieno appena tagliato. Questa graminacea forma cespi di fusti lisci e rigidi, non è ramificata e presenta foglie piatte e finemente appun-tite. Fiorisce da marzo a giugno e raggiunge un’altezza compresa fra i 20 e gli 80 cm.

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Avena selvatica (Avena fatua): molte delle varietà di avena che, oggi, appaiono soltanto ai margini delle stra-de o dei campi, un tempo costituivano un’importante fonte alimentare. I fusti eretti di questa pianta annuale portano vistose pannocchie con spighette provviste di due grandi glume, dalle quali sporgono due lunghe re-ste. La resta portata dal lemma è spiralata nella metà su-periore. Quando le spighette cadono, tale resta funziona come organo di movimento, l’umidità la distende, men-tre il clima secco ne provoca la spiralizzazione. Se esisto-no fenditure nel suolo, la successione dei periodi umidi e secchi permette alla cariosside di interrarsi facilmente, dal momento che le setole ed i peli, posti alla base delle reste, favoriscono il movimento soltanto in una direzio-ne. La pianta fiorisce da maggio ad agosto e raggiunge un’altezza variabile dai 60 cm al metro.

Agave

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La fauna

Molto ricca è anche la fauna della zona, numerose sono le specie di uccelli, insetti e mammiferi. Vediamo brevemente alcune delle varietà di volatili più caratteri-stiche:

Cardellino (Carduélis carduélis): piccolo uccello can-tatore della famiglia dei fringillidi, che deve il suo nome all’abitudine di posarsi sui cardi. Ha piumaggio di diversi colori con testa nera, bianca e rossa ed ali a strisce gialle. è un migratore parziale.

Calandra (Melanocorypha calàndra): uccello passeraceo delle allodole, becco robusto; grossa macchia nera ai due lati del corpo. è un perfetto imitatore del canto di altri uccelli. Stanziale.

Capinera (Sylvia atricapilla): uccello della famiglia dei passeracei, dal canto molto dolce. Piccolo di dimensioni, presenta nelle femmine il capo rossiccio, nero nei ma-schi. Sverna in Italia.

Civetta (Athéne nòctua): uccello rapace notturno della famiglia degli strigidi, con testa piatta e larga, corpo pic-colo, grandi occhi frontali, dorso macchiato, ali e coda corte. La superstizione popolare lo considera di cattivo augurio, di preferenza nidifica nei vecchi edifici, ruderi o cavo degli alberi. Stanziale.

Fringuello (Fringìlla coélebs): uccello della famiglia dei fringillidi, ha una doppia barra alare bianca, con dor-so color nocciola e petto cremisi, nidifica nei boschi e tra i cespugli. Ha un caratteristico canto molto dolce. Vagante.

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Rondine (Hirùndo rùstica): uccello migratore, della fa-miglia degli irundinidi, hanno la gola e la fronte bruno–rossicci; timoniere molto lunghe.

Barbagianni (Tyto àlba): uccello rapace della famiglia degli strigidi, avente parti superiori giallo oro, macchiet-tate finemente; parti inferiore di color giallo chiaro o brunastro uniforme, zampe lunghe. Stanziale.

Gazza (Pica pica): uccello della famiglia dei corvidi, con piumaggio bianco e nero, coda molto lunga, zampe e becco neri. Per la sua caratteristica di raccogliere tutto ciò che luccica, è detta anche “gazza ladra”. Stanziale.

Merlo (Tùrdus mérula): uccello della famiglia passerifor-me dei tordi, il cui maschio ha piumaggio nero e lucente con palpebre e becco gialli. Stanziale.

Passero italiano ( Pàsser itàliae): piccolo uccello del-la famiglia dei passeracei, cappuccio del maschio bruno cioccolato, quello della femmina con parti superiori bru-no opaco e petto grigio sporco. Stanziale.

Pettirosso (Erìthacus rubécola): uccello della famiglia dei passeracei, avente fronte, gola e petto color arancio, parti rimanenti color bruno oliva. Migratore parziale.

Tortora (Streptopélia tùrtur): uccello della famiglia dei colombacei, piccola e graziosa,file di penne bianche e nere ai lati del collo, coda lunga non tronca strettamente orla-ta di bianco. Caratteristico è il suo tubare. Stanziale.

Upupa (Upupa épops): uccello della famiglia upupidi, ali e coda a fasce bianche e nere; avente un caratteristico ciuffo di penne e creste color rosso cannella. Migratore.

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Verdone (Carduélis chlòris): piccolo uccello della fa-miglia dei fringillidi, con coda fiorente di un piumaggio color verde cupo, con penne gialle nella gola, nelle ali e nella coda. Migratore parziale.

Tordo sassello (Tùrdus mùsicus): uccello della famiglia dei turdidi, fianchi dal castano acceso; petto striato: so-pracciglia color crema. Migratore parziale. è un ospite abbastanza comune nelle campagne, specialmente nei periodi di maturazione delle olive, si spostano in branchi numerosissimi tale da formare delle nuvole ondeggianti.

Pipistrelli (Chirotteri): pipistrello serotino, pipistrello nano, pipistrello orecchione, sono molto diffusi, sono in-settivori e vivono dove vi sono ruderi o grotte.

Lungi dall’essere terminata, a questo punto interrom-piamo la lista degli uccelli presenti nella Batteria Catta-neo, alla quale bisognerebbe aggiungere anche quelle dei numerosi insetti e dei mammiferi. Ricordiamo, comun-que, che nel parco sono presenti anche volpi comuni, donnole, gatti selvatici, cani rinselvatichiti, ratti, biacchi, coleotteri stercorari, falene, processionarie, ecc.

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6. Aspetti fisici e interventi antropici

Reperti archeologici

L’area limitrofa al Parco Batteria Cattaneo risulta abitata sin da epoca preistorica, infatti nell’area di Porto Pirrone si riscontrano alcune testimonianze di comunità dedite alla pesca ed alla pastorizia. Nella vicina baia di Saturo, invece, sono state rilevate tracce di una fiorente attività metallurgi-ca e reperti che attestano una frequente attività mercantile con le isole dell’Egeo. Tra l’altro, proprio in questa area, sono venuti alla luce i resti di un santuario greco risalente al VII–VI secolo a.C., nei pressi di una fonte che, in seguito, fu utilizzata dai Romani per alimentare l’acquedotto destina-to a portare l’acqua nella città di Taranto. Tutti i reperti tro-vati sono attualmente visibili presso il Museo Archeologico Nazionale del capoluogo ionico. Altra struttura di interesse archeologico è la Torre Blandamura, dislocata all’interno del parco, che rientra nell’ambito delle fortificazioni di dife-sa costiera, attuati sotto il regno di Carlo V, per proteggere gli insediamenti interni dal pericolo di incursioni da parte di pirati saraceni, provenienti dal mare.

Inquadramento territoriale e confini

Il compendio immobiliare della Batteria Cattaneo è localizzato nell’estremo lembo occidentale del Comu-

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ne di Leporano ed è delimitato, ad ovest da una zona appartenente al comune di Taranto, definita da una viabilità di penetrazione in direzione del promontorio di Capo San Francesco zona Blandamura, a nord dalla litoranea salentina, ad est con alcune aree appartenen-ti a privati ed, infine a sud con la particella demaniale marittima.

Tale compendio è costituito da aree e fabbricati, un tempo adibiti ad infrastrutture logistiche, uffici, opifici vari e strutture operative della Marina Militare, ai quali si aggiungono i rustici parzialmente diruti di costruzioni risalenti al XIX secolo, testimonianze dell’antico utilizzo agricolo dell’area.

Caratteristiche planimetriche ed orografiche1

Il compendio relativo al parco ha una forma quadran-golare irregolare, con i lati maggiori orientati secondo la direzione nord–sud ed una lunghezza media di circa 650 m, mentre, per ciò che concerne quelli minori, il primo risulta parallelo e tangente alla litoranea e misura circa 440 m, il secondo, lungo 380 m circa, confina con la particella di appartenenza del demanio marittimo. Dal punto di vista orografico, invece, è caratterizzato da un pianoro contiguo alla litoranea, profondo circa 390 m secondo la direzione nord–sud ed un’altitudine variabile fra i 29 ed i 27,50 m sul livello del mare, con una pendenza dello 0,5%. In seguito, e per una profon-dità di circa 260 m, la quota scende dai 27,50 m a 6 m sul livello del mare, con pendenza dell’8%.

1. L’orografia è una speciale branca della Geografia fisica che stu-dia e descrive l’aspetto di una regione, in relazione alla distribuzione dei rilievi (n.d.a.).

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6. Aspetti fisici e interventi antropici 127

Per ciò che concerne la particella del demanio ma-rittimo, essa ha una profondità media di 60 m, con al-titudine variabile da 6 a 3 m sul livello del mare ed è caratterizzata da una scogliera medio–alta.

Caratteristiche ambientali vegetazionali

Il pianoro, posto al nord, si distingue per la notevo-le antropizzazione, specialmente nella zona più alta, riscontrabile nella presenza di diverse strade, sia pedo-nali sia carrabili, il cui utilizzo consisteva nel collegare diversi edifici che, nell’insieme, sembrano individuare una struttura a padiglioni, caratterizzata da:

— una vegetazione costituita in massima parte da alberi d’alto fusto, siepi e cespugli, molto spesso non autoctoni, disposti in modo da ombreggiare le aree edificate e creare zone d’ombra;

— presenza di ampie radure e di spazi privi di vege-tazione, corrispondenti ad aree destinate al par-cheggio o ad impianti sportivi.

Proseguendo in direzione sud, il pianoro è caratte-rizzato da terrapieni, molti dei quali assumono l’aspet-to di collinette artificiali poste a mascherare l’accesso a strutture operative oppure a cunicoli sotterranei. At-tualmente risultano coperte in prevalenza da macchia e Pini d’Aleppo, anche se non mancano alcuni esemplari di Pinus Pinea e di eucalipti di più recente impianto. Un’al-tra singolare caratteristica è costituita dalla presenza di cortine murarie con accesso posto a nord, praticamente invisibili ad un osservatore situato dal lato del mare. Su-gli altri versanti, invece, sono visibili le già citate colli-nette artificiali, destinate a mascherare la presenza delle

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strutture militari difensive. Tali strutture giungono sino al limite del crinale oltre il quale si staglia la seconda parte del parco che, come già asserito, si distingue per via dell’elevata pendenza, sino alla scogliera.

Questo secondo settore rappresenta un raro esem-pio di giardino–natura, in cui predomina la macchia mediterranea, in tutti i suoi stadi, ed alcune essenze non catalogate e non riscontrabili altrove. In linea di massima, partendo dalla costa, si sviluppa un ambiente prettamente mediterraneo, caratterizzato da:

— macchia da scogliera, composta da erbe alofile di prima colonizzazione, piuttosto basse e stri-scianti;

— macchia a lentisco, in cui predomina, ovviamen-te, tale pianta che si incunea fra le altre specie in un inquinante intrigo scolpito dal vento e bru-ciato dalla salsedine. Colpisce in special modo il contrasto fra il verde intenso del cisto, del mirto, del rosmarino, del timo e dello stesso lentisco e le loro degenerazioni rossastre o cime bruciate;

— macchia a Pino d’Aleppo, dove la conifera a ce-spuglio basso viene, dapprima, scolpita dal vento e, successivamente, eretta e spinta verso l’alto, circondata da un sottobosco composto da fillirea, rosmarino, mirto, pistacia e altre varietà.

L’antropizzazione dell’area

Il sito, nel suo insieme, presenta alcuni aspetti an-tropici di notevole importanza, che testimoniano:

— una continuità di vita nei secoli, testimoniata dalla presenza di ruderi di muratura megalitica

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6. Aspetti fisici e interventi antropici 129

all’estremità est, presumibilmente si tratta di an-tiche strutture difensive o mura di cinta, di un an-tico insediamento di cui si è persa la memoria;

— un’attività rurale che sembra aver interessato la zona tra la fine del XVIII e l’inizio XIX secolo. Ciò è testimoniato dalla presenza dei già citati ruderi di una masseria dell’epoca, formata da un edificio centrale su due piani, con annessi locali interrati, circondati da altri locali adibiti ad abita-zioni coloniche oppure a strutture legate alla tra-sformazione e conservazione di prodotti agricoli ed al ricovero degli animali;

— un ruolo strategico–militare della batteria, inseri-ta nel sistema di difesa dell’arco ionico tarantino grazie alla costruzione di poderose strutture di-fensive che, tra l’altro, hanno inciso notevolmen-te sull’orografia del luogo, dovendo mascherare o occultare sia un insieme di depositi dislocati in superficie, sia una fitta rete di cunicoli interrati;

— un ruolo logistico per il personale, in massima parte militare, impiegato, testimoniato dalla pre-senza, sul pianoro prospiciente la litoranea Sa-lentina, di tutta una serie di padiglioni destinati ad un utilizzo prettamente logistico;

— un ruolo di servizio, di interesse pubblico e gene-rale, da realizzarsi attraverso l’adattamento dei padiglioni già esistenti, magari integrati con mo-derni prefabbricati, al fine di incentivare lo studio e la ricerca da parte degli alunni delle scuole.

Piani, progetti e programmi

A livello territoriale, la zona in oggetto è stata indi-viduata nell’ambito del Piano Urbanistico Territoriale –

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n° superficie m2 classificazione

1 8.200 seminativo 2 34.359 seminativo 3 10.200 seminativo 4 861 seminativo 5 102 fabbricato rurale 6 70 fabbricato rurale 7 1.497 fabbricato rurale 10 3.812 seminativo 11 58 fabbricato rurale 12 1.937 seminativo 13 5.771 pascolo 14 41.790 pascolo 15 77 fabbricato rurale 17 23.945 pascolo 18 939 fabbricato rurale 19 14.835 pascolo 20 15.788 seminativo 84 8.112 seminativo 87 7.667 seminativo 88 3.020 seminativo 89 11.843 seminativo 90 1.920 seminativo 91 340 seminativo 94 21.030 pascolo 95 3.789 pascolo 96 42 pascolo 97 20–695 pascolo 98 21.145 pascolo 103 1.140 seminativo 105 2.280 seminativo 107 11.541 seminativo 115 700 seminativo 92 1.624 pascolo

Tabella 6.1.

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6. Aspetti fisici e interventi antropici 131

Paesaggio e Beni Ambientali della Regione Puglia, come area di interesse. Il suddetto piano prevede, per essa, l’istituzione di un Parco Naturale, finalizzato alla con-servazione, cura e sviluppo della vegetazione esistente, con divieto di nuovi interventi antropici se non quelli miranti alle finalità sopraindicate.

Inquadramento catastale

Il compendio immobiliare dell’area in esame, rica-dente nel territorio comunale di Leporano, è riportato nel catasto dei terreni, partita n. 610, del demanio pub-blico dello Stato, ramo Marina, foglio n. 8.

Esso comprende una superficie complessiva di 281.129 m2, di cui 2.743 di fabbricati rurali.

Le varie particelle risultano dalla Tabella 6.1.

Tabella 6.2.

particella estensione in m2 superficie interessata in m2

1 8.200 8.200

87 7.667 7.667

88 3.020 3.020

17 23.945 23.945

97 20.695 17.431

2 34.359 24.459

89 11.843 10.963

20 15.788 12.308

totale 125.517 107.993

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La qualificazione delle aree

Il compendio immobiliare della Batteria Catteneo si divide in due distinti comparti, che si differenziano total-mente fra loro, a causa di specifiche caratteristiche fun-zionali e paesaggistico–ambientali.

Il primo comparto, una zona pianeggiante adiacen-te alla litoranea, risulta essere fortemente antropizzato nella totalità della sua superficie e rappresenta l’area di pertinenza e complementare ai volumi esistenti. Cata-stalmente esso è individuato dalle particelle, o parte di esse, indicate nella Tabella 6.2, nella quale si evidenzia anche la relativa consistenza.

Il secondo comparto si distingue, nell’area a mon-te, per la presenza di strutture militari di difesa costiera e da ruderi di fabbricati reali, mentre nell’area a valle è caratterizzato da un complesso botanico veramente singolare ed unico, costituendo un ambiente storico, ai fini dell’archeologia militare, e naturale, del quale si im-pone la tutela ed il recupero.

Catastalmente è individuato dalle particelle, o parte di esse, riportate nella Tabella 6.3.

L’edificato

Dalla degli anni ’50 sino alla metà dei ’70 del XX se-colo, gli immobili insistenti sull’area della Batteria Cat-taneo, eccettuati quelli occupati da alcune famiglie di militari effettivi della Marina che si occupavano anche della loro custodia, erano stati trascurati al punto che attualmente versavano in un completo stato di abban-dono, degrado e fatiscenza. Verso la metà degli anni ’70 il compendio fu dato in concessione all’Associazione Nazionale Addestramento Professionale (ANAP) che,

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6. Aspetti fisici e interventi antropici 133

Tabella 6.3.

particella estensione in m2 superficie interessata in m2

2 34.359 9.900 89 11.843 880 20 15.788 3.480 97 20.695 3.264 3 10.200 10.200 90 1.920 1.920 105 2.280 2.280 7 1.497 1.497 115 700 700 84 8.112 8.112 12 1.937 1.937 13 5.771 5.771 92 1.624 1.624 14 41.790 41.790 94 21.030 21.030 10 8.812 8.812 11 58 58 15 77 77 4 861 861 5 102 102 6 70 70 18 939 939 91 340 340 95 3.789 3.789 96 42 42 98 21.145 21.145 19 14.835 14.835 103 1.140 1.140 107 11.541 11.541 totale 243.297 178.136

nel corso degli anni, ha provveduto alla ristruttura-zione di alcuni ambienti destinati ad ospitare uffici o laboratori. La suddetta associazione, inoltre, provvide

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alla realizzazione di un prefabbricato per l’installazione di un primo nucleo di officine. Tutto ciò doveva essere il preambolo per la realizzazione di un centro di adde-stramento professionale, dotato di aule per l’attività di-dattica, di strutture parascolastiche, ludoteche, nonché

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6. Aspetti fisici e interventi antropici 135

impianti sportivi a beneficio dei corsisti e dei docenti, provenienti anche da altre province o regioni.

Nel frattempo, tuttavia, col cambio delle politiche, in materia di istruzione professionale, che trasferivano le relative competenze alle Regioni ridimensionando le competenze di Enti o Associazioni, anche l’ANAP fu costretta ad abbandonare il progetto. Successivamente, i competenti organi dello Stato dettero in concessione, con contratto di locazione, il compendio immobiliare della Batteria Cattaneo all’Amministrazione del Comu-ne di Leporano, che lo destinò ad accogliere strutture idonee per le scuole della materna, elementare e media, nonché, in un secondo momento, l’Istituto Professionale per i Servizi Alberghieri e la Ristorazione. La scelta di in-stallare anche la scuola materna, era dettata dall’esigenze di garantire tale servizio alla popolazione stabile dei nu-clei di Torre Pilone, Gandoli, San Francesco ed altre, che ammontava a circa 2.500 abitanti, ai quali si aggiunge an-che il flusso turistico nella stagione estiva.

Nel corso degli anni, attraverso fondi propri o con fi-nanziamenti statali finalizzati all’edilizia scolastica, l’Am-ministrazione Comunale di Leporano ha saggiamente provveduto a risanare, ristrutturare, adeguare funzio-nalmente e tecnologicamente la maggior parte dei pa-diglioni dislocati sul pianoro adiacente alla litoranea e delimitati a sud dalle strutture militari e dai ruderi della masseria.

Nell’allegata cartografia vengono indicati:

— i padiglioni numerati 1–2–3–7–8–9–10–11, oggetto di ristrutturazione ed adeguamento funzionale, at-tualmente sede di attività scolastica;

— il complesso 4, edificato dall’ANAP negli anni ’70;— i volumi 5–6–12–13 che, nonostante siano in parte adi-

biti a depositi, non rientrano nel piano di recupero.

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Masseria Torre Blandamura: ruderi di una masseria del 1800, formata da un edificio centrale su due piani, con locali interrati, circondati da altri locali adibiti ad abitazioni coloniche oppure a strutture legate alla trasformazione e conservazione di prodotti agricoli ed al ricovero degli animali

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6. Aspetti fisici e interventi antropici 137

Lungo il sentiero per la masseria, si notano a sinistra macchie di Lentisco, a destra Pini con sottobosco di Lentisco

Il Lentisco ed il Mirto ai bordi del sentiero che conduce alla vecchia masseria

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Lato Torretta, la masseria immersa tra Piante di Lentisco, Pini, Eucaliptus

Masseria vista dal lato Torretta

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6. Aspetti fisici e interventi antropici 139

Porta di accesso alla stanza lato Torretta

Volta con finestrella posta in alto con barre metalliche per ulteriore sicurezza

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Volte a stella, infiltrazione di acqua provocata dalle radici di alberi e piante cre-sciute sul terrazzo

Interno lato torretta, le scritte sul muro denotano l’utilizzo della struttura, durante il periodo bellico

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6. Aspetti fisici e interventi antropici 141

Cespugli di Lentisco ostruiscono parzialmente l’entrata del rimessaggio dei traini e attrezzi di lavoro. Sulla sinistra porta di accesso alle stalle

Panoramica della Masseria Torre Blandamura vista dalla torretta. Alberi e piante cresciuti sul solaio. Il primo piano è in rovina

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7. La Pearl Harbour italiana

Per meglio comprendere la necessità strategico–tat-tica di installare nelle vicinanze di grossi porti militari, come appunto Taranto, alcune batterie di artiglieria da costa, occorre fare un passo indietro, esattamente agli inizi della Seconda Guerra mondiale.

Le operazioni navali italiane dopo l’entrata in guerra

In seguito all’entrata in guerra, al fianco della Germa-nia, nel 1940, la flotta militare italiana si trovò duramente impegnata in alcuni scontri con quella inglese, per il con-trollo del Mar Mediterraneo.

La base navale di Taranto, così come tutte le altre basi nava-li italiane, era bene attrezzata per la riparazione delle unità danneggiate, grazie principalmente alla disponibilità di gran-di bacini di carenaggio, ed alla presenza nel suo arsenale di tutti i pezzi di ricambio per i macchinari e le armi1.

Ciononostante, si riscontravano gravi lacune difensive per quello che riguardava la protezione contraerea e quel-la antisiluramento delle navi in porto. Le batterie contra-eree allestite, infatti, erano del tutto insufficienti sia nel

1. Wikipedia – libera enciclopedia. www.wikipedia.org

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numero, sia nel calibro. Se a tutto questo si aggiunge la scarsa protezione notturna determinata dall’assenza del radar, che invece gli inglesi possedevano, il quadro della situazione appare a dir poco inquietante. Per la rilevazio-ne di eventuali aerei nemici in avvicinamento ci si affida-va ai vecchi proiettori, dotati di scarsa portata e guidati da aerofoni risalenti alla Grande Guerra.

Per ciò che concerne la protezione antisiluro, essa era affidata a delle reti dette antisiluro, scarse nel numero, a causa della carenza di materie prime che affliggeva l’in-dustria italiana, e nemmeno posizionate del tutto.

Nell’agosto del 1940, erano entrate in servizio due nuove unità da battaglia della Regia Marina: le corazzate Vittorio Veneto e Littorio ed esattamente due mesi più tardi le truppe italiane invadevano la Grecia, costringendo il governo inglese ad appoggiare la resistenza ellenica, al duplice fine di evitare che l’Egeo finisse sotto il controllo italiano, ma anche per scoraggiare la Turchia da un’even-tuale entrata in guerra al fianco di Italia e Germania. Ciò determinò un aumento dei convogli marittimi britannici in partenza da Alessandria, per consentire il necessario rifornimento ai porti greci ed all’isola di Malta, vera e propria roccaforte britannica.

La vicinanza di Taranto a tali manovre creava seri pro-blemi agli strateghi inglesi, poiché le navi italiane ivi stan-ziate potevano agevolmente raggiungere e distruggere i convogli marittimi britannici destinati alla Grecia.

L’operazione Judgement

L’ammiraglio Andrew Cunningham, comandante del-la Mediterranean Fleet, concepì l’idea di allestire un’ope-razione per affondare o danneggiare le navi da battaglia italiane dislocate nel porto di Taranto. In realtà stava per-

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7. La Pearl Harbour italiana 145

fezionando un piano di attacco notturno con aerei aero-siluranti, già studiato dall’ammiraglio Lumley Lyster nel 1935, durante la Guerra d’Etiopia. Si trattava di un piano altamente rischioso e presupponeva la massima segretez-za per garantire il necessario effetto sorpresa.

Le portaerei da cui dovevano partire gli aereosilu-ranti, dovevano spingersi sino a 130 miglia dalla costa italiana, rischiando di essere scoperte.. Inoltre, era ne-cessario illuminare il mare di Taranto, ricorrendo ad ae-rei dotati di bengala, mentre gli aerosiluranti dovevano volare a pelo d’acqua, per eludere le batterie contraeree e per evitare che i siluri affondassero nel fondale senza colpire i bersagli.

L’attacco a Taranto: una Pearl Harbour italiana

L’operazione cominciò nel pomeriggio del 6 novem-bre 1940, quando le navi da battaglia Malaya, Ramillies, Valiant e Warspite, la portaerei Illustrious, appoggiati da due incrociatori, il Gloucester e lo York, e da 13 cacciator-pediniere lasciarono il porto di Alessandria d’Egitto in di-rezione di Malta, nei cui paraggi li attendeva la portaerei Eagle. Due giorni dopo, allarmato dalle manovre inglesi, il Comando della Marina Militare Italiana inviò alcune cacciatorpediniere, torpediniere e sommergibili in pat-tuglia nel canale di Sicilia, mentre nella base di Taranto veniva concentrato il grosso della flotta italiana.

Le navi inglesi arrivarono a Malta il 10 novembre ed, il giorno successivo, la portaerei Illustrious iniziò la mano-vra di avvicinamento. La portaerei Eagle non salpò a cau-sa di un’avaria al motore e questo inconveniente dimez-zò il numero di aerei disponibili, tuttavia Cunningham non rinunciò all’impresa. Fino alla sera dell’11 novembre il porto di Taranto fu oggetto di ricognizioni da parte

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di aerei inglesi, così i comandi britannici appresero che nel porto di Taranto si erano concentrate le corazzate Andrea Doria, Caio Duilio, Conte di Cavour, Giulio Cesare, Littorio e Vittorio Veneto, gli incrociatori pesanti Bolzano, Fiume, Gorizia, Pola, Trento, Trieste e Zara, i due incrocia-tori leggeri Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi e diversi cacciatorpediniere. A difesa del porto dovevano esserci 87 palloni di sbarramento, tuttavia le cattive condizioni del nei giorni precedenti ne avevano strappati 60 che, oltretutto non erano stati rimpiazzati. Le navi avevano un sistema di protezione basato su reti parasiluri, tuttavia ne occorrevano 8.600 metri per una valida difesa mentre in realtà ne erano stati posati poco meno della metà. Inoltre, tali reti erano distese per soli 10 metri sotto il livello del mare, restava pertanto un con-siderevole spazio non protetto tra la rete stessa ed il fon-dale. Tra l’altro, l’ammiraglio di squadra Inigo Campioni aveva inoltre richiesto che le reti fossero sistemate ad una certa distanza dalle sue navi, in modo da poter salpare rapidamente, senza doverle rimuovere.

Alle 20,30 sulla portaerei Illustrious ebbero le opera-zioni di decollo della prima ondata di aerei diretti verso Taranto che, arrivati sul posto alcuni minuti prima delle ore 23,00, furono accolti da un poderoso fuoco di sbarra-mento degli italiani. A questo punto, due aerei armati di bengala lanciarono i razzi illuminanti sulla riva orientale del Mar Grande illuminando le sagome degli obiettivi. Contemporaneamente 6 aerosiluranti Fairey Swordfish scendevano alla quota necessaria per il siluramento. Uno di essi, successivamente abbattuto, sganciò un siluro con-tro la Conte di Cavour, aprendo un’enorme falla nella fian-cata sinistra, mentre altri due attaccarono l’Andrea Doria, senza colpirla. Simultaneamente, altri quattro aerosilu-ranti colpivano i cacciatorpediniere Libeccio e Pessagno, arrecando seri danni, e sganciarono bombe sui depositi

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7. La Pearl Harbour italiana 147

di carburante, incendiandoli. Alle 23,15 due aerosiluranti presero di mira la corazzata Littorio, che veniva colpita sia a dritta, sia a sinistra, mentre l’ultimo Swordfish ingle-se sganciò un siluro contro la Vittorio Veneto senza esito.

Alle 23,20 terminava la prima ondata dell’attacco e gli aerei che l’avevano condotta si ritirarono. Tuttavia, dieci minuti più tardi, arrivarono gli aerei della seconda onda-ta. Nonostante il fuoco di sbarramento operato dalle uni-tà italiane, un primo Swordfish sganciò un siluro contro la Caio Duilio colpendola a dritta, intanto due aerosiluranti colpivano in tandem la Littorio. Un altro aereo puntò ver-so la Vittorio Veneto e sganciò un siluro che, però, andò a vuoto, mentre il fuoco di sbarramento italiano abbatteva un secondo Swordfish che tentava di attaccare la Gorizia. Infine un ultimo siluro colpì l’incrociatore Trento, dan-neggiandolo. Alle 0,30 del 12 novembre, gli ultimi aerei si ritirarono. L’attacco a Taranto era finalmente finito.

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8. La Batteria di artiglieria da costa “Carlo Cattaneo”

Installazione di batterie di Artiglieria da costa

In seguito al bombardamento di Taranto, descritto al precedente capitolo, venne avviata, dai comandi italiani, l’installazione di un sistema di batterie di artiglieria da costa, di medio e grosso calibro, al fine di prevenire even-tuali sbarchi o attacchi, sia dal mare, sia dal cielo. L’attac-co inglese contro la base navale ionica aveva, infatti, cau-sato dei catastrofici danni sia al livello economico, con sette navi da guerra fuori uso e diversi mercantili grave-mente danneggiati, ma anche sul piano della strategia di Supermarina che, a questo punto, doveva essere ne-cessariamente rivista, per evitare il ripetersi di situazioni analoghe. Anche il bilancio delle vittime, pari a 85 morti di cui 55 civili e 581 feriti, metteva in risalto tutte le lacu-ne ed i pressapochismi dei piani di protezione, affidati a strutture, mezzi e modalità ormai obsoleti.

Fu nel 1941 che venne decisa ed approvata l’instal-lazione di una di tali batterie nei pressi di Taranto, da approntare in località Blandamura ed intitolata all’Ammi-raglio Carlo Cattaneo, Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria, deceduto pochi mesi prima, durante lo scontro di Capo Matapan del marzo 1941 e di cui abbia-mo trattato nel primo capitolo. I lavori ebbero inizio lo stesso anno. Quale armamento per la base fu deciso di

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utilizzare tre cannoni 305/42, in precedenza affustati per essere destinati a Tobruk. Le artiglierie erano sistema-te in piazzole scoperte, mentre in posizione interrata e protetta, si collocavano le riservette e la centrale di tiro. Ovviamente erano previsti anche i locali per l’alloggio del personale, per gli uffici e per le infrastrutture logisti-che, i cui resti sono oggi visibili sul pianoro prospiciente la litoranea.

Secondo Carlo Alfredo Clerici, tuttavia, la base pre-sentava alcune lacune inspiegabili, infatti:

Stranamente la struttura dell’installazione non rispecchiava i nuovi canoni costruttivi adottati ad Augusta e Genova. Le artiglie-rie erano installate in piazzole scoperte mentre in posizione inter-rata si trovavano solo le riservette e la centrale di tiro. Si trattava di una struttura semplice che nulla aveva in comune con le complesse installazioni in torre1.

Alla data dell’8 settembre 1943, coincidente con l’ar-mistizio con le forze alleate, i lavori della base risultava-no ancora in corso anche se quasi ultimati. Secondo lo stesso autore la causa principale, analoga anche per altre basi dislocate sul territorio nazionale, dipendeva essen-zialmente dal fatto che:

La disponibilità di artiglierie pesanti da impiegare per la difesa costiera era senz’altro superiore alle possibilità economiche per la loro installazione nei tempi brevi imposti dall’andamento del conflitto2.

Ciononostante, alla vigilia dello sbarco alleato in Si-cilia, la Batteria da costa “Carlo Cattaneo” risultava fra

1, C.A. Clerici, Batterie costiere in Italia, Albertelli Ed. Speciali, Par-ma 1996, p. 22. 2. Ibidem.

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8. La Batteria di artiglieria da costa “Carlo Cattaneo” 151

quelle attive, armate dal personale della Milmart3, anche se non ancora completata, cosa che giustifica il prosie-guo dei lavori.

Struttura della base

Escludendo gli stabili per gli alloggi del personale e per gli uffici, vediamo come era strutturata la Batteria Carlo Cattaneo.

Le tre piazzole scoperte, nelle quali erano dislocati i cannoni 305/42, erano disposte verso sud, per contrasta-re eventuali attacchi provenienti dal mare o dal cielo, e vi si accedeva attraverso appositi vialetti, orientati secondo la direzione nord-sud, e collegati ad un ulteriore vialetto retrostante che fungeva da raccordo, disposto secondo la direzione est-ovest e lungo 224 metri. La piazzola di tiro n. 1 era la più orientale e distava 82 metri dal vialetto di raccordo, la n. 2, più centrale, si collocava a 71 metri dal-lo stesso vialetto che, intersecandosi proprio con quel-lo proveniente da tale piazzola, formava un quadrivia. Lungo il vialetto proveniente dalla piazzola n. 2, quasi a ridosso di quello di raccordo, si incontrava la torretta, mentre procedendo ad ovest del quadrivia, dopo poche decine di metri si individuava, sulla sinistra, la centrale elettrica. L’ultima piazzola, la n. 3 era la più occidentale ma anche la più arretrata, essendo il suo viale di collega-mento lungo 57 metri.

Dalla torretta era possibile accedere a diversi livelli in-terrati, dove era collocata la centrale di tiro, la sala con-vertitore, la sala radio e le riservette.

3. Milizia Artiglieria Marittima, nata nel 1938, in seguito al cambio di nome della Milizia Costiera. Formalmente autonoma, dipendeva dalla Regia Marina per materiali, addestramento ed impiego delle difese nelle principale basi navali (n.d.a.).

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Cannone da 305/42

Materiale di artiglieria su installazione in pozzo,in impianto elettrico per un cannone

Bocca da fuoco Di acciaio al nichel.

Congegno di chiusura A vitone cilindrico. Chiusura ermetica ad anello plastico.

Affusto Ad aloni e culla, su piattaforma.

Installazione

L’impianto è sistemato entro un pozzo protetto da avanco-razza, su un largo gradino del quale è fissata una rotaia su cui poggia ed è girevole la piattaforma a tamburo portante l’affusto ad aloni con culla. Con l’affusto è anche sistemata la casamatta corazzata (ad unghia di cavallo) di protezione. Sotto la piattaforma è fissato un tamburo di diametro minore che costituisce la camera di manovra. A sinistra dell’affusto sbocca il pozzo dell’elevatore delle munizioni. Tutte le mano-vre sono elettriche o a mano. Il freno è idraulico. Il recupera-tore è ad aria compressa.

Dati numerici principali

Obice

Lunghezza totale mm. -

Rigatura destrorsa costante righe: -

Peso della bocca da fuoco (con otturatore) kg 74000

Meccanismo di sparoanalogo a quello dell’obice da 305/17

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9. Scenari 153

Affusto

Altezza del ginocchiello mm -

Settore orizzontale di tiro 360°

Settore verticale di tiro da -2° a +12°

Lungh. totale del pezzo in batteria mm -

Lunghezza di rinculo normale mm -

Carreggiata (con ruote da strada) mm 2000

Diametro delle ruote mm -

Peso complessivo in batteria kg 199900

Velocità iniziale proietto 885 m/s

Gittata (massima) m 19000

Traino

-Composizione della batteria -

Velocità oraria stradale -

Profondità della colonna della batteria m. -

Tempo della messa in batteria -

Cariche di lancio -

Sistema di puntamento Apparecchio di puntamento -

Munizionamento (dati al 1938) Granata perforante da 305/50

di acciaio, peso kg 445 – carica di tritolo

Granata da 305/50 con cappucciodi acciaio, peso kg. 406 - carica di tritolo

Celerità di tiro Normale 2 colpi al minut0

Fonte: F. Grandi, Dati sommari sulle artiglierie in servizio e sul tiro, Ed. fuori commercio, 1934. F. Grandi, “Le armi e le artiglierie in servizio”, Ed. fuori commercio, 1938.

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Cannone da 120/40

Materiale per armamento di opere terrestriFabbricazione Armstrong

Bocca da fuoco Di acciaio, composta, con cerchiatura in parte a nastro.

Congegno di chiusura A vitone cilindrico tronco conico. Manovra rapida. Chiusura ermetica ad anello plastico.

Installazione

L’affusto è in pozzo con copertura metallica leggera, soste-nuta indipendentemente dall’affusto e con questo girevole. L’affusto ad aloni è portato da una piattaforma (a tamburo) girevole sopra una corona di rulli scorrenti su apposita guida sistemata sul basamento. Sui fianchi dell’affusto è incavalcata la culla. Alla culla sono fissati il cilindro del freno e quello del ricuperatore. Unito alla culla è lo scudo. Il congegno di elevazione è a dentiera, con dispositivo di manovra rapida per alzo indipendente. Congegno di dire-zione a ingranaggio, tra piattaforma girevole e basamento. Collegamento elastico tra cupola di copertura ed affusto. Il freno idraulico di sparo è ad unica nervatura di altezza variabile nell’interno del cilindro; il freno di ritorno è a spina o controasta penetrante in cavità dell’asta dello stantuffo. Il ricuperatore è a molle, disposto anteriormente al freno.

Dati numerici principali

Cannone

Lunghezza totale mm 5272

Rigatura sinistrorsa co-stante righe: 36

Peso del cannone (con otturatore) kg 2334

Meccanismo di sparo

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9. Scenari 155

Affusto

Altezza del ginocchiello mm. 1356

Settore orizzontale di tiro 360°

Settore verticale di tiro da -8° a +42°

Lungh. totale del pezzo in batteria mm -

Lunghezza di rinculo normale mm 1400

Carreggiata mm -

Diametro delle ruote mm -

Peso complessivo in batteria kg -

Velocità iniziale proietto 700 m/s

Gittata (massima) m 12900

Traino

-Composizione della batteria -

Velocità oraria stradale -

Profondità della colonna della batteria m. -

Tempo della messa in batteria -

Cariche di lancio 5

Sistema di puntamento Apparecchio di puntamento -

Munizionamento

Granata a b.p. da 120/25-401

di acciaio, peso kg 23,600 o 24,200 - carica di tritolo o pertite o MBT

Granata di ghisa acciaiosa da 120/25-40-502

di ghisa acciaiosa, peso kg. 24,900 - carica di Nougat

Shrapnel da 1203

di acciaio, peso kg 24,000 - ca-rica con pallette di piombo e anti-monio

Celerità di tiroNormale -

Massima -

1) Adopera la spoletta a percussione Mod. 14 o a percussione Mod. 11/172) Adopera la spoletta a percussione Mod. 17 o a percussione Mod. Guerritore per m. e g.c.3) Adopera spoletta Mod. 90

Fonte: F. Grandi, Dati sommari sulle artiglierie in servizio e sul tiro, Ed. fuori commercio, 1934. F. Grandi, “Le armi e le artiglierie in servizio”, Ed. fuori commercio, 1938.

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Lo smantellamento della batteria

Da quanto abbiamo già visto, l’8 settembre del 1943 la Batteria da costa “Carlo Cattaneo”, risultava già at-tiva, pur non essendo stati ancora ultimati i lavori. I tragici eventi di quei giorni determinarono un radica-le cambiamento negli orientamenti strategici degli Alti Comandi italiani, dovuti anche al fatto che l’alleato era diventato nemico mentre, viceversa, il nemico era ades-so l’alleato.

Con un ordine del 29 febbraio 1944, protocollo n. 6795/S e catalogato come Segreto, lo Stato Maggiore della Regia Marina, Reparto Servizi, incaricava Mari-stat-Taranto di provvedere allo smantellamento di alcu-ne batterie da costa, dislocate a Brindisi e Taranto. Fra queste risultava compresa anche la Batteria Cattaneo. Nello stesso documento si disponeva di lasciare in loco il personale minimo ed indispensabile per la manuten-zione delle armi. Gli altri, inclusi gli ufficiali, dovevano essere trasferiti ed inseriti nei gruppi di manovalanza che lavoravano ai porti di Taranto e Brindisi.

Alla data del 19 novembre 1944 la batteria risulta smobilitata con armi e munizioni sul posto. Tali armi sono tre cannoni 305/42, ai quali se ne aggiungeva uno 120/40, accantonati, secondo le disposizioni, in locali adiacenti alle stesse batterie.

Un altro documento che porta la data del 27 del-lo stesso mese, la batteria risulta ancora armata con munizionamento sul posto, mentre le fotoelettriche tipo N.P.4, N.P.5 ed M.I risultano già trasferite, dal 4 febbraio, alla DICAT4, per essere destinate al Gruppo fotoelettriche di Foggia.

4. Difesa Contraerea Territoriale, si occupava della difesa del Paese, proveniente da attacchi aerei o navali del nemico (n.d.a.).

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8. La Batteria di artiglieria da costa “Carlo Cattaneo” 157

Un ulteriore documento, classificato come Segreto e riferito al foglio n. 784/S del 19 giugno 1945, emesso da MARISTAT M.D.S. Ufficio B.D. il 4 luglio 1945, riporta la situazione delle batterie in questione, aggiornata al 1° giugno dello stesso anno. Per quanto concerne la Batteria “Cattaneo”, sul posto risultano ancora presen-ti le armi, la centrale, il munizionamento e materiale vario, mentre i fabbricati risultano occupati.

Il resto è storia dei nostri giorni, ormai tradotto in un completo disinteresse e devastante abbandono di vestigia che, seppur recenti, rappresentano un perio-do della nostra storia e, solo per questo, meriterebbero una più alta considerazione.

A tal proposito, merita ancora una volta di essere citato Carlo Alfredo Clerici che, all’inizio del suo pre-gevole lavoro sulle batterie costiere, nell’Appello ai Let-tori, afferma:

In Italia rimangono oggi numerose vestigia delle fortifica-zioni realizzate durante i due Conflitti Mondiali, per lo più abbandonate all’incuria ed esposte al pericolo di demoli-

Zona costiera degli insediamenti di difesa della Batteria “Ammiraglio Carlo Cat-taneo”

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zioni. Un preciso censimento può essere pertanto l’avvio di un’azione di tutela e valorizzazione storica5.

Sono perfettamente d’accordo con lui, la Batteria “Carlo Cattaneo” merita di essere rivalutata, insieme al parco che la circonda. Vestigia di archeologia mili-tare antiche (Torre Blandamura) e moderne (Batteria “Cattaneo”), unite in un continuum storico che si snoda attraverso i secoli, circondate da uno splendido parco ricolmo di bellezze naturali, un’oasi in mezzo ad un mare di cemento…

5. C.A. Clerici, op. cit., p. 3.

Sentiero con macchia mediterranea, Eucaliptus e Pini

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9. Scenari

Colori di autunno nel Bosco Blandamura

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Rucola fiorita nel prato arso dall’ultimo sole estivo

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9. Scenari 161

Sentiero lato Porto Lido Gandoli

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162 Natura e storia

Colori della natura in autunno

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9. Scenari 163

Muro a secco di confine Blandamura tra la Marina di Leporano e la Marina di Talsano – Taranto

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Pineta impiantata su terreno roccioso e argilloso

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9. Scenari 165

Prato con prevalenza di Urginea (Urginea marìtima)

Primo piano delle Urginee

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Strutture fortificate della Batteria “Ammiragio Carlo Cattaneo”

Vista in sezione dall’alto del sotterraneo della Batteria costiera, con sbocco alle tre postazioni dei cannoni calibro 305/42: Tiro 1, lato marina di Leporano; Tiro 2, posizione centrale; Tiro 3, lato marina di Talsano–Taranto

Vista in sezione laterale della “Batteria Costiera” dai sotterranei ai livelli emersi

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9. Scenari 167

Accesso ai sotterranei e struttura emersa, zona centrale

Corridoio di accesso alle scale interne, porte in legno con barre di rinforzo in ferro a gancio

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Scala di accesso al primo e secondo livello Torretta di avvistamento sul mare

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9. Scenari 169

Prima rampa, accesso alla Sala Radio bunker

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170 Natura e storia

In alto, scala di accesso al primo piano. Sopra, accesso sala pianificazione, notare il generatore di corrente per alimentare i fari di illuminazioni che erano sul sovra-torretta per individuazione aerei o navi

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9. Scenari 171

In alto, tavolo della sala pianificazione. Sopra, scala a sinistra per l’accesso alla Torretta, a destra per l’accesso al bunker sotterraneo

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In alto, Tiro 3: edificato della postazione batteria costiera lato marina di Talsano –Taranto. Sopra, Tiro 3: lato di uscita dal bunker a “cielo aperto”, della postazione cannone calibro 305/42, lato marina di Talsano–Taranto

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9. Scenari 173

In alto, Tunnel di uscita alla fortificazione a “cielo aperto”, lato marina di Lepora-no. Sopra, accesso dal tunnel sotterraneo alla piazzola fortificata aperta sul cui basamento era montato il cannone calibro 305/42. Tentativo di riempimento del bunker a cielo aperto ad uso discarica

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In alto, Tiro 1: vista del bunker della postazione calibro 305/42, lato Porto di Gan-doli–Marina di Leporano. Sopra, Tiro 1: macchia di Lentisco adiacente alla piaz-zaforte fortificata aperta su cui era montata una batteria su tre pezzi da 305/42 su affusto a Cuddie bruciate. Il tunnel fortificato, sul lato destro, è protetto da una paratia in cemento; sul lato sinistro, frontalmente, si nota un edificio dotato di trave IPE per paranco motorizzato; all’interno è montata una piattaforma mobile motorizzata

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9. Scenari 175

In alto, a sinistra, porta di accesso della casermetta sotterranea; a destra, stanze interne della casermetta. Sopra, prese di ventilazione forzata della casermetta sotterranea.

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176 Natura e storia

In alto, porta di accesso dalla casermetta alla sala di stoccaggio munizionamento. Sopra, sala di stoccaggio munizionamento

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9. Scenari 177

In alto, lato di accesso alla sala di stoccaggio munizionamento dal tunnel. Sopra, Torretta fortificata postazione quota 35 m s.l.m.

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In alto, accesso con scalinata alla Torretta postazione obice 120/40. Sopra, bun-ker alle spalle della Torretta; in primo piano serbatoio di rifornimento acqua

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9. Scenari 179

In alto, a sinistra, l’accesso alla Torretta dalla scala interna; a destra, la vista dall’interno della Torretta sul mare, con in primo piano la feritoia di avvistamento e postazione obice 120/40. La natura ha praticamente preso il sopravvento, da questa postazione si spazia sul territorio e sul Golfo di Taranto. Sopra, la Torretta fortificata, lato mare, con feritoia che permette una visuale a 180° e scalette esterne di accesso al sovratetto che consente una visuale a 360°

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180 Natura e storia

In alto, il serbatoio utilizzato per l’approvvigionamento idrico; in pri-mo piano un albero di Fico, mac-chia di Lentisco, Pino marittimo. L’edificio a ridosso del serbatoio è la cabina elettrica esterna. A sini-stra e sopra, vista frontale e latera-le della cabina elettrica esterna.

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9. Scenari 181

In alto, l’accesso murato alla piattaforma motorizzata dal piano strada ai sotterranei, a ridosso mimetizzazione di alberi di Fico e piante di Lentisco attecchiti sul terreno argilloso, probabilmente proveniente dallo scavo per realizzare la struttura fortifica-ta. Propabilmente il materiale proveniente dallo scavo del sotterraneo, eccedente, è stato riportato sulla sovra scogliera a quota 21 m s.l.m. Sopra, un altro accesso murato: questo consentiva la manutenzione o la sostituzione dei motori e dei gene-ratori di corrente dell’impianto autonomo della Batteria fortificata; da notare la trave IPE sporgente alla quale è ancora montato un verricello a catena

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182 Natura e storia

In alto, capannone di rimessaggio e manutenzione, adiacente all’ac-cesso rapido ai piani sotterranei. A sinistra, da sopra, la scala di ac-cesso rapido dall’esterno ai sotter-ranei e la galleria di movimentazio-ne proietti e materiale vario per as-servire i 3 cannoni calibro 305/42, della batteria costiera, puntati sul mare. Da notare sulla destra le staffe di sostegno del fascio dove erano montati i cavi elettrici. Il pia-no di calpestio, il camminamento centrale è fornito di un canale di scolo acque. È da rilevare l’assen-za di infiltrazione di acqua e umidi-tà sulle pareti del tunnel.

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9. Scenari 183

In alto, sala generatore di corrente, motore Diesel, alimentato a nafta, che forniva alimentazione elettrica a tutta la batteria fortificata. Sopra, quadro elettrico di con-trollo e distribuzione energia elettrica prodotta dai generatori.

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184 Natura e storia

In alto, condotta di ventilazione della galleria bunker, lato Capo San Francesco. Tale condotta a galleria, che degrada e sfocia lato mare, scaricava acque reflue. La bocca esterna è chiusa da una doppia grata di sicurezza. Sopra, galleria di mo-vimentazione proietti e materiale vario per asservire i 3 cannoni calibro 305/42, della batteria costiera, puntati verso il mare. Sulla destra le staffe di sostegno del fascio dove erano montati i cavi elettrici. Il piano di calpestio è fornito di un canale di scolo acque.

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9. Scenari 185

In alto, bocchettone flangiato per il rifornimento serbatoio nafta per il gruppo elet-trogeno del sotterraneo. Sopra, serbatoio in posizione protetta nel sotterraneo per il rifornimento della nafta occorrente per il gruppo Diesel del generatore di energia elettrica, necessaria ad alimentare i motori delle piattaforme di elevazioni, monta-carichi, gutter di manutenzione, sala radio, centrale di tiro, luci e servizi dei tunnel e sale di stoccaggio munizionamento, casermetta sotterranea, nonché per il funzio-namento dei cannoni e del sistema difensivo.

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In alto, tubo di scarico fumi silenziato del Diesel, proveniente dalla condot-ta della sala generatori ubicata nel sotterraneo. Al centro, un gruppo ge-neratore supplementare, alimentato dal generatore principale, per riservette e fari di illuminazione in caso di attacco notturno, ubica-to nel sotto Torretta in po-sizione protetta. In basso, il basamento di alloggio per il cannone 120/40 situato nell’avantorretta di vigilanza visiva del territo-rio e dell’orizzonte marino. Il cannone da 120/40 aveva funzione di impiego antinave e, in caso di ne-cessità, veniva impiegato come antiaerea.

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9. Scenari 187

In alto, piazzale scoperto del Tiro 3 in cui, sulla rotonda centrale, era installato su apposito basamento imbullonato il cannone da 305/42, gli altri due completavano la schiera difensiva con il Tiro 2 e il Tiro 1 alla stessa maniera. In posizione arretrata e interrata, per una maggiore protezione, vi erano tutte le strutture accessorie al Tiro 1, Tiro 2 e Tiro 3. Riparate si trovavano le “riservette” [opera di fortificazione, piccolo ambiente, di solito interrato e protetto, in cui si conservano le munizioni destinate ad alimentare il fuoco dei reparti impegnati in combattimento. Nella marina militare, piccola provvista di munizioni disposta in prossimità dei cannoni], la “centrale di tiro” [in Marina, organo fondamentale per l’impiego delle artiglierie navali e contra-eree], la “sala radio”, così come i camminamenti e le gallerie. Sopra, basamenti per il supporto delle antenne radio.

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In alto, mimetizzazione dei basamenti delle antenne radio. Al centro, simbiosi tra natura e strutture mili-tari. In basso, i resti degli alloggiamenti militari al confine con Santomaj.

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9. Scenari 189

In alto, particolare della ringhiera della sovratorretta immersa nella natura: da qui lo sguardo domina il mare. Sopra, parziale veduta della “Batteria Ammiraglio Carlo Cattaneo” vista dalla Litoranea Salentina Orientale, lato Talsano–Taranto.

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Sopra, il Tiro 2 visto dalla galle-ria di collegamento alla piazzola scoperta, ove era montato il cannone da 305/42, parzial-mente colmato con terriccio. A sinistra, due scorci del campo di calcio.

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Riflessioni

La storia e la memoria di un popolo sono strettamente connesse all’ambiente, all’habitat, in cui esso vive, sia che si tratti di ambiente naturale, sia ci si riferisca a quello storico e tradizionale. Il rispetto di tale ambiente deter-mina, sotto il profilo naturalistico la possibilità di vivere e di autoconservarsi, sotto l’aspetto storico, invece, rap-presenta la capacità di custodire la propria memoria. Una vita senza un ambiente è inconcepibile per le leggi di na-tura, ma una vita senza memoria è, in maniera analoga, altrettanto inconcepibile. Chi non rispetta il suo passato, inevitabilmente è destinato anche a non aver futuro.

Il Parco Batteria Cattaneo rappresenta un patrimonio unico da difendere, da conservare e da salvaguardare, in esso si riscontra un ambiente naturale quasi incon-taminato, con le sue varietà vegetali ed animali, ma nel contempo è un patrimonio inestimabile sotto il profilo storico, per ciò che la batteria ha rappresentato in quei pochi mesi che è stata attiva. Non possiamo permetterci di abbandonare all’oblio la nostra stessa memoria, rinne-gandola rischiamo di rinnegare noi stessi.

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Appendice

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Minidizionario dei termini utilizzati

Antropizzazione: relativo alla distribuzione ed all’atti-vità degli uomini.

Compendio:Raccogliere, per la catalogazione, con riguardo alle par-

ti essenziali ed al loro valore complessivo, per rias-sumere, ridurre e sintetizzare.

Comparto: ripartizione, aree fabbricabili.Psammofite (da psammo + fite): piante a ecologia spe-

cializzata, abitanti le sabbie dei litorali e dei deser-ti. Presentano adattamenti nei riguardi del suolo arido e spesso salato, della mobilità del substrato o dell’azione di smeriglia mento compiuta dalla sabbia smossa dal vento. Fra quelle più frequenti in Italia, sono da ricordare la Convolvulus soldanélla (Soldanella di mare – fam. Convolvulacee), l’Am-nòphila arénaria (Sparto pungente – fam. Grami-nacee).

Autoctono: nato dalla stessa terra in cui vive, sedimen-tazione del suolo la cui componente inorganica è costituita da materiale risultante dalla alterazione della sottostante roccia madre.

Substrato: una falda ricoprente il suolo può essere co-stituito da un’altra falda su cui la prima è sovra scorsa o dall’insieme dei terreni autoctoni su cui essa riposa.

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Il catalogo delle pubblicazioni di Aracne editrice è su

www.aracneeditrice.it

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Finito di stampare nel mese di ottobre del 2011dalla «Ermes. Servizi Editoriali Integrati S.r.l. »00040 Ariccia (RM) – via Quarto Negroni, 15

per conto della «Aracne editrice S.r.l. » di Roma