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Saggistica Aracne

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Mejdi Ferchichi

Insieme

Prefazione diMarta Telatin

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Questo libro è stato realizzato grazie al sostegno e alla fiducia ditre sponsor che hanno voluto credere in questo progetto e nella forzadelle parole. Si ringraziano profondamente:Il Tam TeatromusicaLa cooperativa Volontà di sapereL’associazione Piccoli passi.

Copyright © MMXIVARACNE editrice S.r.l.

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via Raffaele Garofalo, /A–B Roma()

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I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento anche parziale,

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Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: febbraio

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È un piacere sostenere Mahmoud che havoglia di inventare storie. Con l’augurioche Incontri il primo passo di un nuovo elungo cammino.

— Tam Teatromusica

Un piccolo passo verso il futuro...— Piccoli passi

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Indice

Prefazione

Introduzione

Capitolo IAd un amore

Capitolo III sogni si scontrano con la realtà

Capitolo IIIUn viaggio per cambiare... un viaggio per restare

Capitolo IVIl reato che non feci

.. Dietro le quinte Mahmoud racconta ancora..., .

Capitolo VUn’abitazione chiamata carcere

Capitolo VI“Io, la sfida e le sostanze”

Capitolo VIIUna possibile rinascita

Ringraziamenti

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Prefazione

L’esperienza di scrittura con Mahmoud ri-corda, come dice Stephen King in On Wri-ting, che lo « Scrivere è magia, è acqua del-la vita come qualsiasi altra attività creativa.L’acqua è gratuita. Dunque bevete. Bevete edissetatevi ».

Questo lavoro nasce da un bisogno di Mahmoud di uti-lizzare la scrittura e i fogli bianchi come contenitori perdeporvi i suoi pesi, i suoi pensieri che come onde delmare vanno e vengono nella mente lasciando sulla rivadell’anima un retrogusto amaro e malinconico.

E proprio di fogli veri è composta la primissima bozza di que-st’opera. Come un vecchio scrittore Mahmoud ha riempitod’inchiostro un quadernone e alcuni fogli sparsi andando oltregli spazi bianchi. Mentre battevo a computer le sue emozioni,respiravo l’odore della penna, della carta di quel quadernoche mi faceva tornare bambina. Il rumore pesante e croccantedelle pagine sfogliate s’intonava in un’unica danza espressivacon i tasti del computer e forse un sogno stava per diventarerealtà.

Mahmoud ha frequentato il corso di “Scrittura cre–attiva nella danza dei sensi” tenuto da me nella Casa diReclusione Due Palazzi di Padova; ma non è totalmentemerito di questa esperienza se ha cominciato a scrivere illibro.

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Prefazione

Il corso ha solo concretizzato un testo che stava giàprendendo vita a prescindere. Durante i nostri incontriMahmoud ha conquistato la consapevolezza di poterci la-vorare seriamente e ha avuto conferma di quanto possa es-sere importante la scrittura come strumento di autoanalisi,sfogo, liberazione.

Come dice Paolo Jedlowski (, p. ) l’esperienza èqualcosa che “facciamo” — un esperimento, un’avventura,un incontro — ma è anche qualcosa che “abbiamo” —un patrimonio, un insieme di competenze e di conoscen-ze acquisite. L’esperienza che facciamo si deposita in noicome esperienza che abbiamo: ciò che attraversiamo citrasforma e permane come un bagaglio che ci orienta infuturo (Carraro, ).

Ci siamo conosciuti al laboratorio di teatro. Ero statainvitata per una lettura di qualche mia poesia e successiva-mente, dato anche il mio desiderio di lavorare in carcere,la loro regista mi ha dato l’opportunità di seguire le provedello spettacolo che stavano realizzando. Questi due mesidi osservazione mi hanno permesso di organizzare quelloche sarebbe stato poi un corso di scrittura non solo per illoro gruppo, che avrei seguito autonomamente.

Non essendo a conoscenza di questa sua passione, èstata una sorpresa anche per me quando ho cominciato ilcorso e ho visto come era sempre attento, presente e contanta voglia di esprimersi. Era l’unico che svolgeva tuttigli esercizi che davo, anzi, ne faceva sempre uno in più.

Un giorno mi ha raccontato di questo libro. Voleva deiconsigli, voleva farmelo leggere. Si può dire che il nostro“viaggio”, la nostra “avventura” cominciò proprio da quelgiorno. Dopo averlo letto gli ho proposto di fare degliincontri individuali per sviscerare meglio le molte ideeinteressanti che aveva scritto. Ci teneva particolarmente

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Prefazione

che io lo aiutassi a terminare il suo libro e aveva paura nonfosse possibile.

Credo, per esperienza personale, che la scrittura sia unabuona terapia per affrontare qualsiasi aspetto della vita; oalmeno per me è andata così. Scrivo da quando avevo anni e “trasformare la mia vita in versi” mi ha aiutato aprendere coscienza di nodi, conflitti, serenità che hannocorteggiato la mia esistenza. Proprio per questo ho semprepensato potesse essere un interessante strumento ancheper i detenuti: per risvegliare “il fiume che scorre sotto alfiume” (Clarissa Pinkola Estes).

Da quasi un anno propongo alla Casa di ReclusioneDue Palazzi di Padova questi corsi di scrittura, con percorsipropedeutici allo sviluppo dell’uso dei sensi per interagirecon se stessi e con gli altri andando oltre lo sguardo, oltre ilsolo “vedere”.

Servendomi della scrittura e di esercizi al buio aiuto icorsisti a sviluppare la percezione e l’ascolto del corpo edegli spazi attraverso tutti e cinque i nostri sensi. Il grupporiesce a mettersi in contatto con una parte profonda di sée attraverso la scrittura e lo sfogo delle emozioni cerca dievadere dalla cristallizzazione della realtà.

Gli esercizi al buio servono per far entrare le personein una dimensione altra da sé, facendo loro rivivere an-che dei retroscena emotivi della fanciullezza che li aiutanoa spaziare con l’immaginazione. Quotidianamente vivo-no in uno stato d’infantilizzazione: modalità tipica delleorganizzazioni totali che puntano al controllo dei sogget-ti mettendo in atto pratiche che allontanano i carceratidalla loro volontà e formazione ma soprattutto vengonoallontanati dalla loro fantasia.

I detenuti privati della loro identità e del senso di re-sponsabilità regrediscono, tornando ad essere bambini:

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Prefazione

non nel senso della spensieratezza, bensì dell’autonomia.Ecco perché mi concentro anche su attività che sfiora-no il loro “sé fanciullo”. Ad esempio, per ogni bisognoe o richiesta devono chiedere il permesso attraverso una“domandina” che verrà presa in considerazione e valutatafavorevolmente o meno.

Molti svolgono tutti gli esercizi che io propongo senzafarsi troppe domande: sono abituati a fare o non fare ciòche altri decidono per loro. Il bambino nell’“ordine” trovauna guida, il detenuto trova invece una regola.

Il bambino obbedisce agli adulti e svolge quello che glidicono di fare. Lo fa senza pensarci troppo anche se i gesti,le attività risuonano dentro di lui. Al termine rimane insilenzio ma dopo un po’ di settimane se ne esce a raccon-tarti come avrebbe potuto collegare l’attività fatta giorniprima a quello che stava facendo ora.

Come un bambino anche il detenuto, se invogliato, svol-ge la proposta, ma il rimando te lo dà nel lungo periodo.Non subito. Deve far decantare l’esperienza, ripescandolamagari dopo alcune settimane.

Mahmoud era sempre molto divertito dagli esercizi cheproponevo ma dietro gli scherzi e le battute, c’era la vogliadi esperire, di ascoltarsi, di mettersi in gioco. Ricordo cheun giorno fu lui a proporre una variante su un esercizio albuio per vedere cosa poteva accadere provandolo in modidifferenti.

Durante il nostro ultimo incontro mi colpirono le sueparole. Mi raccontò di aver fatto la “domandina” per avereun computer in cella così da poter scrivere meglio e piùvelocemente. Successivamente mi disse: “ora ho voglia discrivere qualcos’altro... Basta scrivere di me e del carcere.Ho voglia di leggere e di inventarmi storie”.

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Prefazione

Non vi nego la mia felicità nel sentirlo dire ciò. Mah-moud ha voglia di scrivere, non solo di sé. Mahmoud havoglia di raccontare “storie”: le metafore più significativedella nostra vita. Ha voglia di crearsi nuovi spazi. Spazioche può essere: incerto, vuoto, fluido, pieno “di presenze,di forze, di campi e domini diversi. Se lo percorro, possosentirne le differenze di densità, il passaggio da un campodi forze ad un altro” (La Cecla, , p. ).

Spazio al quale noi forse non diamo più il giusto valorema che per un detenuto è di fondamentale importanza.

Bell hooks è stata tra le più incisive nel mettere in luce comela marginalità sia a volte qualcosa di più di un semplice luogodi privazione: sia cioè “un luogo di radicale possibilità, unospazio di resistenza [...] un luogo capace di offrirci la possibilitàdi una prospettiva radicale da cui guardare, creare, immaginarealternative e nuovi mondi” (bell hooks, , pp. –).

Il nostro autore necessita di dipingere un tempo per luisempre uguale e di evadere da un luogo privo di stimoli.

Alle volte mi basta uno scorcio che s’apre nel bel mezzo d’unpaesaggio incongruo, un affiorare di luci nella nebbia, il dialo-go di due passanti che s’incontrano nel viavai, per pensare chepartendo di lì metterò assieme pezzo a pezzo la città perfetta,fatta di frammenti mescolati col resto, d’istanti separati da in-tervalli, di segnali che uno manda e non sa chi li raccoglie. Seti dico che la città cui tende il mio viaggio è discontinua nellospazio e nel tempo, ora più rada ora più densa, tu non devicredere che si possa smettere di cercarla (Calvino , p. ).

. Bell hooks è uno pseudonimo ricavato per via matriarcale dallascrittrice Gloria Jean Watkins unendo il secondo nome della madre (RosaBell Watkins) con il cognome della nonna materna (Bell Blair Hooks). Talepseudonimo è volutamente scritto in minuscolo dall’autrice per sottolineareuna concezione d’individuo sempre in progress, mai definibile con un nome.

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Prefazione

Per chi studia o lavora il tempo si dilata in maniera di-versa rispetto a chi passa le sue giornate a fissare il vuoto.Un vuoto zuppo di rabbia, noia, apatia e incorniciato dalrumore delle chiavi che aprono i cancelli. Ma cos’è il tem-po per chi è recluso? Cosa aspetta e per quanto? Al DuePalazzi l’orologio che si trova nel reparto in cui si svolgonoi corsi è fermo e ti fissa beffardo, come se volesse dirti chedentro quelle mura il tempo non esiste o, al contrario, cheè così denso e angosciante da non aver bisogno d’esserescandito.

Il tempo è un’entità immateriale, sfuggente, una forzada prendere e da sfidare; può divenire nostro complice o ilnostro nemico. In ogni caso sovrasta inesorabile le nostreesistenze.

Al tempo molto spesso affianchiamo il concetto dispazio, importante per le relazioni umane.

È importante per un individuo avere il proprio “spaziovitale” e i propri “spazi comuni”. Parliamo di confini, dimargini, per evocare spazio, vicinanza, distanza e mobilità.Ci si focalizza su come “l’azione reciproca tra gli uominiviene sentita [...] anche come riempimento dello spazio”(Simmel, , p. ).

Attraverso l’esperienza, lo spazio è intriso di significato,di senso, di memoria. Alcuni spazi vissuti ci calzano bene,altri ci stanno stretti, altri troppo larghi; alcuni danno unsenso di vertigine, altri di claustrofobia. Gli spazi, come isogni, sono costruiti di desideri e di paure (Calvino, ).

Il rapporto tra detenuto e spazio/tempo all’internodel carcere è un’interazione complessa e difficile che noncambia nel tempo, può solo peggiorare.

Un’interazione dove le modalità percettive, la memoria,la cultura vengono alterate.

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Prefazione

Tra la fine degli anni ’ e la fine degli anni ’ nasconoin Italia un centinaio di carceri tutte con celle singole:monolocali con servizi inclusi in mq. Negli anni i postisono raddoppiati: due posti per cella, , mq a detenuto.

In molti istituti ci sono già tre detenuti per ogni cella, leattrezzature però (cucine, docce, scuole, spazi dedicati adattività lavorative) che allora erano state calcolate per persone, ad esempio, oggi devono fornire un servizio peril doppio o anche il triplo delle loro possibilità.

Dividere quei metri quadrati per tre significa che, peresempio, può stare in piedi una sola persona alla volta.Significa che il già limitato spazio vitale di una persona sideve ulteriormente ridurre di un terzo. Significa che inuna cella nasceranno più conflitti, perché sappiamo tuttiquanto sia difficile far ragionare tre teste chiuse insiemein spazi ristretti.

Avere un proprio spazio fisico dà la possibilità di avereanche un proprio spazio mentale. Se però lo spazio fisicomanca, se si è ammassati, diviene molto difficile trovareun luogo dove mantenere un equilibrio, dove riflettere suquello che si è fatto nella vita. Tutti gli esseri umani hannoun momento in cui ripensano a quello che hanno vissutodurante il giorno e, molto spesso, quel momento coincidecon il tempo in cui si rimane soli. Ma quasi nessuno è ingrado di ritrovarsi solo con se stesso, di concentrarsi su sestesso e su quello che vive, stando in mezzo alla folla.

Lo scopo dei miei corsi è quello di far sentire i dete-nuti liberi malgrado la non–libertà, almeno per quantoriguarda l’espressione emotiva, scritta e non. Inizialmenteessi tendono alla dilatazione dello spazio–tempo e ad un’e-secuzione limitata degli esercizi, proprio perché devonoreimparare ad organizzarsi a partire da sé stessi.

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Prefazione

Quando si dà loro un buon margine decisionale, ciò cheemerge sono smarrimento, tensione e voglia di giocare.

Anche quando provano ad evadere attraverso la creativi-tà rimangono comunque ingabbiati, perché sono così abi-tuati alla loro routine e alla sottomissione da non riuscirea riprendersi una parte d’identità.

È difficile ridipingere i contatti con la fantasia e moltidi loro raccontano solo delle loro esperienze in carcereo del loro malessere; per questo sono felice del percorsofatto con Mahmoud. Percorso che ha visto protagonistianche altri detenuti in quanto la scrittura, anche terminatoil corso, continua a far parte della loro giornata.

Il carcere dovrebbe essere solo un luogo di transito nelquale ci si prepara per rientrare nella società ma non è cosìper tutti.

Non tutti potranno rivedere la libertà e quindi eccoperché diviene così importante riprendere i contatti conl’immaginazione, dando vita a mondi possibili.

Mahmoud fortunatamente fra cinque–sei anni termine-rà la sua pena e potrà riabbracciare il mondo, consapevoleperò che non sarà un viaggio facile.

Il viaggio non è l’emozione di attimi pericolosiil viaggio è la gioia del tempopericolo è stare rinchiusidirezione casuale, non prevede sosta...Il viaggiatore viaggia soloe non lo fa per tornare contento,lui viaggia perché di mestiere ha scelto il mestiere di vento....Se impari la strada a memoria di certo non trovi granchése invece smarrisci la rottail mondo è lì tutto per te

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Prefazione

Paese significa storia e storia significa linguaimpara la tua direzioneda gente che non ti somiglia

(Mercanti di liquore, )

Sulle spalle avrà una valigia di cartone, il fardello delleetichette di una società feroce e tanti passi sulle scarpestanche. Avrà comunque voglia di ripartire e la speranza ela fiducia emergono dalle sue parole che potrete leggerein queste pagine.

La narrazione del nostro autore s’interrompe ogni tantolasciando spazio ad alcune poesie scritte da altri detenutio da alcuni operatori. Versi per lui davvero importanti inquanto condensano parte del suo vissuto.

La poetessa Alda Merini ci offre, con le sue parole, un esempiodella possibilità di guardare al disagio come un’opportunitànonostante la mancanza di agio. Raccontando cosa significhiper lei essere una poetessa e di come questo si possa conciliarecon la vita quotidiana, afferma che la creazione poetica segue“l’energia dell’universo” raggiungendo solo coloro che sonodisposti ad accoglierla. Ciò significa che i poeti devono rima-nere in contatto con questa energia, “come dei parafulmini”,disponibili, ad aspettare e, ad esempio, non affannandosi nellepulizie di casa, a fare la pasta... D’altronde “le farfalle nonvanno spolverate [...] se gli togli la polvere non volano più”(Merini, ), vanno ammirate per ciò che riescono ad esseree a fare “con” la polvere addosso (Carraro, ).

Credo che alla base di tutto, in ogni circostanza, nellapersona vi sia una forza che ha una direzione fondamentalepositiva.

Più l’individuo è accettato profondamente ed è capito,più tende a far cadere le false facciate con cui affronta la

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Prefazione

vita per cominciare a muoversi in una direzione positiva,per migliorarsi, autoaffermarsi e socializzare.

In generale gli uomini assumono atteggiamenti di di-fesa e paura, si comportano in modo crudele, distruttivo,immaturo, regressivo, nocivo.

Ma la vita è un continuo fluire e non la si può affrontarecorrettamente partendo da posizioni rigide.

Ho notato che durante i miei corsi Mahmoud e glialtri ragazzi si sentono accolti e accettati e che dopo brevimomenti di perplessità rispetto alle mie proposte un po’particolari, cominciano ad abbassare le loro difese.

Il buio scioglie qualsiasi forma d’imbarazzo, facilita lasocializzazione e mette tutti sullo stesso piano. C’è chi neha paura e chi vi trova la serenità. Quando sono bendati tut-ti sono uguali: dal buio emerge una maggiore percezionedi se stessi, degli altri e dell’ambiente che ci circonda.

I cinque sensi infatti rappresentano il mezzo attraversoil quale l’essere umano ha la percezione del mondo, dellarealtà esterna ma anche della sua realtà interna, del suocorpo e per mezzo di essi può interagire con l’ambienteche lo circonda ed esprimere il proprio sé.

Fin dai tempi più remoti sono stati attribuiti ai cin-que sensi significati emozionali in grado di modulare lapercezione della realtà.

Noi non conosciamo il nostro corpo reale. A causa ditutte le tensioni accumulate e viventi nella nostra testa, inun mondo di concetti e idee, anche il corpo è diventatoun’idea, piuttosto che qualche cosa che vive e che sente.

La sua energia sotterranea è paralizzata dalle tensionineuromuscolari e può iniziare a manifestarsi solo in unascolto senza anticipazioni e senza scelta. Grazie a questoascolto che lascia emergere le sensazioni del corpo nonsiamo più complici delle reazioni.

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Prefazione

Mahmoud, attraverso il teatro, il corso di musica e aquello di scrittura, ha cominciato a mettersi in discussioneper cambiare.

In queste poche pagine troviamo un ragazzo che havoluto raccontarsi in maniera semplice, per condividere lesue sofferenze con la consapevolezza di esserne la causa.Mahmoud usa il suo italiano, senza intermediazioni. Cisono errori, il testo non sempre è scorrevole, ma si riesceugualmente a comprendere il messaggio, e comunque sipercepisce la forza emotiva delle parole.

Mahmoud più che scrivere dipinge. Le sue parole dise-gnano immagini, fotografie intrise di bianco e nero maanche di colore. Immagini che tratteggiano forme chesanno di terra, di sogno, di sangue e di smarrimento.

La sua penna vuole correre fuori dalla cornice ripetitivache è la sua vita, che come un lungo guinzaglio non lolascia libero di voltare pagina. Mahmoud da anni interpre-ta lo stesso copione. Ora vorrebbe entrare in una nuovacornice e dipingere una nuova tela. Cancellare il passato,ripartire da zero. Sogna un amore. Sicuro che da qualcheparte nel mondo lo troverà. Un amore che sarà il trampo-lino da cui tuffarsi a scrivere un nuovo capitolo della suavita.

Vita che ha sete di radicamento, radici e terra sana su cuicrescere perché: Un paese ci vuole, non fosse che per il gustodi andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapereche nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo,che anche quando non ci sei resta ad aspettarti (Pavese, ).

Ma chi e o cosa c’è oltre le sbarre ad aspettare il nostroautore?

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