Sabbia e cemento

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editoriale A distanza di pochi anni ci troviamo nuovamente a vivere l’esperienza devastante di un terremoto. Dopo L’Aquila, che ci ha così profondamente toccati anche come associazione, adesso l’Emilia. Il terremoto ci mette brutalmente di fronte a un dolore inevita- bile e senza rimedio, che arriva, ci sconvolge e dal quale non pos- siamo più tornare indietro. Ci sono eventi che scavano qualcosa di irreversibile nonostante il nostro desiderio di condividere, di uscire e far uscire dalla solitudine, di reagire alla mancanza di parole, allo stupore inorridito. Un terremoto ci richiede prepo- tentemente l’impegno tenace alla ricostruzione. Lo dobbiamo ai morti, ai feriti, a chi si è trovato la vita e gli affetti travolti e devastati. Tuttavia non possiamo ricostruire con la cura dovuta se non facciamo spazio a un sapere che è quello di una fragilità che ci connota. Dobbiamo sapere, dirci e ripeterci che la terra dove abitiamo può tremare, improvvisamente, in maniera vio- lenta anche se spesso si è incaricata di farci arrivare degli avver- timenti. Non possiamo permetterci di continuare a far finta di non sentire. Dobbiamo imparare ad ascoltare questa terra che trema e che può mettere improvvisamente a dura prova le fon- damenta delle nostre case, dei nostri palazzi, delle nostre città. Anche in questi giorni vediamo quanto illusoria possa rivelarsi l’aspettativa di un ritorno rapido alla sicurezza dell’assenza di scosse che ci permetta di dire che è definitivamente passato e dobbiamo invece dolorosamente e con angoscia abituarci a convivere con uno sciame sismico che può durare anni e anni ancora dopo la devastazione. Ed è proprio sapere questa precarietà che può indicare il com- pito che deve starci più a cuore: non permettere più, gridando se occorre con tutta la forza, che si continui a mischiare, come abbiamo visto sgomenti a L’Aquila, sabbia di mare con cemento in ciò che edifichiamo. Sabbia e cemento di Simone Berti

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Di Simone Berti, Adozione e dintorni - GSD Informa maggio 2012

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A distanza di pochi anni ci troviamo nuovamente a vivere l’esperienza devastante di un terremoto. Dopo L’Aquila, che ci ha così profondamente toccati anche come associazione, adesso l’Emilia.Il terremoto ci mette brutalmente di fronte a un dolore inevita-bile e senza rimedio, che arriva, ci sconvolge e dal quale non pos-siamo più tornare indietro. Ci sono eventi che scavano qualcosa di irreversibile nonostante il nostro desiderio di condividere, di uscire e far uscire dalla solitudine, di reagire alla mancanza di parole, allo stupore inorridito. Un terremoto ci richiede prepo-tentemente l’impegno tenace alla ricostruzione. Lo dobbiamo ai morti, ai feriti, a chi si è trovato la vita e gli affetti travolti e devastati. Tuttavia non possiamo ricostruire con la cura dovuta se non facciamo spazio a un sapere che è quello di una fragilità che ci connota. Dobbiamo sapere, dirci e ripeterci che la terra dove abitiamo può tremare, improvvisamente, in maniera vio-lenta anche se spesso si è incaricata di farci arrivare degli avver-timenti. Non possiamo permetterci di continuare a far finta di non sentire. Dobbiamo imparare ad ascoltare questa terra che trema e che può mettere improvvisamente a dura prova le fon-damenta delle nostre case, dei nostri palazzi, delle nostre città. Anche in questi giorni vediamo quanto illusoria possa rivelarsi l’aspettativa di un ritorno rapido alla sicurezza dell’assenza di scosse che ci permetta di dire che è definitivamente passato e dobbiamo invece dolorosamente e con angoscia abituarci a convivere con uno sciame sismico che può durare anni e anni ancora dopo la devastazione. Ed è proprio sapere questa precarietà che può indicare il com-pito che deve starci più a cuore: non permettere più, gridando se occorre con tutta la forza, che si continui a mischiare, come abbiamo visto sgomenti a L’Aquila, sabbia di mare con cemento in ciò che edifichiamo.

Sabbia e cemento

di Simone Berti

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Mai più sabbia di mare nel cemento.

Anche l’esperienza dell’adozione ci mette in contatto con una ferita dalla quale non potremo tornare più indietro e con la quale occorre proseguire per prendercene cura. Non dimentichiamo, infatti, che siamo uomini e donne, padri, madri e figli feriti dalla vita e che abbiamo trovato con fatica la forza di andare avanti facendo spa-zio con il nostro dolore alle ferite che ci hanno portato coloro che ci sono diventati cari. Non abbiamo ferite da dimenticare, ma storie da ricostruire insieme. Abbiamo provato lungo il tragitto ad accogliere la fragilità e l’im-perfezione per poter guardare il male che ad un certo punto è ar-rivato nella vita dei nostri figli devastandone le sicurezze e i punti di ancoraggio. Ci siamo imbattuti più volte nell’ostinato rifiuto di qualsiasi tipo di fragilità e conosciuto quanto possa far male un modello di integrità a cui la nostra società ci invita a conformarci

© diana giallonardo

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additando come colpa, nel nome di un controllo che promette assoluto, ogni occasione in cui possiamo trovarci a inciampare, zoppicare, restare indietro o cadere.

Sì, abbiamo imparato a fare posto ai nostri limiti.

Abbiamo dovuto con fatica inventarci come mettere a frutto le nostre ferite e apprendere quanta cura ci voglia nel ricostruire e nel tentare di riedificare dove qualcosa è crollato. Anche le relazioni e gli affetti nei quali abitiamo possono essere messi a dura prova e di fronte alle criticità non possiamo permetterci di far finta di non sentire. Dobbiamo imparare ad ascoltarci e a volte abituarci a convivere con le scosse che ogni relazione e le-game in fin dei conti producono. Siamo precari anche nei nostri affetti e sappiamo gli effetti della devastazione di precedenti incurie nella vita di chi ci sta più a cuore.

E allora dobbiamo chiederci:

Quanta sabbia di mare c’è nella costruzione dei nostri legami, nei rapporti che intrecciamo con noi stessi e con gli altri?

Quanta sabbia di mare usiamo nella bramosia di accorciare i tempi e di investire al minimo sulle relazioni e gli affetti che costruiamo?

Quanta sabbia di mare nelle nostre leggi, negli interventi sociali?

Quanta perché costa meno, e quanta perché ci accontentiamo di una tenuta apparente?

Quanta nella prevenzione delle situazioni a rischio, nelle rela-zioni da cui vengono i nostri figli?

Per questo non dobbiamo dimenticare di ricordare, rivolgerci indietro agli effetti devastanti dell’incuria per pretendere che quegli effetti non li debba subire più nessuno.Dobbiamo aver cura della fragilità di fondo nella quale vivia-mo, della precarietà inevitabile che alimentiamo quando vo-gliamo soltanto nasconderla.

Ebbene sì dobbiamo ripetere con forza

mai più sabbia di mare in mezzo al cemento.

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