S P E C I A L E R E S I S T E N Z A - Storia Storie Pordenone | Il … · spagnola, comandante di...

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Testimonianze orali: Perelli e Mantovani, partigiani a Milano Memoria storica Ricordo di Ilio Baroni Documenti inediti: Confino ed esilio, appunti di Ugo Fedeli Storia per immagini: Silvano Fedi e la brigata Franca Libertaria Tesi e ricerche: Il contributo anarchico nel cuneese Documenti rari: Le brigate libertarie «Bruzzi-Malatesta» S P E C I A L E R E S I S T E N Z A 5

Transcript of S P E C I A L E R E S I S T E N Z A - Storia Storie Pordenone | Il … · spagnola, comandante di...

Testimonianzeorali:Perelli e Mantovani,partigiani a Milano

Memoria storicaRicordo di Ilio Baroni

Documenti inediti:Confino ed esilio,appunti di Ugo Fedeli

Storia per immagini:Silvano Fedi e la brigataFranca Libertaria

Tesi e ricerche:Il contributo anarchiconel cuneese

Documenti rari:Le brigate libertarie«Bruzzi-Malatesta»

S P E C I A L E R E S I S T E N Z A 5

Cose nostreAttilio Bortolotti;L’ignoto sovversivo ha un nome;Associazione annua;Clément Duval;Convegno ResistenzaVideo sulla Resistenzaanarchica;Lavallier;Bollettino n.1

Memoria storicaDOCUMENTI INEDITI:• Antifascismo anarchicodi Ugo Fedeli

Storia per immaginiMOSTRA:Le tappe della vita di SilvanoFedidi Renzo Corsini

AppuntamentiLa cultura libertaria

Memoria storicaDOCUMENTI RARI:Le Brigate libertarieBruzzi-Malatesta;

SCHEDE:Brevi biografie partigiane

Memoria storicaTESTIMONIANZE ORALI:Partigiani a Milanoa cura di Dino Taddei;Il «Moro» delle Ferrierea cura di Tobia Imperato;

Tesi e ricerche:Anarchici nella Resistenzacuneesedi Antonio Lombardo

Album di famigliaRobert Capa

Mutuo soccorsoEfferatezze

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Hanno collaborato a questo numero, oltre agli autori delle varie schede informative, Furio Biagini, Ornella Buti, Rossella DiLeo, Tobia Imperato e Dino Taddei per la redazione testi, Fabrizio Villa per la redazione grafica.

Foto 1a di copertina: Ernesto Mora, nome di battaglia «Sestri», formazione Coduri, inverno 1944, entroterra ligure.Foto 4a di copertina: monumento a Emilio Canzi (nome di battaglia «Ezio Franchi»), combattente della guerra civile

spagnola, comandante di Divisione nell’appennino emiliano, morto in circostanze sospette il 17.11.1945 investito da unautomezzo dell’esercito anglo-americano.

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ome preannunciato sullo scorso numero, questo bollet-tino è completamente dedicato alla Resistenza: la lotta partigiana del1943-45, certo, ma anche la resistenza più oscura e anonima che glianarchici hanno opposto al fascismo per tutto il ventennio. Si parladunque di brigate libertarie e di azioni armate, ma anche di confino edi«fuoriuscitismo», come il regime definiva la diaspora politica cheportò all’emigrazione forzata di migliaia di militanti. In realtà glieventi, i personaggi famosi o minori che hanno segnato l’epoca sonotalmente numerosi che siamo ben lungi dal dare un quadro minima-mente complessivo del periodo considerato. E tuttavia abbiamo cer-cato di dare, attraverso alcune storie esemplari, uno spaccato di que-sto ventennio, che pur nella grande diversità di esperienze individua-li, consente di rintracciare alcuni percorsi biografici del tutto simili:la furiosa opposizione al regime nascente, le conseguenti rappresa-glie, l’emigrazione verso l’estero, l’esperienza del confino e del car-cere, e nel ’36 il grande sogno della rivoluzione sociale che fa accor-rere in Spagna migliaia di anarchici (e di antifascisti) nelle colonneinternazionali… La stessa speranza e la stessa determinazionerinascono in Italia sette anni dopo, quando il regime crolla. Di nuovole storie parallele di tanti anarchici riprendono a correre nella stessadirezione: le prime riunioni clandestine, le prime bande… Il movi-mento si ricompatta e l’esperienza della guerra civile spagnola serveagli anarchici italiani per avere quel minimo di competenze necessa-rie per le azioni di guerriglia proprie alla lotta partigiana. Gli anar-chici che partecipano alla Resistenza sono infatti per la maggior par-te la stessa generazione che si è opposta al fascismo già all’inizio de-gli anni ’20. E questo spiega la difficoltà incontrata in una ricercainiziata ahimé troppo tardi: molta della memoria storica che riguardaquesto periodo se n’è andata con quella generazione di anarchicimorti tra il 1960 e il 1980. Eppure dalle poche testimonianze, scritteed orali, che abbiamo raccolto esce chiara una passione comune cheha spinto questi uomini e queste donne - invisibili, come sempre, maben presenti ed essenziali - a prendere le armi, a rischiare (e spessoperdere) la vita per quello che non era solo un aspetto tattico dellaseconda guerra mondiale o la fase finale di una guerra civile iniziatanel 1920: per tutti loro la posta in gioco era ancora una volta la rivo-luzione sociale».

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malata morirà poco dopo.Nel dopoguerra, raggiun-to un relativo benesseregrazie all’invenzione ealla messa in produzionedi una macchina per il la-voro edile, la sua genero-sità diventa leggendarianel movimento anarchicointernazionale, che Attilioaiuta senza badare alla di-versità di tendenze. E lasua solidarietà concretaandrà ben oltre l’impegnopolitico, aiutando anche alivello personale molticompagni in difficoltà, se-condo una concezione dimovimento comunitarioda lui fortemente sentita.Né la sua solidarietà si èlimitata ai soli anarchici.Durante la guerra delVietnam, Attilio ha datorifugio a diversi renitentialla leva americani, checercavano scampo in Ca-nada, e parimenti ha sem-pre aiutato gli immigraticlandestini che dal TerzoMondo raggiungevano ilCanada senza documenti,senza soldi e con pochesperanze. Una pratica disolidarietà cominciata de-cenni prima, durante laGrande Depressione ame-ricana, quando - sebbenepovero in canna - la suaingegnosità gli aveva per-messo di costruire alam-bicchi per la distillazione

AttilioBortolotti

Attilio è morto a Toronto,in Canada, dove abitavaormai da sessant’anni, loscorso 11 febbraio. A lui -e alla sua compagna Libe-ra - il Centro studi liberta-ri/Archivio Pinelli devemolto, e non solo per ilconsistente aiuto finanzia-rio avuto nel corso dei de-cenni, ma ancor più per ilsuo esempio di anarchi-smo appassionato e mili-tante.Nato il 19 settembre del1903 a Codroipo, inFriuli, quindicesimo di di-ciotto figli, Attilio fa intempo a conoscere leatrocità della prima guer-ra mondiale, da cui matu-rerà un acceso antimilita-rismo. Emigrato in Ame-rica nel 1920, subito par-tecipa alle agitazioni perSacco e Vanzetti. Arresta-to nel 1929 a Detroit peraver distribuito dei volan-tini, viene condannatoalla deportazione in Italia,ma riesce a dileguarsi eripara a Toronto. Quipubblica il giornale «IlLibertario» dal 1933 al1935.Nel 1934 conosce EmmaGoldman, con cui stringe

una fortissima amicizia. Equando nel 1939 vienenuovamente arrestato eminacciato di deportazio-ne, in seguito alla sua atti-vità a favore della rivolu-zione spagnola, laGoldman organizza unagrossa campagna per lasua liberazione che rag-giungerà l’obiettivo. Saràappunto questa l’ultimabattaglia condotta dallaGoldman che gravemente

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della grappa: erano i tem-pi del proibizionismo enonostante i rischi corsiAttilio produceva gratui-tamente la grappa, la-sciandola poi a disposi-zione dei lavoratori immi-grati nella sua stanza inaffitto mai chiusa a chia-ve. Una piccola bettolaclandestina e senza scopodi lucro che, sebbenemolto conosciuta nelquartiere, non venne maidenunciata.Il ricordo di questoAttilio indomito e solida-le, intransigente e genero-so è uno di quei patrimoniche con più cura conser-veremo nel nostro archi-vio.

L‘ignotosovversivoha un nome

Ricordate la foto del-l’ignoto anarchico pub-blicata sullo scorso nu-mero del bollettino? Eb-bene il mistero è sciolto:con una tirata d’orecchieClaudio Venza (Trieste)ci segnala che l’ignoto al-tri non è che SanteCaserio e ce ne fornisceuna breve biografia.

Lione, dove sa che il pre-sidente francese SadiCarnot visiterà l’Esposi-zione Universale. La serasuccessiva, avvicinandosicome per consegnare unapetizione alla carrozzapresidenziale, feriscemortalmente Carnot, pu-gnalandolo al grido di«Viva la rivoluzione,viva l’anarchia».Subito arrestato viene te-nuto fino al processo conle braccia legate al corpoda cinghie di pelle. Agliinterrogatori dichiara diaver deciso di attentare aCarnot dopo che era statanegata la grazia aEdouard Vaillant, respon-sabile di un attentato di-namitardo senza vittimealla Camera dei Deputati.Durante il processo, nel-l’agosto dello stessoanno, Caserio rifiuta difare i nomi dei complici(con la famosa frase poicantata nella canzone asuo nome: «Caserio fa ilfornaio e non la spia») erifiuta anche la scappato-ia proposta dal suo avvo-cato di attribuire l’atto aduna infermità mentaleereditaria. Consegna allacorte un proprio memo-riale, che una volta lettoviene distrutto. Vieneghigliottinato ventunenneil 16 agosto 1894.

Caserio nasce l’8 dicem-bre 1873 a Motta Viscon-ti, in Lombardia. Il padre,barcaiolo, trascorre lun-ghi periodi al manicomiodi Mombello per «demen-za incompleta consecuti-va a pellagra» e muoreancora giovane lasciandola famiglia in miseria.Caserio va a lavorare aMilano e qui diventa for-naio. Ben presto aderisceall’anarchismo andandoincontro ad una lunga se-rie di arresti e condanne.Ma viene sempre rilascia-to grazie all’assistenza le-gale fornitagli gratuita-mente da Pietro Gori. Nel1893 emigra clandestina-mente in Svizzera e dopopoco si trasferisce inFrancia.Il 23 giugno 1894 si li-cenzia dal forno in cui la-vora e parte alla volta di

4Informazionibibliografiche:Ronald Creagh,utopia made in USA

Memoria storica:Rudolf Rocker nel ricordodi Valerio Isca

Storia per immagini:«Come eravamo»,anarchici a Carrara

Immaginazionecontro il potere:Frank Zappa,lo «zio anarchico»

Informazionibibliografiche:Resistenza anarchica,la storia cancellata

Anarchivi:70 anni di storia e di lottaa Buenos Aires

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diritto a ribellarsi, il dirit-to ad espropriare i ricchi afavore della propria cau-sa, Duval viene condan-nato all’ergastolo e invia-to ai lavori forzati inGuyana. Vi rimarrà perquattordici anni, cercandosempre di restare fedele epraticare, nonostante lecondizioni improbe, i suoiprincìpi anarchici. Al di-ciottesimo tentativo difuga riesce a lasciare ilbagno e la Guyana e ripa-ra, dopo molte peripezie,a New York, dove verràaccolto dagli anarchiciitaliani colà emigrati.

Qui Duval scrivele sue memo-rie, che LuigiGalleanitraduce initaliano, ar-ricchendoliberamen-te il testo.Di questaversione,

pubblica-ta

Associazioneannua

Per sostenere le attività diricerca del centro studi edi conservazione della bi-blioteca/emeroteca si in-vitano tutti coloro chesono interessati a questolavoro a versare la quotaannua d’associazione peril 1995. Per l’anno in cor-so la quota ordinaria, chedà diritto a ricevere gra-tuitamente il bollettino, èdi 30.000 lire, la quotasostenitrice di 60.000 liree la quota straordinaria di100.000. A chi versa uncontributo sostenitoreverrà inviata in omaggiola videocassetta Gli anar-chici nella Resistenza (siveda scheda di presenta-zione in questa stessa se-zione). A chi versa uncontributo straordinarioverrà inviata in omaggiouna copia delle Memorieautobiografiche di Cle-mente Duval (edizionedella Biblioteca Adunatadei Refrattari, New York,1930, pp.1.047; si veda lascheda di presentazionequi di seguito). I versa-menti vanno fatti sul con-to corrente n. 14039200intestato a Centro studi li-bertari, Milano.

ClémentDuval

Per più di un secolo deci-ne di migliaia di detenutivengono condannati inFrancia a quella che è sta-ta definita la «ghigliottinasecca», ovvero la deporta-zione nei bagni penalidella Guyana, in Americalatina. Pochissimi sonostati i prigionieri che sonosopravvissuti ai bagni eancor più rari sono quelliche hanno raccontato laloro vita in quell’inferno.Tra questi un anar-chico: ClémentDuval(1850-1935). Nel1887, dopoaver riven-dicato da-vanti allaCorted’Assiseil

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Storia dell’Università diTrieste, è autore di nume-rose pubblicazioni, tracui Umberto Tommasini:l’anarchico triestino[Antistato, 1984], ed èdirettore della rivista«Spagna contemporanea»

Giorgio Sacchetti, 25luglio-8 settembre:Renicci d’Anghiari, uncampo di concentra-mento badoglianodirettore della «Rivistastorica dell’anarchismo»,ha pubblicato, tra l’altro,Otello Gaggi: vittima delfascismo e dello stalini-smo [BSF, 1992].

• I L IBERTARI NELLE BRI-GATE MATTEOTTI

Cesare Bermani, Le bri-gate «Bruzzi-

dall’Adunata dei Refratta-ri nel 1931, ne esistonoancora alcuni esemplariche sono ora disponibili.Sessant’anni dopo,Marianne Enckell, re-sponsabile del CIRA diLausanne, ha recuperato ecurato le memorie origi-nali di Duval, pubblican-dole poi nel 1991 (LesEditions Ouvrières, Pari-gi) con il titolo Moi,Clément Duval, baignardet anarchiste (per richie-ste: CIRA, Beaumont 24,CH - 1012 Lausanne).

ConvegnoResistenza

L’8 aprile 1995 si è tenu-to a Milano il convegno«Le brigate Matteotti‘Bruzzi-Malatesta’ e ilcontributo degli anarchicie dei libertarialla Resistenza (1943-1945)», organizzato dallaFondazione AnnaKuliscioff in collabora-zione con il Centro studilibertari/Archivio Pinelli.Qui di seguito segnalia-mo l’elenco dei relatoricon una breve scheda dipresentazione.

• INTRODUZIONE

Nico Berti, Fascismo,antifascismo, anarchi-smodocente di Storia contem-poranea all’Università diPadova, ha scritto, tral’altro, FrancescoSaverio Merlino: dal-l’anarchismo socialistaal socialismo liberale[Angeli, 1993] e Un’ideaesagerata di libertà, in-troduzione al pensieroanarchico [Elèuthera,1994].

• LE PREMESSE

Claudio Venza, Dopo laSpagna: resistenza sì,resistenza nodocente di Storia dellaSpagna contemporaneapresso il Dipartimento di

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Malatesta» a Milanotra i promotori dell’Isti-tuto Ernesto de Martino,oltre ad essere curatoredegli scritti di GianniBosio è autore di nume-rose pubblicazioni tra cuiPagine di guerriglia [Sa-pere, 1971] e Il “rosso li-bero”, CorradoBonfantini organizzatoredelle Brigate “Matteotti”[Fondazione A.Kuliscioff, 1995].

Marcello Zane, Le«Bruzzi-Malatesta» nel-le valli del Brescianostorico, collabora con laFondazione Micheletti diBrescia.

• IL CONTESTO NAZIONALE

Augusta Molinari, Anar-chici e Resistenza in Li-guria: un contributo peruna storia che non c’èdocente di Storia contem-poranea presso il Diparti-mento di Storia moderna econtemporanea dell’uni-versità di Genova, ha pub-blicato tra l’altro Le navidi Lazzaro [Angeli, 1989].

Lorenzo Pezzica, Le for-mazioni libertarie nellaResistenza apuanalaureato in Storia delledottrine politiche all’uni-versità degli Studi di Mila-

no, collabora con l’Istitutobergamasco per la storiadella Resistenza e con leriviste «Studi e ricerche distoria contemporanea» e«Rivista storica dell’anar-chismo».

Marco Puppini, Anarchicie Resistenza nella monta-gna friulanaricercatore presso l’Istitutoregionale di storia del mo-vimento di liberazionenel Friuli Venezia Giulia,ha pubblicato In Spagnaper la libertà: antifascistifriulani, giuliani e istrianinella guerra civile spa-gnola.

Furio Biagini, Un liberta-rio tra storia e leggenda:Silvano Fedicollabora con la Fondazio-ne A. Kuliscioff di Milanoed ha scritto varie pubbli-cazioni tra cui «Il Risve-glio» 1900-1922: storia diun giornale anarchico[Lacaita, 1991].

• E POI...

Franco Bertolucci, Quelliche non si sono fermati il25 aprileanimatore della BibliotecaFranco Serantini di Pisa,ha pubblicato, tra l’altro,Anarchismo e lotte socialia Pisa: dall’Internaziona-

le alla Camera del Lavoro[BSF, Pisa].

Video sullaResistenzaanarchica

Dalla ricerca storica sullaResistenza anarchica ènato un documentario vi-deo, curato dalla Oriz-zonti Ricerche Audiovisi-ve di Roma, che è statopresentato per la primavolta all’incontro che si ètenuto a Milano l’8 aprilescorso. Il video, che partedagli Arditi del Popolo earriva al dopoguerra, pas-sando per il confino,l’emigrazione, la guerradi Spagna e gli attentati aMussolini, raccoglie siaimmagini di repertorio(come un comizio diErrico Malatesta aSavona nel 1920 o l’en-trata dei partigiani a Mi-lano nell’aprile 1945), siatestimonianze originali divari partigiani anarchiciattivi in formazioni liber-tarie, o in bande autono-me, o in formazioni orga-nizzate da altri partiti emovimenti politici. Cosìper la zona di Imola sono

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state raccolte le testimo-nianze di Cesare Fuochi,Spartaco Borghi e An-drea Gaddoni; per il pi-stoiese quella di MinosGori; per la zona delleApuane quelle di CarloVenturotti, GraziellaTenerani e UgoMazzucchelli; per laValsesia quella di Giu-seppe Ruzza e infine perla Lombardia quelle diDante Di Gaetano, Alber-to Moroni, GianluigiBrignoli, MarilenaDossena e Giulio Polotti.La cassetta video (VHS,colore, 42') è ora disponi-bile al prezzo di 25.000lire, spese di spedizioneincluse. Per richieste su-periori alle 5 copie ilprezzo unitario è di20.000 lire a cassetta. Lerichieste vanno fatte tra-mite il c/c postalen.14039200 intestato alCentro Studi Libertari.

LavallièreSono nuovamente disponi-bili le classiche«lavallière», ovvero i fioc-chi neri che sono stati unsegno distintivo dei sov-versivi di fine secolo - del-lo scorso, naturalmente - edegli anarchici in partico-

1Informazionibibliografiche:Sacco e Vanzettiil movimento yiddish

Anarchivi:guida alle bibliotecheanarchiche italiane

Storia per immagini:Les Turpitudes socialesdi Camille Pissarro

Mostre:Arte e anarchiauna prima mappa

Memoria storica:i quaderni clandestinidi Vincenzo Toccafondo

La rete:gli archivi anarchicinel mondo

mente rivisto e reimpagina-to secondo la nuova impo-stazione grafica adottatasuccessivamente. Nel som-mario di questo primo nu-mero troviamo la presenta-zione aggiornata dei princi-pali archivi anarchici italia-ni e gli indirizzi degli ar-chivi anarchici internazio-nali. Poi informazioni bi-bliografiche concernenti ilmovimento anarchicoyiddish e il caso Sacco eVanzetti, oltre ad alcunetesi e ricerche sui primivent’anni della rivista «Vo-lontà», sull’ecologia socia-le di M. Bookchin e sulla«società anarchica futuratra utopia e realtà». E anco-ra, una presentazione deiquaderni clandestini scrittida Vincenzo Toccafondodurante il ventennio fasci-sta e una scheda sulleTurpitudini sociali diCamille Pissarro, che illu-strano il numero. Per finirec’è una nota di presentazio-ne del Centro studi liberta-ri/Archivio Pinelli, cheriassume gli intenti di unlavoro ormai quasi venten-nale, facendo una panora-mica delle attività svolte si-nora, ivi comprese le sche-de tecniche relative alle va-rie mostre fotografiche al-lestite nel corso degli anni.Il costo del bollettino è di7.000 lire.

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lare (si veda ad esempio, apag. 1', la lavalliere indos-sata da UmbertoTommasini nella foto scat-tata durante il confino).L’Archivio Pinelli le mettein vendita a 30.000 lire(spese di spedizione com-prese) ritagliandole su unoriginale che è anch’essoun piccolo pezzo di storia:la lavallière dell’anarchicomilanese Ettore Molinari.Le richieste vanno inoltra-te tramite il conto correntepostale intestato al Centrostudi libertari.

Bollettinon.1

È nuovamente disponibileil primo numero del bollet-tino, che è stato completa-

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DOCUMENTI INEDITI

Una resistenza lunga vent'annidi Ugo Fedeli

Tra le carte di Ugo Fedeli che la moglieClelia ha lasciato all’Archivio Pinelli c’èanche un consistente dattiloscritto che de-scrive l’azione anarchica durante il ven-tennio fascista. Questo dattiloscritto nonci risulta esser stato pubblicato in formadi libro, come suggerirebbe la divisione incapitoli, anche se non è escluso che unaparte di queste ricerche Fedeli le abbiapubblicate su vari periodici sotto forma diarticoli. Qui di seguito pubblichiamo al-cuni brani tratti da vari capitoli che cidanno uno spaccato delle attività anarchi-che del periodo: in primo luogo la vita alconfino, che coinvolge centinaia di mili-tanti; poi l’emigrazione forzata, che necoinvolge invece migliaia; e infine i tenta-tivi (tutti falliti) di attentare alla vita diMussolini. Dopo quelli di Anteo Zamboni,Gino Lucetti [vedi bollettinon.3] e Michele Schirru, Fedeliqui ci parla dell’ultimo tentati-vo: quello di AngeloSbardellotto.

Le mense[...] È nel 1928, dopo la fugadall’isola di Lipari di CarloRosselli, Emiliano Lussu e F.F.Nitti, che sciolte per i confinatipolitici le colonie poste in alcu-ne isole poco sorvegliabili, so-prattutto quella di Lipari, venne-ro attivate e potenziate quelledella isole di Ponza e di

Ventotene. I primi centocinquanta confi-nati che sbarcarono a Ponza dal piroscafoGaribaldi, provenienti da Lipari, portava-no, con i loro indumenti, anche le strutturedella loro organizzazione interna e, par-lando sempre ed in modo particolare deglianarchici, vi portavano le loro mense, laloro biblioteca abbastanza importante e laloro cooperativa. «A Ponza» scrive Massi-mo Salvadori nel suo libro Resistenza edAzione, «gli anarchici numericamente era-no il secondo gruppo tra i confinati. Nonavevano niente del tipo classico deilanciatori di bombe. Quasi tutti operai,erano sempre disposti ad aiutare chiunquene avesse bisogno, erano animati da unprofondo rispetto per coloro che non lapensavano come loro, eccettuati i comuni-sti ortodossi ai quali non perdonavano diaver distrutto nel 1918 il tentativo che tuttigli anarchici speravano allora venissecompiuto di trasformare l’intera nazionerussa in una libera federazione di libere

comunità di contadini ed operai.Venivano da tutte le parti d’Ita-lia: dalla Sicilia come da Milano,da Roma come da Livorno. Al-cuni si dicevano individualisti; lamaggior parte leggeva Kropotkine si diceva collettivista». [...]Quelli che erano stati preceden-temente al confino avevano mes-so su una piccola biblioteca di al-cune centinaia di volumi. I confi-nati ricevevano dal governo cin-

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socialista. In generale erano giovani co-munisti e giovani anarchici e questi appor-tavano, oltre che il loro ardore, anche nuo-ve caratteristiche, soprattutto nessun stra-scico delle vecchie polemiche interne cheavevano devastato ogni partito e tendenza.Gli anarchici, anche se molti mangiavanoisolati o in piccole mense, erano riuniti indue grandi mense. Una era chiamata del«convento nero», composta in maggioran-za da vecchi militanti, soprattutto romani,che provenivano da altre isole ed avevanoquasi tutti al loro attivo il raddoppio dellacondanna perché, finiti i primi cinqueanni, non essendosi ravveduti ne avevanoricevuto altri cinque. Vi era poi la mensadegli «acquatici», definita così perché inmensa non si distribuiva vino e la maggio-ranza non ne beveva. Questa era compostada qualche militante livornese, anche se ilnucleo centrale era formato da giovanianarchici deportati dall’Argentina edall’Uruguay, quali Grossuti, Barca, DeMarco, Barbetti, Bidoli (che era stato in-vece deportato dalla Spagna), e da un altrogruppo di giovani molto capaci e sinceri.Anche se non vi erano molti intellettualifra di loro, il tono delle discussioni e illoro comportamento, in generale, era sem-pre elevato. A questa mensa aveva aderitoanche Paolo Schicchi quando dal carcerevenne inviato al confino.[...]

Qualche agitazione tra i confinati[...] Benché i cameroni fossero guardatiinternamente ed esternamente, giorno enotte, da pattuglie di polizia e dalla miliziafascista, venne impartito l’ordine di tenerele porte dei cameroni aperte e le luci acce-se, proibendo ad uno di un camerone difrequentarne un altro. Con questo si vole-va soprattutto levare la possibilità di stu-

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que lire al giorno; alcuni mangiavano perconto loro; altri si erano organizzati inmense, a seconda delle loro tendenze poli-tiche. Si facevano due pasti al giorno,ognuno di un piatto solo, ma era sufficien-te. Nel casermone vi era un locale adibitoa spaccio cooperativo, in un altro un grup-po di anarchici aveva messo su un caffè icui proventi andavano alla biblioteca.Nel 1934, quando i primi confinati vi ave-vano già scontata la loro pena e alcunivennero rilasciati, il confino si andò popo-lando anche di molti giovani, qualcunocresciuto sotto il fascismo, altri deportatidall’estero; molti di questi non erano an-cora trentenni e non facevano parte dellaprima variopinta opposizione. Innanzi tut-to i popolari erano spariti: la chiesabenediva largamente i gagliardetti fascistie i cannoni; non vi era che qualche rarissi-mo liberale e repubblicano - ma questo so-prattutto perché facevano parte del movi-mento Giustizia e Libertà - e qualche raro

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diare. Era con gioia veramente sadica chequegli analfabeti volevano strappare aiconfinati anche quell’ultimo rifugio cheera lo studio, nel quale ognuno cercava diaffinare le proprie conoscenze, ma anchedi dimenticare la dura vita di disciplina edi soprusi. Se si ricevevano libri da partedi privati, venivano sequestrati. Se se nevolevano comprare, bisognava spiegarealla direzione o all’ufficio censura il per-ché; ed a volte un libro veniva autorizzatoo rifiutato a seconda che il richiedente fos-se un operaio o un contadino o un intellet-tuale. Per gli studi non si potevano tenerenote. Per poter scrivere era indispensabileavere un quaderno le cui pagine eranocontate, numerate e controllate una ad unadalla polizia, pagine che per nessuna ra-gione potevano essere strappate.La direzione faceva di tutto per far piom-bare nell’istupidimento o nella violenza ilconfinato, per disgregare gliaggruppamenti che nonostante tutte le re-strizioni si era riusciti a creare, lottandoper conservarli. Con queste sue misure ladirezione pensava di poter arrivare conmaggiore facilità a realizzare il tentativodi spezzare la resistenza di ognuno e dispingere i meno resistenti a cedere, ad ab-bandonare ogni velleità d’indipendenza dipensiero e di vita.Chiunque intendesse difendere il propriodiritto alla vita ed alla dignità d’uomo, eracostretto ad una continua, anche se sorda,lotta contro la direzione. La lotta era certa-mente impari e le varie agitazioni che siebbero al confino e che assunsero un fer-mo carattere di resistenza, non riuscironoche a dimostrare come fosse difficile farvalere un diritto o impedire un sopruso. Infavore dei confinati, oltre alla propria di-gnità e volontà, non vi era nulla. La stessa

legalità fascista non valeva nei loro con-fronti: il confinato era un nemico che an-dava spezzato, abbattuto, e tutto era validoe buono per arrivare a questo risultato.«Voi non siete qui per fare della villeggia-tura né per vivere tranquilli» ebbe a dire ildirettore Di Meo a qualche confinato chesi era recato da lui per protestare contro unsopruso più grande dei soliti, «siete quiper punizione e ci devono essere delle pu-nizioni». E concludeva ogni sua concione,da piccolo dittatore: «Del resto qui co-mando io e faccio quel che voglio». Dauna mentalità del genere si possono facil-mente dedurre i metodi che ne scaturiva-no.Anche i confinati però erano duri. Vi eradignità e fermezza, e contro la fermezzadei confinati, ministero e direzione batte-rono dei colpi feroci che costarono lunghimesi di carcere, così a Ponza nel 1933 enel 1935, così a Tremiti, quando ad esem-pio si tentò di imporre il saluto romanoobbligatorio e i confinati, in gran parteanarchici, preferirono andare in prigioneper un anno piuttosto che cedere. Fra ipartecipanti a questa agitazione ricordia-mo, fra i numerosi nomi, quelli di AlfonsoFailla e Santiago Barca.I fatti di Tremiti avvennero in seguito adun tentativo da parte delle autorità di spez-zare l’omogeneità e la resistenza dei con-finati. Essa pensò di separare una parte diconfinati di Ponza mandandoli all’isola diTremiti, dove si era trasformato quell’ari-do scoglio in una nuova colonia di confi-nati politici, e vi avviò un centinaio diconfinati, fra i più giovani che si trovava-no a Ponza. Appena giunto questo contin-gente, il direttore della colonia di Tremitiemise un’ordinanza che imponeva ai con-finati di salutare romanamente i «superio-

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ri» quando li si incontrava, di salutareromanamente quando si entrava in dire-zione, quando si rispondeva all’appello ein tutte le occasioni che comportavano unrapporto fra confinato e autorità. L’ordi-nanza creò subito uno stato di agitazione ela risposta dei confinati fu la sola possibi-le: il rifiuto. Avvennero nuovi arresti enuove condanne e quasi tutto il gruppopartito da Ponza andò a finire nelle carceridi Lucera. Gli arrestati all’isola di Tremitiper il rifiuto di salutare romanamente - frai protestanti numerosissimi erano gli anar-chici già recidivi al rifiuto - furono più dicento. Affrontarono la punizione e feceroun anno di carcere tenendo sempre duro, eil saluto fascista non venne più richiesto.La triste processione di confinatiprotestatari che da Tremiti sbarcavano aManfredonia per raggiungere incarrozzella, in littorina o a piedi, le carceridi Foggia, Lucera e San Severo colpiva lapopolazione e destava se non altro curiosi-tà richiamando l’attenzione pubblica suiconfinati. Furono le autorità a cedere. Ilgovernò comunicò che sarebbero rimasti

all’isola di Tremiti quanti avessero accet-tato di alzare il braccio. Gli altri, dopoaver scontata per la seconda volta la lorocondanna in carcere, sarebbero stati trasfe-riti a Ponza. […]Un’altra agitazione molto caratteristicache i confinati dovettero sostenere all’iso-la di Ponza nel 1932 è quella che culminònello sciopero della corrispondenza. I con-finati dovevano consegnare tutte le letteresenza chiuderle e quelle in arrivo eranoloro consegnate del pari aperte. Gli addettialla censura erano semplici poliziotti chenei casi speciali e dubbi sottoponevano ilcaso o la corrispondenza al vicedirettoredella colonia; ma erano tipi piuttosto igno-ranti e grossolani i quali si facevano unmerito a raccontare in paese tutti gli inte-ressi dei confinati e le loro cose più inti-me. In proposito avvennero casi di eviden-te intromissione in fatti personali che, inaltri momenti, avrebbero portato a seriprovvedimenti contro i responsabili. An-che i pacchi in arrivo erano esaminati concura e molti sequestrati.Ricordo un piccolo episodio personale cheriguarda mio figlio, il quale allora avevaforse quattro anni. Un’amica di famiglia,la governante della famiglia Bauer, arre-stata più volte anche lei per attivitàantifasciste, aveva inviato a mio figlio unpacchetto contenente due giocattoli e undolce. Il pacco venne aperto, come di nor-ma, in mia presenza, ma il contenuto ven-ne subito sequestrato perché l’indirizzodello speditore non era quello della miafamiglia. «Ecco» disse l’agente della cen-sura, «questi saranno un bel regalo per inostri balilla». Mio figlio, per ragioni chetutti capiranno, non poté mai avere un gio-cattolo.Oltre a tutte queste difficoltà la direzione,

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per ordine del ministero, emise una dispo-sizione che proibiva ai confinati di scrive-re se non agli strettissimi parenti. Si cercòdi ottenere un addolcimento di quelle nor-me restrittive, ma non si approdò a nulla.Si pensò allora di protestare in maniera ra-dicale: non scrivere più a nessuno. Cosìebbe inizio lo sciopero della corrisponden-za. Decidere di non scrivere più significa-va non rispondere, per nessuna ragione, néalle lettere né ai telegrammi che le fami-glie allarmate dal lungo ed inaspettato si-lenzio inviavano. Non ottenendo nessunarisposta né a lettere né a telegrammi, mol-te famiglie incominciarono a chiedere no-tizie, oltre che alla direzione della coloniaanche al ministero degli interni: era quelloche si voleva. La direzione cercò di farepressione e chiamava all’ufficio censuragli interessati per incitarli a rispondere al-meno alle lettere urgenti e ai telegrammi.Tutti si rifiutarono, cosicché in breve tem-po da parte dei familiari si elevò un verocoro di proteste da ogni parte d’Italia. Perassicurarsi che nessuno scrivesse, vennestabilito da parte di tutti i confinati, turnidi guardia per vigilare la cassetta della po-sta che si trovava all’ingresso deicameroni. Veniva fatto un turno di guardiadi un’ora a testa per non destare sospetti,appostati in un angolo o nell’altro, dadove si poteva tenere d’occhio chi siappressava alla cassetta. Nessuno scrive-va, ad eccezione fatta dei «manciuriani»,nonostante che la direzione, venuta a co-noscenza che si faceva la guardia alla cas-setta della posta, avesse fatto installareuna cassetta supplementare in un angolodei suoi uffici, fuori dalla possibilità disorveglianza dei confinati. Questa volta(ma poi venne ristretta ai soli strettissimiparenti) il ministero dovette cedere. Dopo

un mese di sciopero il direttore comunicòche il ministero, aderendo alle nostre ri-chieste, aveva stabilito che si potesse cor-rispondere con chi si voleva a condizioneperò di presentare una lista delle personecon le quali si volevano mantenere rela-zioni epistolari. Così, aggirando l’ostaco-lo, il ministero dette ordine alla polizia difare un’inchiesta sulle persone che aveva-no relazioni con i confinati, di chiamarlein questura e dimostrare loro che, a scansodi possibili disturbi, era meglio che ces-sassero ogni relazione con i confinati. Edogni volta che uno di questi corrisponden-ti, pur di avere un momento di pace, sotto-scriveva la dichiarazione impostagli dallaquestura, il confinato veniva chiamato al-l’ufficio censura dove gli si comunicavacon grande soddisfazione che questo oquel parente od amico si rifiutava di conti-nuare a corrispondere, quindi di non scri-vere più a quell’indirizzo.Una delle ultime agitazioni, certamenteuna delle più importanti ed estese sostenu-te dai confinati politici relegati all’isola diPonza, è quella avvenuta nel 1934, cheebbe una ripresa, forse più dura, nel 1935.Essa era diretta contro un’ennesima ordi-nanza della direzione e del ministero chefra l’altro proibiva ai confinati di avere ca-merette in paese, imponendo a chi le ave-va di lasciarle nel termine di dieci giorni;proibiva inoltre ai confinati di entrare nel-le abitazioni dei privati e dei confinati cheavevano casa e assegnava alla direzione lagestione delle mense. Era indubbiamenteun colpo grosso, forse quello che in unasola volta tentava di stroncare ogni possi-bilità ai confinati non solo di studiare, maanche di pulirsi e soprattutto conservareuna certa sensazione di possedere ancorauna vita propria. Soprattutto, questa ordi-

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nanza obbligava i confinati a passare leloro giornate a bighellonare nelle strade,quasi senza parlarsi perché non potevanoriunirsi in gruppi superiori a tre. L’agita-zione si svolse come al solito e sull’inizionessuno pensava al peggio che stava pervenire.«Il giorno in cui doveva andare in vigorel’odinanza ci riunimmo in un camerone»scrive Mario Magri nel suo libro di ricor-di, «per decidere il da farsi. Tolti i soliti‘manciuriani’, tutti i confinati erano d’ac-cordo che non si poteva accettaresupinamente una tale nuova vessazione;decidemmo quindi di inviare una commis-sione dal direttore e di non uscire dalcamerone per essere pronti a tutte le even-tualità. Il comando della milizia fece bloc-care il bagno penale e le camerette; pattu-glie armate si misero a perlustrare i corri-doi per cercare di intimidirci e di provo-carci. Noi restammo tutti ai nosti postisenza rispondere alle loro minacce ed ailoro insulti avendo ben compreso che cer-cavano di suscitare in ogni modo un inci-

dente per poter infierire su di noi». Daiconfinati fu nominata una commissioneche andasse a trattare colla direzione. Neilocali direzionali si erano riuniti anche tut-ti gli ufficiali della milizia, i maresciallidelle guardie di PS e dei carabinieri; i lo-cali erano completamente bloccati da unfolto gruppo di agenti e di militi fascisti.Dalle discussioni risultò subito che le coseavrebbero potuto trovare una soluzione ac-cettabile. Ma le discussioni andarono perle lunghe, forse più di due ore, e i confina-ti, ammassati nei cameroni, iniziarono adinnervosirsi e cominciò a circolare la voceche la protesta, per riuscire, doveva pren-dere forme più decise e che il meglio eradi consegnare le carte di permanenza efarsi arrestare. Così avvenne in parte.L’atto fu compiuto solo da un centinaio diconfinati, gli altri, la maggioranza volevariservare quest’arma, l’ultima, nel casoche la direzione non cedesse. Al ritorno, lacommissione andata a parlamentare con ladirezione affermava di aver ottenuto daldirettore l’impegno che avrebbe ritirato

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l’ordinanza a condizione che l’agitazionecessasse immediatamente. Vi fu un mo-mento di perplessità, poi molti degli stessiche avevano consegnato la carta di perma-nenza si accorsero di aver almeno precipi-tato le cose, se non proprio di avere fattoun passo falso. Una nuova commissionevenne mandata in direzione per vedere diaccomodare le cose. Dopo animato discor-rere, il direttore disse che i dimostranti po-tevano presentarsi in ufficio, riprendere ilibretti e che tutto sarebbe finito. La cosanon piacque a tutti e molti fra quelli cheavevano consegnato il libretto affermaro-no che non l’avrebbero ritirato ma «chedoveva essere la direzione a rimandarglie-lo». Fu nominata una nuova commissionequesta volta composta solo da due confi-nati fra quelli che avevano consegnato illibretto e mandata dal direttore. Mentreperò si svolgevano ancora tutte questetrattative, arrivava un telegramma dal mi-nistero, avvisato dal comando della mili-zia, che ordinava l’arresto di tutti quelliche avevano preso parte alla protesta con-segnando la carta di permanenza e deicomponenti delle varie commissioni.L’agitazione aveva ottenuto però i suoi ef-fetti perché la direzione non applicò l’or-dinanza anche se il direttore, ritenuto inca-pace dalla milizia, venne subito dopo tra-sferito. Passò qualche mese di relativa cal-ma quando, nel febbraio del 1935, la dire-zione confinaria di Ponza tornò a metterein vigore l’ordinanza ritirata nel 1934. Pri-ma di applicarla, forse per rendersi contodell’umore e della resistenza dei confinati,fissò un termine di dieci giorni. Nuoveproteste, ma questa volta irremovibilità daparte della direzione, allora tenuta dalcommissario di PS Coviello. Tutti i confi-nati erano convinti che bisognasse fare

qualcosa, ma non tutti erano d’accordosulle modalità della protesta. Quelli cheavevano consegnato i libretti nel 1934,pensando che allora il ritiro dell’ordinanzafosse dovuto alla loro azione, proponeva-no nuovamente lo stesso metodo. La dire-zione era ferma nell’applicare l’ordinanzache affermava gli era imposta dal ministe-ro, e i confinati nel non volerla accettare.Così, dopo lunghe discussioni fra i confi-nati, si addivenne, al fine che la protestariuscisse imponente e vi aderisse il mag-gior numero di confinati, che bisognavaconsegnare la carta di permanenza. Infatti,il giorno in cui l’ordine doveva andare invigore, i confinati, presentandosi all’ap-pello, consegnarono i loro libretti. Fu unaprotesta quasi plebiscitaria. Non vi parte-ciparono i «manciuriani» e i politici cheerano stati dispensati dai loro compagniperché incaricati di tenere in vita le inizia-tive che più a loro premevano come lemense, le biblioteche e gli spacci. Trecen-to circa furono i politici di Ponza che pre-sero parte all’agitazione e tutti furono ar-restati e inviati al carcere napoletano diPoggioreale. […]Ora, se le varie grandi agitazioni che sisvolsero al confino non servirono che a di-mostrare quanto fosse duro lottare controla direzione, d’altra parte risultò chiaro epreciso che la galera non era un mezzosufficiente a spezzare o anche solo a pie-gare la resistenza dei politici, né a spegne-re il loro ardore di lotta. Anzi, ogni violen-za ed ogni nuovo arresto suscitavano sem-pre più vivo e profondo il legame di soli-darietà che univa tutti ed un’acuta sensibi-lità portava tutti questi uomini obbligati avivere su uno scoglio, nonostante le diffe-renze di ideali e di metodi di lotta e diazione, gli uni a difendere gli altri perché

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così facendo ognuno sapeva di difendereanche se stesso e la propria dignità, il prin-cipio di libertà e di giustizia che li anima-va.[...]

Stillicidio[…] Se nei primi anni l’emigrazione poli-tica italiana poteva trovare in Francia unaparvenza di libertà che permise anche aglianarchici di continuare la lotta contro il fa-scismo, in seguito, per la continue pressio-ni esercitate dal governo fascista, anche inFrancia si incominciò ad arrestare e adespellere su larga scala. Chi era costretto alasciare la Francia cercava asilo nel Bel-gio, nel Lussemburgo e, quando proprionon ne poteva più, in qualche Paesed’oltreoceano. I rifugiati politici espulsi,soprattutto se erano anarchici, erano conti-nuamente sballottati da una frontiera al-

l’altra. Dalla Francia al Belgio, al Lussem-burgo, all’Olanda e viceversa, sempre sen-za documenti e nella impossibilità di tro-vare lavoro ed una qualsiasi sistemazione.I consolati erano stati trasformati in luoghidi polizia e in covi di spie e di agenti pro-vocatori, dai quali era bene poter restarelontani. Quando qualcuno spintovi dalladisperazione vi si rivolgeva per avere lecarte necessarie ad ottenere lavoro, nonsolo non era ricevuto, ma era quasi sempredenunciato alle autorità del luogo che sifacevano premura di arrestarlo ed espeller-lo. In tali condizioni, anche dopo il caso diModugno, si comprende come si andasse-ro ripetendo gli attentati contro i consolatie gli agenti consolari. Ai primi del novem-bre 1928, un militante anarchico, AngeloBartolomei, domandava al preteCavaradossi, che fungeva da viceconsole aJoeuf, il rinnovo del passaporto. Sapendo-lo antifascista, questo prete rispose chenon poteva concedergli nessun rinnovoperché risultava condannato in Italia a di-ciassette mesi di carcere e a 4.500 lire dimulta per alcuni articoli scritti contro ilgoverno. Ma aggiungeva che gli avrebbepotuto premettere il rinnovo solo a condi-zione che si mettesse in relazioneepistolare con alcuni antifascisti della re-gione, in Francia o in Belgio, incitandoli acommettere atti di terrorismo o diespropriazione. Gli individui compromessiavrebbero risposto al Bartolomei e le lette-re avrebbero dovuto essere consegnate alprete viceconsole che, a sua volta, leavrebbe trasmesse al console di Nancy. IlCavaradossi aggiungeva che, se ilBartolomei avesse accettato tali condizio-ni, avrebbe potuto avere il passaporto e lalibertà di rientrare in Italia. Era un vero eproprio incitamento alla provocazione ed

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un uomo che si sentiva ancora tale non po-teva che ribellarvisi.Alle insistenti proposte del Cavaradossi, ilBartolomei rispondeva con un colpo di pi-stola e veniva arrestato mentre cercava ditrovare riparo in Belgio. Ai giudici spiega-va poi in dettaglio come si erano svolte lecose: «Volendo approfondire lo scopo chesi proponeva il prete, finsi di accettare lecondizioni. Qualche giorno più tardi, cioèl’8 novembre, rividi di nuovo quel pretenella via e mi incitò a consegnargli i docu-menti richiestimi. Qualche giorno dopoqueste insistenze, l’idea di sopprimerlo sifece strada in me, preferendo divenire as-sassino piuttosto che traditore. Uscii e fuida un libraio. Mi procurai della carta dalettere e feci un pacchetto che legai condella cordicella rossa. Andai in un boscodove avevo nascosto delle armi, mi muniidi due revolver automatici. Così armato ri-tornai nell’ufficio del prete. Egli mi rac-contò subito che Gamberini, un altro anar-chico, era stato espulso dalla Francia e chealtri sessanta italiani di Joeuf e diHomécourt erano proposti per l’espulsio-ne, precisando che io figuravo in quella li-sta. Il prete insistette perché io abbando-nassi le mie opinioni e entrassi nei ranghifascisti. Quindi mi domandò i documentipromessi. Gli rimisi la carta che mi eroprocurata e nel medesimo tempo levai ilmio revolver e sparai tre colpi». Riuscito afuggire dalla Francia, verrà però arrestatoal varcare la frontiera del Belgio. Sottopo-sto a procedimento di estradizione, saràsalvato dalla vasta agitazione che tanto inFrancia che in Belgio avrà luogo.Quella dello spionaggio e della provoca-zione è sempre stata una delle malattie ca-ratteristiche del fascismo, così come delfascismo erano caratteristici quei consola-

ti. Un altro caso esemplare è quello del-l’operaio anarchico Gino D’Ascanio.Espulso dalla Francia perché anarchico, sirifugiò in Belgio da dove venne subitoespulso. Fu in Olanda e nel Lussemburgo,dove subì la stessa sorte. Senza documen-ti, le espulsioni avvenivano a catena. Ri-dotto alla disperazione, nel maggio del1930, dopo aver richiesto i documenti alconsole italiano del Lussemburgo ed aver-ne avuto un ennesimo rifiuto, sparava con-tro un impiegato particolarmente provoca-tore di quel consolato.A Saint Raphael, il 23 agosto 1929, avve-niva un attentato di protesta contro il con-sole di quella località, il marchese DiMuro, che se la cavò con qualche scalfit-tura.Nel settembre del 1929, l’operaio EnricoManzuoli (Morano) veniva aggredito aSaarbrucken durante una manifestazionedi caschi d’acciaio. Vedendosi sopraffattodal numero, sparava alcuni colpi di rivol-tella: uccideva un aggressore e ne ferivatre. Processato alle Assisi di Saarbruckenil 3 luglio 1930, si dichiarava anarchico edolente solo di non aver potuto colpire ipiù alti responsabili del fascismo. Si buscòuna condanna a sei anni. L’elenco dei col-pi e dei contraccolpi di questo intermina-bile stillicidio potrebbe continuare per pa-gine e pagine. […]

Angelo Sbardellotto[…] Nel 1932 il quadro della lotta antifa-scista si andava facendo sempre più ri-stretto. La reazione, aperta o larvata, gua-dagnava tutte le classi al potere nei variPaesi. Lo spauracchio di un eventuale con-flitto, continuamente sventolato dai varidittatori, rendeva sempre più timorosi edossequienti gli uomini di governo demo-

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cratici che, uno ad uno, accettarono tuttele pretese dei dittatori. Coloro che per pri-mi dovettero pagare lo scotto di questanuova situazione furono i profughi antifa-scisti in generale e gli anarchici in partico-lare, perché contro di loro si accentuò lapressione della reazione.Come frequentemente arriva in tali fran-genti, un individuo, immedesimando tuttala disperazione, fremente ma imbelle, diun popolo angosciato ed oppresso, si ergecome il necessario giustiziere (se riescenell’intento prefissosi) o comeammonitore (se fallisce). In ogni modo,con l’olocausto della sua vita fa un’affer-mazione solenne di una fede umana chevuole sopprimere il male impersonato inun tiranno.Angelo Sbardellotto, giovane di venticin-que anni, era venuto da Bruxelles, dove lapersecuzione fascista lo aveva spinto, in

Italia per attentare al dittatore. Aveva por-tato con sé l’esplosivo e le armi necessa-rie. Arrivato a Roma, studiò il luogo piùadatto per poter meglio colpire Mussolinisenza colpire anche degli innocenti. Qual-che occasione favorevole gli si era presen-tata, ma non era nelle condizioni da lui ri-chieste e rimandò. Così il 4 maggio 1930,vicino a piazza Venezia veniva arrestato.Aveva con sé due bombe e due pistole ca-riche. Non ebbe esitazione a confessare,senza spacconeria ma fermamente, gliscopi del suo viaggio in Italia e quello del-la sua presenza a Roma. Fu una cosa rapi-dissima. Dal suo arresto alla sua mortenon passò che pochissimo tempo perché iltutto si svolse nel giro di soli dodici gior-ni. Si istruì il processo e in meno di dueore il Tribunale Speciale liquidò la faccen-da con la condanna a morte. Dopo la con-danna si tentò a più riprese d’indurlo a fir-mare la domanda di grazia. Gli si suggeri-va che Mussolini lo avrebbe graziato sicu-ramente: bastava domandare.In proposito, e precisamente sulle sue ulti-me ore, nel 1946 il quotidiano romano «IlMomento» [17 ottobre 1946] pubblicavaun articolo su Sbardellotto basandosi suquanto riferito da un secondino del carceredi Roma che aveva potuto seguire minutoper minuto le ultime ore del giovane atten-tatore: «Nel pomeriggio che seguì la con-danna a morte, un secondino entrò nellacella in cui Sbardellotto, seduto sul bordodella brandina, attendeva tranquillo la sca-rica del plotone d’esecuzione che avrebbestroncato i suoi venticinque anni. Aveva ilcompito di indurlo a firmare una domandadi grazia: Mussolini avrebbe commutatola pena di morte in ergastolo. Allo scopodi poter sbandierare, su tutti i giornali del-la penisola, la sua magnanimità, giocava

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con la vita degli uomini come un gatto coltopo, il dittatore! Ma Sbardellotto, udita laproposta, si alzò fiero, terribile nella suadecisione: ‘Se è venuto per parlarmi diquesto, può andar via subito’ gridò. E poi-ché il secondino, preso da umana pietà, in-sisteva - ‘Vi accorderanno la grazia certa-mente, vivrete. Se non volete farlo per voi,se non vi importa di morire, fatelo per lavostra famiglia, per i vostri genitori...’ -Sbardellotto lentamente, pensando,assaporando quasi le parole, rispose: ‘No!Non lo farei nemmeno se sapessi che lepallottole mi entreranno qui, nelle carni,lentamente, una dopo l’altra... La mia do-manda di grazia non l’avranno!’. L’altronon ebbe il coraggio di insistere, ma rima-se nella cella del condannato a dividerecon lui quelle ultime ore. Sbardellotto eratranquillo, narrò la storia del suo attentato,piano, senza esaltarsi, senza eccitarsi,come si narra a un bimbo una fiaba: ‘Ero apiazza dell’Esedra, sotto i portici. Lui pas-sò a pochi metri da me, per la via. Stavoper lanciare la bomba, calcolai la distanza,freddamente, ma all’ultimo momento unpensiero mi trattenne: lui era circondatoda migliaia di persone e la bomba avevaun raggio d’azione di duecento metri, sa-rebbe stata una carneficina. Centinaia diinnocenti avrebbero pagato per una colpanon loro. Lui doveva pagare, lui solo. Nonlanciai la bomba, ma ormai tutto era finito.Domattina verso le sei busserò alla portadell’altro mondo...Toc, toc, toc...- e bussòtre colpi contro il muro con le nocche del-le dita, sorridendo come per un gioco daragazzi - e chiederò a san Pietro se c’è unposto per me...’. Ed era sereno. Verso ledue gli portarono il pasto: pose sullo sga-bello la gamella piena di una tiepidasbobba ed incominciò a mangiare, tran-

quillo. ‘È l’ultima volta che siedo a tavo-la...’. Fu il suo unico commento. Trascorsela notte dormendo profondamente: non unsussulto, non un gemito. Sapeva che loavrebbero svegliato per portarlo davanti alplotone, ma se un rimpianto aveva, nonera per la giovinezza gettata allo sbaraglio,se un rimpianto aveva fu per non essereriuscito a portare a termine la sua missio-ne. Alle quattro del mattino lo chiamaro-no. Si drizzò dalla brandina e chiese, stro-picciandosi gli occhi: ‘È ora?’. Accese unasigaretta, si vestì lentamente, come se sipreparasse per avviarsi al lavoro, ed uscìdalla cella. Prima di imboccare le ripidescalette, accese un’altra sigaretta, sisoffermò sul cancello che immette alla ro-tonda, si volse indietro e con un largo ge-sto della mano abbracciò tutti i compagnidi carcere che non avrebbe mai più visto:‘Arrivederci a tutti!’ gridò ed uscì tra leguardie a testa alta. E prima che la rafficatroncasse quella giovinezza offerta ad unideale di libertà, gettò in faccia al mondo

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il suo grido di fede: ‘Viva l’anarchia’».Sempre a proposito di Sbardellotto, GuidoLeto, un alto funzionario dell’Ovra, cosìscrive nel suo libro dedicato a questa orga-nizzazione: «Sbardellotto era un giovanis-simo operaio nativo di un comune dellaprovincia di Belluno che era espatriato inBelgio in cerca di lavoro e che, appena co-minciò a maturare il progetto di uccidereMussolini, non scrisse nemmeno più allamadre. Era assolutamente ignoto alla poli-zia, sia per la sua giovine età, sia perché,all’estero, non si era in alcun modo messoin vista nel campo politico. Era, quindi,nelle più favorevoli condizioni per portarea compimento il progetto che si eraprefissato. Venne difatti in Italia e nessunone rilevò - e non poteva essere diversa-

mente, anche se non avesse usato il passa-porto straniero intestato ad altro nominati-vo - l’ingresso e il soggiorno. Per suggeri-mento forse avuto da coloro che ne guida-rono l’azione e che rimasero sempre igno-ti, lo Sbardellotto non prese alloggio aRoma, ma vi giunse il mattino in cui si ce-lebrava, mi pare, una certa cerimonia alGianicolo, al monumento di AnitaGaribaldi. Riteneva, lo Sbardellotto, chead essa partecipasse Mussolini e forse igiornali ne avevano dato notizia. Egli vi sirecò con la ferma intenzione di lanciare lebombe che erano abilmente nascoste nellacintura dei calzoni, opportunamentesagomate, e che erano sfuggite alla visitadoganale di frontiera. Non riuscendo, per iservizi d’ordine e per la folla, ad arrivarein prima linea per assicurarsi se Mussolinifosse o meno presente alla cerimonia, ri-tornò nei pressi di piazza Venezia speran-do di cogliere il momento del passaggiodella macchina presidenziale per effettua-re l’attentato. Senonché a piazza Veneziafunzionava con particolare intensità il ser-vizio generico di vigilanza già da tempoeffettuato, un vero cordone sanitario, sic-ché, dopo brevissimo tempo che loSbardellotto si aggirava, sia pure con ariadi innocuo turista, nei dintorni di PalazzoVenezia, fu fermato da un agente e con-dotto per l’identificazione, come erad’uso, ed eventualmente per una perquisi-zione nel portone del vicino palazzoBonaparte, dove funzionava un rudimen-tale ufficio di PS che era munito di una ru-brica speciale col nome di tutte le personesospette o ritenute capaci di compiere attidi violenza. Lo Sbardellotto era munito diun passaporto svizzero che figurava rila-sciato a Bellinzona, ma che presentavaqualche grossolana anomalia: sta di fatto

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che gli agenti operanti si accinsero a fareuna perquisizione personale che fruttòl’immediato rinvenimento di due bombe edi una pistola carica e pronta al fuoco. LoSbardellotto fu subito tradotto in questura,che aveva allora sede nelle immediate vi-cinanze di palazzo Venezia, al CollegioRomano, e sottoposto a rapido interroga-torio d’identità. Dopo qualche scherma-glia, egli ebbe a dichiarare che il passapor-to era falso, che egli non era affattoticinese ma italiano, che era anarchico eche era venuto in Italia dal Belgio per uc-cidere Mussolini».L’arresto di Sbardellotto, le sue dichiara-zioni e la relativa facilità con la quale eraentrato in Italia, ed era riuscito a soffer-marsi a Roma, furono un duro colpo per ladirezione della polizia fascista che preten-deva essere sempre al corrente di tuttoquanto avveniva; soprattutto se si tienconto, come scrive il Leto nel suo libroL’Ovra, che il Bocchini (il capo della poli-zia): «Temeva sempre l’attentato politicocome l’unica cosa seria a cui dovesseprovvedere. Egli non considerò mai un pe-ricolo per il regime fascista le discussionio la propaganda scritta o verbale di tutta lagamma degli antifascisti verso cui fu sem-pre tollerante. (!) Bocchini, invece, fusempre attentissimo alle voci, anche le piùinverosimili e più stravaganti, che si rife-rissero a propositi violenti controMussolini. E su questo tasto, con noi, suoicollaboratori, fu sempre ossessionante».[...] Indubbiamente il libro di Leto non èun documento molto serio, pieno di errori,manchevolezze e menzogne; com’è valesolo in quanto ci fa conoscere, entro certilimiti, gli umori e le paure della poliziadurante il lungo periodo fascista e il fattoche, pur affermando che la sua vastissima

rete spionistica fosse al corrente di quantoavveniva nei vari partiti, in realtà molto diquanto avveniva tra gli anarchici gli sfug-giva sempre, perché, seppure in continuoallarme, a dire dello stesso Leto il suospionaggio non era mai riuscito a penetra-re fino al cuore del movimento anarchicoper «le intuitive difficoltà ambientali cherendevano difficilissima se non impossibi-le ogni seria e rapida indagine». E provane siano i tentativi d’attentati di GinoLucetti, Michele Schirru e dello stessoSbardellotto. […]Il tentativo di attentato di AngeloSbardellotto fu l’ultimo, non perché la si-tuazione si fosse andata modificando o ledifficoltà aumentate, ma perché gli avve-nimenti della Spagna attirarono l’attenzio-ne degli anarchici che videro nella rivolu-zione iniziata da quel popolo la possibilitàdi combattere ed eventualmente rovesciareil fascismo con metodi più ampi e profon-di, capaci di scuotere tutta l’apparecchia-tura politico-sociale, e non di un solo Pae-se ma di tutta l’Europa. Numerosissimi fu-rono gli anarchici di lingua italiana che sindai primissimi giorni accorsero in Spagnae grande fu la loro influenza sullo svolgi-mento degli avvenimenti.[…]

Memoria storica

A pagina 11: Ugo Fedeli

A pagina 13: 1928, Umberto Tommasiniconfinato nell’isola di Ponza

A pagina 15: Un gruppo di confinati a Ponza

A pagina 17: Ilio Baroni (al centro) durante ilconfino a Guardia Regia (Campobasso)

A pagina 19: Angelo Sbardellotto

A pagina 20: Michele Schirru

A pagina 21: Anteo Zamboni

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MOSTRE

Le tappe della vita di Silvano Fedia cura di Renzo Corsini

Il Gruppo Teatro Ragazzidel Circolo ARCI diPistoia ha allestito unamostra fotografica conquesto titolo dedicata al-l’anarchico pistoieseSilvano Fedi [vedi bollet-tino n.3] in occasionedelle celebrazioni per ilcinquantenario della Re-sistenza.Fedi, che nel 1943 avevacostituito la Brigata Fran-ca Libertaria, era cadutonel 1944 in un’imboscatadei tedeschi (dai risvoltia dir poco inquietantidato che i rappresentantidel CNL ed altre persone eranoattesi a quell’incontro e non itedeschi). Il suo gruppo avreb-be continuato la lotta assumen-do la denominazione di BrigataSilvano Fedi e proprio questaformazione fu la prima ad en-trare in Pistoia liberata.La mostra allestita dai ragazzidi Pistoia - che hanno recupe-rato le immagini utilizzate siada archivi privati, sia da pub-blicazioni varie, sia rintrac-ciando oggi gli itinerari percor-si allora da Fedi e compagni -ripercorre le varie tappe dellavita di Silvano e della sua ban-

da partigiana e si compo-ne di tre sezioni.Nella prima sezione leimmagini, fornite dal fra-tello Filiberto, ci riporta-no all’infanzia diSilvano, alla sua adole-scenza e alle sue amiciziedi giovane ventenne.Nella seconda sezione lefoto tratteggiano episodicome la guerra d’Etiopiadel 1936 o i bandi mus-soliniani dei primi mesidel 1944 che avrannogrande peso nelle sceltepolitiche prima e nel-l’azione partigiana poi di

Silvano.La terza sezione è compostada una serie di immagini cheidentificano alcuni dei luoghipiù importanti nella vita diFedi. Come la zona dell’Arca,dove lavoravano vari esponen-ti anarchici dell’epoca con iquali Silvano allacciò rapportidi amicizia fondamentali perla sua formazione politica.Come le Officine San Giorgio(oggi Breda), dove il 26 luglio1943 Fedi parlò agli operai in-citandoli a scioperare. Come laFortezza di Santa Barbara,contro la quale la formazione

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Franca Libertaria effettuò quattro incur-sioni. Come, ovviamente, i luoghi del-l’agguato così come li descrive EnzoCapecchi nelle sue Memorie di un parti-giano. Come, infine, la foto della Palestradi Piazza Mazzini ove furono imprigiona-te dai nazifascisti tutte le persone rastrel-late nel pistoiese nei giorni immediata-mente successivi alla morte di SilvanoFedi, nel luglio del 1944. Proprio da que-sta palestra riuscirono rocambolescamen-te a fuggire altri due anarchici, ArteseBenesperi ed Enzo Capecchi, che dopo lamorte di Marcello Capecchi presero il co-mando della formazione «FrancaLibertaria» che da quel momento si chia-mò «Silvano Fedi».

AppuntamentiLa cultura libertaria: cultura dell’im-possibile o impossibile cultura?Grenoble, marzo 1996

Organizzato dall’Atelier de CréationLibertaire di Lione, in collaborazione conAlain Pessin dell’università di Grenoble,è in programma nella seconda metà dimarzo un incontro internazionale di tregiorni impiantato su questa domandavolutamente provocatoria.«È necessario, prima di chiederci se lacultura libertaria è oggi attuale, doman-darci se questa cultura sia mai esistita. Ecioè: c’è stata e c’è una cultura libertaria- ovvero non solo delle concezioni e dellerappresentazioni, ma anche delle pratichea queste collegate, dei riflessi acquisiti dalcorpo e dallo spirito - talmente stabilizza-tasi, riprodottasi e rinforzatasi da crearedelle abitudini individuali e collettive chefunzionino senza aver bisogno di alcuncontrollo ideologico?».Su questo tentativo di definire e identifi-care la cultura libertaria oggi, e dunque lavivacità e vitalità dell’anarchismo, si svi-lupperà la discussione. Nel frattempol’Atelier de Création Libertaire chiede lacollaborazione di tutti proponendo un que-stionario, articolato in 22 domande, perraccogliere il maggior numero di opinionisu come si possa definire oggi la culturalibertaria. Chi è interessato a ricevere que-sto questionario e ad avere maggiori in-formazioni sull’incontro può mettersi incontatto con l’Atelier de CréationLibertaire, B.P. 1186, 69202 Lyon Cedex01, Francia tel. 0033/78 29 28 26.

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DOCUMENTI RARI

Le Brigate libertarie«Bruzzi-Malatesta»

Presso la Fondazione Anna Kuliscioffdi Milano, che ringraziamo per la col-laborazione, è conservato un memoria-le di Germinal Concordia, comandantedi una delle quattro Brigate Bruzzi-Malatesta, sulle attività svolte da que-ste formazioni libertarie operanti a Mi-lano, nella Lomellina, in Val Trompia ein alcune valli venete. Riportiamo qui,oltre alle brevi note biografiche di al-cuni caduti e ad un rapporto sulle atti-vità svolte nel Pavese dalla IIa BrigataMalatesta, anche l’elenco dei partigia-ni che hanno combattuto o che hannofatto azioni di supporto per la BrigataMalatesta.

Elenco dei compagni caduti durantela lotta clandestina e le giornate in-surrezionali

Pietro Bruzzi, nato a Mella il 30.2.1888,agitatore e organizzatore di primo piano. Ilsuo nome è legato a quello di parecchie no-stre brigate. Veniva fucilato dalle SSnaziste il 19.2.1944 a S. Vittore Olona.

Nando Favilla, nato il 27.7.1922 a PianelloVal Tidone (PC), domiciliato a Milano inVia Paolo Sarpi 3. Abbandonate le armi nelsettembre 1943, dopo un periodo di perma-nenza in famiglia, braccato dalle forzenazifasciste, si recava sulle montagne delPavese e con un piccolo gruppo di uominioperava con indomito valore in azioni di sa-botaggio, assalto ai distaccamenti dellaGuardia Nazionale Repubblicana portandocon slancio e abnegazione massima il suocontributo di patriota alla causa. Ha operatodal 13 marzo al 2 novembre 1944 quando,

catturato da forze naziste nel pae-se di Nibbiano, ove curava le suenon ancora rimarginate ferite, ve-niva fucilato e la sua salma gettatain un immondezzaio.

Amleto Imperatrice nato il7.5.1918 a Foggia, abitante a Mi-lano in via Bronzetti 11. Affian-catosi fin dai primi giorni dell’in-surrezione al Gruppo Favilla sidimostrava buon patriota sempre

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pronto ad accorrere ove la sua opera erautile. Nell’adempimento del suo dovere ilgiorno 9 maggio veniva ferito gravementein un incidente automobilistico decedendol’11 dello stesso mese. Lascia la moglie edue figli in tenera età privi di qualsiasi so-stegno.

Renato Galliani, nato a Milano il16.11.1923, ha partecipato alle nostre orga-nizzazioni clandestine ed alle azioni insur-rezionali nelle quali cadeva nell’aprile1945. Ottimo patriota, pieno di slancio evolontà, lascia il padre in età avanzata, ope-raio della O.M., la madre in cattive condi-zioni di salute e un fratello. Tutta la fami-glia abita in una misera stanza sottotetto inuna casa miserissima, essendo statisinistrati il 16.8.1944 perdendo ogni me-schino avere.

Battista Filini, nato a Pero (Milano), venivaarrestato dalla G.N.R. di Quinto Romanodurante un’azione armata contro il Presidioe veniva fucilato sul posto l’8.11.1944. Ot-timo patriota rivoluzionario, ha lasciato lamadre ed una sorella in condizioni misere.

Osvaldo Brioschi, nato nel 1925, volonta-riamente partito da casa per recarsi coicompagni sulla montagna il 5.11.1943 aSan Martino, cadeva nei combattimenti didetta località il 17.11.1943. Lascia il padredi 54 anni, mutilato di guerra e inabile al la-voro con quattro figli a carico dai 7 ai 16anni.

Giovanni Sbrana, nato a Portoferraio, in se-guito a combattimento con una colonnanazista veniva ferito il 26 aprile 1945 edecedeva il 27 maggio seguente.

Ugo Angeli, di anni trentotto, abitante aMilano in via Monteceneri 75, veniva arre-stato il 27.10.1944 perché riconosciuto fa-cente parte delle nostre formazioni clande-stine e veniva fucilato il 28.10.1944.

Relazione della IIª Brigata Malatestaoperante nella zona pavese

Cenni retrospettivi:Nel gennaio 1944 in S. Cristina, presso lecostruzioni meccaniche Fratelli Guidetti, èstato costituito il Iº Comitato di agitazioneantifascista. Nello stesso tempo venivanoorganizzate delle squadre d’azione nellazona di Mede-Lomello e campagna. Furo-no quindi costituiti gruppi armati della IIªBrigata Malatesta in S. Cristina,Corteolona, Inverno, Monteleone,Miradolo, Bissone, Boscone e Calendasco.

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Furono aiutati prigionieri inglesi fornendoloro denaro e vestiti. Alcuni di essi furonoaccompagnati a Milano di dove poteronoriparare in Svizzera. Furono stretti rapporticon gli slovacchi di Corteolona e di S. Cri-stina i quali hanno fornito armi e munizio-ni. Fra gli slovacchi stessi fu costituito ungruppo di patrioti. Questi gruppi erano in-quadrati nelle Brigate Malatesta e Bruzzi diMilano che agivano alle dipendenze delleformazioni Matteotti.

Azioni importanti:- 15 aprile 1944. Operazione armata dei di-staccamenti di Mede-Lomello contro la ca-serma dei CC.RR. e della G.N.R. di Pievedel Cairo. Bottino 12 moschetti, 5 rivoltellee materiale vario.- 23 aprile 1944. Azione armata contro iltraghetto tedesco sul Po a Pieve del Cairo(il nemico perdeva un uomo). Disarmo diun sergente e di un maresciallo tedesco.

- giugno 1944. Operazione armata contro lacaserma di S. Giorgio Lomellina. Disarmodei militi di presidio; bottino di armi e mu-nizioni.- 24 luglio 1944. Rastrellamento dellaLomellina operato dalla 4ª Compagnia del-le Brigate nere Alfieri (Villa Biscossa) du-rante il quale venne catturato il patriotaGatti Carlo di S.Nazzaro (Pavia), il quale fupoi deportato in Germania da dove fece ri-torno solo nel maggio 1945.- 26 luglio 1944. Operazione di disarmocontro due militi della B.n. di Mede(Guardamagna Orazio e Serafino Scarroni).In seguito a tale operazione fu catturatodalle B.n. per rappresaglia il volontario pa-triota Bernini Piero il quale, condotto allasede della B.n., venne seviziato e quindiconsegnato alla Muti di Milano. Di questovolontario non si è potuto avere notizie; sisuppone sia deceduto in seguito alle seviziepatite.- 5 agosto 1944. Azione armata contro iltraghetto tedesco nella zona di BosconeCalendasco (Piacenza). Disarmo di alcunisoldati tedeschi. L’azione fu diretta dal co-mandante di quel distaccamento Rossi Lui-gi.- 28 agosto 1944. Arresto di Gaiulli Giu-seppe organizzatore della zona di Mede-Lomello dalla B.n. Alfieri.- gennaio 1945. Azione di sabotaggio con-tro gli impianti dell’organizzazione TODTsul Po presso Torre Beretti.- 2 marzo 1945. Arresto a Milano del co-mandante di Brigata Pietropaolo Antoniounitamente ad altri membri del comandodella formazione.- 1 aprile 1945. Azione armata contro ilpresidio di Lomello della G.N.R.; la ban-diera della formazione fu issata sulla piazzadel comune dalle 7 alle 11,30. Due militari

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tedeschi furono disarmati. Contemporanea-mente al bivio della strada Lomello-Mortara-Pavia avveniva il disarmo di quat-tro militari della Wermacht; il nemico ebbedue feriti.- 31 marzo 1945. Da tempo erano statistretti rapporti con elementi del distacca-mento di S. Cristina e gli slovacchi del pre-sidio a Corteolona, i quali fornirono armi emunizioni. Nella notte dal 31 marzo al 1aprile, alcuni slovacchi esperti nel maneg-gio delle armi automatiche unitamente aSaracchi e Castiglioni operano il rafforza-mento del posto di blocco sulla stradaVigentina portando un carico di armi auto-matiche con munizioni a Milano per raffor-zare la Iª Brigata Bruzzi operante nellazona in vista delle azioni insurrezionali.- 24 aprile 1945. Occupazione della caser-

ma della G.N.R. completa del nemico. At-tacco di un’autocorriera carica di militi del-la B.n. sulla strada Mede-Lomello; nelcombattimento cadde il patriota CamussoniAngelo.- 25 aprile 1945. Zona Pavese occidentale: ipatrioti del distaccamento di S. Cristina-Corteolona-Belgioioso occupavano le stra-de della zona e prendevano contatto con imilitari slovacchi, i quali passavano in mas-sa con noi portando con essi tutto l’arma-mento (cinquanta fucili ed alcunimitragliatori). Rinforzi venivano inviati allaBrigata Garibaldina Stella Rossa impegnatain combattimento con duecento marinai neipressi di Alberoni. Attaccati e disarmati, imarinai tedeschi vennero inviati al Coman-do di S. Colombano. Nello stesso tempo treautocarri tedeschi che si dirigevano versoCorteolona furono attaccati e bloccati aBelgioioso.Zona della Lomellina:- 25 aprile1945. Occupazione della caser-ma e del municipio di Mede. Vennero fattiprigionieri numerosi militi della B.n. e mi-litari della Wermacht.- 26 aprile 1945. Nel pomeriggio i nostri re-parti venivano minacciati da una colonnafascista forte di ottomila uomini provenien-te dal cuneense. Data la superiorità del ne-mico e dato l’atteggiamento della BrigataFachiro che già da cinque ore si era ritirata,i nostri operavano lo sganciamento, distur-bando il nemico con colpi di mano isolati.- 27 aprile 1945. Azione di disarmo neipressi di Sartirana di elementi isolati dellacolonna.- 28 aprile 1945. Attacco dei presidi nemicidi Sartirana.- 29 aprile 1945. Nella notte collegamentocon le altre Brigate partigiane affluite nellazona. Si creava uno sbarramento di mortai

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e mitragliatrici pesanti con mezzi tolti alnemico che veniva così limitato in unazona di accerchiamento. Alle ore 23,30 ve-niva intimata la resa alla colonna accerchia-ta.- 30 aprile 1945. Resa completa del nemico.

Partigiani Brigata MalatestaBasilio Italo 3.9.1922 • Capriotto Sanzio2.3.1880 • Castiglioni Daniele 10.4.1901 •Cavallo Divaldo 1.8.1902 • ConcordiaGerminale 19.9.1913 • De Filippo Antonio11.7.1900 • Delmati Ottavio 1.1.1924 • Gi-gli Angelo 22.11.1910 • Gola Andrea9.12.1909 • Gola Francesco 12.1.1903 •Mosca Giovanni 28.11.1906 • Perelli Mario23.11.1894 • Pesci Piero 5.8.1925 • PezzoliAlberto 2.8.1920 • Rossi Luigi • RossiniAngelo 16.8.1900 • Saracco Prospero3.5.1911 • Senegrate Castiglione 27.3.1917

Patrioti Brigata MalatestaAbba Giovanni 11.2.1917 • Astolfi Amleto15.2.1903 • Belloni Edgardo • BenettiIgnazio 15.1.1920 • Bezzarelli Antonio15.4.1894 • Bianchi Luigi 18.1.1891 •Bottelli Fioravante 28.9.1921 •Buttocrau Eugenio 1.5.1910 • Brusoni

Franco • Capucci Walter 6.6.1923 •Carrara Riccardo 6.4.1914 • Cassago Giu-seppe 4.12.1901 • Cerutti Aldo • ColombiAngelo 20.7.1922 • Colombo Luigi9.3.1924 • Corsico Renato 17.12.1914 •Degrada Giovanni 25.12.1914 • DietoRemo 1.5.1926 • Dotati Italo • FontanaGioacchino 9.1.1892 • Francia Franco31.5.1927 • Franco Oliviero 29.8.1922 •Galloni Giovanni 6.6.1924 • GiampetruzziGiovanni • Gianni Giovanni • Giulli Giu-seppe 28.3.1918 • Guerrieri Vincenzo7.2.1923 • Incoronato Felicetta 11.1.1910 •Maggi Pierino 26.1.1904 • Metati Giovan-ni 4.10.1924 • Monti Giulio • Nardi Anto-nio 5.4.1924 • Osi Bruno • Osi Giuseppe •Papeo Mariano 13.5.1907 • Parenti Luigi20.4.1922 • Pedrazzini Remo 20.6.1924 •Pedrini Enrico • Perego Ettore 13.2.1906 •Piazza Fernando 21.2.1920 • Piviani An-gelo 10.4.1925 • Preti Pietro • QuagliaFrancesco 21.7.1917 • Rossi Antonio4.1.1920 • Sosio Lino 6.11.1908 • StrinaGiuseppe 1908 • Tamburelli Celestino7.9.1912 • Tordani Sereno 31.12.1914 •Valsecchi Franco 19.12.1907 • VirottiRina 27.4.1913 • Viterbi Mario30.10.1901 • Zucca Italo • Zucca Renzo

Benemeriti Brigata MalatestaAbelli Vittorio • Aleotta Giuseppe •Andreoni Carlo • Angloni Salvatore •Antola Giuseppe • Armanini Carlo •Arneboldi Carlo • Assi Cesare • AttansioFrancesco • Ballaré Mario • Ballaré Pietro •Ballerini Giuseppe • Ballerini Luigi • Ba-rante Guglielmo • Barberi Primo •Bassavecchia Agostino • Bazzi Walter •Bellinzona Francesco • Bellotti Antonio •Benatti Bruno • Bernardi Squarcio •Bertolaia Osvaldo • Bertolini Ernesto • Bo-logna Francesco • Bonfè Anna • Boriani

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pe • Langella Umberto • Lanzarotti Carlo •Lovetti Pietro • Mantegazza Arioldo •Maroccola Nella • Micoli Guido •Ottoni Luigi • Testa Carlo • Tonani FeliceTrizio Giuseppe • Vacchelli Giuseppe •Vailati Giovanni • Valassina Angelo •Varcisio Franco • Vescovo Pierino •Virotta Mario • Viterboni Davide •Zaffaroni Roberto

Giuseppe • Borroni Carlo • Bottani Luigi •Bramani Ernesto • Brioschi Carlo • CaldaraCeleste • Casale Alfredo • Casale Pietro •Cassani Luigi • Castelli Arnaldo •Cavallotti Giuseppe • Cecchini Alberto •Clapiz Giuseppe • Clerici Albertino •Clerici Angelo • Colombo Conido • ConcaAttilio • Conti Giuseppe • Corbella Cesare• Corsico Caisto • Costanzi Antonio •Crabbia Mario • Crucchini Armando •Curti Giovanni • Dejana Amedeo • DejanaTito • Ditanta Antonio • Doni Felice • Fab-bri Gaetano • Fantaguzzi Carlo • FerrariGiovanni • Ferrari Giuseppe • FerrariRiccardo • Fillini Vittoria • Fontana Piero •Fronche Ildebrando • Gabbiati Michele •Galbiati Ambrogio • Galbiati Mario • GattiAdriano • Gatti Annibale • Gatti Carlo •Giannini Cesare • Gorini Paolo • GrassiEmilio • Guzzoni Michele • Lacchini Gui-do • Lampugnani Mario • Langella Giusep-

A pagina 25: Pietro Bruzzi

A pagina 26: Amleto Imperatrice

A pagina 27: Osvaldo Brioschi

A pagina 28: Renato Galliani

A pagina 29: Giovanni Sbrana

Sopra: Anche Giuseppe Pinelli, allorasedicenne, partecipa alla Resistenza comestaffetta partigiana nelle formazioni libertarie.Ecco la sua tessera n.14341370.

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Mario BettoAllora avvenne un episodio degno di esserericordato. Mario Betto, «Spartaco», anarchi-co, combattente della guerra di Spagna, cono-sciuto e segnalato dalle questure di mezza Eu-ropa, nativo della provincia di Venezia ma re-sidente a Visinale di Pasiano, che era statouno dei primi nelle azioni di resistenza e dipropaganda contro i nazifascisti nella BassaPordenonese, entrò a far parte dei GAP locali.Ma il suo carattere, il suo spirito indipenden-te, le stranezze del suo comportamento crea-rono grossi fastidi e numerose difficoltà ai di-rigenti del movimento, tanto che, alla primaoccasione, egli fu consegnato e convinto a sa-lire in montagna. Betto si presentò alPiancavallo e, destinato al Btg. Gramsci, di-ventò il partigiano Spartaco. In ambiente digiovani e giovanissimi partigiani, l’anzianoSpartaco era in verità una figura strana... Uncappellaccio alla Pancho Villa, un cinturonefiorito di bombe a mano, di coltello e dipistolone, la sua inseparabile chitarra a tracol-la... divenne ben presto conosciuto da tutti econ la sua aria scanzonata, col suo umorismo,la sua allegria, fu veramente il personaggiopiù caratteristico del Gramsci. Come partigia-no egli era leale e franco, disciplinato e pronto.15 ottobre 1944, zona di Barcis... a metà mat-tinata. La conca è ormai deserta: i distacca-menti partigiani sono già stati ritirati; dai

roccioni della Molassa arriva solo, di tanto intanto, il rumore secco di una fucilata... ÈRomolo che spara le sue ultime cartucce con-tro il nemico avanzante... Mario Zero raduna isuoi uomini che bivaccano fra le case in rovi-na: occorrono due uomini volontari per porta-re e sistemare una rudimentale mina nell’ulti-ma galleria vicino a Ponte Antoi. L’azione èpericolosa: chi andrà, dovrà essere libero daimpegni, non padre di famiglia... Si fa avantiSpartaco, egli non ha famiglia (giura il falso!)ed è pronto a partire per la rischiosa azione.Con lui si presenta un giovane partigiano,Diana. Poco dopo, mentre gli uomini delGramsci sfilano verso nord, Spartaco e Dianapedalano allegramente, fischiettando l’Inter-nazionale, e scendono verso la galleria diPonte Antoi, portando sulle loro biciclette lamina e l’altro materiale occorrente. Nelle pri-me ore del pomeriggio, un sordo boato rintro-na nella valle del Cellina e la scuote tutta:dentro la galleria presso Ponte Antoi, unamina è saltata...Alcune ore dopo, Diana trafelato, con il mo-schetto spaccato in due da una pallottola, rag-giunge il Gramsci. È stato l’unico testimone enarra l’accaduto con voce rotta dall’emozio-ne... Spartaco a metà galleria posiziona lamina, prepara la miccia e sistema ogni cosa.Ma l’avanguardia tedesca è in arrivo: si vedo-no le figure dei nemici stagliarsi contro la luce

Moltissimi sono i protagonisti della Resistenza anarchica che varrebbe la pena ricor-dare. Qui ne segnaliamo solo tre che sono però emblematici di tante storie simili di lot-ta antifascista. La prima è ripresa da 1944 Dies Irae, Valcellina, l’incendio nazista diBarcis (Biblioteca dell’Immagine,1994). La seconda e la terza sono due brevi schede

inviateci, rispettivamente, da Agostino (Brescia) e da Tobia Imperato (Torino).

Brevi biografie partigiane

SCHEDE

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accecante dell’apertura sud della galleria.Non si fa in tempo ormai ad accendere lamiccia per lo scoppio ritardato! Spartaco urlain tedesco ai suoi avversari frasi che Diananon comprende. Gli altri rispondono, urlandoanch’essi... Il dialogo continua con frasismozzicate... Poi i tedeschi cominciano a spa-rare. Spartaco, steso a terra accanto alla minaquasi a proteggerla col suo corpo, grida aDiana di fuggire al più presto... Diana si ritiravelocemente fra una gragnuola di proiettiliche fischiano tutt’intorno; è colpito, ma il mo-schetto lo salva... Fugge... E, dentro la galle-ria, la mina, dopo brevi istanti, innescata amano da Spartaco, scoppia dilaniando attornoa sé il partigiano e i suoi nemici... Spartaco,vecchio anarchico, volontario nella guerra diSpagna, ha trovato il 15 ottobre 1944, nellagalleria presso il Ponte Antoi, la morte degnadi un rivoluzionario, di un combattente per lalibertà dei popoli e di un idealista quale erastato nella sua vita avventurosa! Gli abitantidi Barcis hanno recuperato, pochi giornidopo, nella galleria e pietosamente compostoil corpo dilaniato, letteralmente fatto a pezzi,del partigiano e lo hanno sepolto nel loro ci-mitero. Mario Betto forse presto non sarà piùricordato, ma il partigiano Spartaco non potràe non dovrà essere dimenticato da tutti quelliche sanno ciò che sono libertà e democraziaduramente conquistate.

Leandro SorioNato a Chiesanuova (rione di Brescia), mili-tante anarchico, nel 1923/24 si trasferisce aRoma dove lavora come cameriere. Lì prendecontatti con alcune individualità anarchiche.Nel settembre del 1926 custodisce l’esplosivofornitogli dal compagno carrarino StefanoVatteroni che servirà a Gino Lucetti per l’at-tentato a Mussolini e dà ospitalità a Lucetti ilgiorno prima dell’attentato, il 10 settembre

1926. Fallito l’attentato, Leandro Sorio vienearrestato con Lucetti e Vatteroni e condannatoa 26 anni di galera come Vatteroni, mentreLucetti sarà condannato all’ergastolo. Nel1943, uscito di prigione, riesce a riparare aTavernole sul Mella, nella provincia di Bre-scia, presso la sorella. Partecipa attivamentealla lotta partigiana in collaborazione con la122a Brigata Garibaldi che opera nella ValTrompia. Dopo la liberazione fonda la Coope-rativa di Consumo dei Lavoratori dell’AltaValtrompia. Abbonato all’Adunata dei Refrat-tari (periodico anarchico redatto a New York),contribuisce attivamente al sostegno dell’attivi-tà svolta dal gruppo anarchico di Brescia.Muore a Tavernole il 14 dicembre 1975.

Dario CagnoAnarchico di Torino, dove è nato nel 1899,Cagno, artigiano, è attivo anche durante ilventennio. Nel 1920 è condannato a tre anniper diserzione. Scontata la pena espatria inFrancia dove entra in contatto con gli ambien-ti dell’emigrazione antifascista. Assume l’in-carico di «corriere sovversivo» rientrando piùvolte in Italia fino al settembre del 1934,quando viene preso e assegnato al confinonell’isola di Ponza. Qui partecipa ad una ri-volta collettiva subendo una condanna a 10mesi di carcere. Liberato nel novembre del1942, si rende irreperibile e torna a Torino.Entra subito nella Resistenza militando in unaformazione gapista. Il 24 ottobre del 1943 in-sieme ad un altro partigiano, il comunistaAteo Garemi, uccide a colpi di pistola ilseniore della milizia Domenico Giardina. De-nunciati da una spia infiltratasi nel gruppogapista, vengono entrambi catturati, torturati efucilati nella caserma Monte Grappa il 23 di-cembre del 1943.È questa la prima azione della Resistenza an-tifascista a Torino.

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TESTIMONIANZE ORALI

Mario Mantovani e Mario Orazio Perelli sono stati rispettivamente comandante e vice-comandante - per quanto contavano queste cariche militari all’interno delle formazionilibertarie - delle Brigate «Bruzzi-Malatesta» operanti a Milano (Germinal Concordia eAntonio Pietropaolo erano gli altri due responsabili delle Brigate). Qui di seguito pub-blichiamo alcuni brani di due interviste audio fatte dal Centro studi libertari ai due ex

partigiani nel 1977, poco prima della loro morte.

Partigiani a Milanoa cura di Dino Taddei

Mario Orazio Perelli nasce a Milano nel1894 e aderisce ben presto all’anarchi-smo partecipando attivamente alla cam-pagna antimilitarista che precede e ac-compagna lo scoppio della prima guerramondiale. Dopo la guerra, pur se su po-sizioni individualiste, lavora al quotidia-no «Umanità Nova» diretto da ErricoMalatesta. Nel 1922 viene arrestato inrelazione all’attentato al teatro Diana diMilano e, nonostante si dichiari estraneoai fatti, viene condannato a vent’anni dicarcere. Nel 1940 ottiene una riduzionedella pena, ma viene inviato direttamentedal carcere al confino: nell’isola diVentotene prima, a Ponza poi e infine aRenicci d’Anghiari. Di qui scappa e rag-giunge Milano dove fonda con altri leBruzzi-Malatesta. Dopo la fine dellaguerra è uno degli esponenti più attividella corrente «libertaria» che, scissasidalla Federazione Anarchica Italiana neiprimi mesi del 1946, avrà però vita bre-ve. Dopo lo scioglimento della costituita-si Federazione Libertaria Italiana,Perelli e molti degli esponenti di spiccodi questa federazione confluiscono nelPartito socialista prima e nel Partito so-

cialdemocratico poi. Perelli muore a Mi-lano nel 1979 chiedendo che gli anarchi-ci partecipino con le bandiere nere alsuo funerale.

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Milano, autunno 1943. Cerchiamo d’in-contrarci, ritrovarci, riesco ad avvicinaredei compagni e m’incontro con [Antonio]Pietropaolo, un ragazzo in gamba, unbocconiano [università Bocconi di Mila-no]. Decidiamo di organizzare qualchecosa e cominciamo ad adunare i compa-gni facendo un passaparola per una riu-nione in casa di [Riccardo] Carrara, invia Castelmorrone. Ci ritroviamo in unbel gruppetto di compagni tra cuiMantovani.Cosa facciamo? Io ho una proposta daparte di Michele [nome di battaglia diGerminal Concordia] il quale ha messoinsieme un gruppo di ex fascisti i qualisanno che ormai il regime è alla fine evogliono saltare sul carro del futuro vin-citore. Ci offre la collaborazione di que-sta «colonna mista» nel caso noi volessi-mo fare un lavoro serio di organizzazionemilitare contro il fascismo: insomma,un’idea da non buttar via...Questa proposta viene fatta ai compagnipresenti alla riunione in casa di Carrara:ci si offre l’occasione, con la colonna mi-sta di Concordia, di dar vita ad un movi-mento armato che avrebbe potuto farequalcosa... cosa non difficile in quel mo-mento perché quando i regimi stanno percadere ci sono sempre delle defezioni cheti lasciano un certo spazio d’azione: alcu-ni della milizia non si fanno certo am-mazzare, ti danno l’arma e sono contentidi tornare a casa.La nostra idea di cominciare a costruiredei nuclei armati in vista della liberazio-ne (sicuramente ineluttabile poiché ormaiil regime è alla fine e la guerra perduta)non ha successo. Da parte di qualchecompagno anarchico viene osservato chese c’è da fare qualche cosa, si può fare tra

Memoria storica

Sopra: Nato il 19.9.1913 a Mombaruzzo (Asti)in una famiglia di artisti, Germinal Concordiaè costretto dal padre ad interrompere gli studidopo la quinta elementare. Autodidatta,continuerà a studiare e leggere con accanimentoarrivando ad intrattenere una corrispondenzaanche con Benedetto Croce, che gli invia inlettura alcuni testi di Marx. Ma è versoMalatesta, per cui prova una grandeammirazione, e le sue idee che si dirigel’interesse di Concordia. Lasciata la famiglia acausa del carattere dispotico del padre, sitrasferisce in Lomellina presso la sorella Estere trova impiego alla CASER di Pavia; impiegoche abbandona quando decide di scendere inclandestinità per iniziare, con il nome di«Michele», la lotta partigiana insiemeall’inseparabile amico Armando Rossi Racagni.Con Antonio Pietropaolo e Mario Orazio Perellidecidono la formazione delle Brigate Bruzzi-Malatesta. Tra le sue azioni più significative sipossono ricordare la liberazione di «VillaTriste» a Milano, luogo di tortura che facevacapo alla famigerata Banda Koch, el’insurrezione da lui guidata dei bracci politicidel carcere di S. Vittore, dove si trovava detenuto,che consentì ai partigiani di prenderedall’interno il controllo del carcere già dallasera del 24 aprile 1945.Nel dopoguerra s’allontana dal movimentoanarchico, fondando nel 1950 il PartitoComunista Nazionale Italiano, con simpatieper Tito, e apre una casa editrice che lavoraprincipalmente con i Paesi dell’Est. Muore nel1980.

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compagni anarchici conosciuti. Estraneidi cui non si conosce la provenienza, an-che se hanno le migliori intenzioni delmondo, non possono essere accolti inmezzo a noi perché mettono in pericolol’esistenza del nostro movimento.È un’idea anche questa, un modo moltocauto di comportarsi, rispettabilissimo:quel che facciamo lo facciamo tra anar-chici, gli altri non ci interessano.Una posizione che a me non ha convintoperché quando un regime crolla i topiscappano dalla nave che affonda, cercanodi mettersi al sicuro, e può darsi che cene siano in mezzo alcuni che fanno qual-che cosa di veramente utile perché sonostanchi di una situazione che non reggepiù. […] Invece la sentenza del gruppodei compagni è di non accettarecompromissioni, contatti, collusioni.La scelta non ci lascia soddisfatti, biso-gna cambiare strada: piglieremo la colon-na mista, poi quelli che vorranno venirevedremo di metterli insieme per avere an-che noi una forza armata. Si stanno ar-mando tutti ormai, la sedizione è già co-minciata nel Paese...Pietropaolo è d’accordo e così prendiamoi contatti con Michele Concordia, crean-do il primo nucleo di quelle che poi di-venteranno le brigate libertarie Bruzzi-Malatesta: idea nata tra noi due che riu-sciamo ad estendere allargando la parte-cipazione.Ci sono dei bravi compagni a Porta Ro-mana, tra cui un ragazzo d’acciaio: [Da-niele] Castiglioni. Pietropaolo ha anchedegli agganci fuori Milano come sfollatoa Corteolona; lui sta bene, ha un’indu-stria, dispone di qualche mezzo e lì fac-ciamo la nostra base, insomma, veniamoalla determinazione di costituire un rag-

gruppamento armato.Ci diamo da fare e poi capitano delle oc-casioni a Corteolona: c’è già del malesse-re nell’esercito tedesco, anche perché cisono i cecoslovacchi che la guerra l’han-no dovuta fare, ma non è la loro guerra enon vedono l’ora di disertare e andarsenea casa loro. Pietropaolo riesce a contat-tarli convincendoli a disertare con learmi: da parte nostra li avremmo colloca-ti a Milano al sicuro. Disertano con quat-tro mitragliere pesanti, li portiamo a Mi-lano ed io ho la fortuna d’incontrare unvecchio galeotto conosciuto a PortoLongone, un imbroglione che vive diespedienti, assegni a vuoto e così via.Con me ha rapporti di particolare dime-stichezza poiché pensa di essere un poetaed io, a Porto Longone - parlo del 1928 -leggevo, commentavo e criticavo le suepoesie. Comunque questo Angelo Margi-ni lo incontro casualmente dalle parti diPorta Venezia. Si è lasciato crescere unabella barba cercando di camuffarsi.«Ciao, come ti va?» gli chiedo. Lui ri-sponde: «Non me ne va bene una, chediavolo! Mi sono sposato: lei credeva difare un affare con me, io credevo di fareun affare con lei, in realtà non avevamoniente nessuno dei due. Ho comprato unappartamento ma lei è tornata dai suoifratelli nel Biellese e sono rimasto conuna casa che non so cosa farmene». Èproprio il momento in cui i cecoslovacchidisertano, e penso: Ostia! La casa ci ser-ve, ci mettiamo dentro i disertori, le armile nascondiamo altrove in modo da noncomprometterli in caso venissero scoperti(perché se disertano con le armi e li tro-vano, li fucilano subito, se no li mandanoin carcere). Così le armi le passiamo aicompagni di Porta Romana che le na-

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scondono molto bene - quattro belle mi-tragliere 22: con quelle non resta più inpiedi nessuno, roba pesante, da guerra -ed i cecoslovacchi vanno nella casa diMargini: la cura è affidata ad un compa-gno.Da questi primi eventi comincia a nasce-re un embrione di organizzazione milita-re che gradualmente si allarga, mano amano che il regime si sfascia come unatela vecchia. Non è difficile mettere in-sieme gente da armare così come armar-si. Basta andare alle spalle di un milite,puntargli qualcosa di molto duro allaschiena intimandogli di alzare le braccia,lo si disarma e gli si ordina di filare viasenza voltarsi… e quello se ne va felicis-simo di aver pagato così poco. […]Non solo, Michele riesce a farsi affidareuno stabilimento in Milano. Agli indu-striali preme salvare le fabbriche nel mo-mento in cui ci sarà la sollevazione, le fu-cilate, le cannonate; così quando prendia-mo con noi la colonna mista entriamonello stabilimento «Carlo Erba» in piazzaMaciacchini e lì stabiliamo una baseprovvisoria. […] Organizziamo la nostrabase in maniera da poter avere all’occor-renza un posto dove difenderci: la «CarloErba» diventa la nostra base militare giànel 1944.Arriviamo ad avere una posizione milita-re efficiente grazie alla base considerevo-le che abbiamo nello stabilimento che,con tutte le sue strutture interne, ci per-mette di mettere a tavola duemila personee di approntare un’assistenza sanitariaper duecento feriti. Dal punto di vista mi-litare, i chimici della «Carlo Erba», diloro iniziativa, ci aiutano preparando gasasfissianti... in caso di assedio non sareb-be entrato nessuno, ci sarebbe voluto il

cannone per entrare... cose fatte bene,con giudizio.A questo nucleo militare si unisce la par-tecipazione periferica di compagni e sim-patizzanti.Altro particolare molto importante: iosono in contatto, per ragioni di galera fat-ta insieme, con militanti socialisti(Sandro Pertini, Lelio Basso, eccetera)che hanno molta stima di me così comeio di loro, e ci si trova, ci si scambia opi-nioni. Una sera dell’autunno del ’44,dopo che noi abbiamo assorbito la colon-na mista e ci siamo già dati un’attrezzatu-ra militare, Pertini mi dice in un caffè dicorso Vercelli: «Guarda Perelli che c’èqualcosa che vi riguarda… ieri sera Ra-dio Nuova York, in lingua italiana, haparlato di collusioni tra anarchici e fasci-sti». Rimango molto colpito da questoavvenimento: evidentemente ai comunistidà fastidio la nascita di un movimentoanarchico militare in Italia. Noi abbiamogià le nostre brigate e che qualche ex fa-scista sia venuto con la colonna mista inmezzo a noi non si può escludere ma,d’altro canto, non si possono rifiutarequelli che al momento buono saltano sulcarro del vincitore e all’occorrenza sifanno pure ammazzare.Io mi allarmo: «Eh no! Eh no! Questonon me lo devono fare i comunisti», ecosì propongo a Corrado Bonfantini, ilquale ha organizzato le brigate socialisteMatteotti, di inquadrare le nostre brigatenelle Matteotti. E lui mi dice: «Volentie-ri!». I socialisti stanno cercando di esten-dere la loro influenza perché i comunistisono già molto forti e quindi gradisconoil nostro apporto militare. Così ci mettia-mo d’accordo: siccome loro fanno partedel CLN, che si è già costituito in

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CLNAI, io chiedo il riconoscimento delCLN per le nostre brigate e domando lefasce tricolori con i numeri di matricolaper i miei, inquadrandoci così nelleMatteotti. In questo modo abbiamo lespalle coperte.L’ho dovuto fare per forza. Sono entratonella legalità perché era il solo modo perdifendersi da un attacco vigliacco comequello dei comunisti. Collusione con i fa-scisti… ma scherziamo?Così le nostre brigate diventano brigatedel CLN, con la loro brava fascia tricolo-re, e in caso di combattimento saremmoriconosciuti dal governo CLN e non pre-si per banditi saccheggiatori da fucilaresul posto.[…]

Mario Mantovani, nato a Milano nel1897, muore nel 1977 dopo una vita diintensa militanza anarchica. Già arresta-to con Perelli a Milano nel 1922 per l’at-tentato al teatro Diana, anche lui tra-scorre il ventennio fascista tra carcere e

confino. Scappato dal campo di concen-tramento di Renicci d’Anghiari dopo l’8settembre 1943, torna a Milano e parte-cipa alla Resistenza nelle Bruzzi-Malatesta. Dopo la fine della guerra èuno dei militanti più noti e attivi dellaFederazione Comunista Libertaria AltaItalia e fonda il settimanale «Il Liberta-rio», che uscirà con alterne vicende finoal 1961, affermandosi come il più diffusogiornale anarchico dell’epoca. Trasferi-tosi a Roma, Mantovani lavora nel sinda-cato musicisti della C.G.I.L. e nel 1964diventa responsabile del settimanale«Umanità Nova» restandolo fino al 1968.Tornato in Lombardia, muore a Limbiatenel giugno del 1977.

[…] Avevamo formato un gruppo: le Bri-gate Bruzzi-Malatesta. Io erocomandante insieme a Pietropaolo ePerelli. Mi presi persino una fucilata nel-la gamba al comando di viale Sabotino[n. 10, sede delle Bruzzi-Malatesta dopola liberazione]: c’erano dei giovani chemaneggiavano delle armi e sfuggì loro uncolpo che traversò prima le chiappe diMichele [Germinal Concordia] e poi uscìcolpendomi alla gamba.Nella sede c’erano armi, la roba requisitaai fascisti e alla Stazione Centrale, ove itedeschi avevano preparato il materialeper la fuga nei giorni precedenti la libera-zione.Noi agivamo per conto nostro, senza rap-porti con gli alleati; i rapporti li abbiamoavuti dopo per fare il giornale: ci volevala carta, ci voleva il loro permesso ed iorisolsi il problema dichiarando che sitrattava di un supplemento di «UmanitàNova», che usciva a Roma, facendo cosìarrabbiare [Ivan] Aiati [direttore di

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«Umanità Nova»], ma riuscendo a fareuscire «Il Libertario».Avevamo sequestrato anche un sacco dimacchine da scrivere e calcolatrici che itedeschi avevano depositato a SanVittore [carcere milanese liberato dall’in-terno la notte del 24 aprile 1945 ad operadegli stessi detenuti politici guidati daGerminal Concordia, allora in arresto] eche portammo nella nostra sede. Neigiorni successivi queste macchine dascrivere furono tutte distribuite ai gruppi:ovunque si costituiva un gruppo glieneregalavamo una.[…]Facemmo i funerali di [Pietro] Bruzzi nel’45, subito dopo la liberazione [Bruzziera stato fucilato nel febbraio ’44 e da luiavevano preso nome due brigatelibertarie,una operante a Milano ed unain Lomellina]. Avevano ammazzato untedesco e per rappresaglia presero lui in-sieme ad un giovane comunista. In realtàdoveva essere liberato, ma per una diffe-renza di due giorni, dovuta al fatto che ilgiudice era sfollato per il finesettimana,mancava la firma al mandato per la sualiberazione dopo che aveva già finito discontare la pena per essere stato trovatocon dei giornali clandestini. Purtroppoquando il giudice tornò la rappresagliaera già successa.Così dopo la liberazione facemmo i fune-rali anche per un’affermazione nostra,perché se non eravamo noi a parlare glialtri si occupavano di esaltare solo l’ope-ra dei partiti. Noi invece volevamo dimo-strare che esistevamo anche noi, che ave-vamo sofferto la nostra parte nelledeportazioni, nelle fucilazioni e nelleincarcerazioni.Così attraversammo con il feretro piazzadel Duomo: malgrado non ci volessero

dare il permesso noi passammo lo stesso.Avevamo un pullman sequestrato, un car-ro armato e venendo da Porta Romanapassammo per piazza del Duomo, viaDante sino ad arrivare al Castello, doveci fermammo. Poi la salma fu portata alcimitero di Musocco. Al corteo parteci-parono migliaia di persone: c’eravamonoi in divisa (non per esibizionismo maper affermare la nostra presenza), almenoun centinaio delle Bruzzi-Malatesta con ifazzoletti rossi e neri e giacche pseudo-militari, poi c’era la gente e inoltre c’era-no molte automobili sequestrate che inseguito consegnai ai compagni di Bari edi Pisa per la loro propaganda. […]A Porta Romana avevamo anche distri-buito alla popolazione viveri che aveva-mo sequestrato [nelle caserme della XMAS occupate il 25 aprile dalle Bruzzi-Malatesta] e fu l’unica distribuzione pub-blica da parte dei «liberatori», perché glialtri partiti si guardarono bene dal distri-buire qualcosa. Noi invece mettemmo unservizio d’ordine di vigili per regolare laprocessione di gente che era lì a prender-si il pacco di pasta, di riso, di zucchero...La gente ne era impressionata, colpita,molti si chiedevano: «Com’è possibile? Èla prima volta che ricevo qualcosa da unpartito», e noi rispondevamo: «Noi nonsiamo un partito».Erano questi elementi che, in quel tempo,se li avessimo saputi sfruttare, sarebberoserviti ad una propaganda veramente effi-cace... […] In via Sabotino c’era la sededelle brigate Bruzzi-Malatesta che poi di-ventò la sede della Federazione Comuni-sta Libertaria Alta Italia, costituitasi su-bito dopo la liberazione, così come delgiornale «Il Libertario», che si faceva quia Milano anche se di proposito non si

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metteva la tipografia. Tiravamo 20.000copie, tutte vendute, e andavamo avanticon i nostri mezzi senza bisogno di ele-mosinare a destra o a sinistra; addiritturanon riuscivamo a mandarle ovunque fos-sero richieste. A Roma era più diffuso di«Umanità Nova», perché era più allamano trattando problemi vicini e cono-sciuti, il linguaggio era facile non astrat-to, insomma aveva una vendita veramen-te buona anche nelle edicole malgrado larete di distribuzione passasse soprattuttoper i gruppi. […]«Il Libertario» era tenuto in considera-zione dal resto della stampa come espres-sione di un movimento. […] Facemmouna campagna contro il governo Parri,malgrado fosse un governo sorto dalla li-berazione, in cui c’erano anche i comuni-sti che avevano la maniglia della porta ederano entrati con Scoccimarro alle Finan-ze. Questi aveva promesso di eliminare lalira e sostituirla con un’altra moneta perimpedire che gli arricchiti di guerra, i«pescecani», e i fascisti ne potessero ap-profittare: non lo fece tirando fuori unadifesa assurda, sciocca, ovvero che eranostati smarriti i cliché e quindi non si pote-vano fare nuove monete! […]Facemmo su «Il Libertario» un’altragrande battaglia contro l’amnistia ai fa-scisti proposta da Togliatti; poi ci fu l’af-fare di Schio, quando nessun giornaleebbe il coraggio di prenderne le difese:noi invece difendemmo quelli che eranoentrati nelle prigioni ed avevano ammaz-zato tutti i prigionieri fascisti dopo l’am-nistia. […]

A pagina 33: Mario Orazio Perelli

A pagina 37: Mario Mantovani in una fotosegnaletica degli anni '20

Antonio Pietropaolo, nato in Calabria

nel 1899 si trasferisce ben presto a

Milano. Qui viene arrestato in rela-

zione all’attentato al Teatro Diana e

condannato a una lunga detenzione.

Liberato per un’amnistia nel 1932,

trascorre due anni di libertà vigilata a

Vibo Valentia finiti i quali torna a

Milano. Durante la Resistenza parte-

cipa alle azioni delle Bruzzi-

Malatesta nel pavese e a Milano.

Dopo la liberazione si allontana, in-

sieme a Perelli e Concordia, dal mo-

vimento anarchico. Muore a Milano

l’1.1.1965.

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TESTIMONIANZE ORALI

Il «Moro» delle Ferrierea cura di Tobia Imperato

Ilio Baroni, nome di battaglia «Il Moro»,muore nell’aprile 1945, durante la libera-zione di Torino, nel corso di una azionedella VIIa Brigata SAP, di cui è comandan-te. Baroni è un anarchico di Piombino,dove è nato il 25.5.1902, che ha conosciutotutta la trafila antifascista dell’epoca. Nel1922 si scontra ripetutamente con lesquadracce fasciste e, perseguitato, devetrasferirsi a Torino, dove lavora alleFerriere Piemontesi. Nel 1937, dopo untentativo non riuscito l’anno precedente,decide di partire per la Spagna, ma giuntoa Parigi viene convinto dagli anarchici ita-liani lì rifugiati a tornare a Torino permantenere i collegamenti con gli operaidelle Ferriere e del quartiere Barriera diMilano dove è molto conosciuto e ascolta-to. Tornato in Italia,poco dopo viene perònuovamente arrestato einviato al confino fino aldicembre 1942. Rilascia-to, rientra nuovamente aTorino e alle Ferriere,dove svolge un’intensaattività sindacale. Pro-prio all’interno delleFerriere nasce la VIIa

Brigata SAP.Tobia Imperato sta rac-cogliendo materiale e te-stimonianze sull’attivitàdi Ilio Baroni e qui di se-guito riportiamo alcuni

brevi stralci di due interviste da lui fatte nelmarzo 1995 a compagni di lavoro e di lottadi Baroni.

Testimonianza di Aldo Demi, volontarionelle brigate internazionali in Spagna ecognato di Baroni

[…] Alle Ferriere c’erano parecchi antifasci-sti, tant’è vero che quando nel ’35 volevanofarci iscrivere al sindacato fascista noi di-cemmo di no. In tutto il reparto laminatoi,dove lavorava Ilio, vi furono soltanto po-chissimi - si contavano sulle dita - che siiscrissero. C’erano diversi anarchici. Ilio eraconosciuto come anarchico: ci sapeva fare…Alle Ferriere c’erano dentro i tedeschi. Peròil direttore era molto «legato» a mio cogna-

to, perché la FIAT tene-va il piede in due staffe.Erano stati minati i trenie Ilio - non so se da soloo con altri - li sminò,mettendo a rischio lapropria esistenza perchépotevano saltare da unmomento all’altro. Ed èper quello che la FIAT inseguito… erano sicura-mente a conoscenza dellasquadra SAP attiva nelleFerriere: uscivano ed en-travano dalle Ferrierequando volevano, il di-rettore sapeva tutto.[…]

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Testimonianza di Mario Trombetta,partigiano VIIa brigata SAP e attualepresidente della sezione ANPI «Ilio Ba-roni» di Torino

[…] Baroni era comandante di brigata emio padre era vice-comandante. C’era unasquadra di manovra che viveva alleFerriere e quando era il caso venivano an-che i GAP e un po’ tutti i partigiani cherientravano dalle montagne. Con questasquadra di manovra un giorno sì e un gior-no no si facevano i disarmi: si andava fuori,si prendevano isolatamente le brigate nere,la X Mas o la Ettore Muti, e si procedeva aldisarmo. […] Baroni era veramente unuomo d’azione, un anarchico. Certo nonpoteva fare un’eccessiva propaganda anar-chica perché aveva ben altri compiti dasvolgere… Era diventato comandante dellaVIIa brigata SAP ma era già stato attivo pri-ma nella difesa sindacale all’interno dellafabbrica. Era molto conosciuto, era un pun-to di forza del movimento operaio.[…]Quando è morto, Baroni era con «Lucio»(Giulio Oberti), comandante di distacca-mento. In corso Giulio Cesare hanno attac-cato un nostro camion… i nostri sono pri-gionieri dietro al camion e ci sono icecchini sul corso Giulio Cesare angolo viaNovara. Partiamo io, «Lucio» e Baroni conun motocarro: sopra c’è la «crava», un fuci-le mitragliatore. Mentre stiamo per andaresentiamo sparare: i nostri compagni hannoattaccato un treno di tedeschi. Allora scen-diamo e attacchiamo anche noi il treno peruna buona mezz’ora finché i tedeschi nonsi arrendono. Esaurita questa operazione,torno indietro e cerco Baroni, ma mi dico-no che è già andato via con Lucio. Tornoindietro e arriva la notizia:«Hanno sparatoa Moro».

Sopra: Nato il 24 novembre 1901 a PratoCarnico, zona di antica e radicata tradizioneanarchica, Italo Cristofoli, «ferventesovversivo», come recita una circolare di polizia,conosce come tanti altri il confino, cui vienemandato nel 1933 per aver partecipato ai funeralidi un altro anarchico: Giovanni Casali (si vedaa questo proposito il libro di Claudio Venza,Marco Puppini, Daniela Gagliani, «Compagnotante cose vorrei dirti…», Il funerale di GiovanniCasali, anarchico, Prato Carnico, 1933, CentroEditoriale Friuliano, 1984).Proprio nella zona di Prato Carnico si forma ilprimo nucleo della Brigata Carnia, poi divenutaparte integrante delle Garibaldi, ma natainizialmente grazie alla determinazione e allarete organizzativa costruita dalle tante famiglieanarchiche di quest’area. Come quella di IdoPetris (Pradumbli), allora ragazzino, che in unatestimonianza audio raccolta da Elis Fraccaronel marzo 1995 racconta del formarsi di questeprime bande partigiane tutte passate per la casadella sua famiglia, che fungeva un po’ da quartiergenerale clandestino. Di qui passa naturalmenteanche Italo Cristofoli, divenuto nel frattempo ilcomandante «Aso», che mette a segno una seriedi azioni temerarie che lo renderanno famoso intutta la zona di intervento. Proprio nel corso diuna di queste azioni, contro il presidio tedescodi Sappada, «Aso» muore il 27 luglio 1944.

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Anarchici e libertarinella Resistenza cuneese

di Antonio Lombardo

Dei quarantatre antifascisti cuneesi cheparteciparono alla difesa della Repubblicaspagnola nel 1936 due erano anarchici eparteciparono nelle file della ColonnaAscaso: Antonio Bono, di Busca, mortopoi nel lager di Mauthausen il 12.9.1941 eAlfredo Pianta di Castiglione Falletto.Nato nel 1907, il 27 novembre, AlfredoPianta nel 1924 lascia Castiglione Fallettoper la Francia dove continua l’attivitàsovversiva. Nell’agosto del 1936 è inSpagna, arruolato nelle milizie di CarloRosselli, Umberto Marzocchi, MeucciCafiero, Bimbo... Ferito, ritrasportato inFrancia, appena guarito riparte per la Spa-gna. Tornato in Italia viene arrestato nel1942. Condannato dal tribunale di Cuneoal campo di Ventotene, ne verrà liberatosolo a fine agosto dell’anno successivo.Con altri raggiunge a piedi il suo paesegiusto per l’8 settembre 1943. Nel no-vembre dello stesso anno appena «Lupo»(Alberto Gabrielli) organizza la primabanda in zona, lo raggiunge e farà la Resi-stenza fino ad entrare in Albalibera con la 48ª Brigata dellaXIV Divisione Garibaldi «Lui-gi Capriolo». Prima di essereinquadrato nella 48ª Brigata,Pianta combatte nella banda di«Lupo», banda non inquadratanelle Garibaldi e malvista dal-la dirigenza del P.C.I. secondocui: «Una banda è uno stadioinferiore dell’organizzazione

militare, un concetto che evoca forme digrezza ed instabile milizia armata» (i co-munisti non cessano mai di osteggiare ilmodello miliziano anarchico, della sini-stra trotzkista e dell’antifascismorosselliano, tipico della «colonna» nellaguerra di Spagna).Nella primavera del ’44 fonda con LuigiCapriolo la XIV Divisione Garibaldi aBarolo e ci resterà fino alla liberazione.Irrequieto, nonostante la regolarizzazionedella formazione mantiene sincera amici-zia con un altro partigiano irrequieto e in-dividualista non aggregato ad alcuna for-mazione: Louis Chabas detto «Lulù».Ebreo ventenne, al quale i nazisti avevanosterminato la famiglia, deportato dallaFrancia, prigioniero nella caserma diFossano, liberato dai partigiani, «Lulù» siaggrega ad un piccolo gruppo di partigia-

ni doglianesi che non fanno par-te di alcuna formazione fissa;agirà sempre in un gruppo nonsuperiore alle cinque unità espesso da solo. In Langa diventasubito una leggenda. Proprio inuna delle sue azioni individuali-stiche «Lulù» troverà la morte«per fuoco amico», come sidice. Una sera a Benevagiennadecide un’azione vestito da uffi-ciale tedesco, cosa che può farein quanto conosce bene la linguadel nemico tant’è che più voltesi è già infiltrato nelle sue linee.

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Appostato conla sua auto in-cappa in unaronda di G.L. enon risponden-do subito al«chi va là»viene mitra-gliato a morte.Il suo funeralesarà un tristemomento diunità partigia-na tra forma-zioni diverseche comunquene riconosce-vano il valore.Alfredo Pianta intanto continua la sua lot-ta e non smobilita neppure dopo il procla-ma di Alexander che considera i partigia-ni come truppe tattiche degli Alleati. Ri-mane nella zona di La Morra, Barolo,Castiglione Falletto dove aveva sostenutola battaglia del 20 novembre contro un ra-strellamento nazifascista. A gennaio del’45 si unificano i comandi secondo unoschema di militarizzazione che Alfredo hagià conosciuto in Spagna. In effetti inquell’inverno si registrano solo diserzioninelle file fasciste e quindi problemi diriorganizzazione interna ai partigiani.Nell’aprile 1945 si concentra l’attacco adAlba e tutto avverrà nei suoi dintorni: il18 aprile si scontra con una colonna mo-torizzata nazista e la sua formazione assu-me il controllo della zona Monforte-Narzole-Cherasco. Alba è ben presto libe-ra e tutti convergono su Torino dove stan-no ripiegando le divisioni tedesche chehanno lasciato alla propria fine i collabo-razionisti delle SS italiane. Questi spara-

noall’impazzatatrucidando gliultimi civili inun’isteria cie-ca. Dopo la li-berazione, Al-fredo Piantadeciderà dinon vivere inItalia dovevede ritornareai propri postisegretari, pre-fetti e politicidel fascismo edove vedrà ipartigiani

chiamati solo alle commemorazioni. Durocon i compagni, parlerà di tradimento erimarcherà ancora di più la sua sceltaanarchica. Verrà ritrovato da due donneannegato sulla spiaggia di La Napoule vi-cino a Nizza il 1 luglio 1994.Un altro partigiano anarchico nella Resi-stenza cuneese, attivo fin dall’8 settembredel ’43 è Nardo Dunchi, autore del libroMemorie partigiane (L’Arciere, Cuneo,1982). Carrarino, scultore, come ricordaNicola Tranfaglia nella prefazione del li-bro è «tenente degli alpini quando l’ottosettembre coglie l’esercito italiano in sfa-celo e la IV armata in ritirata dalla Fran-cia senza direttive». Dunchi non ha esita-zioni: «Far fuori il colonnello e tutti glialtri che sono d’accordo con lui a calar lebraghe. Dopo prendiamo in mano la trup-pa, armi e bagagli, ripuliamo la città daifascisti e ci prepariamo a combattere i te-deschi». Va da sé che gli altri ufficiali tro-vino pericoloso il suo appello, tuttavia ilsuo esempio non è inutile: Dunchi mette

Tesi e ricerche

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insieme un primo gruppo e raggiunge su-bito la montagna dove costituisce con gliuomini di Ignazio Vian e Franco Ravinalela «Banda Boves» che avrà nei primi mesidi lotta un ruolo importante in tutta lazona. Opera nel cuneese fino alla prima-vera del ’44, con la formazione partigianadei repubblicani del capitano Cosa. Moltele azioni portate avanti a Boves, in ValleStura, a Vinadio, in Valle Pesio e ValleEllero: rifornisce di armi le formazioni,partecipa alla distruzione del ponte ferro-viario di Vernante, all’assalto dell’aero-porto di Mondovì, al sabotaggio delsilurificio di Beinette, della centrale elet-trica di Busca e a decine di azioni di ap-provvigionamento ai danni di fascisti efunzionari collaborazionisti. In primaverail capitano Cosa gli comunica che l’orga-nizzazione ligure «Otto» lo vuole nelleAlpi Apuane per crearvi bande partigiane,così Nardo Dunchi lascia il cuneese e rag-giunge clandestinamente Carrara.A Mondovì e in Val Casotto operano an-che Pietro e Davide Siccardi, padre e fi-glio. Pietro Siccardi, pittore, poeta, lette-rato, è un nome conosciuto a Mondovì: lasua è stata una delle firme più note dellefamose ceramiche monregalesi. Nato aFrabosa Soprana l’8 settembre 1883, vaesule in Francia nel 1922 all’avvento delregime fascista. Qui mantiene contatti congli anarchici fuoriusciti nel nizzardo chefrequenta insieme al figlioletto Davide.Non trovando lavoro per la sua famiglia,Pietro, fidando nella sua scelta di compor-tamento nonviolento, ritorna a Mondovìnel 1925. Lì fa il marmista e le vecchiepietre del cimitero testimoniano del suolavoro di ceramista e decoratore. Conti-nua a mantenere i contatti, non solo poli-tici ma anche intellettuali, e la sua bottega

diventa un circolo dove si parla di arte,letteratura, filosofia, dove si scambianoidee. Più volte incarcerato, nel 1943, giàanziano, salirà in montagna coi figli(dopo averne perso uno in Russia). Aldo esua sorella andranno con gli autonomi inVal Casotto; lui vivrà clandestino i ventimesi di lotta.Davide Siccardi si definisce anarchico finda giovanissimo. Subito dopo la caduta diMussolini Davide prende contatti con laResistenza a Mondovì che essendo a metàstrada tra Cuneo e la Liguria è un croce-via di antifascisti ancor più che il capo-luogo, e soprattutto è circondata da mon-tagne. Entra nella prima formazione pre-sente sul posto dopo l’8 settembre, quelladegli Autonomi di Mauri, badogliani fe-deli al re. Partecipa a tutte le battaglie del-la formazione, ma anche alla disfatta do-vuta alla strategia militare di Mauri checrede, da «onorato militare del re», alloscontro frontale col nemico invece chealla logica di guerriglia. Partecipa alla li-berazione di Mondovì nell’aprile del 1945.Il 13 agosto 1944 in una battaglia diLanga, a Murazzano, muore in combatti-mento «Spartaco» Ermini, incisore. Non ècuneese, ma di Figline Valdarno, dove ènato il 26 agosto 1924. Fa parte della Fe-derazione Libertaria Ligure, ma combattecon la Brigata Langhe delle FormazioniAutonome di Mauri. Una pietra bassa, incollina di Murazzano, lo ricorda senzadire che era un libertario e che la Resi-stenza la viveva sì, ma come Rivoluzionesociale.

A pagina 43: Fronte di Huesca (Spagna),settembre 1936. Alfredo Pianta (il quinto inalto da sinistra) con il berretto tipico deimiliziani posa con altri combattenti dellaColonna Ascaso.

Tesi e ricerche

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Album di famigliaRicordate questa foto simbolodella guerra civile spagnolascattata dal celebre RobertCapa? Ebbene solo recentemen-te una notizia d’agenzia ha rive-lato che, dopo laboriose ricer-che, si è riusciti a stabilirel’identità del miliziano la cuimorte è stata colta dall’obiettivodi Capa. Si tratta del

Album di famiglia

diciassettenne Federico Borrell,caduto il 5 settembre 1936 nellabattaglia di Cerro Muriano, inprovincia di Cordoba. FedericoBorrell, cosa affatto sorpren-dente, era anarchico, come mi-gliaia di altri miliziani partitiper il fronte per difendere la ri-voluzione.

46Varie ed eventuali

VARIE ED EVENTUALI

termini di tempo. Eccoperché si propone di rac-cogliere testimonianze dianarchici contemporaneiper i quali la figura diBakunin sia significativanon solo sul piano pura-mente teorico ma comeelemento attivo dell’im-maginario anarchico at-tuale. Qui di seguito se-gnaliamo il questionarioformulato da Pessin el’indirizzo al quale si

Mutuosoccorso

Alain Pessin, docente disociologia all’universitàdi Grenoble e autore dellibro La Rêverieanarchiste [1982], unostudio sulle aspettative(«i sogni») degli anarchi-ci, sta ora lavorando adun altro libro, in pro-gramma per l’Ate-lier de CréationLibertaire di Lione,per il quale chiedeun’ampia collabo-razione. La ricercaattuale è su MichailBakunin, ma nonper scrivere unabiografia dell’anar-chico russo o perillustrarne il pen-siero, quanto inve-ce per verificarel’impatto che lafigura diBakunin - ilsuo pensiero,certo, ma an-che la sua perso-nalità, la sua sto-ria biografica - haavuto su genera-zioni e generazionidi anarchici, anchemolto distanti da lui in

possono inviare le rispo-ste:

a) Come avete scopertoBakunin?

b) Cosa avete letto di luio su di lui?

c) C’è un episodio dellavita di Bakunin cheper voi è particolar-mente significativo?

d) Come definireste la fi-losofia politica diBakunin?e) Come possono es-sere utili nel mondoattuale una figura edun pensiero comequelli bakuniniani?f) Che immagine com-plessiva vi siete fattidi Bakunin?

Alain PessinDépartement desociologieUniversité PierreMendès-FranceB.P. 4738040 Grenoble Cedex9, Francia

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Come risulta chiaramente neldocumentario video appenaprodotto, durante la lottaarmata contro ilnazifascismo gli anarchicisono attivi in tutta l’areadove si svolgono leoperazioni militari. Benchésiano presenti in modocapillare, una delle zonedove tale presenza è piùmarcata è senz’altro quelladelle Apuane. Qui opera laBrigata «Gino Lucetti» (dicui sono comandante e vice-comandante, rispettivamente,Ugo Mazzucchelli e CarloVenturotti, entrambiintervistati nel video), laBrigata «Michele Schirru» ela Brigata «Elio».Comandante di quest’ultimaè Elio Wochiecevich (foto inalto), disertore gorizianoall’epoca ventenne, mentrevice-comandante è GiovanniMariga, «il Padovan» (fotoin basso), uno di quelli chenon si è fermato il 25 aprile.

Varie ed eventuali

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tel. e fax 02/28 46 923,orario 15,00-19,00 dei giorni feriali,

c/c postale n.14039200 intestato a: Centro Studi Libertari, Milano

Fotocopiato in proprio luglio 1995