S. Mazzoni - IL RE E LA COMUNICAzIONE DEL POTERE NELL’ARTE SIRO-ITTITA (XI-X SEC. A.C.)

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    Arte - PotereForme artistiche, istituzioni, paradigmi interpretativia cura diMarianna Castiglione e Alessandro Poggio

    Atti del convegno di studio tenuto a PisaScuola Normale Superiore, 25-27 Novembre 2010

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    SOMMARIO

    Introduzione 7Il re e la comunicazione del potere nell’arte siro-ittita (XI-X sec. a.C.) 11Stefania Mazzoni

    Scrittura e potere nella Grecia arcaica: il caso di Creta e Cipro 33 Albio Cesare Cassio

    Bacchiads, Cypselids and Archaic Isthmia 45 K.W. Arafat

    I signori di Corinto e l’arte della città. La formazione della polis 57sotto le dinastie bacchiade e cipselide Rachele Dubbini

    Observations on feminity and power in early Greece 77 Alan Johnston

    Myth and images on the Acropolis of Athens in the Archaic period 87Fabrizio Santi

    Pittura vascolare e politica ad Atene e in Occidente: vecchie teorie e nuove riflessioni 97 Monica de Cesare

    Società, architettura e immagini all’origine dell’arte romana 129Gabriele Cifani

    Oligarchie al potere:gnorimoi e politeia a Taranto 147Enzo Lippolis

    Art and power in Archaic Greek Sicily. Investigating the economic substratum 173Franco De Angelis

    Greek choral lyric poetry and the symbols of power 185Herwig Maehler

    Altari e potere 195Clemente Marconi

    L’artista alla sbarra: il processo a Fidia. Distorsioni storiche, invenzioni letterarie 207Eva Falaschi

    Immagini venatorie e monumenti dinastici: l’Impero Persiano tra centro e periferia 227 Alessandro Poggio

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    SOMMARIO

    Lycian dynast, Greek art: the two small friezes of the Nereid Monument at Xanthos 243Francis Prost

    Skopas alla corte macedone? Motivi stilistici skopadei tra Grecia e Macedonia 259Gianfranco AdornatoImmagini e potere alla corte dei Tolemei 273Elena Ghisellini

    La tomba dei Giulii a Glanum (St. Rémy-de-Provence) in Gallia Narbonensis.Le ambizioni politiche del programma iconografico 301 Maurizio Paoletti

    Modelli urbani per forme di autorappresentazione locale. Il monumento funerariodi uneques pompeianus a Porta di Nocera 325 Marianna Castiglione

    L’arte augustea negli studi attuali: una nota 339

    Eugenio PolitoErcole: l’immagine del potere (da Traiano ai Severi) 347 Michela De Bernardin

    Signa come segni. Riletture dell’antico per i Barberini 361 Lucia Faedo

    Referenze fotografiche e iconografiche 381

    Elenco degli autori 387

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    INTRODUZIONE

    porto, anche durante la fase organizzativa. Mi sia consentito di ringraziare la Scuola NormaleSuperiore, che ha reso possibile, e non solo finanziariamente, questa iniziativa, inserita nellecelebrazioni del bicentenario della fondazione. Un grazie speciale alle persone dell’ammini-strazione della Scuola per la generosa disponibilità in ogni singola fase della preparazione delconvegno: Isabella Ricco ed Eleonora Donati, il grafico Daniele Leccese, Andrea Pantani del-l’Ufficio Stampa, Francesco Casacci. Senza l’aiuto imprescindibile di Luana Cappelli e AldoRizzo non avrei potuto risolvere molteplici difficoltà logistiche. Un ringraziamento speciale vaalla Banca Monte dei Paschi di Siena che ha liberalmente messo a disposizione risorse per ilrimborso delle spese dei partecipanti, contribuendo in maniera significativa alla realizzazionedelle giornate di studio e alla pubblicazione di questo volume.

    Gianfranco Adornato

    Con poche variazioni questo volume rispecchia il programma del convegno Arte-Potere. Formeartistiche, istituzioni, paradigmi interpretativi , tenutosi a Pisa dal 25 al 27 novembre 2010 e con-cepito come momento di confronto tra studiosi che lavorano su cronologie e aree culturali delMediterraneo diverse. L’incontro si proponeva di indagare le complesse connessioni traarte e potere nel mondo antico, con la più ampia visione possibile, attraverso numerosi punti di vistae differenti metodologie.

    Il rapporto tra arte e potere è un tema rilevante nella storia degli studi di antichità, co-me già richiamato da Gianfranco Adornato nella sua Introduzione. Parlare del potere delleimmagini e dei messaggi del Potere veicolati attraverso le forme artistiche significa ritrovaree mettere a nudo funzioni, passaggi logici, intrecci, comportamenti e atteggiamenti mentaliantichi scevri da sovrastrutture e talora taciuti dalle fonti, spesso sovrainterpretate secondo

    categorie anacronistiche. Gli interventi in questo volume contribuiscono a restituire un quadromultiforme del tema. L’affermazione del potere attraverso l’arte si compie a diversi livelli, conla comunicazione verbale e visiva. Il potere, infatti, si manifesta attraverso elementi tangibili,quali il patrocinio di opere urbanistiche, architettoniche e artistiche, il repertorio delle produ-zioni artigianali, che, pur legate alle esigenze di mercato, ne esprimono e divulgano i valori,e la riorganizzazione di eventi culturali di interesse condiviso, ma anche tramite componen-ti ‘immateriali’, come la formulazione di percorsi simbolici e visuali, la gestualità ripetuta, ilcoinvolgimento sensoriale, la diffusione e appropriazione di miti, formule visive e tradizionicomuni, che costituiscono la memoria collettiva che il potere intende definire. Le intenzioni delpotere incontrano i destinatari (osservatori, lettori, partecipanti) nei ‘luoghi del Potere’, daglispazi pubblici alla sfera del privato, sino alle officine di produzione, che implicano l’interazio-ne con gli esecutori, gli acquirenti e anche i semplici osservatori delle immagini che il poterestesso ha scelto o individuato per la propria esaltazione. Ma accanto a queste coordinate spa-ziali ritroviamo, per entità politiche più complesse, la dialettica centro/periferia, e non potevaessere altrimenti: analisi come la serie Achaemenid History, hanno sottolineato l’importanzadi dinamiche politico-culturali più ampie. Si comprende allora quanta strada abbiano fatto glistudi sul mondo antico da quando fu pubblicato il celebre saggio di Ranuccio Bianchi Bandi-nelli Roma: l’arte romana nel centro del potere (Milano 1969): qui arte e potere, accoppiati findal titolo, indicano un quadro monolitico, in cui l’Urbe è sfondo ed essenza allo stesso tempodell’arte romana.

    La realtà che emerge dal presente volume è dunque più sfaccettata, mostrando che ilbinomio arte/potere è declinabile in maniera molteplice. Proprio questa poliedricità di fattori,elementi di una realtà fluida e tutt’altro che statica, costituiscono i numerosi livelli di lettu-ra e i vari campi di indagine che si è voluto esaminare durante il convegno e nei contributiqui raccolti. Gli autori hanno preso in considerazione diverse forme politiche ed espressioni

    artistiche nell’indagine sull’importanza della committenza nell’arte monumentale e nell’orga-

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    INTRODUZIONE

    nizzazione urbanistica (S. Mazzoni, K.W. Arafat, R. Dubbini, G. Cifani, C. Marconi, E. Poli-to); sull’autorappresentazione dinastica (A. Poggio, F. Prost, E. Ghisellini); sul potere socialedella femminilità, colto attraverso la documentazione archeologica (A. Johnston); sui processieconomici alla base di fenomeni artistici (F. De Angelis); sull’uso ‘politico’ dei miti (F. Santi,M. De Bernardin); sul ruolo della cultura letteraria nella percezione del rapporto tra arte epolitica (H. Maehler, E. Falaschi); sul legame tra le espressioni funerarie e la struttura sociale(E. Lippolis, M. Paoletti, M. Castiglione); sulla ricezione più recente del repertorio tradizionaleantico (L. Faedo). A questi temi si affianca la volontà di connettere e confrontare diversi luoghidel Mediterraneo e del mondo antico: Cipro e Creta (A. Cassio), Grecia e Occidente (M. deCesare), Anatolia e Macedonia (G. Adornato).

    La scelta della diacronia, dall’XI sec. a.C. ai Severi e la ripresa di immagini dell’arte anticain età moderna, consente di cogliere la continuità o discontinuità di processi storici, politici,artistici e di comportamenti socio-culturali presso popoli e in aree differenti gravitanti intornoal bacino del Mediterraneo. Per questo motivo, come per il convegno, anche per il presente vo-lume è stato mantenuto semplicemente un ordine diacronico che agevoli una lettura sincronicatra le diverse regioni del Mare nostrum e scoraggi distinzioni disciplinari troppo nette. Taleprospettiva rivela l’esigenza di un confronto sempre più stretto tra discipline nello studio delmondo antico e stimola la comparazione tra secoli e culture differenti; si tratta di un metodo diindagine adottato alla Scuola Normale Superiore e in parte già sperimentato in maniera frut-tuosa in occasione del precedente convegnoScolpire il marmo. Importazioni, artisti itineranti,scuole artistiche nel Mediterraneo antico (Atti a cura di G. Adornato, Milano 2010).

    La presenza di richiami e rimandi incrociati, che permettono una lettura trasversale attra-verso contributi comunque conchiusi in sé, consente dunque di elaborare riflessioni originalisu di un tema, quello del rapporto tra arte e potere, a lungo frequentato e dibattuto; e questocostituisce – a nostro parere – uno dei valori aggiunti del convegno e di tale volume.

    Ringraziamo Gianfranco Adornato per il costante supporto durante la preparazione degliatti; siamo inoltre grati agli altri membri del comitato scientifico del convegno, Elena Ghiselli-ni, Enzo Lippolis e Clemente Marconi, a Valeria Passerini e alla casa editrice LED.

    Marianna CastiglioneAlessandro Poggio

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    IL RE E LA COMUNICAZIONE DEL POTERENELL’ARTE SIRO-ITTITA (XI-X SEC. A.C.)Stefania Mazzoni

    1. L’ARTE SIRO-ITTITA TRA CONTINUITÀ E RINNOVAMENTO

    Negli ultimi due secoli del II e nel primo quarto del I millennio a.C., le capitali degli stati cheoccupano l’area tra Siria settentrionale e Anatolia meridionale sono partecipi di uno sviluppourbanistico e di una fioritura artistica e artigianale che non hanno precedenti (Fig. 1). È unprocesso documentato da diverse fonti: le fonti archeologiche locali danno evidenza di restimonumentali di cittadelle decorate da cicli di rilievi architettonici; le fonti testuali assire regi-

    strano i tributi che i re assiri ricevettero dai sovrani dell’area e i ricchi bottini che realizzarononel corso delle guerre di annessione, tra IX e VIII sec. a.C. Preziosi corredi di avorio intagliatoper mobili e per suppellettili diverse e oggetti in metallo nord-siriani e fenici sono infatti statirinvenuti nei palazzi assiri, e fedelmente rispecchiano quanto elencato dai testi.

    Tra i diversi generi, l’arte monumentale e in particolare il rilievo architettonico celebrati-vo hanno avuto un ruolo preminente in questo sviluppo con la formulazione di un linguaggioartistico originale e coerente, erede della millenaria tradizione dell’Età del Bronzo e insiemeespressione delle nuove tendenze dell’Età del Ferro. Quest’arte monumentale, con le sue im-magini rituali e di propaganda, ha reso possibile la trasmissione di temi e valori ideologici delpatrimonio iconografico orientale, offrendo stimoli vivificanti sia alla prima arte monumentaleneo-assira, e ai suoi rilievi storici a carattere narrativo, sia alla nascente arte greca, e ai suoimonumenti arcaici celebrativi 1.

    Per comprendere lo sviluppo dell’arte monumentale di questa fase, archeologicamentenota come Età del Ferro I-II, è indispensabile ricordare che essa emerge nella fase che segueimmediatamente il crollo dei grandi imperi dell’Età del Bronzo, intorno al 1200 a.C. Con ilvenir meno del dominio ittita nell’area, alcuni centri, specialmente Karkemish, già sede di unpotente governatorato ittita, assumono il controllo politico delle regioni tra Eufrate e costa me-diterranea. Karkemish diviene sede di un regno indipendente che mantiene il nome di «Hatti»,come è citato nelle fonti locali e assire, a prova di una sostanziale continuità politica con lafase precedente; a capo di questo regno sono infatti sovrani di un ramo della dinastia ittita

    1 Il tema è trattato in Mazzoni 2001, 324-328. Sugli stimoli dellakoine assira allo sviluppo dell’orientaliz-zante, si veda Gunter 2009. Sul complesso tema del rapporto e della possibile influenza dell’arte siro-ittita sull’ar -te neo-assira, dopo Winter 1982, si vedano Gilibert 2004; Bunnens 2005; Aro 2009. Sulla diffusione della tecnicadel rilievo ortostatico: Lippolis 2011.

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    STEFANIA MAZZONI

    che mantengono il titolo di «Gran Re» 2. Nei primi monumenti celebrativi iscritti, databili al-l’XI sec. a.C., si impiega il luvio geroglifico, che si manterrà con le dinastie successive fino allaconquista assira. Allo stesso modo, il centro di Malatya sull’alto Eufrate anatolico diviene sededi un regno controllato da un ramo di questa stessa dinastia e ne proviene una serie di rilievicelebrativi con iscrizioni in luvio geroglifico, databili all’XI sec. a.C. 3.

    In questa prima fase di autonomia, i sovrani locali, discendenti diretti dei re ittiti, pro-muovono con intenso fervore lo sviluppo urbanistico delle loro capitali e la ricostruzione dellecittadelle del potere; e per decorare palazzi, templi e porte adottano il rilievo e la sculturaarchitettonica, un genere artistico con il suo apparato iconografico, che proprio nell’ultima fasedell’impero ittita, nel XIII sec. a.C., aveva raggiunto un alto livello di maestria tecnica e nuoveforme di espressione, in un’inedita scala monumentale 4. È per questo motivo che il termine diarte e periodo siro-ittita, tra le diverse denominazioni invalse, è quello che meglio evidenzia ilprocesso di rigenerazione nella continuità delle tradizioni ittita e siriana insieme 5. La frammen-tazione politica dell’area in piccoli stati regionali nei secoli X-VIII e le diverse storie politichevissute si riflettono vistosamente nei percorsi culturali e artistici dei diversi centri, che espri-mono nell’arte monumentale linguaggi formali e stilistici di assai varia qualità e coerenza 6. Neivari cicli decorativi noti è tuttavia evidente, pure nella varietà stilistica, un processo formativoe di sviluppo sostanzialmente comune che documenta un’opera di cosciente ripresa e rielabo-razione di un repertorio di immagini e significati simbolici preesistente; questo nucleo vienerielaborato nei diversi centri artigianali in tempi e modi differenti e ulteriormente rigeneratoarricchendolo, di caso in caso e in tempi diversi, con apporti provenienti da numerosi contesti,esogeni ed endogeni, da contatti politici o commerciali, infine dal vario atteggiarsi delle moltecomponenti sociali e politiche che convivono nell’area, tra Aramei, Luvii, Assiri, Fenici, Ci-prioti e infine Greci.

    Questo periodo iniziale si data oggi con precisione alla seconda metà del XII e al-l’XI sec. a.C., grazie alla ricostruzione delle varie dinastie note dalle fonti, specie monumentali,per opera di John David Hawkins 7. Il processo di riurbanizzazione dell’area e di ristruttura-zione delle cittadelle e dei loro monumenti principali si ispira ai canoni monumentali della

    tradizione ittita. È importante notare come in questa fase si affermino talune tendenze regionalie come le scuole artistiche esprimano livelli diversi di aderenza al repertorio ittita. I rilievi del-la Porta dei Leoni, accesso monumentale alla cittadella di Malatya, mostrano nelle immaginidel sovrano, che celebra i riti davanti alle divinità, caratteri pienamente ittiti, anche nell’ab-bigliamento e nell’impostazione scenica (Fig. 2) 8. A Karkemish, i rilievi delWater Gate , chedall’Eufrate immette alla città alta, mostrano un repertorio più originale, e stilisticamente piùevoluto, anche nella scena dell’omaggio al Dio della Tempesta con il suo carro trainato dal toroche ricorre simile a Malatya (Fig. 3) 9. Nei due casi, l’adesione alla tradizione ittita è evidentenella pratica della decorazione monumentale architettonica delle porte, che richiama quelladella cittadella di Alaca Höyük, nel cuore dell’altopiano anatolico, e nella scelta dell’icono-grafia dell’omaggio del sovrano agli dei e, in particolare, al Dio della Tempesta, come atto diautolegittimazione (Fig. 4); il sovrano è il tramite tra comunità e divinità e assicura con i suoiriti la protezione al paese e alla sua dinastia 10. Le porte consentono l’ingresso alla cittadella

    2 Giusfredi 2010, 37-44; Hawkins 2000, 73-79, 282-288. 3 Ivi , 282-288. 4 I rilievi della porta della cittadella di Alaca Höyük e il monumento di Eflatun Pınar possono essereconsiderati, più di altri casi di rilievi rupestri o monumenti diversi, gli antecedenti diretti del rilievo architettonicodell’Età del Ferro. Si vedano Emre 2002; Bachmann - Özenir 2004; Ehringhaus 2005, 6-11, 14-31, 50-57; Sagona -Zimanski 2009, 276-283; Harmanşah 2011, 634-638; Gilibert 2011. 5 Tardo-ittita in Orthmann 1971; neo-ittita in Hawkins 2000; neo-siriana in Matthiae 1997; siro-ittita inBonatz 2000 e Gilibert 2011. Per le varie denominazioni, si vedano Bonatz 2000, 4; Gilibert 2011, 2. 6 Harmanşah (2011, 638) titola infatti «A Fragmented Universe» il capitolo sull’Età del Ferro. 7 Si veda il suocorpus delle iscrizioni in luvio geroglifico (Hawkins 2000). 8 Poli 2007. 9 Mazzoni 1997a, 316, figg. 4 e 10; Gilibert 2011, 25-30. 10 Sul ruolo protettivo del re ittita nei rilievi monumentali: Bonatz 2007, 121-127.

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    istituzionale, e sono dunque il luogo dove vengono compiuti i riti che permettono di suggellarequesto patto e di dare in conseguenza visibile e formale legittimazione alla regalità. La deco-razione delle porte costituisce un esplicito riferimento visuale che rafforza simbolicamente lospazio delle attività rituali: i rilievi non sono solo una quinta scenica decorativa o il fondaledello spazio rituale del paesaggio urbano; sono invece illustrazioni integrate nel percorso com-memorativo 11.

    Che questo periodo costituisca un momento nodale nella trasmissione del repertorio ico-nografico dell’Età del Bronzo lo dimostra la decorazione della cella del tempio del Dio dellaTempesta di Aleppo. Il tempio fu ricostruito lungo l’arco dell’Età del Bronzo, fu decorato darilievi in età ittita, nel corso del XIII sec. a.C., fu poi rimaneggiato con l’aggiunta di nuove scul-ture nell’XI secolo e successivamente decorato di nuovo nel X-IX secolo, come i recenti scavi estudi di Kay Kohlmeyer hanno potuto chiarire 12. La cella della fase dell’XI sec. a.C. presenta ilmuro di fondo orientale decorato da un contrafforte con il rilievo del sovrano Taita raffiguratonel gesto usuale ittita con la mano chiusa in atto di omaggio davanti al Dio della Tempesta,Tarhunza, mostrato in atteggiamento di trionfo (Fig. 5). È stato giustamente notato come ilrilievo di Taita, con la sua lunga iscrizione in luvio geroglifico, presenti caratteri stilistici recen-ziori rispetto al rilievo del dio; si tratta dunque di un’aggiunta a una decorazione più antica.Taita si definisce nella sua iscrizione «Re ed eroe della terra di Padasatini», regno già notoanche da iscrizioni della regione dell’Oronte medio (Meharde) e basso (Tell Tainat), ovveroquella piana di ‘Amuq con la sua capitale Kunalua (forse Tell Tainat con una monumentale cit-tadella con palazzi di IX e VIII sec. a.C.), nota anche come Pattina agli Assiri nel IX secolo 13.La lettura del nome «Padasatini» da parte di Hawkins come «Palistin», dalla intrigante asso-nanza con i Filistei e i Peleset dei Popoli del Mare, permette oggi di ricostruire per questa faseuna nuova entità politica, apparentemente non autoctona; questo regno avrebbe controllatol’area cilicia con la piana dello ‘Amuq e il basso Oronte intorno all’XI sec. a.C. In un tale sce-nario politico il restauro e l’abbellimento voluto da Taita del tempio più celebrato della Siriasettentrionale assumono allora un chiaro significato politico; e maggiormente la dedica con lasua iscrizione e l’immagine del re in atto di devozione davanti al potente Dio della Tempesta. Il

    rilievo, con il gesto di omaggio secondo la tradizione ittita, commemora il rito certo celebratoda Taita in quel luogo, ne perpetua la memoria, e insieme suggella e rende visualmente esplicitae non dubitabile la legittimità di Taita a governare il suo regno davanti al dio tutelare.

    Pur con i suoi aspetti formali innovativi, e in alcuni tratti non canonici, come il non avererispettato la regola della minore dimensione del re davanti al dio, la decorazione di Taita del-l’XI sec. a.C. si pone all’interno della tradizione scultorea ittita. Rilievi più antichi ittiti decora-vano peraltro già la cella. La decorazione delle pareti orientale e meridionale e del basamentosettentrionale laterale, che sarà poi nuovamente decorato nel X sec. a.C., presenta rilievi ittitireimpiegati (il Dio della Tempesta e altri geni compositi, le lastre decorate a falsa finestra). Laricostruzione dell’XI secolo non innova né la struttura decorativa, né apparentemente l’im-pianto a cella larga, forse con ingresso a gomito, come ricostruisce Kohlmeyer, mentre maggio-ri trasformazioni nel repertorio iconografico e nel riposizionamento della cella lunga con murodi fondo a nord si avranno nella terza e ultima fase del X secolo.

    La sicura datazione delle fasi del tempio di Aleppo ha permesso di riconsiderare la com-plessa e non risolta attribuzione cronologica della decorazione monumentale del tempio di‘Ain Dara, grande centro sul corso del fiume Afrin, che da nord si immette nello ‘Amuq 14.Possiamo, sulla base del confronto con i rilievi di Aleppo, confermare una prima fase ittita diXIII secolo con le immagini delle divinità sul peribolo esterno posteriore e le lastre con i geni

    11 Mazzoni 1997a; ma si veda ora più specificatamente, sul tema della funzione rituale degli spazi e delledecorazioni parietali relative, Gilibert 2011, in particolare 97-114. 12 Gonnella - Khayyata - Kohlmeyer 2005; Kohlmeyer 2009. 13 Per l’iscrizione di Taita: Hawkins 2009; 2011. Per gli ultimi risultati degli scavi di Tell Tainat: Harrison2009. 14 Abu ‘Assaf 1990. Si vedano il confronto operato da Kohlmeyer 2008 e la datazione già proposta da Maz-zoni 2000.

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    compositi del piedistallo interno laterale, la decorazione dell’anticella a false finestre (Fig. 6 ),l’ingresso monumentale con le protomi di sfingi; a una seconda fase post-ittita di XI secoloapparterrebbe il plinto esterno con la teoria di leoni e sfingi, probabilmente ricostruito, inuna terza fase, nel corso del X sec. a.C. Anche in questo sito alcuni rilievi, come la stele delladea Ishtar/Shaushga seminuda, o i rilievi con gli dei della montagna sono di chiara ispirazioneittita 15. Ittita è anche l’impianto scenografico con la sua decorazione plastica e volumetrica cherichiama il monumento alla sorgente di Eflatun Pınar, con le file di geni e divinità in posizionedi Atlante a sostenere il rilievo del sole alato posto a sommità del monumento.

    È possibile che, specie nei centri dell’Anatolia meridionale, l’arte ittita abbia conosciutoun’ultima fase di grande sviluppo e di accentuata monumentalità, che ci è documentata dai 250tra rilievi, protomi di sfingi e stipiti a figura leonina della cava scultorea di Yesemek (Islahiye)e dai pochi rilievi, identici nello stile e nelle tecniche, prodotti della stessa bottega scultorea, aSıkızlar, nella Siria settentrionale 16. È chiaro che queste opere, dalla costosa e complessa lavo-razione, dovevano essere destinate a decorare diverse porte e monumenti di città dell’area; lacava probabilmente operò per un breve periodo, forse per la vicina Zincirli Höyük, dove sonostate rinvenute, ma non in posto, protomi di sfingi di questa bottega, o forse per un centroittita nelle sue vicinanze, visto che Zincirli sembra essere stata fondata come capitale di unregno arameo non prima del IX sec. a.C., come dimostrano oggi i nuovi scavi sul sito 17. La cavafu forse abbandonata o comunque le opere non raggiunsero mai la loro destinazione finale,probabilmente al tempo del crollo del dominio ittita e comunque prima che si ricostituisse lageografia politica dell’area, con regni autonomi e con dinasti che potessero assicurare la com-mittenza di opere così monumentali.

    Il rilievo ittita si caratterizza nella sua fase finale, prima della crisi del XII sec. a.C., per lavarietà e la monumentalità delle sue manifestazioni, delle sue funzioni spazio-architettoniche edei suoi significati ideologici. La tendenza a modellare gli spazi urbano e naturale in una sceno-grafia simbolica che si integra funzionalmente ai riti officiati ne costituisce il tratto più origina-le. Da questa tradizione discendono direttamente 18 le manifestazioni artistiche della nuova fasedell’XI sec. a.C., che sono opera di dinastie di origine ittita e di nuove componenti non native

    che adottarono i modelli ittiti come strumento di legittimazione.

    15 Orthmann 1993; 2002a; 2002b. 16 Duru 2004 e 2011; Mazzoni 1984 e 1986-1987. 17 Per uno stipite leonino della stessa cava: Schloen - Fink 2009, 210. La presenza di un rilievo con i genidella montagna nella vicina Gerçin Tepe (Duru 2004, 98, tav. 60.1), porterebbe a identificare questo sito come ilcentro preminente della vallata del Karasu tra XIII e XI sec. a.C. 18 Per la continuità tra fase ittita e siro-ittita: Harmanşah 2011, 636-640.

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    SCRITTURA E POTERENELLA GRECIA ARCAICA:IL CASO DI CRETA E CIPRO Albio Cesare Cassio

    Proviamo a fotografare rapidamente la situazione della scrittura in Grecia tra il VII e ilV sec. a.C. La lineare B usata per l’antica amministrazione palaziale era scomparsa da secoli.In tutto l’amplissimo mondo di lingua greca, che andava dall’Asia Minore al continente grecovero e proprio, alle isole dell’Egeo, alle colonie dell’Italia meridionale, a quelle del Ponto e aCirene, si usava l’alfabeto, importato e modificato a partire da quello fenicio, che si era rapi-damente differenziato in un numero impressionante di alfabeti locali, con forme di lettere econvenzioni grafiche spesso fortemente divergenti, sui quali rimane fondamentale lo studio

    di Lilian H. Jeffery 1

    . La lingua era differenziata in numerosissimi dialetti spesso molto diversitra di loro e gli alfabeti non erano direttamente collegati ai dialetti: due isole vicinissime comeNasso e Paro avevano dialetti molto simili ma in epoca arcaica usavano alfabeti radicalmentediversi. L’alfabeto era usato dappertutto tranne che a Cipro, dove si usava per il dialetto localeil vecchio, anzi vecchissimo, sistema sillabico, derivato dalla scrittura che Sir Arthur Evanschiamò ciprominoico, a sua volta derivato dalla lineare A (è interessante notare che la scritturalocale di Cipro, destinata a durare fino al dominio tolemaico e anche oltre, deriva in ultimaanalisi da una scrittura importata da Creta prima del 1500 a.C.) 2.

    Fino al IV sec. a C. le iscrizioni su materiale durevole – pietra o metallo – sono gli unicitesti da cui possiamo farci un’idea di come si scriveva in una certa zona un testo greco. Natural-mente circolavano moltissimi testi di diversa natura su materiale deperibile – pelle di animali opapiro – ma non li abbiamo e possiamo fare solo supposizioni sulla base di altre fonti: notiziedi storici o antiquari, o testi letterari conservati in copie di epoca molto più tarda.

    Per la scrittura su materiale durevole – l’unica che possiamo, per così dire, toccare conmano – colpiscono non solo le differenze formali nell’uso della scrittura tra zona e zona, ma,cosa ancora più importante, la diversità dei contenuti: in altre parole, in alcune zone si trovanosolo testi di un certo tipo, altri tipi sono assenti; in alcune zone certi tipi di testo assumonocarattere monumentale, in altre no. Le ragioni possono essere molto diverse.

    Un caso emblematico è quello dell’epigramma funerario in esametri o distici elegiaci. L’i-dea che tutti ne hanno è che sia ampiamente diffuso nel mondo greco, cosa che è sostanzial-mente vera; ma, come spesso succede, le eccezioni sono più interessanti della norma. Per esem-pio in età arcaica e classica è quasi completamente assente da Sparta e dalla Laconia; questo è

    1 Jeffery 1990. 2 Si veda ora Olivier 2007.

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    probabilmente da mettere in rapporto con la proibizione, con eccezioni rarissime, di apporrenomi di persona sulle lastre tombali, di cui parla Plutarco nellaVita di Licurgo 3. In questocaso la pressione ideologica è evidentissima: il singolo è ritenuto un numero all’interno dellacollettività, e non deve apparire come individuo. Quindi in Laconia altri tipi di epigrammi, peresempio gli epigrammi dedicatori, sono ben rappresentati, mentre quelli funerari sono assenti.

    Gli epigrammi funerari sono assenti anche da Creta, ma per una ragione molto diversa:finora sull’isola non sono stati trovati epigrammi metrici su pietra o metallo risalenti all’etàarcaica o classica. Non è detto che un giorno non se ne trovi uno, ma sarebbe l’eccezione checonferma la regola. Dopo il VII sec. a.C., l’epoca del semi-mitico Taleta di Gortina, le tradizio-ni poetiche sembrano morire a Creta o comunque non hanno lasciato traccia scritta; quindi gliepigrammi funerari mancano perché mancano tutti gli epigrammi su materiale durevole.

    Invece se diamo un’occhiata a Corinto e alle sue colonie troviamo un mondo comple-tamente diverso: non solo gli epigrammi funerari ci sono, ma possono prendere un caratteremonumentale. Forse il caso in assoluto più impressionante è quello dell’epigramma iscrittosu un polyandrion, risalente alla metà del VI sec. a.C., scoperto nei dintorni di Arta (l’anticaAmbracia, colonia di Corinto). Il monumento ha una struttura molto semplice: si tratta di unaserie di blocchi di calcare decorate da un toro 4. Per tutta la lunghezza del monumento, quasi12 metri e mezzo, correva una grande iscrizione metrica in alfabeto corinzio arcaico con letterealte 10 centimetri che commemorava la morte, per opera di popolazioni indigene, dei com-ponenti di un’ambasciata mandata da Corinto ad Ambracia, dei quali sono ricordati i nomi.L’epigramma era di 10 versi (ne sono rimasti 8), una lunghezza eccezionale per un’iscrizionemetrica arcaica: tutto rivela nell’esecuzione di questo monumento una cura meticolosa e quasimaniacale. L’epigramma di Ambracia forse non è un manufatto artistico in senso stretto, maè il testo scritto che è monumentale, ricco di simbologia, con lettere grandi e molto regolari:in un certo senso è il testo che costituisce il monumento. In linea d’aria Sparta e Corinto nonsono poi così lontane, ma culturalmente sembrano essere mondi che non si toccano; a Spartaera probito scrivere sulle lastre tombali i nomi di persona, mentre in una colonia di Corinto iquattro versi finali di un epigramma sono occupati da nomi di persona.

    Uno degli ambiti in cui gli usi dei Greci erano molto diversi da zona a zona era quellodelle leggi. Non solo noi, ma già gli antichi si chiedevano perché a Sparta le leggi rimanesseronon scritte, come sappiamo da un aneddoto riportato in (pseudo) Plutarco:

    Ζευξίδαμοϲ, πυνθανομένου τινὸϲ διὰ τί τοὺϲ περὶ τῆϲ ἀνδρείαϲ νόμουϲ ἀγράφουϲ τηροῦϲι καὶ τοῖϲ νέοιϲἀπογραψάμενοι οὐ διδόαϲιν ἀναγινώϲκειν, ̒ ὅτιʼ ἔφη ̒ ϲυνεθίζεϲθαι< δεῖ ˃ ταῖϲ ἀνδραγαθίαιϲ κρεῖττον ἢ ταῖϲγραφαῖϲ προϲέχεινʼ. 5

    È ovvio che dietro il comportamento di Sparta c’è di nuovo l’ideologia ‘licurghea’, e quindi unaproibizione esplicita, ma in realtà lo scrivere leggi e decreti, che è così ovvio per noi, non lo èstato nel mondo greco fino a una certa epoca.

    L’introduzione della scrittura alfabetica in Grecia non ha portato a una ‘corsa’ alla scrit-tura delle leggi, anzi. In vari ambiti le leggi hanno per così dire faticato a raggiungere unaredazione scritta, per una serie di ragioni, spesso la forza di quello che noi chiamiamo dirittoconsuetudinario (customary law):

    Certaines cités, et non des moindres comme Sparte, […] sans ignorer l’écriture […] n’éprouventpas le besoin de s’en servir pour codifier les conduites qu’elles attendent de leurs concitoyens […]La coutume suffit. 6

    La perdita della scrittura su materiale deperibile rende aleatori molti ragionamenti, ma è co-munque significativo che nell’ VIII sec. a.C. non si trovi la minima traccia di leggi su pietra o

    3 Plu. Lyc. 27.3. 4 Cassio 1994. 5 Ps.-Plu. Apophthegmata laconica 221b. 6 Effenterre - Ruzé 1994, 1.

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    metallo, mentre abbiamo due componimenti poetici estremamente significativi, l’oinochoe delDipylon, che potrebbe risalire al 740 a.C., e la cosiddetta coppa di Nestore, che risale a circa il725 a.C. 7.

    La più antica legge scritta che abbiamo risale a circa il 650 a.C. ed è cretese: è la legge diDreros, che regola l’iterazione in carica di una tipica magistratura cretese, quella deiκόϲμοι 8.Attorno a quell’epoca cominciamo a sapere di legislatori che operano con leggi scritte, peresempio Caronda, Zaleuco un po’ più tardi, verso il 620 a.C., Dracone ad Atene con le leggiscritte su supporti di legno rotanti, gliaxones e lekurbeis. Ma fino a quasi tutto il VI sec. a.C. leleggi attestate epigraficamente sono abbastanza poche. Alla fine del VI secolo e agli inizi del Vla situazione cambia, e quasi tutte le città importanti cominciano ad avere leggi scritte.

    È il caso di sottolineare «quasi tutte» perché ci sono numerose eccezioni. Una delle piùnote, di cui ho già detto, è Sparta, dove la riforma di Licurgo aveva portato a una proibizioneesplicita di scrivere le leggi, quindi non ci meravigliamo che non siano attestate epigraficamen-te. Ma ci sono altre aree in cui leggi scritte su pietra o bronzo non sono attestate; una dellepiù interessanti è Cipro. Nessun testo greco contenente una vera e propria legge è stato finoratrovato sull’isola, e c’è anche dell’altro: diversamente da Sparta e da tante altre aree del mondogreco, nessun autore antico parla di legislatori di Cipro né di leggi specifiche in uso a Cipro. Ilcontrasto maggiore è con Creta, dove la maggioranza delle iscrizioni di età arcaica e classica,che sono moltissime, contengono testi legali, e talvolta le leggi scritte prendono una dimensio-ne monumentale; inoltre le leggi di Creta sono ampiamente discusse, e spesso mitizzate, nellaletteratura greca classica. Come mai nelle due isole più grandi del mondo greco troviamo unasituazione così sbilanciata?

    In realtà per ragioni diverse Creta e Cipro presentano molti aspetti misteriosi. Comin-ciamo da Creta. Il VI e il V sec. a.C. a Creta sono stati chiamati dagli archeologi «the silentcenturies» o addirittura «the Cretan Dark Ages», per l’impressione di generale impoverimentodella cultura e dell’arte cretese e isolamento di Creta dai mercati stranieri – anche se talvolta ilquadro può essere modificato da nuovi ritrovamenti, come è stato mostrato da Brice Ericksona proposito di Eleutherna 9. Dopo 120 anni è ancora in gran parte valido il breve ed efficacissi-

    mo quadro disegnato da Wilamowitz in Aristoteles und Athen: in epoca classica Creta ha per-duto ancor più di Sparta il legame con la cultura ellenica; né gli Ateniesi né gli Spartani sonoriusciti a trascinarla nella loro sfera di influenza, e l’isola non è stata toccata né dalla tirannidené dalla democrazia, né dalle novità intellettuali provenienti dalla Ionia e dalla Sicilia. Platonesapeva che ancora attorno al 360 a.C. i Cretesi non conoscevano quasi niente di Omero 10, ed’altronde non avevano neppure una poesia propria 11. E si può aggiungere dell’altro: i Cretesinon prendono parte alle guerre Persiane; nei giochi panellenici mancano quasi completamenteatleti cretesi; le città cretesi sembrano concentrare i loro sforzi sulle lotte intestine. Verso la finedel VII sec. a.C. c’è anche un forte declino nella produzione artistica, specialmente i bronzi,per cui Creta era stata famosa nel periodo geometrico e orientalizzante 12.

    In questa situazione, che non sembra esattamente florida dal punto di vista culturale, tro-viamo però a Creta una quantità impressionante di testi legali 13 – e di testi legali con particolari

    7 RispettivamenteCEG 432 e 454. La data fornita da Hansen in quella sede (525-520 a.C.) è notoriamenteerrata in maniera clamorosa.

    8 Effenterre - Ruzé 1994, n. 81. 9 Erickson 2004. 10 Pl. Lg. 680c. 11 Wilamowitz-Moellendorff 1893, 25 («[…] noch sehr viel mehr als Sparta hatte Kreta die fühlung mitder hellenischen cultur verloren. die insel, welche weder das attische reich noch die lakonische vorherrschaft inihre kreise gezogen hatten, war von der tyrannis und der demokratie, von der ionischen und sizilischen aufklä-rung verschont geblieben: Platon wusste, dass die Kreter noch um 360 den Homer kaum kannten, sie hatten aberauch keine eigene poesie […]»). A proposito di questa affermazione si può ricordare la mancanza di epigrammisu pietra di cui ho parlato sopra. 12 Boardman 1978, 9-17. 13 «The Cretans did not any longer produce impressive works of art, but they produced more legal inscrip-tions than the rest of Greece taken together» (Chaniotis 2005, 175).

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    caratteristiche di leggibilità e talvolta di monumentalità; queste caratteristiche raggiungono illoro apice nella più lunga e grandiosa iscrizione della Grecia classica, il cosiddetto Grande Co-dice di Gortina, che si sviluppa su 11 colonne per più di 600 righe di scrittura: un monumentoalla regolamentazione della vita sociale da parte di una classe dirigente conservatrice. E allabase dei testi scritti su pietra o metallo dovevano esserci numerosi testi su materiale deperibile:è stato ampiamente notato che la forma arrotondata di molte lettere dell’alfabeto cretese arcai-co mostra che la scrittura epigrafica seguiva il modello di una scrittura libraria, quindi moltoscritto doveva circolare su materiale deperibile 14.

    Sulla leggibilità e monumentalità delle leggi di Creta ha detto di recente cose importantiPaula Perlman, ricordando innanzitutto che un’iscrizione non è solo un testo, ma un manu-fatto 15, cosa che sembra una banalità ma non lo è affatto, soprattutto per linguisti e storicidel diritto che in genere vivono di trascrizioni su carta. Le leggi di Creta si trovano su edificipubblici e in alcuni casi sono iscritte su muri di templi; il caso più interessante è quello delleleggi iscritte sui muri del tempio di Apollo Pythios a Gortina (tardo VII-VI sec. a.C.). Lamiseen page è sicuramente pensata per agevolare un potenziale lettore, con lettere grandi, nuoviinizi per nuovi paragrafi, indentature e segni divisori, lettere colorate in rosso con lamiltos. Lascrittura sui muri di un tempio conferisce una specie di sacralità al testo, tanto più che nel casodelle leggi del tempio di Apollo Pythios non c’è indicazione della magistratura che promulga lalegge, che quindi viene presentata come una specie di «pronunciamento divino» 16.

    Ovviamente le magistature c’erano, e in molti altri casi esse sono nominate e ben presenti.Fino a un certo punto a Creta c’erano stati dei re (Erodoto racconta un’antica storia riguardan-te un re Etearchos di Axos 17), ma poi l’istituzione regale fu eliminata, come ci dice Aristotele(βαϲιλεία δὲ πρότερον μὲν ἦν, εἶτα κατέλυϲαν οἱ Κρῆτεϲ 18) e furono instaurati nelle città deiregimi aristocratici. Secondo Pierre Carlier questo è successo prima dell’VIII sec. a.C. 19. Ele leggi cretesi sono profondamente attente a conservare i privilegi di quelle aristocrazie. Èinteressante la breve (e dura) caratterizzazione finale del Grande Codice di Gortina da parte di John Davies, uno dei massimi specialisti di economia e legislazione greca:

    Above all, to be blunt, it is a system of protecting privilege, of safeguarding the ownership andtransmission of property, and of ensuring the continuance of male lineages. 20

    Creta presenta quindi tra VI e V sec. a.C. fenomeni abbastanza rilevanti di isolamento cultu-rale, anche se nuove scoperte hanno riservato e potrebbero riservare delle sorprese. Tuttavia,isolamento culturale non significa mancanza di scrittura. Il nostro modello di base è semprel’Atene classica, che ci fa collegare produzione e diffusione della scrittura con la brillantezza in-tellettuale e la giustizia sociale 21. Creta dimostra invece che una scrittura accurata e addiritturamonumentale può essere utilizzata esclusivamente per scopi interni di regolamentazione dellavita civile in una prospettiva nettamente conservatrice.

    Come ho già detto, a questa ricchezza di testi legali di Creta corrisponde un vuoto nell’al-tra grande isola, Cipro. Siamo ovviamente in un mondo profondamente diverso non solo daCreta, ma anche dalla Grecia continentale. L’isola, ricchissima in particolare grazie al legna-me delle foreste e alle miniere di rame, è stata da sempre esposta a potenti influssi culturalidell’Egitto, della Fenicia e dell’Anatolia meridionale (una delle due grandi famiglie sacerdotali

    14 Del Corso 2003. 15 «An inscription is not only a text but an artifact» (Perlman 2004, 182). 16 Perlman 2004. 17 Hdt. 4.154. 18 Arist.Pol. 1272a. 19 Carlier 1984, 418. 20 Davies 2005, 327. 21 Famoso da questo punto di vista è un passo delleSupplici di Eruripide, in cui parla Teseo (E.Supp. 433 ss.): le leggi scritte garantiscono l’eguaglianza tra poveri e ricchi, e se il povero ha ragione può avere la megliosul ricco (γεγραμμένων δὲ τῶν νόμων ὅ τ ̓ἀϲθενὴϲ / ὁ πλούϲιόϲ τε τὴν δίκην ἴϲην ἔχει, / ἔϲτιν δ ̓ἐνιϲπεῖν τοῖϲιν ἀϲθε νεϲτέ-ροιϲ / τὸν εὐτυχοῦντα ταὔθ ̓ὅταν κλύηι κακῶϲ, / νικᾶι δ ̓ὁ μείων τὸν μέγαν δίκαι ̓ἔχων).

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    di Pafo erano iΤαμιράδαι, che provenivano dalla Cilicia 22) e politicamente divisa da tempi im-memorabili in numerosi regni i cui re, iβαϲιλεῖϲ di Cipro, divennero poi nel corso della storiavassalli di Assiri, Egiziani e Persiani e durarono fino alla conquista tolemaica dell’isola; vassalliperaltro con notevole autonomia, tanto che durante il dominio persiano potevano battere mo-neta con il loro nome 23. I βαϲιλεῖϲ non furono solo greci, dato che i Fenici si insediarono invarie zone dell’isola, soprattutto Kition (odierna Larnaka) a partire dalla fine dell’XI sec. a.C.;probabilmente i rapporti tra Greci e Fenici non furono ostili fin dall’inizio, ma lo divenneroa partire dall’epoca della rivolta ionica (499 a.C.). Da questo momento in poi Cipro cominciaad essere profondamente influenzata dal resto del mondo greco e soprattutto da quello attico,molto più di Creta, sia nella produzione artistica che nel gioco politico; tra il V e il IV sec. a.C.troviamo personaggi straordinari come il re filelleno e filoateniese Evagora di Salamina, che aun certo punto espande il suo potere fino ad arrivare a dominare la Fenicia – una figura cheanticipa per molti versi quella dei sovrani ellenistici.

    Le iscrizioni di Cipro in lingue semitiche sono in accadico, ugaritico e fenicio (questeultime soprattutto attestate a Kition 24), quelle greche sono in sillabario cipriota fino all’etàellenistica avanzata. Le iscrizioni in sillabario sono state edite da Olivier Masson per la primavolta nel 1961 e in una seconda edizione ampliata nel 1983; ora abbiamo un ottimo lavoro com-plessivo, la grammatica e ilcorpus delle iscrizioni a cura di Markus Egetmeyer, pubblicato nel2010 25. A partire dal VI sec. a.C. cominciano ad apparire brevi testi in alfabeto accompagnatida trascrizione in sillabario, e il fenomeno delle iscrizioni digrafe aumenta notevolmente a par-tire dal IV sec. a.C. 26. Esistono poi ad Amatunte iscrizioni in una lingua locale non decifrata,scritte in sillabario 27.

    Anche a Cipro, come a Creta e altrove, dobbiamo fare i conti con il problema della perdi-ta di testi scritti su materiale deperibile, e questa volta bisogna tener conto della presenza sul-l’isola dei Fenici e dei loro contatti con i Greci. I Fenici sicuramente scrivevano moltissimo coninchiostro su pelle o papiro, e a Cipro su tavolette di calcare, e disponevano di vere e proprieorganizzazioni di scribi: per esempio abbiamo a Kition, nel IV sec. a.C., la stele funeraria diMutun ‘Astart, capo degli scribi 28.

    Anche i Greci ciprioti scrivevano molto con l’inchiostro. In greco il verbo normale perscrivere èγράφω, che vuol dire etimologicamente «scavare, incidere» (ha la stessa radice delverbo inglese «to carve» 29) e implica l’incisione in un materiale duro; invece nelle iscrizionisillabiche di Cipro i verbi che si usano sono oἀλείφω o ἀλίνω, che vogliono sostanzialmentedire «spalmare» e sono comprensibili solo in un ambito nel quale si stende dell’inchiostro conun pennello su una superficie liscia. Come sappiamo da Esichio, il nome cipriota del maestro discuola eraδιφθεραλοιφόϲ, che etimologicamente significa «spalmatore di pelli» 30.

    Questi testi ‘dipinti’ su papiro o pelle sono ovviamente tutti perduti; siamo un po’ piùfortunati con delle tavolette di calcare su cui si scriveva appunto con un pennello, e che spessocontengono contabilità sia in greco che in fenicio (in quest’ultima lingua abbiamo per esempioi conti del tempio di Astarte 31). Comunque i testi in sillabario che noi possediamo sono in ge-nere brevi e consistono soprattutto in dediche alle divinità (soprattuto Afrodite, naturalmente,che peraltro si chiamava localmente non Afrodite maÛάναϲϲα, «la signora»), iscrizioni funera-rie, graffiti e leggende monetarie.

    22 FGrHist 758 F 10c (= Tac.Hist. 2.2.2) e 10d (= Hsch.τ 107Ταμιράδαι· ἱερεῖϲ τινεϲ ἐν Κύπρῳ). 23 Sui regni ciprioti c’è una ricchissima bibliografia: per discussioni recenti si vedano, tra gli altri, Maier1989; Zournatzi 1996; Iacovou 2008. 24 Yon 2004. 25 Masson 1961 e 1983; Egetmeyer 2010. 26 Masson 1983, 78-80. 27 Ivi , 57-60. 28 RB HSPRM: Yon 2004, n. 1131. 29 Dall’antico ingleseceorfan. Si veda Frisk 1973, 325. 30 Hsch.δ 1992διφθεραλοιφόϲ· γραμματοδιδάϲκαλοϲ παρὰ Κυπρίοιϲ.

    31 Yon 2004, n. 1078.

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    BACCHIADS, CYPSELIDSAND ARCHAIC ISTHMIA K.W. Arafat

    Excavations by the University of Chicago at the sanctuary of Poseidon at the Isthmus ofCorinth were first undertaken in the 1950s, with the last major campaign in 1989. My respon-sibility is the publication of the pottery from 700-550 BC, covering the period from the end ofthe Geometric style in Corinth until the end of Corinthian figured pottery. It is also the period which sees the building of the first temple of Poseidon and the institution of the Isthmiangames, which became part of the athletic periodos along with Olympia, Delphi and Nemea. I will consider both the temple and the games in this article. This is also the period of the Bac-

    chiads and the Cypselids at Corinth, whose relevance I will also discuss. Although there hasbeen some disagreement, in all probability the Bacchiads ruled until 657, then Cypselus andhis descendants ruled until ca. 585 or soon after 1.

    I begin with the archaic temple of Poseidon, which is mostly underneath the Classicaltemple. In 1989, the first definitive evidence for the date of the temple was excavated in theform of a foundation deposit which produced six small fragments of Protocorinthian pottery(Fig. 1) 2, their average weight of around a gram each characteristic of much of the archaicfineware pottery from Isthmia. The crucial piece is part of the body of a Middle Protocorinthianaryballos dating ca. 690-650 (Fig. 1, top centre), proving that the building of the temple startedsome time between these dates. This does not, of course, tell us when the temple was completedand, so far, we have no definite date for that. However, as Elizabeth Gebhard, the director ofthe excavations, has pointed out, «the terracing between the façade of the temple and the longaltar was in place by the mid-7th century, so the temple was very likely finished before then» 3.

    One piece of evidence for the date which has often appeared in the scholarly literatureabout Isthmia is a marble perirrhanterion which has been dated 660-650 by Mary Sturgeon, who published it in 1987 (Fig. 2) 4. Nancy Winter 5 subsequently dated it nearer 660 than 650,

    I am most grateful to Gianfranco Adornato for his kind invitation to take part in the Conference Arte-Potere.Forme artistiche, istituzioni, paradigmi interpretativi , and to contribut to the Proceedings. I am also very gratefulto Elizabeth Gebhard, director of the University of Chicago Isthmia exacavations, for advice on this article. 1 For a recent summary of the problems concerning the chronology of the Bacchiads and Cypselids:Salmon 2003a; 2003 b; 2003c. 2 Gebhard - Hemans 1992, 35, pl. 13b. 3 Gebhard 2001, 43. 4 Sturgeon 1987, 52-53, 14-16, pls. A-B, 1-26. 5 Winter 2002-2003, 229.

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    K.W. ARAFAT

    while Claude Rolley 6 places it in the second quarter of the seventh century. John Boardman 7 has dissented from Sturgeon and Winter by dating it to the «late 7th century», but without dis-cussion, and he seems to be a lone voice. Not surprisingly, the perirrhanterion has often beencited as evidence for a mid-seventh century date for the first temple at Isthmia 8. Followingthe 1989 excavations, it was believed that its base, which is in situ near the northeast corner ofthe archaic temple, in fact sits on a surface dating to the mid-second half of the sixth century(Fig. 3) 9. Further study of the Archaic temple in 2009 has confirmed that the base was cutinto the existing temple floor 10. We cannot know when that occurred, so the perirrhanterion cannot be dated by the construction of the temple, except that it gives aterminus post quemfor the perirrhanterion.

    From around 580, terracotta perirrhanteria were placed at the edges of the sanctuary –Isthmia was a roadside shrine, and water bowls would be useful for weary and dusty travel-lers 11. The marble perirrhanterion, however, is an exception, both in date and in placement: ifit were functional, rather than purely votive, it would seem odd to place it within, rather thanat the entrance to, the temple. The marble perirrhanterion is unusually elaborate – 1 metre26 centimetres high without the base, made of marble, and highly painted. It was, then, a rareand very conspicuous dedication, indicating the richness of the sanctuary at this time and theinvestment of the authorities in it. Here the exact dating of the perirrhanterion is relevant: adate before 657 suggests the Bacchiads were responsible; after 657 favours Cypselus. In truth, we cannot make such precise distinctions. It seems safest, and most logical, to conclude thatthe perirrhanterion, like the temple, dates from the mid-7th century. Mary Sturgeon thoughtthe perrirhanterion might be a dedication to celebrate the Cypselids’ coming to power, call-ing it «an appropriate gift with which to propitiate the gods at the outset of a new politicalventure» 12, and this argument may well be applicable to the temple itself as well 13. However,given the imprecision in the chronology of both of the archaeological evidence and the politicalevents of the mid-7th century, it seems safe only toconclude that the perirrhanterion was oneof the first dedications following the construction of the temple, and that we do no morethan speculate as to who dedicated it.

    The origin of the gray-blue marble from which the perirrhanterion is made might tell ussomething of the dedicator, but it has not been firmly established. In publishing the perirrhan-terion in 1987, Mary Sturgeon observed that «not enough comparative data is yet available tosuggest a quarry» 14. Soon after, isotopic analysis of this and other archaic marble perirrhanteria led Jane Burr Carter to refer to «tentative confirmation of Lakonia as the source» 15. Attractiveas it would be to argue for a Lakonian dedicator of the marble perirrhanterion, one could notdo so confidently even if the marble were provably Lakonian, but it is worth noting in any casethat the earliest securely datable Lakonian ceramic imports at Isthmia are typical Lakonianversions of the Corinthian roundaryballos, datable to no earlier than the late 7th century 16, andtherefore a generation later than the marble perirrhanterion.

    Temples are substantial and conspicuous and were put up by the ruling authorities ofthe state. This temple must, therefore, reflect the artistic patronage of the rulers of the day.That must have been as true of Corinth as it was of Isthmia, and it is indicative of the wealth ofthe Corinthia that two temples should be put up in such close proximity. The Corinth templeis surely slightly earlier than Isthmia, although there is no archaeological evidence to prove

    6 Rolley 1994, 144-145. 7 Boardman 1978, 25-26. 8 E.g. Broneer 1971, 3; Salmon 1984, 59. 9 Gebhard - Hemans 1992, 36-37, fig. 10. 10 E. Gebhard, personal communication. 11 Arafat 1999, 59. 12 Sturgeon 1987, 53-54. 13 E.g. Morgan 1990, 214: «[…] the construction of the temple may have marked Kypselos’ rise». 14 Sturgeon 1987, 189. 15 Carter 1988, 424, echoed by Ridgway 1990, 584 note 3. 16 Isthmia, inv. IP 324; Broneer 1955, 132 note 5, pl. 51a; Gebhard 1998, 103 note 57, and 104 note 61, fig. 7e.

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    BACCHIADS, CYPSELIDS AND ARCHAIC ISTHMIA

    this beyond doubt. Some of the Isthmia temple’s features show advances on Corinth. For ex-ample, it is bigger, and the temple at Corinth is not surrounded by columns, while the templeat Isthmia was restored with a colonnade by its excavator, Oscar Broneer, a view supported byFrederick Hemans, who is publishing the most recent study of the temple 17. This suggests thatIsthmia is a deliberate advance on Corinth, indeed a response to Corinth. Here the dating ofthe temples and of the political change at Corinth is important, since it is quite possible to seethe Corinth temple as Bacchiad and the Isthmia temple as a Cypselid response to it.

    Another respect in which Isthmia out-does Corinth is polychromy. While the most recentresearch has concluded that there is no preserved paint on the walls of the temple at Corinth 18,there are preserved some elaborate polychrome paintings on stucco from the temple atIsthmia 19. As far as we know, these were innovative at the time, indicating that the Corinthia isleading the Greek world at this point. This is a reminder of the tradition of painting associated with Corinth found in Pliny and of Herodotus 20, who said that Corinthians despised craftsmenless than did other Greeks. It was not just Corinth and Isthmia that were flourishing now – sotoo was Perachora, a key point in the movement of ships to and from Greece and, with them,objects and artists. No wonder, then, that the Corinthia was the most active and innovativearea of Greece at this time.Little remains of the wall-paintings which suffered badly in the fire which destroyed thearchaic temple ca. 460-450 21, and which are currently conserved at the Isthmia Museum. Theyshow certain features recognizable from contemporary vase-painting, such as the diagonalmaeander, and the mane of a horse often compared to those of the Chigi Painter 22, althoughthe latter is not especially close and the style is broadly readily paralleled at this period. The works of and near the Chigi Painter are the peak of archaic vase-painting, certainly Corinthianand arguably of all Greek archaic vase-painting. They also give us insights into the major paint-ings of sites like Isthmia, and the use of a brown skin-coloured wash rather than simply blackmay again indicate a relationship to wall-paintings. That the peak of Corinthian vase-paintingshould fall in the mid-7th century, the period of the Isthmia temple, is unlikely to be coinci-dence – both are illustrations of the flourishing artistic climate of the time. And both indicate

    the artistic patronage of Cypselus if we follow the standard chronology for him. It is also worthnoting that comparable wall-paintings also of the mid-7th century have been found recentlyat Kalapodi in Phocis 23. Like the Isthmia wall-paintings, those at Kalapodi are from a temple(that of Apollo at ancient Abae), and have been compared stylistically by their excavator withthe Chigi vase. However, Kalapodi does not fall within the Corinthian ambit of this period, soshould not be associated with Corinthian rulers.

    One vase from Isthmia which is representative of the mid-7th century peak of Corinthianvase-painting is a fragmentaryalabastron which I am publishing elsewhere (Figs. 4-6 ) 24. It is ofthe Late Protocorinthian period, ca. 650-640, and I believe has a close relationship to the vasesof and near the Chigi painter, although it is not by him. It has an elaborate lotus and palmettechain linked by a triple line which is characteristic of the best vases of the period, such asthe Chigi vase in the Villa Giulia in Rome 25 and the same painter’saryballoi in the BritishMuseum 26 and Berlin 27. I have restored the figure-drawing as showing a charioteer and horses with a duel behind. In the duel, we have a warrior attacking a fallen warrior whose arm isstretched out to touch the ground or perhaps grasping his thrown-away shield. His other hand

    17 Hemans forthcoming; Gebhard 2001. Rhodes (2003, 92 note 17) disputes that there was a peristyle. 18 Rhodes 2003, 91, differing from Robinson 1976, 228. 19 Broneer 1971, 33-34, pls. A-C. 20 Hdt. 2.167.2. 21 Gebhard 2002, 229. 22 Broneer 1971, pls. A:9 and A:1. 23 Archaeological reports 2006-2007, 42, fig. 50. 24 Isthmia Museum, inv. IP 3172+ IP 3260 A-B, IP 3290, IP 8450. Arafat forthcoming. 25 Rome, Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, inv. 22679. Giglioli 1925, pls. 1-4. 26 London, British Museum, inv. 1889.4-18.1 (Macmillanaryballos). Amyx 1988, pl. 11:1a-b. 27 Berlin, Staatliche Museen, inv. V.I. 3773. Payne 1933, pl. 23:1-3.

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    K.W. ARAFAT

    reaches forward to touch the knee of his attacker in what I take to be a gesture of supplication,unique in preserved Corinthian vase-painting. The warriors, like the charioteer, are two centi-metres high, the same size as the figures on the Macmillanaryballos. The double-incised hemand shoulder of the chitoniskos find a parallel in the double incisions of the aulos-player on theChigi vase. However, the most striking feature of the Isthmiaalabastron is the way in which theleft-hand figure runs. In Archaic art, the Knielauf , or «knee-running», pose is ubiquitous andinvariably used to denote running; on the Isthmiaalabastron, though, the left-hand figure isrunning in a wholly different, more natural manner, his right leg stretched out behind him, welloff the ground, and his left leg well forward. I know of only one parallel for this pose, namelythe Chigi vase. The exceptional nature of this pose is pointed up even more by its not beingused universally even on the Chigi vase, where the Knielauf pose is also used for the boy withreverted head on the hunt with dogs. The running pose is the only element of the figure-sceneon the Isthmiaalabastron for which I can find a comparandumonly with the Chigi Painter.

    It is clear from the previous discussion that art of the highest quality both in ceramics andin painting was to be found at Isthmia in the mid-7th century. However, the extent to which themass of less striking pottery reflects the fortunes of the sanctuary is harder to gauge. To illus-trate this, I turn now to the institution of the games at Isthmia. Elizabeth Gebhard has recentlydiscussed this in detail 28, and I follow her conclusions. The traditional date of the foundingof the games – based on Solinus and Josephus of the 3rd and 4th centuries AD respectively – is 582 or 580, closely following the end of the Cypselid tyranny ca. 585 and suggesting the games were «instituted to celebrate the new order at Corinth, just as the construction of the templemay have marked Cypselos’ rise». But Gebhard points out that the archaeological evidenceindicates that the first stadium at Isthmia was constructed in the second quarter of the sixthcentury, probably near 550 and possibly even a little later.

    It is also likely to be significant that the first athletic dedications at Isthmia appear ca. 550,such as strigils andhalteres or jumping weights, one inscribed 29. Of course, games may havetaken place earlier in a less formal and elaborate guise, perhaps as purely local games, but, if so,they have left no archaeological trace. One would expect the institution of panhellenic games

    to be reflected in a rise in pottery at the site, both for dedications and for dining by the manyvisitors to Isthmia. Of course, these are not mutually exclusive categories: dining pottery couldsubsequently be dedicated.

    Ideally, I would be able to document the changing quantities of pottery in each phase andrelate them to the events of the period, and specifically the founding of the games, which one would expect to cause a rise in pottery associated with greater numbers of visitors to the site.However, there are two particular problems: first, it is estimated that only 4% of the sanctuaryhas been excavated, so our evidence is partial and provisional, as at so many sites. That is aproblem which is not going to be overcome in the foreseeable future. Secondly, problems withthe absolute chronology of Corinthian pottery make it difficult to relate the pottery at Isth-mia precisely to events in the sanctuary’s history. Specifically, in the case of the stadium, theperiods which cover the first half of the sixth century – and probably a little later – are Early,Middle and Late Corinthian I.

    If we are trying to assess which phase of pottery best reflects the institution of the games,not only do we have to be sure of the date of the games, but also of the date of the pottery, andhere there is significant disagreement. It is widely agreed that Early and Middle Corinthianoverlap by around ten years, and Humfrey Payne’s seminal bookNecrocrinthia of 1931 sawmany types continuing from Early Corinthian to Middle Corinthian. Middle Corinthian itselfhas been dated from 600 or 590 to 575 or 570 by most scholars, but Keith de Vries’ work atGordion led him to suggest that it goes as late as 560 and conceivably even later. In view ofthis, a rise in pottery at Isthmia in Middle Corinthian could reflect the institution of the gamesin 582, 580 or well into the second quarter of the sixth century.

    28 Gebhard 2002. 29 Ivi , 229-231, figs. 4-6.

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    I SIGNORI DI CORINTOE L’ARTE DELLA CITTÀLa formazione della polis sotto le dinastie bacchiade e cipselide Rachele Dubbini

    Per l’epoca alto-arcaica in nessuna città del mondo greco si registra uno sviluppo notevoledelletechnai come a Corinto: alla fine dell’VIII sec. a.C. l’arte figurativa locale ebbe un decisoimpulso grazie alla rielaborazione di motivi decorativi vicino-orientali in un nuovo stile, notocome «proto-corinzio», il cui successo portò a una notevole espansione dei traffici commercialinel Mediterraneo 1. Se fino alla fine del secolo gli artigiani corinzi avevano prodotto una seriedi forme ceramiche caratterizzate da ornamenti geometrici con rare decorazioni pittoriche fi-gurate, nel corso di una generazione si registra il fiorire di nuove forme, decorate con una più

    vasta gamma di figurazioni rappresentanti temi cari all’aristocrazia: scene di guerra, di sim-posio, di caccia e di competizione 2. Alla stessa epoca sono altresì databili le prime coperturefittili a quattro falde, dette anch’esse «proto-corinzie», mentre l’esperienza raggiunta durantel’VIII sec. a.C. nell’estrazione e nella lavorazione della pietra calcarea locale, il poros, portò nelsecolo successivo alla litizzazione dei primi edifici templari, quali il santuario degli inizi delVII sec. a.C. nell’agora e quello di Poseidone a Istmia 3. Contemporaneamente si assistette allosviluppo delle arti metallurgiche, documentato sia nei santuari dalle dediche di offerte votivein bronzo, tra cui anche i primi esemplari di elmo corinzio, sia a Corinto dall’apparizione diofficine specializzate 4. La fioritura delle arti, documentata archeologicamente tra l’VIII e ilVII sec. a.C., è confermata nella sua datazione dalle tradizioni riportate dagli autori antichi,che indicano nei Corinzi di epoca bacchiade gli inventori di diversetechnai , determinanti perlo sviluppo artistico e tecnico di tutto il mondo ellenico: Plinio il Vecchio riconosce nella cit-tà istmica la culla delle arti grafiche e ricorda i Corinzi dai nomi parlanti Euchira, Diopo edEugrammo quali maestri dell’arte coroplastica, nonché Boutade, originario di Sicione, per la

    1 Will 1955, 323-329; Salmon 1984, 101-117; Amyx 1988, 15-30; Shanks 1999, 1-6. La crescita esponen-ziale delle esportazioni di ceramica corinzia tra il 750 e il 700 a.C. potrebbe d’altronde aver ben spinto i ceramistilocali a cercare nuove forme espressive (Roebuck 1972, 116-119). 2 Shanks 1999, 50-52 e 73-168. 3 D’altronde la litizzazione delle strutture templari risulta una diretta conseguenza statica all’introduzionedel nuovo sistema di coperture fittili (Lippolis - Livadiotti - Rocco 2007, 81-84). L’abilità degli artigiani corinzinell’estrazione e nella lavorazione del poros sarebbe legata al costume funerario diffusosi durante l’VIII sec. a.C. eprevalente dal 700 ca. a.C. di inumare i corpi in sarcofagi in pietra (Pfaff 2007, 530-531). L’adozione di un costu-me funerario distinto dalle altre comunità greche potrebbe indicare la volontà locale di differenziarsi da esse, nelmomento in cui Corinto si consolida come un’entità politica autonoma (Dickey 1992, 138). 4 Sull’elmo corinzio e sulla sua apparizione attorno al 700 a.C.: Pflug 1988.

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    RACHELE DUBBINI

    produzione di antefisse e di acroteri a Corinto 5, mentre Tucidide attribuisce al sito bacchiadel’utilizzo di nuove tecniche navali e la costruzione delle prime triremi 6.

    La quantità di dati a disposizione per una fase cronologica così alta e la corrispondenzatra gli indizi archeologici e le fonti antiche inducono a riflettere sulla possibile influenza delledinastie al potere nel processo di risveglio culturale dell’insediamento corinzio, sito fino a quelmomento pressoché assente sotto questo profilo nel panorama panellenico e tra l’altro quasiper nulla rappresentato nell’epica omerica, che lo ricorda con il suo nome soltanto nel catalogodelle navi, già opulento (ἀφνειόν), ma posto sotto la guida di Agamennone, secondo una tradi-zione che voleva la città allora soggetta ai regnanti dell’Argolide 7. Di fronte alla mancanza diuna gloriosa tradizione epicorica che evidenziasse al contrario l’autonomia e il prestigio dellastirpe corinzia già in epoca mitica, i Bacchiadi avrebbero reagito affidando a Eumelo, poetadello stessogenos, l’elaborazione di un’epopea dedicata alla storia della città dalle sue origini,in cui il più antico patrimonio mitico sarebbe stato ricostruito in base a una riformulazioneoculata delle tradizioni locali, tra l’altro con temi e figure appartenenti a diverse realtà regiona-li, ricondotti alla terra corinzia 8. Una tale operazione culturale sembra sottintendere una fortevolontà rappresentativa sia nei confronti delle altre realtà greche, sia nella costruzione e nelcontrollo della memoria sociale collettiva del sito corinzio in via di sviluppo, documentabileanche per la successiva dinastia cipselide nella realizzazione di almeno un’altra complessa ope-ra artistica dalla decisa valenza politica: laλάρναξ figurata conosciuta come «arca di Cipselo»,espressione della potenza e dei valori della casata dominante, all’interno del cui organico, perquanto complesso, programma figurativo sono rappresentati temi-chiave strettamente connessial contesto socio-politico della committenza 9.

    Sulla base di questi esempi, tenendo conto dei dati ormai assimilati dagli studi speciali-stici e applicando anche all’arte di fare, cioè di dare forma alla città e di ordinarla, il metodoermeneutico già utilizzato per la produzione figurativa e letteraria, è forse possibile rintracciareanche nell’analisi delle linee di sviluppo territoriale del sito di Corinto, ovvero nelle scelte at-tuate nella costruzione del centro urbano di epoca bacchiade e cipselide, l’ideologia del poterecorrente 10. A questo scopo si propone una ricostruzione culturale basata sulla sintesi spaziale

    dell’abitato corinzio, finora mai proposta dagli studi, scoraggiati in parte dalla scarsità di in-dizi archeologici per le fasi più alte della storia corinzia per effetto della devastazione subitadalla città greca a opera dell’esercito di Lucio Mummio nel 146 a.C. 11. Le fonti archeologichesopravvissute, seppur frammentarie, non sono tuttavia rare al punto da non poter suggerireuna ricomposizione dell’originale quadro storico e spaziale della città, attraverso l’impiego diquanto resta come di indizi che possono suggerire la ricostruzione delle parti distrutte e, quan-do possibile, l’integrazione di tali indizi con le testimonianze (seppur altrettanto frammentarie)delle più antiche tradizioni locali.

    La fase attribuita dalla tradizione storica al potere monocratico di Bacchide e dei suoi di-scendenti corrisponde archeologicamente a una situazione insediativa costituita da nuclei abi-tativi dispersi su una superficie piuttosto estesa rispetto alla densità, cui corrispondono gruppidi sepolture, riunite in nuclei familiari e organizzate lungo i principali assi di comunicazione

    5 Plin.Nat. 35.16 e 35.151-152. 6 Th. 1.13. Sulla validità delle parole di Tucidide: Will 1955, 310-312. 7 Hom. Il. 2.570. Sulla definizione in età antica del regno di Agamennone e quindi del ruolo politico diArgo e Micene in epoca eroica: Musti - Torelli 1986, 228. Sull’anacronismo dell’epitetoἀφνειόν, che potrebbe peraltro suggerire un’interpolazione successiva del testo: Will 1955, 36-38 e 80. A Corinto si fa ancora riferimento inun altro passaggio del poema omerico (Hom. Il. 13.663-672;Schol. Il. 13.663a-b), relativo al racconto della mortedel corinzio Eukenore, figlio del vate Polydias, combattente al fianco di Agamennone. 8 Will 1955, 239-242; West 2002; Debiasi 2004. 9 Da ultimo Cossu 2009 (con bibliografia precedente). 10 Sulla discussa cronologia delle dinastie bacchiade e cipselide: Will 1955, 363-440; ma poi Ducat 1961;Cataudella 1964; Servais 1969; Sealey 1976, 53-55 e nota 5. Ci si attiene qui alla cronologia alta, ormai accettatadalla maggior parte degli studiosi. 11 Un tentativo in questo senso si può comunque apprezzare in Williams 1982. Scettica Bookidis 2003,251.

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    I SIGNORI DI CORINTO E L’ARTE DELLA CITTÀ

    viaria 12. Il sito sembra tuttavia agglomerarsi già in epoca medio-geometrica, costituendosi inuna forma apparentemente proto-urbana attorno a un complesso abitativo centrale. Questofu scelto probabilmente tra gli altri in quanto era il luogo di maggior visibilità e con le miglioricondizioni di abitabilità rispetto a quelli esistenti in prossimità della pianura coltivabile, cometestimonierebbe il riempimento della scarpata naturale della Peirene, predisposto presso il sitoper facilitare il passaggio tra le alture meridionali e la fertile pianura a nord, e la costruzione diun canale a cielo aperto, realizzato per drenare il flusso delle acque provenienti dagli altipianimaggiori verso le zone pianeggianti settentrionali 13. Nonostante il gruppo «familiare» dovesseessere ancora il modello principale di riferimento della storia politica e insediativa del perio-do, queste imprese costruttive potrebbero essere interpretate come le prime opere pubblicheattuate all’interno dell’insediamento, in corrispondenza di un uso più estensivo della zona pia-neggiante a nord come necropoli: ciò indicherebbe per l’area dell’abitato centrale l’inizio dellaprevalenza dello spazio dei vivi su quello dei morti (Fig. 1) 14.

    Una svolta decisiva nell’assetto dell’insediamento si ha però solo alla metà dell’VIII sec. a.C.,in coincidenza con il nuovo ordinamento bacchiade: la comunità cresce in senso urbano e lastruttura sociale inizia a non essere più focalizzata sulle singole unità familiari, ma su bisognicomuni, come indicherebbe tra l’altro l’utilizzo della «Fonte Sacra» in senso pubblico 15. Alprocesso di maggiore articolazione sociale corrisponde l’inizio di una funzionale riorganizza-zione degli spazi, la cui prima manifestazione è la crescente separazione dello spazio dei vivida quello dei morti 16: fatta eccezione per alcune tombe di tipo «domestico» 17, dal 750 ca. a.C.,in concomitanza con l’inaugurazione della zona del «cimitero nord» quale necropoli comu-ne della città nascente, fino alla fine del secolo il numero delle sepolture di adulti diminui-sce sostanzialmente, secondo un processo di specializzazione delle aree abitative che risulta innetto anticipo rispetto ad altre realtà del mondo greco 18. Contemporaneamente si assiste a unrafforzamento dell’agglomerato centrale, attorno al quale si va accentrando l’insediamento, fe-nomeno indicativo della formazione in atto di un sistema unitario e quindi di una maggiorecoscienza e organizzazione collettiva: in questo senso cresce l’importanza degli spazi comuni,ormai differenziati in aree sepolcrali, santuariali e politiche (Fig. 2) 19.

    12 Williams 1970, 33; 1982; Roebuck 1972, 101; Williamset al. 1973, 2-4; Salmon 1984, 75-77. 13 Williams 1978, 6; Lang 1996, 169. Il canale, largo all’incirca 2,10 m, sembra collegato a un muro di con-tenimento lungo la sponda occidentale del torrente parallela alla via per il Lecheo, degli inizi dell’età geometrica,che doveva incanalare il corso d’acqua proteggendo la zona circostante da eventuali straripamenti (Williams 1970,33; Roebuck 1972, 102). 14 Williams 1970, 33; 1978, 7. Contemporaneamente si registra anche una maggiore ricchezza nei corredifunerari (Dickey 1992, 136). 15 Secondo Williams il bisogno di distribuire l’acqua delle fonti corrisponde alla prima centralizzazionedell’abitato in un centro urbano (Williams 1995, 35-36; Bookidis 2003, 250). Sull’uso della Fonte Sacra dal-l’VIII sec. a.C.: Williams - Fisher 1971, 5 e 10; Willams 1978, 93; Salmon 1984, 78. Al 700 ca. a.C. si possono farrisalire anche le prime attività (rituali?) presso la sorgente di Kokkinovrysi, lungo la via per Sicione (in proposito,Kopestonsky 2009, 25).

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    Hölscher 1998, 30; de Polignac 2005. Lo sviluppo del sito sarebbe da mettere in connessione con lacrescita della produzione e dello scambio, nonché del numero di artigiani specializzati (Salmon 1984, 77-78). Lamaggiore complessità sociale si riflette anche nei costumi funerari: viene generalizzato l’uso dei sarcofagi in poros(Dickey 1992, 125 e 137-138), mentre diminuiscono i beni deposti nelle sepolture (ivi , 106-108). Contemporanea-mente aumentano le offerte ai santuari e cresce la monumentalità degli edifici pubblici (nell’agora di Corinto ilcanale scoperto, la Fontana Ciclopica e forse la terrazza presso la Fonte Sacra). 17 Come sarebbe dimostrato in alcuni casi dalla stretta vicinanza tra sepolture e abitazioni: le sepolture delSantuario Sotterraneo accanto al pozzo K, l’inumazione LV 13 presso il pozzo O e forse ancora la tomba a pozzoLV 39 nell’area abitativa presso la Fonte Sacra, o quella LV 15 in relazione alla struttura precedente l’«Edificiodell’anfora punica» (Dickey 1992, 128).

    18 Salmon 1984, 77; Williams 1995, 36; Morris 1987, 185-186. Morris (1992, 26-27) nota che, con l’abban-dono delle necropoli presso l’insediamento intorno al 750 a.C., lo sviluppo del centro urbano di Corinto avrebbeavuto una datazione eccezionalmente alta, anticipando di almeno 30 anni quello di Atene e di 50 quello di Argo.Dickey (1992, 124-125) sfuma la data del 750 fino alla fine del VII sec. a.C.: alla seconda metà dell’VIII sec. a.C. sitende generalmente ad attribuire le sepolture non altrimenti databili, in virtù della graduale sparizione dei corredifunerari e della predilezione da questo momento in poi per le inumazioni in sarcofagi di pietra. 19 Hölscher 1998; Lippolis - Livadiotti - Rocco 2007, 50-53.

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    RACHELE DUBBINI

    Nello sviluppo dello spazio sacro e di quello politico, oltre alle nuove esigenze del corposociale di condivisione comunitaria e di identità rispetto all’abitato, un ruolo centrale vienesvolto dall’aristocrazia, nel trasferimento dello spazio privilegiato per l’esibizione e la competi-zione sociale dal settore funerario a quello sacro. In tal senso si può credere che l’impegno delgenos aristocratico al potere fosse preminente e non è casuale che in questo momento venganoallestiti alcuni tra i più monumentali santuari del mondo ellenico, cioè quello di Istmia e quellosulla «collina del tempio», sui cui si tornerà fra poco 20. Nello spazio dell’insediamento, tra lafine dell’VIII e gli inizi del VII sec. a.C. si datano anche le prime tracce di frequentazione ritua-le presso il santuario di Demetra e Kore alle pendici settentrionali dell’Acrocorinto, area sacraper cui i regnanti corinzi sembrano aver avuto sempre un interesse particolare, assecondandocon questo culto le necessità primarie di fertilità e abbondanza di cui gli stessi si fecero sempregaranti nel tempo 21. Alcune delle tematiche mitiche affrontate nell’epica eumelica sembranoindicare per questo momento storico una rinnovata attenzione soprattutto per l’altura prin-cipale del sito: qui il culto di Afrodite, forse originariamente paredra del dio Sole nelle sueaccezioni di divinità urania e tutelare del luogo, parrebbe ora istituzionalizzato. In tal sensosembrano parlare il mito sulla sua fondazione da parte dell’eroina locale Medea, nipote di Elioda parte paterna, e quindi idealmente tramite privilegiato nell’inserimento del nuovo culto nel-l’area dominata dall’avo divino 22, e il deciso aumento in epoca geometrica di ceramica potoria,concentrata presso l’area del santuario 23.

    Particolarmente funzionale alla costruzione dell’identità cittadina sembra essere la figuradi Sisifo, il quale prima di essere un regnante corinzio è soprattutto un eroe culturale panel-lenico alla stregua di Prometeo 24, ricordato nell’epica e nella lirica arcaica per aver beffato lamorte a vantaggio degli uomini, e per essere dunqueὃ κέρδιστος γένετ᾿ ἀνδρῶν, «il più scal-tro degli uomini» 25. Nonostante nei poemi omerici venga ancora accomunato a Efira, nellatradizione locale Sisifo sembra essere considerato piuttosto il fondatore del sito corinzio, ilprimo ad aver istituito i Giochi Istmici e probabilmente a essersi stanziato sull’Acrocorinto 26.L’altura sacra a Elio sarebbe stata infatti resa abitabile grazie alla sorgente d’acqua potabile(la Peirene alta) che l’eroe riuscì a ottenere dal dio-fiume Asopo, in cambio di informazioni

    20 Sul santuario istmico, si veda da ultimo il contributo di K.W. Arafat, in questo volume. 21 Bookidis 2003, 248. 22 Plu. Mor. 57.39;Schol. Pi. O. 13.32b (Drachmann 1903, 364-365)= Theopomp. Hist.FGrHist 115 F285b. Il legame tra l’eroina e Afrodite è quindi confermato sull’arca di Cipselo (Paus. 5.18.3 e commento inCossu 2009, 161-166). Si veda Hillgruber 2005, il quale inserisce questo episodio tra la partenza di Giasone equella di Medea. Sul dominio di Elio sull’Acrocorinto: Will 1955, 247; West 2002, 119. Al dio è concesso ampiospazio proprio nell’opera poetica di Eumelo (Eumel.Tit. fr. 4, 11ab e 16ab West). Dopo aver relegato Poseidoneall’Istmo, Elio avrebbe detenuto il potere sull’Acrocorinto (Paus. 2.1.6), dove il suo culto sarebbe stato associato aquello di Afrodite (Paus. 2.5.1). È quindi probabilmente all’Acrocorinto che deve essere attribuito l’appellativo diHelioupolis testimoniato per Corinto da Eust.ad Il. 2.570 e St. Byz.s.v. Κόρινθος (Will 1955, 233-234). Paus. 2.4.6testimonia che in effetti secondo i Corinzi il potentato sull’Acrocorinto sarebbe stato ceduto da Elio ad Afrodite. 23 Blegenet al. 1930, 28-30; Williams 1986, 18, figg. 1I, 1J e 1K; Bookidis 2003, 248. Il culto di Elio sull’al-

    tura sembra essere ancestrale, come d’altronde l’occupazione del sito è documentata da epoca tardo-elladica, conuna continuità nelle fasi proto-geometrica e geometrica, momento quest’ultimo in cui l’attività cultuale diventapiù evidente, configurandosi in un’area specifica, e sembra potersi inserire la figura di Afrodite (Williams 1986,18-19).

    24 Secondo D.S. 6.6.3 Sisifo è un indovino che attraverso l’osservazione delle viscere delle vittime «ri-vela ogni cosa agli uomini». Non è d’altronde un caso che Eschilo inserisca il mito di Sisifo nel ciclo prometico(A.TrGF III 337 Radt). Si veda Simonsuuri 2002, 266.

    25 Hom. Il . 6.153. Così anche Alc. fr. 38A LP; Thgn. 702-712; Hes.Cat. fr. 10.43.a. 26 Sulla fondazione dei Giochi Istmici, Pi.Epin. fr. 4;Schol. Pi. I. (Drachmann 1927, 192);Schol. Od. 5.334;Apollod. 3.4.3; Paus. 1.44.7-8. Si ricordi che all’Istmo doveva trovarsi anche la sepoltura di Sisifo: Paus. 2.2.2. Inproposito, si veda Will 1955, 170-172. Essendo la punizione divina attribuita a Sisifo nell’Ade diretta conseguenzadel patto stipulato con Asopo, anche in essa è forse possibile vedere un rimando all’occupazione dell’Acrocorinto:nell’atto di scalare un’irta altura trasportando un masso si è creduto di poter riconoscere il ricordo delle fatichesopportate dai Corinzi al momento della prima fortificazione del sito o più probabilmente dell’azione tracotanteattribuita all’eroe per aver cambiato l’ordine naturale delle cose, con l’occupazione dell’altura sacra e fino adallora inaccessibile (Simonsuuri 2002, 263-267, con bibliografia precedente). Sul rapporto tra Efira e Corinto, siveda da ultimo Dubbini 2011, 37-42.

  • 8/20/2019 S. Mazzoni - IL RE E LA COMUNICAzIONE DEL POTERE NELL’ARTE SIRO-ITTITA (XI-X SEC. A.C.)

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    I SIGNORI DI CORINTO E L’ARTE DELLA CITTÀ

    sul rapimento della figlia Antiope da parte di Zeus 27. Non è quindi un caso che accanto allafonte venisse riconosciuto il luogo in cui si sarebbe trovato il palazzo del regnante corinzio,successivamente trasformato in un santuario dedicato al personaggio eroizzato, come sembraindicare Strabone 28, che di fronte ai resti delSisypheion non sa dire se si tratti di un luogo diculto (abbandonato?) o dell’antico palazzo reale 29. Se è vero che non ci sono elementi certi checonsentano una datazione alta dell’heroon, tanto più che le strutture cui si riferisce il geografonon sono state rinvenute e sembrano piuttosto riferirsi alla monumentalizzazione di un even-tuale sacello più antico (come suggerirebbe l’utilizzo di marmo bianco per la loro costruzione),tuttavia proprio l’eccezionalità di questo personaggio, la cui superiorità nell’uso dellametis erariconosciuta in tutto il mondo ellenico, sembra giustificarne l’utilizzo a fini celebrativi dellacittà e della stirpe corinzia in un periodo storico critico per la formazione poliade e di costru-zione culturale quale quello affrontato 30. Se è possibile che l’attribuzione dell’antica dimorareale sia da mettere in relazione con una fase matura dell’epoca greca, secondo un processoattestato però principalmente per le abitazioni private di uomini illustri 31, allo stesso modonon si può infatti escludere che nel caso delSisypheion ruderi dell’Età del Bronzo siano statirifunzionalizzati in senso sacrale, in una dimensione politica desiderosa quanto bisognosa diistituire una relazione tangibile con un passato glorioso non altrimenti testimoniato. Una simileoperazione culturale è notoriamente attestata a Tebe, sito tra l’altro intimamente legato allaCorinto bacchiade, dove sull’acropoli della città resti dei palazzi tardo-elladici continuaronoa essere rispettati perché identificati con le rovine della dimora di Cadmo, luogo di vari culticonnessi all’epopea dei mitici regnanti locali 32. Simili attività cultuali su rovine si riscontranod’altronde anche in Corinzia, presso il sito di Solygeia, ritenuto dalla tradizione locale il luogoin cui si sarebbero accampati i Dori invasori di Corinto prima di prendere la città 33, in un’areacaratterizzata dalla presenza di tombe a camera di epoca micenea, presso le quali dagli inizi delVII sec. a.C. si registrano tracce di un’attività rituale legate verosimilmente a un culto eroico odegli antenati, mentre sulla cima della collina viene apprestata una costruzione amegaron, dalladiscussa funzione santuariale 34.

    27 Sul mito di Sisifo la testimonianza più completa e antica si trova inSchol. Hom. Il. 6.153= Pherecyd.FGrHist 3 F 119, ripresa poi da Paus. 2.5.1 e Apollod. 6.9.3. Una tradizione completamente diversa sul motivodella punizione divina si trova in Hyg.Fab. 60. 28 Str. 8.6.21. 29 L’esistenza di un culto