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Le fasce di Van AllenLe fasce di Van Allen

di Carlo Ferri

Aurora Boreale del 18 gennaiodel 2005 nei cieli di Bear Lake,in Alaska. [Joshua Strang,Senior Airman, USAF]

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Danno vita a uno degli spettacoli più affasci-nanti del cielo notturno, ma sono anche unapresenza talvolta pericolosa per le attivitàumane. Conosciamo le fasce di radiazione checircondano la Terra, rivivendo l’opera di VanAllen e l’esordio dell’era spaziale.

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Tra le rivelazioni più affascinanti dell’astronomia odierna,le Fasce di Van Allen continuano a suscitare grandi sor-prese. Sin dalla loro scoperta, verso la fine degli anni

Cinquanta, fu possibile constatare come la conoscenza di questezone dell’atmosfera terrestre sia di vitale importanza per il succes-so di un viaggio spaziale. Gli studi realizzati nell’ultimo mezzosecolo per investigare queste regioni hanno fatto passi da gigantee hanno rappresentato, allo stesso tempo, una sfida per l’uomonella corsa allo spazio. Al giorno d’oggi, più che mai, queste fasce

o cinture (dall’inglese “belts”) di radiazione continuano a destaregrande interesse nel settore aerospaziale, soprattutto in vista diuna futura missione su Marte.

La principale sorgente di radiazione di alta energia che arrivasul nostro pianeta da ogni direzione dello spazio è rappresentatodai raggi cosmici (particelle e nuclei atomici). Anche le particel-le cariche trasportate dal vento solare rappresentano un impor-tante contributo alla radiazione che circonda la Terra. Trattenute

dal campo magnetico terrestre a quote che variano tra qualchecentinaia e migliaia di chilometri, l’insieme di queste particellepuò essere assimilato, per alcuni aspetti, ad un plasma a formatoroidale. Questo “mare di particelle cariche” forma le cosiddette“fasce di radiazione di Van Allen”, composte per lo più da elet-troni, protoni e ioni atomici più pesanti. Il loro costante movi-mento le fa urtare reciprocamente e la conseguente perdita dienergia cinetica viene compensata dall’emissione di radiazione,che arriva persino a superare i 30 keV. Tali emissioni sono in grado

di compromettere le misure effettuate dalle apparecchiature elet-troniche di veicoli spaziali, così come la sopravvivenza di esseriumani e di animali.

Risulta quindi fondamentale conoscere bene l’interazione chepuò esserci tra la radiazione che prevale in quelle zone e tutto ciòche le attraversa durante un viaggio allo spazio, sia che si tratti dicomponenti elettronici sia di esseri viventi. Inoltre, uno degliaspetti più attraenti e interessanti delle fasce di radiazione è ilruolo che esse ricoprono nella formazione delle aurore polari(boreali e australi), meravigliose eruzioni di luce e colori che si

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Immagine composita che mostra i tre elementi piùevidenti della meteorologia dello spazio: una tempe-sta solare, un’aurora vista dallo spazio e un’auroravista dalla Terra. [SOHO (ESA & NASA)]

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diffondono nel cielo di entrambi i poli terrestri, e che nascondo-no ancora qualche segreto sulla loro origine.

La “guerra fredda” dei satelliti

Come accaduto per molte scoperte scientifiche, anche quelladelle fasce di radiazione è il frutto di eventi casuali. Tutto iniziòquando il primo satellite artificiale, Sputnik I, fu lanciato in orbi-ta nel 1957 dall’Unione Sovietica: un successo scientifico inter-pretato come una sfida dagli USA, in quegli anni di GuerraFredda tra le due superpotenze. Gli americani però, non solo vole-vano dare una risposta politico-militare, bensì volevano ancheimparare qualcosa di nuovo.

Fu allora che lo statunitense James Van Allen iniziò a dirigerelavori che avrebbero portato al suo più grande apporto nel setto-re aerospaziale dei satelliti artificiali. Egli fu il creatoredell’Explorer I, il primo satellite statunitense messo in orbita

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Foto del lancio dell’Explorer I, il primo satellite artificialestatunitense, avvenuto il 31 gennaio 1958 da parte dell’ArmyBallistic Missle Agency. Sebbene il satellite cessò di trasmet-tere dati il 28 febbraio di quello stesso anno, rimase in orbitaattorno alla Terra fino a marzo del 1970. [Marshall SpaceFlight Centre, NASA]

JAMES ALFRED VAN ALLEN (1914-2006), UNA VITA DI SUCCESSI

James A. Van Allen nacque a Mt. Pleasant, nello stato delloIowa, nel 1914. Studiò fisica e ottenne un PhD in fisica nuclera-re nel 1938. Diresse e coordinò ricerche sui razzi stratosfericinel Dipartimento di Fisica Applicata dell’Università JohnsHopkins del Maryland. Dopo essersi arruolato nelle forze arma-te statunitensi durante la Seconda Guerra Mondiale, tornò inpatria per dirigere ricerche sull’uso civile dei missili, in partico-lare per studiare l’atmosfera terrestre. A tal proposito creò unprogramma per l’uso di palloni aerostatici per il rilevamento deiraggi cosmici alle alte altitudini e del campo magnetico nellearee dell’Artico e dell’Antartide.

Fu promotore dell’Anno Geofisico Internazionale (1957-1958)e proprio in quell’occasione diede il suo maggior contributo allaconoscenza delle particelle energetiche intrappolate nel campomagnetico terrestre. Grazie alla creazione del satellite ExplorerI, si guadagnò l’attenzione di tutta la comunità scientifica sco-prendo le zone di intensa radiazione che tutt’oggi portano il suonome.

Il successo dell’Explorer I fu celebrato a livello nazionale e,in una dichiarazione pubblica, Van Allen affermò: “Abbiamo sco-perto un nuovo fenomeno mai conosciuto né previsto prima.Siamo sulla vetta più alta del mondo, professionalmente par-lando”. La scoperta, oltre a dare un impulso agli USA nella corsaall’esplorazione spaziale contro l’URSS, valse allo stesso VanAllen la copertina del 4 maggio 1959 del Time. Egli scoprì ancheuna nuova luna di Saturno nel 1979, così come i “cinturoni” diradiazione di quel pianeta.

Il presidente Ronald Reagan, nel 1987, gli conferì laMedaglia Nazionale delle Scienze, il più alto riconoscimentoonorifico nazionale in ambito scientifico. Due anni più tardi rice-vette il Premio Crafoord, un premio consegnato dalla Royal

Swedish Academyof Sciences, a Stoc-colma, per ricerchein aree scientifichenon riconosciutedal Premio Nobel.

Nel 2004 VanAllen criticò pubbli-camente l’ammini-strazione Bush sul-la decisione di co-struire una stazione

spaziale sulla Lunaper arrivare su Marte, con queste parole: “Io sono uno dei difenso-ri più fermi e appassionati dell’esplorazione spaziale ma credo chedovremmo farlo roboticamente, ad un costo inferiore e con unaquantità e qualità molto maggiori di risultati”.

Per il 35° anniversario del lancio dell’Explorer I, Van Allenricordò in un’intervista all’Associated Press come lui e i suoi col-laboratori attesero ansiosamente la conferma che il satelliteavvesse raggiunto l’orbita prestabilita. Quando finalmente arrivòil segnale “…fu esilarante, un momento unico sapere che avrebbecontinuato a orbitare attorno alla Terra!”.

In tutta la sua carriera James Van Allen ricevette 13 titoli di dot-torato honoris causa. Si è spento nell’agosto del 2006, all’età di 91anni.

La copertina del 4maggio del 1959del Time dedicataa James Van Allen.

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attorno alla Terra il 31 gennaio del 1958. Insieme al suo gruppo dicollaboratori installò a bordo del satellite un contatore Geiger eun altimetro con cui ottenne i livelli di radiazione dell’atmosferaa diverse altitudini. Grazie a questo e a successivi esperimenti siscoprì l’esistenza di due regioni responsabili di due distinti tipi diradiazione, situate dentro la magnetosfera..

In realtà, lo scopo principale dell’Explorer I era quello di misu-rare il flusso di raggi cosmici nello spazio e verificare se questo erasimile a quello misurato sulla superficie terrestre. Tuttavia il flus-so rilevato superava enormemente il valore che Van Allen e i suoicolleghi si aspettavano. Infatti, durante il volo, i livelli di radia-zione iniziarono ad aumentare, poi, improvvisamente, disceserofino a zero; ma sorprendentemente tornarono a crescere, per poiridiscendere ancora una volta a zero.

Immediatamente il gruppo di scienziati si rese conto che leregioni che davano un valore nullo si trovavano in realtà fuoriscala del contatore. Fu proprio in quell’istante che lo stesso VanAllen, rivolgendosi a uno dei suoi collaboratori, esclamò: “MyGod, space is radioactive!”. Ciò nonostante, gli stessi scienziatiimpiegarono poco tempo a realizzare che questo flusso era inrealtà dovuto a particelle energetiche trattenute dal campomagnetico terrestre, piuttosto che ai raggi cosmici nello spazio.Solo grazie a successivi rilevamenti fu possibile definire la struttu-ra delle fasce di radiazione: un “oceano di particelle” diviso in due

regioni distinte e separate che avvolgono il nostro pianeta arri-vando, a volte, a incontrarsi.

Per capirne meglio la struttura possiamo considerare la Terracome una sorta di enorme “cipolla” nella quale i due rivestimentipiù esterni sono occupati proprio dalle fasce di radiazione, consi-derate come un plasma di particelle cariche racchiuse in due zone,separate da una distanza di circa 3000 chilometri. La fascia consi-derata come interna è formata da protoni molto energetici e daelettroni, ed è localizzata approssimativamente tra i 700 e i 10.000chilometri d’altitudine. Quella esterna, invece, composta princi-palmente di elettroni più energetici, sta a una distanza compresatra 13.000 e 65.000 chilometri dalla superficie terrestre (con alcu-ne regioni più dense tra i 15.000 e i 20.000 chilometri).

Fascia interna e fascia esterna

Come già accennato, gli studi effettuati da Van Allen permise-ro di individuare anche la natura delle particelle che popolanoqueste zone: raggi cosmici e particelle del vento solare.

I raggi cosmici sono costituiti per la maggior parte da ioni posi-tivi (protoni) assai veloci, che bombardano la Terra da qualsiasidirezione, e che probabilmente sono diffusi in tutta la Galassia.Sebbene la loro quantità sia piccola, l’energia trasportata da ogniparticella è elevata. Quando questi ioni (raggi cosmici primari)

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I SATELLITI PER CAPIRE LA STORIAIl programma spaziale sovietico Sputnik prevedeva il lancio

di quattro satelliti artificiali, dei quali solo tre furono realizzaticon successo. Il primo della serie, nonché il primo della storiadell’uomo a orbitare attorno allaTerra, fu lo Sputnik I, lanciato il 4 ot-tobre 1957. Era costituito di una sfera

di metallo con un diametro di circa 60 cm e un peso di 84 kg.Rimase in orbita per circa tre mesi, prima di disintegrarsi nel-l’atmosfera durante il rientro verso la superficie terrestre.

Il secondo satellite, Sputnik II, lanciato il 3 novembre del1957, passò alla storia perché portò nello spazio un equipaggio

insolito: la famosa cagnetta Laika, il primo essere vivente a entra-re in orbita attorno alla Terra. Secondo la versione sovietica, lamissione durò 162 giorni, ma i dati biologici ottenuti sull’animalefurono raccolti durante una settima, prima che Laika morisse per lecondizioni ambientali avverse e per lo stress. In proposito vi sonoinformazioni discordanti: nel 2002 fonti russe assicurarono cheLaika sopravvisse solo poche ore dopo il lancio, invece dei 7 giorniprevisti.

Lo Sputnik III, infine, fu l’ultimo satellite della serie ad ottene-re un risultato positivo. Lanciato il 15 maggio 1958, con lo scopo distudiare il campo magnetico terrestre, rimase in orbita per circadue anni; solo a causa di un errore tecnico il satellite non riuscì arilevare le radiazioni scoperte dall’Explorer I.

Dato che il lancio delle missioni sovietiche avvenne in pienaGuerra Fredda, gli americani cominciarono a preoccuparsi seria-mente di questi importanti risultati in campo aerospaziale: in unacorsa contro il tempo svilupparono nuove tecnologie così da potercompetere con i loro nemici.

Il riuscito lancio dell’Explorer I (31 gennaio 1958), il primosatellite statunitense in orbita attorno alla Terra, fece degli USA laseconda potenza spaziale di quell’epoca.

Il programma Explorer fu inizialmente concepito come una pro-posta per utilizzare la tecnologia militare dei missili dell’U.S.Army con lo scopo di mettere in orbita satelliti a fini scientifici. Laproposta fu rifiutata a favore di un progetto alternativo dell’U.S.Navy (il Project Vanguard), che avrebbe utilizzato missili Vanguardper il lancio. Tuttavia, la notizia dello Sputnik I colse gli americanidi sorpresa, tanto che il programma Explorer fu riconsiderato percostruire, in un tempo record di 84 giorni, l’Explorer I. Sebbeneportasse con sé diversi strumenti, questo satellite passò alla sto-ria per la scoperta delle fasce di radiazione di Van Allen.

Tra il 1958 e il 2004, circa 79 vettori Explorer furono utilizzatiper lanciare verso lo spazio diverse missioni scientifiche (tra cui isatelliti RXTE, WMAP e SWIFT) di cui molte sono tuttora operative.

Un francobollocelebrativo dellacagnetta Laika.

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vanno a urtare contro gli atomi dei gas atmosferici, i prodotti dellecollisioni (raggi cosmici secondari) vengono dispersi in ogni dire-zione. La maggior parte dei raggi secondari sono assorbiti dai gasatmosferici, alcuni invece arrivano sulla superficie terrestre, men-tre altri rimbalzano verso lo spazio interplanetario. Questi ultimia volte lo raggiungono, mentre in altri casi rimangono intrappo-lati in una regionelimitata dell’atmo-sfera, quella cono-sciuta come “fasciainterna di radiazio-ne di Van Allen”.Essa è formataessenzialmente daprotoni con energiecomprese tra 10 e100 MeV, risultatodel decadimentobeta di neutronicreati dalle collisio-ni tra i raggi cosmi-ci primari con l’at-mosfera terrestre.Con tali caratteri-stiche, queste parti-celle riescono apenetrare facilmen-te all’interno diuna navicella spa-ziale, e nel caso diun’esposizione pro-lungata, possonodanneggiare glistrumenti ed esserepericolosi per gliastronauti.

La fascia inter-na, scoperta daisatelliti Explorer I eIII, deve la sua esi-stenza alla stabilitàdelle orbite vicinealla Terra: le parti-celle che la costi-tuiscono non pos-sono raggiungere lasuperficie terrestre,cosa che evita peri-coli d’irradiazioneper gli esseri viventi. Dato che la composizione della fascia inter-na è quella tipica dei raggi cosmici secondari, questa regionedovrebbe avere una bassa intensità, perché soltanto l’accumulonegli anni di particelle le ha consentito di raggiungere gli attualialti livelli di concentrazione.

Successivamente agli Explorer I e III, le sonde spaziali Pioneer

III e IV realizzarono uno studio più approfondito dell’ampia fasciaesterna: la sua esistenza è dovuta al vento solare, un torrente invi-sibile di particelle, anch’esse elettricamente cariche. L’interazionetra il campo magnetico terrestre e il vento solare permette chealcuni corpuscoli di alta energia possano canalizzarsi lungo lelinee del campo stesso. Qui rimangono intrappolati formando la

fascia esterna. Il lorocaratteristico profilod’intensità “a bana-na” riflette la formadi queste linee.

Con il nome di“fascia di radiazione”ci si riferisce, di soli-to, alla parte del pla-sma più energetica,di circa 10 MeV. Leparticelle di minorenergia (approssima-tivamente di 0,1MeV), sono inveceassociate alla “cor-rente ad anello”(ring current)responsabile delletempeste geomagne-tiche. Detta correntedipende dalla pres-sione esercitata dalvento solare sullamagnetosfera eaumenta o diminui-sce in funzione del-l’attività solare.Quando il flusso diparticelle prove-nienti dal Sole èmolto intenso, que-ste raggiungono ibassi strati atmosfe-rici. L’interazione dàvita alle tempestegeomagnetiche chesi rivelano in manie-ra spettacolare conla formazione, all’al-tezza di entrambi ipoli terrestri, diaurore polari. Di

fatto, gli urti tra elettroni del vento solare e atomi dell’atmosferaproducono lampi e nubi di tutti i colori, come manifestazione diquesto fenomeno. In qualche caso le aurore possono anche essereosservate all’altezza dell’equatore geomagnetico (come avvennenel 1909, quando fu possibile osservarne una nei cieli diSingapore) e durare persino alcuni giorni.

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James A. Van Allen nel suo uffi-cio del UI campus in Iowa City,nel 1990. [University of Iowa]

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I pericoli delle fasce diVan Allen

Un altro aspetto interessantedelle particelle contenute nellefasce di Van Allen riguarda il fattoche sono considerate il più danno-

so tra i pericoli esistenti nello spazio. Producono alti livelli diradiazione sia sugli astronauti che effettuano passeggiate spaziali,sia sui satelliti che le attraversano per raggiungere l’orbita presta-bilita (ad esempio i geostazionari).

Dato che questa radiazione può essere assimilata a quella emes-sa da sostanze radioattive, il suo effetto su un veicolo spaziale puòpregiudicarne il corretto funzionamento. Il danno può manife-starsi in diversi modi: un esempio è rappresentato dalla caricaelettrostatica che un veicolo può acquisire passando attraverso lefasce, cosa che può portare a una violenta scarica elettrica. Le cor-renti là generate possono anche superare il milione di ampere arri-vando a produrre degenerazioni nei pannelli solari e perdita dipotenza. Un altro caso tipico si ha quando le particelle, al pene-

S I S T E M A S O L A R E Un’aurora australe che risplen-de nei cieli del polo sud. Lafoto fu realizzata pressol’Amundsen-Scott South PoleStation durante la lunga notteantartica in luglio del 2005.

La aurore polari sonostate osservate anche inaltri pianeti del sistemasolare. Quest’immaginedel gennaio 2004 nemostra una su Saturno.[NASA, ESA and J. Clarke]

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trare nell’interno del veicolo, modificano i comandi dei program-mi e causano malfunzionamenti nei computer del satellite.

In definitiva, l’intensità della radiazione presente nelle Fasce diVan Allen produce un alto deterioramento dei circuiti elettroni-ci. Per questo motivo, le missioni spaziali richiedono il compi-mento di due requisiti fondamentali: (1) una protezione efficacecontro il potere penetrante rappresentato dal bombardamento diparticelle; (2) una pianificazione perfetta di lancio, calcolando larotta in cui venga ridotta al minimo l’esposizione alle radiazioni.

Per quanto riguarda i danni sugli essere umani, le particellecariche possono produrre dosi di radiazione centinaia di voltesuperiori a quelle ottenute normalmente sulla Terra. Queste pos-sono provocare tumori, alterazioni genetiche, danni al sistemanervoso centrale e altri inconvenienti. Tuttavia, al giorno d’oggi,si effettuano un gran numero di esperimenti per studiare comeattenuare questi effetti. In particolare, la quantità di radiazionealla quale una persona può esporsi durante tutta la sua vita simisura in REM (Roentgen Equivalent Man). Il limite annuale per

gli astronauti stabilito dalla NASA è di 50 REM. Per farsi un’ideasu questa quota massima, si sappia che un viaggio internazionaledi un aereo di linea produce una dose di 0,004 REM, e che unaradiografia ai polmoni arriva a 0,01 REM. Nella stazione spazialeSkylab, un astronauta era in grado di assorbire una radiazione dicirca 18 REM in un periodo di 90 giorni. Considerando questi

LA QUIETE DOPO LA TEMPESTA: LEAURORE POLARI

Chiunque si trovasse in Alaska, in Norvegia ma anche inAntartide, alzando gli occhi al cielo in una notte serena potreb-be osservare uno spettacolo naturale incantevole: un’aurorapolare. Questa si rivela come nubi dalle forme irregolari e daicolori intensi, e viene comunemente chiamate aurora boreale oaustrale, a seconda dell’emisferio in cui si manifesta. Vistedallo spazio le aurore appaiono invece come due ovali centratisopra i poli magnetici della Terra (che non coincidono con i poligeografici).

Sin da tempi remoti, gli uomini sono sempre rimasti impres-sionati da questo fenomeno che, oltre a ispirare leggende dicreature mitologiche, ha dato forte impulso al folklore dei popo-li nordici e ha influenzato il corso della loro storia, arte e reli-gione. Diverse erano le credenze popolari secondo le quali leaurore rappresentavano gli spiriti degliantenati di questi popoli, ai quali siricorreva soprattutto nei periodi di care-stia. Ancora oggi esistono molte creden-ze su di esse e sul loro legame con ilmondo dell’al di là.

Il termine “aurora borealis” fu conia-to nel 1619 da Galileo Galilei, che siispirò al nome della dea romana dell’al-ba. Effettivamente, l’etimologia latinadel termine “aurora” sta a significare proprio la prima luce, ilchiarore che appare ad oriente prima del sorgere del Sole; tut-tavia Galilei interpretò male il fenomeno, credendo che fossedovuto alla luce del Sole riflessa dall’atmosfera.

Ma come si formano queste eruzioni spettacolari di forme ecolori diversi, che illuminano le lunghe notti polari? Tutto sca-turisce dall’attività solare. Il Sole è considerato come un pla-sma caldo a forma di grande sfera costituito principalmente diidrogeno, un plasma così caldo che le particelle cariche piùenergetiche possono scappare alla gravità solare per “volare”verso lo spazio esterno. Si forma così il vento solare, un flussoformato da corpuscoli che investe tutti i pianeti e interagiscecon i loro campi magnetici o le loro atmosfere. Queste particel-le cariche influenzano i campi magnetici, tanto che la loro forma

risulta modificata. Nel caso della Terra, protoni ed elettroni tra-sportati dal vento solare e guidati dal campo magnetico terrestreincidono sull’atmosfera in prossimità dei poli. Gli urti con atomi emolecole di ossigeno e azoto, i componenti più abbondanti dell’a-ria, fanno sì che parte dell’energia di collisione li ecciti. Tuttavia,essendo i livelli di energia molto elevati, questi atomi diseccitan-dosi rilasciano luce visibile a diverse lunghezze d’onda, generan-do le fluorescenze tipiche di un’aurora polare.

Un’aurora boreale neicieli della Norvegia,fotografata da FrankAndreassen il 29marzo 2006.

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STARFISH PRIME TEST, COMECREARE FASCE DI RADIAZIONEARTIFICIALI

Il 9 luglio 1962 fu una data storica per gli abitanti delleisole Hawaii: la notte, infatti, in molti ebbero la possibilità diassistere a un’aurora boreale, uno spettacolo del tutto insolitoper quelle latitudini. Eppure quell’evento fu un fenomenotutt’altro che naturale. Si trattò esattamente di un esperimen-to realizzato dalle forze armate nordamericane, ritenuto damolti pericoloso e irresponsabile: la detonazione della primabomba atomica nello spazio. Questo test, conosciuto con il

nome di “Starfish Prime”, era dotato di una testata nucleare di1,4 megatoni e faceva parte dell’Operation Dominic, un pro-gramma di prove designate per testare armi nucleari nello spa-zio. La spettacolare esplosione avvenne a circa 400 chilometrisui cieli dell’atollo di Johnston (a ovest dell’arcipelago hawaia-no) a un’altitudine già considerata come spazio esterno, dandoluogo a una straordinaria aurora.

Secondo alcune testimonianze, dapprima si osservò unintenso flash bianco che permase nel cielo notturno per pochisecondi e illuminò l’ambiente circostante come se fosse lucesolare diurna. Improvvisamente, però, questo bagliore assunsetinte verdi producendo successivamente lo stesso effetto visi-vo di un’aurora dal color rosso intenso. Il fenomeno durò all’in-

circa una decina di minuti prima di dissolversi lentamente nell’o-scurità. La detonazione non provocò, tuttavia, alcun effetto sono-ro.

Sebbene la formazione di un’aurora artificiale fosse prevista,la maggior parte degli altri effetti fu una sorpresa persino per gliideatori dell’esperimento: in seguito all’esplosione gli americanisi resero conto di aver creato aree di radiazione artificiali, moltosimili a quelle naturali scoperte da Van Allen. La conseguenteemissione, che durò più a lungo di quanto pronosticato, generò unforte e incontrollabile impulso elettromagnetico (EMP) nellavasta zona dell’esplosione, provocando isteriche oscillazioni delcampo magnetico terrestre. Nei mesi successivi, inoltre, misefuori uso alcuni dei satelliti in servizio all’epoca, tra cui il primosatellite per telecomunicazioni Telstar.

Nonostante l’evento potesse apparire spettacolare agli occhidi molte persone, gli effetti secondari non furono affatto gradevo-li: nell’intero arcipelago hawaiano, circa 300 strade rimaserosenza illuminazione, TV e radio subirono interferenze, le lineetelefoniche e gli antifurti furono messi fuori uso. Gli effetti cau-sati dall’EMP furono registrati persino in Nuova Zelanda, a oltre1300 chilometri di distanza dal luogo dell’esplosione.

Ma gli americani non furono gli unici a cimentarsi nell’uso diarmi nucleari nello spazio: anche l’Unione Sovietica, infatti, rea-lizzò prove di questo tipo (tra il 1961 e il 1962) per testare le lorodifese in caso di una guerra nucleare.

Simulazione delle fasce di Van Allen pressol’Electric Propulsion Laboratory del NASA’sLewis Research Center di Cleveland, Ohio, l’o-dierno John H. Glenn Research Center. [NASA]

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dati, si comprende facilmente la necessità di proteggere gli astro-nauti che vivono a lungo nello spazio, ambiente dove è difficilegarantire loro la salute.

Le fasce di Van Allen per prevedere i terre-moti

Oggigiorno le fasce di radiazione di Van Allen sono uno deitemi d’attualità nel settore aerospaziale, soprattutto per il lorocoinvolgimento in nuovi progetti spaziali che interessano lediverse aree scientifiche. Uno di questi ha richiamato l’attenzionedi molti addetti ai lavori (e non solo) specialmente per le riper-

cussioni che le sue applicazioni prati-che possono avere nella vita quoti-diana. È il caso di LAZIO (LowAltitude Zone Ionizing Observatory),un progetto di collaborazione traItalia e Russia nell’ambito della mis-sione spaziale europea Eneide. Il 15aprile 2005 la capsula Soyuz, con unequipaggio di tre astronauti a bordo(tra cui l’italiano Roberto Vittori),portò sulla Stazione SpazialeInternazionale il magnetometro diprecisione EGLE. L’obiettivo piùinteressante di questo esperimento èquello di verificare un’ipotesi avanza-ta circa venti anni fa da scienziatisovietici. Si tratta della produzione diun’intensa emissione di onde elettro-magnetiche nell’area geografica diformazione di un terremoto. Quelledi bassa frequenza raggiungerebberol’atmosfera terrestre per poi interagirecon le particelle delle fasce, provo-cando un cambio improvviso dellapolarità delle stesse. Tenendo sottocontrollo la struttura del plasma diparticelle cariche e rilevandone leimprovvise variazioni si potrebbelocalizzare, ricostruendo a ritroso ilcammino delle onde elettromagneti-che, l’area di origine dell’evento tel-lurico. In questo modo sarebbe possi-bile monitorare i fenomeni sismicidella Terra e conoscere con un antici-po di 4 o 5 ore lo sviluppo di un ter-remoto.

Dal canto suo la NASA, con l’in-tenzione di sapere di più sulle auroreboreali e australi, lo scorso mese difebbraio ha iniziato con successo lamissione THEMIS (Time History ofEvents and Macroscale Interactionsduring Substorms). Con la messa in

orbita di cinque satelliti, gli esperti sperano che THEMIS contri-buisca a raccogliere nuove informazioni su come le tempeste geo-magnetiche scatenino le violente e spettacolari fluorescenze neicieli delle regioni polari.

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S I S T E M A S O L A R E

n. 287 • l’ASTRONOMIA • luglio 2007

• Carlo Ferri è originario di Pianella, in provincia di Pescara. Nato nel 1979, si è laureato inAstronomia presso l’Università degli Studi di Bologna, con una tesi realizzata nell’Instituto deAstrofísica de Canarias (IAC) di Tenerife. Risiede attualmente in Catalunya ed è iscritto alProgramma di Dottorato in Astronomia dell’Universitat de Barcelona, dove sta svolgendo unatesi dottorale presso l’Institut de Ciències de l’Espai (CSIC-IEEC), sullo studio di novae evariabili cataclismiche nella banda dei raggi X.•

James A. Van Allen pressouno dei 10 radiotelescopiche formano il Very LongBaseline, nel febbraio1994. [University of Iowa]

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