RUOLO DEGLI ALBERI NELLE NOSTRE CITTÀ 21 novembre...

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RUOLO DEGLI ALBERI NELLE NOSTRE CITTÀ 21 novembre 2014 Palazzo Vecchio - Salone dei Cinquecento ATTI DEL CONVEGNO

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RUOLO DEGLI ALBERI NELLE NOSTRE CITTÀ

21 novembre 2014

Palazzo Vecchio - Salone dei Cinquecento

ATTI DEL CONVEGNO

IL RUOLO DEGLI ALBERI NELLE NOSTRE CITTÀ

FIRENZE, 21 NOVEMBRE 2014

ORE 14,00 - 19,00

PALAZZO VECCHIO

SALONE DEI CINQUECENTO

ORGANIZZATO DA:

Comune di Firenze

Università degli Studi di Firenze

Corpo Forestale dello Stato

Ordine degli Agronomi

Ordine degli Architetti

Parla Stefano Cerchiarini - Dirigente Servizi Parchi Giardini ed Aree Verdi, Comune di Firenze:

<< Buonasera. Direi di cominciare, siamo leggermente in ritardo, se potete mettervi a sedere. Grazie. Scusate, cominciamo, mettetevi seduti, per favore. Un secondo, qualcuno ha da finire le ultime chiacchiere. No, con tanta gente così no, perché... c’è sempre una prima volta. Buonasera e benvenuti a questo Convegno dal titolo il ruolo degli alberi nelle nostre Città. Sono Stefano Sono Stefano Cerchiarini sono il Dirigente del Servizio Parchi e Giardini del Comune di Firenze. Vi do il benvenuto, dal numero delle persone che l’argomento è sicuramente centrato, perché ha trovato un riscontro in termini di interesse, forse, anche più alto rispetto a quelle che erano le aspettative degli organizzatori. Il Convegno è organizzato dal Comune di Firenze, Università degli Studi di Firenze, il Corpo Forestale dello Stato, l’Ordine degli Agronomi e l’Ordine degli Architetti. Brevemente avrete visto il programma, è organizzato secondo due porzioni, la prima parte con degli interventi specifici delle relazioni fatte da professionisti di alto livello. Una seconda porzione del Convegno è invece dedicato ad una Tavola rotonda, che vede presenti i maggiori operatori, tutti gli operatori pubblici e privati che ruotano intorno all’organizzazione, alla gestione del ruolo degli alberi nelle nostre Città. Mi riservo a dopo, una brevissima introduzione perché volevo farvi prima di tutto salutare dall’organizzatore, dall’ospite di questa manifestazione che è il Comune di Firenze, che è rappresentato qui dall’Assessore all’ambiente Alessia Bettini a cui lascio subito la parola. >>

Parla Alessia Bettini - Assessore all’ambiente del Comune di Firenze:

<< Salve, buonasera a tutti, e veramente un ringraziamento di cuore a tutti voi, a tutte le Istituzioni presenti. Io devo dire che sono molto contenta anche un po’ devo dire commossa e onorata essere qui in questo Salone dei Cinquecento così prestigioso, che rappresenta davvero la grandezza della cultura e della storia della nostra Città e che, fa sentire anche una giovane amministratrice come me, il peso e la responsabilità del proprio ruolo. Ma, che comunque, mi fa sentire anche l’orgoglio di rappresentare e di amministrare una Città come Firenze, una Città straordinaria, che è stata nel passato il faro e la locomotiva del Rinascimento, e che vuole essere nel presente e nel futuro, un luogo della contemporaneità delle innovazioni, per cercare anche di, essere al passo al tempo con le sfide anche difficili che ci attengono. E vuole essere anche un laboratorio modello, per coniugare lo sviluppo, lo sviluppo di 7.000.000.000 di persone 8.000.000.000 nei prossimi anni, con i temi della sostenibilità ambientale. Io credo veramente che questa sia la sfida del terzo millennio, che ci riguarda tutti, che ci riguarda tutti come cittadini, come individui, come istituzioni e come politici. Ieri Papa Francesco ha riportato la frase di un agricoltore, un agricoltore che lui ha incontrato, a dimostrazione di come la cultura contadina, debba rappresentare sempre per noi un faro e una bussola preziosa. L’agricoltore ha detto a Papa Francesco: Dio perdona sempre, gli uomini, ogni tanto, la Natura mai. Ecco, io credo che di fronte a questa Natura che ci sta dando dei segnali ben precisi, forse, perché noi la stiamo anche un po’ stravolgendo, noi amministratori e politici, dobbiamo interrogarci e riflettere seriamente, e anche cercare di capire e di sapere leggere un po’ il nostro futuro. Io dopo la tragedia delle Cascine, che devo dirvi mi ha provato emotivamente, e che non dimenticherò mai, anche perché era appena 20 giorni che ero arrivata, mi sono interrogata spesso su che cosa deve fare un Amministratore. E insieme ai miei Dirigenti ho fatto una riflessione anche molto semplice. Da un lato noi abbiamo un patrimonio arboreo i 74.000 alberi che sta invecchiando, e per fortuna sta invecchiando. Dall’altra, abbiamo dei cambiamenti climatici in atto, forti, che ci confronteranno spesso e con precipitazioni molto appunto cruente. Allora, il combinato disposto, sarà che noi, in futuro, non assicureremo e non avremo sicurezza, o l’avremo sempre meno, per l’incolumità delle persone. E allora, che cosa dobbiamo fare? Sicuramente dobbiamo aumentare i controlli sulle alberature. Lo stiamo facendo. Io dopo nella tavola rotonda vi darò dei numeri precisi. Però non basta. Guardate, quello che è successo l’altra notte in Via Torcicoda. Il pino che è caduto, è la dimostrazione. Io ringrazio veramente Dio, perché è caduto alle quattro di notte, ma poteva cadere tre ore prima, poteva cedere tre ore dopo, e lì sarebbe stata una tragedia, perché Via Torcicoda, tra l’altro, è una strada frequentata. E allora, non basta controllare, perché quel pino noi l’avevamo controllato 20 giorni prima, avevamo fatto le VTA e le VTA avevano detto che non era pericoloso, era in classe D non era da abbattere, però è caduto. E perché è caduto? Mi hanno spiegato i miei tecnici che è caduto perché le forti precipitazioni dei giorni scorsi, ovviamente creano delle difficoltà a questo tipo di alberatura, perché il pino ha un apparato radicale che con l’acqua, con le piogge, non riesce ad attecchire e quindi, diventa un albero fragile. Allora io credo che noi dobbiamo controllare sempre di più, farlo meglio, ma dall’altro dobbiamo programmare e verificare e non ricorrere l’emergenza. In questo, dobbiamo fare anche un cambio

di mentalità, di metodo, di metodologia, e lo dobbiamo fare tutti insieme. Ed è questa la ragione di questo Convegno. Io devo dire che vorrei, che da questo Convegno che per me rappresenta veramente l’inizio di un percorso, noi ci ponessimo una domanda, tutti insieme: come si fa a coniugare la sicurezza delle persone, la bellezza e l’estetica di una Città come Firenze, con tutto il patrimonio e storico che ha, e la vivibilità di una Città. Come si fa? Da questo Convegno, vorrei che veramente noi ci confrontassimo su queste domande, insieme, senza preconcetti, senza velleità, ma veramente, con la massima chiarezza e trasparenza, e con la massima conoscenza. Perché io sono convinto che soltanto dalla conoscenza e dall’analisi dei fenomeni, la politica, le istituzioni, possono trovare le soluzioni e le azioni migliori e più di buonsenso. E veramente questo, appunto, è quello che io come Amministratrice vorrei cominciare a fare. Qualche giorno fa, ho partecipato in rappresentanza del Comune di Firenze alla consegna del Pegaso della Regione Toscana al Professor Scaramuzzi, che ha detto una cosa importante, che mi ha fatto riflettere. Lui ha detto in questi ultimi anni c’è stato il primato della politica, e sarebbe bene che si cominciasse ad avere il primato della scienza, no? Io non credo ai primati, io credo ad una collaborazione forte, però, fra istituzioni e scienza. E credo che negli anni scorsi, negli anni passati, la politica ha ascoltato troppo poco la scienza, che forse in realtà aveva già prefigurato certi scenari, ma è la politica che non ha voluto ascoltare e non ha voluto tenerne conto. Ecco, io credo che per tutto quello che ci sta succedendo, forse, anche in maniera un po’ forzata, ma noi questo, diciamo, questo tipo di collaborazione, questo tipo di ascolto e di confronto, lo dovremo mettere veramente come metodo di lavoro. E quindi, veramente credo in una collaborazione forte. Per questo ringrazio i relatori che saranno presenti alla sessione scientifica, ringrazio, appunto, anche tutte le altre istituzioni che saranno con me alla Tavola Rotonda, e voglio ricordare l’accordo di ricerca che noi abbiamo sottoscritto con il professor Ferrini, con l’Università di scienze forestali, perché credo che rappresenti veramente un esempio concreto di collaborazione fra istituzioni, fra Amministrazione e Università. E credo anche che sia una grande e buona opportunità per giovani ricercatori, di cimentarsi su queste tematiche e quindi, per fare un lavoro di scambio di informazioni, utile poi, a tutti. Così come voglio ricordare, nell’ambito di questa collaborazione il Protocollo d’intesa che noi abbiamo sottoscritto alcune settimane fa, tra l’Amministrazione Comunale e il Corpo Forestale dello Stato, che è il primo esempio in Italia e che, tra l’altro, noi vorremo appunto proporre anche come esempio ad altre Città, che anche questa è una collaborazione attiva, fattiva, vera, che prevede insieme il controllo delle Cascine, il monitoraggio alle alberature, ma anche di Polizia e di sicurezza, ma prevede anche uno scambio di informazioni di formazione del nostro personale, presso il personale del Corpo Forestale, che come voi sapete, ha un know-how molto elevato in questo settore. Anche questo è un esempio di collaborazione vera fra istituzioni che abbiamo messo in campo. Io voglio ringraziare anche tutti i dipendenti e i Dirigenti del mio assessorato, perché le sfide che ci attendono in futuro, saranno scelte difficili, e soltanto una squadra forte, motivata, può coglierle e vincerle e io, devo dire che in questi mesi, ho avuto modo di apprezzare tutte le professionalità, le energie e le capacità che stanno dentro l’Assessorato all’ambiente del Comune di Firenze. Quindi, veramente, un grazie sentito, vi chiedo anche nei prossimi anni dovremo fare uno sforzo ulteriore, perché dovremo cimentarci con tante sfide. Un ultima cosa. Oggi è il 21 novembre, è la festa Nazionale dell’albero. Stamattina il nostro Sindaco è andato nel Quartiere 4 con le scolaresche a piantare un po’ di alberi. Non è un

caso che noi abbiamo voluto fare questo Convegno il 21 di novembre, perché lo abbiamo scelto come una data simbolica e lo abbiamo fatto perché, e qui veramente voglio sgombrare il campo, noi amiamo gli alberi. Ci preoccupiamo di preservarli, li sostituiamo quando diventano pericolosi, ma li ripiantiamo. E questo perché gli alberi rappresentano il polmone del Pianeta, e perché, veramente, contribuiscono a migliorare la qualità, la vivibilità della nostra Città. Quindi, veramente un grazie a tutti voi, un buon lavoro, e io mi auguro veramente che questo sia l’inizio di un percorso tutti insieme, tutti gli Enti preposti, per dare risposta a quelle domande di sicurezza, di bellezza, e di vivibilità delle alberature della nostra Città. Grazie e buon lavoro a tutti. >>

Parla Stefano Cerchiarini - Dirigente Servizi Parchi Giardini ed Aree Verdi, Comune di Firenze:

<< Grazie Assessore. Grazie Assessore. Volevo dire semplicemente dire due parole, prima di cominciare con i relatori. Il ruolo degli alberi in generale è normalmente associato come idea di bellezza, come idea di importanza paesaggistica, ma subito dopo era associato ormai da tempo, alla totalità della popolazione, anche con altri elementi di valenza altrettanto importanti. Sappiamo del ruolo degli alberi in termini di assorbimento della anidride carbonica e dei gas serra, sono ovviamente conosciute le capacità degli alberi, particolarmente l’ambiente urbano in termini di abbattimento di quelle che sono le polveri sottili, grazie alle azioni di determinate foglie nel bloccarle, sono percepibili comunemente, le capacità degli alberi in termini di abbattimento delle temperature estive sempre in ambito urbano. Allo stesso tempo è importante la presenza di queste alberature, soprattutto quando sono costituite da filari ripariali o stradali, come vettori per la biodiversità all’interno dell’area urbana. Contemporaneamente ci sono delle particolari fragilità. Le alberature, in natura, sono assalite ed aggredite da eventi naturali, da elementi fitopatogeni. Più in particolare all’interno delle aree urbane, si trovano aggredite da altri elementi che in natura non trovano, alte temperature, sia in estate, che in inverno, particolare concentrazione di Agenti inquinanti, iterazione dell’uomo, basta pensare ai problemi legati alla realizzazione o alla manutenzione di sottoservizi che attraversano la nostra Città che, inevitabilmente, vanno a configgere con la presenza delle radici degli alberi stessi. L’approccio dell’Amministrazione è un approccio che deve tenere conto anche del patrimonio che deve essere gestito, come ha detto l’Assessore al patrimonio che in termini numerici è importante, 74.000 esemplari. Che è importante anche in termini di qualità di questo patrimonio arboreo che, in gran parte è stato piantumato, a partire dalle sistemazioni del Poggi e a seguire, con quelle del Piano regolatore del 1924 quindi, un arco di tempo che va dal 1870 al 1940, quindi, con un patrimonio particolarmente anziano, che ha bisogno di una particolare attenzione gestionale. L’Assessore ha ricordato di un accordo di ricerca che abbiamo siglato con l’Università degli Studi di Firenze, in particolare con la gestione e con la collaborazione, supervisione, anzi, del professor Ferrini che ha proprio lo scopo specifico di elaborare un modello gestionale che tenga conto delle caratteristiche specifiche delle alberature in Città. Il Professore non è potuto venire, ma ci ha mandato un piccolo video e io prima di partire con gli interventi, vi farei vedere questo video che dura pochi minori, per passare poi la parola al primo dei relatori di oggi. Prego. >>

Parla il Professor Ferrini - Università degli Studi di Firenze:

<< Un saluto a tutti. Mi scuso, innanzi tutto, per non essere presente in questo momento mi trovo a Hong Kong probabilmente mentre state parlando sono quasi al momento di andare a letto. Abbiamo però pensato con Pietro Rubellini da questa piccola introduzione, chiamiamola così, mediatica, spero che non appaia ridicola e che serva un po’ ad introduzione al Convegno di oggi. E quindi, vi saluto nuovamente. Io mi sono scritto alcune considerazioni, vedete, qui siamo nel Parco delle Cascine, il parco più rappresentativo di Firenze, ma anche uno dei più rappresentativi d’Italia, ma è anche un parco che ha, come sappiamo, diversi problemi che il Comune sta piano, piano affrontando e anche risolvendo. Sappiamo anche che la stagione in corso ricchissima di precipitazioni e di eventi anche piuttosto intensi, ha causato la caduta di numerosi alberi, non solo a Firenze, ma poi in tutta Italia, e ha sollevato, ha diciamo, portato all’attenzione dell’opinione pubblica il problema delle alberature vetuste nel nostro ambiente urbano. È una tematica, ovviamente, spinosa, che deve essere affrontata in un modo inderogabile, con una logica di approccio che sia una logica proattiva, e non reattiva, come spesso purtroppo è, e diciamo, in un modo razionale e non emozionale, cioè non facendosi prendere dall’emozione, ma cercare di essere razionali e di, in questo modo, governare le problematiche e venire incontro a quelle che sono le aspettative per quanto riguarda la presenza di alberi in Città e nel contempo, garantire quella che è la sicurezza della fruizione. Detto questo, è ovvio che ci sono tutta una serie di problemi che si pongono quando si deve pensare, io mi sono preso qualche appunto, ma poi, come al solito, non lo sto seguendo, si deve pensare al rinnovamento. Il rinnovamento delle alberature che, è ovvio, sottintende che vengano prese alcune decisioni politicamente forti e forse, lasciatemelo dire, anche impopolari, decisioni che devono essere prese quando gli alberi sono vecchi, sono senescenti. Sono malati, sono danneggiati, si trovano, purtroppo, in condizioni che non consentono più la loro presenza e al contempo, la sicurezza e la fruizione. Quello che mi preme sottolineare è che non si deve fare confusione fra quello che è l’albero monumentale di importanza storica, di importanza paesaggistica, e l’albero invece vetusto. Sono due modi, due diversi individui che, chiaramente, richiedono due diverse tipologie di manutenzione. È ovvio che un verde urbano di qualità non si ... per caso. Deriva da una oculata pianificazione e un altrettanta attenta progettazione che deve essere fatta per assicurare che gli alberi posti nelle arre urbane, nei parchi, nei viali, nei giardini, anche nei giardini privati, migliorino il paesaggio urbano, forniscano i servizi per i quali sono stati piantati, ma allo stesso tempo, devono garantire la fruizione con un minimo, un minimo livello di rischio. E io sono contento perché mi sono cominciato ad occupare vent’anni fa dell’arboricoltura urbana, che è un argomento che si sta sviluppando un po’ fortemente in tutto il mondo, diciamo che 30/40 anni fa in Italia non se ne parlava neanche, nel mondo già si cominciava adesso, se ne parla come una materia al pari, con la stessa dignità delle altre. È chiaro che ci sono tanti problemi da affrontare. Mi piace citare, la leggo, perché è una citazione, Raskin il quale, diceva che sappiamo tutti cosa sono gli alberi, certamente, ovviamente, che appaiono, come vivono, le diverse dimensioni a cui possono arrivare quanto possono vivere e quanto velocemente o lentamente crescano. Sappiamo tutto degli alberi? Che nullità compose possiamo essere a volte noi esseri umani. Ecco, questo è quello che diceva appunto Raskin

guardando alle persone che pensano si sapere tutto o pretendono di sapere. Io lo dico spesso, so di non sapere, di studiare, di informarmi, di presenziare ai Convegni e di portare, magari, le informazioni e le conoscenze nuove che posso appunto, ascoltare o derivano dall’osservazione, o anche interrogandomi su quelle che sono state, magari, alcune scelte, alcune affermazioni passate. Ecco, diciamo io concludo qui, non vi voglio rubare dell’altro tempo. L’unica cosa che mi preme è che non mi piace, dico sinceramente, questa... questo muro contro muro che si è creato fra le Amministrazioni pubbliche che vogliono gestire gli alberi, garantendo, appunto, la riduzione del rischio per i cittadini e coloro che, invece si oppongono totalmente, scusatemi se lo dico anche irragionevolmente al taglio degli stessi. Come diceva Socrate la verità emerge dal dialogo, l’unica certezza è rappresentata dalla necessità di discutere. Noi discutiamone, magari anche partendo da opinioni diverse, ma per arrivare a una soluzione Comune che sia la migliore per gli alberi e la migliore per il cittadini. Vi ringrazio e vi auguro buon Convegno. >>

Prof.Prof.F. FerriniF. Ferrini

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Il ruolo degli alberi nelle nostre città

Palazzo VecchioPalazzo VecchioSalone dei Salone dei

CinquecentoCinquecento

21 novembre 2014

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Parla Stefano Cerchiarini - Dirigente Servizi Parchi Giardini ed Aree Verdi, Comune di Firenze:

<< Grazie al professor Ferrini che ci ha fatto arrivare via etere questo contributo. Io entrerei nel vivo della serata dopo quest’interessante prefazione, invitando a parlare il Dottor Gianmichele Cirulli, che è Arboricoltore, scusate, Municipale della Città di Torino, già Presidente dell’Associazione Nazionale Arboricoltura. L’intervento tratta un tema sicuramente interessa che centra già perfettamente l’argomento di stasera: le alberature in ambito urbano, dal concetto di pericolosità a quello di gestire del rischio. >>

ORE 15,00 “Le alberature in ambito urbano: dal concetto di pericolosità a quello di gestione del rischio.”

Parla Gianmichele Cirulli - Arboricoltore Municipale (Città di Torino) ex Presidente della Società Italiana Arboricoltura:

<< Grazie. Buonasera, buon pomeriggio. Un ringraziamento agli organizzatori e complimenti all’Assessore che ha fatto un intervento molto, molto interessante che purtroppo ripeterò in alcuni punti, spero, con un taglio magari tecnico, in modo da dare qualche, diciamo apporto ulteriore. Mi tocca a parlare di un tema abbastanza ostico che quello della sicurezza degli alberi, della presunta sicurezza degli alberi. Cercherò di farlo in maniera un po’ spero non troppo noiosa, iniziando a dire che non sono un Arboricoltore Municipale nel senso che è una professione che, ahimè, non esiste ancora. Come diceva il Professor Ferrini, l’Arboricoltura urbana in Italia c’è da circa 20 anni. Però io da 15 mi occupo esclusivamente di gestione di alberi per la Città di Torino, sono un Agronomo, quindi, in qualche maniera mi sento un po’ un Arboricoltore Municipale, perché è il mio lavoro, ed è quello a cui dedico anche parte del tempo libero, all’interno di Associazioni e gruppi di lavoro. Un breve cenno rispetto al fatto che oggi è la giornata Nazionale dell’albero. A gennaio questa Legge contenitore, nata appunto, nel 2013 compirà due anni. Compirà due anni. È una Legge che è stata vista... Legge Quadro, legge sul verde urbano, con tantissime critiche come siamo abituati a fare in Italia. Io all’epoca, quando ebbi l’occasione di fare alcuni interventi ai Convegni, organizzati propri in concomitanza della promulgazione, dissi che invece era un opportunità interessante, perché per la prima volta, si cercava di mettere un po’ di chiarezza. L’esempio più eclatante è che oggi in tutta Italia, ci sono decine di eventi dedicati al tema dell’albero e secondo me è una cosa magnifica. Alcuni saranno meritevoli, altri saranno, magari, non particolarmente riusciti, però in questo momento ci sono centinaia e migliaia si persone che a titolo più o meno volontario, stanno parlando di alberi, stanno facendo cultura dell’albero. Ci sono maestri e bambini nelle scuole, ci sono tecnici municipali, ci sono volontari, persone che fanno parte di questo modo a diverso livello che stanno dialogando su un tema così importante per noi. È la Legge, l’art. 1 ne testimonia l’importanza, perché è tantissimo che si fanno le feste dell’albero. Però per la prima volta, questa volta, si è scelto una data e quindi, bene o male, tutti quanti ci stiamo concentrando su questa... su questo appuntamento che è sta diventando sempre più importante. Prima di andare a parlare di sicurezza legata agli alberi, forse, è bene fare un piccolo, diciamo, riassunto, di come stanno i nostri patrimoni arborei. Io parlerò, com’è mia abitudine, della mia esperienza personale diretta e quindi, della Città di Torino, ma sono esperienze che sono, e dati e informazioni, che sono riproducibili in tantissime altre realtà. Ho tirato fuori un po’ di foto d’archivio che possono essere, diciamo, di richiamo, e iniziamo un po’ a parlare di criticità nella gestione dei patrimoni arborei pubblici. La Città di Torino ha un patrimonio vetusto che è composto da 110.000 alberi in ambiente urbano, più circa 60.000/70.000 in collina. Quindi, numeri non tanto diversi da quelli della Città di Firenze, ma per il 50% ha un età media superiore ai 150 anni, quindi, vuol dire un patrimonio maturo, con tutto quello che ne consegue. Quindi, parliamo di alberi che nei decenni si sono sviluppati, più o meno a fatica, in Città che si trasformavano. Quest’immagine vicino al vecchio stadio comunale, adesso è diventato Stadio Olimpico dopo le Olimpiadi del 2006, credo datata 1950, qualcosa del genere, c’è un filare di platani molto giovane, sembravano belli, sani, tranquilli, c’era poco traffico,

ma la Città è un po’ cambiata in questi 60 anni. Altre foto, diciamo, di repertorio che ci dicono come venivano fatti i lavori dai nostri predecessori e su che materiale. Torino, come tutte le Città, uscirono dal secondo dopoguerra, allora si trasformavano sulle macerie. A noi capita ogni tanto, facendo così, scoprire che abbiamo alberate costruite sulle macerie delle demolizioni e tutto quello che ne consegue, con terreni che erano già all’epoca inadatti, escludendo quelli che erano i terreni agricoli. Quindi, parliamo di un patrimonio arboreo pubblico, che è in contesti non ottimali, sia, diciamo, dell’epoca, ma attuali, perché le Città si sono trasformate, le condizioni stazionali non sono buone, si è al di sopra del terreno che è sotto, perché abbiamo sottoservizi, cablaggi, rete, diciamo, una serie di conflitti immensa, alberi che spesso sono nel posto sbagliato, o perlomeno, che magari originariamente erano nel posto giusto. A me capita, sono 17 anni che lavoro al Comune di Torino, i primi anni dicevo ma chi è quel cretino che ha messo l’albero in quel punto, come un platano sulla banchina di un metro. I vecchi mi dicevano: Gianmichele, quando hanno fatto quell’alberata, la banchina era di 6 metri poi un pezzo è stato tolto per il controviale, un pezzo per la corsia, e alla fine la banchina si è ristretta. Quindi, quando andiamo a giudicare, pensiamo a magari al fatto che le cose si sono trasformate, e nel caso degli alberi si sono quasi sempre trasformate in peggio. Iniziamo a pensare però che i colpevoli non sono sempre gli altri, non sono solo i geometri, gli Architetti, gli Ingegneri, perché noi che lavorando nel verde pubblico, piace dirlo, la colpa è degli altri, ma questa è un po’ la moda italiana del benaltrismo. Spesso e volentieri gli arboricoltori di tutta Italia, come nel sottoscritto, non sono solo la risposta ai problemi, ma sono anche la causa, perché ci sono scelte tecniche sbagliate, interventi culturali errati che vanno a ridurre la vitalità degli alberi e anche il fattore di sicurezza biomeccanica: potature drastiche nel tempo, magari motivate da mille motivi che conosciamo e viviamo tutti i giorni. Nel tempo vanno a ridurre il fattore di sicurezza degli alberi. E questi, sono temi su cui bisogna confrontarci e interrogarci. Quale può essere il futuro del patrimoni arborei pubblici? Questa è una vista dall’alto di Corso Vittorio Emanuele che è uno dei corsi principali, epoca napoleonica, quindi, grossi viali di platani, circa 10 chilometri, sono 500 o 600 piante, che tagliano la Città. L’Amministrazione pubblica è drammatica. Lo sappiamo tutti, ce lo diciamo da anni, abbiamo raggiunto il fondo del barile, stiamo scavando sotto il fondo, con le unghie e il trend dei fondi destinati al verde, almeno a Torino, è inferiore, cioè è peggiore rispetto a quello degli altri. Quindi, i soldi che ci sono ad esso, sono meno di quelli che c’erano 10 anni fa, e sono proporzionalmente meno rispetto a quello degli altri settori, tranne quando succede il fattaccio, e allora c’è l’impennata di soldi. Come diceva l’Assessore, e come ha richiamato anche brevemente il Professor Ferrini, gli eventi meteo di forte intensità, il che ne dicano gli esperti meteorologici, sono in aumento. Poi, per gli statistici nel momento in cui ce ne sono quattro all’anno, non c’è più un evento eccezionale, ma chi viene chiamato, di notte, perché l’albero è caduto e vive col telefono acceso, diciamo che la percezione di eccezionalità è un pochettino differente da chi sta, magari, ad elaborare i dati statistici, partendo dal più ... ad oggi. Quindi, noi dobbiamo confrontarci con il fatto che gli eventi meteo saranno sempre più intensi, che abbiamo alberi che in queste condizioni manifestano in maniera più intensa, i loro problemi, ma io vorrei dire che sono convinto del fatto che magari non i patrimoni arborei attuali, ma i patrimoni arborei del futuro, potranno rendere le Città più sicure anche di fronte agli eventi meteo, alberi sani, ben gestititi, hanno un effetto di mitigazione sul clima, sui microclimi, lo dimostrano studi americani

dove i fenomeni intensi sono molto forti e molto frequenti, la percentuale di chioma se supera determinati livelli, protegge. Protegge i fabbricati. È come il fatto degli alberi sugli argini o sui versanti. Se sono ben gestiti, non rendono gli argini e le montagne più sicure. Se le montagne franano quando gli alberi vengono tagliati, non il contrario. Bisogna iniziare a parlare di aspettative di vita e rinnovo dei patrimoni arborei pubblici. Io mi sono laureato nel ’95, 1900 non 1895, nel 1995 c’erano i primi corsi universitari, i primi ragionamenti, sull’arboricoltura urbana, eravamo veramente ai primi albori in Italia, e studiando e preparando il concorso per il Comune di Torino, leggevo dei Piani di rinnovo della Città di Parigi, estasiato... anche lì si sono un po’ fermati. Però diciamo che forse è arrivato quel punto di non ritorno, costi e benefici anche in termini ambientali di sicurezza tra il valore dei nostri patrimoni e i costi, per iniziare a ragionare in maniera seria. Questo è un tabù culturale che abbiano ancora adesso, che però, forse, dobbiamo iniziare ad affrontare, perché credo che possono esserci le condizioni giuste, non per fare tabula rasa, ma per provare a ragionare. Ma intanto che facciamo? Perché noi gli alberi li abbiamo. Abbattiamo i viali alberati della Città di Torino che sono un tratto distintivo anche dal punto di vista paesaggistico? A me piace dire che possiamo raggiungere Firenze, mettendo in fila gli alberi delle nostre alberate, che sono circa 50.000 solo sulle alberate, 55 o 60.000, e hanno uno sviluppo di oltre 450 chilometri. Quindi, messi in fila, potremo fare una passeggiata sotto le chiome degli alberi della Città di Torino. Nel frattempo cosa facciamo di questi alberi? Anche se, forse, è arrivato il momento per iniziare a ragionare di rinnovo dei patrimoni arborei pubblici? questa è una bella domanda. Il problema è che gli alberi continuano a cadere. E forse, fanno più rumore che in passato. Allora, qua mi sono concesso una divagazione. Solitamente proietto foto della Città di Torino, ma siccome è triste parlare sempre di alberi che cadono, allora ho iniziato a cercare e ho detto: cerchiamo qualche foto un po’ buffa di alberi simpatica. Allora, mi sono immaginato qualcosa di più simpatico, e ho trovato sul web una foto di un albero su una spiaggia, diciamo, interessante, in modo da alleggerire un po’ il tema, e poi un albero con tutta una serie... un piccolo gregge che si stava nutrendo delle radici, è un modo per, diciamo, alleggerire un po’ la cosa. Personalmente gli eventi che abbiamo avuto anche noi a Torino, noi... allora, un breve inciso. Il fatto che, non so se potrà piacere quello che so per dire, come altre cose, l’entità del danno di uno schianto, dipende dal culo, scusate il termine poco francese, però ci va fortuna, perché quello che è successo alle Cascine, e io lo dico dal di fuori da, diciamo, operatore del settore, poteva capitare in tante altre Città. A noi in Piazza Toti è successo una cosa simile, ma per fortuna nostra, l’entità dei danni, si è limitata a delle ferite. Quindi, noi dobbiamo tenere presente che, ahimè, gli alberi continueranno a cadere, che è una situazione drammatica, perché anch’io ho vissuto situazioni simili legati agli alberi e so cosa si prova prima, durante e dopo, però allo stesso modo è un lavoro bellissimo. Io non lo cambierei con nessun altro, al di là del fatto di avere un vitalizio per non fare niente, ma la vedo difficile. Quindi, in questo momento c’è una situazione di impotenza, perché l’attenzione dei media, dei cittadini, è molto forte. Impotenza, insicurezza ed incertezza. Non affronto qua il tema delle responsabilità civili e penali, perché sarebbe forse lungo e anche penoso. Tutto quello che succede ci mette dubbi, dubbi che abbiamo noi, almeno, parlo di me, su come operiamo e su come gestiamo gli alberi. Ma dubbi che hanno, probabilmente, anche i cittadini, anche le Associazioni dei cittadini. E la tentazione in un momento come questo, è quello di resertare tutto, di buttare via vent’anni di esperienza, di

lavori e anche di buoni risultati, e ripartire da zero. Ed è un rischio pericolosissimo, secondo me, o ancora di più, dire: no, m’invento un nuovo sistema per la gestione degli alberi. E anche questo è un rischio molto, molto pericoloso. Qualche considerazione che, in parte, quasi è sembrato che ci fossimo messi d’accordo con l’Assessore, invece no, e questo, mi fa piacere, perché io sono un tecnico e sentire che un politico di riferimento dell’Assessorato per il quale io lavoro, in un’altra Città, ha una lunghezza d’onda molto simile vicino alla parte tecnica, e alla parte politica che devono lavorare in sinergia. Tutta una serie di considerazioni che, adesso scorrerò velocemente, sarebbe bene che fossero condivise e accettate da noi tutti, dai politici, dai tecnici, dagli Amministratori in genere, dai cittadini, dai terzi e nei terzi ci metto i media, tutti i giornalisti che quando cade un ramo... a Torino abbiamo una soglia di attenzione che si è fermato alla caduta del ramo. Ogni ramo che cade in un’area giochi, visto che abbiamo un Procuratore della Repubblica che è abbastanza noto, apre fascicoli d’indagine, a noi basta anche la caduta di un ramo senza bambini, per l’apertura di un fascicolo d’indagine. Ma io sono diciamo, sabaudo e quindi, rispetto. Se la Procura apre un fascicolo di indagine, io faccio il mio lavoro. Il problema è che poi i media ingigantiscono, perché il ramo diventa un tronco, il fatto della caduta di un ramo, diventa una mancata strage. E tutto questo meccanismo, ingrandisce le cose. Ed è impossibile mantenere gli alberi esenti da condizioni di rischio. Facciamocene una ragione. Tanto più che la capacità... io questo le voglio proprio leggere, la capacità di prevedere i processi naturali, gli eventi climatici, le potenziali conseguenze del cedimento è ancora limitata. Stiamo parlando di una disciplina che è di vent’anni, che parla di interazione albero, uomo, Città e natura, natura intesa come eventi meteo. Quindi, una serie di variabili incredibile. Le conoscenze delle relazioni tra alberi e carichi, a cui sono sottoposti, sono ancora limitate, perché la biomeccanica è ancora, molto, molto recente come disciplina. E io inizio a scriverlo nelle relazioni, sia per l’Assessore, che nelle relazioni richieste di risarcimento danni, dico, un certo livello di rischio, adesso non so, lo hanno rifiutato, deve essere accettato dai proprietari degli alberi, dai gestori e anche dall’utenza dell’opinione pubblica. Noi abbiamo la fortuna di avere un bene con un valore ambientale immenso, quali sono gli alberi, e un prezzo bisogna pagarlo, sta a noi verificare che il prezzo sia sempre quello più basso, ma non può esserci un beneficio a costo zero. Per fortuna e io questo lo dico sempre incrociando le dita, come scongiuro, diciamo, educato, il cedimento di un albero dal punto di vista statistico, ma proprio in termini reali, è un evento con una probabilità ancora ridotta. Poi, uno può dire: ne basta uno. È vero. Però non stiamo parlando, non stiamo parlando di una cosa che capita tutti i momenti, se si guarda a livello sempre statistico italiano, o europeo, o mondiale, noi abbiamo avuto per un po’ di tempo un Dirigente che arrivava dal suolo pubblico, un Ingegnere, e mi diceva: Gianmichele, guarda che sono molto di più le volte che io andavo in Procura per le buche sull’asfalto, che non quelle per il verde pubblico. E sono molti di più i pali della luce che cadono in una Città, rispetto agli alberi. Fortunatamente, penso che ci occupiamo di alberi. Quindi, questo non vuol che la soglia di accezione deve essere bassa, però dobbiamo, in qualche modo, entrare in quest’ottica. L’Assessore ha parlato di cambiamento di approccio culturale, ed è fondamentale. Però questo non deve essere un alibi, tanto gli alberi sono naturali, le radici non le vediamo, la natura cambia, non ci sono più le mezze stagioni, e quindi, se cadono, pazienza. No. Queste sono considerazioni che sono date dall’esperienza a livello internazionale, ci devono far tendere ad un

miglioramento, non deve essere un alibi, perché dobbiamo migliorare tutti, e i parametri di miglioramento, sono ancora molto ampi. Quali possono essere i passaggi? Intanto fare un po’ di chiarezza. In questi anni abbiamo creato, e adesso andiamo più nel tecnico, non tropo nel noioso, distinguere fra ruolo del gestore, e del rischio, il valutatore e l’Arboricoltore. Il gestore del rischio è il proprietario custode, il valutatore del rischio può essere il gestore, se si fa tutto in casa, ma può essere il professionista incaricato, l’Arboricoltore è quello che fa gli interenti manutentivi. Può sembrare banale, ma spesso anche nei nostri affidamenti, e anche nell’approccio, c’è un po’ di sovrapposizione fra i ruoli. E le sovrapposizioni creano confusione. Un’altra confusione che si fa ancora spesso è tra pericolosità e rischio, pericolo e rischio. Noi spesso abbiamo fatto in passato tecnici, molta confusione. Il pericolo è la possibilità che un evento negativo si manifesti, nel nostro caso, il cedimento di un albero. Il rischio è il danno conseguente alla manifestazione di quell’evento dannoso. Quando noi facciamo controllare gli alberi, diamo un incarico che attiene alla valutazione della pericolosità potenziale di quell’albero. Il rischio è tutto un altro tema. E quindi? Ecco, adesso qua entriamo nel campo delle ipotesi. Quando mi sono sentito con i colleghi del Comune di Firenze mi hanno detto: se venisse a Firenze vorremo che ci parlasse di queste cose. Dico bene, così faccio un po’ di esercizio, perché è un tema su cui iniziamo a confrontarci anche noi, è un tema direi molto, molto nuovo, ci si deve muovere in punta di piedi e fortunatamente con un bagaglio che inizia ad essere importante. Farini lo ha detto, in 20 anni l’Arboricoltura ornamentale in Italia ha fatto dei passi da gigante, e in Europa non siamo messi così male, siamo considerati. Anche su questo, diciamo, un punto di riferimento. Il tema, secondo me, è quello di passare dal concetto di pericolosità, al concetto di rischio, che richiede però un cambiamento radicale dell’approccio. Fino a questo momento, noi abbiamo utilizzato dei modelli che hanno verificato la pericolosità dell’albero, la famosa classe di valutazione A, B, C, CD e D, che sono dei Protocolli fenomenali, elaborati in Italia dalla Società Italiana di Arboricoltura, una Onlus che da vent’anni si occupa di questi temi, e del ... italiano che è la più grossa Associazione di Arboricoltura al mondo, che ha oltre 20.000 Soci e io ho avuto l’onore di fare il Presidente per tre anni, dopo Ferrini, sono Protocolli che devono essere implementati. E bisogna arrivare a dei modelli in cui si inizia a parlare di concetto di rischio e quindi, la probabilità dell’impatto, e le conseguenze dell’impatto. E arrivare a definire una modalità di calcolo del rischio, perché sennò abbiamo un albero potenzialmente pericoloso, in un contesto che ha un rischio completamente diverso dallo stesso albero in un contesto completamente diverso. Se un albero in un parco estensivo con problematiche ha magari un livello di rischio basso, su un, diciamo, un arteria urbana, su un’area, fortemente, diciamo, fruita, il livello di rischio cambia completamente. E arrivare a una cosa complicatissima, secondo me, ma perché dobbiamo sperimentarla, che è quella della soglia di rischio accettabile, tornando al discorso di prima. Capire qual è, sulla base delle nostre risorse, tecniche, economiche, umane... qual è il livello di rischio che noi siamo in grado di accettare e anche molto soggettiva. Questo è un tema complesso. Passare dalla preoccupazione che abbiamo avuto noi a Torino, controlliamo tutti gli alberi, li controlliamo tutti, a come li controlliamo. Quindi, passare da un lavoro, magari raffinato che era indispensabile, io non sto rinnegando, un lavoro a cui ho contribuito insieme ad altri colleghi, in maniera forte, dico che bisogna iniziare a implementarlo con, ad esempio, il concetto della zonizzazione del rischio, e andare a definire obiettivi differenziati. A chi compete

la valutazione del rischio? Queste sono mie elucubrazioni, tratto dal copia e incolla, quello che gira sui tavoli di lavoro nazionali e internazionali, a mio parere al proprietario gestore. Quindi, noi possiamo delegare in parte la responsabilità della valutazione della pericolosità dei professionisti, ma in parte, mi sembra i proprietari custodi, perché poi quando succede un fattaccio... punto... non siamo esonerati, ma giustamente, la valutazione del rischio, secondo me, è una competenza del gestore. Che si può avvalere della professionalità esterna, ma è un compito del gestore, a meno che, non ci sia un contratto specifico, ma gli input e l’Amministratore, altro Sindaco, il Direttore, il Funzionario, che decidono qual è la soglia di accettazione del rischio, non può essere un professionista esterno, non può essere l’Università. L’Università può darci un modello, però poi dentro l’applicazione, dobbiamo farla noi. Ci sono dei modelli di riferimento? C’è qualcosa, c’è qualcosa. Io ho fatto due esempi che ho seguito dal di dentro. Il primo a sinistra è la traduzione del manuale delle buone pratiche dell’ISA International Society Arboracalcior proprio sulla valutazione del rischio connessa alla presenza di alberi. Gli americani sono partiti dopo di noi su questo tema. Loro si limitavano a guadare gli alberi e abbattere con il martelletto. Però hanno un approccio pragmatico e quindi, sono partiti dalle ansie del rischio ... E quindi, in maniera molto squadrata, hanno affrontato questo tema. E molte delle affermazioni che io ho fatto, derivano proprio anche dalla traduzione che come Associazione abbiamo fatto di questo manuale che, secondo me, ha tutta una serie di concetti interessanti. E propone anche dei metodi di calcolo della valutazione del rischio. Poi c’è una bellissima esperienza che è nata nel 2008 dopo l’incidente mortale al campo da golf di Venaria alla Mandria, fuori Torino, i primi di maggio un Socio di questo club stava giocando, c’era vento, l’albero cadde, e lo uccise. E ci si iniziò a lavorare sulla gestione degli alberi nel verde ... perché per me è il pane quotidiano, ma per chi gestisce un parco fluviale Regionale, lui si occupa di aspetti naturali, dell’ecologia del tema, ma non ha un aspetto gestionale. Quindi, si crea un tavolo interdisciplinare che era composto da 30 soggetti, tra cui professionisti e Amministrazioni e come Città c’era la Città di Torino e la Città di Genova, e arrivò a produrre un insieme di procedure, fra l’altro le due cose, le procedure nascono nel 2008 e questo manuale l’abbiamo tradotto nel 2013, parlano di temi simili. E la cosa buona, va bene, sono tutti e due documenti reperibili e il secondo e scaricabile sui siti istituzionali, affrontano il tema della zonizzazione del rischio, perché siamo sempre lì. Considerazioni finali, siamo in chiusura. Allora, anche qua sono cose che un po’ ho sentito, ma mi fa piacere, perché ho sentito che... o stiamo dicendo fregnacce tutti quanti insieme, però ne siamo convinti, o forse è la strada del futuro. La Città non è un ambiente naturale. Gli alberi che abbiamo in Città non sono alberi che vivono in un contesto naturale. In alcuni casi, negli anni ’70 quando io facevo le elementari, si ricreavano i giardini pensando alla casa al mare, alla casa in montagna, per noi di Torino e quindi le betulle, le conifere, così mi creo uno spicchio di ambiente naturale. No. È un ambiente costruito con tutto quello che ne consegue. Quindi, non sono alberi delle foreste, per fortuna, o per sfortuna, allora, bisogna iniziare a parlare di foresta urbana, che è un termine anche questo, un po’ particolare, con un approccio più ampio, come diceva l’Assessore, basato sul medio e lungo periodo, come diceva Ferrini, differenziando la gestione dell’albero veterano, dall’albero ordinario. In un mix che non vuol dire togliamo tutto e rinnoviamo i patrimoni arborei, perché non sarà possibile, ma che differenzi il tema della valutazione e della stabilità con un approccio, speriamo, più volto verso la pericolosità al rischio, al concetto del rinnovo.

Perché, insomma, prima o poi dovremo gestire in emergenza il rinnovo delle alberate. E non ce lo possiamo permettere. La valutazione di stabilità, però è solo un pezzo del puzzle per la gestione degli alberi in ambiente urbano, non deve essere slegato. Se sul tema delle potature, dobbiamo uscire, per quanto difficile, dalla logica del massimo ribasso, e noi ci stiamo provando, con fatica, con dei progetti e degli appalti ad soggetti economicamente più vantaggiosa, con parametri oggettivi, bisogna farlo anche sulla stabilità, perché i professionisti sono diventati le Imprese, ma in senso buono. E anche su questo tema a Torino abbiamo raggiunto ultimamente dei ribassi che sono inaccettabili. Il mercato Limpone, io ho la fortuna di avere, per adesso, uno stipendio garantito, i professionisti e le imprese no. Però poi inizia un circolo vizioso da cui non esce più nessuno. E quindi, dobbiamo sforzarci anche su questo tema di educare il mercato, permettetemi il termine, perché senno se non si educa da solo. E sulla carenza di fondi, io la sento da 17 anni, è vero che è peggiorata, però può essere un opportunità, può essere un opportunità obbligata, messa insieme alla situazione degli alberi, per cercare di sfruttare il bagaglio di esperienze che abbiamo acquisito in questi 20 anni, come in momenti come questi, ma soprattutto sedendoci ai Tavoli, interdisciplinari, e non Tavoli monotematici, non dobbiamo avere paura di mettere insieme a un tavolo un dipendente pubblico, un professionista universitario, perché sennò ci raccontiamo, ce la cantiamo, e ce la suoniamo, ma non andiamo da nessuna parte. È ovvio che abbiamo obiettivi diversi, però è quella la strada. Io ho finito. Grazie. >>

IL RUOLO DEGLI ALBERI NELLE NOSTRE CITTA’

Le alberature in ambito urbano: dal concetto di pericolosità a quello di 

gestione del rischio

FIRENZE

PALAZZO VECCHIO – SALONE DEI CINQUECENTO21 NOVEMBRE 2014

Gianmichele CIRULLI SETTORE VERDE GESTIONE CITTA’ DI TORINO

Gianmichele Cirullile slide dell’intervento

Parla Stefano Cerchiarini - Dirigente Servizi Parchi Giardini ed Aree Verdi, Comune di Firenze:

<< Grazie al Dottor Cirulli per il suo intervento, che ha portato una serie sicuramente a Comune tra quelli che anche noi, abitualmente, ci troviamo a trattare tutti i giorni. Mi piace sottolineare due aspetti tra quelli, tutti importanti e interessanti, che ha portato. Il primo che una volta tanto una Legge, in questo caso la Legge 10 del 2013, costituisce non un problema in più. Ma un opportunità, ho utilizzato esattamente questo termine, un opportunità soprattutto in termini di sviluppo culturale, per gli operatori e anche per l’opinione pubblica. Il secondo elemento che voglio sottolineare è la questione della zonizzazione del rischio, cioè una approccio ulteriore rispetto alla semplice valutazione dell’albero preso come singolo esemplare, ma correlando il singolo esemplare con il luogo in cui si trova e che quindi, in qualche maniera, caratterizza una possibilità di rischio più o meno alto, più o meno basso, a seconda di ciò che gli sta introno e gli si muove intorno. Grazie ancora. Io passerei al prossimo intervento, del Dottor Stefano Cerea, Presidente Nazionale dell’Associazione Italiana Direttori e Tecnici Pubblici Giardini, sul tema: linee guida per la gestione e la sicurezza dei patrimoni arborei pubblici. Prego, dottore. >>

ORE 15,15

“Linee guida per la gestione e la sicurezza dei patrimoni arborei pubblici.”

Parla Stefano Cerea - Presidente Nazionale dell’Associazione Italiana Direttori e Tecnici Pubblici Giardini:

<< Grazie. Quello che vi illustrerò adesso, è un sunto, è un brevissimo stralcio, di un documento che verrà presentato ufficialmente dalla mia Associazione, nella seconda metà del mese di gennaio a Roma: linee guida per la gestione e la sicurezza dei patrimoni arborei... e scusate... va? Scusate, non sono tanto pratico dello strumento. Gli alberi sono la parte più significativa del patrimonio... di un patrimonio verde di una Città. L’albero è quel soggetto che modifica il nostro paesaggio, è quello che ci apporta dei benefici, ma ci apporta, chiaramente, anche dei pericoli. È un sistema dinamico, non è un sistema statico, per cui, va continuamente monitorato, va continuamente seguito. E come tutti gli organismi viventi, presenta comunque dei fenomeni che no, spesso e volentieri, non riusciamo a prevedere. Io sono circa 35 anni che mi interesso di verde e di verde pubblico, e da noi si dice che il cavallo piccolino, sembra sempre giovane, ma in realtà invecchia anche il pony, per cui, anche i miei anni passano. Però io dico che da 35 anni a questa parte, tutto sommato, i problemi del verde sono sempre quelli, sono cifre che si ripetono. Forse, negli ultimi anni due sono veramente i problemi che sono emersi e che mettono veramente a rischio gli alberi nelle nostre Città. E sono comunque, gli eventi atmosferici, effettivamente negli ultimi anni sono diventati sempre più forti, sempre più violenti. È stato dimostrato che anche alberi perfetti, anche alberi sani, però di fronte a eventi così forti, di fronte a eventi così forti, non riescono comunque a resistere, vengono comunque sradicati, vengono spaccati nel tronco, spezzati, e questi, purtroppo, sono fenomeni che noi non possiamo assolutamente prevedere. E l’altro fenomeno, gli altri problemi, sono quelli della globalizzazione, cioè di queste, di queste malattie che ci arrivano, e che ci trovano... ci colgono impreparati, magari li conosciamo, però si sviluppano e si diffondano con una tale rapidità, anche sul nostro territorio, per cui spesso e volentieri non riusciamo a gestirle. Ecco qua. No. È inutile dire che l’albero non è fatto per vivere in Città, l’albero è fatto per vivere, per vivere in campagna, per vivere sulle colline qui intorno a Firenze, in campagna, in una foresta, in un bosco, non sicuramente in una colata di cemento. L’albero ha bisogno di un suo spazio vitale, e vivendo in Città vi sono poi tutti quei classici problemi, sia a livello radicale, sia a livello, sia a livello, appunto, aereo, che sono dati da impianti tecnologici, da danni causati da mezzi meccanici, da chi più ne ha, più ne metta e poi, chiaramente, il terreno, un terreno che non è rinnovato, che è sempre più povero, lì abbiamo compattamenti, asfissi radicali, impoverimenti a livello nutritivo. E per cui, questi sono tutti problemi che vengono comunque a ripetersi, appunto, nelle nostre Città. La foresta urbana. A noi piace chiamarla foresta urbana, io avrei preferito parlare prima del Dottor Cirulli, perché sembra che ci siamo parlati, ma in realtà non ci siamo assolutamente sentiti. La foresta urbana non è, chiaramente, è un ambiente naturale, è un ambiente artificiale, è un ambiente creato dall’uomo. Ci sono tutta una serie di principi da seguire, per la gestione della foresta urbana. Gestione che, non è da confondere con la cura e la manutenzione. Per gestione s’intende la presa appunto, dell’albero in tutta la sua globalità, dal momento della progettazione, seguendolo poi, per tutta la sua vita, fino alla morte dell’albero. Sulle emergenze, su questo lo ha appena accennato anche il Dottor Cirulli, sono in funzione della riduzione del pericolo, ma molto importante è la ciclicità dei processi. Cioè l’albero va seguito in ogni sua

fase e ogni intervento che viene fatto, deve essere comunque sempre continuo e ripetitivo. Non può essere fatto a step, non può essere fatto quando si ha disponibilità di risorse, non può essere fatto per una propaganda politica, per una propaganda elettorale, ma deve essere pianificato sempre e comunque. E tutto quello che noi facciamo, deve avere bisogno di conoscenze tecniche. Noi riteniamo come Associazione Italiana Direttori e Tecnici dei Pubblici Giardini che ogni Comune, ogni Comune, deve essere dotato di un tecnico, di un tecnico che abbia delle competenze specifiche delle competenze ben precise. Spesso e volentieri i servizi del verde nei Comuni sono affidati a persone che non sono proprio così competenti, o non sono proprio così preparate. Ecco che noi invece riteniamo che questo sia comunque fondamentale, soprattutto in momenti di carenza di risorse come quelli che stanno attraversando in questi tempi i Comuni, dove spesso e volentieri non ci sono comunque i mezzi e gli strumenti per affidare i servizi all’esterno. Ecco che dobbiamo fare la guerra con i soldati che abbiamo e cioè impiegare il personale all’interno delle Amministrazioni, per poter gestire questo importante patrimonio che è quello del verde. Di tutti questi principi, chiaramente, la finalità è quella della sicurezza. Anche noi siamo perfettamente convinti che piuttosto che avere un albero pericoloso, un albero che mette a repentaglio la vita di un cittadino, è meglio, è meglio non averlo. Poi, eventualmente, si cercheranno le risorse per poterlo sostituire. Le fasi del processo. Noi pensiamo che sono praticamente quattro le fasi fondamentali, che sono quelle della conoscenza, del monitoraggio, della gestione, e del rinnovo. Per quanto riguarda... per quanto riguarda la conoscenza, scusate... la conoscenza voi l’avete divisa in più livelli. Esiste una conoscenza basilare sottola quale non si può andare. La conoscenza che è quella di sapere, di capire, quale, di fatto, di quanti alberi disponiamo noi, come entità, come entità numerica, classificarli, dal punto di vista botanico e poi localizzarli se sono in alberata stradale, se sono in un parco. Questo è proprio il minimo della conoscenza che noi dobbiamo sapere. Esiste poi, un secondo livello di conoscenza, e che è quello per patrimoni arborei più complicati, più complessi... qui fa fatica... eccoci... fa fatica a passare da un immagine all’altra. Comunque, la seconda conoscenza per patrimoni arborei più complessi, in cui, chiarente, in questo caso c’è l’istituzione, praticamente, di una scheda, di una scheda per ogni singolo albero dove ci fai anche una ricerca e una ricerca storica, anche di trattamenti, che quest’albero ha subito, se eventualmente, ha subito degli schianti negli anni, se ha subito dei particolari attacchi di pagina ecc. perché va costruita comunque specifica per ogni albero. Esiste poi un terzo grado di conoscenza che è quella già citata precedentemente dagli altri relatori, che è quella della conoscenza del territorio, perciò non basta a conoscere, chiaramente, la localizzazione di un albero, ma bisogna conoscere anche... non basta conoscere com’è collocato l’albero, ma bisogna avere conoscenza dei paesaggio, la conoscenza del territorio. Noi abbiamo diviso la questione dei rischi in due effetti: l’effetto bersaglio e l’effetto specifico dove, l’effetto bersaglio indica la posizione, la posizione che ha questo albero, cioè se è collocato su una rotatoria, su uno svincolo, ad alta densità di traffico, in un arteria, in un arteria molto trafficata di una grande Città, oppure se è collocato in un parco, in una strada campestre. Ecco che in base alla collocazione, si ha comunque, la funzione la funzione del rischio e l’attenzione che noi dobbiamo porre per questo albero. Esiste poi un effetto specifico che, invece, è dato dalla qualità dell’albero. Cioè non tutti gli alberi presentano gli stessi rischi. Questo è dato, eventualmente, da un legno più dolce, da un legno più fragile, da un albero che è più

soggetto a schianti rispetto ad un altro. E questo, chiaramente, varia a seconda delle specie botaniche. Esistono poi, tutta una serie di processi, di attenzione, che noi dobbiamo porre, di studi che sono ad esempio il ... che sono i satellitari, che sono i sistemi informativi del verde. Però noi riteniamo che soprattutto nelle alberate di piccoli Comuni, in Italia ce ne sono tanti, quando si va sotto le 2.000 unità, ecco che allora possiamo, eventualmente poter intervenire anche semplicemente con un tecnico Comunale, con un tecnico Comunale che fa un indagine, che fa un indagine visiva, che comincia a rilevare il patrimonio arboreo, il patrimonio arboreo presente, e che comincia a identificarlo, a classificarlo dal punto di vista botanico, e questo su cartaceo farlo, in piccoli, in piccoli Comuni. Il monitoraggio. Il monitoraggio è importante, è importante per il rinnovo del patrimonio arboreo. Ci sono, ci sono diversi livelli di approfondimento che noi possiamo apportare, questo chiaramente, in base alle disponibilità finanziarie che ha, che ha un Comune e anche in base alla consistenza ed il patrimonio che noi, che noi andiamo a verificare, che noi andiamo a studiare. Ci sono diverse analisi che noi possiamo fare, chiaramente, quella più semplice è un analisi speditiva, che è quella, praticamente, che ci consente di pensare al nostro patrimonio arboreo o anche semplicemente attraverso, attraverso appunto, la conta, la conta degli alberi, attraverso la conta degli alberi noi possiamo studiare ogni singolo soggetto e ogni singolo soggetto ci parla attraverso tutta una serie di manifestazioni e di segni, di intervenire con delle strumentazioni, con delle strumentazioni tecniche ed elaborate. Il sistema del VTA è un sistema che noi riteniamo importante, che noi riteniamo fondamentale, ma non necessariamente deve essere pianificato sulle alberature che noi abbiamo in tutte le Città. È come se tutta la popolazione di Firenze, domani andate e mettetevi a fare una risonanza, cioè è una cosa pressoché, impossibile. Allora, diciamo, cerchiamo di classificare gli alberi, in base alla loro struttura in base alla loro età, in base ai segnali che ci danno, dopo possiamo eventualmente interventi delle indagini, delle indagini più approfondite. La gestione deve affrontare gli esiti del censimento e il conseguente monitoraggio, insomma, qui parliamo di delicatezza e un equilibrio che noi dobbiamo adottare, perché dal punto di vista finanziario e dal punto di vista operativo, noi dobbiamo eventualmente valutare le necessità manutentive emerse nelle precedenti fasi. Si parla di esternalizzazione del servizio, spesso e volentieri oggi in tanti Comuni vengono, vengono tolti i servizi del verde noi dal 2001 sappiamo che le assunzioni delle Amministrazioni sono bloccate, ogni cinque, ogni cinque elementi che vanno in pensione uno solo, uno solo viene assunto. E purtroppo, il personale dei Comuni, il personale dei Comuni è sempre meno. Vengono esternalizzati i servizi, però purtroppo, alla fine, di questo noi ci rendiamo conto, Direttori e tecnici dei verdi, del verde pubblico, la responsabilità, comunque, della gestione del verde è sempre e comunque del custode. Per cui, questo è un fattore molto importante e spesso e volentieri altre persone fanno il lavoro per noi, però purtroppo, alla fine risponde di fronte alla giustizia o comunque, parte della responsabilità è sempre del custode. Queste sono comunque delle schede, delle schede, appunto, che di cui vi accennavo poc’anzi, anche il rinnovo. Il rinnovo è un altro argomento molto importante e so che l’anno accennato i miei predecessori. Io vi racconto un fatto che è avvenuto proprio la scorsa settimana in ufficio da me. Io parto da concetto base che è quello che su questa terna, nessun essere vivente, nessun essere vivente è eterno. Tutti gli esseri viventi su questa Terra hanno un inizio e hanno una fine. La settimana scorsa è entrato nel mio ufficio un Ingegnere, un Ingegnere edile, e niente i saluti, i convenevoli,

come va, come non va, disse: non c’è male, potrebbe andare meglio, ma cos’è successo? È morta mia madre. E al che uno rimane dice mi spiace, generalmente sono due le cose che si chiedono a una persone che perde comunque un proprio caro: di cosa è morta e quanti anni aveva. Questa persona è morta, questo Ingegnere aveva circa 70 anni. La persona è morta di arresto cardiaco a ne aveva 94. Voi cosa direste? Io non posso dire una parolaccia, sono in un ambiente pubblico, però una persona che è nel pieno delle sue facoltà, muore di arresto cardiaco a 94 anni, è una persona fortunata. Cinque minuti, si fanno le condoglianze, la cosa passa, dopo mezz’ora entra un Agricoltore. E questo qui, questo Agricoltore si chiama Piero, anche lui entra anche lui triste, dice, ma Piero, cosa ti è successo? Guarda, è morto il piantone che avevo dietro alla cascina, è morto il piantone del Piero. Insomma, voi non ci crederete, dopo mezz’ora non il piano nostro, ma tutta la palazzina parlava della pianta del Piero, nessuno, chiaramente, parlava della mamma dell’Ingegnere. Questo perché? Perché c’è un concetto proprio nella nostra cultura, dove la pianta è un essere vivente eterno. Questo non è assolutamente vero. È chiaro, io adesso già questo fatto è stato accennato poc’anzi, io non voglio entrare nel merito ad essere il re delle motoseghe, lungi da me questo, però, anzi, la Legge 10 ha allargato, ha allargato il centro di attenzione su quelli che erano gli alberi monumentali, che una volta vengono considerate solo per età, gli alberi secolari, oggi invece, per alberi monumentali con la Legge 10 abbiamo anche l’albero di interesse paesaggistico, abbiamo l’albero di rarità botanica. Però è chiaro, quando ci troviamo di fronte ad alberate vecchie, obsolete, malandate, è chiaro che dobbiamo intervenire e dobbiamo sostituirle. È una sorta di vite senza fine. Voi pensate, una normalissima alberata, 200 piante, in una qualsiasi Città, un alberata di tigli, questa qui viene censita, durante il censimento il tecnico che ha fatto il rilievo dice: di queste 200 piante io su 50, farei un esame di VTA, un esame più approfondito, perché c’è qualcosa che non quadra. Di queste 50 piante a cui si fa l’esame del VTA 15 risultato praticamente pericolosamente, pericolosamente stabili, per cui... instabili, per cui, vanno comunque abbattute, perché sono un pericolo per la popolazione, chiaramente vengono abbattute. Su questo viale di 200 alberi si formano 15 fallanze, queste a loro volta, devono essere sostituite, e anche in questo caso, avremo comunque... sempre e comunque un viale disomogeneo, un viale che non avrà mai le sue caratteristiche. Per cui, di fronte a queste situazioni, dobbiamo, dobbiamo veramente avere il coraggio di intervenire, proprio per fare a step, una sostituzione volta per volta. Io vengo da un Comune della Bassa Pianura Bergamasca, vengo da Treviglio, e voi pensate che i tigli che è un patrimonio arboreo, della mia cittadina di 30.000 abitanti, sono 8.500 alberi. Il 50% di questi alberi erano stati sostituiti nel 1922. Adesso, io non mi ricordo cos’era successo di importante nel 1922, però c’era l’allora Commissario Straordinario, già allora noi avevamo il Commissario Straordinario, si chiamava Chiaromonte, aveva praticamente fatto eliminare tutti gli ippocastani che avevamo, e via, via, nel periodo delle due guerre, sono stati poi rinnovati tutti questi viali di tigli di cui beneficiamo oggi, addirittura c’è un fatto di cronaca che dice che nel togliere una ceppaia, una volta si usavano delle piccole cariche di esplosivo, della dinamite, per togliere i ceppi, e un pezzo di ceppo era partito, aveva sfondato un vetro di una finestra, ed era entrato in una casa. Questo per dirvi che già allora nel 1922 c’erano questi problemi. Oggi ci troviamo di fronte a situazioni dove negli anni hanno subito, fino agli anni ’70, gli anni ’80 delle errate pratiche agronomiche, delle capitozzature, abbiamo esteso ai ... Ecco, quando ci troviamo di fronte a queste

situazioni, bisogna veramente avere il coraggio di intervenire e di rinnovare. Questo è sempre il proseguo. Sul Piano delle emergenze noi riteniamo che sia molto importante intervenire. Noi abbiamo due livelli di emergenza, abbiamo chiaramente un emergenza prioritaria, quella che viene data, quella che viene data, appunto, attraverso le fasi del censimento, quando abbiamo praticamente in mano i dati del VTA e dobbiamo intervenire nel giro almeno di tre giorni, dobbiamo intervenire per eliminare l’albero, e poi, invece, abbiamo una pronta emergenza, e su quello, chiaramente, dovremo intervenire, con l’aiuto anche di altri organismi, con la Protezione Civile e con i Vigili del Fuoco, dove eventi atmosferici di particolare intensità, ci portano poi a dover intervenire più rapidamente possibile. Ecco, questo è un Protocollo, questo è solamente un abbozzo, un abbozzo, chiaramente, di un documento molto più complesso, molto più elaborato. A questo documento hanno praticamente contribuito i 400 Soci dell’Associazione che presiedo, in rappresentanza di 200 Città. In particolare, il gruppo di lavoro è stato formato da 10 persone, in rappresentanza di 10 Città del nord, del centro e del sud Italia, come Associazione noi non facciamo mai i nomi di chi stila questi documenti di chi, realizza queste iniziative e questi eventi. In questo caso, però per fare anche gli onori di casa, io posso dire che uno dei dieci tecnici che ha dato un contributo fondamentale alla stesura di questo documento, è della Città di Firenze, è un tecnico del Comune di Firenze e si chiama Ciro Degli Innocenti, a cui va il mio grazie. Ci siamo avvalsi per la stesura di questo documento anche del contributo di un Avvocato, a chi potrà essere utile questo documento? Sicuramente a tutte le Amministrazioni, a tutti i Soci che non fanno parte, chiaramente, di questa Associazione, ma che comunque, se vogliono entrare le porte sono sempre aperte a tutti i liberi professionisti, e a tutti gli ordini e le Associazioni di settore. Sarebbe molto bello, sarebbe molto importante istituire un osservatorio, un osservatorio, una banca dati a livello Nazionale, con il contributo, veramente, di tutti gli ordini e di tutte le Associazioni. Ecco, io mi fermo qui, ho finito e vi ringrazio per l’attenzione. >>

Parla Stefano Cerchiarini - Dirigente Servizi Parchi Giardini ed Aree Verdi, Comune di Firenze:

<< Grazie. Grazie al Dottor Cerea. Rispetto ai temi trattati, volevo evidenziare anche qui due semplici aspetti: il primo che veniva ricordato dal dottore, è l’incremento del rischio legato a fenomeni di eventi atmosferici maggiori rispetto a quelli avvenuti nel passato, e legato anche non a malattie, che sono presenti nel nostro territorio. C’è un altro elemento a cui molto spesso non si pensa, ma che incrementa il rischio, che è legato, in maniera strana, alla crisi economica. Ci sono più persone che passano l’estate in Città, aumenta in maniera esponenziale il numero delle persone nei parchi e sotto le alberature, il rischio aumenta in maniera proporzionale, anche questo deve far riflettere sulla, come dire, distribuzione delle risposte quando si va a trattare questo tema. Altro elemento importante è che molte Amministrazioni Comunali non sono affatto dotate di tecnici esperti o preparati a questo tipo di argomenti, questo tipo di gestione che spesso, addirittura, non hanno neanche eccezione di quello che potrebbe essere, magari, gestionale con quello che ne consegue in termini di rischio. E che forse, potrebbero trovare un valido apporto, aiuto, appoggio, in quelle Istituzioni come il Corpo Forestale dello Stato che in questo senso potrebbe giocare un ruolo veramente fondamentale. Lascio la parola, non a caso, al Dottor Luigi Bartolozzi Comandante del Corpo Forestale dello Stato di Firenze l’albero nel contesto ambientale dei Parchi cittadini e delle aree protette: sicurezza, fruibilità, sostenibilità. Prego. >>

ORE 15,30

“L’albero nel contesto ambientale dei Parchi cittadini e delle aree protette: sicurezza, fruibilità, sostenibilità.”

Luigi Bartolozzi - Comandante Provinciale del Corpo Forestale dello Stato di Firenze:

Introduco l’argomento da me trattato sull’Albero nel contesto dei Parchi cittadini e delle Aree Protette con una bella immagine che raffigura la Torre Guinigi della Città di Lucca. È una delle tante torri di quella bella città, ma con una caratteristica particolare: sulla sommità dei suoi 45 metri di altezza sono stati ubicati 7 lecci. Già una raffigurazione del 1460 mostra questa torre con le piante al culmine della costruzione. Questo non raro esempio di verde urbano medievale ci ricollega ai tempi antichi. Questi lecci, che nel corso dei secoli sono stati sostituiti, furono piantati all’interno di cassoni metallici riempiti di terreno vegetale e rappresentano un esempio concreto di giardino pensile. Non posso iniziare il mio intervento senza citare una strofa di una bella poesia, scritta da Tatanga Mani, “Bisonte che cammina”, Capo della Tribù Stoney del Canada: .....”Sai che gli alberi parlano? Sì, parlano, parlano l’uno con l’altro e parlano a te, se li stai ad ascoltare”. L’albero nella cultura degli Indiani d’America è sempre stato un grande protagonista di un sistema ecologico in equilibrio, con forme di rispetto che arrivavano a divinizzare le piante più longeve. Nella nostra cultura l’albero ha assunto vari livelli di protagonismo, soprattutto nel sistema che interfaccia architettura e vegetazione del giardino e del parco urbano o perturbano. E’solo però verso la fine del ‘700 e l’inizio dell’800 che l’albero diventa protagonista anche della Città. Anche il Parco delle Cascine risale a quest’epoca (fu realizzato all’incirca nel 1790) per il nuovo Granduca Ferdinando III. Le interazioni fra albero, bosco e città sono oggi molto profonde: le città e le industrie riversano nell’atmosfera tonnellate di polveri e gas tossici che per effetto della circolazione della massa d’aria, incidono direttamente sugli ecosistemi forestali. D’altra parte il bosco fornisce alla città protezione del suolo, spazi per il tempo libero e produzione di ossigeno, oltre agli altri effetti igienico-sanitari e altri tipi di vantaggi. Inoltre la risposta delle piante ai veleni che quotidianamente produciamo, ci dà un indice dello stato di salute dell’ambiente: il bosco è anche un campanello d’allarme. Il Corpo Forestale con il progetto CON.ECO.FOR, Controllo Ecosistemi Forestali, monitorizza lo stato di salute delle piante e dei nostri boschi, nel complesso della rete Nazionale. In un paese popolato come l’Italia, non esiste lembo di bosco libero dal cosiddetto “effetto Città”. Porre però in primo piano le funzioni sociali ed igienico-sanitarie dell’albero, dei parchi e del bosco, ci impone di superare una visione miope dell’assetto territoriale e forestale, implicita nei normali Piani di gestione forestale. Questi infatti, si riferiscono a singole proprietà, sia pure pubbliche, o private e non coprono la generalità delle situazioni. Se cerchiamo i benefici sociali e per la collettività, i problemi di gestione devono essere affrontati a livello comprensoriale. Che intendo? Nel caso della foresta periurbana il Comprensorio è dato dall’area direttamente interessata dalle interazioni con la città su cui gravita. Problema fondamentale è trovare gli strumenti tecnico-giuridici per vincolare ad un certo uso del bosco e delle fasce di vegetazione le proprietà pubbliche e private. La dotazione di verde all’interno della città, non può, in ogni caso, soddisfare ogni servizio che noi chiediamo, in particolare non è pensabile che la produzione di ossigeno da parte delle piante, delle alberature e dei parchi cittadini, sia in grado

di eguagliare il consumo di una città. Ecco che acquistano un’importanza elevata i Comprensori forestali che circondano l’area urbana: una spessa fascia di bosco che produce ossigeno che per la circolazione dei venti, sarà destinata a migliorare l’ambiente cittadino. Se guardiamo per esempio al Comprensorio fiorentino, ci accorgiamo che la nostra Città è in una posizione di privilegio, rispetto a tante altre Città italiane. Infatti Firenze è circondata da complessi montuosi che ben si prestano ad una destinazione forestale. Se allarghiamo il nostro spazio visivo da ovest verso est, abbiamo, con una certa continuità: il Montalbano, la Calvana, Monte Morello, Monte Senario, il Mugello, il Falterona, il Pratomagno e Vallombrosa, la culla dei Forestali e del Corpo Forestale dello Stato. A sud i colli alti del Chianti fino al Monte San Michele ed infine, un sistema di dolci colline che abbelliscono e proteggono il contesto urbano. Questa cintura collinare-montuosa costituisce l’area della foresta e degli boschi periurbani della Città di Firenze, ed in quanto tale, va valutata nella sua integrità e complessità, per questo la programmazione e la gestione forestale andrebbero realizzate e concepite unitariamente, in relazione alle esigenze del centro cittadino. In quest’ottica, la funzione di produzione di legname passa in secondo piano, rispetto alla funzione protettiva, estetico-ricreativa ed igienico-sanitaria. Una selvicoltura e una gestione forestale che tengono conto di queste esigenze prioritarie si dovrebbero orientare, in chiave naturalistica, verso il bosco misto e l’alto fusto che meglio rispondono alla ricerca di valori paesaggistici e di equilibrio ambientale. L’albero è anche il grande testimone del tempo che passa; in quanto tale noi dobbiamo imparare a conoscerlo possibilmente per nome e cognome, nella sua propria specificità ed individualità, per sapere bene come impiegarlo. Possono sembrare delle definizioni più teoriche che pratiche, ma la quotidianità ci dimostra che quanto più ci allontaniamo da questa conoscenza ecologica, più è difficile comprendere la natura degli alberi. Per tradurlo in parole povere, “l’albero giusto al posto giusto”!. Nella storia dell’arte di parchi e giardini, s’intrecciano una visione architettonico-geometrica, antropocentrica e una più naturalistica. Quest’ultima è più vicina alla natura, e quindi, è più legata a concetti ecologici e più attenta a come la natura si manifesta e non come l’uomo si manifesta nei confronti della natura. Trattare ad esempio il tema dei viali, con gli alberi che entrano come elemento di una struttura sostanzialmente verticale che impone la formazione della singola pianta, attraverso la potatura, è estremamente riduttivo. Mentre, una visione più naturalistica, con una migliore comprensione ecologica, può evitare danni dal punto di vista estetico e strutturale, compreso errori molto banali, come alberature messe a dimora a poca distanza da edifici o confini di proprietà e che devono essere oggi abbattuti. Sostanzialmente diverso è il ruolo dell’albero nel parco, dove teorici del secolo scorso hanno distinto varie tipologie di piantagione. Personalmente prediligo l’arte dei giardini e parchi inglesi, dove gli alberi vengono disposti in gruppi di piante, anche rare, ed in maniera, ……… “che sembrino opera solo del caso e non mai dell’arte, si deve evitare qualunque indizio di regolarità e simmetria, renderli piacevoli e diversificati”…… come si evince da un celebre trattato del 1801 di Ercole Silva. Oggi la sapienza dell’individuare la forma, il colore, il tipo di piantagione, sembra in parte smarrita e spesso banalizzata nella tematica del verde urbano, risolta con la messa a dimora di piante standardizzate che rispondono ad immediate esigenze funzionali, ma che perdono di vista l’obiettivo di creare un ambiente che risponda a delle esigenze più in sintonia con la natura.

Oggi non si può parlare di alberi, viali, parchi o aree protette, senza parlare di sistemi gestionali. È stato messo bene in evidenza anche nelle relazioni precedenti. È opportuno però rilevare quanto sia difficile mettere in piedi un sistema gestionale in grado di garantire corrette metodologie soddisfacenti alla gestione del patrimonio arboreo in una città o in un’area periurbana. E quando si tratta di gestione di un bene, ritengo che siano argomenti di difficile trattazione, tanto da creare qualche dubbio, anche al tecnico più abile. Cioè viene da chiedersi se siamo sicuri di avere fatto tutto e bene ed ancora oggi, con tutta la tecnologia che ci aiuta, un piccolo o grande dubbio l’abbiamo sempre ed aggiungerei meno male! Ben venga il dubbio. Anche Grandi Maestri della storia della silvicoltura, dell’assestamento forestale e dell’economia montana, passati dalla palestra verde che è la Riserva Naturale Statale di Vallombrosa, avevano o hanno avuto dei dubbi. Non è forse l’incertezza critica dicono gli psicologi, uno dei cardini che muove il progresso? Analizziamo adesso i tre punti che sono stati elencati nel titolo della mia relazione: sicurezza, fruibilità, sostenibilità. I primi due punti sono strettamente correlati, dove c’è sicurezza, c’è fruibilità. Il tema sicurezza, è già stato in parte esaminato dai relatori che mi hanno preceduto. Ritengo però opportuno richiamare la Convenzione siglata dal Corpo Forestale dello Stato e dal Comune di Firenze, per il controllo del Parco delle Cascine. L’attività di controllo fatta da pattuglie a cavallo e pattuglie velomontate, va ad incrementare i servizi predisposti dalle altre Forze di Polizia; oltre a questo, è previsto che un monitoraggio sulle alberature del Parco, con segnalazione agli Uffici preposti, appunto, di potenziali pericoli. Nell’ambito sempre della sicurezza, per l’esperienza acquisita nei sei anni trascorsi a gestire la Riserva Naturale Statale di Vallombrosa, di seguito, elenco le principali responsabilità civili e penali, che possono risultare utili per chi è preposto alla gestione del verde pubblico. Dal punto di vista civilistico i principali riferimenti sono: il Codice della Strada agli articoli 16, 17 e 18 (aspetti legati all’inserimento di alberate nella progettazione del verde); il Regolamento di esecuzione e di attuazione del Nuovo Codice della Strada (D.P.R. 16.12.1992 n. 495) artt. 26, 27, 28 per la messa a dimora di piante arboree e per le distanze cui attenersi per i nuovi impianti. Per le alberature esistenti e per quelle di nuovo impianto, qualora si verificassero schianti di rami o di piante, si applicano gli articoli del Codice Civile: - art. 2043 Risarcimento per fatto illecito (Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno.) Ovviamente, escludendo l’ipotesi dolosa, l’aspetto della colpa può essere correlato a tutta una serie di situazioni possibili e non infrequenti che possono essere normalmente presenti in ogni situazione. Sulla colpa, in termini giuridici, sono stati scritti interi trattati ma, per quel che interessa in questa sede, il concetto che si vuole sottolineare è che l’evento colposo è generabile da qualsiasi atto o carenza logistica.

- art. 2051 Danno cagionato da cose in custodia; (Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito.) Identifica come responsabile del bene il custode del bene stesso. Le alberate cittadine e dei parchi urbani o periurbani sono sotto la custodia dell’Ente proprietario, in questo caso è necessario da parte dell’Ente custode dimostrare alla parte lesa che

è stato fatto tutto il possibile affinché il bene custodito, l’albero, non cagioni danni altrui. In caso di danni a terzi è onere del custode del bene dimostrare il fatto fortuito, in quanto è dovere del custode valutare lo stato di benessere del bene custodito, affinché non cagioni danni a terzi. Questo articolo del Codice Civile contiene in sè il concetto della prevenzione del danno. Comportamenti che determinano responsabilità Civile possono inoltre determinare anche responsabilità Penale. Mentre la responsabilità Civile può essere garantita da copertura assicurativa, la responsabilità Penale è personale e non delegabile. A tal proposito ricordiamoci l’importanza delle caratteristiche della delega (un atto importante che dovrebbe risultare chiaro e da formalizzare). I principali riferimenti per le responsabilità Penali sono contenuti nei seguenti articoli: - art. 358 del C.P. (Il tecnico o il funzionario che si occupa di verde urbano o verde pubblico è incaricato di Pubblico Servizio e quindi tenuto alla denuncia di reato); - art. 589 del C. P. Omicidio Colposo; - art. 590 del C. P. Lesioni personali colpose; - art. 650 del C.P. Inosservanza dei procedimenti dell’autorità E’ compito fondamentale dell’Ente Proprietario del bene garantire la cura e gestione del bene in consegna al fine della sicurezza della collettività. La conseguenza di una omessa prevenzione e cura del bene può determinare responsabilità diretta per gli aspetti civilistici e penali. “Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo” (art. 40 C.P.) Un reato Colposo, come considerato dall’art. 43 del Codice Penale (Elemento psicologico del reato), contiene in sé la violazione del dovere di diligenza, di perizia e prudenza, nonché il concetto di prevedibilità dell’evento e della valutazione del rischio ai sensi del Decreto Legislativo 81/2008 sulla prevenzione e sicurezza del lavoro, intendendo la gestione della Città o del Parco come luogo di lavoro in cui il tecnico o il funzionario comunale esercita le proprie competenze. In ambito Penale la definizione di elemento psicologico del reato è riportata all’art. 43 C.P., “che definisce il delitto colposo, o contro l’intenzione, quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di Leggi, Regolamenti, Ordini o Discipline. La distinzione tra reato Doloso e reato Colposo, stabilita da questo articolo per i delitti, si applica altresì alle contravvenzioni, ogni qualvolta per queste la legge penale faccia dipendere da tale distinzione un qualsiasi effetto giuridico”. Appare quindi fondamentale che rispetto ad un fatto o ad un evento con implicazioni di responsabilità Civile e/o Penale il soggetto sia in grado di dimostrare di aver fatto quanto era in suo potere per impedire che l’evento si verificasse rimuovendo così il rischio. Il rischio è un prodotto tra le probabilità che si verifichi l’evento dannoso e la gravità dello stesso. In estrema sintesi se il rischio è noto lo evito.La nostra prima preoccupazione deve essere per la sicurezza dell’utente. È da tenere presente che nessun sistema gestionale o alcuna strumentazione, a tutt’oggi, ci danno garanzie in ordine di tempo per la casualità degli accadimenti che avverranno anche tra meno di un’ora e considerato quanto in fretta stia invecchiando il nostro meraviglioso patrimonio arboreo di molte Città italiane, compreso il Parco

delle Cascine a Firenze e quante sempre maggiori difficoltà s’incontrano nella gestione sia dal punto di vista tecnico che amministrativo, è meglio iniziare a pensare seriamente a fare qualcosa. Devo opportunamente richiamare la Legge 10 del 2013, citata anche dal Dottor Cirulli, norme per lo sviluppo degli spazi urbani, che nonostante l’importante ruolo previsto per la riqualificazione del concetto di verde urbano che diventa parte attiva nella riqualificazione delle Città, questa recente norma è quasi del tutto disattesa. Quale sarà la tendenza dei prossimi anni, in un regime climatico dove l’accumulo di energia, con l’innalzamento progressivo e graduale della temperatura del Pianeta, dà sempre maggiori manifestazioni di potenza e imprevedibilità delle condizioni meteorologiche?Molti studiosi ci hanno in qualche modo messo di fronte al rischio potenziale di verificarsi di tali drammatici eventi atmosferici, in molte altre aree, regioni, città, e parchi urbani o periurbani, eventi molto spesso di portata difficilmente prevedibile, durante i quali, risulta effettivamente complicato per qualsiasi tipo di struttura reggersi. Detto in parole povere, è impossibile che l’improbabile non accada, esempi recenti non mancano. Per quanto riguarda l’ultimo punto, legato alla sostenibilità, vorrei portare un esempio pratico, di come l’albero possa essere anche fonte di energia parlando dell’impianto di teleriscaldamento di Vallombrosa. Vallombrosa si trova in Provincia di Firenze, è una Riserva dello Stato, gestita dal Corpo Forestale, nel comune di Reggello. Ha una superficie di circa 1.273 ettari e, come ho detto prima, è gestita dal Corpo Forestale dello Stato – Ufficio Territoriale per la Biodiversità di Vallombrosa. In Toscana sono otto gli Uffici Territoriali per la Biodiversità che gestiscono le Riserve Naturali Statali, quest’Uffici sono deputati alla salvaguardia, alla conservazione ed al mantenimento degli equilibri naturali in questi ecosistemi ambientali fragili, ma di una bellezza unica. Oltre a questo l’Ufficio Territoriale per la Biodiversità di Vallombrosa si occupa di molteplici attività, in particolare della didattica e dell’educazione ambientale, della ricerca e della sperimentazione, dispone di una segheria, di una falegnameria e personale specializzato che lavora, oltre che nel settore forestale, in tanti altri settori quali l’edilizia, la viabilità, le sistemazioni idraulico-forestali. Tutti interventi finalizzati alla gestione della Riserva.La Riserva è gestita in base ad un Piano di gestione redatto nel 2006 dall’Università degli Studi di Firenze, nella figura del Professor Orazio Ciancio con la collaborazione della Professoressa Susanna Nocentini. Il Piano è stato redatto con delle caratteristiche peculiari, cioè attraverso l’applicazione dei concetti della selvicoltura sistemica. Tutta l’area è stata suddivisa in 42 comparti colturali che sono unità territoriali di riferimento per l’analisi e la gestione del bosco. Un capitolo a parte è stato riservato al “Silvomuseo” che è una compresa di circa 90 ettari che preserva tutto il nucleo storico dell’abete bianco intorno al bellissimo complesso abbaziale della maestosa Abbazia di Vallombrosa. Nel 2007 il Corpo Forestale dello Stato insieme alla Fondazione San Giovanni Gualberto dei Monaci Benedettini Vallombrosani, ha realizzato uno studio di fattibilità ed un progetto preliminare, finanziato dal Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare, realizzato da AIEL, l’Associazione Italiana Energie Forestali. Questo studio di fattibilità è stato presentato alla Regione Toscana, nell’ambito della Legge 70 del 2005 che ha finanziato il progetto per il 50% con finanziamento della stessa Regione Toscana, il 25% è stato erogato dalla Comunità Montana Montagna

Fiorentina adesso Unione dei Comuni Valdarno e Valdisieve che è stata anche la stazione appaltante ed il Comune di Reggello per la restante parte del 25%. Siamo riusciti a realizzare nel 2012 l’impianto di teleriscaldamento alimentato a legno cippato prevedendo l’utilizzo strategico di assortimenti legnosi non principali, cioè facendo uso del cosiddetto materiale di “risulta”. La potenza dell’impianto è di un megawatt ed è in grado di riscaldare tutte le volumetrie di Vallombrosa: tutto il Centro aziendale del Corpo Forestale, gli uffici, le abitazioni del personale, l’Albergo La Foresta ed il Complesso abbaziale. La lunghezza della rete è di circa 700 metri, un esempio di filiera locale e corta, anzi direi cortissima: se si considera che è praticamente 10 chilometri il punto più lontano d’approvvigionamento del legname, rispetto a dov’è ubicata la centrale a biomasse. Quindi a conclusione direi massima sostenibilità dell’investimento. Grazie. >>

Parla Stefano Cerchiarini - Dirigente Servizi Parchi Giardini ed Aree Verdi, Comune di Firenze:

<< Grazie al Dottor Bartolozzi per la sua relazione. Rispetto ai temi trattati volevo evidenziare anche qui un aspetto dell’approccio culturale, cioè il Dottore ha evidenziato che l’approccio alla gestione dell’albero è prima di tutto culturale, ancora prima che tecnico scientifico. Non ha caso, ha utilizzato il proprio approccio culturale alzando lo sguardo in termini di scala, rispetto a quello a cui siamo abituati a fare noi, tecnici Comunali, gestori dei patrimoni arborei urbani. Inserendo anche il concetto della gestione forestale comprensiva, che ha sicuramente un riflesso anche in funzione delle esigenze ecologiche urbane. Sul tema della rete ecologica urbana e quindi, proseguendo in questo filo logico, chiamo a parlare il prossimo relatore il Dottor Pietro Rubellini, Direttore della Direzione Ambiente del Comune di Firenze che presenta una relazione sulle alberature urbane e la rete ecologica. >>

ORE 15,45

“Alberature urbane e rete ecologica.”

Parla Pietro Rubellini - Direttore Direzione Ambientale Comune di Firenze:

<< Buonasera a tutti. Grazie di essere intervenuti, perché poi, alla fine, il servizio di cui è Dirigente l’Architetto Cerchiarini che è il nostro Anchorman è dentro la mia direzione e quindi, il successo che ha avuto questo Convegno mi riempie di piacere anche personalmente e quindi, grazie di essere intervenuti. La direzione ambiente si occupa anche del ruolo ecologico delle alberature. In particolare, la Direzione ambiente, insieme alla Direzione urbanistica e con il Dipartimento di botanica, e il Museo della Specola, ha elaborato una proposta di rete ecologica, urbana, nell’ambito della verifica del Piano strutturale del Comune di Firenze, che poi ha avuto e devo dire in una maniera che, ha fatto anche molto piacere, perché credo che sia il frutto di un lavoro di partecipazione che a volte si esaurisce semplicemente in una semplice discussione senza poi portare a dei risultati effettivi e tangibili, dicevo, è stato poi elaborato e trasformato nel progetto definitivo, è stato adottato nell’ambito del Regolamento urbanistico, insieme con la Consulta degli Ordini Professionali che ha lavorato insieme con noi, e ha dato tutta una serie di indicazioni che sono state recepite dentro a questo progetto. Il progetto che abbiamo messo a punto, è stato selezionato da ISPRA e dal Ministero dell’ambiente, come progetto pilota a livello italiano e infatti, nello stato dell’ambiente, nel 9° rapporto sulla qualità dell’ambiente urbano, è stato inserito, vedete quello che è, diciamo, la carta di considerazione di quelli che sono gli elementi, vediamo se capisco qual è il puntatore laser... ah, ecco... la carta di quelli che sono gli elementi che costituiscono in qualche maniera quello che io chiamo la fortuna di Firenze, perché se considerate questa cintura che è fatta dalle colline a nord, dalle colline a sud, che nella di Bagno a Ripoli, diciamo, quasi si saldano, e dalla Piana Fiorentina, è un serbatoio di naturalità formidabile. Alcuni di questi elementi sono anche riconosciuti a livello Regionale, mi riferisco alle due AMPIL il Terzolle e Mensola, al SIC degli Stagni della Piana Fiorentina, non mi ricordo a sud, ma mi sembra che ci siano altri elementi che sono riconosciuti come AMPIL nel Comune di Scandicci e nel Comune di Bagno a Ripoli. Quindi, ha una sorta di cintura verde, ad alta naturalità che, potrebbe rappresentare un serbatoio importantissimo per portare dentro l’ambito urbano, quegli elementi di naturalità che sono necessari per trovare o ritrovare, qualcuno dice che le Città erano, in qualche maniera penetrate e compenetrate dalla natura, ma insomma, diciamo, trovare una naturalità che abbiamo perso. Perché questa ricerca della biodiversità in ambito urbano? Perché ci siamo resi conto che andare a controllare le dinamiche che riguardano gli spazi nell’ambito urbano, in maniera tecnologica, si è rivelato fallimentare, cioè è praticamente impossibile. Faccio sempre un esempio che può sembrare banale, ma in realtà, diciamo, fa capire bene che cosa s’intende e fa anche capire bene che forse, bisogna cambiare il metodo di approccio. Le zanzare. Cioè in estate tutti noi siamo massacrati dalle zanzare. È evidente che in ambito urbano sono spariti completamente tutti i competitors delle zanzare, sono spariti completamente tutti i predatori delle zanzare, e evidentemente, non è possibile con gli insetticidi riuscire a uccidere tutte le zanzare e ad eliminare tutti i camperi produttivi delle zanzare, e la nostra è una battaglia persa. Bisogna ritrovare degli elementi che ricostruiscono, perlomeno in parte, perlomeno delle porzioni del sistema ecologico che controllava lo sviluppo delle popolazioni delle zanzare, perché queste siano controllate. Insieme con il Museo della Specola, abbiamo messo in piedi una

campagna per l’installazione di bat box negli spazi Comunali, contemporaneamente c’era una Società di grande distribuzione che lo stava facendo con i propri clienti, quindi, abbiamo trovato anche una sinergia, non voluta, ma diciamo, casuale, ma positiva temporale. Per cui, abbiamo sparso un po’ di queste bat box in giro per la Città. Devo dire e me lo confermava il Professor Agnelli che è qui presente in sala, che in poco tempo, perché in 2/3 anni, abbiamo avuto una colonizzazione di queste bat box e un forte incremento di questa popolazione dei chirotteri in ambito urbano. Quindi, si spera che si innesca un processo di chirotteri che può fare ridurre la popolazione delle zanzare e quindi, le nostre afflizioni estive si riducono. Quindi, alta biodiversità, alta qualità della vita, diciamo, questo è l’obiettivo. La rete ecologica dovrebbe essere lo strumento per arrivare a questo. Quindi, riarrivando a noi, la cintura alta naturalità, come si fa a portare dentro l’ambito urbanizzato questi elementi. In prima battuta, diciamo, l’annotazione che fu fatta era che gli elementi vuoti, per la ragione che le loro dinamiche lo impediscono per la ragione che anche la normativa impedisce di riempirli, erano i corsi d’acqua. Quindi, il reticolo dei corsi d’acqua: il Terzolle, il Mugnone, il sistema delle acque della bonifica, lo stesso Arno, rappresentavano dei corridoi vuoti, che in qualche maniera potevano permettere a questa natura che stava sulla cintura esterna, di entrare in questa città. Evidentemente, questo effetto va in qualche maniera potenziato, andava lavorarci, bisogna studiare metodi anche di gestione dei corsi d’acqua che permettano, oltre alla garanzia della tutela dal rischio idraulico, insomma, un elemento non da poco, non da scartare, evidentemente, anche di conciliarsi con quelle che sono le esigenze di una gestione in maniera più ecologica degli elementi che compongono anche l’ecosistema fluviale. Faccio un esempio. Alcune zone dell’Arno, vengono lasciate volutamente dalla Provincia, che si avvale dei Consorzi dei Bonifica sulla gestione, con la vegetazione ripariale intatta. Perché rappresentano quegli elementi di rifugio delle specie degli uccelli, piuttosto che dei roditori, piuttosto che degli insetti, tipici dell’ecosistema fluviale, in un panorama dove invece, rispetto alla convivenza o all’utilizzo umano, pensiamo alle piste ciclabili del Comune di Firenze, dove, invece, è evidente che la gestione deve essere di un altro tipo. Però si può trovare il modo di conciliare, di conciliare le due cose. Che cos’è successo dopo quella prima ipotesi di rete ecologica? Siamo partiti dalla considerazione che deriva da un osservazione che il verde, e qui arrivano gli alberi, in gioco alla grande, diciamo, è l’elemento principale che può permettere la creazione di un substrato su cui far innestare e far crescere una biodiversità. Quindi, il verde è quello che gioca il ruolo fondamentale. E il verde, in particolare, che ha un suo volume e quindi, le alberature, nel senso, un ecosistema di una prateria americana, è evidente, ha una sua complessità e anche bella sviluppata. Certo il prato che taglio continuamente e su cui mi ci vanno i bambini, non è che non voglio che i bambini vanno a correre sul prato, evidentemente, ci vanno per forza, perché vanno a correre sul prato, i cani che ci vanno ad annaspare, ha praticamente una complessità zero. Quindi, l’elemento in ambito urbano che invece, può rappresentare un background importante e forte, per la creazione di un ecosistema con un minimo di complessità, sono gli alberi, di un verde volumetrico. Dovevamo quindi, fotografare e capire dove erano le situazioni, dove questo verde volumetrico, chiamiamolo così, già era presente, in che maniera era presente, e quelle dove mancava, ma magari per dare una continuità al rispetto alla creazione di una rete e alla creazione di un ... bisognava andare a mettercelo, oppure bisognava andare ad incrementarlo. Siamo partiti da un analisi insieme con la Dottoressa

Berrettini che ho visto anche lei qui in sala, che lavorava con me e con l’Architetto Fanfani dell’urbanistica, da un analisi sulle fotografie da satellite, nello spettro del visibile, andando a selezionare con una serie di filtri successivi, le lunghezze d’onda relative al verde. Quindi, abbiamo selezionato foto da satellite, tutte dello stesso periodo, quindi tutto periodo primaverile estivo, siamo andati a selezionare con dei pixel campione quanto erano le lunghezze che ci interessavano, le abbiamo filtrate tutte, quella che vedete è con un verde artificiale, ovviamente, però l’abbiamo filtrate tutte, ce le siamo colorate con un verde di sintesi, e l’abbiamo estratte. Che cosa abbiamo fatto? Il Comune di Firenze che ha una valanga di informazioni e vi garantisco se uno un minimo gli piace lavorarci sopra, si sbizzarrisce, ha un rilievo LIDAR, con una precisione micidiale. Ora, non mi ricordo, mi sembra 25 metri, cioè una roba... no, nemmeno, più piccolo 5x5 metri, 25 metri quadri, quindi con una precisione micidiale, che rappresenta, sostanzialmente, la superficie più alta degli edifici, degli alberi, ecc., ecc. Ha anche un DTM al suolo, con una precisione similare. Quindi, ha tutte le quote per terra. Che cosa abbiamo fatto? Abbiamo preso il verde che ci eravamo selezionato, abbiamo tagliato il LIDAR sulla matrice del verde e quindi, abbiamo tirato fuori solo la superficie degli alberi, l’abbiamo incrociata con il DTM del suolo e ci siamo calcolati il volume del verde nelle varie parti della Città. Quindi, ci sono fatti sostanzialmente una mappatura del volume del verde della Città, ed è venuto fuori questo lavorino. Questa è una rappresentazione poi, in realtà, ci avevamo... ci abbiamo la carta con i pixel, ora è una rappresentazione per spiegarlo nell’ambito del Regolamento urbanistico, detta la carta del pallini, perché come vedete è rappresentata da pallini, quelli verde più scuso sono volumi oltre a 10.000 metri cubi. Quindi, qui ovviamente, abbiamo fatto vedere le Cascine, perché così si capisce bene come vedete, questa è la zona con il più alto volume del verde, ci sono situazioni... qui mi sa che è Villa Strozzi, il Parco di Villa Strozzi, comunque, si riesce a individuare su tutto il territorio Comunale qual è il volume del verde. Il passo successivo era capire questo volume del verde, allo stato attuale, che livello di complessità in termini ecosistemici, poteva avere e quindi, dovevamo capire gli animali, diciamo, questa era la parte delle piante, e ora degli animali. Che cosa abbiamo fatto insieme con il Museo della Specola? Sulla base dei dati di censimento che negli anni per varie ragioni, o il Comune o l’Università aveva fatto su specie campione che potevano essere rappresentative della complessità ecosistemica, nel senso, è evidente che il censimento dei piccioni, non ci interessava, abbiamo messo a punto un indice di complessità zoologica, distribuito su tutto il territorio Comunale. Contemporaneamente abbiamo messo a punto la stessa cosa per la diversità botanica, e sulla base di quella matrice che vedete riportata lì in basso e quindi, incrociando l’indice di biodiversità botanica, con l’indice di bioversità zoologica, ci siamo fatti una rappresentazione di un indice di complessità sintetico, quindi, che comprendesse sia gli animali, sia le piante, le piantine, per dirla breve su tutto il territorio, Comunale, incrociandolo con la carta del volume del verde, abbiamo visto dove le zone con più alto volume del verde, avevano già un alto indice sintetico di complessità ecologica, e quindi, quelle erano zone da tutelare, non ci avevamo da fare tanto, tanto avevamo già alta complessità, andavano bene. E abbiamo visto però anche altre aree dove c’era un grosso volume del verde, ma l’indice di complessità ecosistemica, era basso. Quindi, potenzialmente potevano accogliere e potevano far sviluppare un ecosistema molto complesso, ma in questo momento, per una serie di ragioni non ce l’avevano. Erano quelle su cui dovevamo andare a

lavorare. Morale della favola... non mi vuole andare avanti... ecco. E qui è entrato in gioco poi, il lavoro con la Consulta, mi scordavo di tirarlo fuori, perché dalla Consulta che cos’è emerso? Banalizzo, in realtà siamo andati avanti un bel po’ di tempo, è emerso che bisognava pensare anche ad una rete ecologica intraurbana, che a partire dalla rete ecologica, quella più grande, quella dei corsi d’acqua, potesse, in qualche maniera, permeare tutto il tessuto urbanizzato utilizzando e lì... cioè diciamo, in quella maniera quella è stata anche la genialità, è quella poi che, far venir fuori alla grande il ruolo ecologico delle alberature in Città, come corridoi di trasmissione. Qualcuno scherzosamente li ha chiamati la via delle api, perché una volta, per fare un esempio, quando un ape va da un fiore ad un altro, i filari e le alberature stradali, considerando poi i parchi e i giardini come i nodi di questa rete. Sulla base di quelle considerazioni che vi ho fatto vedere prima, abbiamo potuto studiare e capire quali erano le situazioni che erano da preservare, piuttosto che le situazioni che erano da costruire, o rimettere a posto. Viali alberati che avevano delle lacune troppo grosse, dal punto di vista ecologico c’è bisogno di una forte continuità sulle alberature stradali. Fra l’altro questo potrebbe creare dei problemi in fase di reimpianto, perché teoricamente, se dovessi basarmi sull’aumento e sulle mie necessità ecologiche, dovrei dire all’Architetto Cerchiarini, non mi mettere gli alberi con lo stesso sesto di impianto che hanno quando hanno 50 anni, me li devi mettere più vicini. Casomai, quando diventano troppo grandi e non ce la fai più... li devi diradare dopo. E qui sono tutte le famose storie i problemi, controproblemi. Va bene, però intanto, diciamo, ci siamo studiati che cosa dobbiamo fare e in prospettiva dove dobbiamo andare a lavorare. Abbiamo anche sulla base di quelle considerazioni, nelle varie zone di trasformazione urbana, contenute nel Piano... nel Regolamento urbanistico, sulla base degli indici di cui vi parlavo, quindi, ogni zona di trasformazione ha indicato il suo indice, abbiamo messo appunto un abaco generale e poi scheda, per scheda, abbiamo riportato degli interventi che nella realizzazione del verde e di corredo a quell’area di trasformazione, oppure, a volte le aree di trasformazione sono esse stesse dei verdi, dei parchi, dei giardini di nuova realizzazione, magari correlati ad interventi urbanistici, le cosiddette opere a scomputo, abbiamo messo a punto una serie di indicazioni che servono a incentivare la funzione zoologica, la funzione botanica, e la fruibilità. Perché la fruibilità? Perché è evidente che nell’ambito della realizzazione di una rete ecologica, diventa importante anche la funzione pedagogica che può avere l’intervento che si fa. Quindi, costruire, lo ho sentito dire più volte, costruire nella testa della gente, nella testa dei cittadini, una cultura che possa, in qualche maniera apprezzare quello che si sta facendo. Vi faccio un esempio. Noi stiamo provando, poi ve le faccio vedere, a creare delle zone ad alta biodiversità, come dico scherzosamente, spendiamo di più a fare i cartelli per indicare che quell’erba lì non è che è così perché il Comune non la sta tagliando, è così perché deve fiorire, poi deve fare i semi, devono cadere... Però si deve far entrare nella testa della gente che ci sono alcune zone su cui si deve lavorare in un certo modo. Ci sono alcuni alberi che vengono gestiti in un certo modo, perché hanno una certa funzione. Quindi, vengono lasciati in una maniera differente. Abbiamo iniziato, abbiamo iniziato a fare delle sperimentazioni. Questo perché? Perché è evidente e spesso siamo stati accusati di questo, la gente spesso dice: fate tanti bei discorsi, ci fate sognare e poi dopo però non riuscite a concretizzare le cose che fate. Allora, considerate che queste sono robe abbastanza nuove, non solo Firenze, ho fatto vedere, hanno selezionato a livello Nazionale come episodio pilota e quindi, a livello

italiano sono molto nuove. Abbiamo provato a cominciare a fare dei piccoli interventi che potessero, in qualche maniera, dimostrare, che ciò che dicevamo, era fattibile, era concretizzabile. Abbiamo iniziato a creare delle aree ad alta biodiversità. Questo è alle cascine. Sono delle aree, sono delimitate, ci sono degli spazi per osservarle, dove abbiamo realizzato... questo è il cosiddetto bags hotel, questo è per gli insetti, cioè è un aggeggio che serve ad attrarre i piccoli insetti impollinatori che sono quelli che sono spariti, per tutta una serie di ragioni, compreso quello dell’utilizzo, da parte nostra, ora abbiamo smesso da un bel pezzo, ma insomma... di insetticidi che facevano fuori praticamente tutto. Ora abbiamo smesso da un bel pezzo, abbiamo smesso anche di utilizzare il diserbante con il glifosato e quindi, stiamo diventando sempre più attenti a queste problematiche, e quindi, con gli insetti, abbiamo iniziato ad utilizzare... una prima sperimentazione fu fatta nell’area del Parco dell’Agelgrosso, cinque anni fa, e poi ora sta continuando alle Cascine, la realizzazione di piccoli boschi con piante e cespugli, piccoli boschi, ora sto esagerando, piccole zone, con piante e cespugli, con bacche per attirare gli uccelli tipo il cretegus, insomma, gli uccelli frugivori, e poi abbiamo iniziato anche a fare e a montare rifugi per gli insetti, piuttosto che gli uccelli, sugli alberi. Questo qui lo ho messo un po’ come provocazione, perché sapevo che ero con tutti i Forestali e saranno tutti lì a pensare: ma come hanno fatto a mettere tutte queste cose... non l’abbiamo fatto noi, questo in Francia, e comunque, per tranquillizzarvi, è montato su un guscio di vetroresina, è legato dall’altra parte all’albero e quindi, non gli fa assolutamente male. Bene. Abbiamo fatto anche sperimentazioni come vi dicevo, per gli insetti. E quindi, abbiamo iniziato a utilizzare nelle nostre aiuole, delle miscele che, vengono chiamate white flowers, in realtà sono delle miscele che poi sono un mix tra semi che derivano da miscele di fiori selvatici, insieme con anche fiori che hanno un valore estetico. Però il mix di colori, il mix di fiori, ha cominciato a funzionare e riattrarre insetti impollinatori, anche in zone davvero inaspettate. Questo era... per un periodo è diventato il nostro simbolo perché è un ... in decollo in Piazza Alberti. Quindi, con la pizzeria La Forca, non mi ricordo come si chiama, sullo sfondo, oppure queste qui le xilofoca con dietro, con dietro il Palazzo Vecchio, dalle cinque paniere. Questo, invece, alle Cascine, sono la mantidi alle Cascine. Quindi, comincia a funzionare, questi piccoli esperimenti, cominciano a funzionare. Quale vuole essere il nostro obiettivo? Il nostro obiettivo? Puntiamo in alto. Perché dobbiamo puntare in basso? Va bene? Questo è Central Park 350 ettari, quindi, tre volte e mezzo le Cascine. Mi sembra che il parco monumentale è 114 ettari delle Cascine, tutto intero è 160 ettari, ma considerando l’ippodromo, la scuola di Guerra Aerea, ecc., ecc. Bene. Un progetto di Fredelick Olmsted Voaux, della metà dell’800, ok? Progetto interessante. Perché si veniva da una tradizione dei parchi inglesi, la tradizione anglosassone. Però negli Stati Uniti un po’ come reazione al positivismo che stava esplodendo per via della... del boom industriale, il boom industriale, stava nascendo, stava nascendo una nuova corrente di pensiero, anche dei paesaggisti, che considerava la necessità di dover recuperare un rapporto forte tra l’uomo e la natura e quindi, è sempre l’uomo, padrone del proprio destino, ma in un rapporto simbionte con la natura. Di questi anni, il parco mi sembra... no, il parco mi sembra che del 1840 roba del genere, comunque, il parco lo hanno realizzato nel 1850, che è il solito periodo in cui è uscito il famoso Valden di David Torau che è considerato un po’ il manifesto di questa idea del rapporto simbionte tra uomo e natura e infatti, già nel progetto di Central Park ... Vox cominciano ad essere inserisce degli elementi sono elementi di naturalità. Questi elementi di

naturalità, in effetti, oggi stanno dando anche i loro effetti. Ora, dobbiamo anche considerare il tipo di frequentazione e la ... che c’è su Central Park che è pazzesca, penso ad ognuno di noi ci sia andato e c’è chi va a cavallo, e chi va con il monociclo, e chi va con i pattini, cioè ci fanno di tutto di più. Quindi, è un parco con una pressione micidiale. Nonostante questo, si sta sviluppando un ecosistema, o per brandelli di ecosistemici, chiamiamoli così, anche particolari, con anche una complessità. È di qualche anno fa, credo, 4 o 5 anni fa l’arrivo, che è stato segnato da una serie di eventi mediatici micidiali, di un maschio, che poi dopo s’è trovato anche la fidanzata, ma quello dopo, di aquila dalla coda rossa, che ha pure un nome e ha un sito suo, che si chiama ... mail, da com’è famoso, perché giorno, giorno, la gente va a fotografarlo e giorno, giorno, posta le fotografie di lui che si fa il bagno, di lui... Poi, ha trovato una femmina, che anche questa ha un nome, si chiama Lola, ha fatto i bambini, perdonatemi, ma quelli non so come si chiamano, comunque, è diventato famosissimo. È ovviamente, all’apice della catena... è il predatore... è il predatore di turno, diciamo. Tant’è che i vecchi colonizzatori, gli scoiattoli, i cani e i procioni, non sono molto contenti del fatto che lui sia arrivato. Va bene? Perché, praticamente, la sua dieta si basa sostanzialmente sulla popolazione degli scoiattoli. Comunque, testimonia il fatto che anche in un parco incastrato in mezzo ad una Città mostruosa, con una pressione da parte della popolazione micidiale, se ben pensato, ben realizzato, ben gestito, si possono creare dei brandelli ecostemici e una biodiversità estremamente importante e valida. È evidente, ma questo lo capite subito, anche dalle fotografie, che gli alberi qui hanno un ruolo micidiale. Io non voglio dire, perché lo so che è impossibile che si debbano tenere dei pezzi del bosco alla loro evoluzione naturale e quindi, l’albero che muore, cade, poi marcisce e quindi diventa la sede degli insetti saprofagi, ecc., ecc., perché lo so benissimo, però con un minimo di gestione che possa tenere conto anche, è questa la grande difficoltà e credo che il Convegno di oggi, in questo senso, ci potrà dare anche delle indicazioni, un minimo di gestione che tiene di conto anche di queste necessità. Forse, in certe zone e quindi, nei parchi, questo può essere fatto. Questo invece è l’esempio, di dove davvero dobbiamo arrivare, perché questo è Prospect Park. E sempre progettato da Olmsted Voaux, però del fine ‘800, 1876, una roba del genere, in questo c’è veramente deliberatamente, scusate, la ricerca di uno spazio dedicato alla natura, che è sostanzialmente, sono andato indietro... che è sostanzialmente questa parte finale del parco, cioè lo vedete anche per com’era progettato. La parte del lago, le parti intorno, erano specificamente pensate, non tanto con l’ottica di creare delle prospettive paesaggistiche che era tipica del giardino e del parco anglosassone, ma proprio con l’ottica di creare una serie di anfratti, di meandri, di rifugi, per la fauna selvatica, che permettessero l’installazione e la creazione di un ecosistema. E questo è successo, e questo è successo, perché Prospect Park, è diventato un elemento fondamentale sulla rotta di emigrazione verso nord, di tutta una serie di uccelli della zona dello Stato di New York. Vedete com’è organizzato, cioè quindi, c’è una parte della natura, una parte dell’uomo, l’uomo può osservare la natura, ma la natura sta in santa pace. Questa è la zona della frana, sì, si chiama la zona della frana, ... area, vedete com’è lasciata proprio all’evoluzione naturale, ovviamente gli uomini non ci possono andare, e c’è tutta una serie di elementi, ora qui ho riportato solo gli uccelli, perché è famoso per gli uccelli, c’è addirittura un’Associazione fa birth watching un Prospect Park, che come posso dire, testimoniano uno sviluppo dell’ecosistema in quelle zone micidiale. Chiudo su una cosa. Prospect Park è anche l’esempio,

purtroppo, della conflittualità che si può creare quando si realizzano queste cose. Nel 2009, qualcuno se lo ricorderà, ci fu un famoso incidente, il volo 1549 della US American Airways che fu costretto ad un ammaraggio di fortuna, fu spettacolarizzato, perché per l’appunto atterrò sul Hudson, ammarò sull’Hudson perché quello gli entrarono delle oche canadesi nei motori, perse completamente potenza, il pilota, per fortuna, che era, evidentemente un grande, riuscì ad ammarare, si salvarono tutti, non successe niente, però venne fuori, come posso dire, un sentimento popolare, che purtroppo, portò alla cattura e all’uccisione di 400 oche canadesi l’anno successivo. Quindi, è evidente che, come posso dire, si fa una pace armata con la natura, nell’ambito cittadino, dobbiamo imparare a rispettarci tutti, e provare a gestirci nel miglior modo possibile. Probabilmente, questo è uno degli elementi, cioè quello di andare a cercare la naturalità dentro i nostri spazi verdi, che può portarci davvero di nuovo a creare davvero, un giusto rapporto con la natura, a capirla meglio, a capire che può essere pericolosa, a capire che però è anche estremamente utile per il buon vivere dentro l’ambito cittadino. Grazie. >>

Parla Stefano Cerchiarini - Dirigente Servizi Parchi Giardini ed Aree Verdi, Comune di Firenze:

<< Grazie al Dottor Pietro Rubellini per l’interessante relazione che ha trattato dei temi un po’ diversi rispetto a quelle precedenti. Voglio sottolineare che la proposta rete ecologica, è stata un lavoro enorme, che è entrato poi, a far parte in tutto e per tutto nel Regolamento urbanistico, in termini sia di indirizzo che in termini regolamentari. Nell’esaminare gli elaborati, per chi è avrà modo o lo avrà già fatto, salta all’occhio una cosa importante: la rete ecologica costituita da corsi d’acqua, rive, o dalle alberature stradali, è interamente pubblica, gestita dalla Provincia, gestita dal Comune, i nodi che, se non vado errato, sono 40, i nodi urbani all’interno dell’area urbana, sono 38 di proprietà dell’Amministrazione Comunale, uno del Demanio, perché è il Parco dei Boboli, e io credo soltanto uno il Giardino Torrigiano che è di proprietà privata. Quindi, evidenzia ancora di più il ruolo fondamentale e quindi, la responsabilità nell’accessione piena del termine, dell’accessione Comunale e delle altre Amministrazioni pubbliche, coinvolte nella gestione e nella proposizione dello sviluppo di queste aree in quest’ottica. Passerei alla relazione successiva, del Dottor Lorenzo De Luca, che ho visto... eccolo... prima presente, dell’Ordine degli Agronomi e dei Dottori Forestali della Provincia di Firenze, che ha come tema la Città degli alberi. >>

ORE 16,00

“La Città degli alberi.”

Parla Lorenzo De Luca - Ordine dei Dottori Agronomi e dei Dottori Forestali della Provincia di Firenze:

<< Mi rendo conto che sta cambiando molto in questa Città e in Italia sulla gestione del patrimonio arboreo e del verde urbano. La relazione del Dottor Rubellini, dimostra che forte innovazione si sta cercando. Ma cambia anche qualcos’altro, sta cambiando la collaborazione tra i professionisti, i cittadini, che, ovviamente, hanno le loro ragioni anche di fare polemica, perché certe cose molte volte devono capirle, oppure chiedono spiegazioni. Tutto questo dialogo ha anche portato a delle importanti considerazioni, per il Regolamento urbanistico del Comune di Firenze, che come ha detto il Dottor Rubellini, stato visionato collegialmente. Le considerazioni che io farò, sono proprio la base un po’... lo spunto di partenza con cui è stata vista in un ottica diversa, la gestione del patrimonio arboreo di Firenze. Nella Città degli alberi, gli alberi non sanno di noi. Gli alberi riescono a vivere e sopravvivere, in condizioni di estrema difficoltà, suscitano il nostro stupore, per questa sorprendente capacità, tanto che quando poi li vediamo morire, ne rimaniamo sconcertati, come se ciò non dovesse mai accadere. Ma per conoscere la vera natura degli alberi, è necessario avvicinarsi a loro con estrema umiltà, e cercare di comprendere il modo di vivere nel loro ambiente naturale: nei boschi, nelle radure dei prati, sui litorali sferzati dal vento e dal salmastro, e in tanti altri posti disparati, lontani dalle interferenze umane, almeno da quelle interferenze che non siano buone e neppure culturali, o un sapiente Governo delle foreste. È in questi luoghi che possiamo renderci conto della grandissima competizione per la sopravvivenza, che gli alberi mettono in atto per non essere sopraffatti dall’esuberante vegetazione dei loro simili, dall’improvvisa siccità, dal gelo, dal peso della neve, dagli attacchi di parassiti vegetali e animali, dalle brucature e dagli scortecciamenti dei mammiferi e di ogni altra sorta di animali e per non precipitare nel vuoto, da uno sperone di roccia su cui si sono ancorati e radicati. Per difendersi ed adattarsi ad ogni situazione, l’albero è capace di liberarsi di rami, di rivegetare dopo un parziale cedimento dell’intera pianta, di far crescere radici ne suoli più ostili e tra le pietre. Se cadono al suolo i suoi semi, saranno in grado di perpetuare la specie, germinando nei punti più imprevedibili, senza che l’uomo possa interire con questo ancestrale rito di vita e morte, che ha consentito e garantisce ancora il mantenimento delle condizioni essenziali, per la vita sul Pianeta, di tutti gli animali, uomo incluso. L’albero non sa e non può sapere se accanto a lui qualcuno ha costruito una casa, se lungo le sue strade transitano automobili o persone, se le pendici della collina e della montagna dove vivono ben ancorati, senza alcuna possibilità di allontanarsi, possono franare, trascinandoli a valle. E gli alberi non sanno delle Città. L’albero vive utilizzando le stesse strategie di sopravvivenza secondo abitudini e regole, usuali, ovunque si trovi. Le stesse degli ambienti naturali, lontani dagli insediamenti urbani. Ma ecco che quando negli ambienti urbani, un fulmine lo colpisce, il vento lo abbatte, una malattia ne stronca un ramo e lo atterra, allora nonostante la sua preziosa presenza e funzione ambientale, esso entra in conflitto con la sicurezza della vita umana. Sta all’uomo comprendere con sapienza, come gli alberi devono essere allevati e curati nelle Città e soprattutto, come dove e possano essere piantati e dove non debbono assolutamente essere piantati, per evitare che in seguito, la loro presenza diventi un serio problema per la convivenza uomo-albero. Nelle Città degli alberi, non è l’albero

il protagonista della propria diffusione, ma l’uomo, a cui va data la responsabilità di prevedere anche questi potenziali conflitti, che mirano la sicurezza delle persone e la fruibilità dei luoghi urbani in piazze, strade, parchi, cortili, giardini pubblici, pubblici e privati, e anche nei giardini pensili. La densità urbana e l’intenso utilizzo delle vie di comunicazione delle Città di oggi, richiedono una nuova capacità progettuale per l’impianto degli alberi, richiedono un esatta previsione del loro sviluppo, delle interferenze, delle competizioni vegetali fra loro stessi e con il clima. Clima che si mostra da alcuni decenni, anche sempre più imprevedibile e caratterizzato da fenomeni anomali. Quindi, c’è un grandissimo cambiamento o meglio, c’è una forte coscienza che sta cambiando molto nelle nostre Città, nel clima e nella gestione del patrimonio arboreo. Nasce l’esigenza fortissima della gestione consapevole dei patrimoni arborei, con tecnici appositamente addestrati, con scelte anche e soprattutto urbanistiche, come diceva l’Assessore, e anche politiche oculate e consapevoli, lasciando da parte qualsiasi improvvisazione o banale superficialità. È arrivato il momento di sopperire ai guai del passato, determinato da un modo ormai superato di lasciar fare alla natura tutto quello che lei invece ha buona ragione consentito nei luoghi meno atrofizzati, quelli cioè, più congeniali per la loro vita, dove prevalgono, nonostante incontrastate, leggi di equilibrio ecologico in cui l’uomo non interferisce o lo può fare solo parzialmente. Biodiversità e naturalità degli ambienti naturali, sono la risorsa più importante per garantire la sopravvivenza dell’uomo. Ma questi ambienti, spesso, sono anche quelli ostili, o assai poco favorevoli e confortevoli per la vita umana, almeno quel tipo di vita che conosciamo e siamo abituati ad apprezzare nelle Città. Per governare il verde delle Città, gli strumenti oggi li abbiamo. La dimostrazione della presenza di tecnici qualificatissimi di una ricerca che in 20 anni è completamente cambiata, di Università che si occupano del problemi, abbiamo la fortuna di Firenze, abbiamo Torino, abbiamo l’Università di Padova, dappertutto si sta sviluppando una forte conoscenza scientifica sugli alberi. Quindi, abbiamo tutto questo bagaglio, e l’evoluzione è rapidissima. E quindi, tutto questo ha rivoluzionato il modo di pensare e di gestire il patrimonio arboreo urbano. Tanto per accompagnare questa breve relazione con alcune immagini, qui vediamo la nostra Città e la cosa che salta all’occhio è il contorno, com’è stato accennato dai relatori precedenti, di tante colline, montagne verdi e in primo piano, a sinistra, i pioppi bianchi del Parco delle Cascine, che furono messi a titolo sperimentale, proprio dall’Istituto Forestale all’inizio del ‘900. Questa è una veste autunnale abbastanza suggestiva, che possiamo ammirare tutti gli anni nel parco, ne siamo attratti, ci identifichiamo con questi paesaggi, ma gli alberi non sanno di noi. Siamo noi che li ammiriamo e li vogliamo nelle Città. Un Tecnico quando vede professionalmente queste immagini, non può rimanere insensibile, però si chiede: l’anno prossimo, sarà la stessa cosa? Questi alberi, hanno bisogno di cure? Si potrà ripetere questo fenomeno? Ecco che lì nasce l’obbligo di occuparsi degli alberi e anche della sicurezza delle persone che stanno nei Parchi. Vai. Ecco. Qui siamo in una zona periferica, qualche valente Funzionario ha piantato dei ciliegi da fiore in una strada abbastanza desolata, però in un posto stupendo, siamo ai piedi del Parco del Mensola. Un semplice intervento, per ridare un tocco di primavera. Fugace, la primavera è veloce, però siamo noi che creiamo questo. L’autunno al Parco delle Cascine con il ginko biloga. Qui siamo in un viale molto conosciuto e discusso dai fiorentini. Mi piace pensare che questi miliardi di foglie, sono il condizionatore d’aria estivo di tutti i fabbricati che stanno lungo la strada. La loro traspirazione crea abbassamento di temperatura, e questo è

un beneficio microclimatico che abbiamo a Firenze, diffuso in tutta la Città, che è insostituibile ed è anche un bel beneficio economico. Ma siamo noi che vogliamo gli alberi. Naturalmente l’uomo riesce a dominare la natura e fare del verde formale, ma c’è sempre qualcosa di supernaturale come questo bellissimo pino laricio di Villa Gamberaia, che sarà stato messo lì apposta, però ora si mostra in una veste che chi lo ha piantato mai avrebbe immaginato. Qui siamo nella Villa di Cetinale, che è del ‘600, è una Villa caratterizzata da un assetto territoriale di incredibile valore paesaggistico. L’uomo lo ha fatto. Questa è una Villa, I Tatti, che sta tra il Comune di Firenze e il Comune di Fiesole, completamente forgiata dall’uomo. È un giardino formale all’italiana, ma è stato creato agli inizi del ‘900. Però la natura ha le sue regole che non tengono conto degli alberi. Questa è una tempesta avvenuta alle Cascine molti anni fa, ecco cosa può fare il vento. E quando gli alberi sono come poco tempo fa è successo in Città, gli alberi non sanno di noi, non sanno delle Città. Questo è l’orto botanico, in pieno centro. E questo cartello rosso, avverte chi entra nell’orto botanico a stare attento, perché può rimanere chiuso dal cancello automatico e non può più uscire. Nessuno immaginava che ci sarebbe stato un pericolo del genere. È rimasto il cartello e gli alberi per terra. Anche l’automobile, simbolo della presenza umana, e l’albero che si è rovesciato sopra la casa. Questo è un albero a rischio zero. Lo posso garantire. È lì da decenni, sul Viale dei Colli. Qualcuno l’avrà visto, è Viale Michelangelo. Non farà mai del male a nessuno, ma continua a vivere. Questo è un impianto fatto a fianco dei grandi bagolari che si trovano sul Viale Gramsci. Non si capisce per quale ragione, siano stati piantati dei lecci molto grandi, ma molto fitti, sono a circa due metri l’uno dall’altro. Poi, come se non bastasse, sono diventati 10, a un metro e venti l’uno dall’altro. Siamo noi che dobbiamo progettare gli impianti. È l’uomo che fa le Città. Dobbiamo capire cosa succederà dopo che abbiamo piantato gli alberi. La sapienza dell’uomo, comincia a fare anche opere che si tramandano per centinaia di anni. Questo è il Piazzale delle Cascine, i grandi pini che sono secolari. E qui abbiamo la nostra Città, in mezzo agli alberi. I cipressi richiamano i campanili che svettano, le cupole dei tigli richiamano il cupolone del Duomo, per noi questo è una gioia poter apprezzare e leggere la natura intorno ad una Città bellissima come Firenze. Però gli alberi non sanno di noi. Siamo noi che li vogliamo e li leggiamo così. Ed ecco l’augurio a tutti di avere buoni alberi per le nostre Città, da una venduta molto particolare di Bellosguardo al tramonto, che ci ricorda che in questa Città, che è di origine romana, c’erano prima gli Etruschi lassù in quelle due collinette di Fiesole, i propulsori della nostra civiltà, e tutto questo è rimasto a noi fino ad oggi, con nostra grande gioia, e così cerchiamo di conservare anche il nostro patrimonio arboreo. >>

Parla Stefano Cerchiarini - Dirigente Servizi Parchi Giardini ed Aree Verdi, Comune di Firenze:

<< Grazie al Dottor De Luca per la sua relazione. Ho avuto il piacere di lavorare con Lorenzo per alcuni anni, e già conoscevo il suo amore per le piante, per gli alberi in particolare. Direi lo ha dimostrato in maniera ancora più eclatante con un intervento che, semplicemente, definirei poetico. Grazie Lorenzo, ancora. Passerei al prossimo intervento del collega Architetto Bugatti, dell’Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Firenze, dal titolo il progetto per la natura in Città. >>

ORE 16,15

“Il progetto per la natura in Città.”

Parla Antonio Bugatti - Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggistici e Conservatori della Provincia di Firenze:

<< Buonasera a tutti. È un grande onore essere qui, ed essere per l’Ordine anche tra gli organizzatori di questo evento, su un tema così sensibile e delicato, sta crescendo l’attenzione. Ed è questo il punto da sottolineare, cioè l’attenzione che sta crescendo è la crescita di una cultura che migliorerà certamente la Città. Le antiche civiltà scomparse hanno lasciato resti di Città in mezzo alla foresta. Architetture di pietra, avviluppate da fitto fogliame e rami robusti. Gli alberi tendono a riprendere il loro posto. Il posto che l’antropizzazione temporaneamente aveva sottratto loro. L’uomo ha sempre teso a proteggersi dalla natura evocatrice di pericoli e di ataviche paure, inventandosi prima un riparo e poi il villaggio. Il bosco è mistero e senso di smarrimento. Uscire dalla propria casa sul limite della foresta, è passare in pochi attimi dal senso di protezione, all’angoscia dell’indefinito, perché cediamo il ruolo di protagonisti. Per i Chiricawa nativi d’America, li abbiamo già conosciuti poco fa, in un altro intervento, la foresta è il mondo intero, un mondo di pini gialli e abeti douglas. Dopo 100.000 anni di esistenza di rapporto costante nel bene e nel male con la natura, nella sua evoluzione sociale l’uomo è stato indotto a un inurbamento sempre maggiore. Liberandosi antiche ma salvifiche paure, si è reso protagonista assoluto della propria condizione esistenziale. L’abbandono dei territori e delle campagne e delle aree boscate, avvenute da un secolo a questa parte, ha fatto perdere ormai completamente la capacità di una rispettosa convivenza con l’ambiente naturale. Non lo conosciamo più, se non pochissimo. Restano la facinazione degli episodi e la curiosità, entrambe condizionate dalla dimensione perduta ed evocatrice di ancestrali timori. Nella Città la dimensione umana è stata costruita prevalentemente dal di dentro, come difesa, dal cominciare da dentro le mura, addensando costruzioni su costruzioni all’interno di un sistema protettivo, rispetto al fuori indefinito. Le Città medioevali, sostanzialmente fortilizi, non avevano alberi. Le loro affascinanti vestigia tuttora, non possono contenerle. L’evoluzione ulteriore verso il bisogno di mobilità, soprattutto interna alla civitas, ha solo in parte dilatato gli spazi inclusi che, raramente, hanno concesso agli alberi di ritornare. Almeno, fino a quando il predominante fastidio di vicinato e di movimentazione, non ha determinato la riscoperta di un importante funzione arborea: separare, senza distanziare, filtrare il rumore, con qualche inserimento di masse vegetali generiche, di verde non tanto riservato a pochi, sia venuto a collocare episodicamente nel conclusus di orti e giardini privati, a corredo di residenze signorili. La Città industriale ha presto avuto bisogno di mitigare ... di fumi e condense, e di ristabilire un microclima di sopportazione, un primo rudimentale ecosistema locale. Per far fronte ad esigenze di igiene urbana. Per necessità è la prima riscoperta degli alberi nel caotico tessuto urbano incontrollato nella crescita spasmodica. Piazze alberate, giardini di quartiere, parchi di Città, sorgono in modo emergenziale, sempre senza disegno e continuità, come spazi residuati genericamente lasciati all’incuria. La relativamente recente svolta ecologica è stato il prodotto di una, anche giusta, forte reazione agli eccessi. La nuova voglia di naturalità, la nuova voglia di consapevolezza di rischio per la riduzione dei valori dell’ambiente naturale, come il rispetto di sé e delle future generazioni, hanno indirizzato verso azioni rigeneranti, un auspicabile sistema equilibrato. La conseguente riscoperta della natura, senza averne più molta confidenza, la fa

apparire ancora troppo imprevedibile, perché disconosciuta per troppo tempo e per troppo tempo abbandonata a sé stessa. La nuova dimensione urbana, quella attuale, contenitrice anche di nuove fragilità umane, vede purtroppo ancora una Città dove il verde è ancora solo accessorio. Fatte le proporzioni, come un vaso di fiori sul balcone di casa. Non consente ancora il riavvicinamento vero, che è dato invece dal riconoscimento dell’importanza delle masse arboree e del rispetto delle loro esigenze, del loro giusto habitat, della preziosità della loro presenza, in termini di salubrità di vita di una Comunità e dei singoli individui. Un esempio, meno scontato di tanti possibili: la contemplazione. Siamo ancora capaci di apprezzare anche se per una Frazione del nostro tempo cominciato in vasi di comunicazioni incessanti questo stato d’animo e quello che ne possiamo ricavare? Possiamo beneficiare di questo rara esperienza se accade che ci troviamo anche in Città, da soli o con altri, vicino a un albero, meglio se maestoso, osservando nelle foglie stagliate nel cielo. Non conosciamo il suo nome, le sue caratteristiche, ma percepiamo una presenza a noi interiore, la stessa che altri, esattamente allo stesso modo, possono provare. Come nelle suggestive narrazioni filmiche di alcune fantastiche visioni di mondi abitati da altri esseri, a noi somiglianti, che si connettono e formano una stretta Comunità empatizzando tra loro, attraverso le radici arboree ipersensibili. Potremo elencare altre preziosità derivate dalla nostra possibilità al singolo come elettiva ad alberi a portata di mano. Come fare a dare dunque, un ulteriore e nuovo impulso all’innesto in Città di nuove e consistenti masse arboree, tra loro interagente, e che si rapportino per la loro accurata collocazione in spazi pubblici, al contesto infrastrutturale? Ne parliamo qui oggi, proviamo solo qui oggi a stimolare la discussione che seguirà nella tavola rotonda, per uscire di qui con qualche idea in più. Si potrebbe intanto delineare un nuovo progetto che risponde rispetto a queste necessità. La Città di domani, inteso come futuro immediato, può essere coltivare più che costruire la Città. Frutto di una precisa volontà della Comunità di governare il ritorno degli alberi. Non più elementi accessori del costruito, ma fondamentali per la nuova ristrutturazione di spazi aperti, protagonisti della Città pubblica, perché assieme all’uso degli edifici, gli abitanti sappiano tornare a convivere con una tranquilla naturalità ritrovata, sul limitare della porta di casa. Per ottenere questa auspicabile condizione, si deve progettare dal fuori verso gli interni. Privilegiando la permeabilità spaziale tra le funzioni, impiegando la botanica come materiale costruttivo, come materia prima da plasmare con rispetto, perché costituita da materiale vivo. Gli alberi non sanno ancora delle Città, De Luca, ma le Città debbono sapere degli alberi, senza dotarsi di imposizioni regolamentari calate dall’alto, sottoforma di standards, bensì risvegliate nella consapevolezza sociale che tutta la storia dell’abitare umano, un epica mai raccontata di spontaneità ed equilibrio, venga ora indotta la spinta di un economia alternativa non monetaria. In Città le masse boschive se reintrodotte per precisa e colta scelta progettuale, possono interagire positivamente con le altre funzioni, auto-mantenendosi, e mantenendo la funzione ecologica, climatica, igienico-sanitaria, oltre che culturale. Sapienti guide, non parametri, sono in grado di innescare il processo di auto-costruzione collettivo, di un diffuso sistema di verde urbano e del suo rispettoso e uso e mantenimento. Di un piccolo eden da cui non rischiamo di essere cacciati, semmai puniti, se non saremo capaci di rispettare a sufficienza quelle forme di vita, che migliorano la nostra da cui, invece, trarremo motivi di coesione e di scambio di sensazioni e facinazioni aggreganti, perché evocanti la primitiva condizione sociale anteriore, allo stabilirsi della proprietà fondiaria. A partire

dai luoghi urbani degradati, abbandonati e residuali, potremo cominciare di lì a piantare alberi, innestati per metafora fra l’albero della vita e l’albero della conoscenza, e del bene e del male, convogliando in quei luoghi la vera e grande energia urbana nei prossimi anni, negli spazi di organizzazione spontanea di libera e autocontrollata frequentazione, indirizzata da un preciso disegno, è questo il progetto, che consenta interazioni e connessioni verso l’intero sistema urbano, fino a raggiungere corridoi ecologici, siamo d’accordo con l’ambiente rurale che lo circonda. Un disegno disciplinato dalla conoscenza dell’uso sapiente della materia verde, non per produzione di grandi macchine architettoniche, ma ragionando sul forme di intervento leggero, magari ne è stato di tecnologia, e di una potenza primitiva che crescerebbe ogni giorno con noi. Il verde, è il vero lusso diffuso che tutti ci possiamo permettere, per coniugare i valori estetici naturali, con il Comune sentire, l’identità e l’appartenenza. Vi ringrazio. >>

Parla Stefano Cerchiarini - Dirigente Servizi Parchi Giardini ed Aree Verdi, Comune di Firenze:

<< Grazie. Grazie all’Architetto Bugatti per il suo intervento. Volevo sottolineare quello che ha detto in fase introduttiva, cioè che il verde urbano a Firenze, ma anche in altre Città in Europa, è distribuito in maniera molto disomogenea fra una parte e l’altra della Città, semplicemente perché è collegato alle caratteristiche urbanistiche della Città e all’epoca di costruzione delle varie zone. Nel centro di Firenze, nel vecchio castro romano, verde pubblico, ma anche privato non c’è e non ci potrà mai essere. Si trova qualche spazio verde nello spazio contenuto nell’ultima cerchia muraria del 14° secolo. Qualche volta siamo stati criticati, forse più la parte politica che la parte tecnica, per avere fatto qualche intervento in più nella parte centrale della Città, rispetto a interventi nella parte periferica. Queste scelte che sono in primo luogo di carattere tecnico, non sono legate al sentire dei cittadini di serie A o di serie B come qualche volta che c’è stato contestato, ma sono legate semplicemente al fatto che nel centro storico il verde è molto più scarso che nel resto della Città, le pressioni antropiche sono maggiori, e questo richiede necessariamente una maggiore cura a parità di superficie. Scusate la digressione. Chiamerei per l’ultimo intervento della serata la Dottoressa Martina Petralli dell’Università degli Studi di Firenze, che ci presenta una relazione sui cambiamenti climatici e Città il ruolo del verde urbano. >>

ORE 16,30

“Cambiamenti climatici e Città il ruolo del verde urbano.”

Parla Martina Petralli - Università degli Studi di Firenze:

<< Buonasera a tutti. Sarò, breve, almeno, cercherò di essere breve, perché siamo un po’ in ritardo. Quindi, subito vi presento alcune evidenze che si ritrovano nell’ultimo rapporto dell’IPCC che è uscito l’anno scorso, che sono queste: allora, il riscaldamento del sistema climatico adesso è inequivocabile. Non ci sono più scettici, perché è provato da evidenze scientifiche. L’atmosfera e gli oceani si sono riscaldati, la quantità di neve e di ghiaccio si sono ridotte, il livello del mare si è alzato e le concentrazioni dei gas serra sono aumentate. E questa, appunto, sono evidenze. Quindi, qui vi riporto l’andamento dell’anomalia termica registrata dal 1850 ad oggi, a livello globale, quindi, potete notare la variabilità interannuale nella parte alta del grafico che si registra nella temperatura, ma potete anche vedere, allo stesso tempo, il trend che è nettamente positivo. Nella parte bassa, invece, è comunque sempre l’anomalia termica, però è raggruppata in periodi decadali. E qui vedete che le ultime tre decadi sono state in assoluto le più calde che si sono registrate dal 1850 ad oggi. Come sapete l’IPCC simula, attraverso l’applicazione dei modelli matematici, simula quello che potrà realizzarsi nel futuro, attraverso l’applicazione di diversi scenari. Da scenari più ottimistici, a più pessimisti. E qui vi ho riportato in alto quello che si simula con lo scenario più ottimista, per quanto riguarda la temperatura, di quello che accadrà alla temperatura nel periodo 2081/2100 in rispetto a quello che doveva essere... rispetto a quella che era la temperatura 1986/2005. Come vedete nel primo scenario, comunque si nota un aumento della temperatura che è più elevata nella zona dell’artico e comunque, in tutto l’emisfero settentrionale. Sulla sinistra, in alto, vedete invece il grafico dello scenario più pessimista e qui vedere le innalzature delle temperature sono ancora più evidenti, però sempre maggiore nella parte settentrionale dell’emisfero, e al Polo Nord. Una delle caratteristiche del riscaldamento del Polo Nord è anche la riduzione dei ghiacciai, che è una delle cose che sembra non una stupidaggine, ma forse, di poco conto e invece, è una delle cose più importanti che stanno avvenendo in questo momento, perché il clima che c’è sulla terra dipende totalmente dalla radiazione solare che arriva al suolo. La presenza del ghiacciaio fa sì che tutta la radiazione che arriva sui ghiacciai, venga riemessa in atmosfera. Se si riduce la massa del ghiacciaio, invece che essere restituita e dispersa in atmosfera, la radiazione scalda le superfici, lasciate libere dal ghiacciaio. Quindi, è uno dei problemi principali della diminuzione dei ghiacci. Per quanto riguarda la parte sotto, qui vediamo la distribuzione delle precipitazioni. Anche qui nello scenario a destra vedete lo scenario più ottimista, e quello più a sinistra, lo scenario più pessimista, e comunque, in tutte e due si vede un aumento delle precipitazioni a livello, a livello del Polo, e dell’Equatore e una riduzione nelle altri parti del globo. Qui vi ho riportato, sempre in base ai diversi scenari, qual è la variazione della temperatura superficiale media globale, stimata nel periodo 2045-2065 e 2081/2100, e vedete che i modelli più ottimisti vendono l’aumento di circa un grado, quelli più pessimisti vedono un aumento da 2 a 4 gradi circa di temperatura. Lo stesso per quanto riguarda i livelli medi dei mari. I livelli più ottimisti 0,24 metri, nel periodo 2046-2065 fino ad arrivare al modello più pessimista al 2081-2100 di 0,63 metri. Cosa succede a Firenze? A Firenze in questo momento siamo ad un aumento di 4,4 gradi per secolo, quindi, superiore a quello previsto dagli scenari del IPCC, perché chiaramente gli scenario dell’IPCC parlano e si riferiscono ad un valore

medio globale e quindi, poi nel particolare, si possono avere chiaramente anche valori più alti o più bassi. In cosa si traduce questo? Si traduce in una maggiore energia e la maggiore energia disponibile in natura, significa aumento degli eventi estremi. Qui vi riporto alcuni degli eventi estremi che si sono verificati a Firenze. Gennaio ’85 lo ricordate tutti, si sono avuti quasi 50 centimetri di neve, dal 5 al 13 gennaio, con addirittura 21 centimetri il 9 di gennaio, e il 12 gennaio dell’85 si è registrata la temperatura più bassa degli ultimi anni con -23,2°. Va bene, chiaramente si sono avuti danni ed effetti sulla salute, quindi, pesanti danni al settore agricolo, vitivinicolo e olivicolo in particolare, e poi tutte le difficoltà legate alla viabilità e all’approvvigionamento dei beni. L’estate 2003 e qui si parla di eventi estremi in termini di ondate di calore, in cui si sono avute persistenze di condizioni anticicloniche quasi ininterrotte dalla metà di maggio, fino alla fine di settembre, con le temperature che si sono mantenute al di sopra delle medie per tutto il periodo e con i record di temperatura a Firenze 41,1° il 5 di agosto. Quali sono stati i danni sulla salute? A livello italiano l’ISTAT ha stimato una cosa tipo 18.000 morti in più dovute proprio all’evento 2003 rispetto alla mortalità dell’anno precedente, ma a livello europeo, i danni maggiori si sono avuti in Francia, dove le morti sono state anche oltre le 50.000. Poi, ci avviciniamo ai giorni nostri, vediamo il 17 dicembre 2010 con un evento di nevicata che per 10 ore consecutive è nevicato a Firenze, ma la temperatura non era molto bassa, era intorno ai -1° e -2°, però il risultato è stato un accumulo fino al suolo di 21/23 centimetri di neve. Quindi, chiaramente paralisi della rete viaria, numerose alberature stradali cadute e la rottura delle tubature. Questi sono stati i danni più evidenti di quella nevicata. E poi l’ultimo evento che c’è stato adesso il 19 settembre con la grandinata, in cui ci sono state raffiche di vento fino a 100 km/h che a Firenze difficilmente si erano registrati in precedenza, con 20/25 millimetri di... scusate... 20/25 millimetri, non so se ho scritto in meno, ma... di pioggia... in meno di 10 minuti, e i chicchi di grandine, in qualche caso, hanno raggiunto anche i 3 centimetri e poi, si sono accumulati sulle strade. Quali danni ci sono stati? Beh, questi sono stati stimati in 1.500.000 di Euro solo per quanto riguarda il sistema museale, moltissime alberature crollate, quindi, anche e soprattutto, nei giardini storici, oltre che all’orto botanico che è stato devastato, numerosi tetti danneggiati e danni ingenti poi, chiaramente, al settore agricolo. Allora perché ci focalizziamo sul clima delle Città? Perché si sa, la popolazione mondiale sta aumentando, questo è un problema soprattutto che riguarderà i paesi in via di sviluppo, ma anche da noi sta aumentando, perché noi siamo già arrivati a superare il 50%, siamo intorno al 70% della popolazione che vive in ambiente urbano. Ma si prevede, alla fine del secolo, di arrivare oltre l’80%. E in questo in cosa si traduce? In un aumento delle superfici urbanizzate, per forza, che possono non avvenire a Firenze, ma sicuramente, avverranno nei Comuni limitrofi. E oggi non si può parlare soltanto di Comuni, ma bisogna almeno pensare all’Area Vasta. Quindi, aumento della popolazione, aumento delle superfici urbanizzate. E quindi, aumento delle persone esposte al clima urbano, rispetto a quelle esposte al clima rurale. Cosa cambia in ambiente urbano? Cambia tutto. Cambia tutto dal punto di vista dei parametri meteoclimatici: radiazioni, vento, umidità, sono quelli più importanti. La radiazione in ambiente urbano è molto più elevata, perché la radiazione incidente sugli edifici, una parte viene assorbita, una parte viene riemessa, ma a seconda di com’è orientato l’edificio, questa viene riemessa, ma può andare a sbattere, diciamo così, su altri edifici vicini che si trovano a ricevere non solo la luce del sole, ma anche quella riflessa dagli edifici intorno e la

radiazione che viene assorbita dalle superfici urbane viene trasferita molto al loro interno, e poi viene riemessa sottoforma di calore nel tempo. I venti cambiano in termini di direzione e intensità. Generalmente l’intensità del vento in ambiente urbano, viene ridotta. Chiaramente, questo non accade quando il vento si incanala in un canyon urbano e quindi, allora aumenta la sua velocità e può avere effetti devastanti, sennò, di solito, viene ridotta, perché gli edifici funzionano come gli alberi, da frangivento. E poi una cosa importantissima è l’umidità. L’umidità in ambiente urbano è ridotta e più che altro, tutta l’acqua che precipita, o la maggior parte dell’acqua che precipita in ambiente urbano, viene portata via velocemente dal fatto che sono superfici impermeabili, e quindi, canalizzano tutta l’acqua nella rete delle fognature e poi, quindi, al fiume più vicino, diminuendo quelli che sono i tempi, i tempi di corrivazione, si dice, però di solito relativo ad un bacino, ma non ho trovato un altro termine, quindi, si può forse parlare di corrivazione anche in ambiente urbano. E poi un’altra cosa fondamentale della riduzione dell’acqua disponibile in ambiente urbano, è legata al periodo estivo. E non solo per il discorso di approvvigionamento di acqua per le piante o cose del genere, ma anche per un discorso di raffreddamento delle superfici, perché l’evaporazione ha un processo che necessita di energia, per avvenire, di calore. E quindi, quando una superficie sopra di se ha dell’acqua che deve evaporare, nell’evaporare l’acqua raffredda la superficie su cui è. È come succede per il nostro sudore. Noi d’estate sudiamo, ma non è il fatto di sudare che ci raffredda, la pelle, ma è il fatto che il sudore evapora, se il sudore non evapora, la pelle non si raffredda, e lo stesso è in Città, se non c’è acqua che può evaporare, le superfici urbane non si raffreddano. E ultimo, l’ultima cosa importante del clima urbano è quella che conosciamo tutti, la caratteristica del fenomeno dell’isola di calore per cui, nelle Città ci sono temperature più elevate, delle campagne circostanti, questo è un fenomeno ormai noto a tutti, evidente, e che è legato esclusivamente alla presenza della Città. Se non ci fosse la Città non si sarebbe il quel luogo l’isola di calore. E questa è legata alle caratteristiche dei materiali, quindi, al tipo di albedo, la capacità di conduttività termica, e poi proprio al fatto che le superfici urbane assorbono il calore e lo riemettono in modo diverso dalle superfici verdi. Non si può parlare solo di isola di calore, ma si deve parlare di mappe termiche e quindi, di come la temperatura si distribuisce dentro l’ambiente urbano. E questa mappa è il risultato di uno studio fatto in collaborazione tra il Centro di Climatologia e l’Istituto di biometrologia del CNR, grazie ad una serie di sensori messi nel tempo, nella Città di Firenze, da cui si vede proprio come la temperatura in ambiente urbano sia legata, il parametro che è risulta più significativo è risultato essere la percentuale di strade, perché sono loro... più sono ampie, e meno sono ombreggiate, e più si riscaldano e più riemettono calore. E quindi, le strade in sé sono forse la caratteristica che determina l’aumentare della temperatura in Città, più degli altri fattori. Anche gli altri fattori sono risultati significativi, ma la presenza delle strade è quello più importante. Poi, chiaramente, anche il tipo di verde, perché ci sono differenze tra verde arboreo e verde non arboreo. Ora, qui vi ho riportato anche un esempio di cosa significa avere una differenza termica all’interno della Città. Per esempio, abbiamo applicato diversi indici bioclimatici, e quello che è risultato più significativo è quello delle notti tropicali. Ed è molto significativo dal punto di vista della salute umana, perché? Le notti tropicali sono quelle durante le quali la temperatura non scende al di sotto dei 20° e sono importanti per la salute perché durante il periodo estivo, il nostro organismo necessita di un periodo che di solito è

quello notturno, per riposarsi dalle condizioni termiche estreme a cui è stato esposto durante il giorno. Se anche durante la notte il nostro organismo deve lavorare, diciamo così, allora il giorno dopo sarà più affaticato e quindi, sarà più facile che sia soggetto a colpi di calore, o addirittura morte da calore, per esempio, negli anziani che sono quelli che hanno un sistema di ... meno efficiente. Come vi accennavo un secondo fa la variabilità termica è molto legata a come il parco o il giardino, comunque, il verde è disegnato. Quindi, è bene parlare di verde, ma distinguiamo, perché hanno effetti sul microclima differenti. Sono... per me che ho studiato scienze forestali sono forse banalità, però non tutti sanno che, chiaramente, se ci troviamo in un parco, con un prato e basta, durante il giorno non avremo molti benefici dal punto di vista della temperatura rispetto ad essere invece su una strada, perché le temperature massime che si registrano in un prato al sole, rispetto a una strada sono molto simili. Le avremo, invece, se il parco è alberato. E allora, lì troveremo anche 3/4° di differenza in termini di temperatura massima. La cosa opposta, succede la notte, perché il prato si raffredda molto velocemente la notte. Quindi, di notte avremo temperature molto più basse in un parco fatto di prato, anche di 3/4° rispetto allo stesso parco, però in cui c’è una copertura arborea, perché le chiome delle piante trattengono il calore che dovrebbe invece per naturali processi radiativi disperdersi in atmosfera. Qui vi ho un po’ riassunto quali sono i principali effetti positivi e negativi sull’uomo e sull’ambiente del verde in ambiente urbano. Effetti positivi aumento dei tempi di corrivazione e quindi la presenza in ambiente urbano di molti parchi, ma non solo di parchi, ma anche i tetti verdi hanno dato ottimi risultati in questo senso, fanno sì che l’acqua non arrivi molto velocemente nel fiume più vicino e quindi, si possono un po’ ridurre quelli che sono gli eventi estremi di esondazione dei fiumi, ma anche di, insomma, incapacità delle fognature. Poi fissazione della co2, fissazione di inquinanti e particolato, riduzione del rumore, aumento della biodiversità, insomma, questo argomento mi sembra che sia stato trattato più che approfonditamente. Riduzione dei consumi energetici, benessere psicofisico, riduzione dell’isola di calore delle temperature estive. Tra gli effetti negativi, invece, mettiamo anche l’aumento delle ostruzioni dei fiumi, dei canali, delle fognature, perché ci sono anche questi aspetti da prendere in considerazione. La produzione di VOC, che sono dei composti che le piante emettono naturalmente, ma che possono creare allergia, e più che altro che concorrono alla produzione dell’ozono troposferico, perché in determinate condizioni di temperatura e radiazione e quindi, nel periodo estivo, i VOC si legano con gli ossidi di azoto emessi dalle piante... scusate, dalle macchine... e formano una radiazione per cui, si produce ozono, che rimane in troposfera. Poi la produzione di pollini, è in aumento tantissimo la percentuale della popolazione allergica, sembra che questo aumento della popolazione allergica sia anche legato non solo all’esposizione ai pollini, ma soprattutto, anche alla combinazione polline-inquinamento. E costi, chiaramente alti di gestione e manutenzione. Per quanto riguarda gli inquinanti, alcuni inquinanti gassosi vengono assorbiti e metabolizzati dalle piante, e altri, invece, vengono immagazzinati nelle pareti cellulari e resi quindi, inattivi. In generale quelli inattivi vengono accumulati nella corteccia e nelle foglie e quindi, nelle parti che poi, morte o che comunque cadranno nella pianta. E le piante che hanno chiome abbondanti e foglie pubescenti e ... sulle foglie, sono quelle che hanno una maggiore capacità di assorbire particolato. È chiaro che l’azione degli alberi, degli arbusti e delle erbe, non è la stessa per quanto riguarda l’effetto che hanno sugli inquinanti, e non è soltanto un discorso... cioè più che altro è un discorso

della dimensione e quindi, della superficie che possono mettere a contatto con l’inquinante, ma poi è molto importante, specialmente in ambiente urbano, sapere dove e come mettere le piante. Perché? La stessa pianta messa all’interno di un parco o la stessa pianta messa su una strada a scorrimento veloce, o comunque, trafficata, naturalmente non può avere le stesse caratteristiche in termini di efficienza, perché la pianta è molto più efficiente se è messa in un ambiente inquinato, perché a più a disposizione e quindi, è più a contatto con gli inquinanti e quindi, ne può fissare di più. Come avviene l’assorbimento della co2 questa avviene attraverso gli stomier. Giusto per darvi un’idea della fissazione di co2. L’effetto che, una pianta può avere nei termini di fissazione di co2. Ho preso una macchina che è considerata una classica macchina da ambiente urbano, una Panda, ho preso a benzina, GPL, metano, e diesel, ho guardato le emissioni in termini di grammi di carbonio che emette per chilometro e poi ho guardato la letteratura, facendo una valutazione media, anche se è veramente difficile tirare fuori un valore medio in termini di fissazione di co2, di una pianta media, perché le piante sono completamente diverse le une dalle altre, in termini di specie, in termini di salute, in termini di portamento, insomma, e quindi, diciamo che si può dire che un albero maturo è capace di assorbire in un anno dai 13 ai 20 chili di carbonio, insomma, di anidride carbonica, però prendetela con le pinze, come informazione. Comunque, il succo di tutto questo è che un albero maturo può immagazzinare in un anno di vita, una quantità di carbonio emessa da una Panda, che percorre dai 100 ai 180 chilometri. Quindi, andare e tornare dal mare, in macchina, equivale a dire io oggi ho consumato tutta la co2 che può essere immagazzinata da una pianta. Questo ci deve far pensare molto, perché la piante sono efficienti, possono fare qualcosa, ma più che altro siamo noi che dobbiamo fare qualcosa. Per finire, concludo dicendo che sarebbe sempre bene quando si fa una nuova progettazione o si pensa di modificare qualcosa, includere uno studio del microclima e degli impatti ambientali per supportare la progettazione e quindi, valutare precedentemente quali sono le condizioni microclimatiche da affrontare, se ci sono venti prevalenti da una parte o dall’altra, se ci sono condizioni termiche da prendere in considerazione, ecc., e poi fare il progetto di conseguenza. Le basi per far questo ci sono, perché ci sono tantissimi studi di architettura, per esempio, questo lo ho ripreso da un libro di architettura, cioè lo studio di come orientare l’edificio per guadagnare al meglio, per sfruttare al meglio le ombre, o come posizionare le piante intorno agli edifici per ridurre il vento incidente da una parte, invece che favorire l’ombreggiamento estivo. Insomma, ci sono tante informazioni che possono essere utilizzate al meglio nella progettazione. E quindi, bisogna considerare che, e poi, quando si prevede di piantare nuovi alberi, le piante molto giovani hanno bisogno di molto tempo per riuscire ad apportare benefici dal punto di vista termico e dell’inquinamento. È anche vero che, se si piantano piante piccole, ci si ha una maggiore probabilità di attecchimento, insomma, bisogna cercare di fare le cose pensando a tutto, perché piantare un albero che gli ci vuole 10 o 15 anni per raggiungere dimensioni sufficienti per creare ombreggiamento, o per fissare gli inquinanti, insomma, sono cose che vanno valutate. Ecco. Sono stata velocissima, spero. >>

Parla Stefano Cerchiarini - Dirigente Servizi Parchi Giardini ed Aree Verdi, Comune di Firenze:

<< Grazie alla Dottoressa Petralli che con la sua relazione è partita da un approccio macro alle questioni ambientali, per arrivare poi a illustrare una situazione locale più preoccupante, già grave di quella planetaria, che quindi, fa riflettere sull’importanza e il ruolo che la gestione del verde pubblico, ma anche privato, che incide in maniera significativa negli spazi urbani, anche a Firenze, riveste. >>